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Salmo 53 Il salmo 53 è, quasi alla lettera, uguale al salmo 14. Rimandiamo perciò al commento del salmo 14. Salmo 54 Il salmo 54 è la supplica a Dio di un uomo che si trova ad essere perseguitato a morte da persone arroganti e prepotenti: “Sono insorti contro di me gli arroganti, e i prepotenti insidiano la mia vita” (v 5). Il salmista si rivolge al Signore con insistente preghiera: “Dio, per il tuo nome, salvami, per la tua potenza rendimi giustizia. Dio, ascolta la mia preghiera, porgi l’orecchio alle parole della mia bocca” (vv 3-4). Il salmista ha fiducia in Dio, Dio non lo abbandonerà: “Ecco, Dio è il mio aiuto, il Signore mi sostiene” (v 6); egli chiede che i suoi nemici vengano fermati e puniti: “Fa’, o Dio, ricadere il male sui miei nemici, nella tua fedeltà disperdili” (v 7); e promette a Dio un rendimento di grazie accompagnato da un sacrificio al tempio: “Di tutto cuore ti offrirò un sacrificio. Signore, loderò il tuo nome perché è buono, da ogni angoscia mi hai liberato e il mio occhio ha sfidato i miei nemici” (vv 8-9). Il salmo può essere pregato da ogni persona che si sente in grave difficoltà e sofferenza, e con esso chiedere a Dio di essere liberata da ciò che la fa soffrire. Liberata anche dai ‘nemici’ che possono essere le tentazioni, i rimorsi, le tristezze, i dubbi, le paure, le cattive passioni. Salmo 55 Il salmo 55 è la preghiera accorata di un uomo assalito da gente ostile: “Contro di me riversano sventura, mi perseguitano con furore” (v 4). Inoltre, attorno a lui, nella città in cui vive, c’è un clima di falsità e di violenza: “Ho visto nella città violenza e contese; all’interno iniquità, travaglio e insidie, e non cessano nelle sue piazze sopruso e inganno” (vv10-12). “Più untuosa del burro è la sua bocca, ma nel cuore ha la guerra; più fluide dell’olio le sue parole, ma sono spade sguainate” (v 22). E’ proprio un mal stare quello del salmista, per cui desidererebbe tanto potersene fuggire lontano per trovare sicurezza e tranquillità: “Dico: ‘Chi mi darà ali come di colomba, per volare e trovare riposo? Ecco, errando, fuggirei lontano, abiterei nel deserto. Riposerei in un luogo di riparo dalla furia del vento e dell’uragano’ ” (vv 7-9). 49

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Salmo 53Il salmo 53 è, quasi alla lettera, uguale al salmo 14. Rimandiamo perciò al commento del

salmo 14.

Salmo 54Il salmo 54 è la supplica a Dio di un uomo che si trova ad essere perseguitato a morte da

persone arroganti e prepotenti: “Sono insorti contro di me gli arroganti, e i prepotenti insidiano la mia vita” (v 5). Il salmista si rivolge al Signore con insistente preghiera: “Dio, per il tuo nome, salvami, per la tua potenza rendimi giustizia. Dio, ascolta la mia preghiera, porgi l’orecchio alle parole della mia bocca” (vv 3-4).

Il salmista ha fiducia in Dio, Dio non lo abbandonerà: “Ecco, Dio è il mio aiuto, il Signore mi sostiene” (v 6); egli chiede che i suoi nemici vengano fermati e puniti: “Fa’, o Dio, ricadere il male sui miei nemici, nella tua fedeltà disperdili” (v 7); e promette a Dio un rendimento di grazie accompagnato da un sacrificio al tempio: “Di tutto cuore ti offrirò un sacrificio. Signore, loderò il tuo nome perché è buono, da ogni angoscia mi hai liberato e il mio occhio ha sfidato i miei nemici” (vv 8-9).

Il salmo può essere pregato da ogni persona che si sente in grave difficoltà e sofferenza, e con esso chiedere a Dio di essere liberata da ciò che la fa soffrire. Liberata anche dai ‘nemici’ che possono essere le tentazioni, i rimorsi, le tristezze, i dubbi, le paure, le cattive passioni.

Salmo 55Il salmo 55 è la preghiera accorata di un uomo assalito da gente ostile: “Contro di me

riversano sventura, mi perseguitano con furore” (v 4). Inoltre, attorno a lui, nella città in cui vive, c’è un clima di falsità e di violenza: “Ho visto nella città violenza e contese; all’interno iniquità, travaglio e insidie, e non cessano nelle sue piazze sopruso e inganno” (vv10-12). “Più untuosa del burro è la sua bocca, ma nel cuore ha la guerra; più fluide dell’olio le sue parole, ma sono spade sguainate” (v 22). E’ proprio un mal stare quello del salmista, per cui desidererebbe tanto potersene fuggire lontano per trovare sicurezza e tranquillità: “Dico: ‘Chi mi darà ali come di colomba, per volare e trovare riposo? Ecco, errando, fuggirei lontano, abiterei nel deserto. Riposerei in un luogo di riparo dalla furia del vento e dell’uragano’ ” (vv 7-9).

Ma la sofferenza più grande gli viene dal voltafaccia nei suoi confronti di un amico carissimo, che aveva condiviso con lui una profonda amicizia, di carattere anche spirituale: “Se mi avesse insultato un nemico, l’avrei sopportato; se fosse insorto contro di me un avversario, da lui mi sarei nascosto. Ma sei tu, mio compagno, mio amico e confidente; ci legava una dolce amicizia, verso la casa di Dio camminavamo in festa” (vv 113-15).

Il salmista chiede a Dio di intervenire contro i malvagi, sì che non abbiano a prevalere: “Disperdili, Signore; piombi su di loro la morte, scendano vivi negli inferi. Tu, Dio, li sprofonderai nella tomba gli uomini sanguinari e fraudolenti” (vv 10. 16. 24). E insieme chiede aiuto al Signore: “Porgi l’orecchio, Dio, alla mia preghiera, non respingere la mia supplica; dammi ascolto e rispondimi” (v 2). Egli è sicuro che il Signore l’aiuterà: “Io invoco Dio e il Signore mi salva. Di sera, al mattino, a mezzogiorno mi lamento e sospiro ed egli ascolta la mia voce; mi salva, mi dà pace da coloro che mi combattono” (vv 17-19).

Quando si è nella sofferenza e ci si trova in situazioni difficili e dolorose, si vorrebbe evadere, si vorrebbe poter avere “ali come di colomba per volare via e trovare riposo”, e invece si

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è nella necessità di stare nella situazione in cui ci trova. Accettare la propria ‘incarnazione’ alle volte è duro e doloroso. Gesù accettò la propria ‘incarnazione’ procuratagli dagli uomini, segnata da menzogna, da ostilità e da violenza. Motivo di particolare dolore è quando ci si sente abbandonati, e magari traditi, da un amico intimo, da una persona con cui si è condiviso tanto e con cui si sono vissute esperienze profonde. Anche Gesù provò l’abbandono di molti e il tradimento di Giuda. In simili situazioni è necessario ricorrere a Dio, che può consolare, confortare e sostenere.

Salmo 56Il salmo 56 è un salmo di fiducia. Il salmista si trova in grave difficoltà: “L’uomo mi

calpesta, un aggressore sempre mi opprime. Mi calpestano sempre i miei nemici, sono molti quelli che mi combattono. Travisano sempre le mie parole, non pensano che a farmi del male; osservano i miei passi per attentare alla mia vita” (vv 2-3. 6-7). Il salmista ha paura, la paura è la reazione naturale e impossibile da evitare di fronte all’aggressione dei nemici: “Nell’ora della paura…” (v 4).

Ma il salmista ha fiducia: “Nell’ora della paura, io, o Dio, in te confido” (v 4). Nel salmo ricorre per due volte una specie di ritornello che esprime in modo forte la fiducia del salmista, la sua confidenza in Dio: “In Dio, di cui lodo la parola, in Dio confido, non avrò timore: che cosa può farmi un uomo?” (v 5); e “Lodo la parola di Dio, lodo la parola del Signore, in Dio confido, non avrò timore: che cosa può farmi un uomo?” (vv 11-12).

Due sono gli elementi significativi di questo ritornello: esso mette di fronte e in contrasto tra di loro ‘Dio’ e ‘l’uomo’. Dio protegge il salmista, allora che cosa potrà fargli un uomo? Dio è più forte dell’uomo. L’uomo non riuscirà a fare del vero male al salmista. L’uomo potrà colpire, ferire, addirittura uccidere il salmista, ma Dio è più forte dell’uomo, e saprà dare al salmista protezione e salvezza. Gesù dirà: “Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima. Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia. Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati; non abbiate dunque timore: voi valete più di molti passeri!” (Mt 10,28-30). Dio protegge il suo fedele.

Il secondo aspetto del ritornello è il riferimento alla parola di Dio. L’espressione: “lodo la parola di Dio” ritorna tre volte. La Parola di Dio è indicata come mezzo e strumento di fiducia nelle difficoltà e nelle avversità; il salmista si sente di doverla ‘lodare’. La Parola del Signore è aiuto, soccorso, consolazione, conforto, balsamo, refrigerio, medicina. Il libro della Sapienza, ricordando il cammino degli ebrei nel deserto morsi dai serpenti, dice: “Contro i tuoi figli neppure i denti di serpenti velenosi prevalsero, perché intervenne la tua misericordia a guarirli. Perché ricordassero le tue parole, feriti dai morsi, erano subito guariti. Non li guarì né un’erba né un emolliente, ma la tua parola, Signore, che tutto risana” (Sap 16,10-12), La parola di Dio risana dalla paura, dal dubbio, dallo scoraggiamento; infonde fiducia, forza e coraggio nelle difficoltà e nelle persecuzioni. La parola di Dio va lodata, ringraziata, cercata, meditata, ascoltata, vissuta.

Il salmo termina con la riconferma, da parte del salmista, di adempiere i voti fatti al Signore: “Su di me, o Dio, i voti che ti ho fatto” (v 13); con la promessa di offrirgli un sacrificio di ringraziamento per l’aiuto ricevuto: “Ti renderò azioni di grazie, perché mi hai liberato dalla morte, hai preservato i miei piedi dalla caduta” (vv 13-14); lieto di poter camminare alla presenza di Dio nella luce dei viventi.

Salmo 57

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Il salmo 57 è il ricorso a Dio in cerca di rifugio di un uomo sofferente. Egli dice di trovarsi come “in mezzo a leoni che divorano gli uomini” (v 5), di avere attorno a sé “una rete” tesagli dai suoi nemici per impigliarlo; di avere davanti a sé “una fossa” scavatagli per farvelo cadere dentro (v 7). La situazione del salmista è molto grave.

La sua supplica al Signore perché lo liberi e lo aiuti è intensa e forte: “Pietà di me, pietà di me, o Dio, in te mi rifugio; mi rifugio all’ombra delle tue ali finché sia passato il pericolo. Invocherò Dio, l’Altissimo, Dio che mi fa il bene” (v 2). Il cuore del salmista è fiducioso, si appoggia su Dio ed è saldo: “Saldo è il mio cuore, o Dio, saldo è il mio cuore” (v 8); e già il salmista promette a Dio di lodarlo e di ringraziarlo per il soccorso che da lui riceverà; “Ti loderò tra i popoli, Signore, a te canterò inni tra le genti; perché la tua bontà è grande fino ai cieli, e la tua fedeltà fino alle nubi” (vv 10-11).

