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(Salita, Libro 3°) LIBRO TERZO TRATTA DELLA PURGAZIONE E NOTTE ATTIVA DELLA MEMORIA E DELLA VOLONTA . INSEGNA COME L ' ANIMA SIDEVE COMPORTARE INTORNO ALLE APPRENSIONI DI QUESTE DUE POTENZE PER UNIRSI CON DIO , SECONDO LE MEDESIME , IN PERFETTA SPERANZA E CARITA 3S CAPITOLO 1 ARGOMENTO 1 - Istruita già la prima potenza dell'anima, cioè l'intelletto, rispetto a tutte le sue apprensioni nella prima virtù teologale, che è la fede, affinché secondo questa potenza l'anima possa unirsi con Dio in purezza di fede, rimane da fare altrettanto intorno alle altre due potenze che sono la memoria e la volontà, purificandole anch'esse circa le loro apprensioni, acciocché secondo queste due potenze l'anima venga ad unirsi con Dio in perfetta speranza e carità. Ciò si farà in questo terzo libro, ma brevemente; perché avendo finito di parlare intorno al l'intelletto. che è ricettacolo anche di tutti gli oggetti propri delle altre due potenze, ci troviamo già fatto molto cammino per quel che resta a dire, e quindi ora non è necessario dilungarci troppo. Difatti, non è possibile che l'uomo spirituale, ammaestrando bene l'intelletto in fede secondo la dottrina da noi esposta, non istruisca in pari tempo le altre due potenze nelle dette due virtù, poiché le operazioni delle une dipendono da quelle dell'altra. 2 - Ma, per seguitare col metodo che abbiamo adottato, e a maggior chiarezza della materia, è necessario esporre le apprensioni proprie di ciascuna potenza, cominciando da quelle della memoria. Faremo di esse la distinzione che basti al nostro intento, e che possiamo ricavare dalla distinzione stessa de i suoi oggetti. Questi sono di tre specie: naturali, soprannaturali immaginari e spirituali; il che importa una stessa classificazione nelle notizie della memoria. 3 - Di queste, dunque, col favore divino, andremo qui trattando, cominciando dalle notizie naturali, che ne sono di oggetto più esteriore. Di poi tratteremo degli affetti della volontà, e con ciò si chiuderà questo libro della notte spirituale attiva. 3S CAPITOLO 2 TRATTA DELLE APPRENSIONI NATURALI DELLA MEMORIA, E INSEGNA CHE ESSA SI DEVE VUOTARE , AFFINCHÉ L ' ANIMA POSSA UNIRSI CON DIO SECONDO OUESTA POTENZA 1 - È necessario che in ognun o di questi libri il lettore non dimentichi il fine a cui miriamo: perché, altrimenti, sorgeranno in lui molti dubbi intorno a quel che legge; e come ora potrebbe averne su ciò che abbiamo detto a proposito dell'intelletto, così è possibile che gli accada su quel che stiamo per dire circa la memoria, e su quanto appresso diremo circa la volontà. Vedendo, infatti, che noi annichiliamo le potenze intorno alle loro operazioni, forse gli sembrerà che in questo modo distruggiamo il cammino dell'esercizio spirituale, piuttosto che edificarlo: ciò sarebbe vero, se noi qui volessimo istruire non altri che i principianti, ai quali di certo è molto conveniente disporsi con le apprensioni discorsivi e apprensibili. 2 - Però, poiché qui insegnano il modo di spingersi innanzi nella contemplazione per arrivare all'unione con Dio, per tal fine bisogna che tutti i mezzi di esercizi sensitivi delle potenze restino indietro e in silenzio, affinché Dio di suo operi nell'anima la divina unione. Conviene perciò sbarazzare e vuotare le potenze, facendo sì che rinunzino alla

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(Salita, Libro 3°)

LIBRO TERZO

TRATTA DELLA PURGAZIONE E NOTTE ATTIVA DELLA MEMORIA E DELLA VOLONTA. INSEGNA COME L 'ANIMA SIDEVE COMPORTARE INTORNO ALLE APPRENSIONI DI QUESTE DUE POTENZE PER UNIRSI

CON DIO , SECONDO LE MEDESIME, IN PERFETTA SPERANZA

E CARITA

3S CAPITOLO 1

ARGOMENTO

1 - Istruita già la prima potenza dell'anima, cioè l'intelletto, rispetto a tutte le sue apprensioni nella prima virtù teologale, che è la fede, affinché secondo questa potenza l'anima possa unirsi con Dio in purezza di fede, rimane da fare altrettanto intorno alle altre due potenze che sono la memoria e la volontà, purificandole anch'esse circa le loro apprensioni, acciocché secondo queste due potenze l'anima venga ad unirsi con Dio in perfetta speranza e carità. Ciò si farà in questo terzo libro, ma brevemente; perché avendo finito di parlare intorno al l'intelletto. che è ricettacolo anche di tutti gli oggetti propri delle altre due potenze, ci troviamo già fatto molto cammino per quel che resta a dire, e quindi ora non è necessario dilungarci troppo. Difatti, non è possibile che l'uomo spirituale, ammaestrando bene l'intelletto in fede secondo la dottrina da noi esposta, non istruisca in pari tempo le altre due potenze nelle dette due virtù, poiché le operazioni delle une dipendono da quelle dell'altra.

2 - Ma, per seguitare col metodo che abbiamo adottato, e a maggior chiarezza della materia, è necessario esporre le apprensioni proprie di ciascuna potenza, cominciando da quelle della memoria. Faremo di esse la distinzione che basti al nostro intento, e che possiamo ricavare dalla distinzione stessa de i suoi oggetti. Questi sono di tre specie: naturali, soprannaturali immaginari e spirituali; il che importa una stessa classificazione nelle notizie della memoria.

3 - Di queste, dunque, col favore divino, andremo qui trattando, cominciando dalle notizie naturali, che ne sono di oggetto più esteriore. Di poi tratteremo degli affetti della volontà, e con ciò si chiuderà questo libro della notte spirituale attiva.

3S CAPITOLO 2

TRATTA DELLE APPRENSIONI NATURALI DELLA MEMORIA, E INSEGNA CHE ESSA SI DEVE VUOTARE, AFFINCHÉ L 'ANIMA POSSA UNIRSI CON DIO SECONDO OUESTA POTENZA

1 - È necessario che in ognuno di questi libri il lettore non dimentichi il fine a cui miriamo: perché, altrimenti, sorgeranno in lui molti dubbi intorno a quel che legge; e come ora potrebbe averne su ciò che abbiamo detto a proposito dell'intelletto, così è possibile che gli accada su quel che stiamo per dire circa la memoria, e su quanto appresso diremo circa la volontà. Vedendo, infatti, che noi annichiliamo le potenze intorno alle loro operazioni, forse gli sembrerà che in questo modo distruggiamo il cammino dell'esercizio spirituale, piuttosto che edificarlo: ciò sarebbe vero, se noi qui volessimo istruire non altri che i principianti, ai quali di certo è molto conveniente disporsi con le apprensioni discorsivi e apprensibili.

2 - Però, poiché qui insegnano il modo di spingersi innanzi nella contemplazione per arrivare all'unione con Dio, per tal fine bisogna che tutti i mezzi di esercizi sensitivi delle potenze restino indietro e in silenzio, affinché Dio di suo operi nell'anima la divina unione. Conviene perciò sbarazzare e vuotare le potenze, facendo sì che rinunzino alla

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loro giurisdizione naturale e alle proprie operazioni, e diano luogo a che il soprannaturale s'infonda in loro e le sublimi. La loro capacità, certamente, non può giungere a sì alto termine e potranno piuttosto impedirlo, qualora non si perdano di vista.

3 - Essendo vero che l'anima, per andare a Dio, deve conoscerlo più per quello ch'Egli non è, che per quello che è, necessariamente ha da rinunziare, fino all'ultimo, a tutte le sue apprensioni, tanto naturali che soprannaturali. Ciò ora faremo intorno alla memoria traendola fuori dei suoi limiti e confini naturali, e innalzandola sopra di sé, cioè sopra ogni notizia distinta e possesso apprensibile, in una somma speranza di Dio incomprensibile.

4 - Cominciando, dunque, dalle notizie naturali, dico che notizie naturali nella memoria sono tutte quelle che essa può formare dagli oggetti dei cinque sensi corporei (cioè l'udito, la vista, l 'olfatto, il gusto, il tatto), e ogni altra che potrebbe fabbricare e formare di questo genere. Di tutte queste notizie e forme la memoria si deve spogliare e vuotare, procurando di perderne l'apprensione immaginaria, di modo che esse non le lascino impressa traccia o ricordo di cosa alcuna; ma se ne rimanga nuda e vuota, per così dire, dimentica di tutto, come se per essa non fosse passato nulla. La memoria non può fare a meno di annichilirsi intorno a tutte le forme se vuol unirsi con Dio; e ciò non può accadere, se non si distacca totalmente da tutte le forme che non sono Dio, perché Egli non cade sotto forma o notizia distinta, come dicemmo nella notte dell'intelletto. Nessuno può. servire a due padroni, come insegna Nostro Signore (M t 6 ,24 ): e la memoria non può stare unita a Dio con perfezione e in pari tempo alle forme e notizie distinte. Non avendo Dio né forma né immagine che possa essere compresa dalla memoria, ne deriva che, quando essa sta unita con Dio (come la continua esperienza lo dimostra), resta senza forma e figura: l' immaginazione è perduta e la memoria è assorta in grande oblio, senza alcun ricordo, tutta immersa nel sommo Bene. L'unione divina vuota la fantasia e sembra che la spazzi di tutte le forme e notizie, innalzandola al soprannaturale.

5 - È cosa notevole ciò che alle volte avviene, quando Dio fa un tocco di unione nella memoria. All'improvviso si sente nel cervello ove la memoria ha la sua sede, un colpo o urto tanto sensibile, che sembra di rimanere storditi e di perdere ogni giudizio e sentimento; e ciò, quando più quando meno, secondo l’intensità del tocco. Allora, a causa di questa unione, la memoria si vuota e purga di tutte le notizie e resta dimentica, e a volte a tal segno, che ha bisogno di farsi grande violenza per rammentarsi di qualche cosa.

6 - Questo oblio della memoria e questa sospensione dell'immaginativa, stante la loro unione con Dio, non di rado è di tal maniera che l'anima se ne passa molto tempo senza avvedersene, e senza poi ricordarsi che cosa in quel mentre sia accaduto. Stando la persona con l’immaginativa così sospesa, quantunque le facciano cose che per sé cagionerebbero dolore, non sente niente, perché senza immaginazione non v'è sentimento; e neppure le avverte per mezzo del pensiero, perché per lei [questo] non c'è. Ma, ripeto, finché Dio non si degni fare questi tocchi di unione, conviene che l'anima distolga la memoria da tutte le notizie apprensibili. È da notarsi che queste sospensioni non accadono, più in tal guisa a coloro che sono giunti alla perfetta unione, ma solo al principio di questa.

7 - Ma forse qualcuno mi dirà: Ciò ti potrà sembrare buono, ma di qui ne segue la distruzione dell'uso naturale e del corso delle potenze; e che l'uomo diventa quasi una bestia, insensato, ed anche peggio, senza discorrere né ricordarsi delle necessità, e operazioni naturali. Dio non distrugge la natura, anzi la perfeziona; mentre, da quanto affermi, necessariamente ne segue la distruzione di essa, posto che l'uomo si dimentichi delle cose morali e razionali per operarle, e delle cose naturali per esercitarle, perché niente di tutto ciò può ricordare, privandosi delle notizie e forme che sono il mezzo della reminiscenza.

8 - A questa obiezione rispondo che, quanto più la memoria si unisce con Dio, tanto più perde le notizie distinte fino a restarne interamente vuota: il che succede quando giunge alla perfezione dello stato di unione. E così, al principio quando questa si va operando, le

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forme e le notizie a mano a mano si cancellano dalla memoria, e quindi la persona commette molti errori e sbadataggini circa il tratto esteriore: non si ricorda di mangiare e di bere, né se vide o fece quella cosa o no, né se le parlarono o meno di un’altra; e questo a causa dell’assorbimento della memoria in Dio. Ma, giunta che sia ad avere abito di unione, che è un sommo bene, non soffre più di siffatte dimenticanze in ciò che è di ragione morale e naturale. Anzi nelle azioni necessarie e convenienti è molto più perfetta di prima, benché non le operi più per mezzo di forme e notizie della memoria: perché avendo l'abito di unione, che è già uno stato soprannaturale, la memoria e le altre potenze vengono a mancare del tutto nelle loro naturali operazioni, e passano dal loro termine naturale a quello di Dio, che è soprannaturale. Essendo quindi. la memoria trasformata in Dio, non le si possono imprimere forme o notizie di altre cose. In tale stato tutte le operazioni della memoria e delle altre potenze sono divine; perché queste ormai possiedono possiedono Dio come loro assoluto Signore e sono trasformate in Lui. Dio. stesso è quegli che divinamente le muove e dirige, secondo il suo divino spirito e la sua volontà, di modo che le operazioni non sono distinte, ma quelle che l'anima compie sono di Dio. Sono operazioni divine, perché chi è unito col Signore è un solo spirito con Lui (1C or 6 ,17 ) .

9 - Quindi è che le operazioni delle anime unite a Dio sono dello Spirito Divino, e sono divine: e per conseguenza tali anime operano soltanto cose convenienti e ragionevoli, e non quelle sconvenienti; perché lo Spirito di Dio fa loro sapere o ignorare quel che conviene che sappiano o ignorino; fa sì che rammentino, con forme o senza, ciò che il dovere richiede, e dimentichino il contrario; le fa amare quel che devono, e disamare ciò che non è in Dio. Pertanto, tutti i primi moti e le operazioni delle potenze di tali anime sono divine, e non v'è da meravigliarsi che lo siano, poiché le anime sono trasformate nell'essere divino.

10 - Di queste operazioni porterò alcuni esempi, ed uno sia questo. Un tale chiede a una persona, posta nello stato di unione, che lo raccomanda a Dio. Costei si ricorderà di farlo, non per qualche forma o notizia che nella memoria le resti di ciò che quegli gli ha chiesto; Ma, se è conveniente raccomandarlo (il che sarà quando al Signore piaccia di ricevere preghiere a favore di colui), Dio stesso muoverà la volontà della persona, dandole desiderio di pregare. Al contrario, se il Signore non vuole questa orazione, per quanto la persona si sforzi di pregare per quel tale, non potrà né avrà desiderio di farlo; mentre poi alle volte Dio la stimolerà a far suppliche per altri che ella mai non conobbe, né udì nominare. Ciò avviene appunto perché le potenze di tali anime sono mosse da Dio soltanto a quelle opere che si conformano alla sua volontà e alle disposizioni della sua Provvidenza, e non si sentono spinte ad altro; e perciò le opere e le preghiere di queste anime ottengono sempre il loro effetto. Così deve dirsi della gloriosissima Vergine Nostra Signora, la quale, essendo stata innalzata sin dal principio a questo alto stato, non ebbe mai impressa nell'anima sua alcuna forma di creature che la muovesse ad operare, ma sempre la sua mozione fu dallo Spirito Santo.

11 - Altro esempio. Una persona deve attendere il tal giorno ad una faccenda necessaria: non se ne rammenterà per mezzo di qualche forma o notizia, ma senza saper come, le si fisserà nell'animo quando e in che modo converrà sbrigare quel negozio, e ciò immancabilmente.

12 - Di più, lo Spirito Santo dà luce alle anime non solo in simili cose, ma anche in molte altre che succedono o succederanno, e in molti fatti quantunque lontani; e benché alcune volte le anime sappiano queste cose per mezzo di forme intellettuali, spesso però vengono a conoscerle senza alcuna forma apprensibile , né esse possono capire come mai le abbiano sapute. Quest'effetto singolare è prodotto dalla Divina Sapienza in tali anime, perché si esercitano nel non apprendere con le potenze cosa alcuna; e quindi, come dicemmo nel Monte, giungono a sapere generalmente ogni cosa, secondo quel che il Savio dice: La Sapienza, artefice dì tutte le cose, me le insegnò (Sap

7 , 21 ).

I3 - Ma si dirà, forse, che l'anima non potrà vuotare e privare la memoria di tutte le idee e forme tanto da poter arrivare a così alto stato., perché esistono due gravi difficoltà che

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superano le forze dell'uomo: l'una è il rimuovere ciò che è naturale mediante l'abilità naturale, il che non può essere; l 'altra consiste nel toccare ed unirsi al soprannaturale, ciò che è molto più arduo, anzi a dire il vero, con la sola abilità naturale è semplicemente impossibile. Rispondo: è ben vero che solamente Dio può collocare l'anima in questo stato soprannaturale, ma è vero altresì che essa, per quanto dipende da lei, vi si deve disporre: il che può fare con le forze naturali e con l'aiuto che Dio va elargendo. Quindi, mentre da parte sua va entrando nella rinunzia e nel vuoto di ogni forma, Dio parimenti la va mettendo nel possesso dell'unione; e questo il Signore opera in lei passivamente, come diremo, col divino favore, nella notte passiva dell'anima. Quando infine piacesse a Lui, secondo la conveniente disposizione dell'anima, Dio finirà d'infonderle l'abito della perfetta unione divina.

I4 - 1 divini effetti che l'unione, quando è veramente tale, produce così nell'intelletto come nella memoria e nella volontà, non li enumeriamo in questa notte e purgazione attiva, perché la divina unione non si completa solo con questa; ne parleremo però nella notte passiva, mediante la quale l'anima si unisce perfettamente a Dio. Per la qual cosa qui dirò soltanto il modo necessario ad usarsi, affinché la memoria, per quanto è dal canto suo, si metta attivamente in questa notte e purgazione. L'uomo spirituale abbia ordinariamente questa cautela [a cco rg imen to ]: di tutte le cose che vede, ode, sente, gusta, tocca, non faccia particolare tesoro nella memoria, ma le lasci subito cadere in dimenticanza e, se occorre, a tal fine [ l a s ci ar e in d imen t i ca nza ] impieghi lo sforzo che adoprerebbe a ricordarsene; di modo che non gli resti nella memoria alcuna notizia e figura di esse, come se al mondo non esistessero affatto. Procuri di avere la memoria libera e sgombra, sciolta da qualsiasi considerazione, come se tale potenza non vi fosse, lasciandola liberamente perdere in oblio, come cosa che disturba, poiché tutto ciò che è naturale, qualora s'impieghi nelle cose soprannaturali, impedisce anziché aiutare.

15 - Che se nascessero qui i dubbi e le obiezioni di cui sopra a proposito dell'intelletto, vale a dire che in questo modo non si fa niente e si sciupa tempo invano, e che l'anima si priva dei beni spirituali che può ricevere per via della memoria, e simili, già abbiamo dato a tutto una sufficiente risposta, e più innanzi avremo occasione d'insistervi quando parleremo della notte passiva, e perciò non v'è motivo d'intrattenerci qui di soverchio. Solamente conviene avvertire che, sebbene per qualche tempo non si senta l'utilità di detta sospensione di notizie e forme, non per questo l'uomo spirituale deve stancarsi, ché Dio non mancherà di assisterlo a tempo opportuno: sappia che per un bene così grande, bisogna molto soffrire con pazienza e speranza.

16 - È ben vero che difficilmente si troverà un'anima che in tutte le cose e in ogni tempo sia mossa da Dio, e abbia unione sì continua con Lui che le sue potenze siano dirette divinamente, senza alcun mezzo di forme; tuttavia vi sono delle anime che assai di frequente agiscono per divino impulso nelle loro operazioni, ed allora non sono esse che si muovono, secondo quel detto di S. Paolo che: I figli di Dio, cioè gli uomini trasformati e uniti a Lui, sono mossi dallo Spirito di Dio, spinti cioè ad opere divine nelle loro potenze (R m 8 ,14 ). E non fa meraviglia che siano divine le operazioni, quando l'unione dell'anima è divina.

3S CAPITOLO 3

AVVERTE TRE SORTA DI DANNI CHE L 'ANIMA RICEVE QUANDO NON SI OSCURA INTORNO ALLE NOTIZIE E AI DISCORSI DELLA MEMORIA - PARLA DEL PRIMO DANNO

1 - L'uomo spirituale che ancora volesse usare delle notizie e discorsi naturali della memoria per andare a Dio o per altra cosa, va soggetto a tre danni o inconvenienti: due positivi, il terzo privativo. Il primo è da parte delle cose del mondo; il secondo, da parte del demonio; il terzo, quello privativo , è il disturbo e l'impedimento che le notizie recano alla divina unione.

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2 - Il primo danno, che è da parte delle cose del mondo, consiste nell’andar incontro a molte e varie specie di mali, a causa delle notizie e dei discorsi: come, ad esempio, errori, imperfezioni, appetiti, giudizi, perdita di tempo e molte altre cose che macchiano l'anima non poco. Che l'uomo debba necessariamente cadere in molti errori, dando luogo alle notizie e discorsi, è evidente; difatti spesso gli sembrerà falso il vero, dubbioso il certo, e viceversa, poiché è assai difficile per noi miseri mortali conoscere a fondo una sola verità. Da tutte queste miserie l 'anima si libera, se oscura la memoria di ogni discorso e notizia.

3 - In quanto alle imperfezioni, l 'uomo vi cade ad ogni passo, se fissa la memoria in ciò che toccò, udì, vide, sentì e gustò. Per questo gli si attaccherà di certo qualche passione o di dolore, o di timore, ora di odio, ora di speranza vana o di vano gaudio o di vanagloria, ecc.: le quali cose, per lo meno, sono imperfezioni, e alle volte veri peccati veniali; e tutte imprimono sottilissimamente nell'anima molta impurezza, quantunque i discorsi e le notizie siano intorno a Dio. Che poi s'ingenerino vari appetiti, è anche manifesto perché essi nascono naturalmente dalle dette notizie e discorsi: il solo volerle è già un appetito. Così pure ben si vede che l'uomo formerà non pochi giudizi, perché non potrà fare a meno d'imbattersi facilmente con la memoria nei mali e nei beni altrui, intorno al che sovente pare bene il male, e male il bene. Credo che non vi sia nessuno che possa liberarsi da tutti i difetti suaccennati, se non accecando ed ottenebrando la memoria intorno a tutte le cose.

4 - Che se mi dicessi che l'uomo ben può liberarsi da tutte quelle miserie qualora gli sopravvengano, rispondo che è puramente impossibile che vi riesca del tutto, se fa caso a notizie; perché in queste s'insinuano mille imperfezioni e impertinenze [e cos e non per t inen t i , non

r i gua rd an t i l o scopo] , alcune delle quali tanto sottili che, senza che l'anima se ne accorga, le si appiccicano come la pece a chi la tocca; e quindi meglio si vince tutto in una volta, abnegando la memoria in ogni cosa. Dirai pure che l'anima si priva di molti buoni pensieri e delle considerazioni di Dio, che assai le giovano per ottenere grazie dal Signore. Rispondo che per ricevere grazie da Dio, molto più giova la purezza dello spirito, la quale consiste nel far sì che non gli si attacchi nessun affetto di creature né di cose temporali, e neppure di efficace attenzione ad esse. Intorno a ciò, sono di parere che grande è la facilità con cui l 'affetto di tali cose aderisce all'anima, per la imperfezione delle potenze stesse nelle loro operazioni: quindi è meglio imparare a ridurle al silenzio, affinché Dio solo parli. Per lo stato di unione, l'abbiamo già detto, le operazioni naturali si devono perdere di vista, e ciò avviene quando, come dice il Profeta, l 'anima si ritira in solitudine secondo le sue potenze, e Dio le parla al cuore (Os 2 , 14 ).

5 - E se tuttavia replicassi dicendo che, se la memoria non considera né discorre in Dio, l 'anima non possederà alcun bene e schiuderà l'adito a molte distrazioni e vanità, dico che se la memoria si raccoglie rispetto a tutte le cose celesti e terrene insieme, è impossibile che le distrazioni o altre impertinenze e difetti vi s'introducano, perché non v'è porta per cui possano entrare: piuttosto, queste cose sempre s'insinuano per divagazione della memoria. Seguirebbe il supposto inconveniente se, chiuso l'ingresso alle considerazioni e ai discorsi delle cose celesti, l'aprissimo alle cose di questo basso mondo, però noi qui chiudiamo l'entrata a tutte le cose che possono impedire l'unione divina e causare distrazioni, e facciamo in modo che la memoria rimanga tacita e muta, e che solamente l'udito dello spirito in silenzio dica a Dio col Profeta: Parla, Signore, che il tuo servo ascolta ( 1R e 3 , 10 ). E lo Sposo dei Cantici, volendo esprimere come doveva essere la sua Sposa, disse: La mia sorella è un orto chiuso e una fonte sigillata (C t 4 ,12 ): cioè rispetto a tutte le cose che vi possono entrare.

6 - L'anima, dunque, se ne stia pur chiusa, senza cura ed affanno, poiché Quegli che apparve corporalmente ai suoi discepoli a porte chiuse e diÈ loro la pace senza che essi sapessero in qual modo ciò fosse potuto accadere, entrerà spiritualmente nell'anima, senza che ella operi o sappia come, purché tenga le porte delle sue tre potenze (memoria, intelletto, volontà) chiuse a tutte le apprensioni. Egli la riempirà di pace, anzi farà discendere su di lei, come dice il Profeta, un fiume di pace ( I s 48 , 18 ), con la quale le toglierà tutti i turbamenti e le tenebre e i dubbi che la facevano temere che fosse o andasse

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perduta. L'anima preghi con perseveranza e aspetti in nudità e vuoto di spirito, che non tarderà il suo bene.

3S CAPITOLO 4

SECONDO DANNO CHE SOVRASTA ALL'ANIMA DA PARTE DEL DEMONIO, PER VIA DELLE APPRENSIONI NATURALI DELLA MEMORIA

1 - Il secondo danno positivo che sovrasta a cagione delle notizie della memoria, è da parte del demonio, il quale ha facile accesso all'anima per questa via, perché può aggiungere nuove forme, notizie e discorsi, per mezzo di cui la incita alla superbia, all 'avarizia, all'invidia, le ispira odio ingiusto, amor vano, e l' inganna in molte altre maniere. Inoltre, egli suole lasciare e imprimere le cose nella fantasia in modo tale, che quelle false appaiono per vere, e le vere per false. Insomma, tutti i maggiori inganni e mali che il demonio apporta all'anima, entrano per via delle notizie e dei discorsi della memoria. Al contrario, se questa si oscura in tutto e si annichila in oblio, chiude totalmente la porta a questo danno del demonio, liberandosi da tutte quelle miserie, il che è un bene grande. Il demonio non può niente sull'anima, se non mediante le operazioni delle potenze di essa, principalmente per mezzo delle notizie, perché da queste dipendono quasi tutte le operazioni delle altre potenze. Perciò se la memoria si annichila, il demonio non può nulla, perché non trova alcuna cosa a cui appigliarsi, e quindi, senza niente, niente può.