Il salmista è un cantore ed anche un suonatore d’arpa e cetra, e con tali strumenti dice di voler inneggiare al Signore fin dal mattino, fin da prima dell’aurora: “Voglio cantare, a te voglio inneggiare: svegliati mio cuore, svegliati arpa e cetra, voglio svegliare l’aurora” (v 9).

Il salmo 57 è un salmo di fiducia, che incoraggia nelle difficoltà e sofferenze, invitando a ricorrere a Dio e a conservare un cuore sereno e confidente.

Salmo 58Il salmo 58 è una forte invettiva contro i potenti che opprimono i poveri e i deboli. Essi

dovrebbero agire secondo giustizia ed emettere giudizi retti, e invece “sono velenosi come serpenti” (v 4), “tramano iniquità e usano violenza” (v 3). Si ostinano nelle loro ingiustizie e non prestano orecchio a nessun richiamo e invito a conversione: “Sono come vipera sorda che si tura le orecchie per non udire la voce dell’incantatore, del mago che incanta abilmente” (vv 5-6). La richiesta del salmista a Dio perché li fermi e li punisca è fortissima: “Spezza loro, o Dio, i denti nella bocca; si dissolvano come acqua che si disperde, come erba calpestata inaridiscano; siano come aborto di donna che non vede il sole” (vv 7-9).

Il salmista resta fiducioso che Dio riporterà tutto a giustizia: “Gli uomini diranno: ‘C’è un premio per il giusto, c’è Dio che fa giustizia sulla terra!’ ” (v 12).

Il salmo lancia un severo esame di coscienza a coloro che detengono la forza e il potere nella società. Il libro della Sapienza dice: “Porgete l’orecchio, voi che dominate le moltitudini. La vostra sovranità proviene dal Signore, la vostra potenza dall’Altissimo il quale esaminerà le vostre opere. Un giudizio severo si compie contro coloro che stanno in alto; l’inferiore è meritevole di pietà, ma i potenti saranno esaminati con rigore” (Sap 6,2-3. 5-6).

Lasciando cadere le invettive contro i potenti ingiusti e malvagi (che sono proprie dell’Antico Testamento e non del Nuovo), il salmo può essere utilizzato come espressione del desiderio che nel mondo regni maggiormente la giustizia e l’equità, e che chi detiene ricchezza e potere sia aperto al servizio e all’aiuto dei poveri e dei deboli.

Salmo 59Il salmo 59 mette in campo una serie di persone che portano scompiglio e disturbo

all’interno di una città. Sono persone aggressive, che spargono sangue, che dicono menzogne, che offendono la gente. Il salmo li paragona a un branco di cani famelici che entrano in città alla sera ringhiando in cerca di cibo. Al tempo del salmista i cani non erano considerati animali domestici; vivevano allo stato selvaggio, all’aperto, e si presentavano alle case dell’uomo per placare la loro fame. Di giorno potevano non aver mangiato e, all’imbrunire, venivano in città alla ricerca di cibo:

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“Ritornano a sera e ringhiano come cani, si aggirano per la città vagando in cerca di cibo; latrano se non possono saziarsi” (vv 15-16; anche v 7)

Tali persone sono una minaccia per la buona e tranquilla convivenza all’interno della città; il salmista ne risente fortemente, tanto che chiede al Signore di liberarlo e difenderlo da esse: “Liberami dai nemici, mio Dio, proteggimi dagli aggressori. Liberami da chi fa il male, salvami da chi sparge sangue” (vv 2-3). Chiede al Signore di colpirli e di annientarli (v14); Dio può certo farlo, perché è infinitamente più forte di loro: “Tu, Signore, ti ridi di loro, ti burli di tutte le genti” (v 9). Al Signore il salmista promette gratitudine e riconoscenza: “Io canterò la tua potenza, esalterò la tua grazia perché sei stato mia difesa, mio rifugio nel giorno del pericolo. O mia forza, a te voglio cantare, poiché tu sei, o Dio, la mia difesa; tu, o mio Dio, sei la mia misericordia” (vv 17-18).

Il salmo può suggerire di chiedere al Signore di non permettere che la tranquilla convivenza della comunità civile venga turbata da persone che compiono il male e portano disturbo e sofferenza. Abbiamo bisogno di tempi sereni e pacifici. E, naturalmente, non essere noi tali persone.

Salmo 60Il salmo 60 prende lo spunto da una sconfitta militare subìta dal popolo di Israele: “Dio, tu

ci hai respinti, ci hai dispersi; ti sei sdegnato; ritorna a noi” (v 3). Tale sconfitta fu pesante e grave, paragonabile ad un terremoto che fa crollare tutto: “Hai scosso la terra, l’hai squarciata, risana le sue fratture, perché crolla” (v 4); paragonabile ad una bevanda drogata che, assunta, fa andare fuori di senno :”Hai inflitto al tuo popolo dure prove, ci hai fatto bere vino da vertigini” (v 5). Il salmista riconosce che, pur nella disfatta, il Signore si è preso cura del suo popolo: ad un certo punto della battaglia Dio gli ha lanciato un segnale perché si mettesse in salvo, fuggendo, dagli archi degli arcieri nemici: “Hai dato un segnale ai tuoi fedeli perché fuggissero lontano dagli archi” (v 6), e chiede a Dio liberazione dai nemici e salvezza: “I tuoi amici siano liberati, salvaci con la destra e a noi rispondi” (v 7).

Ai versetti 8-10 il salmista ricorda quanto fosse esteso e glorioso il regno di Israele in antico: comprendeva la zona di Sichem e la valle di Succot, al centro della Palestina; comprendeva la zona di Galaad e di Manasse sui due lati del Giordano; comprendeva il territorio della tribù di Efraim che era una specie di‘elmo’, una difesa, del territorio di Giuda, luogo della regalità e del comando; comprendeva la regione di Moab che, come un catino che serve a lavarsi le mani, doveva restare umilmente assoggettata; aveva “gettato i sandali”, cioè aveva conquistato l’Idumea, al sud di Israele; e aveva riportato vittoria sul territorio dei Filistei.

In raffronto con tale gloriosa situazione passata, la situazione attuale di Israele appare al salmista particolarmente disastrosa, fino a chiedersi: “Chi mi condurrà alla città fortificata, chi potrà guidarmi fino all’Idumea?” (v 11). Israele sente di non avere le forze, da solo, di rientrare in possesso dell’Idumea perduta e di riconquistare la città (la città di Petra). Solo Dio gli potrebbe rendere possibile tale impresa, quel Dio che nella recente guerra non lo ha sostenuto: “Non forse tu, o Dio, che ci hai respinti, e più non esci, o Dio, con le nostre schiere?” (v 12). Per cui il salmista chiede: “Salvaci con la destra, o Dio, e a noi rispondi, vieni in nostro aiuto perché vana è la salvezza dell’uomo” (vv 7. 13); e osa sperare in una futura grande rivincita e vittoria: “Con Dio noi faremo prodigi, egli calpesterà i nostri nemici” (v 14).

Il salmo può essere pregato da ogni anima che nel suo combattimento per il bene e per la fedeltà a Dio subisce scacchi e sconfitte. Un certo senso di smarrimento e di scoraggiamento può prendere il sopravvento al pensiero di essere decaduti da uno stato di virtù e di santità interiore, ma il salmo vuole sostenere la fiducia e la speranza: con Dio tutto può essere ripreso e riconquistato!

Salmo 61

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Il salmo 61 è la preghiera a Dio di un sacerdote o di un levita (v 5) che si trova lontano da Gerusalemme e dal tempio: “Dai confini della terra io ti invoco” (v 3), e che esprime la sua fiducia di poter tornare nella città santa e alla casa del Signore: “Dimorerò nella tua tenda per sempre, all’ombra delle tue ali troverò riparo” (v 5). La tenda del Signore è il tempio di Gerusalemme. Il salmista si sente venir meno: “Il mio cuore viene meno” (v 3), ma supera il suo stato d’animo con fede e fiducia nel Signore: “Tu sei per me rifugio, torre salda davanti all’avversario. Tu, Dio, hai ascoltato i miei voti, all’ombra delle tue ali troverò riparo” (vv 4. 6).

Oltre che per sé, egli rivolge a Dio una preghiera per il re. Per il re egli chiede un regno lungo e stabile; chiede che il re possa regnare custodito e aiutato da Dio: “Ai giorni del re aggiungi altri giorni, per molte generazioni siano i suoi anni. Regni per sempre sotto gli occhi di Dio; grazia e fedeltà lo custodiscano” (vv 7-8).

Il salmo si conclude con la promessa da parte del salmista di cantare per sempre lodi e ringraziamenti al Signore: “Canterò inni al tuo nome, sempre, sciogliendo i miei voti giorno per giorno” (v 9).

Il salmo può essere fatto proprio da qualsiasi uomo si trovi in sofferenza e in difficoltà, lontano dalle regioni della pace e della gioia. Può dare anche l’occasione per una preghiera per chi governa ed esercita il potere, perché possa farlo nella stabilità e “sotto gli occhi di Dio” (v 8), cioè con l’aiuto di Dio e in conformità con la legge di Dio.

Salmo 62Il salmo 62 è una professione di fiducia in Dio solo. Dio solo, alla fin fine, è affidabile e

luogo di sicura salvezza. Non lo sono gli uomini, non lo sono le ricchezze, non il farsi forti con la violenza. Il salmista è circondato da gente che gli vuole male e che tenda di abbatterlo e gettarlo a terra. Egli si sente come un muro che i nemici cercano di far crollare; si percepisce come una persona che è in pericolo di essere gettata in un burrone: “Fino a quando vi scaglierete contro un muro per abbatterlo tutti insieme, come muro cadente, come recinto che crolla? Tramano solo di precipitarmi dall’alto” (vv 4-5).

La salvezza -dice il salmista- non viene dagli uomini; gli uomini sono deboli e fragili. E’ errore, sbaglio, menzogna pensare che gli uomini possano dare salvezza: essi sono solo soffio, vapore, inconsistenza: “Sono un soffio i figli di Adamo, una menzogna tutti gli uomini; insieme, sulla bilancia, sono meno di un soffio” (v 10). La salvezza non viene neppure dall’uso della violenz, dalle ricchezze, dal ricorso alla rapina, cioè dal cercare salvezza con mezzi umani anche i più spregiudicati: “Non confidate nella violenza, non illudetevi della rapina; alla ricchezza, anche se abbonda, non attaccate il cuore” (v 11).

La salvezza viene unicamente dal Signore. Questo dato è fortemente affermato nel salmo. In apertura di salmo è detto: “Solo in Dio riposa l’anima mia; da lui la mia salvezza” (v 2), e al v 6 è ripetuto: “Solo in Dio riposa l’anima mia; da lui la mia speranza”. Ma poi: “Lui solo è mia rupe e mia salvezza, mia roccia di difesa: non potrò vacillare. In Dio è la mia salvezza e la mia gloria; il mio saldo rifugio, la mia difesa è in Dio. Confida sempre in lui, o popolo, davanti a lui effondi il tuo cuore; nostro rifugio è Dio” (vv 7-9).

Il salmo termina con due verità che il salmista dice di aver ricevuto in rivelazione da Dio: Dio è forte, potente; Dio retribuisce l’uomo secondo le sue opere (vv 12-13).