2 - Io vorrei che le persone spirituali riuscissero a capire bene quanti danni i demoni arrechino per mezzo della memoria alle anime che ne fanno molto uso: quante tristezze, afflizioni e gioie vane procurino loro, sia intorno a ciò che pensano di Dio, sia circa le cose del mondo; quante impurezze lascino radicate nel loro spirito, facendole distrarre assai dal sommo raccoglimento, che consiste nel fissare interamente l'anima, secondo le sue potenze, nel solo bene incomprensibile, distaccandola da tutte le cose apprensibili. Che se, per ipotesi, tale distacco non apportasse all'anima un massimo bene, qual è quello di stabilirla in Dio, il solo fatto di renderla immune da mille pene e molestie, oltre che da imperfezioni e peccati, è già senza dubbio un bene inestimabile.

3S CAPITOLO 5

TERZO DANNO CHE DERIVA ALL'ANINA DALLE NOTIZIE DISTINTE NATURALI DELLA MEMORIA

1 - Il terzo danno in cui l'anima può incorrere per via delle apprensioni naturali della memoria è privativo, in quanto che le possono impedire il bene morale e privarla di quello spirituale. Prima di dire in qual modo queste apprensioni impediscano all'anima il bene morale, è da sapere che questo consiste nel tenere a freno le passioni e gli appetiti disordinati, dal che l'anima ottiene grande tranquillità, pace e riposo, e le virtù morali, che sono il bene morale. Ma ella non potrà reggere davvero il freno, senza dimenticare e allontanare da sé le cose da cui le affezioni hanno origine; né mai le sopravvengono turbamenti, se non dalle apprensioni della memoria. Dimenticate tutte le cose, non v'è chi turbi la pace ed ecciti gli appetiti: ed invero, come suol dirsi, il cuore non desidera ciò che l'occhio non vede.

2 - Sappiamo per esperienza che, ogni volta che l'anima si mette a pensare a qualche cosa, resta, o poco o molto, mossa e alterata circa quella cosa, a seconda dell'apprensione: se questa è grave e molesta, ne riporta afflizione; se gradevole, gioia e desiderio. Di necessità, quindi, deve nascere turbamento dalla varietà delle apprensioni, di modo che l'anima sperimenta ora gaudio, ora tristezza, ora odio, ora amore: perseverare sempre ad un modo (il che è effetto della tranquillità morale) non può, se non quando procura di obliare tutte le cose. Dunque è manifesto che le notizie impediscono molto all'anima il bene delle virtù morali,

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3 - Che poi la memoria ingombrata di notizie impedisca anche il bene spirituale, si prova chiaramente da ciò che abbiamo detto. L’anima alterata, che non ha stabilità di bene morale, non è capace, in quanto tale, del bene spirituale, che non s'imprime se non nell'anima pacifica e tranquilla. Di più, l 'anima fa caso delle apprensioni della memoria, stante che non può prestare attenzione a più di una cosa, se si applica a cose apprensibili, come sono le notizie della memoria, non è possibile che resti libera per l 'incomprensibile, che è Dio. Affinché l'anima giunga a Dio, deve andare non comprendendo, piuttosto che comprendendo: ciò che è mutevole e comprensibile, deve cedere il posto al bene immutabile e incomprensibile.

3S CAPITOLO 6

VANTAGGI CHE L'ANIMA RITRAE DALL'OBLIO E VUOTO DI TUTTI I PENSIERI E NOTIZIE CHE PUÒ AVERE NATURALMENTE CIRCA LA MEMORIA

1 - Dai suddetti danni che derivano all'anima dalle apprensioni della memoria, possiamo anche inferire gli opposti vantaggi che provengono dal dimenticarsi e vuotarsi di esse; poiché, come dicono i filosofi, la stessa dottrina che serve per un contrario, serve anche per l'altro. Orbene, in opposizione al primo danno, l 'anima gode pace e tranquillità di spirito, perché è immune dal turbamento e dall'alterazione che traggono origine dai pensieri e dalle notizie della memoria; e per conseguenza gode purezza di coscienza, ciò che più importa, ed è la migliore disposizione per la sapienza umana e divina e per la virtù.

2 - Contrariamente al secondo danno, l'anima si libera da molte suggestioni, tentazioni e movimenti, che per mezzo dei pensieri e delle notizie il demonio le insinua, facendola cadere in molte imperfezioni e peccati, secondo il detto di Davide: Pensarono e dissero cose inique (S al 72 ,8 ) . Quindi tolti di mezzo i pensieri, il demonio non sa con quali armi combattere lo spirito naturalmente.

3 - Evitando il terzo danno, l 'anima si trova disposta, mediante il raccoglimento e l'oblio di tutte le cose, ad esser mossa e ammaestrata dallo Spirito Santo, il quale, come dice il Savio: si tiene lontano dai pensieri che sono fuori di ragione [che non hanno motivo di esistere].1 Ma quand'anche per mezzo del vuoto della memoria l'uomo non ritraesse altro profitto che liberarsi dalle pene e dai turbamenti, ciò già sarebbe per lui un gran bene e guadagno: perché le angustie e gli affanni che nascono nell'anima dalle cose e dagli eventi avversi, niente giovano ad apprestare rimedio, anzi ordinariamente non fanno altro che aggravare le difficoltà e recare danno all'anima stessa. Per la qual cosa Davide ben a ragione disse: In verità ogni uomo si conturba invano. 2 È evidente che il turbarsi è sempre inutile, perché non apporta nessun vantaggio: perciò, benché tutto perisse e andasse in rovina, e tutte le cose accadessero a rovescio, sarebbe vano il turbarsi, poiché questo peggiora le condizioni, anziché rimediarvi. Tollerare tutto con equanimità tranquilla e pacifica, non solo giova all'anima per conseguire molti beni, ma anche perché nelle stesse avversità riesca meglio a giudicare ed a porre l'opportuno rimedio.

4 - Intorno a ciò che abbiamo detto, fanno molto a proposito queste parole di Salomone: Ho conosciuto che non v'è cosa migliore per l 'uomo, che rallegrarsi e fare il bene durante la sua vita (Qo 3 ,12 ) . Con queste parole ci fa capire che in tutti gli eventi, per quanto contrari, ci dobbiamo piuttosto rallegrare che affliggere, per non perdere quel bene che è maggiore di ogni prosperità, cioè la tranquillità e pace dell'animo in tutte le cose, sì prospere che avverse, accogliendole tutte alla stessa maniera. L'uomo non perderebbe mai la sua pace, se, non solo si dimenticasse delle notizie e deponesse ogni pensiero, ma anche si astenesse il più possibile dal vedere, dall'udire, dal trattare con gli altri [C f C au te l e e co ns ig l i ] . La nostra natura è tanto labile ed incostante che, per quanto siamo esercitati nel bene, a stento riusciremo a non imbatterci con la memoria in cose che

1 Sap 1,5.2 Sal 38,7.

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commuovono e alterano l'animo, che prima, non ricordandosi di esse, se ne stava calmo e sereno. Onde Geremia giustamente disse: Con la memoria mi ricorderò, e 1’anima mia si struggerà dentro di me dal dolore (Tren i 3 , 20 ).

3S CAPITOLO 7

TRATTA DEL SECONDO GENERE DI APPRENSIONI DELLA MEMORIA, CIOÈ DELLE APPRENSIONI IMMAGINARIE E NOTIZIE SOPRANNATURALI

1 - Sebbene nel primo genere di apprensioni naturali abbiamo dato insegnamento anche per quelle immaginarie, che sono naturali, conveniva fare la presente distinzione riguardante altre forme e notizie che la memoria in sé conserva, e che sono di cose soprannaturali, come ad esempio le visioni, le rivelazioni, le locuzioni e i sentimenti per via soprannaturale. Passate, che siano queste cose per l 'anima, ne suole restare impressa un'immagine, una forma o notizia, ora nell'anima, ora nella memoria o fantasia, alle volte con molta vivezza ed efficacia. Quindi, anche intorno a tali notizie, è necessario dare qualche avviso, perché non ingombrino la memoria, e non le impediscano l'unione con Dio in pura e perfetta speranza.

2 - Dico, dunque, che l'anima per conseguire questo bene, non deve mai fare riflessione sopra le cose chiare e distinte che in essa sono accadute per via soprannaturale, né conservare in sé le forme o figure o notizie di quelle; perché sempre dobbiamo partire da questo principio che, quanto più l'anima si appiglia a qualche apprensione naturale o soprannaturale, distinta e chiara, tanto minore capacità e disposizione in sé ritiene per entrare nell'abisso della fede, che assorbe tutto il resto. Come abbiamo detto, nessuna forma o notizia soprannaturale che può cadere nella memoria, è Dio; e di tutto ciò che non è Dio, l 'anima si deve vuotare per andare a Lui. Dunque, anche 1a memoria deve subito disfarsi di tutte le forme e notizie soprannaturali, per unirsi con Dio in speranza.

3 - Ed invero ogni possesso è contro la speranza, la quale, come dice S. Paolo, è di ciò che non si possiede (R m 8 ,24 ). Quindi è che, quanto più la memoria si spoglia, tanto più ha di speranza, e quanta più speranza possiede, tanto più partecipa dell'unione con Dio. Poiché, rispetto a Dio, quanto più l'anima spera, tanto di più ottiene, ed allora più spera, quando si spossessa di più; allorché poi si sarà perfettamente privata di ogni suo possesso, rimarrà col perfetto possesso di Dio in unione divina. Ma vi sono molti che non vogliono privare la loro memoria del gusto e della dolcezza che provano nelle notizie, e per questo non giungono al sommo possesso ed alla piena dolcezza, perché colui che non rinunzia a tutto ciò che possiede, non può essere discepolo di Cristo (L c 14 ,33 ) .

3S CAPITOLO 8

ENUMERA I DANNI CHE LE NOTIZIE DELLE COSE SOPRANNATURALI POSSONO CAGIONARE ALL 'ANIMA, SE ELLA FA RIFLESSIONE SU DI ESSE - DICE QUANTI SONO

1 - L'uomo spirituale si espone a cinque specie di danni, se si attacca e riflette alle notizie e forme impresse dalle cose che gli accadono per via soprannaturale.

2 - Primo: che molte volte s'inganna, scambiando una cosa per l 'altra. Secondo: che si trova nell'occasione prossima di cadere in qualche presunzione e vanità. Terzo: che il demonio ha molta opportunità per trarlo in inganno, per mezzo delle dette apprensioni. Quarto: che gli viene impedita l 'unione con Dio in speranza. Quinto: che il più delle volte giudica bassamente di Dio.

3 - Quanto al primo danno, è evidente che, se l 'uomo spirituale aderisce e riflette alle dette notizie e forme, erra molte volte nei suoi giudizi; perché come nessuno può sapere in modo perfetto le cose che passano naturalmente per la sua immaginazione, né può formarsene un completo e certo giudizio, così molto meno potrà, formarlo intorno alle cose soprannaturali, che sono sopra la nostra capacità e accadono di rado. Quindi molte

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volte taluno penserà che una cosa sia da Dio, mentre non è che parto della sua fantasia; altre volte crederà che sia da parte del demonio ciò che viene da Dio, o viceversa. Sovente anche gli rimarranno assai impresse forme e notizie di beni e di mali propri o altrui, e altre immagini che gli si rappresentano, e le stimerà per molto certe e vere, mentre non saranno che grandissime falsità; quelle vere poi, le giudicherà, per false, quantunque ciò, a mio parere, sia più sicuro, perché suole nascere da umiltà.

4 - Inoltre, quand'anche l'uomo non s'inganni circa la verità delle cose, può benissimo sbagliare nell'estimazione della quantità o qualità loro, pensando che quello che è poco, sia molto, o al contrario. Intorno alla qualità, potrà prendere abbaglio, giudicando ciò che ha nella sua immaginazione per questa o quella cosa, che invece non sarà tale, e quindi prenderà, come dice Isaia, le tenebre per la luce e la luce per le tenebre, l'amaro per dolce e il dolce per amaro ( I s 5 ,20 ) . Finalmente posto che indovini in una cosa, sarà ben difficile che non sbagli in un'altra, perché quantunque non voglia applicare la mente per giudicarne, basta solo che l'applichi in farne caso, per incontrare, almeno passivamente, qualche danno, se non di questa prima specie, almeno di qualcuna delle altre quattro di cui subito parleremo.

5 - Adunque, per non cadere in errore nel suo giudizio, la persona spirituale non lo eserciti per sapere che cosa sia ciò che ha e sente nel suo interno, non indaghi la natura della tale visione, notizia o sentimento. Non abbia neppure il desiderio di saper queste cose e non ne faccia conto se non per manifestarle al padre spirituale, che le insegnerà a vuotare la memoria da quelle apprensioni: perché tutto quanto esse sono in se stesse, niente conferisce all'amore di Dio, nemmeno quanto, il minimo atto di viva fede e speranza, emesso nella perfetta rinunzia di ogni cosa.

3S CAPITOLO 9

SECONDA SPECIE DI DANNI , CIOÈ PERICOLO DI CADERE IN VANA PRESUNZIONE E STIMA DI SE STESSO

1 - Le apprensioni soprannaturali della memoria sogliono essere alle persone di spirito anche di grande occasione a cadere in qualche presunzione o vanità, se ci badano e le stimano. Poiché, come è immune da questo vizio chi è privo delle suddette cose, non vedendo in sé di che possa presumere, così al contrario chi le ha, tiene sempre pronta l'occasione di credersi qualcosa di grande, vedendosi favorito di quelle comunicazioni soprannaturali. Difatti, quantunque gli uomini spirituali le possano attribuire solamente a Dio e gliene rendano le dovute grazie, reputandosene anzi indegni, con tutto ciò suole restare nel loro spirito una certa occulta compiacenza e stima, sì della cosa che di sé stessi, dal che senza accorgersene nasce in loro molta superbia spirituale.

2 - Ciò, tuttavia, essi potrebbero conoscere chiaramente dal disgusto che provano e dai modi scortesi che usano nel trattare con chi non loda il loro spirito, e non stima le grazie che hanno; come pure dalla invidiuzza che li morde, quando pensano o sentono dire che gli altri ricevono quegli stessi favori o migliori ancora. Tutto questo nasce da segreta stima e superbia, ed essi non giungono a persuadersi che forse vi stanno immersi fino agli occhi. Costoro pensano che basti una certa conoscenza della propria miseria, e che si possa essere in pari tempo pieni di occulta stima e soddisfazione di sé stessi, compiacendosi più del proprio spirito e dei beni spirituali propri che degli altri: come il Fariseo che ringraziava Dio di non essere come gli altri uomini, e di avere queste e quelle virtù, onde col pretesto di lodare il Signore peccava di vana compiacenza e presunzione ( Lc

18 , 11 - 12). Che se costoro non manifestano a parole i loro sentimenti come il Fariseo, li covano però abitualmente nello spirito; anzi alcuni giungono a tal punto di superbia da essere peggiori del demonio. Quando scoprono in sé alcune apprensioni e sentimenti devoti e soavi di Dio, a loro parere, restano più che soddisfatti e si credono di essere molto vicini a Dio, e che quelli che non li hanno, siano molto inferiori a loro, quindi li disprezzano come faceva il Fariseo verso il Pubblicano.

3 - Per sfuggire questo pestifero danno, abominevole agli occhi di Dio, hanno da considerare due cose. La prima, che la virtù non consiste nelle apprensioni e nei

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sentimenti di Dio, per quanto elevati siano, né in alcuna cosa che di questo genere possano in sé sperimentare; ma, al contrario, consiste in ciò che in sé non sentono, cioè in molta umiltà e disprezzo di sé e di tutte le loro cose, e nel godere che gli altri abbiano di loro lo stesso basso concetto, non desiderando mai di valere alcunché nell'opinione altrui.

4 - La seconda cosa cui devono riflettere è che tutte le visioni, rivelazioni e sentimenti del cielo, e quant'altro mai essi sapessero escogitare, non valgono tanto, quanto il più piccolo atto di umiltà. Questa virtù ha gli effetti della carità, la quale non stima e non cerca le proprie cose, ne pensa male se non di sé, e non pensa di sé alcun bene, ma degli altri. Dunque conviene che non si gonfino di superbia per le loro apprensioni soprannaturali, ma procurino di dimenticarle, per godere la libertà dello spirito.

3S CAPITOLO 10

TERZO DANNO , OSSIA QUELLO CHE PUÒ SUCCEDERE ALL 'ANIMA DA PARTE DEL DEMONIO, PER MEZZO DELLE APPRENSIONI IMMAGINARIE DELLA MEMORIA

1 - Da tutto ciò che abbiamo detto sopra, si deduce e si capisce chiaramente quanto danno possa accadere all'anima, per mezzo delle apprensioni soprannaturali, da parte del demonio. Questi, infatti, può rappresentare alla memoria e alla fantasia molte notizie e forme false, in modo che appaiano vere e buone, imprimendole per via di suggestione nello spirito e nel senso con molta efficacia e certezza, tanto che all'anima sembra che la cosa non sia altrimenti da quel che si fissa nella memoria; perché il demonio, trasfigurandosi in angelo di luce, le sembra luce. Non contento di ciò, anche nelle vere che sono da parte di Dio, può tentarla in varie maniere, muovendole disordinatamente gli appetiti e gli affetti, ora spirituali, ora sensitivi; perché, quando l'anima gode di tali apprensioni, il demonio assai facilmente le accresce gli appetiti e gli affetti e la fa cadere nel vizio di gola spirituale e in altri danni.

2 - Per meglio riuscire in questo intento, suole infondere gusto e diletto nel senso circa le cose stesse di Dio, affinché l'anima addolcita e attratta da quel sapore, si accechi e fissi l 'attenzione più nel sapore che nell'amore (o almeno non tanto nell'amore), e faccia più stima dell'apprensione che della nudità e del vuoto che si trovano nella fede, nella speranza e nell'amor di Dio: quindi, ingannandola a poco a poco, la fa credere molto facilmente alle sue falsità. All'anima cieca, la falsità non sembra falsità, il male non sembra male ecc., perché le tenebre paiono luce, e la luce tenebre, onde ella se n'esce in mille spropositi intorno alle cose, sia naturali sia morali e spirituali: insomma, ciò che era vino diventa aceto. Tutto questo le accade, perché da principio non rinunziò al gusto delle cose soprannaturali; del quale, siccome in principio era poco o non troppo cattivo, non se ne curò troppo e lo lasciò stare; ed esso crebbe come il grano di senapa in grande albero, poiché, come dicono, piccolo difetto in principio è grande in fine.

3 - Pertanto, per sfuggire il grave danno che le può provenire dal demonio, è molto necessario che l'anima non voglia compiacersi di quelle cose, altrimenti di sicuro andrà cadendo e accecandosi in quel diletto, perché questo, anche a prescindere dalle diaboliche insidie, per sé solo basta ad accecare l'anima: ciò che Davide ci fece intendere, quando disse: Forse nei miei diletti le tenebre mi accecheranno, ed avrò la notte per mia luce (Sa l

138 , 11 ).

3S CAPITOLO 11

OUARTO DANNO CHE PUÒ DERIVARE ALL 'ANIMA DALLE APPRENSIONI SOPRANNATURALI DISTINTE DELLA MEMORIA, CHE È QUELLO D 'IMPEDIRE L 'UNIONE

1 - Intorno a questo danno non v'è molto da aggiungere, avendolo già dichiarato abbastanza ad ogni passo in questo terzo libro, in cui abbiamo provato che l'anima ha da rinunziare ad ogni possesso della memoria, affinché venga ad unirsi con Dio in speranza: perché questa sia perfetta, la memoria non deve aver nulla che non sia Dio.

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Abbiamo detto pure che nessuna forma o figura o immagine, né altra notizia naturale o soprannaturale, terrena o celeste, che possa cadere nella memoria, è Dio, né qualcosa di simile a Lui, secondo quanto Davide insegna dicendo: Tra gli dèi, o Signore, non v'è alcuno che ti rassomigli (S al 85 ,8 ) .

2 - Quindi è che, se la memoria si appiglia a, qualcuna di dette cose, si frappone ostacolo nell'andare a Dio: primieramente, perché s'imbarazza; in secondo luogo, perché quanto più possiede, tanto meno spera. Dunque è necessario per l'anima il restarsene spoglia e dimentica di forme e notizie distinte di cose soprannaturali, per non impedire l'unione con Dio secondo la memoria, in perfetta speranza.

3S CAPITOLO 12

QUINTO DANNO CHE ALL 'ANIMA PUÒ ACCADERE NELLE APPRENSIONI IMMAGINARIE SOPRANNATURALI , CHE È QUELLO DI GIUDICARE BASSAMENTE E IMPROPRIAMENTE DI DIO

1 - Non minore degli altri è il quinto danno che succede all'anima, quando vuole ritenere nella memoria e immaginativa, le forme e le figure delle cose che soprannaturalmente le si comunicano, specialmente se vuole prenderle come mezzo per la divina unione; perché è cosa molto facile giudicare dell'essere divino meno degnamente e altamente di quel che conviene alla sua incomprensibilità. Ed invero, quantunque con la ragione e col giudizio l'anima non formi un espresso concetto che Dio sia somigliante a qualcuna di quelle apprensioni, tuttavia la stima stessa che fa di esse implica il non giudicare e sentire di Dio sì altamente come ci insegna la fede, la quale ci dice che Egli è l 'essere incomparabile ed incomprensibile. Infatti, oltre che l'anima toglie a Dio tutto ciò che ripone nelle creature, per mezzo della stima di quelle cose apprensibili avviene naturalmente nel suo interno una certa comparazione di esse con Dio, la quale non le permette di stimarlo come deve. Tutte le creature, ripeto, sia terrene che celesti, e tutte le notizie e le immagini distinte, naturali e soprannaturali, che possono cadere nelle potenze dell'anima, per sublimi che siano in questa vita, non hanno alcuna proporzione con l'essere divino, poiché Dio non cade sotto genere o specie, ma bensì le creature, come dicono i teologi; e l 'anima in questa vita mortale non è capace di ricevere chiaramente e distintamente, se non quello che cade sotto genere e specie. Onde S. Giovanni dice che nessuno ha mai veduto Dio (Gv 1,1 8) ; e Isaia afferma che non ascese in cuore di uomo l'idea di quello che Dio è (I s 64 ,4 ); e il Signore stesso disse a Mosè che non lo avrebbe potuto vedere nella presente vita (E s 33 ,20 ) . Pertanto, colui che imbarazza la memoria e le altre potenze dell'anima con ciò che esse possono comprendere, non può stimare Dio e sentire di lui come deve.

2 - Portiamo una semplice e bassa comparazione. È evidente che, quanto più alcuno posasse gli occhi sui servitori del re, e più li considerasse, tanto meno caso farebbe di lui, e tanto meno lo stimerebbe. E benché questo minor apprezzamento non proceda formalmente e distintamente dall'intelletto, lo si trova però nel fatto, giacché quanto più quegli bada ai servi, tanto più trascura il suo signore; e perciò sembrandogli i servi qualche cosa di fronte al monarca, non lo apprezza troppo altamente. Così appunto l'anima si comporta col suo Dio, quando fa caso delle sopraddette cose. Questa comparazione, peraltro, è molto bassa, perché l'essere di Dio è ben diverso dalle sue creature, da tutte le quali dista infinitamente. L'anima, quindi, deve perderle tutte di vista, e in nessuna loro forma posare gli occhi, al fine di fissarli in Dio con fede e speranza perfetta.

3 -:Coloro che non solo fanno caso delle dette apprensioni immaginarie, ma pensano che Dio sia simile a qualcuno di esse, e che per loro mezzo potranno giungere all'unione con Dio, la sbagliano di grosso: ché essi andranno perdendo sempre più la luce della fede nell'intelletto, per mezzo della quale questa potenza consegue l'unione divina, e di più non toccheranno le sublimi altezze della speranza, per cui mezzo la memoria si unisce con Dio, il che non si ottiene che distaccandosi da tutto ciò che è immaginario.

3S CAPITOLO 13

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UTILITÀ CHE L 'ANIMA TRAE ALLONTANANDO DA SÉ LE APPRENSIONI DELLA IMMAGINATIVA - RISPONDE AD UNA OBIEZIONE E DICHIARA LA DIFFERENZA CHE ESISTE TRA LE APPRENSIONI IMMAGINARIE ,

NATURALI E SOPRANNATURALI

1 - Le utilità che si ricavano dal vuotare l'immaginativa dalle forme immaginarie ben si possono dedurre dai cinque danni surriferiti, che accadono all'anima quando le stima e in sé le conserva. Ma v'è di più un altro grande vantaggio, ed è la quiete e il riposo dello spirito. Difatti, oltre che l'anima naturalmente già gode la quiete per l 'assenza d'immagini e di forme, si libera anche dalla preoccupazione di pensare se siano buone o cattive, e come debba comportarsi nelle une e nelle altre; risparmia tempo e fatica, che invece perderebbe inutilmente con i maestri spirituali, se volesse che questi le esaminassero e dessero un giudizio sulla loro natura e bontà: ciò che non v'è affatto bisogno di sapere, perché il non far caso di nessuna immagine è più che sufficiente. Quel tempo che l'anima sciuperebbe in vane ricerche e consulte, lo può benissimo impiegare in altro migliore e più utile esercizio, cioè in quello della volontà in ordine a Dio, e nell'attendere all'acquisto della nudità e della povertà spirituale e sensitiva, che consiste nel sincero desiderio di andar priva di ogni appoggio, e conforto apprensivo, sì interiore che esteriore. L'anima praticherà bene tale esercizio, quando vorrà e procurerà di staccarsi da quelle immagini: da ciò ricaverà un profitto immenso, qual è quello di accostarsi a Dio (che non ha immagine né forma né figura) a misura che ella si alienerà da tutte le figure e forme immaginarie.

2 - Ma taluno mi dirà: molte persone spirituali danno per consiglio alle anime che si giovino delle comunicazioni e dei sentimenti di Dio, e vogliano da Lui riceverne a fine di avere di che offrigli, stante che noi non possiamo dargli cosa alcuna, se Egli prima non ce la dona. Di più S. Paolo dice: Non vogliate spegnere lo spirito (1Ts 5 ,1 9) . E lo Sposo dei Cantici dice alla Sposa: Ponimi come sigillo sopra il tuo cuore, come sigillo sopra il tuo braccio (C t 8 ,6 ): il che implica già una qualche apprensione. Tutto questo, secondo la suesposta dottrina, non solo non si dovrebbe procurare, ma quand'anche Dio ce lo mandasse, si dovrebbe rifiutare e sfuggire; mentre è evidente che giacché Dio lo dona, sarà per nostro bene e produrrà buon effetto. Inoltre, dobbiamo guardarci dal mandare a male le gemme preziose: e poi è una certa specie di superbia non voler gradire le grazie di Dio, come se, facendone senza, potessimo bastare a noi stessi.

3 - Per rispondere a questa obiezione, occorre riferirsi a quanto abbiamo detto nei capitoli quindicesimo e sedicesimo del secondo libro dove si soddisfa in gran parte a questo dubbio. Ivi, infatti, dicemmo che il bene che ridonda nell'anima dalle apprensioni soprannaturali quando sono buone, si opera passivamente nell'anima nel medesimo istante che al senso si rappresentano, senza che le potenze facciano da parte loro alcuna operazione. Onde non occorre che la volontà faccia un atto positivo di ammetterle; perché se l'anima allora mette in esercizio le sue potenze, anziché ricavare qualche profitto dall'opera propria, impedisce con la sua operazione bassa e naturale l 'effetto soprannaturale, che per mezzo delle apprensioni Dio produce in lei. Piuttosto, come passivamente le viene dato lo spirito di quelle apprensioni immaginarie, così pure ella passivamente si deve comportare in esse, senza aggiungervi affatto le sue interiori o esteriori operazioni. Orbene, ciò appunto è accettare e custodire i sentimenti di Dio, perché, regolandosi in tal modo, l'anima non li perde con la sua bassa maniera di operare. Questo anche non è estinguere lo spirito; laddove sarebbe spegnerlo, se l 'anima volesse accoglierlo in modo diverso da quello voluto da Dio: il che farebbe, se mentre riceve passivamente lo spirito da Lui, come avviene in queste apprensioni, ella invece volesse comportarsi attivamente, operando in esse con l'intelletto e con la volontà. E ciò è chiaro, perché se l'anima allora vuole agire per forza, la sua opera non potrà essere se non semplicemente naturale: dal canto suo non può di più, perché non si può muovere alle opere soprannaturali, se Dio non la muove. Quindi, se l 'anima in quel mentre da parte sua si sforza di operare, per quanto sta in lei necessariamente impedisce con la sua opera attiva quella passiva, cioè lo spirito che Dio le sta comunicando, perché si pone nella propria operazione che è di altro genere e infinitamente più bassa di quella che Dio le partecipa: questa è passiva e soprannaturale, mentre quella dell'anima è attiva e naturale. Questo, sì, sarebbe estinguere lo spirito.

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4 - Che poi l 'azione dell'anima sia più bassa è anche manifesto: poiché le sue potenze, secondo la loro naturale capacità, non possono riflettere ed operare se non circa qualche forma, figura e immagine; ma questa non è che la corteccia e un accidente della sostanza e dello spirito che sotto vi si contengono. Questa sostanza, questo spirito non si uniscono con le potenze dell'anima in una vera intelligenza e amore, se non quando ella cessa di agire con le medesime; perché il fine della divina comunicazione non è se non che l'anima riceva la sostanza intesa e amata di quelle forme. Onde la differenza che passa tra l'operazione attiva e la passiva (con il relativo vantaggio di quest'ultima) è quella che v'è tra ciò che si sta facendo e ciò che è già fatto, ovvero tra ciò che si vuole conseguire e ottenere e ciò che già si è ottenuto. Dal che anche si deduce che se l'anima impiega, attivamente, le sue potenze nelle apprensioni soprannaturali, il cui spirito Dio le infonde passivamente, avviene che essa lascia ciò che è fatto per tornare a farlo, e quindi non gode del già fatto, anzi con le sue azioni non fa altro che impedirlo; poiché le operazioni delle sue potenze non possono giungere di propria virtù allo spirito che Dio dona all'anima senza il loro esercizio. Allora sì, che lo spirito infuso da Dio per mezzo delle apprensioni soprannaturali si spegnerebbe direttamente, quando l'anima le stimasse. È necessario, dunque, che non se ne curi e si comporti in esse passivamente e negativamente. Così facendo, Dio la muoverà più di quello che essa non potrebbe o saprebbe fare. Per questo il Profeta disse: Starò in piedi al mio posto di guardia, e fermerò il passo sopra la mia fortificazione, per vedere ciò che mi si dirà (Ab 2 ,1 ) . Come se dicesse: starò in alto, a guardia delle mie potenze, e non darò un passo avanti nelle mie operazioni; e così potrò contemplare ciò che mi sarà detto, ossia intenderò e gusterò quel che mi verrà comunicato soprannaturalmente.

5 - In quanto poi alle parole dello Sposo dei Cantici, citate nell'obiezione, s'intendono dell'amore che egli chiede alla Sposa, il quale amore ha la proprietà di rendere gli amanti simili l'uno all'altro. E perciò egli le dice che lo ponga nel suo cuore come segno (C t 8 ,6 ), dove tutte le frecce della faretra di amore, cioè le azioni e i motivi amorosi vadano a colpire; affinché, divenuto loro bersaglio, tutte siano dirette a lui, e quindi l 'anima gli rassomigli per amore sino a trasformarsi in lui. Le dice inoltre che lo ponga come segno sul suo braccio, perché in questo risiede l'esercizio dell'amore, e con esso si pasce e si diletta dell'Amato.

6 - Pertanto, rispetto a tutte le apprensioni che vengono dall'alto, sì immaginarie che di qualunque altro genere, siano visioni o locuzioni o sentimenti o rivelazioni, l 'anima non badi alla lettera e alla corteccia (ossia a ciò che dette cose rappresentano o significano), ma stia attenta soltanto a custodire l'amore di Dio che esse interiormente producono. Non faccia caso dei sentimenti di gusto e di dolcezza che ne potrebbe ricavare, ma solo dei sentimenti di amore che ne riporta. Ben potrà, però, alcune volte rammentarsi dell'immagine o apprensione che le produsse amore, ma solamente a fine di ridestare nello spirito motivi di amore. Perocché il ricordo dell'immagine, quantunque non produca un effetto così efficace com'essa lo cagionò allorché fu comunicata, tuttavia rinnova l'amore, e solleva la mente in Dio, specialmente quando il ricordo si riferisce ad alcune immagini, figure e sentimenti soprannaturali, che s'imprimono nell'anima in modo tale che non si cancellano mai più, o almeno durano per lungo tempo. Le apprensioni che lasciano sì profonda traccia generano nell'anima divini effetti di amore di soavità e di luce, ora più ora meno; ché a tale scopo le furono impresse. Questa è una grazia grande, e chi l 'ottiene dal Signore può dire che in sé racchiuda una miniera di beni.

7 - Le figure che cagionano tali effetti stanno scolpite vivamente nell'anima, e non sono come le altre immagini e forme che si conservano nella fantasia; quindi l 'anima non ha bisogno di ricorrere a questa potenza quando si vuole rammentare di loro, perché le vede in se stessa come in uno specchio. Quando un'anima avrà in sé formalmente le dette figure, ben potrà ricordarsene per procurare l'effetto di amore di cui ho parlato; perché non le faranno ostacolo all'unione di amore in fede, a patto che non voglia immergersi nella figura, ma profittare dell'amore lasciando subito l'immagine; e questa anzi le sarà di aiuto.

8 - Difficilmente si può conoscere quando le immagini sono impresse nell'anima, e quando nella fantasia, perché quelle della fantasia sogliono essere molto frequenti. Difatti, alcuni

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hanno ordinariamente nella immaginazione e fantasia visioni immaginarie, che si rappresentano loro alla stessa maniera con grande frequenza, o perché essi hanno l'organo tanto apprensivo che, per poco che pensino, subito la tale figura ordinaria si disegna nell'immaginazione; o perché il demonio le introduce in essi, o anche perché Dio le rappresenta loro, ma senza che s'imprimano formalmente nell’anima. Tuttavia la provenienza delle immagini si può conoscere dai loro effetti, perché quelle che sono naturali o da parte del demonio, per quanto si ricordino, non producono alcun buon effetto, né rinnovazione di spirito, ma lasciano arido chi le mira. Invece le buone, richiamate alla memoria, generano qualche buon effetto simile a quello che produssero la prima volta. Però le immagini formali, cioè quelle che s'imprimono nell'anima, quando sono rammentate, producono sempre qualche effetto.

9 - Chi ha provato quest'ultime distinguerà facilmente le une dalle altre, perché la differenza è molto evidente per chi ne ha fatto esperienza. Solo aggiungo che quelle che s'imprimono formalmente nell'anima in modo durevole, accadono più di rado. Ma, di qualunque specie siano, è bene che l'anima non voglia intendere niente, ma solamente Dio, per mezzo della fede, nella speranza. Quanto all'altro punto dell'obiezione, che cioè sembra superbia rifiutare queste cose se sono buone, dico che anzi è prudente umiltà approfittare di esse nel modo migliore che abbiamo indicato, e dirigersi per la via più sicura.

3S CAPITOLO 14

LE NOTIZIE SPIRITUALI IN OUANTO POSSONO CADERE NELLA MEMORIA

1 - Abbiamo posto le notizie spirituali come terzo genere di apprensioni della memoria, non perché appartengano, come le precedenti, al senso corporeo della fantasia, stante che non hanno immagine e forma corporea, ma in quanto cadono sotto la reminiscenza e memoria spirituale . Perocché, dopo che l'anima ha ricevuto qualcuna di esse, può ricordarsene quando vuole; e ciò non per mezzo di un'effigie o immagine che l'apprensione abbia lasciata nel senso corporeo, perché questo come tale non ha affatto capacità per le forme spirituali; ma perché l'anima intellettualmente e spiritualmente se ne ricorda, mediante la forma che le lasciò impressa di sé la quale pure è forma o notizia, ovvero immagine spirituale o formale, per mezzo di cui, o per l 'effetto prodotto da essa, l 'anima si rammenta. Perciò pongo queste apprensioni tra quelle della memoria, benché non appartengano alla fantasia.

2 - Quali siano queste notizie, e come l'anima si debba regolare in esse per andare all’unione di Dio, è stato detto a sufficienza nel capitolo ventiquattresimo del secondo libro, dove trattandole come apprensioni dell'intelletto, dicemmo che erano di due specie: le une, notizie di perfezioni increate; le altre, notizie di sole creature. In quanto poi al modo in cui la memoria si deve comportare intorno ad esse per incamminarsi all 'unione divina, ripeto ciò che ho detto nel capitolo precedente a proposito delle formali (del qual genere sono anche queste, se riguardano cose create), ossia che qualora le facciano buon effetto, può ricordarsene pure, non già per volerle in sé ritenere, ma per ravvivare l'amore e la notizia di Dio: però, se il ricordo non produce buon effetto, non le rievochi giammai. Ma in quanto alle notizie spirituali di cose increate, dico che procuri di rammentarsene tutte le volte che potrà, perché le produrranno grande effetto, essendo che, come dicemmo nel menzionato capitolo, sono tocchi e sentimenti di unione con Dio, la quale è il termine a cui vogliamo dirigere l'anima. Di questi tocchi divini la memoria si ricorda, non per via di qualche forma, immagine o figura che abbiano impressa nell'anima, perché essi non ne hanno, ma per l'effetto di luce, amore, diletto e rinnovamento spirituale che fecero in lei, e che si ripete in parte ogni volta che la memoria se ne rammenta.

3S CAPITOLO 15

MODO GENERALE CON CUI L 'UOMO SPIRITUALE DEVE REGOLARSI INTORNO ALLA MEMORIA

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1 - A conclusione dell'argomento intorno alla memoria, sarà opportuno suggerire il modo che la persona spirituale deve generalmente usare per unirsi a Dio, secondo questa potenza. Sebbene quanto abbiamo già detto a tal proposito sia chiaro abbastanza, tuttavia, riassumendolo si comprenderà più agevolmente. Ricapitolando, dunque, anzitutto dico che lo scopo a cui miriamo è che l'anima si unisca con Dio secondo la memoria, in speranza. Ciò premesso, è da notarsi che quello che si spera è ciò che ancora non si possiede, e che quanto meno si possiede di altre cose, tanto maggior capacità, e potenza vi è di sperare ciò che si spera, e per conseguenza la speranza è allora più perfetta. Al contrario, quanto più cose si possiedono, tanto minore è l'abilità e la capacità a sperare, e quindi la speranza è più imperfetta. Onde ne segue che, a misura che l'anima priverà la memoria del possesso di forme e ricordi che non riguardino Dio, la indirizzerà a Lui, e la terrà vuota per aspettarne da Lui la pienezza. Adunque, quello che l'uomo spirituale deve fare per vivere con intera e pura speranza in Dio, è che ogni volta che gli si presentano forme, notizie e immagini distinte, non ne faccia caso, ma con amoroso affetto volga subito l'anima a Dio in perfetto vuoto di ogni loro ricordo, senza pensarvi e riflettervi più di quanto la loro memoria basti per intendere e soddisfare ai propri doveri, qualora si tratti di cose d'obbligo: però, anche in questo caso, senza porre il proprio affetto e piacere in quelle notizie, affinché non lascino traccia di sé nell'anima. Non, diciamo, dunque, che l'uomo non debba pensare e rammentarsi di ciò che è tenuto a fare e sapere: purché non porti affetto di proprietà alle notizie, queste non gli arrecherebbero alcun detrimento. Giova qui richiamare alla mente i versi del Monte che abbiamo riportati nel capitolo decimoterzo del primo libro.

2 - Però sarà bene avvertire in questo punto che, nonostante ciò che abbiamo detto, non conveniamo, ne vogliamo convenire in questa nostra dottrina con quella di certi uomini pestiferi che, indotti dalla superbia e dall'invidia di Satana, vollero togliere agli occhi dei fedeli il santo e necessario uso e la devota venerazione delle immagini di Dio e dei Santi. Che anzi la nostra dottrina è molto diversa, perché qui non diciamo che non debbano esistere immagini e che non debbano essere venerate come quelli vorrebbero; ma mostriamo la differenza che corre tra esse e Dio, e vogliamo che le anime si servano delle immagini dipinte in modo tale, che non s'impediscano di andare al vivo col fermarsi in esse più di quello che si richiede per elevarsi alle cose spirituali. Poiché, se è vero che il mezzo è buono e necessario per il fine, come lo sono le immagini per ricordarci di Dio e dei Santi, nondimeno arrestarsi al mezzo più che per sola ragione di mezzo, disturba e impedisce come qualsiasi altra cosa non diretta al fine. Del resto, dove più io calco la mano è sulle immagini e sulle visioni soprannaturali, circa le quali accadono molti inganni e pericoli. Ma intorno alla memoria e alla venerazione e stima delle immagini che la Chiesa Cattolica ci propone, nessun inganno o pericolo vi può essere, poiché in esse non si stima altra cosa all'infuori di ciò che rappresentano; né il loro ricordo mancherà di essere molto utile all'anima, perché esso non si ritiene, se non per amore di ciò che richiamano alla mente. Che se l'anima intenderà questo. solo scopo, le immagini le saranno sempre di aiuto all'unione divina, purché liberamente voli, col celeste favore, dalla pittura al Dio vivo, nel perfetto oblio di tutte le creature e di ogni cosa di creature.

3S CAPITOLO 16

COMINCIA A TRATTARE DELLA NOTTE OSCURA DELLA VOLONTA - FA LA DISTINZIONE DEGLI AFFETTI DI DETTA POTENZA

1 - Abbiamo insegnato il modo di purgare l'intelletto e la memoria per fondare il primo nella virtù della fede, l'altra in quella della speranza. Orbene, non avremmo fatto nulla, se non purgassimo altresì la volontà in ordine alla terza virtù teologale, che è la carità, per la quale le opere fatte in fede sono vive e di gran valore, mentre nulla valgono senza di essa: poiché San Giacomo attesta che, senza le opere della carità, la fede è morta (Gc 2 . 20 ). Volendo ora trattare della notte e nudità attiva di detta potenza, per indirizzarla e formarla nella carità di Dio, non vediamo un testo scritturale più acconcio di quello che si legge nel Deuteronomio, dove Mosè dice: Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, e con tutta la tua anima e con tutte le tue forze (D t 6 ,5 ); nelle quali parole si contiene tutto

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ciò che l'uomo spirituale deve fare, e che io qui intendo insegnargli, affinché davvero giunga a Dio in unione di volontà per mezzo della carità. Per la virtù della carità si domanda all'uomo che impieghi in Dio tutte le potenze, gli appetiti, le operazioni e gli affetti dell'anima sua, di modo che tutta l'abilità e la forza dell'anima stessa non serva più che a questo fine, secondo ciò che Davide dice: Fortitudinem meam ad te custodiam» (Sa l 58 ,10 ) .

2 - Ora, la forza dell'anima consiste nelle sue potenze, passioni e appetiti, le quali cose sono tutte governate dalla volontà, e quando questa le indirizza a Dio e le toglie da tutto ciò che non è Lui, allora sì che veramente custodisce la fortezza dell'anima per Lui, e lo ama con tutta la sua forza. Ed affinché l'anima possa far questo, tratteremo qui di purgare la volontà dalle sue passioni disordinate, da cui derivano gli appetiti, gli affetti e le operazioni sregolate: cose tutte che fanno sì che l'anima non serbi intera la sua forza per il Signore. Le passioni sono quattro, cioè: il gaudio, la speranza, il dolore e il timore. Queste passioni solo allora indirizzano e custodiscono la forza e l'abilità dell'anima per il Signore, quando sono poste ragionevolmente in atto in ordine a Lui, di modo che l'anima non goda, se non di ciò che è puramente a onore e gloria di Dio, né abbia speranza di altra cosa fuori di Lui, né si dolga se non di ciò che gli spiace né tema altri che Lui solo. Invece, quanto più l'anima godrà in altra cosa, tanto meno fortemente il suo gaudio s'impiegherà in Dio; quanto più spererà altra cosa, tanto meno spererà in Dio, e così dicasi rispetto alle altre due passioni.

3 - Ma, a fine di esporre tutto il nostro pensiero sul presente argomento, tratteremo in particolare (com'è nostro costume) di ciascuna delle quattro passioni e degli appetiti della volontà; perché possiamo dire che tutto l'importantissimo affare dell'unione con Dio dipende dal purgare la volontà dalle sue affezioni e appetiti, acciocché la volontà da umana e bassa che era, venga ad essere volontà divina, e sia una medesima cosa con questa.

4 - Le quattro passioni dell'anima tanto più vi regnano e la combattono, quanto meno ella è forte in Dio e più propensa alle creature: perché allora con molta facilità gode di cose che non meritano gaudio, spera ciò che non è utile, si duole di ciò di cui forse dovrebbe rallegrarsi, e teme dove non v'è da temere.

5 -. Queste passioni, non tenute a freno, danno origine a tutti i vizi e imperfezioni dell'anima; quando invece sono ordinate e composte, generano le più belle virtù. Giova poi sapere che, a misura che una di esse si ordina e regola secondo ragione, anche le altre fanno lo stesso, perché sono tanto affratellate e unite tra loro, che dove attualmente va una, ci vanno virtualmente anche le altre, e se una torna indietro attualmente, pure le altre tre virtualmente retrocedono di pari passo. È evidente che, quando la volontà gode e si compiace di qualche cosa, in tale affetto s'include virtualmente altrettanto di speranza, di timore e di dolore: viceversa, a mano a mano che la volontà abbandona il gusto della cosa, anche il dolore, il timore, la speranza diminuiscono. La volontà con queste sue quattro passioni si può, in certo modo, paragonare alla figura di quei quattro animali che Ezechiele vide in un corpo solo, che aveva quattro facce; le ali di ogni animale erano unite a quelle dell'altro, e ciascuno si muoveva secondo la direzione della sua faccia, e camminando non si volgevano indietro (E z 1 ,8 - 9 ). Alla stessa maniera le ali di ciascuna delle quattro passioni sono sì unite a quelle di ciascuna delle altre, che dovunque l'una attualmente volga la sua faccia, cioè la sua operazione, di necessità le altre hanno da camminare con essa virtualmente; e quando una passione si abbasserà (come il citato testo prosegue a dire delle ali), tutte si abbasseranno, e quando si alzerà una, si alzeranno le altre: cioè dove andrà la speranza, là il gaudio, il timore e il dolore si porteranno; e al suo voltarsi, essi pure si volteranno: e così si dica di ognuna di queste quattro passioni.

6 - Qui devi avvertire che dovunque si troverà una di queste passioni, vi andrà anche tutta l’anima con la sua volontà e le altre potenze, e tutte vivranno schiave della tale passione; come pure le altre tre passioni saranno vive in quella, per affliggere e stringere l'anima con i loro vincoli, in modo da non permetterle di volare alla libera quiete della dolce contemplazione ed unione. E perciò ben giustamente Boezio dice che, chiunque voglia intendere la verità con chiarezza, bisogna che scacci da sé il gaudio, la

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speranza, il timore e il dolore ;3 perché fintanto che queste passioni regnano, non lasciano godere quella tranquillità e pace, che si richiede per conseguire la sapienza che naturalmente e soprannaturalmente si può ricevere.

3S CAPITOLO 17

COMINCIA A TRATTARE DELLA PRIMA AFFEZIONE DELLA VOLONTÀ - DICE CHE COSA È IL GAUDIO, E FA DISTINZIONE DELLE COSE DI CUI LA VOLONTÀ PUÒ GODERE

1 - La prima delle affezioni o passioni della volontà è il gaudio, il quale, in quanto a ciò che intendiamo dirne, non è altro che un contento nella volontà, congiunto a stima di qualche cosa che giudica a sé conveniente; perché mai la volontà gode, se non quando apprezza la cosa e questa le dà piacere. Questo avviene quando il gaudio è attivo, cioè allorché l'anima intende distintamente e chiaramente ciò che gode, ed è in suo potere il goderne o no. Ma vi è un altro gaudio, quello passivo, in cui la volontà può godere, senza intendere chiaramente (talvolta però anche intendendo) intorno a quale cosa versi il suo gaudio, e senza che dipenda da lei averlo o no; e di questo gaudio passivo tratteremo in seguito. Ora, invece, parleremo di quello attivo e volontario, di cose chiare e distinte.

2 - Il gaudio può nascere da sei generi di cose o beni, cioè: da beni temporali, naturali, sensibili, morali, soprannaturali e spirituali. Intorno a questi, e seguendo il loro ordine, dovremo mettere la volontà sotto la scorta della retta ragione, acciocché, del tutto libera di essi, riponga la forza del suo gaudio in Dio. A tale scopo conviene presupporre un principio, che sarà come il nostro bastone di appoggio, e occorre averlo ben capito perché è la luce che ci sarà di guida e il maestro che ci farà comprendere la presente dottrina e indirizzare in quei beni il nostro gaudio a Dio. E il principio o fondamento è questo: che la volontà non deve godere se non soltanto di quello che torna a onore e gloria di Dio, e che il maggior onore che gli possiamo rendere è servirlo secondo la perfezione evangelica. All'infuori di ciò, tutto è di nessun valore e di nessun profitto per l'uomo.

3S CAPITOLO 18

TRATTA DEL GAUDIO CIRCA I BENI TEMPORALI - SI SPIEGA COME IL GODIMENTO DI QUESTI SI DEBBA INDIRIZZARE A DIO

1 - Il primo genere di beni a cui abbiamo accennato sono i beni temporali, per i quali qui intendiamo le ricchezze, le dignità, gli uffici e le altre preminenze, i figli, i parenti, i matrimoni ecc.: cose tutte di cui la volontà; può godere. Ma, quanto sia vano che l'uomo si rallegri delle ricchezze, dei titoli, dei gradi, delle cariche e di altre cose simili, cui suole tanto aspirare, è manifesto. Poiché, se l'uomo con essere più ricco, servisse di più a Dio, potrebbe godere delle ricchezze; ma queste, al contrario, gli sono occasione di offenderlo, come insegna il Savio dicendo: Figlio, se sei ricco, non sarai libero da peccato (S i r 11 , 10 ). Ed invero, quantunque i beni temporali di per sé non inducano necessariamente a peccare, tuttavia il più delle volte il cuore dell'uomo, tanta è la sua debolezza, vi si attacca con disordinato affetto e abbandona Dio: e in tale abbandono consiste precisamente il peccato, e per questo il Savio dice che il ricco non sarà libero da esso. Per la stessa ragione Nostro Signore nel Vangelo chiamò spine le ricchezze per farci intendere che chi le tocca con la volontà resterà ferito da qualche peccato (M t 13 ,22 ; Lc 8 , 14 ) . E in S. Matteo afferma che coloro che hanno ricchezze, cioè l'affetto ad esse [C f 1S 3 , 4], difficilmente entreranno nel regno dei Cieli (M t 19 ,23 ): con le quali parole ci mostra il grave pericolo a cui l 'uomo si espone e, per conseguenza, quanto sia necessario distaccare il cuore dal godimento delle ricchezze. Anche Davide, appunto per farci evitare quel danno gravissimo, ci suggerisce: Quando le ricchezze abbondassero, non vogliate riporvi il vostro cuore ( Sal 61 ,11 ) . Ma non voglio addurre tante testimonianze scritturali in cosa sì chiara.

3 De consolatione philosophie 1.1, m 7: ML 63,656-658.

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2 - Non la finirei più adesso, se a proposito delle ricchezze volessi soltanto riferire tutto il male che Salomone ne dice nell'Ecclesiaste. Egli, fornito d'immensa sapienza, non meno che di ricchezze, poté dare un retto giudizio sulla loro natura. Ebbene, asserisce che tutto quanto vi è sotto il sole è vanità delle vanità, afflizione di spirito, e inutile sollecitudine dell'animo (Qo 1 ,14 ); che colui il quale ama le ricchezze, non ne ricaverà alcun frutto (Qo 5 ,9 ): che le ricchezze sono accumulate a danno del loro padrone . E per rapporto a ciò, anche nel Vangelo si legge che quel tale che si rallegrava di aver messo in serbo copiosi beni per molti anni, udì dal Cielo una voce che gli disse: Stolto, questa notte chiameranno l'anima tua a rendere conto; e ciò che hai ammassato, di chi sarà? (L c 12 ,2 0 ) . E finalmente Davide c'insegna la vanità delle ricchezze, esortandoci a non portare invidia al nostro vicino quando si fosse arricchito, ché ciò niente gli gioverà per l 'altra vita (S al 48 ,17 - 18); facendoci implicitamente capire che piuttosto dovremmo compatirlo.

3 - Da quanto sopra, dunque, ne segue che l'uomo non deve rallegrarsi che egli stesso abbia ricchezze, né che il suo fratello le possieda, salvo che con esse maggiormente servano a Dio. Se v'è ragione per cui è permesso di compiacersene, ciò sarebbe quando si spendono ed impiegano nel servizio di Dio, ché altrimenti da esse non può ricavarsi altro profitto. Lo stesso si deve dire rispetto agli altri beni di titoli onorifici ecc. ecc., dei quali è vano che l'uomo si rallegri, se in essi non serve di più al Signore e non batte un più sicuro cammino per la vita eterna. Ora, poiché l'uomo non può sapere se veramente serve di più a Dio, sarebbe da stolto rallegrarsi di quelle cose con animo deliberato, perché un tal gaudio non può essere ragionevole. Il Signore dice che: Niente giova all'uomo l'acquisto di tutto il mondo se l'anima ne soffre detrimento (M t 16 ,26 ). Non v'è, dunque, di che compiacersi, se non si serve di più a Dio.