Il salmo è un vibrante invito a porre in Dio la propria fiducia e speranza. In Dio più che in ogni altra realtà umana e materiale. Tutti e tutto può venire meno, ma Dio non verrà mai meno. Egli è salvezza sicura.

Salmo 63

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Il salmo 63 è un salmo di profonda intimità tra l’uomo e Dio. Se il salmo 61 veniva pronunciato “dai confini della terra” e col desiderio di “dimorare nella tenda del Signore”, l’orante di questo salmo si trova nel tempio come a casa sua. Se nel salmo 62 si cercava in Dio il proprio punto d’appoggio, nel presente salmo si sente la mano di Dio che è presente e che nutre. Il salmo 62 parlava di Dio in terza persona e, solo nel finale, in una virata inattesa, l’orante si rivolgeva al Signore in seconda persona, nel nostro salmo sono frequenti e dominano i pronomi e gli aggettivi di prima e di seconda persona: io-tu, mio-tuo, ad esprimere e sottolineare il rapporto profondo ed intimo tra Dio e il salmista. Nei soli undici versetti che compongono il salmo sono ben quindici i pronomi e gli aggettivi di seconda persona (che si riferiscono a Dio) e quattordici i pronomi e gli aggettivi di prima persona (che si riferiscono al salmista). Dio e il salmista sono in profonda relazione e vivono uno stretto rapporto tra di loro.

Il salmista è un uomo assetato di Dio, tutta la sua persona anela a Dio, anima e corpo: “Di te ha sete l’anima mia, a te anela la mia carne, come terra deserta, arida, senz’acqua” (v 2). Il salmista pensa a Dio appena sveglio al mattino; il suo primo pensiero, appena desto, è per Dio; Dio è il suo grande amore: “Dio, tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco” (v 2).

Durante la giornata egli è solito cercare Dio al tempio, passare del tempo al tempio in contemplazione e in lode al Signore: “Così nel santuario ti ho cercato, per contemplare la tua potenza e la tua gloria; le mie labbra diranno la tua lode” (vv 3-4). Per il salmista il sapersi amato da Dio è più prezioso della vita stessa; senza quell’amore egli non potrebbe vivere: “La tua grazia (l’ebraico dice ‘il tuo amore’) vale più della vita” (v 4). L’esperienza di Dio è motivo di lode a Dio, di glorificazione e di preghiera continua per il salmista, tutti i giorni della sua vita: “Ti benedirò finché io viva, nel tuo nome alzerò le mie mani” (v 5). Egli al tempio prende parte anche ai sacrifici rituali e al pasto sacro che ne segue: “Mi sazierò come a lauto convito, e con voci di gioia ti loderà la mia bocca” (v 6).

E poi quando la sera egli si corica e durante la notte si sveglia, o fatica a dormire, il suo pensiero corre ancora al Signore con gioia e con riconoscenza per i benefici ricevuti: “Quando nel mio giaciglio di te mi ricordo e penso a te nelle veglie notturne, a te che sei stato il mio aiuto, esulto di gioia all’ombra delle tue ali” (vv 7-8). Il salmista è un uomo tutto preso dal Signore; egli è come ‘incollato’ al Signore: “A te si stringe l’anima mia”, egli dice di sè (v 9) . Il verbo che il testo ebraico usa per dire ‘si stringe’ è il verbo ‘davaq’, che indica adesione profonda, intima, strettissima; in Gn 2,24 viene usato per esprimere l’unione sponsale tra l’uomo e la donna. Da tale unione profonda con Dio il salmista riceve forza e sostegno: “La forza della tua destra mi sostiene” (v 9).

I versetti 10 e 11 introducono un orizzonte del tutto nuovo, comprensibile per contrasto: quanto l’uomo che ama il Signore e aderisce a lui è nella salvezza e nella gioia, tanto l’empio si trova in una situazione di rovina e di morte. Infine il v 12, che introduce la figura del re, può essere considerato una invocazione a Dio a favore del re di Israele, come spesso avviene nei salmi.

Il salmo 63 è il salmo appropriato per l’anima infiammata d’amore a Dio, desiderosa di aderire a lui pienamente e di trascorrere i unione con lui la propria vita.

Salmo 64Il salmo 64 è l’invocazione a Dio di un uomo che è fatto bersaglio di una congiura di cattivi

che lo vogliono colpire (vv 2-3). Alle trame dei cattivi (vv 4-7) Dio risponde con le stesse loro armi (vv 8-9) e li ferma. Il senso del salmo è che i malvagi devono fare i conti con Dio, senza prospettiva di successo e di vittoria. “Il giusto invece gioirà nel Signore e riporrà in lui la sua speranza” (v 11).

Salmo 65

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Il salmo 65 è un salmo di lode a Dio considerato in tre suoi aspetti. Nei vv 2-5 Dio è considerato come abitante del tempio di Gerusalemme. Nel tempio di Gerusalemme Dio dimora; dal tempio di Gerusalemme egli ascolta la preghiera dei fedeli; i peccati del popolo tenderebbero a separare il popolo da Dio, ma Dio perdona i peccati del popolo e unisce il popolo a sé; lo avvicina a sé, lo fa abitare nel suo tempio, lo sazia dei suoi beni.

Nei vv 6-9 Dio è considerato come il Signore che con la sua potenza regge l’universo: “Tu rendi saldi i monti con la tua potenza. Tu fai tacere il fragore del mare, il fragore dei suoi flutti; tu plachi il tumulto dei popoli”. Gli uomini restano stupiti e meravigliati di fronte alla potenza di Dio.

Nei vv 10-14 Dio è presentato come colui che ha cura della terra e la riveste sempre di bellezza nuova, rendendola fertile e feconda: “Tu visiti la terra e la disseti: la ricolmi delle sue ricchezze. Prepari la terra: ne irrighi i solchi, ne spiani le zolle, la bagni con le piogge e benedici i suoi germogli. Tu fai crescere il frumento per gli uomini. I prati si coprono di greggi, le valli si ammantano di grano; tutto canta e grida di gioia”.

Il salmo si propone come lode intensa al Signore per il dono della sua presenza nelle nostre chiese. Nelle nostre chiese abita davvero il Signore, con una presenza ben più forte di quanto non fosse presente nel tempio di Gerusalemme. Nell’Eucaristia delle nostre chiese il Signore è presente di persona, in corpo, sangue, anima e divinità. Nelle nostre chiese noi lo possiamo incontrare e pregare, ed egli ci ascolta. Nelle nostre chiese noi possiamo accostarci al sacramento della Confessione e ricevere il perdono dei peccati; veniamo colmati di doni straordinari: la sua parola, e lui stesso nell’Eucaristia.

Il salmo si propone come lode al Signore per la sua grande potenza con cui regge l’universo, e per la sua generosità con cui provvede alla terra. La terra a primavera si riveste di vegetazione, di erbe, di fiori di messi che lasciano l’uomo incantato. Davvero l’uomo deve lodare il Signore!

Salmo 66Il salmo 66 è un grande ringraziamento pubblico reso a Dio per i suoi interventi di

liberazione e di salvezza operati lungo la storia di Israele. Il salmo inizia con un solenne invito a lodare il Signore: “Acclamate a Dio da tutta la terra, cantate alla gloria del suo nome, date a lui splendida lode. Dite a Dio: Stupende sono le tue opere!” (vv 1-3). Tutti devono lodare il Signore per quanto egli ha fatto!

Vengono poi richiamate due grandi opere di salvezza operate da Dio: il passaggio del Mare dei giunchi all’uscita dall’Egitto e il passaggio del fiume Giordano all’ingresso nella Terra promessa: “Egli cambiò il mare in terra ferma, passarono a piedi il fiume” (v 6).

Si torna ad invitare a lodare il Signore: “Benedite, popoli, il nostro Do, fate risuonare la sua lode; è lui che salvò la nostra vita e non lasciò vacillare i nostri passi” (vv 8-9).

E si richiamano altri interventi di salvezza operati dal Signore: “Dio, tu ci hai messi alla prova; ci hai passati al crogiuolo come l’argento. Ci hai fatto cadere in un agguato, hai messo un peso ai nostri fianchi. Hai fatto cavalcare uomini sulle nostre teste; ci hai fatti passare per il fuoco e l’acqua, ma poi ci hai dato sollievo” (vv10-12). Questi versetti possono riferirsi a vari momenti difficili e dolorosi della storia del popolo di Israele, come la caduta del regno del Nord ad opera degli Assiri (721 a.C.), l’invasione del regno di Giuda ad opera del re assiro Sennacherib (701 a.C.), la duplice caduta di Gerusalemme e la duplice deportazione a Babilonia ad opera del re Nabuccodonosor (597, 587 a.C.), eventi dai quali il Signore liberò e riscattò il suo popolo.

Dal versetto 13 fino al termine del salmo si fa avanti un singolo orante, che può essere pensato come un sacerdote, e che a nome di tutta l’assemblea raccolta in preghiera, loda il Signore nel tempio di Gerusalemme e offre sacrifici di ringraziamento: “Entrerò nella tua casa con olocausti, a te scioglierò i miei voti, i voti pronunziati dalle mie labbra, promessi nel momento

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dell’angoscia. Ti offrirò pingui olocausti con fragranza di montoni, immolerò a te buoi e capri. Venite, ascoltate, voi tutti che temete Dio, e narrerò quanto per me ha fatto. Sia benedetto Dio che non ha respinto la mia preghiera, non mi ha negato la sua misericordia” (vv 13-20).

Il salmo è l’invito a conservare un animo riconoscente verso Dio per tutti i benefici da lui ricevuti. Innumerevoli sono nella vita di ciascuno di noi gli interventi di salvezza che egli ha operato: alcuni grandi e vistosi; altri di minori proporzioni e comuni, ma non meno importanti e preziosi; chissà quanti rimasti nascosti e da noi neppure riconosciuti… Dobbiamo molto molto lodare e ringraziare!

Salmo 67Il salmo 67 è un salmo composto per la festa autunnale che chiudeva il tempo del raccolto.

Lo si deduce dal v 7 che dice: “La terra ha dato il suo frutto”. E’ l’esultanza del popolo per la stagione favorevole che ha assicurato, ancora una volta, il sostentamento per la vita. Dio, generoso nel concedere i frutti della terra, merita di essere sommamente lodato: “Ti lodino i popoli, o Dio, ti lodino i popoli tutti” . Il ritornello ricorre due volte (vv 4. 6). Il riferimento a Dio richiama al salmista la dignità di Dio giudice e reggitore del mondo: “Tu giudichi i popoli con giustizia, e governi le nazioni sulla terra” (v 5).

Ma la lode e il ringraziamento a Dio per i frutti della terra si fanno insieme richiesta e domanda; il salmista è consapevole della povertà e dello stato di bisogno dell’uomo; l’uomo è un povero che ha bisogno di tutto da Dio. Ecco allora che la lode e il ringraziamento diventano anche supplica: “Dio abbia pietà di noi e ci benedica, su di noi faccia splendere il suo volto. Ci benedica Dio, il nostro Dio, ci benedica Dio e lo temano tutti i confini della terra” (vv 2. 7-8). L’uomo ha bisogno della benedizione di Dio, una benedizione che gli assicuri tutto quanto gli è necessario per vivere.