4 - Inoltre, nemmeno dei figli v'è da rallegrarsi che siano molti o forniti di grazie naturali o di beni di fortuna, ma solamente se servono al Signore. Ad esempio: né la bellezza, né la ricchezza, né l'alto lignaggio fecero sì che Assalonne, figlio di Davide, servisse a Dio (R e 14 , 25 ); e quindi sarebbe stato vano per Davide il compiacersi di un figlio simile. Pertanto vana cosa è anche il desiderare figli, come alcuni fanno, i quali, per la brama di averne, riempiono il mondo di lamenti, mentre non possono sapere se i figli saranno buoni e veri servi di Dio, se quel contento che da essi sperano si convertirà in dolore, e se il conforto, la consolazione e l'onore che se ne ripromettono, si muteranno in amarezza, tribolazione e disonore. Infine, non sanno se i figli saranno per loro occasione di maggiormente offendere il Signore, come purtroppo avviene a molti: dei quali Cristo Nostro Signore disse che scorrono per mare e per terra per arricchirli e renderli figli di perdizione il doppio di quel che essi furono (M t 23 ,15 ).

5 - Benché tutte le cose arridano all'uomo e vadano a seconda, egli se ne deve, intimorire piuttosto che rallegrare, perché in tale prosperità cresce l'occasione e il pericolo di dimenticare Dio. E perciò Salomone diffidando dell'apparente felicità, dice nell'Ecclesiaste: Il riso lo giudicai errore, e al gaudio dissi: Perché vanamente t'inganni? (Q o 2 ,2 ). Come se dicesse: Quando tutte le cose mi erano favorevoli, ebbi per errore e inganno il compiacermene; perché senza dubbio è grande l’errore e l’insipienza di colui che gioisce delle cose che appaiono liete e ridenti, mentre non sa di certo se gliene segua alcun bene eterno. Il cuore dello stolto, dice il Savio, sta dov'è l 'allegria, ma quello del sapiente dov'è la mestizia (Qo 7 ,5 ) . La vana allegrezza acceca il cuore e non permette di ben considerare le cose, ma la tristezza apre gli occhi e fa ponderare il danno o l'utile di esse. Ond'è che, come pure il medesimo dice: È meglio la severità che il riso (Qo 7 ,4); è preferibile visitare la casa del lutto e del pianto che quella del convito, perché nella prima, dice il Savio, si rammemora il fine di tutti gli uomini ( Qo 7 , 3 ).

6 - Inoltre, sarebbe anche vanità rallegrarsi della moglie o del marito, quando i coniugi chiaramente non sanno se servono meglio a Dio nel loro stato; anzi devono piuttosto confondersi, essendo che il matrimonio, secondo il detto di S. Paolo, è cagione che gli sposi, avendo posto ciascuno il cuore nell'altro, non lo ripongano interamente in Dio. Perciò l'apostolo dice: Se ti trovi sciolto da moglie, non cercarla; ma se già l 'hai, conviene che ciò sia con tanta libertà di cuore, come se non l'avessi (1C or 7 ,27 ) . Il che, insieme a ciò che abbiamo detto dei beni temporali, egli c'insegna con queste parole: Questo dunque vi

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dico, fratelli, che il tempo è breve, quel che ci resta da fare è che coloro che hanno moglie, siano come quelli che non l'hanno; e quelli che piangono, come quelli che non piangono; e quelli che sono contenti, come coloro che non lo sono; e quei che comprano, come quelli che non possiedono; e coloro che usano di questo mondo, come quelli che non ne usano (1C or 7 , 29 - 31 ). E tutto questo per farci intendere che riporre il gaudio in altra cosa all'infuori di ciò che concerne il servizio di Dio, è cosa vana e di nessun profitto; perché il gaudio che non è secondo Dio, non può riuscire a bene dell'anima.

3S CAPITOLO 19

DANNI CHE POSSONO SUCCEDERE ALL 'ANIMA DAL RIPORRE IL GAUDIO NEI BENI TEMPORALI

1 - Se avessimo da enumerare tutti i danni che sovrastano all'anima quando ripone l'affetto della volontà nei beni temporali, non ci basterebbe né carta né inchiostro, e ci mancherebbe il tempo per farlo. Poiché da mali leggerissimi si può giungere a grandi mali e alla distruzione di grandi beni: come da una scintilla che non si spenga, si possono sviluppare spaventosi incendi, tali da bruciare il mondo intero. Tutti questi danni hanno la loro origine e radice in un danno privativo principale prodotto dal gaudio, cioè l'allontanamento da Dio. Infatti, come l'anima accostandosi a Lui con l'affetto della volontà, consegue tutti i beni; così allontanandosene per affetto alle creature, incorre in tutti i danni e mali, a seconda della misura del gaudio e dell'affetto, con cui a quelle si unisce, il che è separarsi da Dio. Quindi, secondo che ciascuno si allontana più o meno da Dio, incorre in danni maggiori o minori per numero o per intensità, o come il più spesso accade, per l'uno e l'altra insieme.

2 - Questo danno privativo, da cui nascono tutti gli altri e privativi e positivi, ha quattro gradi, uno peggiore dell'altro: quando poi l 'anima arriverà al quarto, sarà giunta a tutti i danni e mali che si possono riferire in tal caso. Mosè nel Deuteronomio nota molto bene questi quattro gradi, dicendo : Il diletto si ingrassò e si volse indietro; essendosi impinguato e dilatato, lasciò il suo Creatore, e si allontanò da Dio che è sua salvezza (D t

32 , 15 ).

3 - L'impinguarsi dell'anima, che prima era amata, è l'ingolfarsi nel gaudio delle creature: di qui proviene il primo grado del menzionato danno che consiste nel volgersi indietro. Ciò non è altro che un'ottusità di mente intorno a Dio, la quale le oscura i beni divini, come la nebbia impedisce che l'aria sia bene rischiarata dalla luce del sole. Poiché, per il fatto stesso che l'uomo spirituale pose il suo gaudio e lasciò la briglia all'appetito in frivole cose, si ottenebra intorno a Dio e offusca la chiara intelligenza del proprio giudizio, secondo che lo Spirito Divino insegna nel libro della Sapienza dicendo: Il fascino, la falsa apparenza della vanità oscura i beni, e l 'incostanza della concupiscenza perverte il senso e il cuore sincero (S ap 4 ,12) . Dove lo Spirito Santo ci fa intendere che, quantunque nell'anima non vi sia stata una precedente malizia concepita nella mente, solo la concupiscenza e il piacere delle cose terrene basta per creare in lei il primo grado del danno, cioè l'ottusità dell'intelletto e l'oscuramento del giudizio, e le impediscono d’intendere bene la verità e di giudicare le cose come sono.

4 - L'uomo, per quanto santo e dotato di retto criterio, non può non incorrere in questo danno, se dà luogo alla concupiscenza e al godimento delle cose temporali. E per questo il Signore, per mezzo di Mosè, volle avvisarci dicendo: Non ricevere doni, perché accecano perfino i prudenti (E s 23 .8 ); le quali parole erano dirette particolarmente a quelli che sostenevano, l 'officio di giudici; costoro infatti debbono mantenere il discernimento limpido e sereno, che di certo non avrebbero, se fossero mossi da cupidigia e gaudio di donativi. Inoltre, Dio comandò allo stesso Mosè di designare per giudici coloro che aborrissero l'avarizia, perché non si offuscasse il loro giudizio per il gusto e la brama di possedere (E s 18 ,21 - 22). E ben si avverta che il Signore non dice di eleggere giudici che soltanto non amino l'avarizia, ma che l'aborriscano; perché, per difenderci perfettamente dalla passione dell'amore, bisogna che l'uomo vi opponga l'odio, che è la passione contraria. La causa, quindi, per cui il Profeta Samuele fu sempre un giudice

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molto retto e illuminato, è perché (come leggiamo nel primo libro dei Re) di sé poté affermare di non avere accettato mai regali da nessuno (1R e 12 . 3 ).

5 - Il secondo grado del danno privativo scaturisce dal primo, ed è espresso da queste parole che seguono nel riferito testo: S'impinguò e dilatò (D t 32 ,15 ) . Quindi il secondo grado significa dilatazione della volontà che, divenuta ormai più libera nelle cose temporali, non fa più tanto caso e non si prende troppa pena delle mancanze, né crede che sia poi un gran che il compiacersi e gustare dei beni creati. Questo succede perché l'anima dapprima allentò le briglie al piacere, e volentieri lo accolse; di poi andò a poco a poco impinguandosi con esso, e per tale pinguedine di piacere e di appetito, la volontà le si dilatò e si distese sempre più nelle creature. Da ciò gravi danni derivano all'anima: poiché questo secondo grado la fa allontanare dalle cose di Dio e dagli esercizi devoti, non le fa più trovare in onesti il sapore di prima, poiché ella ormai si compiace di altre cose e si rende schiava di mille imperfezioni, impertinenze, gioie e vani piaceri.

6 - Quando poi questo secondo grado sia compiuto e consumato, fa sì che l'uomo abbandoni totalmente i continui esercizi devoti che frequentava, e che , ogni suo pensiero ed affetto si rivolga alle cose del secolo. Coloro che si trovano in questo grado, non solo hanno oscuro, il giudizio e l'intelletto nel conoscere le verità e la giustizia come quelli che stanno nel primo, ma sono anche molto fiacchi, tiepidi e noncuranti di saperle e metterle in pratica, secondo che Isaia dice di loro con queste parole: Tutti amano i regali e vanno dietro alle ricompense, e non giudicano a favore del pupillo, e la causa della vedova non trova accesso presso di loro perché la difendano ( I s 1 ,23 ): il che non accade senza loro colpa, specialmente quando per ufficio sono obbligati . Quindi, quelli che si trovano nel secondo grado non sono immuni da malizia come quelli del primo; anzi si allontanano dal sentiero della giustizia e della virtù, perché sempre più vanno infiammando la volontà nell’affetto delle creature. Pertanto la caratteristica propria di coloro che appartengono a questo grado è una grande tiepidezza nelle cose spirituali, che compiono assai malamente, e più per convenienza o per abitudine o per forza, che non per motivo di amore.

7 - Il terzo grado del danno privativo è lasciare Dio del tutto, cioè non curarsi di osservare la sua santa legge, per non rinunziare alle vanità del mondo, sdrucciolando così in peccati mortali per troppa cupidigia. Questo terzo grado si rileva da ciò che segue nel testo riportato che dice: Lasciò Dio, suo Creatore (D t 32 ,15 ) . In esso si trovano tutti coloro, che hanno le potenze dell'anima tanto immerse nelle cose del mondo e nelle sue ricchezze ed amicizie, che non si danno alcun pensiero di adempiere ciò a cui sono obbligati dalla legge di Dio. Vivono in grande dimenticanza e torpore circa quello che concerne la loro eterna salvezza, mentre hanno grande vivacità e ricercatezza per le cose mondane: tanto che Cristo nel Vangelo li chiama figli di questo secolo, e di essi dice che sono più prudenti e accorti nei loro affari che non i figli della luce nei propri (L c 16 ,18 ) . Insomma nelle cose di Dio sono niente, e in quelle del mondo sono tutto. Alla classe di costoro sono da ascriversi propriamente gli avari, i quali hanno già tanto radicato e diffuso l'appetito e il gaudio nelle cose create, e con brame sì intense, che non si vedono mai soddisfatti; anzi la loro sete tanto più cresce, quanto più sono lontani dalla fonte che sola potrebbe dissetarli, cioè da Dio. Di essi Dio stesso dice per Geremia: Abbandonarono me, che sono la fonte di acqua viva, e si scavarono cisterne che gemono e non possono contenere acqua (Ge r 2 ,13 ) . Ciò accade, nel senso che gli avari non trovano nelle creature con che estinguere la loro sete, bensì con che aumentarla; per amore dei beni temporali cadono in mille sorta di peccati e in mali senza numero. Onde Davide dice di costoro che: «Tansierunt in affectum cordis» (Sa l 72 ,7 ): Si diedero in balìa degli affetti del loro cuore.

8 - Il quarto grado del danno privativo si nota nell'ultima parte del testo ricordato dove si dice: E si allontanò da Dio che è sua salvezza; e ciò è necessaria conseguenza del grado, precedente. Poiché, non badando affatto a riporre il suo cuore nella legge divina, per amore dei beni temporali, l 'anima dell 'avaro si allontana immensamente da Dio, secondo la memoria, l 'intelletto e la volontà, o si dimentica di Lui come se non fosse il suo Dio, perché ha scelto come suoi dèi il denaro e i beni terreni, secondo il pensiero di S. Paolo il quale asserisce che l'avarizia è una servitù degli idoli (C ol 3 ,5 ). Ed infatti nel quarto grado l'uomo giunge sino all'assoluta dimenticanza di Dio; e mentre avrebbe

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dovuto stabilire formalmente il suo cuore in Lui, lo ripone formalmente nel denaro, come se non esistesse altro Dio.

9 - Sono da ascriversi a questo grado tutti quelli che non hanno scrupolo di far servire le cose divine e soprannaturali alle temporali come a loro dèi, mentre, com'è di ragione, dovrebbero indirizzare quest'ultime a Dio. Del numero di costoro fu l'empio Balaam che vendeva il dono di profezia conferitogli da Dio (Num 22 ,7 ); come pure Simon Mago, il quale voleva comprare la grazia di Dio, pensando che essa potesse valutarsi a prezzo di danaro (A t 8 ,18 - 19); dal che si vede che egli stimava di più il danaro, poiché gli sembrava possibile che vi fosse chi lo preferisse in cambio della grazia. Anche oggidì non mancano coloro che, accecati dalla sete del lucro, in molti modi e con speciose ragioni servono al denaro e non a Dio, si muovono per il denaro e non per Dio, antepongono il prezzo temporale al valore e al premio divino, costituendo come loro principale dio e fine il denaro, preferendolo all'ultimo fine che è Dio.

10 - In quest'ultimo grado sono pure inclusi tutti quei miserabili che, perdutamente innamorati dei beni caduchi, a tal segno li considerano per loro dio che non dubitano di sacrificargli la propria vita, quando vedono che questo loro idolo soffre dello scapito; non di rado si disperano, tanto che giungono per fini indegni a darsi la morte, mostrando in se stessi il triste guiderdone che da un tal dio si può aspettare. Ed invero, niente v'è da sperare da lui, se non disperazione e morte. Coloro poi che non sono trascinati a questo estremo, li fa vivere morendo, nell'ansia di mille sollecitudini e affanni; non permette che alcun raggio di gioia penetri nel loro spirito, né che la luce di alcun bene risplenda loro sulla terra: di modo che essi, penando per il denaro, gli pagano sempre il tributo del proprio cuore che ad esso uniscono per affetto, a loro estrema rovina di giusta perdizione, come ci avverte il Savio, dicendo che le ricchezze sono accumulate a danno del loro padrone (Qo 5 ,12 ) .

11 - Infine, a questo quarto grado appartengono quelli di cui S. Paolo dice che: «Tradidit illos Deus in reprobum sensum» (R m 1 ,28 ); perché, quando l'uomo ripone l'ultimo suo fine nel possesso dei beni di quaggiù, il piacere lo trascina sino al punto di essere da Dio abbandonato al reprobo senso. Ma, prescindendo da questo danno gravissimo, sono ben da compiangere anche coloro a cui il piacere apporta un danno minore, perché è sempre vero che li fa assai indietreggiare sulla via di Dio. Pertanto, come dice Davide: Non temere quando l'uomo si sarà arricchito; cioè: non invidiarlo, quasi che ti sia superiore, poiché, morto che sia, non porterà nulla con sé, e la sua gloria e il suo gaudio non scenderanno con lui (S al 48 ,17 - 18).

3S CAPITOLO 20

VANTAGGI CHE L 'ANIMA RIPORTA NEL SEPARARSI DAL GAUDIO DELLE COSE TEMPORALI

1 - La persona spirituale deve molto stare in guardia, affinché il cuore e il gaudio non le si comincino ad attaccare alle cose temporali, per tema che di grado in grado venga, a sdrucciolare in un abisso di mali. Poiché, dal poco si passa al molto, e da ciò che è leggero inconveniente sul principio, ne segue un grave danno alla fine, come una scintilla basta ad incendiare un monte e tutto il mondo. Non si fidi mai della piccolezza dell'attacco, ma lo tronchi subito, né s'illuda di poterlo fare in appresso; poiché, se al principiar dell'affetto, così piccolo allora, non ha la forza e il coraggio di reprimerlo, come può sperare di riuscirvi, quando quello sarà grande ed avrà messo più profonde radici? Tanto più poi che Nostro Signore nel Vangelo dice: Chi è fedele nel poco, lo sarà anche nel molto (L c 16 ,10 ) . Chi evita il poco, non cadrà nel molto; ed anche nel poco vi è gran danno, perché già è stata oltrepassata la porta del cuore; e, come dice il proverbio, chi comincia, è alla metà dell'opera. Per il che Davide ci ammonisce dicendo che, quantunque le ricchezze abbondino, non vi attacchiamo il cuore (S al 61 ,11 ) .

2 - Che se l'uomo non volesse indursi a far ciò per amore del suo Dio e per l'obbligo della cristiana perfezione, almeno per i vantaggi temporali che ne seguono, oltre quelli spirituali, avrebbe da emancipare perfettamente il suo cuore da ogni gaudio

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intorno ai beni terreni. Infatti, non solo l'uomo si libera dai pestiferi danni che abbiamo riferiti nel precedente capitolo, ma di più, lasciando il piacere dei beni temporali, acquista la virtù della liberalità, che è uno dei principali attributi di Dio, e che in nessun modo può coesistere con la cupidigia. Oltre a questo, ottiene libertà di animo, chiarezza d'intelletto, calma, tranquillità, pacifica confidenza in Dio, culto vero e ossequio della volontà verso di Lui. Di più, con l’espropriarsi delle creature, ritrova in esse maggior piacere e sollievo, che invece non può godere se le mira con affetto di proprietà, essendo questo una grave sollecitudine che, come laccio, lega lo spirito alla terra e non gli concede larghezza di cuore. Più ancora: nel distacco delle cose l'uomo spirituale giunge ad averne una chiara notizia per bene intendere, sì naturalmente che soprannaturalmente, le verità intorno ad esse. Quindi le gode con suo gran profitto e molto differentemente da chi sta attaccato ad esse col senso: poiché quello le gusta secondo la loro verità, questi secondo la loro menzogna; quello, secondo la sostanza, questi secondo l'apparenza. Difatti il senso giunge a percepire soltanto gli accidenti, l 'esteriore delle cose, mentre lo spirito sereno, libero da nubi di specie accidentali, penetra l 'intimo valore, la verità delle cose, la quale è il suo oggetto. Il gaudio, come nebbia, offusca il giudizio, perché non può esservi godimento volontario di creature senza atto volontario di proprietà; così pure, considerato sotto l'aspetto di passione, il gaudio non può darsi senza che vi sia proprietà abituale nel cuore: mentre la rinunzia del gaudio lascia il giudizio chiaro e limpido, come l'aria quando i vapori si dileguano.

3 - Adunque l'uomo spirituale, non avendo il gaudio applicato alle cose, le gode tutte , come se tutte le possedesse; chi invece le guarda con particolare affetto di proprietà, perde il gusto di tutte in generale. Il primo non avendo alcuna cosa in cuore, possiede secondo il detto di S. Paolo, tutte le cose con grande libertà (2C or 6 ,10 ); l 'altro, ritenendo parte di esse con attacco di volontà, non ne possiede alcuna, anzi esse possiedono il suo cuore, che geme sotto la loro schiavitù. Per la qual cosa, quanti godimenti ricerca nelle creature, altrettante pene ed affanni deve necessariamente soffrire nel suo cuore attaccato e posseduto insieme. Chi ha l'animo libero e sciolto, non è molestato da cure e pensieri, né durante l'orazione né fuori di essa, e quindi senza perdere tempo compie agevolmente molto bene spirituale; al contrario, l 'opera di chi nutre affetto alle cose mondane, tutta si riduce in girare e rigirare intorno al laccio cui è avvinto il suo cuore, di modo che, anche usando diligenza, a stento egli se ne può liberare per breve tempo. Pertanto, la persona spirituale deve reprimere subito i primi movimenti del gaudio verso le creature, e si ricordi del principio dal quale partiamo, che cioè non v'è nulla di cui attorno debba godere, eccetto che nel servire Dio, e nel procurare la sua gloria e il suo onore in tutte le cose, indirizzandole solamente a tal fine; si guardi in esse dalla vanità, e non vi cerchi il proprio gusto e la propria consolazione.

4 - Nel distaccare il gaudio dalle creature vi è un’altra utilità grandissima, ed è che il cuore resta libero per il Signore, il che è principio dispositivo per tutte le grazie che ci possiamo ripromettere da Lui: senza questa disposizione Egli non ce le concede. Sono tali i suoi favori che, per un gaudio solo a cui rinunziamo per suo amore e per la perfezione evangelica, ci darà, il cento per uno anche in questa vita, come Egli stesso nel Vangelo ci ha promesso (M t 1 9,2 9). Ma, quand'anche non ci avessimo il nostro interesse, dovremmo ugualmente spegnere nel nostro cuore il gaudio delle creature, solo per il disgusto che con esse si dà alla Maestà Divina. Tale disgusto, si rileva dal Vangelo, dove leggiamo che solo perché, quel ricco si rallegrava di aver riposti abbondanti beni per molti anni, Dio si sdegnò tanto che gli disse che in quella stessa notte l 'anima sua sarebbe stata chiamata al rendimento dei conti (L c 1 2,2 0) . Onde dobbiamo credere che ogni volta che vanamente ci rallegriamo, Dio ci stia preparando qualche castigo e boccone amaro secondo il nostro merito, e talvolta una pena cento volte maggiore del piacere provato. Perocché, quantunque nell'Apocalisse S. Giovanni dica a proposito di Babilonia (Ap 18 ,7 ): Che quanto aveva goduto ed era stata in delizie, altrettanto le dessero di tormento e di pianto; tuttavia ciò non vuol dire che la pena non sarà maggiore del godimento, ché anzi sarà proprio così, che per brevi piaceri s’infliggeranno eterni tormenti; ma per farci intendere che nessuna colpa resterà senza il suo particolare castigo, poiché Colui che punirà una semplice parola oziosa, non la perdonerà di certo al gaudio vano.

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2S CAPITOLO 21

SI DICHIARA CHE È VANO RIPORRE IL GAUDIO DELLA VOLONTÀ NEI BENI NATURALI , E COME CI DOBBIAMO INDIRIZZARE A DIO PER MEZZO DI ESSI

1 - Per beni naturali qui intendiamo la bellezza, la grazia, la gentilezza, la buona complessione e tutte le altre doti corporali; e similmente, nell'anima, un intelletto pronto, il discernimento, con tutte le altre qualità che appartengono alla ragione. Orbene, che l’uomo si compiaccia perché o lui o i suoi cari siano forniti di questi doni, senza rendere grazie a Dio che li ha dati per essere più conosciuto e amato, che l'uomo, dico, goda per il solo fatto di averli , è una vanità e un inganno, come lo attesta Salomone dicendo: Ingannevole è la grazia, e vana la bellezza; colei che teme Dio, sarà lodata (P ro 31 , 30 ). Le quali parole c'insegnano che l'uomo deve piuttosto temere di questi doni naturali, perché per mezzo di essi può facilmente intiepidirsi nell'amore di Dio e, tratto in inganno, cadere in vanità; e perciò il testo afferma che la grazia del corpo è ingannatrice, perché tende insidie all'uomo nel suo cammino e lo trascina a ciò che non è lecito, per vana compiacenza di sé o di chi va adorno di tal grazia. Dice ancora che la bellezza è vana, perché fa peccare l'uomo in molti modi quando la stima e se ne compiace, laddove soltanto si deve rallegrare, se lui o altri per mezzo di essa servono maggiormente il Signore. Deve piuttosto temere che le sue doti e grazie naturali possano essere probabilmente causa che Dio resti offeso, o perché vanamente ne presume, o perché vi fissa l'attenzione con affetto disordinato. Per la qual cosa chi avesse tali doni, non ne faccia ostentazione, ma usi ogni cautela e guardi bene dal porgere occasione che altri allontani di un apice il cuore da Dio. Perocché queste grazie e doti naturali talmente provocano al male, sì chi le possiede come chi le mira, che a mala pena si troverà chi non resti col cuore preso dai loro sottili lacci e dalla pania loro. Onde, per tema di ciò, molte persone spirituali con vive istanze ottennero da Dio di essere sfigurate, per non essere causa occasionale a sé o ad altri di qualche vano affetto e compiacenza.

2 - La persona spirituale, dunque, purghi e oscuri la sua volontà dal gaudio vano dei beni naturali. Avverta che la bellezza e tutte le altre doti naturali sono terra, e che da questa vengono e ad essa ritornano: che la grazia e la leggiadria sono fumo e vento, e per tali deve stimarle, per non cadere in vanità. In tutte queste cose indirizzi il cuore a Dio con gaudio e allegrezza, al pensiero che Egli è in sé tutte le bellezze e le grazie in grado eminentissimo e infinito, al disopra di tutte le creature, le quali, come dice Davide: Come vestimenta s'invecchieranno e passeranno, mentre Dio solo rimane immutabile per sempre (S al 101 ,27 ) . Pertanto, se in tutte le cose l'uomo non volgerà a Dio il suo gaudio, questo sarà sempre fallace, ché tale lo chiamò Salomone dove dice: Al gaudio dissi: perché ti lasci illudere invano? (Qo 2 ,2 ) . Il che avviene quando il cuore dell'uomo si lascia trascinare dalle creature.

3S CAPITOLO 22

DANNI CHE DERIVANO ALL 'ANIMA DAL RIPORRE IL GAUDIO DELLA VOLONTA NEI BENI NATURALI

1 - Sebbene molti dei danni e dei vantaggi che vado enumerando in questi generi di godimenti siano comuni a tutti [i beni], poiché sono conseguenza diretta del godimento o del suo spogliamento, e il godimento appartenga a ciascuno di questi sei generi [c l a ss i ] di cui sto trattando; per questa ragione di ogni genere di godimento dirò di alcuni danni e dei vantaggi che si trovano anche negli altri generi, in quanto sono connessi con il godimento comune a tutti. Si avverta, però, che il mio principale intento è di enumerare i particolari danni e i vantaggi che provengono all’anima in rapporto a ciascuna cosa in quanto goduta o non goduta; chiamo particolari quelli che principalmente e immediatamente traggono origine dal tale genere di gaudio, mentre da un altro non derivano se non mediatamente e in via secondaria. Porto un esempio. Il danno della tiepidezza di spirito è causato direttamente da qualsiasi genere di gaudio, e perciò è comune a tutti i sei generi; invece la sensualità è un danno particolare che nasce direttamente soltanto dal gaudio dei beni naturali di cui ora stiamo parlando.