Il salmo invita a non dimenticare di lodare e ringraziare il Signore per quanto la terra produce. E’ vero che l’uomo deve lavorare la terra, ma il lavoro della terra da parte dell’uomo da solo non produce i frutti. La terra ha dentro di sé una fertilità propria, che il Signore le ha immesso a nostro favore e a nostro beneficio. Nel tempo passato si facevano le ‘Rogazioni’, preghiere e celebrazioni in cui si domandavano a Dio stagioni favorevoli, la sua benedizione sui campi e sulle coltivazioni, la protezione dalla grandine e dalle malattie delle piante. Esse tenevano viva la consapevolezza che i frutti della terra sono dono di Dio, doni da invocare e di cui essere grati. Ora le ‘Rogazioni’sono andate molto in disuso, ma non deve cadere in disuso il valore e il messaggio che esse contenevano. Dobbiamo rimanere grati al Signore per i frutti della terra!

Salmo 68Il salmo 68 è un canto di vittoria e una processione trionfale di Dio verso Gerusalemme e

verso il suo tempio. Dio è il vittorioso sopra tutti i nemici: “Sorga Dio, i suoi nemici si disperdano e fuggano davanti a lui quelli che lo odiano. Come si disperde il fumo, tu li disperdi; come fonde la cera davanti al fuoco periscano gli empi davanti a Dio” (vv 2-3).

L’avanzata trionfale di Dio inizia con la liberazione di Israele dall’Egitto e col cammino del popolo lungo il deserto; durante quel cammino Dio fece scendere dal cielo la manna e le quaglie, fece tremare il monte Sinai nel dare la legge a Mosè: “Dio, quando uscivi(dall’Egitto) davanti al tuo popolo, quando camminavi per il deserto, la terra (al Sinai) tremò, stillarono i cieli davanti al Dio del Sinai (la manna, le quaglie), davanti a Dio, il Dio di Israele” (vv 8-9). L’avanzata trionfale di Dio continuò con l’ingresso di Israele nella Terra promessa: Dio gli assicurò il possesso della terra e la

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pioggia necessaria per la fecondità dei campi: “Pioggia abbondante riversavi, o Dio, rinvigorivi la tua eredità esausta. E il tuo popolo abitò il paese che nel tuo amore, o Dio, preparasti al misero” (vv 10-11).

Nella Terra promessa Israele ebbe a combattere molte guerre, ma tutte vittoriose. Il Signore era alla testa del popolo e le messaggere portarono qua e là l’annuncio delle vittorie ottenute, i nemici fuggirono, il popolo potè darsi al saccheggio, le insegne di Israele brillarono vittoriose; si verificò anche una nevicata: “Il Signore annunzia una notizia, le messaggere di vittoria sono grande schiera. Fuggono i re, fuggono gli eserciti(dei nemici), anche le donne si dividono il bottino; splendono d’argento le ali della colomba, le sue piume di riflessi d’oro ( le insegne da guerra di Israele). Quando disperdeva i re (nemici) l’Onnipotente, nevicava sullo Zalmon” (vv 12-15).

La regione di Basan era una regione caratterizzata da un grande altopiano (nel salmo è ricordata come regione montuosa: “Monte di Dio, il monte di Basan, monte dalle alte cime il monte di Basan” (v 16); l’ebraico non aveva un termine per dire ‘altopiano’; usa il termine ‘monte’). Tale regione, florida e ricca di pascoli, poteva sperare che Dio avrebbe deciso di stabilirsi in essa, invece Dio scelse il monte Sion in Gerusalemme: “Perché invidiate, o monti dalle alte cime (è la regione di Basan), il monte che Dio ha scelto per sua dimora (il monte Sion)? Il Signore lo abiterà per sempre. I carri di Dio sono migliaia e migliaia: il Signore viene dal Sinai nel suo santuario” , il tempio di Gerusalemme (vv 17-18).

Ai vv 25-28 l’avanzata trionfale di Dio si trasforma in una processione liturgica, caratterizzata da canti, dal suono di strumenti musicali, da osanna della gente che inneggia e benedice il Signore. A tale processione, che arriva al tempio di Gerusalemme, partecipano alcune tribù di Israele, la tribù di Beniamino, di Giuda, di Zàbulon e di Nèftali: “Appare il tuo corteo, Dio, il corteo del mio Dio, del mio re, nel santuario. Precedono i cantori, seguono ultimi i citaredi, in mezzo le fanciulle che battono cembali. Benedite Dio nelle vostre assemblee, benedite il Signore, voi della stirpe di Israele. Ecco Beniamino, il più giovane, guida i capi di Giuda nelle loro schiere, i capi di Zàbulon, i capi di Nèftali”.

A Dio, insediatosi nel tempio di Gerusalemme, affluiranno i re della terra portando doni. Si prostrerà a lui l’Egitto, chiamato ‘la belva dei canneti’ a ricordo del ‘mare dei giunchi’ presso il quale gli Egiziani tentarono di bloccare gli ebrei in fuga; e si prostrerà a Dio l’Etiopia: “Per il tuo tempio , in Gerusalemme, a te i re porteranno doni. Minaccia la belva dei canneti, il branco dei tori con i vitelli dei popoli: si prostrino portando verghe d’argento. Verranno i grandi dall’Egitto, l’Etiopia tenderà le mani a Dio” (vv 30-32).

Gli ultimi versetti sono un invito pressante rivolto a tutti i popoli a cantare a Dio, a riconoscere la sua maestà e la sua potenza. Egli è ‘il terribile’, che dà forza e vigore al suo popolo Israele: “Regni della terra, cantate a Dio, cantate inni al Signore; egli nei cieli cavalca, nei cieli eterni, ecco tuona con voce potente. Riconoscete a Dio la sua potenza, la sua maestà su Israele, la sua potenza sopra le nubi. Terribile sei, Dio, dal tuo santuario; il Dio di Israele dà forza e vigore al suo popolo, sia benedetto Dio” (vv 33-36).

Il salmo è un’esaltazione di Dio che ha liberato il suo popolo Israele dalla schiavitù dell’Egitto e lo ha guidato nella storia mettendosi alla sua testa, fino fargli il dono di avere all’interno di sè la sua presenza, nel tempio di Gerusalemme. Possiamo applicare a noi e alla nostra vita: il Signore ci ha liberati dall’ ‘Egitto’ del peccato, ci ha condotti lungo il cammino con la sua forza e con la sua provvidenza; ha fissato la sua dimora tra di noi nell’Eucaristia presente nelle nostre chiese e con lo Spirito Santo presente nella nostra anima. A lui il nostro canto di lode, il nostro riconoscimento della sua maestà, della sua potenza e del suo amore.

Salmo 69

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Il salmo 69 è un’ardente supplica a Dio di un uomo gravemente minacciato e in difficoltà. Egli si sente come immerso in acque profonde, con i piedi che affondano nel fango e non gli danno sostegno; si sente travolto da un’onda che minaccia di sovrastare il suo capo e farlo affogare: “Salvami, o Dio, l’acqua mi giunge alla gola. Affondo nel fango e non ho sostegno; sono caduto in acque profonde e l’onda mi travolge” (vv 2-3). “Salvami dal fango che io non affondi, liberami dai miei nemici, dalle acque profonde. Non mi sommergano i flutti delle acque e il vortice non mi travolga, l’abisso non chiuda su di me la sua bocca” (vv 15-16).

Il salmista è un uomo giusto; riconosce di avere delle colpe, ma il suo desiderio è quello di non essere motivo di inciampo e di scandalo per alcuno: “Dio, tu conosci la mia stoltezza e le mie colpe non ti sono nascoste. Chi spera in te, a causa mia, non sia confuso, Signore, Dio degli eserciti; per me non si vergogni chi ti cerca, Dio di Israele” (vv 6-7).

Quest’uomo è circondato da persone che lo insultano e lo dileggiano, lo scherniscono e lo emarginano per la sua fede, per la sua fedeltà al Signore, per l’amore che egli porta alle cose di Dio, per i digiuni e le penitenze cui si sottopone: “Per te (a causa tua, o Dio) io sopporto l’insulto, e la vergogna mi copre la faccia; sono un estraneo per i miei fratelli, un forestiero per i figli di mia madre (gli stessi suoi familiari). Poiché mi divora lo zelo per la tua casa (il tempio), ricadono su di me gli oltraggi di chi mi insulta. Mi sono estenuato nel digiuno ed è stata per me un’infamia. Ho indossato come vestito un sacco e sono diventato il loro scherno. Sparlavano di me quanti sedevano alla porta (della città), gli ubriachi mi dileggiavano” (vv 8-13).

Il salmista non ha che il Signore a cui ricorrere, perché nessuno lo aiuta: “Ho atteso compassione ma invano, consolatori ma non ne ho trovati” (v 21); per cui egli si rivolge a Dio e chiede aiuto: “Io innalzo a te la mia preghiera, Signore, nel tempo della benevolenza. Rispondimi, Signore, benefica è la tua grazia; vòlgiti a me nella tua grande tenerezza. Non nascondere il volto al tuo servo, sono in pericolo; presto, rispondimi. Avvicinati a me, riscattami, salvami dai miei nemici” (vv 14. 17-18).

Non manca anche in questo salmo la richiesta del salmista che Dio fermi e punisca i suoi persecutori e lo liberi dalla sofferenza: “Si offuschino i loro occhi, non vedano; sfibra per sempre i loro fianchi. Riversa su di loro il tuo sdegno, li raggiunga la tua ira ardente. La loro casa sia desolata, senza abitanti la loro tenda. Imputa loro colpa su colpa e non ottengano la tua giustizia. Siano cancellati dal libro dei viventi e tra i giusti non siano i scritti” (vv 24-29).

E il salmo si conclude con la promessa del salmista di lodare il Signore per la salvezza che il Signore gli darà: “Loderò il nome di Dio con il canto, lo esalterò con azioni di grazie” (v 31). Il salmista conserva in cuore una sicura speranza: Dio gli verrà in aiuto: “Si ravvivi il cuore di chi cerca Dio, poichè il Signore ascolta i poveri, e non disprezza i suoi che sono prigionieri. A lui acclamino i cieli e la terra, i mari e quanto in essi si muove. Poiché Dio salverà Sion, ricostruirà le città di Giuda” (vv 33-36).

Il salmo si applica bene a chi è fedele al Signore e che per la sua fedeltà al Signore viene perseguitato, e magari addirittura emarginato all’interno della propria stessa famiglia. Anche in queste situazioni il salmo invita a confidare nel Signore e a ricorrere a lui, conservando la speranza nel suo aiuto e nel suo benevolo intervento. Evidentemente, da cristiani, non chiederemo a Dio di punire chi ci facesse soffrire, ma sull’esempio di Gesù e obbedienti al suo insegnamento, pregheremo per chi ci fosse causa di dolore.

Salmo 70Il salmo 70 è la supplica accorata di un uomo in difficoltà, fatto oggetto di persecuzione da

parte di gente cattiva. Due parole possono sintetizzare la sostanza del salmo: ‘soccorso’ e ‘presto’. Il salmista chiede soccorso a Dio e chiede che tale soccorso il Signore glielo conceda presto, perché ne ha urgente bisogno: “Vieni a salvarmi, o Dio, vieni presto in mio aiuto” (v 2); “Io sono povero e infelice, vieni presto, mio Dio; tu sei mio aiuto e mio salvatore; Signore non tardare” (v 6).

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Il salmo si ritrova quasi alla lettera nei versetti 14-18 del salmo 40. Può essere pregato da chi si trova nella sofferenza e nella difficoltà e sente forte il bisogno di esserne al più presto liberato.