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2 - Adunque, i danni spirituali e corporali che direttamente ed effettivamente provengono all'anima dal compiacersi nei beni naturali, si riducono a sei principali: il primo è vanagloria, presunzione, superbia, e anche disistima del prossimo, perché quando alcuno ferma eccessivamente lo sguardo dell'estimazione in una cosa, non può non distoglierlo da tutte le altre. Dal che ne segue, per lo meno, un reale e, quasi direi, negativo disprezzo di queste; perché naturalmente, ponendo la stima in una cosa, il cuore si ritira dalle altre per stabilirsi in quella che apprezza. Quindi dalla disistima reale è molto facile cadere in quella intenzionale e volontaria di alcune altre, o in particolare o in generale; la quale spesso dal cuore passa a rivelarsi nelle parole, col dire ad esempio: questa persona o cosa non è come quella, e altre frasi simili. Il secondo danno consiste nell'eccitare il senso a compiacenza e diletto sensuale, cioè alla lussuria. Il terzo è il cadere in adulazione e varie lodi, il che è grande inganno e vanità, conforme al detto d'Isaia: Popolo mio, chi ti loda, t 'inganna ( I s 3 ,12 ) . La ragione è che, quantunque alle volte l 'uomo dica il vero lodando la grazia e la bellezza, tuttavia è un miracolo che la sua lode non sia accompagnata da qualche danno, o perché egli porge occasione alla persona lodata di compiacersi vanamente, ovvero perché indirizza a lei i suoi affetti e le sue intenzioni imperfette. Il quarto è un danno generale che consiste nel rendere molto ottusa la ragione e il senso dello spirito, lo stesso come nel gaudio dei beni temporali, ed anche in certo modo assai di più. Poiché, essendo i beni naturali più congiunti all’uomo che non i temporali, il loro piacere fa impressione con maggiore efficacia e prestezza, e lascia un’orma più profonda nel senso e più fortemente lo incanta: quindi i1 giudizio della ragione non resta libero, ma ottenebrato da quella affezione di piacere tanto congiunto. Di qui nasce il quinto danno, che è la distrazione della mente nelle creature, e da ciò deriva la tiepidezza e il languore di spirito, che è sesto il danno, generale anch’esso, che suole giungere al punto di apportare gran tedio e tristezza nelle cose di Dio, e perfino il loro aborrimento. Nel gaudio dei beni naturali si perde infallibilmente lo spirito puro, per lo meno al principio. Poiché, se pur si sente qualche spirito, sarà molto sensibile e grossolano, poco spirituale, poco interiore e raccolto, e consisterà più in gusto sensibile che in forza di spirito. Ed invero, se l 'animo è tanto basso e fiacco da non estinguere in sé l'abito di quel gaudio (ché per non avere lo spirito puro basta quest'abito imperfetto, ancorché offrendosi l 'occasione, non si consenta agli atti del gaudio), si può dire che l’uomo vive in certo modo più nella debolezza del senso che nella forza dello spirito. Di ciò egli si avvedrà dalla perfezione e fortezza che avrà nei tristi incontri; che, sebbene non nego che possa avere molte virtù con assai imperfezioni, nondimeno se il gaudio non è perfettamente estinto, lo spirito interiore non potrà essere né puro né squisito, perché ancora regna la carne che combatte contro lo spirito, e benché questo non si accorga del danno, patisce per lo meno occulta distrazione.

3 - Tornando a parlare del secondo danno, che ne contiene in sé altri innumerevoli, è impossibile descrivere o esprimere a parole, ma è peraltro cosa chiara e manifesta a qual estremo esso giunga, e quante sventure nascano dal gaudio riposto nella grazia e nella bellezza naturale. Difatti, per tal cagione, ogni giorno si contano tanti morti, tanti onori perduti, tanti insulti e oltraggi, tanti patrimoni dissipati, tante emulazioni e contese, tanti adulteri e stupri e fornicazioni, e tanti santi abbattuti al suolo, paragonabili alla terza parte delle stelle cadute dal cielo, trascinate e precipitate in terra dalla coda del serpente (Ap 12 ,4 ) . Si vede l'oro fino, che, perduto il suo pregio e splendore, è gettato nel fango; e gli incliti nobili di Sion, che si rivestivano di oro purissimo, sono stimati per vasi di fango infranti (Tren 4 , 1 -2 ). Fin dove non arriva il veleno di questo danno?

4 - E chi è mai che non beva poco o molto di questo calice dorato che la donna babilonica dell'Apocalisse appresta? Seduta su quella gran bestia dalle sette teste e dieci corna (Ap

17 , 3 ), ella fa intendere che a stento si trova persona, di alta o bassa condizione, santa o peccatrice che sia, a cui non dia a bere del suo vino, assoggettandone il cuore in qualche cosa: poiché, come di lei sta scritto, tutti i re della terra furono inebriati dal vino della sua prostituzione. Abbraccia ogni stato sociale, perfino quello supremo e nobilissimo del santuario e del divin sacerdozio, posando il suo abominevole vaso, dice Daniele, nel luogo santo (Dn 9 ,27 ): a malapena risparmia uomo sì forte, cui non porga a bere più o meno il suo calice, il vino del vano piacere. Per questo si dice che tutti i re della terra furono inebriati di questo vino, perché ben pochi si troveranno che, per quanto santi, non siano rimasti un po’ confusi e travolti dalla trista bevanda del godimento della bellezza dei vezzi naturali.

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5 - E si noti che il testo dice che i re s'inebriarono: poiché, per poco che se ne beva, il vino del piacere immediatamente s'impossessa del cuore, lo istupidisce, e la ragione ne resta oscurata come avviene agli ebbri del vino. Tanto grande è il danno che, se contro questo veleno non si prende subito qualche rimedio per cacciarlo fuori al più presto, la vita dell'anima corre grave pericolo. Perocché la debolezza spirituale, aumentando sempre più, ridurrà l'anima a sì misero stato da poter essere paragonata a Sansone, a cui furono cavati gli occhi e tagliati i capelli della sua primitiva forza; e prima la si vedrà macinare nel mulino, prigioniera tra i suoi nemici, e dopo forse morire della morte seconda, come quegli morì della prima insieme ai nemici. Questi sono i danni che la bevanda del piacere le produrrà spiritualmente, come a Sansone li cagionò corporalmente, e li cagiona anche oggi a moltissimi. Dopo i suoi nemici le si faranno innanzi dicendo, non senza gran confusione: Sei tu che rompevi i lacci triplicati, e smascellavi i leoni, e uccidevi migliaia di Filistei, scardinavi le porte, e ti liberali da tutti i tuoi nemici!

6 - Concludiamo, dunque, indicando il necessario rimedio contro il suddetto veleno. E. il rimedio sia questo: appena il cuore si sente muovere dal gaudio dei beni naturali, l 'uomo spirituale si ricordi che rallegrarsi di altra cosa che di servire a Dio, non è solo vano, ma anche pericoloso e pernicioso. Consideri quanto danno portò agli Angeli il godere e compiacersi della loro bellezza e beni naturali, perché per questo appunto precipitarono negli abissi infernali; come pure quanti mali ogni giorno avvengono agli uomini, per la stessa vanità. Si animi, quindi, a seguire in tempo il consiglio che il Poeta suggerisce a quei che cominciano ad affezionarsi al piacere: Affrettatevi ad applicare l'opportuno rimedio fin dal principio, perché quando i mali avranno avuto tempo d'ingigantire nel cuore, troppo tardi verrà il rimedio e la medicina (Ov id io , R emed . Am or. I I , 91 ) . Non mirare il vino, dice il Savio, quando rosseggia, quando il suo bel colore risplende nel vetro: entra piacevolmente, ma infine qual serpente morde, e spande il suo veleno come il basilisco (P ro

23 ,31 - 32).

3S CAPITOLO 23

VANTAGGI CHE L 'ANIMA RICAVA DAL NON PORRE IL GAUDIO NEI BENI NATURALI

1 - Molti sono i vantaggi che l'anima riporta, distaccando il suo cuore dal gaudio di cui parliamo. Infatti, oltre che ella così si dispose all'amor di Dio e alle altre virtù, fa luogo direttamente all'umiltà e alla carità verso il prossimo ingenerale. Poiché, non affezionandosi ad alcuno in vista dei beni naturali apparenti e ingannatori, l 'anima resta libera per amare tutti ragionevolmente e spiritualmente, come Dio vuole che siano amati. Dal che si deduce che nessuno merita amor se non per la virtù che in lui risiede: e amare in questo modo è amare secondo Dio, e con molta libertà. Che se mai si prova un certo attaccamento, ciò non è senza maggiore attaccamento a Dio, perché quanto più cresce l'amore del prossimo, tanto più cresce quello di Dio, e viceversa, avendo l'uno e l'altro amore uno stesso fondamento, una stessa causa motiva.

2 - Un altro eccellente vantaggio è che l'anima compie e osserva con perfezione il consiglio del nostro Salvatore che in S. Matteo dice: Colui che vorrà seguirmi, rinneghi se stesso (M t 16 ,24 ): il che l'anima non potrebbe fare in alcun modo, se riponesse il gaudio nei suoi doni naturali; poiché chi fa alcun caso di sé, non si rinnega, né segue Cristo.

3 - Inoltre, il rinunciare a tal genere di gaudio apporta un altro non minore profitto, ed è che causa nell'anima grande tranquillità, discaccia le distrazioni, raccoglie i sensi, specialmente la vista. Ed invero, se l 'anima non vuol godere delle doti naturali, neppure vorrà mirarle né applicarvi gli altri sensi, per non essere attratta e irretita da esse, né vorrà perdervi tempo e pensieri, imitando così la serpe prudente che si tura le orecchie per non udire gli incanto e per non riceverne alcuna impressione (S a l 57 ,5 ) . Col custodire le porte dell'anima, che sono sensi, sicuramente si custodisce ed aumenta la sua pace e purezza.

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4 - Coloro poi che sono già innanzi nella mortificazione dell'anzidetto genere di gaudio ritraggono un'altra utilità rilevante, ed è che gli oggetti e le notizie disdicevoli non producono loro impressioni e moti impuri, come accade invece a quei che ancora trovano alcunché di piacere in quelle cose. Quindi, dalla rinuncia e della mortificazione di questo gaudio, l 'uomo spirituale riporta una grande limpidezza di spirito e di senso, va acquistando una angelica convenienza con Dio, e rende la sua anima e il suo corpo degno tempio dello Spirito Santo. Ma non potrà raggiungere tale limpidezza, finché il suo cuore si compiace dei beni e delle grazie naturali. Perché l'anima e il senso non siano puri, non è necessario il consenso e la memoria di cose turpi, ma basta il piacere della notizia di tali cose; e perciò il Savio dice che lo Spirito Santo si allontana dai pensieri che sono senza intelletto, cioè quelli che dalla ragione superiore non sono ordinati a Dio (S ap 1 ,5 ) .

5 - Altro vantaggio generale è che l’anima, oltre a liberarsi dai danni e mali suddetti, sfugge innumerevoli vanità e molti altri danni, sì spirituali che temporali, specialmente quello di cadere nella poca stima che si fa di coloro che vediamo apprezzare e compiacersi delle doti naturali, proprie o altrui: laddove sono stimati per uomini sensati e savi, come in verità lo sono, tutti quei che non fanno conto di tali cose, ma solamente di ciò che piace a Dio.

6 - Dalle suddette utilità nasce l'ultima , che è quel bene nobilissimo, tanto necessario all'anima per servire a Dio, cioè la libertà dello spirito, con la quale ella vince facilmente le tentazioni, supera ogni difficoltà e cresce prosperamente nelle virtù.

3S CAPITOLO 24

TERZO GENERE DI BENI IN CUI LA VOLONTÀ PUÒ RIPORRE L 'AFFETTO DEL GAUDIO, CIOÈ 1 BENI SENSIBILI - QUALI SIANO E DI QUANTE SPECIE , E COME LA VOLONTÀ DEBBA IN ESSI INDIRIZZARSI A

DIO , PURGANDOSI DAL LORO GODIMENTO

1 - Trattiamo ora del gaudio intorno ai beni sensibili, il terzo genere di beni di cui la volontà può godere. Si noti però che per beni sensibili intendiamo qui tutto quello che in questa vita può cadere sotto i cinque sensi esterni, e nell'immaginazione o fantasia: tutto ciò insomma che appartiene ai sensi del corpo, interni ed esterni.

2 - Per oscurare e purgare la volontà dal gaudio circa gli oggetti sensibili e per essi incamminarla a Dio, è necessario presupporre una verità, spesso da noi ripetuta, cioè che il senso della parte inferiore dell'uomo non è, né può essere capace di conoscere e comprendere Dio com'Egli è. Di maniera che né l'occhio può vedere Lui o cosa che gli rassomigli, né. l 'udito può udire la sua voce o suono che le sia simile; e rispetto agli altri sensi, non esiste odore sì soave, né gusto tanto squisito, né tocco sì delicato e dilettevole che possa paragonarsi a Dio; come pure non può cadere nel pensiero o nell'immaginazione nessuna forma o figura che ce lo rappresenti, conforme al detto di Isaia: Che né occhio lo vide, né orecchio lo udì, e mai Egli passò in pensiero umano ( I s 64 ,4 ; 1C or 2 , 9 ) .

3 - Di più si avverta che i sensi possono ricevere gusto e diletto o da parte dello spirito, mediante qualche comunicazione ricevuta interiormente da Dio, o da parte delle cose esteriori comunicate ai sensi. Ora secondo quanto abbiamo detto, la parte sensitiva non può conoscere Dio, né per via dello spirito, né per quella del senso, perché non avendo capacità che arrivi a tanto, riceve ciò che è spirituale e sensitivo solo sensibilmente, e non in altra maniera. Fermare quindi la volontà nel godimento del piacere causato dalle apprensioni sensibili, sarebbe una cosa vana, per lo meno, e un impedire che la forza della volontà si applichi in Dio, riponendo il suo gaudio soltanto in Lui: ciò che essa non può fare interamente se non offuscandosi e purgandosi dal gaudio dei beni sensibili, come da tutto il resto.

4 - Ho detto con avvertenza, e lo ripeto, che se la volontà fermasse il gaudio in qualche apprensione dei sensi, sarebbe una vanità. Al contrario però, è ottima cosa quando essa non si ferma in ciò, ma subito che sente piacere di quel che vede, ode e tratta, ne trae

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motivo e forza per innalzarsi a godere in Dio. Allorché le emozioni sensibili eccitano lo spirito e devota orazione, l'uomo non solo non deve evitarle, anzi può ed anche deve profittarne per un sì santo esercizio. Vi sono infatti delle anime che si muovono molto verso Dio, per mezzo degli oggetti sensibili. In questo, però, bisogna avere molta discrezione, e mirare solamente ai buoni effetti che se ne possono ricavare; e dico così, perché bene spesso molti spirituali, col pretesto di darsi all 'orazione e a Dio, fanno uso dei beni sensibili in modo tale che la loro non è orazione, ma si può chiamare piuttosto ricreazione, perché danno gusto più a se stessi che a Dio. E benché la loro intenzione sembri buona e diretta al Signore, nondimeno l'effetto dell'opera loro si riduce in realtà ad uno spasso e sollievo sensibile, da cui ritraggono fiacchezza d’imperfezione, anziché risvegliare e dirigere la volontà a Dio.

5 - Per la qual cosa ci piace dare qui una norma, con la quale si possa conoscere quando il sapore delle percezioni sensibili sia di utilità, e quando no. Se l'uomo ogni volta che ode belle musiche, o vede cose gradevoli o sente soavi profumi o gusta grati sapori e tocchi delicati, subito, al primo moto dei sensi, indirizza la notizia e l’affetto della volontà a Dio, è segno che da quelle apprensioni ritrae profitto per lo spirito, perché ha più piacere della notizia che del motivo sensibile che la cagiona, e non gusta di tal motivo se non in grazia di essa. Allora può benissimo usare degli oggetti sensibili, in quanto lo aiutano per il fine per cui furono creati e a noi largiti, cioè affinché loro mezzo Dio sia più conosciuto e amato. Si noti però, che colui il quale ricava dagli oggetti sensibili il puro effetto spirituale che ho detto, non per questo suole desiderarli; anzi non se ne cura quasi affatto, ancorché, qualora gli si offrano, gli apportino molto piacere a motivo del gusto di Dio che gli cagionano; quindi non nutre sollecitudine per procurarseli, ma se gli si presentano, subito distoglie da loro la volontà e, lasciandoli, si solleva a Dio.

6 - La ragione per cui l 'uomo spirituale non gran conto dei detti motivi sensibili, per quanto lo aiutino nell'andare a Dio, è perché lo spirito è assai pronto a rivolgersi in tutto e per tutto a Dio, ed è tanto satollo, prevenuto e soddisfatto dallo spirito di Lui, che non ha bisogno di niente, e niente desidera; che se pur desiderasse qualche cosa per il fine suddetto, subito gli sfugge, se ne dimentica e non ne fa più caso. Chi, invece, non gode questa libertà di spirito negli oggetti o gusti sensibili, ma vi trattiene la sua volontà e si pasce di essi, deve ben guardarsi dal farne riso, perché altrimenti gli farebbero danno. Poiché, se da una parte la ragione vuole valersi di essi per dirigersi a Dio, dall'altra però l'appetito ne gusta secondo la loro parte sensibile: perciò, essendo l'effetto sempre conforme al godimento, è cosa più certa che essi gli apporteranno più impedimento che aiuto, più danno che utile. Allorché, quindi, vedrà regnare in sé il desiderio di simili svaghi e ricreazioni, deve mortificarlo, perché quanto più esso è forte, tanto maggiore imperfezione e debolezza contiene.

7 - L'uomo spirituale, dunque, in qualsiasi gusto che gli si offrisse da parte dei sensi, o per caso o con avvertenza, si serva di esso solamente in ordine a Dio, sollevando a Lui il gaudio dell'anima, affinché nella rinuncia e nella perfetta mortificazione di qualsivoglia altro godimento, per quanto sia di cosa molto elevata in apparenza, è vano e senza profitto, anzi è di ostacolo all'unione della volontà con Dio.

3S CAPITOLO 25

DANNI CHE L 'ANIMA RICEVE QUANDO VUOLE RIPORRE IL GAUDIO DELLA VOLONTÀ NEI BENI SENSIBILI

1 - Quanto al primo, se l'anima non spegne il gaudio che le può derivare dalle cose sensibili e non lo indirizza a Dio, le sovrastano tutti i danni generali che nascono da qualunque altro genere di gaudio, cioè oscurità di ragione, tiepidezza e tedio spirituale ecc. In particolare però molti sono i danni, sì spirituali che corporali o sensuali, in cui ella può cadere direttamente a cagione di questo gaudio.

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2 - Primieramente, dal piacere delle cose visibili, non rinnegandole per andare a Dio, ne consegue direttamente vanità di animo e distrazione della mente, cupidigia disordinata, disonestà, scompostezza interiore e esteriore, impurità di pensieri e invidia.

3 - Dal compiacersi di udire cose inutili, direttamente nascono distrazione dell'immaginazione, loquacità, invidia, incertezza di giudizio e mutamento di pensiero: e da questi, molti altri perniciosi danni.

4 - Dal dilettarsi di grati odori ne viene aborrimento dei poveri, il che è contrario alla dottrina di Cristo, riluttanza alla sottomissione, poca disposizione di cuore alle cose umili, e una certa insensibilità spirituale, almeno in proporzione di quel vano diletto.

5 - Dal riporre il godimento nel sapore dei cibi hanno origine direttamente la gola e l 'ubriachezza, l 'ira, la discordia, la mancanza di carità verso il prossimo e i poveri, sino al punto a cui giunse il ricco Epulone, il quale, mentre banchettava tutti i giorni splendidamente, lasciava morire di fame il povero Lazzaro (L c 16 ,19 ) . Parimenti derivano lo sconcerto del corpo e la infermità; si suscitano i moti turpi, perché crescono gl’incentivi alla lussuria: si genera direttamente grande torpore di spirito e si deprava l'appetito delle cose spirituali, tanto che l'uomo non vi trova più sapore, e non può nemmeno fermarvisi o trattarne. Da tale gaudio, infine, nasce distrazione degli altri sensi e del cuore, e scontentezza intorno a molte cose.

6 - Dal gaudio circa il tatto di cose piacevoli provengono detrimenti maggiori di numero e più perniciosi ancora, i quali in breve pervertono il senso, e rovinano lo spirito spegnendone ogni forza e vigore. Di qui trae origine l'abominevole vizio della mollezza e gl'incentivi ad essa, più o meno, a proporzione di detto gaudio. Si genera la lussuria; l 'animo si rende effeminato e timido, ed il senso diventa lusinghiero e molle, disposto a peccare e a nuocere. Inoltre lo stesso gaudio infonde nel cuore vana gioia e allegrezza, produce scioltezza di lingua, libertà di occhi, e rende stupidi e ottusi gli altri sensi. Impaccia il giudizio, mantenendolo in una certa insipienza e ignoranza spirituale, e crea, moralmente, pusillanimità e incostanza. Ottenebrando l'anima e indebolendo il cuore, fa temere anche dove non v'è nulla da temere. Alcune volte crea spirito di confusione e insensibilità di coscienza e di spirito, in quanto che debilita molto la ragione, riducendola al punto di non saper dare o ricevere un buon consiglio, e la rende incapace dei beni spirituali e morali, ed inutile come un vaso ridotto in frantumi.

7 - Tutti questi danni sono cagionati dal piacere intorno al senso del tatto, in alcuni più, in altri meno; più o meno intensamente secondo l'intensità del gaudio, e anche secondo la fiacchezza, l 'incostanza e la disposizione del soggetto, poiché vi sono alcuni temperamenti che da una piccola occasione ricevono più detrimento che non altri da una grande.

8 - Finalmente, per il medesimo piacere del tatto, si può cadere in molti mali e danni che abbiamo enumerati a proposito dei beni naturali, e che perciò non ripeto; come pure mi dispenso dall'aggiungere molti altri danni, quali sarebbero ad esempio: scarsità di esercizi spirituali e di penitenza corporale, tiepidezza e mancanza di devozione circa l'uso dei sacramenti della Penitenza e dell'Eucaristia.

3S CAPITOLO 26

VANTAGGI SPIRITUALI E TEMPORALI CHE L 'ANIMA RITRAE DALLA RINUNCIA DEL GAUDIO CIRCA I BENI SENSIBILI

1 - Sono veramente ammirabili i vantaggi spirituali e temporali, che l'anima riporta dalla rinuncia di questo gaudio e piacere nelle cose sensibili.

2 - Il primo è che l'anima si rimette dalla distrazione in cui per l 'eccessivo uso dei sensi era caduta. Raccogliendosi in Dio, conserva lo spirito e le virtù acquistate, cresce in esse e ne guadagna di nuove.

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3 - Il secondo profitto spirituale che l'uomo ricava dal non volersi compiacere delle cose sensibili è eccellente oltre ogni dire: ed è che da sensuale, diviene spirituale, da animale si rende razionale, e da uomo che era, passa a partecipare della natura angelica; da temporale e umano diventa celeste e divino. Come l’uomo che cerca il piacere nelle cose sensibili e in esse ripone il suo gaudio, non merita altro nome che di sensuale, animale, temporale; così chi ritrae il gaudio da questi beni, merita tutti questi altri nomi di significato opposto, ossia di spirituale, celestiale ecc.

4 - Ora, che ciò sia vero, è cosa evidente. Infatti, poiché l'esercizio dei sensi e le forze della sensualità contraddicono, secondo l'avvertimento dell'Apostolo, alle forze e all'esercizio spirituale (Gal 5 , 17 ) , ne consegue che, diminuendo ed estenuandosi le prime di queste forze, devono aumentare e rinvigorirsi le altre contrarie, che per l'impedimento di quelle non potevano crescere. Quindi lo spirito, che è la parte superiore dell'anima ed ha rapporto e comunicazione con Dio, quando si perfeziona nei beni e doni di Dio spirituali e celesti, merita tutti i suddetti attributi. Ciò che ora abbiamo detto, si prova con le parole di S. Paolo, da cui l 'uomo sensuale, cioè colui che applica l'esercizio della sua volontà soltanto alle cose sensibili, è chiamato animale, come quegli che non percepisce le cose di Dio; chi invece eleva a Dio la volontà, è chiamato spirituale, che penetra e giudica tutto, perfino i profondi abissi di Dio (1C or 2 ,10 ) . Cosicché l'anima, astraendosi dai beni sensibili, riporta il meraviglioso vantaggio di una grande disposizione a ricevere da Dio i beni e i doni spirituali.

5 - Inoltre abbiamo un terzo vantaggio, ed è che i diletti e il gaudio della volontà aumentano a dismisura temporalmente, e l 'anima, come dice il Salvatore, in questa vita riceve il cento per uno (M t 19 ,2 9 ). Di maniera che, se tu rifiuti un piacere, il Signore te ne darà cento in questa vita, spiritualmente e temporalmente; come pure per un gaudio che ricavi dalle cose sensibili, ti piomberanno addosso cento affanni e dolori. Da parte della vista, già purgata nel diletto di vedere, ne segue all'anima gaudio spirituale, indirizzato a Dio in tutto ciò che vede di divino o di umano. Similmente da parte dell' udito, purificato nel piacere di udire, ne deriva all'anima un centuplicato godimento spirituale, indirizzato a Dio in tutto ciò che ode delle cose umane e divine; e così si dica rispetto agli altri sensi quando sono limpidi e puri. Come nello stato d'innocenza tutto ciò che i nostri progenitori vedevano e gustavano nel paradiso terrestre, riusciva loro di maggior sapore di contemplazione, perché avevano la parte sensitiva ben ordinata e soggetta alla ragione; così chi ha il senso purgato da tutte le cose sensibili e soggetto allo spirito, sin dal primo movimento del senso ricava diletto di gustosa contemplazione e avvertenza in Dio.

6 - Quindi tutte le cose, sublimi o basse che siano, giovano all'anima pura, e le servono per l'acquisto di maggior purezza; mentre l'anima impura suole ricavare male dalle une e dalle altre, a cagione della sua impurità. Chi non riporta vittoria sul piacere dell'appetito, non godrà mai ordinariamente gaudio sereno in Dio, per mezzo delle sue creature e delle sue opere; laddove colui che non vive più secondo il senso, ha tutte le operazioni dei suoi sensi e delle sue potenze indirizzate a divina contemplazione. È principio di sana filosofia che ogni cosa opera secondo l'essere che ha, o la vita che vive. Se dunque l'anima, avendo mortificato la vita animale, vive vita spirituale, è chiaro che tutte le sue operazioni, tutti i suoi movimenti sono ormai spirituali, di vita spirituale, ed ella va con tutta se stessa a Dio. Donde ne segue che colui il quale è già puro di cuore, in tutte le cose trova notizia di Dio gustosa e piacevole, casta e pura, spirituale, allegra e amorosa.

7 - Da quanto ho detto sopra inferisco la seguente dottrina, ed è che, fintantoché l'uomo non giunga ad avere i sensi abituati alla purgazione del piacere, tanto da ritrarre fin dal loro primo movimento l'accennato profitto, cioè che le cose sensibili subito l'innalzino a Dio, è necessario che egli insista nel mortificare qualunque gaudio e diletto intorno ad esse, a fine di sciogliere l'anima dai vincoli della vita sensitiva. Altrimenti, non essendo ancora spirituale v'è da temere che forse ricaverà dall'uso di quelle cose più vigore e forza per il senso che non per lo spirito, predominando nel suo operare la forza sensitiva, che genera la sensualità e vieppiù l'alimenta. Onde il Nostro Divin Salvatore ci avverte, dicendo: Ciò che nasce dalla carne, è carne, e quel che nasce dallo spirito, è

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spirito (Gv 3 ,6 ) . Si tenga ben scolpita in mente questa verità. Chi non ha ancora mortificato il gusto dei beni sensibili, non si arrischi a servirsi molto della forza e dell'opera del senso intorno ad essi, né creda che gli siano di giovamento allo spirito; perché le forze dell'anima cresceranno di più senza l'uso di quelle sensitive, cioè estinguendo il gaudio e l 'appetito di esse.