Salmo 71

Il salmo 71 è il salmo di un uomo anziano che soffre per le sofferenze inflittegli da gente nemica: “Contro di me parlano i miei nemici, coloro che mi spiano congiurano insieme, dicono: ‘Dio lo ha abbandonato, inseguitelo, prendetelo, perché non ha chi lo liberi’ ” (vv 10-11). Il salmista è avanti negli anni, e con la memoria rivà alla vita passata; proclama d’aver avuto sempre speranza e fiducia in Dio lungo il suo cammino, fin dalla giovinezza: “Sei tu, Signore, la mia speranza, la mia fiducia fin dalla mia giovinezza” (v 5); e riconosce che il Signore fu il suo sostegno sempre, già fin dal momento della nascita: “Su di te mi appoggiai fin dal grembo materno, dal seno di mia madre tu sei il mio sostegno” (v 6). Non gli sono mancate le prove e le difficoltà: “Mi hai fatto provare molte angosce e sventure” (v 20), ma con l’aiuto del Signore egli le ha sempre sapute affrontare e superare, tanto da far stupire la gente: “Sono apparso a molti quasi un prodigio: eri tu il mio rifugio sicuro” (v 7).

Ora è vecchio e ha ancora bisogno dell’aiuto di Dio, anzi ne ha più bisogno di sempre: “E ora nella vecchiaia e nella canizie, Dio, non abbandonarmi. Non respingermi nel tempo della vecchiaia, non abbandonarmi quando declinano le mie forze” (vv 18. 9). Chiede al Signore di stargli vicino e di sostenerlo: “In te mi rifugio, Signore, ch’io non resti confuso in eterno. Sii per me rupe di difesa, baluardo inaccessibile, poiché tu sei mio rifugio e mia fortezza”. O Dio, non stare lontano: Dio mio, vieni presto ad aiutarmi” (vv 1-3. 12).

Nonostante l’età avanzata, egli sente di avere ancora un compito da svolgere, quello di narrare ai posteri quanto il Signore lo abbia sostenuto nella vita e quanto la potenza di Dio sia stata grande: “Dio, non abbandonarmi, finché io annunzi la tua potenza, racconti a tutte le generazioni le tue meraviglie. La tua giustizia, Dio, è alta come il cielo, tu hai fatto cose grandi. La mia bocca annunzierà la tua giustizia, proclamerà sempre la tua salvezza, che non so misurare” (vv 18-19. 15).

Nel cuore del salmista c’è un’immensa riconoscenza che lo spinge a lodare e a ringraziare il Signore per quanto nella vita il Signore gli ha concesso e per l’aiuto che il Signore ancora gli darà: “Della tua lode è piena la mia bocca, della tua gloria, tutto il giorno. Ti renderò grazie sull’arpa, per la tua fedeltà, o Dio; ti canterò sulla cetra, o Santo di Israele. Cantando le tue lodi esulteranno le mie labbra, anche la mia lingua tutto il giorno proclamerà la tua giustizia” (vv 8. 22-24).

Il salmo si addice a chi sta vivendo la stagione della vecchiaia, stagione che ha le sue difficoltà fisiche, morali, spirituali; stagione che permette di rileggere la propria vita passata alla luce di tanti interventi buoni di Dio; stagione che si colora di gratitudine e di riconoscenza al Signore, in un orizzonte sereno; e che può diventare catechesi per le giovani generazioni.

Salmo 72Il salmo 72 è un poema composto per un re di Israele, probabilmente in occasione della sua

incoronazione. Si apre con la preghiera a Dio che conceda al re il suo stesso diritto e la sua stessa giustizia, così che il re possa governare i sudditi secondo diritto e giustizia: “O Dio, affida al re il tuo diritto, al figlio del re la tua giustizia” (v 1).

Il salmo indica il modo con cui il re dovrà regnare: dovrà avere cura del debole, del povero, dell’indigente, dovrà assicurare la giustizia sociale: “Egli giudichi il tuo popolo, o Dio, secondo

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giustizia e i tuoi poveri secondo diritto. Ai poveri del popolo renda giustizia, salvi i figli del misero e abbatta l’oppressore. Abbia pietà del debole e del misero e salvi la vita dei miseri. Li riscatti dalla violenza e dal sopruso, sia prezioso ai suoi occhi il loro sangue” (vv 2. 4. 13-14). Il governo del re dovrà essere benefico “come la pioggia sull’erba, e come l’acqua che irrora la terra” (v 6).

Si augura che il regno duri a lungo, per sempre: “Lo faccia durare quanto il sole, come la luna, di generazione in generazione” (v 5), e che abbia una vasta estensione: “Dòmini da mare a mare, dal fiume fino ai confini della terra” (v 8). Si augura che i popoli vicini si sottomettano al re di Israele e riconoscano la sua supremazia: “A lui si pieghino le tribù del deserto, mordano la polvere i suoi nemici. I re di Tarsis e delle isole portino tributi, i re di Saba e di Seba offrano doni. Tutti i re si prostrino a lui, lo servano tutte le genti” (vv 9-11). Si augura che il re sia sorgente di benedizione per tutte le nazioni della terra: “In lui siano benedette tutte le stirpi della terra e tutte le genti lo dicano beato” (v 17).

Il buon governo del re produrrà pace e prosperità, benessere anche materiale: “Le montagne portino pace al popolo e le colline giustizia. Abbondi il frumento nel paese, ondeggi sulle cime dei monti; il suo frutto fiorisca come il Libano, la sua messe come l’erba dei campi” (vv 3. 16).

Il salmo termina con una lode rivolta a Dio: “Benedetto il Signore, Dio di Israele: egli solo compie meraviglie. E benedetto il suo nome glorioso per sempre: della sua gloria sia piena tutta la terra” (vv 18-19).

Applicate al re di Israele le espressioni del salmo suonano ampiamente esagerate. Il salmo però fu fin dall’antichità interpretato dall’esegesi ebraica come riferentesi al Messia, e dall’esegesi cristiana come riferentesi a Cristo; e riferito al Messia, a Cristo, il salmo conserva tutto il suo valore reale. Veramente Cristo è il re del mondo che regna con giustizia ed equità, che si prende cura del povero e del debole; che regna su tutta la terra ed ha un regno che dura in eterno. La sua regalità è fonte di pace e di benessere per l’umanità; è sorgente di benedizione per tutti i popoli della terra.All’uomo spetta accogliere su di sé la regalità di Cristo e non opporvisi con atteggiamento e volontà ribelle.

Salmo 73

Il salmo 73 è un salmo ‘sapienziale’, è la riflessione di un sapiente ebreo circa un problema di grande importanza: il problema della retribuzione. La ragione ci dice che chi fa il bene dovrebbe averne del bene, e chi fa il male dovrebbe averne del male, ma non è sempre così. L’esperienza mostra che spesso il giusto soffre e il malvagio gode. Questo problema era particolarmente sentito in Israele nei secoli in cui vigeva l’idea della sola retribuzione terrena, quando non si aveva ancora l’idea di una retribuzione nell’aldilà che facesse vera ‘giustizia’.

Di fronte alla situazione del giusto che soffre e del malvagio che gode il salmista si mostra, in un primo momento, profondamente turbato: “Per poco non inciampavano i miei piedi, per un nulla vacillavano i miei passi, perché ho invidiato i prepotenti, vedendo la prosperità dei malvagi” (vv 2-3).

Il salmista, vedendo la prosperità dei malvagi, si è sentito tentato di invidiarli e di desiderare di comportarsi come loro. La condizione dei prepotenti, di chi possiede forza e potere, di chi può imporsi sugli altri e concedersi tutto ciò che piace e soddisfa ogni desiderio, esercita fascino e richiamo: “Non c’è sofferenza per essi, sano e pasciuto è il loro corpo. Non conoscono l’affanno dei mortali, e non sono colpiti come gli altri uomini. Dell’orgoglio si fanno una collana, e la violenza è il loro vestito. Esce l’iniquità dal loro grasso, dal loro cuore traboccano pensieri malvagi. Scherniscono e parlano con malizia, minacciano dall’alto con prepotenza. Levano la loro bocca fino al cielo e la loro lingua percorre la terra. Perciò seggono in alto, non li raggiunge la piena delle acque. Dicono: ‘Come può saperlo Dio? C’è forse conoscenza nell’Altissimo?’ Ecco,

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questi sono gli empi: sempre tranquilli, ammassano ricchezze” (vv 4-12). Di fronte a una situazione di tal genere, il salmista confessa d’aver provato un sentimento d’invidia e il desiderio di poter vivere a quel modo.

Anche perché -e ciò gli fa ancora più problema- il suo essere vissuto bene non lo ha affatto messo al riparo da sofferenze e dolori: “Invano dunque ho conservato puro il mio cuore e ho lavato nell’innocenza le mie mani, poiché sono colpito tutto il giorno, e la mia pena si rinnova ogni mattina” (vv 13-14). Dalla sua vita buona il salmista si sarebbe atteso prosperità e benessere, e invece… D’altra parte, però, la sua coscienza subito si muove e interviene, gli impedisce di desiderare una vita come quella dei malvagi: “Se avessi detto:‘Parlerò come loro’, avrei tradito la generazione dei tuoi figli” (v 15). Il salmista sente che vivere alla stregua dei malvagi lo allontanerebbe dalla comunione con i buoni, lo taglierebbe fuori dalla comunità dei fedeli al Signore.

Ed allora egli si macera col suo dubbio e col suo problema: perché i malvagi godono e i giusti soffrono?: “Riflettevo per comprendere, ma fu arduo agli occhi miei” (v 16). Tuttavia una piccola luce e un inizio di risposta gli viene dall’entrare nell’orizzonte dei disegni di Dio: Dio non può dare consistenza duratura allo stile di vita dei malvagi, non può assicurare loro un futuro eterno; la sorte dei malvagi sarà la rovina: “Riflettevo per comprendere e fu arduo agli occhi miei, finché non entrai nel santuario di Dio e compresi qual è la loro fine” (vv 16-17). La fine dei malvagi è la rovina: “Ecco, li poni in luoghi scivolosi, li fai precipitare in rovina. Come sono distrutti in un istante, sono finiti, periscono di spavento! Come un sogno al risveglio, Signore, quando sorgi, fai svanire la loro immagine” (vv 18-20). Il salmista riconosce che fino a quando invidiava la vita dei malvagi, egli era profondamente ottenebrato nel suo pensiero, assomigliava ad un animale che non ragiona: “Quando si agitava il mio cuore e nell’intimo mi tormentavo, io ero stolto e non capivo, davanti a te stavo come una bestia” (vv 21-22).

Ma ecco che il salmista riesce a trovare la risposta vera, bella e grande al suo problema: la gioia, il bene, la riuscita, la salvezza non stanno nel condurre una vita cattiva sia pure esente da sofferenze e dolori, ma stanno nello ‘stare con il Signore’, nel vivere la comunione con lui, nel godere della sua amicizia e della sua presenza: “Io sono con te sempre: tu mi hai preso per la mano destra. Mi guiderai con il tuo consiglio e poi mi accoglierai nella tua gloria. Chi altri avrò per me in cielo? Fuori di te nulla bramo sulla terra. E’ Dio la mia sorte per sempre. Il mio bene è stare vicino a Dio: nel Signore Dio ho posto il mio rifugio, per narrare tutte le tue opere presso le porte della città di Sion” (vv 23-28).

Il salmo invita a perseverare in un cammino di vita buona fedele al Signore, anche se dovesse essere segnata da prove, difficoltà e sofferenze. Il vero bene non sta in una vita senza sofferenze, ma in una vita di comunione con Dio. Una vita vissuta lontano da Dio e immersa nel vizio non è vero bene, fosse pure colma di ricchezze, di beni materiali e di agi. Possiamo ricordare le parole della Madonna a santa Bernadette Soubirous: “Non ti prometto di farti felice in questa vita, ma nell’altra”.

Salmo 74

Il Salmo 74 è una lamentazione collettiva, cioè un salmo con cui tutta la collettività, un popolo intero, piange e si lamenta davanti al Signore per la terribile e dolorosa situazione in cui è venuto a trovarsi. Il popolo di Israele è stato colpito da una grave disgrazia: eserciti nemici lo hanno assalito e sono penetrati fino al cuore di esso, fino alla città santa; Gerusalemme è stata presa e conquistata, il tempio di Dio è stato profanato e bruciato.

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Il salmo si compone di tre parti, ciascuna di esse caratterizzata da un particolare contenuto e definita chiaramente anche da elementi letterari.

La prima parte del salmo (vv 1-12) è contenuta entro una precisa inclusione: il v 1 dice: “O Dio, perché ci respingi per sempre, perché divampa la tua ira contro il gregge del tuo pascolo?”, e il v 11 riprende: “Perché ritiri la tua mano e trattieni in seno la destra?”. All’inizio e alla fine della prima parte del salmo, dunque, una precisa e addolorata domanda, un “perché” posto a Dio circa il suo atteggiamento che appare duro, chiuso nell’ira e incomprensibile da parte del popolo.

La seconda parte del salmo (vv 13-17) è caratterizzata invece dal pronome personale “tu” che ricorre sette volte in forma esplicita, e che è usato dal salmista e dal popolo per rivolgersi a Dio e fare appello diretto e immediato alla sua persona.

La terza parte del salmo (vv 18-23) è contenuta anch’essa, come la prima parte, entro una chiara inclusione: il v 18 dice: “Ricorda: il nemico ha insultato Dio, un popolo stolto ha disprezzato il tuo nome”; e il v 22 recita: “Sorgi, Dio, difendi la tua causa, ricorda che lo stolto ti insulta tutto il giorno”.

a) Prima parte del salmo (vv 1-12).Il salmo inizia con una domanda intensissima e coraggiosa rivolta a Dio: “O Dio, perché ci

respingi per sempre, perché divampa la tua ira contro il gregge del tuo pascolo?” Il popolo di Israele sa con assoluta certezza di essere il popolo eletto da Dio, il popolo che Dio si è scelto fin dai tempi antichi in mezzo a tutti i popoli della terra, e in mezzo al quale egli ha posto la propria dimora e la propria residenza (v 2); come mai allora Israele si trova ora in una situazione così grave e così rovinata? La domanda posta dal salmista e dal popolo a Dio è un misto di stupore e di rimprovero. Di stupore, perché Dio in antico si era rivelato benevolo e a favore del suo popolo, mentre ora gli si mostra adirato e nemico; di rimprovero, perché Dio per il passato si è preso cura di Israele, lo ha riscattato dalla schiavitù dell’Egitto e lo ha fatto aumentare e crescere, ora invece permette che esso sia praticamente distrutto e quasi annientato. Non ha senso prima costruire e poi distruggere, prima eleggere e poi ripudiare…. Come mai Dio ha cambiato così profondamente e così gravemente atteggiamento? Il salmista e il popolo, con tale domanda, chiedono a Dio spiegazione e giustificazione. Dio deve spiegare, Dio deve giustificare il suo comportamento così contraddittorio e assurdo!

Dopo questo vibrante e audace inizio, il salmo procede descrivendo la desolata situazione in cui si trova Israele. Il salmista, offrendosi da guida a Dio, lo invita a scendere dal cielo e ad ispezionare personalmente il tempio rovinato: “Volgi i tuoi passi a queste rovine eterne, il nemico ha devastato tutto nel tuo santuario” (v 3). E’ come se il salmista dicesse: “Vieni, o Signore, scendi dal cielo e passa in mezzo alle rovine del tuo tempio, in mezzo alle macerie che i nostri nemici hanno prodotto. Vedi, renditi conto di persona di che cosa hanno fatto!” Si tratta di “rovine eterne”, insiste il salmista, cioè di rovine che sono là già da molto tempo; è molto tempo che il santuario giace in rovina e devastato; come mai Dio in tutto questo tempo non se ne è accorto? o, se se ne è accorto, come mai non è ancora mai intervenuto?

Il salmista racconta a Dio la cosa tremenda che è accaduta: i nemici hanno fatto irruzione nel tempio, hanno brandito le asce e le scuri e hanno rotto e spaccato tutto come boscaioli infuriati in una foresta; hanno divelto ogni segno sacro e vi hanno messo al loro posto i propri vessilli e le proprie insegne pagane, profanando così, in modo pieno e totale, il luogo santo; hanno bruciato tutto ciò che potevano bruciare. E, oltre a ciò, il popolo è avvilito e totalmente disorientato perché non ha più nessun profeta in mezzo a sé, non ha più nessun punto di riferimento autentico e sicuro, e non sa “fino a quando”, non sa quando un nuovo profeta in nome di Dio sorgerà in mezzo a lui per ridargli speranza (vv 4-9).

Vanno notate le espressioni di “totalità” nel tempo e nello spazio con cui il salmista descrive la situazione grave in cui il popolo si trova: “Dio, ci respingi per sempre?” (v 1); “volgi i tuoi passi a queste rovine eterne” (v 3); “non ci sono più profeti e nessuno sa fino a quando” (v 9); “fino a

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quando, o Dio, insulterà l’avversario?” (v 10); “il nemico continuerà a disprezzare il tuo nome?” (v 10); “il nemico ha devastato tutto nel tuo santuario” (v 3); “i nostri nemici pensavano: Distruggiamoli tutti” (v 8); “hanno bruciato tutti i santuari di Dio nel paese” (v 8). La rovina è davvero totale; e non se ne vede la fine.

La situazione storica che sta sullo sfondo di questo salmo può essere la seconda conquista di Gerusalemme da parte del re di Babilonia Nabuccodonosor nel 587, quando il tempio fu bruciato e distrutto (2Re 25,8-17); oppure la profanazione del tempio ad opera del re seleucide Antioco IV Epìfane negli anni 168-165 (Dan 9,26-27; 1Macc 4,36-38).

b) Seconda parte del salmo (vv 13-17).La seconda parte del salmo, marcata dai sette “tu” indirizzati a Dio -come già abbiamo

detto-, è una rievocazione forte della onnipotenza divina rivelatasi nel passato. Nella storia passata di Israele e del mondo Dio si è rivelato come il Dio Signore della storia (vv 13-15) e come il Dio creatore dell’universo (vv 16-17).

In quanto Dio Signore della storia Dio è intervenuto a salvezza di Israele liberandolo dall’Egitto, dividendo il mare dei giunchi davanti a lui, facendo sprofondare nelle acque l’esercito del faraone. I soldati del re d’Egitto sono equiparati dal salmista ad altrettanti draghi la cui testa Dio sfracellò nelle acque; e la potenza del grande impero faraonico è paragonata al Leviatàn, mitologico mostro marino che viveva nel mare e che faceva paura a tutti; a lui Dio spaccò la testa e lo rese misero pasto degli altri pesci del mare, cioè Dio infranse la straordinaria potenza del grande impero d’Egitto sommergendola nel mare dei giunchi (vv 13-14). Inoltre Dio accompagnò il suo popolo con innumerevoli prodigi e miracoli lungo il cammino nel deserto (in particolare con l’acqua fatta sgorgare dalla roccia (v 15a; cfr Es 17,1-7), e lo fece entrare nella Terra promessa prosciugando e facendo inaridire il fiume Giordano (v 15b; cfr Gios 3,14-17). Nella storia di Israele, dunque, Dio si è mostrato davvero forte e potente.

In quanto creatore, Dio è il creatore di tutto; è il creatore del giorno e della notte, del sole e della luna, dei confini del mondo e dell’alternarsi delle stagioni: Dio è l’onnipotente padrone dell’universo (v 16-17). Con tale forza e potenza Dio può intervenire anche ora a portare salvezza al suo popolo! E invece come è diversa la situazione presente in confronto di quella passata…. Il “tu” di Dio così vivo e così forte nei tempi antichi è ora completamente assente; Dio sembra del tutto estraneo e lontano dal suo popolo.

c) Terza parte del salmo (vv 18-23).Ma proprio l’onnipotenza di Dio dimostrata in passato fa da sostegno all’ intensa preghiera

che il salmista rivolge al Signore nella terza parte del salmo. Forte di tale fiducia il salmista prega: “Non abbandonare alle fiere la vita di chi ti loda, non dimenticare mai la vita dei tuoi poveri” (v 19). Anche un altro motivo sostiene e supporta la preghiera del salmista, e cioè la misteriosa profonda solidarietà che intercorre tra Dio e il suo popolo. Il salmista dice: “Sorgi, Dio, difendi la tua causa, non disprezzare lo strepito dei tuoi nemici” (vv 22-23); “Ricorda: il nemico ha insultato Dio, un popolo stolto ha insultato il tuo nome” (v 18). Il salmista identifica la sorte di Israele con la causa stessa di Dio, fa coincidere i nemici di Israele con i nemici stessi di Dio. I nemici hanno insultato Israele, ma insultando Israele hanno in realtà insultato Dio, perché Dio è solidale con Israele, è un tutt’uno con lui; ha fatto alleanza con lui al Sinai (v 20). Dio quindi non potrà stare fermo e inerte davanti ai propri nemici, non potrà non intervenire! Ecco allora la richiesta fiduciosa: “Non abbandonare alle fiere la vita di chi ti loda, non dimenticare mai la vita dei tuoi poveri, sii fedele alla tua alleanza” stretta con noi, o Dio! (vv 19-20).

Il salmo termina senza indicare l’intervento salvifico di Dio, ma esso è supposto come certo e sicuro. Dio ascolterà infatti la supplica del suo popolo e verrà in suo aiuto.

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Questo salmo può essere riferito alla Chiesa, nuovo popolo di Dio. In tanti modi e in tanti luoghi della terra la Chiesa è sottoposta ad assalti e a persecuzioni; molti sono i nemici che la assediano da mille parti, e talvolta riescono anche a penetrare nel suo cuore e a portarle danno e rovina. Ma noi possiamo con fiducia elevare il nostro grido a Dio e la nostra supplica, sicuri che egli si sente solidale con la Chiesa e nella sua infinita potenza le verrà in aiuto e le porterà soccorso.

Salmo 75Il salmo 75 ha come tema il giudizio di Dio. E’un salmo a piu voci. Al’inizio risuona la voce

di un’assemblea che ringrazia il Signore e dice di voler raccontare le sue opere meravigliose: “Noi ti rendiamo grazie, o Dio, ti rendiamo grazie; invocando il tuo nome, raccontiamo le tue meraviglie” (v 2). Non è detto ancora il motivo del ringraziamento, e quali siano le opere meravigliose di Dio per cui si intende ringraziarlo, ma dal seguito del salmo si capirà che motivo del ringraziamento è il giudizio giusto e retto che Dio emanerà sul mondo e sugli uomini.