8 - Non credo necessario riferire qui i beni di gloria che conseguiranno nell'altra vita coloro che rinunciarono ai piaceri sensibili. Oltre che le doti gloriose del corpo, come sono l'agilità e la chiarezza, saranno in essi molto più eccellenti che in coloro che non si mortificarono, ciò che più importa è l'aumento della gloria essenziale dell'anima, che corrisponde al grado del loro amore verso Dio. Anzi, ogni gaudio momentaneo e caduco che rifiutarono, opererà in essi, al dire di S. Paolo, un immenso peso di gloria immortale (2C or 4 ,17 ) . Non mi dilungo più oltre nell'accennare agli altri vantaggi morali, temporali e spirituali che provengono dalla notte del piacere sensibile, poiché sono tutti quelli che abbiamo detto a proposito degli altri generi di gaudio, ma di pregio assai maggiore, essendo il piacere dei sensi più connaturale all'uomo, e quindi, mortificandolo, egli acquista più intima purezza.

3S CAPITOLO 27

COMINCIA A TRATTARE DEL QUARTO GENERE DI BENI, CIOÈ DEI BENI MORALI - DICE QUALI SIANO , E IN QUAL MODO LA VOLONTÀ POSSA LECITAMENTE COMPIACERSENE

1 - Il quarto genere di beni di cui la volontà può godere, sono i beni morali. Per beni morali qui intendiamo le virtù e gli abiti loro in quanto morali, l'esercizio di qualsivoglia virtù e quello delle opere di misericordia, l’osservanza della legge di Dio, gli atti di civiltà e buona creanza, e tutti quelli che procedono da inclinazione ed indole buona.

2 - Questi beni morali, quando si possiedono e si esercitano, meritano certo maggior compiacenza della volontà che non gli altri dei tre generi di cui abbiamo trattato. Perocché l'uomo può godere delle sue cose, o per uno dei seguenti motivi, o per ambedue insieme, cioè: o per quello che le cose sono in se stesse, o per il bene che hanno e portano con sé, come mezzi e strumenti. Quindi troveremo che il possesso dei beni dei tre generi surriferiti non meritano nessun gaudio della volontà. Come già si è detto, di suo non recano all'uomo alcun bene, perché in sé non l'hanno, tanto sono caduchi e labili; anzi gli cagionano pena, dolore e afflizione di spirito. Che se pur meritano qualche compiacenza per il secondo motivo, cioè quando l'uomo se ne serve per andare a Dio, questa è una cosa tanto incerta che ordinariamente, e l 'esperienza lo dimostra, l’uomo ne riporta più danno che utile. I beni morali, al contrario, anche per il primo motivo, ossia per quello che sono e valgono in se stessi , meritano qualche compiacimento da parte di chi li possiede. Ed invero, poiché traggono con sé pace e tranquillità, retto e ordinato uso della ragione e un complesso di atti convenienti umanamente parlando non si può possedere alcunché di meglio in questa vita.

3 - Pertanto, giacché le virtù per se stesse meritano di essere amate e stimate, l'uomo ben si può rallegrare di averle e di esercitarle, e per quel che sono, e per quanto di bene umanamente e temporalmente gli apportano. Quindi è che gli antichi filosofi, i sapienti e i principi le ebbero in grande stima e onore, e procurarono di possederle e praticarle, sebbene, come Gentili, ponessero gli occhi in esse soltanto in grazia degli emolumenti temporali e naturali che se ne ripromettevano. Per esse non solo si acquistarono i beni e la fama a cui aspiravano, ma oltre a ciò Dio, il quale ama tutto ciò che è bene (anche nell'uomo barbaro e pagano) e non impedisce che alcuna cosa buona si faccia, come dice il Savio (S ap 7,2 2) , accrebbe loro la vita, l'onore, il dominio e la pace. Così fece con i Romani, ai quali assoggettò quasi tutto il mondo, perché si reggevano con giuste leggi, ricompensando così temporalmente le virtuose azioni in quelli che per la loro infedeltà erano incapaci di premio eterno. Dio ama molto i beni morali. Infatti, quando Salomone gli domandò la sapienza per governare il suo popolo con giustizia e istruirlo nei buoni costumi, il Signore gradì assai la sua preghiera, e gli rispose, che, poiché aveva

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domandata la sapienza per quel fine, gliel'avrebbe concessa, e in più gli avrebbe dato ciò che non aveva chiesto, ossia e ricchezze e onore e gloria, tali che nessun re, né dei tempi passati, né di quelli avvenire lo pareggiasse (3R e 3 , 11 -13).

4 - Ma, quantunque il cristiano debba rallegrarsi dei beni morali e delle sue buone opere, in quanto cagionano gli accennati beni temporali, non deve però fermare il suo gaudio in questa prima maniera di compiacenza (a guisa, cioè, dei Gentili, il cui pensiero non trascendeva da questa vita mortale); ma, poiché ha il lume della fede, in cui spera gloria eterna, e senza del quale tutte le cose di quaggiù niente gioverebbero, deve godere del possesso e dell'esercizio dei beni morali principalmente e soltanto nella seconda maniera, ossia in quanto, operando per amor di Dio, consegue per loro mezzo l'eterna vita. Per conseguenza, ha da fissare lo sguardo e tutto il suo piacere solamente nel servire e onorare Dio con le sue buone azioni e virtù: senza di che, queste nulla valgono davanti a Dio. Ciò si vede nelle dieci vergini del Vangelo, le quali tutte avevano custodito la verginità e compiuto buone opere; eppure, perché cinque non se n'erano compiaciute nella seconda maniera, indirizzandole a Dio, ma piuttosto nella prima, compiacendosi e gloriandosi vanamente, non furono accette allo Sposo e vennero escluse dal Cielo senza ottenere alcun premio (M t 25 ,1 -12) . Così pure, è vero che molti antichi fecero non poche azioni virtuose, e che molti cristiani dei nostri tempi hanno parecchie virtù ed operano cose grandi; ma queste niente loro gioveranno per la vita eterna, perché in esse non ebbero per fine l'onore e la gloria che appartiene a Dio solo, e soprattutto non cercarono il suo amore. Il cristiano, dunque, deve rallegrarsi, non se fa opere buone ed è di onesti costumi, ma se agisce soltanto per amor di Dio, senza alcun altro riguardo. Come le opere fatte solamente per servire a Dio gli meriteranno un maggior premio di gloria, così gli saranno di maggior confusione al divino cospetto a misura che sarà stato spinto ad esse da altri motivi.

5 - Per indirizzare, dunque, il gaudio a, Dio nei beni morali, il cristiano consideri che il valore delle sue buone opere, dei digiuni, delle elemosine, delle penitenze ecc., non si fonda tanto nella loro quantità e qualità, quanto piuttosto nell'amor di Dio che lo guida. Rifletta che allora sono migliori, quando si fanno con più puro e perfetto amore di Dio, non cercandovi il proprio interesse di piacere, gusto, consolazione, lode. Non riponga il cuore nel godimento, nel gusto e negli altri vantaggi che i buoni esercizi ed opere portano con sé, ma trasferisca il gaudio in Dio, desiderando di servire a Lui solo. Purifichi il suo cuore e se ne resti all 'oscuro del gaudio di quelle opere; brami che soltanto Dio se ne compiaccia e segretamente le gusti: non abbia altro fine che l'onore e la gloria divina . In questo modo raccoglierà in Dio tutte le forze della volontà circa i beni morali.

3S CAPITOLO 28

TRATTA DI SETTE DANNI IN CUI L 'ANIMA PUÒ INCORRERE, OUANDO PONE IL GAUDIO DELLA VOLOINTÀ NEI BENI MORALI

1 - I danni principali in cui l 'uomo può incorrere per la vana compiacenza nelle sue opere e costumi buoni, sono sette e molto perniciosi, perché spirituali.

2 - Il primo è la vanità, la superbia, la vanagloria e la presunzione, poiché il compiacimento delle proprie opere non può darsi senza la loro stima. Di qui nasce la iattanza e tutto il resto, secondo ciò che il Vangelo dice del Fariseo, che pregava, o meglio dinanzi a Dio si vantava dei suoi digiuni e di tante altre buone opere (L c 18 ,12 ) .

3 - Il secondo danno è ordinaria conseguenza del primo ed è che l'uomo giudica tutti gli altri per cattivi e imperfetti a suo confronto; gli sembra che non facciano e non operino così bene come lui, e quindi li stima da meno in cuor suo, e non di rado manifesta tale sentimento con le parole. Anche il Fariseo incorse in questo danno, poiché nella sua orazione diceva: Ti rendo grazie, o Signore, che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri (L c 10 ,11 ) . Di maniera che in un solo atto cadeva in questi due danni: e stimava se stesso, e disprezzava gli altri. Così oggidì fanno molti, i quali dicono: io non

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sono davvero come il tale, né faccio alla maniera del tal altro. Che anzi parecchi di costoro sono ancor peggiori del Fariseo, perché sebbene costui disprezzò gli altri, non solo, ma determinò pure una persona dicendo: non sono come questo Pubblicano; tuttavia essi, non contenti di ciò, vanno più oltre ancora, e giungono a muoversi a sdegno e invidia, quando vedono che altri sono lodati, o fanno o valgono più di loro.

4 - Il terzo danno è che questi tali, non riguardando nelle loro opere che alla propria, soddisfazione, ordinariamente non si muovono a farle, se non quando prevedono che, da esse debba seguirne loro qualche piacere e lode. Quindi, come disse Cristo, fanno tutto: «Ut videantur ab hominibus» (M t 23 ,5 )e non operano solo per amor di Dio.

5 - Il quarto danno scaturisce dal terzo, ed è che quelli non avranno ricompensa da Dio, perché in questa vita vollero cercarla nelle loro opere per mezzo del piacere, dell'onore e di altri interessi umani da esse provenienti, nelle quali cose, come dice il nostro Salvatore, ricevettero già la loro mercede (Mt 6,2); e perciò rimarranno confusi, senza l'eterna ricompensa, con la sola fatica dell'opera. E sì grande è la debolezza degli uomini a proposito di questo danno, che io sono del parere che la maggior parte delle opere che fanno pubblicamente, o sono viziose, o di nessun valore, o imperfette, o manchevoli davanti a Dio, perché essi non hanno il cuore distaccato dagli interessi e rispetti umani. Difatti, qual giudizio potrà darsi di certe opere e memorie che alcuni fanno e istituiscono per vana ostentazione, e che di certo non farebbero, se esse non andassero accompagnate dalle lodi e dagli onori del mondo? Che dire poi di quelli che nelle loro opere vogliono perpetuare il proprio nome, il lignaggio, la dignità, tanto da collocare i loro stemmi persino nei templi, esponendoli quasi come immagini alla venerazione di tutti? Ben si può affermare di alcuni che adorano più se stessi che Dio: il che è proprio vero, se ad esse furono spinti soltanto da un fine sì vano, senza di cui non le avrebbero fatte. Ma, lasciando costoro che sono i peggiori, quanti non sono coloro che cadono in molte maniere nel danno di cui parliamo? Infatti, alcuni desiderano che le loro opere vengano lodate, altri che siano gradite, altri le raccontano e godono che le sappia mezzo mondo; a volte vogliono che l'elemosina o ciò che fanno, passi per mano di terze persone; altri infine mirano a tutti questi vari scopi insieme. Ciò non è altro che quel suonare la tromba come fanno gl'ipocriti e i vanitosi di cui parla Cristo Nostro Signore nel Vangelo, i quali però non avranno da Dio il premio delle loro opere (M t 6 ,2 ).

6 - Per fuggire dunque questo danno, l 'uomo deve celare l'opera sua in modo che solo Dio la veda, e non desiderare che alcuno se ne accorga. E non solo deve nasconderla agli altri, ma anche a se stesso: cioè neppur lui se ne compiaccia o la stimi per alcunché di grande, né voglia trarne comunque soddisfazione alcuna. Così s'intendono spiritualmente quelle parole di Nostro Signore: Non sappia la tua sinistra quel che fa la tua destra (M t 6 ,3 ). Quasi dicesse: Non stimare con occhio temporale e carnale l'opera spirituale che fai. Seguendo un tal consiglio, la forza della volontà si raccoglie tutta in Dio, e l 'opera è meritoria davanti a Lui; e così, non solo l'uomo non perderà il frutto dell'opera, ma acquisterà gran merito. A questo proposito cade in acconcio quella sentenza di Giobbe: Se si rallegrò segretamente il cuor mio, e se portai la mia mano alla bocca per baciarla, questo è un grave peccato (Gb 31 ,27 - 28 ): dove per mano s'intende l'opera, e per bocca la volontà che in quella si compiace. E poiché la compiacenza è un atto interiore, il testo dice : Se si rallegrò in segreto il mio cuore; il che è una grande iniquità e un rinnegare l'Altissimo Dio. Ed è come se dicesse che né ebbe vana compiacenza, né si rallegrò nel secreto del suo cuore.

7 - Il quinto danno di quei tali è che non vanno innanzi nel cammino della perfezione. Infatti, essendo attaccati al proprio gusto nell'operare, quando non lo trovano più nelle loro azioni e pii esercizi, ordinariamente si avviliscono e perdono la perseveranza. Ciò avviene di solito allorché Dio, per farli progredire, comincia a porgere loro il pane duro dei perfetti, divezzandoli dal latte dei bambini e sperimenta le loro forze, purgandoli a mano a mano dal tenero appetito, affinché possano abituarsi al cibo degli adulti. Ma molti di costoro non reggono alla prova; onde ad essi possono applicarsi spiritualmente quelle parole, del Savio: Le mosche che muoiono, perdono la soavità dell'unguento (Qo 10 ,1 ); perché quando si presenta loro qualche mortificazione, muoiono alle loro opere,

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tralasciando di farle, e perdono la perseveranza, in cui è riposta la soavità dello spirito e consolazione interiore.

8 - Il sesto danno è che comunemente s'illudono, reputando le cose e le opere, a cui si sentono inclinati, migliori di quelle in cui non trovano gusto; quindi lodano e stimano le une disprezzando le altre, mentre d'ordinario le opere in cui l 'uomo più si mortifica (specialmente quando non è avanzato nella perfezione), sono molto più preziose e gradite al cospetto di Dio, per lo spirito di abnegazione che le informa, che non quelle in cui l 'uomo trova la sua consolazione, nelle quali molto facilmente può cercare se stesso. Il Profeta Michea ben giustamente dice di loro: «Malum manuum suarum dicunt bonum» (M ic

7 , 3 ): Ciò che v'è di cattivo nelle loro opere dicono che è buono: il che accade, perché essi ripongono la propria soddisfazione nelle loro opere, e non già nel dare gusto solamente a Dio. Sarebbe troppo lungo dimostrare quanto regni questo danno sì tra le persone spirituali come tra la generalità degli uomini, poiché difficilmente si troverà qualcuno che si muova ad operare puramente per il Signore, senza lo stimolo di qualche interesse di consolazione o di piacere o di altri riguardi.

9 - Il settimo danno è che, non estinguendo il vano gaudio nelle opere morali, l 'uomo si rende più incapace di ricevere ammaestramenti e ragionevoli consigli intorno a ciò che deve fare. Perocché l'abituale debolezza che ha di operare per propria soddisfazione l'incatena ai suoi gusti, e fa sì che o non creda migliore l’altrui consiglio, ovvero, quantunque lo reputi per tale, non voglia seguirlo perché non gli piace. Gli uomini di tal fatta divengono molto fiacchi nella carità verso Dio ed il prossimo, perché l'amor proprio che hanno circa le loro azioni, li raffredda nell'amore.

3S CAPITOLO 29

VANTAGGI CHE L 'ANIMA CONSEGUE NEL DISTOGLIERE IL GAUDIO DAI BENI MORALI

1 - Molto grandi sono i vantaggi che l'anima ricava dal non voler applicare vanamente il gaudio della volontà a questo genere di beni. Primieramente, si libera dal cadere in molte tentazioni e inganni del demonio, quali si nascondono nel gaudio delle opere buone, come ben si potrebbe intendere in quel che si dice in Giobbe: Dorme sotto l'ombra, nel segreto della canna, nei luoghi umidi (Gb 40 ,16) : il qual testo si può applicare al demonio, perché inganna l'anima nell'umidità del piacere e nel vuoto della calma, cioè dell'opera vana. Non fa meraviglia essere ingannati occultamente dal demonio in questo gaudio, poiché senza aspettare la sua suggestione, il vano piacere stesso è inganno, tanto più quando vi è nel cuore un certo vanto delle proprie azioni, secondo il detto di Geremia: « Arrogantia tua decepit te» (Ger 49 , 16 ): La tua arroganza ti ha ingannato. E qual inganno peggiore della vanagloria? Ora, da questo l'anima si libera, purgandosi dal detto piacere.

2 - Il secondo vantaggio è che l'uomo fa le opere con più diligenza e precisione: ciò che non avviene, se in esse vi è passione di godimento e piacere, poiché per mezzo di tale passione l'irascibile e la concupiscibile diventano tanto audaci da turbare l'equilibrio della ragione, in modo che questa ordinariamente muta consiglio e opere, lasciandone una intraprendendone altre, cominciando e interrompendo senza venire a capo di nulla. Né può esser altrimenti: perché quando si opera per il gusto, il quale è variabile, specie in alcuni di carattere assai incostante, cessato quello, è bell'e finita l'opera e il proposito, ancorché si tratti di cosa molto importante. Per certuni tutta la forza, tutta l'anima delle loro azioni sta nel piacere che vi provano, tolto il quale, l'opera cessa e muore lì, al punto in cui si trova. Di costoro Cristo dice che ricevono la parola con gaudio, ma subito il demonio la toglie dal loro cuore, perché non perseverino (L c 8 ,12 ): il che avviene perché non hanno altra forza e fondamento che il piacere. Pertanto, rimuovere e staccare da questo la volontà è causa di perseveranza e di sicurezza, vantaggio tanto grande, quanto il danno opposto. L'uomo savio fissa gli occhi nella sostanza e nell'utilità dell'opera, non già nel gusto di essa, e quindi non dà colpi all'aria, ma dall'opera ricava vera e stabile allegrezza, senza ombra di dispiacere.

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3 - Il terzo è un vantaggio divino, ed è che estinguendo nelle opere il gaudio vano, l 'uomo diventa povero di spirito, il che forma una delle beatitudini annunziate dal Figlio di Dio: Beati i poveri di spirito, perché di essi è il regno dei Cieli (M t 5 ,3 ).

4 - Il quarto vantaggio è che colui il quale rinunzierà a quel gaudio, sarà mite, umile e prudente nell'operare. Non agirà con impeto e con troppa celerità, quasi trascinato dalla concupiscibile e dall'irascibile del gaudio; neppure avrà presunzione e boria per la stima e compiacenza dell'opera sua, né procederà incautamente, accecato dal gaudio.

5 - Il quinto profitto è che si rende gradito a Dio e agli uomini, si libera dall'avarizia, dalla gola, dall'accidia e dall'invidia spirituali e da mille altri vizi.

3S CAPITOLO 30

COMINCIA A TRATTARE DEL QUINTO GENERE DI BENI DI CUI LA VOLONTÀ PUÒ GODERE, CIOÈ DEI BENI SOPRANNATURALI - DICE QUALI SIANO , COME SI DISTINGUANO DAI BENI SPIRITUALI, E COME

SI DEBBA INDIRIZZARNE IL GAUDIO A DIO

1 - Ora conviene trattare del quinto genere di beni di cui l 'anima può godere, cioè dei beni soprannaturali. Per questi intendiamo tutti i doni e le grazie concesse da Dio, che eccedono la facoltà e la virtù naturale e si chiamano gratis datae, come furono i doni di sapienza e di scienza che Dio conferì a Salomone, e le grazie di cui San Paolo fa menzione, ossia: la fede, la grazia di risanare gli infermi, quella di far miracoli, lo spirito di profezia, il conoscimento e la discernimento degli spiriti, l'interpretazione delle parole e il dono delle lingue (1C or 12 ,9 - 10).

2 - Quantunque, invero, questi beni siano anch'essi spirituali come quelli di cui subito dovremo trattare, essendovi tuttavia molta differenza tra loro, ho creduto meglio distinguerli. Infatti, l 'uso di questi beni soprannaturali ha immediato rapporto, non al profitto di chi li possiede, ma a quello degli altri, poiché a tal fine appunto Dio li concede, come dice San Paolo (1C or 12 ,7 ): A nessuno lo spirito viene dato, se non per altrui utilità; il che s'intende di tali grazie. Al contrario, l'esercizio e l'uso dei beni spirituali è soltanto tra l'anima e Dio, e tra Dio e l'anima in comunicazione d'intelletto, di volontà ecc., come diremo in seguito. Onde vi è differenza nell'oggetto; poiché l'oggetto dei beni spirituali è solo il Creatore e l'anima, mentre quello dei beni soprannaturali sono le creature. Inoltre differiscono nella sostanza e, per conseguenza, nell’operazione, e così pure necessariamente nella dottrina da esporsi intorno ad essi.

3 - Parlando ora dei doni e grazie soprannaturali come qui le intendiamo, dico che per purgare la vana compiacenza rispetto ad essi, conviene notare due vantaggi che vi sono in questo genere di beni, l'uno temporale e l'altro spirituale. Il vantaggio temporale è ridonare la sanità agli infermi, rendere la vista ai ciechi, risuscitare i morti, scacciare i demoni, predire il futuro, affinché gli uomini provvedano ai casi loro, ed altri simili benefizi. Il vantaggio spirituale ed eterno è che Dio è conosciuto e servito per mezzo di queste opere meravigliose, e da colui che le compie e da coloro per i quali o innanzi ai quali si compiono.

4 - Quanto al primo vantaggio, quello cioè temporale, i miracoli e le opere soprannaturali poco o niente meritano che l'anima se ne compiaccia, perché, escluso il secondo vantaggio, poco o niente giovano all'uomo, non essendo di per se stessi un mezzo per unire l'anima con Dio, bensì la carità. Si avverta, anzi, che queste opere e grazie soprannaturali si possono esercitare anche senza stare in grazia di Dio, sia perché il Signore conferisce veramente questi doni, malgrado l'umana iniquità, come fece con l'empio profeta Balaam e con Salomone, sia perché l'uomo stesso le compie ricorrendo, come Simon Mago, all'aiuto del demonio, o alle occulte forze della natura. Ora, se tra queste meraviglie alcune dovessero apportare qualche profitto a chi le fa, sarebbero certamente le vere, che sono concesse da Dio. Eppure, quanto valgano queste stesse, escluso lo spirituale vantaggio, ben lo sappiamo da San Paolo, il quale dice: Se io parlassi tutte le lingue degli uomini e degli angeli e non avessi la carità, sarei come una campana

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che suona o un cembalo tintinnante. E se avessi spirito di profezia e conoscessi tutti i misteri e tutto lo scibile, e se avessi tutta la fede possibile, tale da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, sarei un niente (1C or 13 ,1 - 2 ). Onde coloro che avranno stimato siffatte loro opere, quando domanderanno a Dio la gloria in premio di esse e gli diranno: Signore, non abbiamo forse profetato in tuo nome e operato molti, miracoli?, Cristo risponderà loro: Andate via da me, operatori d'iniquità (M t 7 ,22 -23) .

5 - L'uomo dunque deve rallegrarsi, non di avere ed usare tali grazie, ma se ne ricava il secondo frutto, quello spirituale, cioè se serve a Dio in esse con vera carità, nella quale è riposto. il frutto della vita eterna. Per questo il nostro Salvatore riprese i discepoli, che se ne ritornavano a Lui lieti e contenti di avere scacciato i demoni, dicendo loro: Non vogliate rallegrarvi perché gli spiriti infernali vi si assoggettano, ma perché i vostri nomi sono registrati nel libro della vita (L c 10 ,20 ) . Il che in buona teologia è quanto dire: Se i vostri nomi sono scritti nel libro della vita, allora potete rallegrarvi veramente. Dalle quali parole s'intende che l'uomo non deve gioire, se non nel camminare per la strada che conduce alla vita, facendo le opere di carità. Perocché ciò che non è amor di Dio, che giova e vale dinanzi a Lui? E l'amore non è perfetto, se non è forte e attento a mortificare il piacere di tutte le cose, riponendolo soltanto nel fare la divina volontà. Ecco in qual modo la volontà si unisce a Dio, per mezzo dei beni soprannaturali.

3S CAPITOLO 31

DANNI CHE L 'ANIMA PUÒ INCONTRARE NEL RIPORRE IL GAUDIO DELLA VOLONTÀ NEI BENI SOPRANNATURALI

1 - A mio parere, tre sono i danni principali in cui l 'anima può incorrere, riponendo il gaudio nei beni soprannaturali, cioè: ingannare ed essere ingannata, detrimento circa la fede, vanagloria o altro di simile.

2 - Quanto al primo, è cosa molto facile ingannare gli altri e ingannare se stessi, compiacendosi in tal genere di opere. E la ragione è perché, per conoscere quali di esse siano false e quali vere, come e in qual tempo si debbano esercitare, è necessario ricevere da Dio gran luce di discernimento, la quale viene impedita dal gaudio e dalla stima di dette opere. Ciò accade per due ragioni: l 'una, perché il piacere ottunde ed oscura il giudizio; l'altra, perché l'uomo mosso dal desiderio del piacere, non solo brama di ottenerlo al più presto, ma è anche spinto ad agire fuori di tempo. Ora, dato il caso che le virtù e le opere che si esercitano siano vere, bastano questi due difetti per cadere spessissimo in errore intorno ad esse, o perché non s'intendono come si dovrebbe, o perché l'uomo non se ne giova ed usa come e quando più conviene. È vero che Dio da. parte sua, quando concede queste grazie, infonde anche lume circa di esse, e dà impulso ad esercitarle nel modo e nel tempo più opportuno; ma l'uomo, per l 'attacco che nutre verso di esse e per altre mancanze che vi frammischia, può errare di molto, non usandone con quella perfezione voluta da Dio, e come e quando Egli vuole. Si legge che così Balaam voleva fare, quando deliberò di andare a maledire il popolo d'Israele contro la divina volontà: per la qual cosa Dio, sdegnato, lo voleva uccidere (Num 22 ,2 2- 23). Similmente San Giacomo e San Giovanni, trasportati da uno zelo indiscreto, volevano far discendere il fuoco dal Cielo sopra i Samaritani, perché non avevano ospitato il Nostro Salvatore; ma di ciò furono da Lui ripresi severamente (L c 9 ,54 - 55).