Risuona poi la voce di Dio. Dio afferma che nel tempo che egli deciderà, interverrà a giudicare; e invita gli uomini, in particolare gli empi, a non alzare la testa contro di lui, a non ergersi superbamente contro il suo potere e a non insultarlo: “Nel tempo che avrò stabilito io giudicherò con rettitudine. Dico a chi si vanta: ‘Non vantatevi’; e agli empi ‘Non alzate la testa! Non alzate la testa contro il cielo, non dite insulti a Dio’ ” (vv 3-6).

Risuona in terzo luogo la voce di un singolo personaggio, non ben definito, che potrebbe essere un sacerdote addetto al tempio, o un saggio del popolo, il quale afferma che il giudizio sul mondo e sugli uomini non può venire che da Dio e da nessun altro uomo e da nessun’altra realtà del mondo. Per dire ciò il salmista si richiama ai quattro punti cardinali: l’oriente, l’occidente, il sud (simboleggiato dal deserto di Edom, a sud di Israele), e il nord (simboleggiato dalle montagne del Libano, a nord di Israele): “Non dall’oriente, non dall’occidente, non dal deserto, non dalle montagne ma da Dio viene il giudizio: è lui che abbatte l’uno e innalza l’altro” (vv 7-8). Il giudizio spetta unicamente a Dio.

E inoltre la voce afferma che il giudizio di Dio sarà un giudizio severo nei confronti degli empi. Il salmista ricorre all’immagine di una coppa ripiena di vino drogato in mano a Dio, vino drogato che gli empi dovranno bere fino in fondo, fino ad ubriacarsi e ad andare perduti; mentre il giudizio per i buoni sarà un giudizio di salvezza: “Poiché nella mano del Signore è un calice ricolmo di vino drogato. Egli ne versa: fino alla feccia ne dovranno sorbire, ne berranno tutti gli empi della terra. Io invece esulterò per sempre, canterò inni al Dio di Giacobbe” (vv 9-10).

Questo salmo ci richiama due cose: la prima, che sulla nostra vita e sulle nostre azioni il Signore eserciterà un giudizio, e quindi non possiamo vivere le vita irresponsabilmente e nel peccato; e la seconda cosa, che non possiamo giudicare i nostri fratelli; il giudizio del fratello spetta solo a Dio (Rom 14,10-13; (Mt 7,1).

Salmo 76

Il salmo 76 è un inno a Dio forte e potente; davanti a lui nessun nemico resiste, nessuno riesce ad opporsi. Egli abita in Sion, in Gerusalemme, e da Gerusalemme egli emana potenza e giudizio.

Il salmo può cantare, come i salmi 46 e 48, la vittoria degli abitanti di Gerusalemme sull’esercito assiro di Sennacherib, che nell’anno 701 a. C. assediò la città santa senza successo. Il secondo libro dei Re racconta l’improvvisa ritirata dell’esercito assiro per intervento divino, quando ormai la presa della città sembrava certa e inevitabile (2Re 19,35-36). Dice il salmo: “Dio è conosciuto in Giuda, in Israele è grande il suo nome. Qui spezzò le saette dell’arco (nemico), lo scudo, la spada, la guerra. Splendido tu sei, o Potente; furono spogliati i valorosi, furono colti dal

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sonno, nessun prode ritrovava la sua mano. Dio di Giacobbe, alla tua minaccia, si arrestarono carri e cavalli. Tu sei terribile; chi ti resiste quando si scatena la tua ira?” (vv 3-8). L’intervento di Dio fu fortissimo e decisivo, davanti ad esso il nemico si trovò come paralizzato, e fu sconfitto.

Con i suoi interventi il Signore è anche giudice della storia. Davanti ai suoi giudizi la terra tace, gli uomini tacciono, non sanno e non potrebbero alcunché replicare: “Dal cielo fai udire la sentenza: sbigottita la terra tace quando Dio si alza per giudicare, per salvare tutti gli umili della terra” (vv 9-10).

Il giudizio di Dio è a salvezza dei giusti, i quali lo lodano e lo ringraziano; ma anche gli empi, colpiti dal furore di Dio, dovranno riconoscere la verità dei suoi giudizi, e dare testimonianza alla potenza e alla giustizia di Dio: “L’uomo colpito dal tuo furore ti dà gloria” (v 11).

L’invito finale è a fare voti al Signore e ad adempirli, a riconoscere cioè la maestà di Dio e a presentare a lui le proprie offerte, l’offerta di se stessi e della propria vita: “Fate voti al Signore vostro Dio e adempiteli, quanti lo circondano portino doni al Terribile, a lui che toglie il respiro ai potenti; è terribile per i re della terra” (vv 12-13).

Il salmo ispira fiducia nella potenza di Dio che è più forte di qualsiasi avversità e può sgominare qualsiasi nemico; e invita a farci offerta e dono a lui.

Salmo 77

Il salmo 77 è l’ardente supplica di Israele che è venuto a trovarsi in una situazione di grande sofferenza e dolore: “La mia voce sale a Dio e grido aiuto; la mia voce sale a Dio finché mi ascolti. Nel giorno dell’angoscia io cerco il Signore, tutta la notte la mia mano è tesa e non si stanca; io rifiuto ogni conforto” (vv 2-3). Il popolo è nell’angoscia.

Possiamo pensare agli ebrei esuli a Babilonia, sotto il giogo dei babilonesi. La loro speranza di tornare in patria si è quasi spenta; un dubbio terribile li assale, quello di essere stati respinti da Dio per sempre: “Forse Dio ci respingerà per sempre, non sarà più benevolo con noi? E’ forse cessato per sempre il suo amore, è finita la sua promessa per sempre? Può Dio aver dimenticato la sua misericordia, aver chiuso nell’ira il suo cuore? E ho detto: Questo è il mio tormento: è mutata la destra dell’Altissimo” (vv 8-11). Israele si trova a soffrire una terribile prova di fede e di speranza.

Ma al popolo ritorna in mente il grande intervento operato da Dio a suo favore, quando in antico Dio liberò i suoi padri dalla schiavitù dell’Egitto e li riportò in patria facendo loro attraversare il mare dei giunchi: “Ricordo le gesta del Signore, ricordo le tue meraviglie di un tempo. Mi vado ripetendo le tue opere, considero tutte le tue gesta. E’ il tuo braccio che ha salvato il tuo popolo, i figli di Giacobbe e di Giuseppe. Ti videro le acque (del mare dei giunchi), o Dio, ti videro e ne furono sconvolte, sussultarono anche gli abissi. Sul mare passava la tua via, i tuoi sentieri sulle grandi acque e le tue orme rimasero invisibili. Guidasti come gregge il tuo popolo per mano di Mosè e di Aronne” (vv 12-13. 16-17. 20-21).

Il salmo non dice che il popolo di Israele esule a Babilonia abbia conservato certa e sicura la fiducia che Dio lo avrebbe fatto tornare in patria, ma possiamo pensare che il ricordo dell’intervento salvifico di Dio in passato abbia sostenuto e aiutato la sua speranza.

Il salmo è un invito, nei momenti difficoltà e di sofferenza, a ricordare gli aiuti ricevuti dal Signore, per conservare la fiducia che egli non ci lascerà e non ci abbandonerà.

Salmo 78

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Il salmo 78 è una rilettura da parte del salmista della storia di Israele. In essa egli vede un continuo intrecciarsi tra interventi salvifici di Dio e incorrispondenze del popolo. Il popolo, continuamente beneficato dal Signore, risponde con continue chiusure e ribellioni.

Il salmo inizia con alcuni versetti che sono uno specchio della religiosità di Israele, una religiosità tramandata di padre in figlio, fatta di insegnamenti trasmessi di generazione in generazione, con -come contenuto- le opere di salvezza compiute dal Signore a favore del suo popolo, al fine di educare i figli all’amore e alla fedeltà al Signore: “Popolo mio, porgi l’orecchio al mio insegnamento, ascolta le parole della mia bocca. Ciò che abbiamo udito e conosciuto e i nostri padri ci hanno raccontato non lo terremo nascosto ai loro figli; diremo alla generazione futura le lodi del Signore, la sua potenza e le meraviglie che egli ha compiuto. Anche i nostri figli sorgeranno a raccontarlo ai loro figli, perché ripongano in Dio la loro fiducia e non dimentichino le opere di Dio, ma osservino i suoi comandi” (vv 1. 3-4. 6-7).

Il salmo ricorda le piaghe d’Egitto, il passaggio del mare dei giunchi, il dono dell’acqua sgorgata dalla roccia nel deserto, il dono delle quaglie, il dono della manna: “Aveva fatto prodigi davanti ai loro padri, nel paese d’Egitto, nei campi di Tanis. Divise il mare e li fece passare e fermò le acque come un argine. Egli percosse la rupe e ne scaturì acqua, e strariparono torrenti. ‘Potrà dare anche pane o preparare carne al suo popolo’? Comandò alle nubi dall’alto e aprì le porte del cielo; fece piovere su di essi la manna per cibo e diede loro pane del cielo; l’uomo mangiò il pane degli angeli, diede loro cibo in abbondanza. Scatenò nel cielo il vento d’oriente, fece spirare l’australe con potenza; su di essi fece piovere la carne come polvere e gli uccelli come sabbia de mare” (vv 12-13. 20. 23-27).

Ma ad ogni dono di Dio il popolo rispondeva con chiusure e ribellioni: “Non osservarono l’alleanza di Dio, rifiutando di seguire la sua legge. Dimenticarono le sue opere, le meraviglie che aveva loro mostrato. Continuarono a peccare contro di lui, a ribellarsi all’Altissimo nel deserto. Continuarono a peccare e non credettero ai suoi prodigi” (vv 10-11. 17. 32).

Dio allora si vide costretto a castigarli: “All’udirli il Signore ne fu adirato; un fuoco divampò contro Giacobbe e l’ira esplose contro Israele, perché non ebbero fede in Dio né speranza nella sua salvezza. Allora dissipò come un soffio i loro giorni e i loro anni con strage repentina” (vv 21-22. 33).

Ma il castigo di Dio era vòlto a far sì che il popolo si ricredesse dal suo cattivo comportamento e ritornasse, convertito, a lui: “Quando li faceva perire, lo cercavano, ritornavano e ancora si volgevano a Dio; ricordavano che Dio è loro rupe, e Dio l’Altissimo il loro salvatore” (vv 34-35). Il pentimento del popolo non era sempre sincero, ma Dio, pietoso, aveva ugualmente misericordia di lui e lo perdonava: “Lo lusingavano con la loro bocca e gli mentivano con la lingua; il loro cuore non era sincero con lui; ma egli, pietoso, perdonava la colpa, li perdonava invece di distruggerli. Molte volte placò la sua ira e trattenne il suo furore, ricordando che essi sono carne, un soffio che va e non ritorna” (vv 36-38).

Il salmista indugia ancora sul contrasto tra benefici di Dio e incorrispondenze del popolo: “Sempre di nuovo tentavano Dio, esasperavano il Santo di Israele. Non si ricordavano più della sua mano, del giorno che li aveva liberati dall’oppressore” (vv 41-42), e dedica ben undici versetti ad enumerare le piaghe d’Egitto con cui Dio aveva liberato Israele dalla schiavitù: “Egli mutò in sangue i fiumi d’Egitto e i loro ruscelli perché non bevessero. Mandò tafani a divorarli e rane a molestarli. Diede ai bruchi il loro raccolto, alle locuste la loro fatica. Distrusse con la grandine le loro vigne, i loro sicomori con la brina…. Colpì ogni primogenito in Egitto, nelle tende di Cam la primizia del loro vigore” (vv 43-52).