3 - Di qui si vede chiaro come gl'imperfetti si determinano a fare quelle opere, spinti da qualche passione che si nasconde sotto la compiacenza e la stima di esse, quando non conviene; mentre chi non ha simile spirito d'imperfezione, solamente le compie nel momento e nel modo in cui Dio ad esse lo muove; fuori del qual tempo e modo non conviene esercitarle. Perciò Dio per mezzo di Geremia si lagnava di certi profeti, dicendo: Io non mandavo i profeti, ed essi correvano; non parlavo loro, ed essi profetavano (Ge r

23 , 21 ). E più innanzi: Sedussero il mio popolo con le loro menzogne e miracoli, mentre non erano stati da me inviati, né io avevo loro comandato cosa alcuna (Ge r 23,3 2 ) . Ed altrove, sempre a proposito di essi, dice che parlavano a seconda della visione del loro cuore (Ge r

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23 , 26). Il che non sarebbe accaduto, se non avessero avuto un abominevole affetto di proprietà nelle loro opere.

4 - Dai ricordati testi si viene a conoscere che il danno del suddetto gaudio fa sì che gli uomini giungano, non solo ad usare perversamente delle grazie di Dio, come Balaam e quelli che facevano miracoli con i quali ingannavano il popolo, ma si spingano perfino a simularle, senza che Dio le abbia loro concesse, come quelli che profetavano a capriccio e pubblicavano le visioni escogitate dalla loro fantasia, o rappresentate loro dal demonio. Costui, infatti, vedendoli affezionati a tal genere di cose, porge loro abbondante materia in questo campo immenso, intromettendosi in molti modi, e quindi essi spiegano le vele e acquistano una sfrontata audacia per abbondare in opere prodigiose.

5 - Né ciò basta; ma a tal segno fanno arrivare il piacere e la cupidigia di queste opere, che se prima avevano un patto implicito col demonio (poiché molti di costoro operano in virtù di tal patto), non hanno ritegno di stringere con lui un patto espresso e manifesto, assoggettandosi come suoi discepoli e alleati: e così hanno origine i maliardi, gl'incantatori, i maghi, gl'indovini e stregoni. Ma v'è di più. Cercano di comprare i doni e le grazie col denaro, come voleva Simon Mago, per servire il demonio (A t 8 ,18 - 19), e procurano di avere le cose sacre e, trema la mano a scriverlo, anche le divine, e perfino l'adorabile Corpo di Nostro Signore Gesù Cristo, per usarne nelle loro abominazioni nefande. Stenda il Signore sopra di essi le ali della sua infinita misericordia!

6 - Ora, quanto costoro siano perniciosi a sé e di pregiudizio alla società cristiana, non v'è chi non lo veda. Noteremo qui di passaggio che tutti quei maghi e indovini, che si trovavano tra i figli d'Israele e che Saul fece sparire dalla faccia della terra, erano caduti in un abisso d'iniquità, solo perché volevano imitare i veri profeti di Dio.

7 - Chi dunque avesse qualche dono soprannaturale, allontani la cupidigia e il piacere dell'esercizio di esso, e neppure lo palesi ad alcuno; e Dio che glielo dà soprannaturalmente ad utilità della sua Chiesa e dei suoi membri, soprannaturalmente lo muoverà ad esercitarlo, come e quando ciò sarà opportuno. Colui che comandava ai suoi discepoli che non si dessero pensiero di ciò che avrebbero dovuto dire, né come avrebbero dovuto dirlo, perché era faccenda soprannaturale di fede, parimenti vuole (poiché la cosa non è di minore importanza) che l'uomo aspetti che il Signore agisca muovendogli il cuore: ché in virtù di Dio si deve operare ogni virtù. Onde negli Atti degli Apostoli leggiamo che i discepoli, benché avessero ricevuto grazie e doni soprannaturali, fecero orazione a Dio, .pregandolo che si degnasse di stendere la mano a risanare gli infermi e ad operare miracoli per mezzo di loro, a fine d'insinuare nei cuori, la fede in Gesù Cristo (A t

4 ,29 - 30).

8 - Il secondo danno può derivare dal primo, ed è il detrimento della fede, il quale può essere in due maniere. La prima rispetto agli altri; poiché chi si accinge a fare cose meravigliose fuori di tempo e senza necessità, oltre tentare Dio, il che è un gran peccato, può essere che non riesca nell'intento, e quindi genererà nei cuori meno credito, anche disprezzo, verso la fede. Se poi alle volte riuscisse, così volendo Dio per i suoi inscrutabili fini, come fece con la fattucchiera di Saul (se pure è vero che Samuele fu quegli che apparve in quella circostanza), non per questo sarebbe meno colpevole, perché userebbe di quelle grazie quando non conviene. La seconda maniera riguarda il detrimento che può ricevere in se stesso circa il merito della fede; poiché, facendo molto caso di questi miracoli, s’allontana non poco dall'abito sostanziale della fede, la quale è abito oscuro. Dove concorrono più segni e testimonianze, minor merito vi resta nel credere. E San Gregorio dice che la fede è priva di merito, quando la ragione umana ne ha prove evidenti (Ome l . 26 in E v. , n . 1 : M L 76 , 1197) . Dio non opera mai le sue meraviglie se non quando sono veramente necessarie per credere. Quindi è che Nostro Signore Gesù Cristo, prima di mostrarsi ai suoi discepoli dopo la Risurrezione, fece molte altre cose, affinché prima di vederlo credessero e non andassero privi del merito della fede. Infatti, rispetto a Maria Maddalena, prima le indicò il sepolcro vuoto, e poi volle che gli Angeli le dessero il felice annunzio, affinché, essendo la fede per l 'udito come dice S. Paolo (R m 10 ,17), lo credesse risorto prima di vederlo. Ed anche quando le si presentò, non fu se non sotto le sembianze di uomo comune, per finire d'istruirla nella fede che le mancava a motivo della

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gioia di vederselo presente. In quanto poi ai discepoli, Egli inviò le pie donne ad annunziare loro la lieta notizia, e poi essi si portarono a vedere il sepolcro. E quando si accompagnò a quei due discepoli (Lc 24,15) che si dirigevano alla volta di Emmaus, apparve loro sotto l'aspetto d'incognito pellegrino, e prima di farsi riconoscere ne infiammò il cuore nella fede, spiegando loro i passi delle Divine Scritture che lo riguardavano. Da ultimo rimproverò tutti i discepoli, perché non avevano creduto a coloro da cui avevano ricevuta la notizia della sua Resurrezione: specialmente riprese S. Tommaso, che aveva voluto costatare la realtà del corpo glorioso di Lui col toccarne le piaghe, dicendogli che beati sarebbero stati quelli che, non vedendolo, lo avrebbero creduto (Gv 20 ,29 ) .

9 - Da ciò s'inferisce che non è volontà di Dio che si facciano miracoli senza necessità. E perciò Cristo mosse rimprovero ai Farisei, perché non volevano credere in Lui, se non a patto che operasse meraviglie, dicendo loro: Se non vedete miracoli e prodigi, non credete (Gv 4 ,48 ) . Adunque, coloro che amano di compiacersi in queste opere soprannaturali, perdono molto circa la fede.

10 - Il terzo danno è che costoro ordinariamente, per il piacere di queste opere, cadono nella vanagloria o in alcunché di simile. Anche il piacere stesso di queste meraviglie, non essendo puramente in Dio e per Dio, è vanità: il che si deduce dal fatto che Nostro Signore ammonì i suoi discepoli di non rallegrarsi che i demoni si assoggettavano al loro comando (L c 10 ,20 ) . E certamente, se questo gaudio non fosse stato vano, Cristo non lo avrebbe riprovato.

3S CAPITOLO 32

DUE VANTAGGI CHE SI RITRAGGONO DALLA RINUNZIA DEL GAUDIO CIRCA I BENI SOPRANNATURALI

1 - Oltre i vantaggi che l'anima consegue liberandosi dai tre danni di cui abbiamo parlato nel precedente capitolo, dalla rinunzia del suddetto gaudio ne ricava altri due eccellenti. Il primo è che l'anima esalta e magnifica Dio; il secondo è ch'ella esalta se medesima. L'anima esalta Dio in due maniere. La prima, distaccando il cuore e il gaudio della volontà da tutto ciò che non è Dio, per riporlo solamente in Lui: ciò che Davide volle dire nel passo già citato al principio della notte di questa potenza, cioè: L'uomo giungerà ad innalzare il cuore, e Dio sarà esaltato (S al 63 ,7 - 8 ). Perocché, innalzando il cuore da tutte le cose, l'anima si eleva al disopra di esse.

2 - Il Signore è magnificato nel senso che, avendo l'anima riposto in Lui il proprio cuore, Egli le manifesta la sua eccellenza e grandezza, dandole così testimonianza di chi Egli è: ciò che non può avvenire se non quando ella vuota la volontà dal piacere e dalla consolazione circa tutte le cose, secondo quello che il Signore stesso dice per bocca di Davide: Cessate da ogni cosa, e considerate come io sono Dio (S al 45 ,11 ) . E altrove lo stesso real Profeta rivolto al Signore dice: In una terra deserta, arida e senza strade, mi presentai dinanzi a te, per contemplare la tua virtù e la tua gloria (S a l 62 ,3 ) . Se è vero, dunque, che Dio è magnificato quando l'anima ripone il suo gaudio nel distacco da tutte le cose in genere, molto più è esaltato, quando ella distoglie l'affetto dalle opere prodigiose, perché queste sono di più sublime entità, essendo soprannaturali; e quindi, lasciarle in disparte per fermare il gaudio in Dio solo, è attribuirgli maggior gloria ed eccellenza, perché quanto più e migliori cose alcuno disprezza per un altro, tanto più lo stima ed ingrandisce.

3 - In questo distacco della volontà dalle opere soprannaturali consiste la seconda maniera di esaltare Dio. Invero, quanto più Dio è creduto e servito senza testimonianza di prodigi, tanto più è esaltato dall'anima, perché essa crede di Lui più di quello che i segni e i miracoli possano farle intendere.

4 - Il secondo vantaggio è quello mediante il quale l'anima esalta se stessa. Poiché, distogliendo la volontà da tutte le testimonianze e segni manifesti, ella si solleva ad una

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fede molto pura, che le viene infusa e accresciuta da Dio con assai maggiore intensità. In pari tempo il Signore le aumenta le altre due virtù teologali, ossia la carità e la speranza. Quindi l 'anima giunge a godere altissime notizie divine per mezzo dell'oscuro e nudo abito della fede; prova grande diletto d'amore per mezzo della carità, con la quale la volontà non si compiace in altra cosa che in Dio vivo; e mediante la speranza rimane soddisfatta nella memoria. Tutto ciò costituisce un mirabile vantaggio che essenzialmente e direttamente giova alla perfetta unione dell'anima con Dio.

3S CAPITOLO 33

COMINCIA A TRATTARE DEL SESTO GENERE DI BENI DI CUI LA VOLONTÀ PUÒ GODERE - DICE QUALI SIANO , E NE FA LA PRIMA DIVISIONE

1 - Poiché l'intento nostro in quest'opera è d'incamminare l'anima per mezzo dei beni spirituali sino alla sua unione con Dio, ora che appunto in questo sesto genere dobbiamo trattare dei beni spirituali, che sono quelli che più conducono a tal fine, converrà che tanto io quanto il lettore fermiamo qui in modo tutto particolare tutta la nostra considerazione. È cosa certa e pacifica che alcuni, per difetto di scienza, si servono delle cose spirituali solo per il senso, lasciando vuoto lo spirito, tanto che difficilmente si troverà alcuno a cui il succo sensibile non corrompa buona parte dello spirito bevendo l'acqua prima che giunga allo spirito, e lasciando questo arido e vuoto.

2 - Ciò premesso, dico che per beni spirituali intendo tutti quelli che promuovono e aiutano alle cose divine, al tratto dell'anima con Dio e alle comunicazioni di Dio con l'anima.

3 - Volendo fare una divisione dei beni spirituali per generi supremi, possiamo distinguerli in due: gli uni sono dilettevoli, e gli altri penosi. Ciascuno poi di questi generi si suddivide in due specie, perché tanto i beni dilettevoli, quanto i penosi, ora sono di cose chiare e distinte, ora di cose oscure e confuse.

4 - Inoltre, possiamo distinguerli tutti quanti secondo le potenze dell'anima: perché alcuni, in quanto sono cognizioni, appartengono all'intelletto; altri, essendo affetti, spettano alla volontà; altri infine, i beni immaginari, si riferiscono alla memoria.

5 - Per ora lasciamo da parte i beni penosi per trattarne in seguito nella notte passiva a cui appartengono. Così pure passiamo sotto silenzio i beni dilettevoli di cose indistinte, per parlarne alla fine, in quanto che riguardano la notizia generale, confusa, amorosa, in cui avviene l'unione dell'anima con Dio. Di questa notizia generale, come il lettore ben rammenterà, abbiamo fatto menzione nel libro secondo a proposito delle varie apprensioni dell'intelletto, rimettendone la completa trattazione all'ultimo luogo. Omesso dunque tutto ciò, adesso diremo soltanto di quei beni dilettevoli che sono di cose chiare e distinte .

3S CAPITOLO 34

BENI SPIRITUALI CHE DISTINTAMENTE POSSONO CADERE NELL 'INTELLETTO E NELLA MEMORIA - COME SI DEVE COMPORTARE LA VOLONTÀ CIRCA IL GODIMENTO DI ESSI

1 - Tra la moltitudine delle apprensioni della memoria e dell’intelletto, dovremmo sostenere non poca fatica per insegnare alla volontà il modo di comportarsi intorno al gaudio che vi può provare, se non avessimo già trattato diffusamente di esse nel secondo e terzo libro. Ivi, infatti, si è parlato della maniera in cui quelle due potenze devono regolarsi circa le loro apprensioni, per avanzare all'unione divina. Non occorre, quindi, che io qui mi ripeta: basti dire che dovunque là si afferma esser necessario che quelle potenze si vuotino di questo o quel genere di notizie, ugualmente s’intende che la volontà si comporti né più né meno come l'intelletto e la memoria rispetto a quelle apprensioni. Ed invero, poiché l'intelletto e le altre potenze non possono ammettere né rifiutare

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alcunché senza l'intervento della volontà, è evidente che anche per questa potenza vale la stessa dottrina che per le altre due abbiamo esposta.

2 - Ad essa, pertanto, rimando il lettore, avvertendo che l'anima incorrerà in tutti i pericoli e danni colà enumerati, se in quelle cognizioni non saprà indirizzare a Dio il gaudio della volontà.

3S CAPITOLO 35

BENI SPIRITUALI DILETTEVOLI CHE DISTINTAMENTE POSSONO CADERE NELLA VOLONTÀ - DICE DI QUANTE SPECIE SIANO

1 - Tutti i beni spirituali che distintamente possono apportare gaudio alla volontà si possono ridurre a quattro specie di beni, cioè: motivi, provocativi, direttivi e perfettivi, dei quali andremo parlando per ordine, cominciando da quelli motivi, che sono le immagini dei Santi, gli oratori e le sacre cerimonie.

2 - Quanto alle immagini dei Santi, vi può essere molta vanità e vana compiacenza: poiché, essendo esse molto importanti per il culto divino e così necessarie per muovere la volontà a devozione, come lo dimostra l'approvazione e l'uso che la Chiesa nostra Madre ne fa (e perciò conviene sempre giovarsene, per scuoterci dal nostro torpore), vi sono molte persone che ripongono il loro piacere più nella pittura e nell’ornato delle immagini, che in ciò ch'esse rappresentano.

3 - La Chiesa ordinò l'uso delle immagini per due fini principali, ossia: per onorare in esse i Santi, e per muovere con esse la volontà e risvegliare la devozione verso i medesimi. Orbene, in quanto servono a tali effetti, è indubitato che il loro uso è necessario e di gran profitto; e perciò quelle che ritraggono più al vivo e al naturale, e che maggiormente eccitano la volontà a devozione, sono da preferirsi alle altre, ma solo per questa ragione, senza badare al loro valore estrinseco, all'eleganza della forma e agli ornamenti loro. Vi sono alcuni che guardano più alla rarità e al prezzo dell'immagine che a ciò che rappresenta; e mentre dovrebbero indirizzare spiritualmente l'interna devozione al Santo invisibile, dimenticando subito l'immagine che non serve più che di motivo, fermano l'attenzione nella forma e nei pregi esteriori di essa, di modo che il senso se ne compiace, e il gaudio della volontà vi si posa: il che impedisce affatto il vero spirito, che richiede l'annientamento dell'affetto in tutte le cose particolari.

4 - Ciò ben si scorge da un detestabile uso invalso ai nostri tempi presso alcuni che, non avendo in aborrimento le vane gale del mondo, adornano le statue dei Santi secondo le varie fogge di vestire, che la moda inventa ogni giorno a soddisfazione della gente sciocca e leggera: cosa che ai Santi fu ed è sommamente odiosa. Sembra proprio che questi tali, per diabolica suggestione, vogliono adattare alle sacre statue ciò che in essi viene ripreso, per canonizzare quasi le proprie vanità, non senza grave ingiuria ai Santi stessi. Di maniera che l'onesta e seria devozione dello spirito, la quale rimuove da sé ogni ombra di vanità, è sostituita da una specie di culto di bambole, tanto che alcuni si servono delle immagini come di idoli, in cui ripongono tutta la loro compiacenza. Quindi vedrai alcune persone che non si saziano di aggiungere immagini a immagini; vogliono che queste siano di quella tal sorta e fattura, e acconciate in quella data maniera, di modo che il senso resti appagato, ma con molta poca devozione del cuore. Costoro hanno tanto attaccamento a tali cose quanto Micha e Labano ai loro idoli: il primo dei due uscì di casa gridando a gran voce, perché glieli avevano rubati; e l 'altro intraprese lungo cammino per recuperarli, ed avendo raggiunto Giacobbe, pieno d'ira ne mise sossopra tutta la roba per ritrovarli (Gdc

18 , 24 ; Gen 31 , 34 ).

5 - La persona veramente devota indirizza il suo affetto principalmente all'invisibile, abbisogna e si serve di poche immagini, e solo di quelle che convengono più al carattere divino che all'umano, conformando esse e se stessa allo stato e condizione dell'altra vita e non della presente; affinché, mirandole, non le accada di veder figure che le eccitino l'appetito sensibile e le rammentino il mondo e le sue cose, anzi neppure tiene legato il

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cuore alle poche immagini che usa. Quindi, se gliele tolgono, non se ne dà molta pena, perché cerca dentro di sé la viva immagine di Cristo crocifisso, nel quale gode che tutto le sia tolto e tutto le manchi. Ancorché la privino dei motivi e dei mezzi che più conducono a Dio, rimane ugualmente calma e serena: poiché è maggior perfezione per l'anima lo starsene con tranquillità e piacere nella privazione di questi motivi, che non nel possederli con attacco dell'appetito. E quantunque sia cosa buona che l'anima si compiaccia di varie immagini che l'aiutino a maggior devozione (e a tal fine sono da preferirsi sempre quelle che muovono di più), tuttavia non è perfezione ch'ella sia tanto affezionata a loro da possederle con affetto di proprietà e rattristarsi, qualora le vengano tolte.

6 - L'anima tenga per certo che quanto più è attaccata a qualche immagine o motivo sensibile, tanto meno la sua devozione e orazione saliranno a Dio. Abbiamo detto, è vero, che quando le immagini ritraggono più al vivo il soggetto che rappresentano e più fomentano in noi la devozione, si devono scegliere e aver care a preferenza delle altre, ma solo per questo motivo e senza quello spirito di proprietà e di affetto disordinato che abbiamo detto; altrimenti il senso, immerso nel godimento dei mezzi, distrugge tutto ciò che l'anima, lasciando subito l'immagine, potrebbe ricavarne per volare a Dio; e quindi ciò che dovrebbe essere solamente di aiuto a tal fine, per l 'umana imperfezione riesce piuttosto d'impaccio, non meno che l'affetto di proprietà circa qualsivoglia altra cosa.

7 - Ma, se in fatto d’immagini taluno avesse qualche obiezione da farmi, per non aver ben capito la nudità e povertà di spirito che la perfezione richiede, certamente non avrà di che opporre rispetto alle imperfezioni che ordinariamente si commettono intorno alle corone del rosario, perché a mala pena si troverà che per esse non cada in qualche debolezza, volendo che siano di quella data forma e materia, di quel colore e ornato, e non altrimenti; mentre tutto questo nulla importa perché le preghiere siano esaudite. Dio invece ascolta meglio l'anima che procede con semplice e retto cuore, e che vuole soltanto piacere a Lui, niente curandosi di adoperare questa o quella corona, se non fosse a motivo delle indulgenze.

8 - La nostra cupidigia è di tal natura e condizione, che si attacca a tutto, ed è come il tarlo, che rode le parti sane, e sì nelle cose buone come nelle cattive fa il suo mestiere. Poiché, se ti godi di portare una corona elegante, e vuoi che sia fatta in questa maniera piuttosto che in quella, che altro ciò significa se non che hai riposto la tua compiacenza in un semplice strumento? Lo stesso si dica se preferisci un’immagine ad un'altra, senza badare se sveglierà di più in te l 'amore divino, ma solo se è più bella e preziosa. Certo, se tu impiegassi il tuo appetito e godimento soltanto in piacere a Dio, saresti perfettamente indifferente in tutto. Fa proprio pena vedere come alcune persone spirituali si perdono nella forma, nella qualità e nel gusto vano degli oggetti di devozione; poiché non si contentano mai, ma vanno sempre cambiando e lasciando gli uni per gli altri, sino a dimenticare la devozione dello spirito a cagione di questi mezzi visibili, nutrendo alle volte verso di questi, non senza loro grave danno, un affetto disordinato non dissimile da quello che i mondani ripongono nei loro gioielli.

3S CAPITOLO 36

PROSEGUE A PARLARE DELLE IMMAGINI , E DICE DELL 'IGNORANZA CHE ALCUNE PERSONE HANNO INTORNO AD ESSE

1 - Vi sarebbe molto da dire intorno all’ignoranza che non pochi hanno rispetto alle immagini; poiché la loro sciocchezza giunge a tal segno che confidano più nell'una che nell'altra immagine, credendo che Dio li ascolti maggiormente per mezzo della prima, mentre ambedue rappresentano o Nostro Signore o la Santissima Vergine. Questo accade, perché portano più affetto ad una figura che all'altra, il che è indizio di grande ignoranza e stoltezza circa il tratto con Dio e il culto e l'onore a Lui dovuto, che consistono principalmente nella fede e nella purezza del cuore di chi prega. Se Dio alle volte fa grazia più per mezzo di un'immagine che di un'altra del medesimo genere, non è perché nella prima vi sia qualcosa di speciale a tale effetto (per quanto possono essere differenti nella forma o altro), ma perché gli uomini risvegliano meglio con essa i devoti affetti del

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cuore. Che se la stessa devozione nutrissero sì per l'una come per l 'altra (e anche senza nessuna delle due), riceverebbero da Dio i medesimi favori.

2 - Allorché, quindi, Dio opera miracoli e dispensa grazie per mezzo di un'immagine a preferenza di altre, non lo fa affinché gli uomini la stimino di più, ma perché con quella novità si ridesti la sopita devozione dei fedeli e il loro amore all'orazione. Dipoi, accendendosi vieppiù lo spirito di pietà e continuando le preghiere (ché l'uno e le altre muovono Dio ad ascoltare ed esaudire le nostre domande), anche il Signore continua a far grazie e prodigi, noni già a cagione di quell'immagine che in sé non è altro che una semplice pittura, ma per la devota fiducia che si ha nel Santo che l'immagine rappresenta. Perciò, se tu avessi la medesima devozione e fede verso nostra Signora dinanzi a due differenti immagini che la raffigurano (e anche, ripeto, facendo a meno di tutt'e due), saresti ugualmente esaudito. Che anzi l 'esperienza dimostra che Dio ordinariamente concede grazie e opera miracoli per mezzo di alcune immagini non troppo bene scolpite o dipinte, affinché appunto i fedeli non attribuiscano gli effetti prodigiosi al merito dell'arte.

3 - Molte volte poi Nostro Signore si compiace di operare le sue meraviglie per mezzo di immagini che si venerano in luoghi remoti e solitari, e ciò per due motivi. Primieramente, affinché con quel movimento di andare a visitarle l'affetto cresca di più e l 'atto sia più intenso. In secondo luogo, perché le anime devote si ritirino a pregare, fuggendo lo strepito del mondo, ad esempio di Nostro Signore. Per la qual cosa chi va in pellegrinaggio, è bene che lo faccia quando non vi è concorso di gente, ancorché si tratti di circostanza straordinaria. Quando c'è molta folla, io non consiglierei mai di andarvi, perché in genere si ritorna più distratti di prima. Molti, infatti, vanno in pellegrinaggio, più per ricreazione che per devozione. Adunque, se vi è devozione e fede, qualsiasi immagine gioverà; altrimenti nessuna sarà sufficiente. Quanto viva immagine era Nostro Signore nel mondo! Eppure, quelli che non avevano fede, quantunque lo seguissero più da vicino e vedessero le sue opere meravigliose, non ne cavavano alcun profitto. E questa era la causa per cui Egli non operava molti prodigi nella sua patria, come dice l'Evangelista (M t 13 ,58 ).

4 - Voglio anche riferire qui alcuni effetti soprannaturali che le immagini producono in certuni. Alle volte Dio infonde nelle immagini una tale virtù particolare, che lascia impressa nella loro mente con molta efficacia la figura dell'immagine e la devozione che questa eccitò, rendendogliela viva e presente: di modo che, quando in seguito si ricordano dell'immagine, sentono risvegliarsi, ora più ora meno, lo stesso spirito di quando la videro; mentre in un'altra immagine, benché più perfetta, non troveranno quello spirito.

5 - Similmente, molti hanno maggiore tenerezza per certe forme e figure speciali, ma spesso ciò non dipende se non da naturale simpatia: come avviene quando ad alcuno va a genio una persona più di un’altra, e quindi si affeziona più a quella e la tiene più presente alla memoria, quantunque non sia tanto bella a paragone di altre. Così costoro penseranno che l'affetto che portano a questa o quell'immagine sia vera devozione, mentre forse non sarà altro che gusto e propensione naturale. Altre volte accade che, osservando un'immagine, la vedono muoversi, mutar sembianze, o far segni, o parlare in varie maniere. Ma circa questi effetti soprannaturali bisogna stare in guardia, perché, sebbene spesso siano veri e buoni, prodotti da Dio o per accrescere la devozione, o affinché l'anima vi trovi un appoggio alla sua debolezza e distrazione, sovente però sono prodotti dal demonio a fine di nuocere e ingannare. Intorno a tutto ciò daremo qualche avviso nel seguente capitolo.