Lo stesso copione ‘benefici di Dio – incorrispondenza del popolo’ si ripeté anche una volta che il popolo di Israele fu entrato nella Terra promessa: “Li fece salire al suo luogo santo, al monte conquistato dalla sua destra (il monte Sion). Scacciò davanti a loro i popoli (che occupavano il paese) e sulla loro eredità gettò la sorte, facendo dimorare nelle loro tende le tribù di Israele. Ma ancora lo tentarono, si ribellarono a Dio , l’Altissimo, non obbedirono ai suoi comandi. Lo provocarono con le loro alture e con i loro idoli lo resero geloso” (vv 54-58).

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Allora Dio si adirò con loro, li punì, permise che fossero vinti dai Filistei, che il loro santuario di Silo venisse distrutto: “Dio, all’udire, ne fu irritato e respinse duramente Israele. Abbandonò la dimora di Silo, la tenda che abitava tra gli uomini. Diede il suo popolo in preda alla spada. Il fuoco divorò il fiore dei suoi giovani, le sue vergini non ebbero canti nuziali” (vv 59-64).

Però poi Dio tornò ad avere pietà del suo popolo, lo difese dai suoi nemici, lo stabilì sicuro nella sua terra, cominciò ad abitare nel tempio di Gerusalemme, e scelse Davide a reggere Israele, provvedendogli un re: “Ma poi il Signore si destò come da un sonno, colpì alle spalle i nemici del suo popolo, elesse la tribù di Giuda, costruì il suo tempio alto come il cielo, scelse Davide suo servo, lo chiamò dal seguito delle pecore per pascere Giacobbe suo popolo, la sua eredità Israele” (vv 65-66. 68-71).

Il salmo, che ha mostrato i tanti momenti di ribellione e di infedeltà di Israele a Dio che lo beneficava, termina con una nota di salvezza: Dio, con la sua bontà e con la sua misericordia, ha avuto la meglio sull’infedeltà di Israele. Con la sua bontà e con la sua misericordia Dio vince sempre sull’infedeltà dell’uomo: “Egli non ci tratta secondo i nostri peccati, non ci ripaga secondo le nostre colpe” (Sal 103,10).

Il salmo 78 è la fotografia della nostra vita: tanti doni da parte di Dio, tante incorrispondenze e ribellioni da parte nostra. Ma l’amore di Dio non si ferma e non si stanca, continua a beneficarci. Apriamo il cuore a così grande amore, e sforziamoci di rispondere con piena fedeltà.

Salmo 79

Il Salmo 79 è una lamentazione collettiva, una supplica accorata del popolo di Giuda al Signore per la tragica situazione di sofferenza e di dolore in cui è venuto a trovarsi.

La prima parte del salmo descrive la misera condizione di Giuda e di Gerusalemme: gli eserciti nemici sono penetrati nel regno di Giuda, hanno preso Gerusalemme e l’hanno ridotta in macerie; hanno profanato e distrutto il tempio di Dio; hanno fatto strage degli abitanti facendo scorrere il sangue a torrenti; hanno provocato una strage così grande e vasta che non si riusciva più a dare sepoltura agli uccisi; molti di essi sono rimasti insepolti e sono divenuti misero pasto degli uccelli e degli animali randagi. Il tutto si è consumato sotto gli occhi cattivi e crudeli dei popoli vicini, i quali non solo non hanno preso parte al dolore del popolo di Giuda, ma se ne sono rallegrati e ne hanno sinistramente gioito nel loro cuore: “O Dio, nella tua eredità sono entrate le nazioni, hanno profanato il tuo santo tempio, hanno ridotto in macerie Gerusalemme. Hanno abbandonato i cadaveri dei tuoi servi in pasto agli uccelli del cielo, la carne dei tuoi fedeli agli animali selvaggi. Hanno versato il sangue come acqua intorno a Gerusalemme e nessuno seppelliva. Siamo diventati l’obbrobrio dei nostri vicini, scherno e ludibrio di chi ci sta intorno” (vv 1.4).

Tale situazione è facilmente ravvisabile nella caduta di Gerusalemme ad opera del re babilonese Nabuccodonosor, nel 587 a.C.; tragico evento cha fa da sfondo e che è cantato anche nel Libro delle Lamentazioni, libro composto subito dopo il 587 ( cfr 2 Lam 5-12. 15-16. 20-22; 4 Lam 1-5. 10; 5 Lam 1-18).

La seconda parte del salmo è invece un’ intensa preghiera a Dio perché intervenga e porti soccorso.

Gli elementi presenti in questa preghiera sono anzitutto la sofferenza del non sapere fino a quando questa triste situazione durerà. Di essa non si intravede per nulla la fine, e ciò rende più pesante e più duro il dolore; per cui il popolo grida: “fino a quando, o Signore, sarai adirato; per sempre? Arderà come fuoco la tua gelosia?” (v 5).

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Il popolo si sente come prigioniero e dentro una terribile morsa di dolore e di sofferenza, incapace di riprendere vita e di avere un futuro, destinato ormai a soccombere in modo definitivo; per cui dice: “giunga fino a te il gemito dei prigionieri, salva i votati alla morte” (v 11).

A ciò si aggiunge la sofferenza di capire che la disfatta è stata causata anche dai propri peccati e dalle innumerevoli infedeltà all’alleanza con Dio: “non imputare a noi le colpe dei nostri padri, salvaci e perdona i nostri peccati” (vv 8-9). La tragedia che si è abbattuta su Giuda e Gerusalemme ha fatto fare un profondo esame di coscienza al popolo, che si è scoperto colpevole e in mille modi infedele a Dio; ora egli sente le proprie colpe come un grosso macigno che gli pesa sul cuore e chiede pietà (1Lam 18. 20; 3Lam 42; Is 48,17-19).

La gravità del dolore spinge il popolo a domandare a Dio di intervenire e punire i nemici oppressori, così da essere liberato da una così grave situazione di rovina: “Riversa il tuo sdegno sui popoli che non ti riconoscono; si conosca tra i popoli la vendetta per il sangue dei tuoi servi; fa ricadere sui nostri vicini sette volte l’affronto con cui ti hanno insultato, Signore” (vv 6. 10. 12). L’intervento punitore di Dio è sentito dal popolo di Giuda come l’unica strada per essere liberato e salvato.

Nonostante la gravità della sofferenza, però, il popolo non perde la propria fiducia in Dio e ricorre a lui con viva speranza (cfr anche 3 Lam 22-26. 31-33). La speranza spinge il popolo a domandare salvezza, e conserva in lui la certezza che Dio interverrà a suo favore; anzi il salmo termina addirittura con la promessa da parte del popolo di un grande e solenne ringraziamento che egli offrirà a Dio per la salvezza che gli donerà: “Noi, tuo popolo e gregge del tuo pascolo, ti renderemo grazie per sempre; di età in età proclameremo la tua lode” (v 13). Anche nei momenti più tragici il popolo conserva la sua speranza in Dio.

Il salmo 79 può essere pregato dalla Chiesa, da un popolo intero, da una comunità, da una famiglia, anche da una singola persona, qualora si sentisse gravemente dissestata, rovinata nel più profondo di sé e in grande difficoltà; anche quando la difficoltà e la situazione di problema dipendessero dalle proprie colpe e dai propri sbagli. Per Dio non c’è situazione brutta e così compromessa, così colpevole e così rovinata, che egli non sappia prendere in mano, guarire e salvare. La sua onnipotenza e il suo amore per noi sono infiniti; e la nostra speranza e la nostra confidenza in lui gli sono infinitamente gradite.

Salmo 80

Il salmo 80 è simile al salmo 79, è anch’esso una lamentazione collettiva, una supplica accorata al Signore per la tragica situazione di sofferenza e di dolore in cui il popolo è venuto a trovarsi. Questa volta non si tratta della caduta di Gerusalemme e del Regno di Giuda, come nel salmo 79, ma della caduta del Regno del Nord ad opera dell’esercito assiro nel 721 a.C. Lo si deduce dal fatto che il salmo nomina le tribù di Efraim, di Beniamino e di Manasse, tribù del Regno del Nord.

Il popolo è paragonato ad una vite che in passato era rigogliosa e fiorente, ma che ora è

calpestata e devastata da uomini e da animali: “Hai divelto una vite dall’Egitto (si allude alla liberazione di Israele dall’Egitto), per trapiantarla hai espulso i popoli (i popoli che abitavano la Terra promessa). Le hai preparato il terreno, hai affondato le sue radici e ha riempito la terra. La sua ombra copriva le montagne e i suoi rami i più alti cedri. Ha esteso i suoi tralci fino al mare (il

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mare Mediterraneo) e arrivavano al fiume (il fiume Giordano)i suoi germogli” (si allude alla conquista della Terra promessa da parte di Israele) (vv 9-12).

Ora però il popolo è stato vinto ed è asservito a nemici: “Perché hai abbattuto la sua cinta (il muro di protezione della vite, cioè -fuori di immagine- le difese ai confini di Israele) e ogni viandante ne fa vendemmia?. La devasta il cinghiale del bosco e se ne pasce l’animale selvatico” (è il nemico conquistatore che devasta e sfrutta Israele) (vv 13-14).

La condizione del popolo è davvero miserevole: “Tu, o Dio, ci nutri con pane di lacrime, ci fai bere lacrime in abbondanza. Ci hai fatto motivo di contesa per i vicini, e i nostri nemici ridono di noi” (i popoli attorno ad Israele lo umiliano con i loro scherni) (vv 6-7).

Il salmista si rivolge fortemente al Signore e lo supplica di intervenire e di soccorrere il popolo: “Tu, pastore di Israele, ascolta; risveglia, o Dio, la tua potenza e vieni in nostro soccorso” (vv 2-3). Per ben tre volte ricorre il ritornello: “Rialzaci, Signore, nostro Dio, fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi” (vv 4. 8. 20). E ancora: “Dio degli eserciti, volgiti, guarda dal cielo e vedi e visita questa vigna, proteggi il ceppo che la tua destra ha piantato, il germoglio che ti sei coltivato” (vv 15-16).

Non manca anche in questo salmo, come comunemente si trova nei salmi, il desiderio del salmista che i nemici vengano puniti e castigati: “Quelli che l’arsero col fuoco e la recisero (la vigna, il popolo), periranno alla minaccia del tuo volto”, o Dio (v 17).

Il salmo si conclude con la richiesta che Dio abbia a suscitare e a dare forza ad un condottiero che possa riportare il popolo a libertà: “Sia la tua mano sull’uomo della tua destra, sul figlio dell’uomo che per te hai reso forte” (v18), e con la promessa di piena fedeltà a Dio: “Da te più non ci allontaneremo, ci farai vivere e invocheremo il tuo nome” (v19), promessa che contiene l’implicita ammissione di una passata infedeltà.

Il salmo 80 può essere pregato da un popolo, dalla Chiesa, da una comunità che si senta rovinata in se stessa; può essere intensa e fiduciosa supplica al Signore che intervenga a guarire, a sanare, a portare salvezza: “Rialzaci Signore, Dio degli eserciti, fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi”.

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