3S CAPITOLO 37

COME SI DEBBA DIRIGERE A DIO IL GAUDIO DELLA VOLONTÀA PER MEZZO DELLE IMMAGINI , AFFINCHÉ L 'ANIMA NON ERRI NÉ VI TROVI IMPEDIMENTO

1 - Non v’è dubbio che le immagini siano di grande aiuto per ricordarsi di Dio e dei Santi, e per eccitare la volontà a devozione, quando si usano nel modo ordinario, come conviene;

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ma, quando accadono cose soprannaturali intorno ad esse, potrebbero porgere occasione di errare, se l 'anima non sapesse ben regolarsi per andare a Dio. Uno dei mezzi con i quali il demonio irretisce facilmente le anime incaute ed impedisce loro il cammino del vero spirito, sono le cose soprannaturali e straordinarie, che fa apparire nelle immagini, ora in quelle materiali di cui la Chiesa fa uso, ora in quelle ch'egli suole imprimere nella fantasia sotto la figura di questo o quel Santo, o anche propria, trasfigurandosi in Angelo di luce per meglio ingannare (2C or 11 ,14 ). Il demonio, astuto com'è, procura di nascondersi in quei mezzi stessi che abbiamo a nostro rimedio e conforto, a fine di sorprenderci dove meno ce l'aspettiamo. Quindi l 'anima buona e prudente deve sempre temere anche nel bene, e forse più che nel male, perché questo porta con sé la propria impronta e facilmente si riconosce.

2 - Daremo perciò un suggerimento, affinché l'anima sappia evitare tutti i danni che possono succederle in fatto di immagini, i quali sono: o essere impedita, di volare a Dio, o usare delle immagini in modo rozzo e volgare, o essere ingannata naturalmente o soprannaturalmente per mezzo loro: ed anche perché riesca a purificare in esse il gaudio della volontà e ad innalzarsi a Dio: ciò che è il fine che la Chiesa intende nel loro uso. Un solo avvertimento basterà per tutto, ed è questo: poiché le immagini ci servono di motivo alle cose invisibili, procuriamo solamente di volgere l’affetto e il gaudio della volontà al vivo che rappresentano. L'anima cristiana vedendo un’immagine, badi bene di non imbeverne il senso, comunque essa sia, o materiale o immaginaria, o di bella forma o di ricco ornamento. Sia che le susciti devozione sensibile o spirituale, sia che le mostri qualche segno prodigioso, non faccia caso di nessuna di queste cose accidentali e accessorie. Non si fermi a considerare l'immagine, ma subito innalzi la mente con devota preghiera al soggetto rappresentato, riponendo il gaudio della volontà in Dio o nel Santo che invoca; affinché la pittura e il senso non si prendano ciò che, si deve dare allo spirito e alla persona viva raffigurata dal dipinto. In questa maniera l'uomo non resterà ingannato, perché non farà caso di ciò che l'immagine gli dicesse, non occuperà lo spirito e il senso in modo da non andare liberamente a Dio, e non avrà più fiducia in un'immagine che in un'altra. Quella poi che soprannaturalmente gli ispirasse devozione, gliela infonderà più copiosa ancora, perché egli subito corre con il suo affetto a Dio. Poiché, ogni volta che il Signore fa queste o altre grazie, le fa inclinando l'affetto e il gaudio della volontà all'invisibile: e così vuole che facciamo, annichilendo la forza e la virtù delle potenze circa tutte le cose visibili e sensibili.

3S CAPITOLO 38

PROSEGUE A TRATTARE DEI BENI MOTIVI - PARLA DEGLI ORATORI E ALTRI LUOGHI DESTINATI ALLA PREGHIERA

1 - Mi sembra di avere spiegato abbastanza che circa i pregi estrinseci delle immagini, la persona spirituale può commettere molte imperfezioni, forse più pericolose, che non nelle altre cose materiali e temporali. Ho detto: forse più pericolose, perché trattandosi di cose sante, l 'anima va con maggiore sicurezza, senza temere lo spirito di proprietà e di attacco naturale. Quindi alle volte s'inganna assai, supponendo di essere già piena di devozione perché prova gusto in quelle immagini, mentre forse non si tratta d'altro che d'inclinazione e appetito naturale, che ripone in quelle come in altre cose.

2 - Di qui ne viene (cominciando a parlare degli oratori) che alcune persone non si saziano di ricoprire di immagini le pareti del loro oratorio, compiacendosi dell'ordine e dell'arte con cui le dispongono, e facendo di tutto affinché il sacro luogo sia riccamente adornato e faccia bella figura; ma di Dio si curano così, anzi ben poco, perché il gusto che ripongono in quei dipinti e decorazioni, lo detraggono al vivo delle immagini [a l l a pers ona

rappre sen t a ta ]. È ben vero che tutto l'ornamento, tutta la riverenza possibile con la quale veneriamo le immagini, è sempre poca; anzi aggiungo che coloro i quali le tengono con poco decoro e rispetto, sono degni di grave riprensione, non meno di quelli che ne dipingono, o scolpiscono alcune in modo sì rozzo e grossolano che tolgono la devozione invece di accrescerla (onde non bisognerebbe affatto affidare tal genere di lavori a mani inesperte); ma questo che cosa ha che vedere con l'affetto di proprietà e di attacco che tu

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porti a quegli ornati e fregi esteriori, quando per tale affetto resti ingolfato nel senso, e il tuo cuore viene impedito non poco di volare a Dio e di amarlo, dimenticando ogni cosa per amor suo? Che se sei manchevole in questo amore a cagione di quel vano affetto, Dio non solo non gradirà tutto il resto che tu faccia, ma anzi ti castigherà, perché in tutte le cose hai cercato più il tuo gusto che il suo. Potrai bene intendere quanto ho detto, rievocando la festosa accoglienza che gli Ebrei fecero a Sua Divina Maestà, quando entrò in Gerusalemme. Mentre essi gli andavano incontro con canti di giubilo, portando in mano rami d'olivo, il Signore piangeva ( M t 21 ,9 ), perché conosceva che parecchi di loro erano molto lontani da Lui con il cuore, e credevano di appagarlo con quei segni esteriori di allegrezza. Possiamo dire che facevano più festa a se stessi che a Dio: il che anche oggidì accade a non pochi, i quali, andando in qualche luogo in occasione di grandi solennità, sogliono rallegrarsi più per i divertimenti che si prenderanno, o nel vedere, o nell'essere veduti, o nel mangiare, o per altri scopi, che non per piacere a Dio. Essendo mossi da queste non rette intenzioni, non danno alcun gusto al Signore, il che specialmente deve dirsi di quelli stessi che, facendosi promotori delle feste, le pensano tutte per frammischiarvi cose buffe e indevote a fine di eccitare la gente al riso e distrarla con ciò che più le piace, invece di risvegliarne la devozione.

3 - Che dirò poi di coloro che hanno altri fini? Di quelli che celebrano le feste a scopo di lucro? Lo sapranno loro e Dio che li vede, se mirano piuttosto al guadagno che al servizio del Signore! Però sappiano anche che, comunque operino, se non hanno retta intenzione, fanno festa più a se stessi che a Dio. Ciò che fanno per gusto proprio o altrui,. Dio non lo ascrive a loro merito e non lo gradisce; anzi potrà accadere che, mentre prendono parte alle solennità religiose, rallegrandosi a modo loro, il Signore si muova a sdegno contro di essi. Così fece con i figli d'Israele, dei quali fece perire parecchie migliaia, perché avevano cantato e danzato d'intorno al loro idolo, immaginandosi di rendere onore a Dio (E s 32 ,7 - 28); o come avvenne ai sacerdoti Nadab e Abiud, figli di Aronne, che il Signore fece morire con gli incensieri in mano, perché offrivano fuoco profano (L v 10 , 1 -2 ); o come a colui che entrò nel convito nuziale male in arnese, e che dal re fu fatto cacciare nelle tenebre esteriori, con le mani e i piedi legati (M t 22 ,12 -13 ) . In questi esempi si scorge chiaramente quanto Dio mal sopporti certe irriverenza nelle riunioni destinate al suo culto. Dio mio! quante feste fanno i figli degli uomini, nelle quali più i1 demonio ha la sua parte che Voi! Egli molto ne gode, perché in esse, come il negoziante, fa lui la sua fiera. Quante volte dovrete dire: Questo popolo mi onora soltanto con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me, perché mi serve senza cagione (Mt 15, 8- 9) . E la cagione per la quale Dio deve essere servito, è perché Egli è Colui che è, non frammischiandovi altri fini: quindi, chi non lo servisse solamente per Quegli che è, lo servirebbe senza causa, ossia senza considerarlo come causa finale.

4 - Tornando ora a parlare degli oratori, dico che parecchie persone li adornano più per proprio gusto che per quello di Dio: e alcuni fanno sì poco caso del carattere devoto che questi sacri luoghi dovrebbero presentare, che li considerano non più che salotti mondani; anzi taluni nemmeno li stimano tanto, perché si compiacciono più delle cose profane che delle divine.

5 - Ma lasciando costoro, e parlando ancora di quelli che sono più spirituali, cioè di quelli che si ritengono per anime pie, diciamo che molti inclinano tanto a tener legato l'affetto al loro oratorio e ai suoi ornamenti, che nel pensiero e nella cura di queste cose sprecano tutto il tempo che dovrebbero impiegare in sante preghiere e nel raccoglimento interiore. Non arrivano a capire che, invece di alimentare la devozione e procurare la pace dello spirito, si distraggono in quelle cose non meno che in tutto il resto, e ad ogni passo s'inquietano nel loro appetito, massimamente se taluno tentasse di privarli dei loro gusti.

3S CAPITOLO 39

COME SI DEVE FAR USO DEGLI ORATORI E DELLE CHIESE INCAMMINANDO LO SPIRITO A DIO PER LORO MEZZO

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1 - Per incamminare lo spirito a Dio in questo genere di mezzi, conviene avvertire che ai principianti si concede ed è anche necessario che trovino qualche piacere sensibile circa 1e immagini, gli oratori e le altre cose devote visibili, perché non hanno ancora divezzato il palato dalle cose del secolo; e quindi, mediante il gusto delle cose sante più facilmente lasciano tutti gli altri gusti: come facciamo con un bambino, al quale se vogliamo togliere una cosa, gliene diamo un’altra, affinché non resti a mani vuote e non pianga. Però, se vuol progredire, l 'uomo spirituale si deve spogliare anche dei suddetti gusti ed appetiti in cui la volontà può dilettarsi. Il puro spirito molto poco si attacca ad alcunché di quelle cose, ma soltanto si fonda nel raccoglimento interiore e nel tratto mentale con Dio; e quantunque si giovi delle immagini e degli oratori, lo fa molto di passaggio, elevandosi subito a Dio e dimenticando tutto ciò che è sensibile.

2 - Pertanto, benché sia meglio pregare nei luoghi più adatti, ciò nonostante è da scegliersi luogo ove il senso e lo spirito saranno meno impediti di sollevarsi al Signore. Intorno a ciò fanno a proposito le parole che Cristo Nostro Signore rispose alla donna Samaritana, quando gli domandò quale fosse il luogo più adatto per pregare, se i1 tempio o il monte. Il Signore le disse che la vera orazione non era legata né al tempio né al monte, ma che i veri adoratori di cui il Padre si compiace, sono quelli che lo adorano in spirito e verità (Gv 4 ,23 - 24). Quindi, benché i templi e i luoghi ameni siano dedicati e opportuni alla preghiera (e certamente le Chiese non devono servire ad altro uso), tuttavia per un affare di tanta importanza, qual è il tratto interiore con Dio, si deve scegliere quel luogo che meno occupi e attragga il senso. Il luogo non deve essere delizioso e piacevole al senso (come alcuni vogliono procurarlo), perché altrimenti invece di raccogliere lo spirito in Dio, non si farebbe altro che ricreare il senso. Sono invece molto adatti i luoghi solitari e anche alpestri, ove lo spirito seriamente e direttamente sale a Dio, non impedito o trattenuto dalle cose visibili, le quali alcune volte aiutano sì ad innalzare lo spirito, ma solo se le dimentichiamo subito, per restarcene unicamente con Dio. Per ammaestrarci col suo esempio, il nostro Salvatore ordinariamente per fare orazione preferiva i luoghi solitari, e quelli che non occupassero molto i sensi, ma che sollevassero l'anima a Dio, come sono i monti, che si elevano da terra e per lo più sono spogli e brulli, e non offrono al senso materia di ricreazione.

3 - Pertanto il vero spirituale, quando vuol pregare, non bada mai alla comodità del luogo, perché ciò sarebbe indizio di essere ancora attaccato al senso, ma solo ha di mira il raccoglimento interiore, scegliendo perciò il luogo più libero da oggetti e sollievi sensibili, distogliendo l’attenzione da tutto ciò, per godere del suo Dio più da solo, lungi dalle creature. È cosa che rincresce il vedere come alcuni spirituali sono tutti intenti ad adornare oratori e accomodare luoghi gradevoli ai loro gusti e alla loro inclinazione, del raccoglimento interiore poi, che è ciò che più importa, ne fanno meno conto e ne hanno ben poco; poiché se lo avessero, non potrebbero trovar diletto in quegli apparati esteriori, anzi li avrebbero in fastidio.

3S CAPITOLO 40

PROSEGUE AD INCAMMINARE LO SPIRITO AL RACCOGIIMENTO INTERIORE CIRCA LE COSE SUDDETTE

1 - La causa, dunque, per cui alcuni spirituali non finiscono mai di entrare nei veri gaudi dello spirito, è perché non riescono a distaccare l'appetito dal piacere delle cose esteriori e visibili . Avvertano questi tali che, quantunque il luogo conveniente e destinato all'orazione siano le Chiese e gli oratori visibili, e l 'immagine serva di motivo, pure devono fare in modo che il sapore e il gusto dell'anima non s'impieghi tutto nel tempio visibile e nell'immagine, e non si dimentichino di pregare nel tempio vivo, che è l’interno raccoglimento dello spirito. Onde l'apostolo S. Paolo ci ammonisce dicendo: Considerate che i vostri corpi sono templi dello Spirito Santo che in voi dimora (1 C or 3 ,16 ) . E a questa considerazione ci richiama il testo già ricordato, cioè: È necessario che i veri adoratori adorino Dio in spirito e verità (Gv 4 ,24 ) . Dio fa molto poco conto dei tuoi oratori e altri luoghi ben disposti, se per l 'appetito che tieni legato ad essi hai meno di nudità interiore, ossia meno povertà spirituale nella rinuncia di tutte le cose che puoi possedere.

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2 - Adunque per purgare nelle dette cose la volontà dal vano piacere e indirizzare il gaudio a Dio nella tua orazione, procura soltanto di avere la coscienza pura, e la tua volontà tutta con Dio, e la mente ferma davvero in Lui. Scegli il luogo più appartato e solitario possibile, e volgi tutto il gaudio della volontà a invocare e glorificare il Signore. Non far caso dei piccoli gusti esteriori, anzi procura di rifiutarli: perché, se l 'anima si abitua al sapore della devozione sensibile, non riuscirà mai a passare alla forza del diletto spirituale, che si trova nella nudità dello spirito, mediante il raccoglimento interiore.

3S CAPITOLO 41

ALCUNI DANNI IN CUI INCORRONO COLORO CHE SI ATTACCANO AL GUSTO SENSIBILE DELLE COSE E DEI LUOGHI DEVOTI

1 - Molti danni, sì interiori che esteriori, accadono alla persona spirituale che va cercando il sapore sensibile intorno alle suddette cose. Quanto allo spirito, mai giungerà al raccoglimento interiore, che consiste in far sì che l'anima esca fuori e si dimentichi di tutti questi gusti sensibili, ritirandosi nel suo intimo e acquistando le virtù con virile fortezza. Quanto all'esteriore, le avviene che non si adatta a pregare in tutti i luoghi, ma solo in quelli di suo gusto; quindi molte volte lascerà l'orazione, poiché, come dice il proverbio, non sa leggere che il libro del suo villaggio.

2 - Inoltre l 'appetito di cui è schiava, la rende molto volubile e amante di novità. Ed invero gli uomini di tal fatta non perseverano mai in uno stesso luogo, e alle volte neanche in un medesimo stato; ma ora li vedrai in una parte, ora in un'altra; ora si scelgono questo romitorio ora quello; ora si acconciano una cappelletta, ora un'altra: insomma passano tutto il tempo della loro vita in continui mutamenti di stato e in vari modi di vivere. La ragione è evidente: poiché sono guidati solamente dal diletto sensibile circa le cose spirituali, né mai si sono sforzati di giungere al raccoglimento dello spirito abnegando la volontà e assoggettandosi a soffrire disagi, ogni volta che vedono un luogo, a loro giudizio, più devoto, o qualche maniera di vita o stato più confacente al loro genio e inclinazione, subito vi corrono dietro, lasciando ciò che prima avevano scelto. E poiché furono mossi dal solo gusto sensibile, ben presto andranno in cerca di un'altra cosa, perché quel piacere è incostante e dopo poco tempo viene a mancare.

3S CAPITOLO 42

PARLA DI TRE SORTA DI LUOGHI DEVOTI E DICE , COME IN QUESTI LA VOLONTÀ SI DEVE COMPORTARE

1 - A mio avviso, vi sono tre sorta di luoghi per mezzo dei quali Dio suole eccitare la volontà a devozione. La prima comprende, alcune località che per la bellezza del panorama, per la disposizione del terreno e degli alberi, o per la dolce e solitaria quiete che ivi si gode, naturalmente risvegliano devoti affetti. Usare di questi luoghi giova molto, purché subito la volontà, obliandoli, s'indirizzi a Dio, perché per giungere al fine non conviene fermarsi nei mezzi o motivi più di quanto basti. Se l'uomo cerca di ricreare l'appetito e cavarne diletto sensibile, troverà piuttosto aridità e distrazione spirituale; perché la soddisfazione e il sapore dello spirito non si trova se non nel raccoglimento interiore.

2 - Pertanto, stando in un luogo, se ne dimentichi come se non vi stesse, e procuri di ritirarsi nel suo interno con Dio: altrimenti, se va appresso al piacere e al gusto del luogo, è segno che cerca la ricreazione dei sensi e l'instabilità dell'animo, anziché la quiete spirituale. Così facevano gli anacoreti e gli altri santi romiti, che nei vastissimi e graziosissimi deserti sceglievano il luogo più angusto, appena sufficiente, dove fabbricavano strettissime celle o abitavano nelle caverne. Sappiamo, ad esempio, che S. Benedetto dimorò tre anni in una grotta; e un altro, S. Simone, si legò a una fune, per non muoversi che fin dove essa arrivava: e così di tanti altri che sarebbe troppo lungo

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enumerare. Questi Santi capivano molto bene che, se non estinguevano l'appetito e il desiderio di trovare gusto spirituale, non potevano diventare uomini di spirito.

3 - La seconda specie comprende quei luoghi, deserti o no, dove Dio suol fare segnalate grazie spirituali ad alcune persone particolari: di maniera che l'uomo resta affezionato al luogo dove ricevette la grazia, e quindi alle volte è preso da vivi desideri ed ansie di ritornarvi; sebbene però può succedere che, tornandovi, non provi gli stessi effetti di prima, perché non è in suo potere ricevere quelle grazie, ma Dio le fa quando, come e dove vuole, senza legarsi a condizioni di luogo o di tempo, o all'arbitrio di colui al quale le concede. Tuttavia, purché l'uomo non abbia affetto di proprietà, è bene che ritorni alcune volte, a pregare nel luogo privilegiato, per tre ragioni. La prima, perché quantunque Dio non sia legato a nessun luogo determinato, nondimeno, concedendo grazie ad un'anima in quel luogo piuttosto che in altri, sembra che ivi particolarmente voglia essere da lei lodato. La seconda, perché l'anima meglio si ricorda di esser grata a Dio del favore colà ricevuto. La terza, perché la devozione molto più si risveglia con quel ricordo.

4 - Per queste ragioni, dunque, la persona deve andarvi, e non già pensando che Dio sia tenuto a concederle colà le sue grazie, quasi che non possa farle dove Egli vuole: l'anima è per il Signore il luogo più conveniente e più proprio di qualsiasi altro. Così leggiamo nella Sacra Scrittura che Abramo costruì un altare nello stesso luogo dove Dio gli era apparso, e ivi invocò il suo santo Nome; e che di poi, di ritorno dall'Egitto, ripassando per la medesima strada dove Dio gli si era mostrato, lo invocò di nuovo presso lo stesso altare che aveva edificato (G en 12 , 8 ). Anche Giacobbe segnò il luogo dove aveva visto il Signore appoggiato su di quella scala che toccava il Cielo, e vi collocò a ricordo una pietra unta di olio (Gen 28 , 13 -18) . E Agar impose nome al luogo dell'apparizione dell'Angelo, dicendo: Certo è che qui ho visto il dorso di Colui che mi vede (Gen 16 , 13 ).

5 - Alla terza specie appartengono alcuni luoghi particolari che Dio elegge per esservi invocato e servito. Così ad esempio, il Monte Sinai, dove il Signore diede la legge a Mosè (E s 24 ,12 ); il luogo che indicò ad Abramo, affinché vi sacrificasse il suo figliolo (Gen 22 , 2 )4; il Monte Oreb, dove Dio apparve al nostro padre Elia (3R e 19 , 8 ).

6 - La causa per cui Dio elegge questi luoghi più che altri per essere lodato, è nota soltanto a Lui. Quello che più importa a noi è di sapere è che Egli tutto ordina a nostro profitto, e vuole ascoltare le nostre orazioni là e dovunque con perfetta fede lo pregheremo; quantunque, però, nei luoghi consacrati al suo culto vi è più occasione di essere da Lui esauditi, essendo stati dalla Chiesa destinati e dedicati a tale effetto.

3S CAPITOLO 43

TRATTA DI ALTRI MOTIVI USATI DA MOLTI PER PREGARE , CHE CONSISTONO IN UNA GRANDE VARIETÀ DI CERIMONIE

1 - La vanità del gusto e l 'imperfezione di proprietà che molti hanno intorno a ciò che finora abbiamo detto, forse sono in parte tollerabili, perché si può supporre un po' di buona fede: ma è affatto insopportabile il grande attacco che taluni portano a molte maniere di cerimonie introdotte da persone poco illuminate e mancanti di semplicità nella fede. Non intendo parlare di quelle cerimonie che consistono nell'uso di nomi e parole stravaganti, che non significano proprio nulla, e di altre cose non sacre che certa gente ignorante, rozza e sospetta, suole frammischiare nelle sue preghiere. È troppo evidente che tali riti sono pessimi, peccaminosi, e molti di essi includono un patto occulto col demonio, di modo che provocano l'ira del Signore, anziché muoverlo a misericordia: quindi tralascio di parlarne.

2 - Mi limiterò a dire soltanto di quelle cerimonie che, non essendo in sé manifestamente sospette, sono usate oggidì da molte persone, con devozione sciocca e indiscreta. Non pochi, infatti, annettono sì grande efficacia e ripongono tanta fiducia in certi modi di fare le loro devozioni e orazioni, che guai se mancano di un punto o escono un tantino da quei limiti! Tutto è inutile, non saranno esauditi da Dio. Così almeno essi la pensano,

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avendo più fiducia in quei modi e condizioni, che nel vivo della preghiera, non senza grande irriverenza ed ingiuria al Signore. Vogliono, ad esempio, che la messa sia celebrata con tante candele né più né meno; che la dica il tale sacerdote, alla tale ora, né prima né dopo; che le orazioni o stazioni siano quelle e non altre, tante di numero e in quei dati tempi, e con determinate cerimonie e atteggiamenti, e non altrimenti; che la persona che prega abbia le tali qualità e prerogative. Credono poi che se mai manca alcunché di tutto ciò che si sono prefissi, non ottengono niente.

3 - La cosa peggiore e più intollerabile è che alcuni, dopo aver pregato in quella guisa, vogliono sentire in sé qualche effetto, o che si adempirà ciò che domandano, o sapere almeno che si adempirà: il che non è altro che tentare Dio e muoverlo a grave sdegno, tanto che alle volte Egli permette al demonio d'ingannarli col far loro sentire e intendere cose molto aliene dal profitto. Ciò essi meritano per l 'affetto di proprietà che hanno nelle loro orazioni, e perché desiderano che si faccia la loro volontà più che quella di Dio. Ad essi le cose non potranno mai riuscire bene, perché non pongono tutta la loro confidenza in Lui.

3S CAPITOLO 44

COME SI DEVE INDIRIZZARE A DIO IL GAUDIO E LA FORZA DELLA VOLONTÀ,, PER MEZZO DELLE PRATICHE DI DEVOZIONE

1 - Sappiano, dunque, costoro che, quanto più si appoggiano alle loro cerimonie, tanto minor confidenza pongono in Dio, e non otterranno da Lui ciò che desiderano. Vi sono alcuni che pregano spinti più dalla loro pretensione che dal desiderio di onorare Dio; e quantunque siano persuasi di volere che la cosa si adempia se torna a gloria di Dio, altrimenti no, tuttavia, per l 'affetto di proprietà e la vana compiacenza che hanno in quella, moltiplicano le preghiere per ottenerla, mentre sarebbe meglio che le dirigessero a fini più importanti, ossia a purificare davvero le loro coscienze, e ad attendere con opere sante all'affare della loro eterna, salvezza, posponendo ogni altra domanda che non miri a questo fine. In tal modo, ottenendo ciò che più importa, otterranno anche tutte le grazie di altro genere che non contrastino col loro maggior bene, ancorché non le chiedano, anzi molto meglio e più presto che se le domandassero con vivissime istanze. Cosi precisamente il Signore ha promesso per mezzo dell'Evangelista, dicendo: Cercate prima e principalmente il regno di Dio e la sua giustizia, e avrete di soprappiù tutte le altre cose (M t 6 ,33 ).

2 - Questo è il desiderio e la preghiera di cui il Signore maggiormente si compiace; e per ottenere le petizioni del nostro cuore, non v'è miglior mezzo che mettere tutta la forza della nostra preghiera in ciò che è più gradito a Dio; il quale allora, non solo ci concederà ciò che gli domandiamo, ossia la salute dell'anima, ma anche quello che giudica esser buono e conveniente per noi, benché non glielo chiediamo. Il che Davide ben ci fa intendere in un Salmo, dicendo: Il Signore è vicino a quei che l'invocano, a coloro che l'invocano in verità (S al 144 ,18 ) . E l'invocano in verità quelli che lo supplicano di cose più alte e vere, come sono quelle concernenti l 'eterna salute, giacché di costoro lo stesso Davide soggiunge: Compirà la volontà di quei che lo temono, e udirà le loro preghiere, e li farà salvi. Poiché Dio è custode di coloro che lo amano (S al 144 ,19 - 20). Il dire che il Signore è vicino a chi lo prega, non significa altro se non che Egli è pronto ad appagarne i desideri, e a concedergli anche ciò che non pensa di domandare. Leggiamo infatti che, avendo Salomone chiesto al Signore una cosa conforme al beneplacito divino, ossia la sapienza, a fine di reggere con giustizia il suo popolo, Dio così gli rispose: Poiché ti piacque la sapienza più di ogni altra cosa, e non domandasti né la vittoria con la morte dei tuoi nemici, né ricchezze, né lunga vita, ecco che io ti concedo, non solo la sapienza che chiedi per governare il mio popolo con giustizia, ma anche quel che non mi hai chiesto, cioè e ricchezze e sostanze e gloria, tali che nessun Re dei tempi passati e futuri sia simile a te (2Pa ra l . 1 ,11 -12) . E il Signore così fece, pacificando i nemici di lui, in modo che tutti all 'intorno, non che molestarlo, gli pagassero tributo. Similmente leggiamo nella Genesi che, quando Dio promise ad Abramo, conforme al suo desiderio, che avrebbe moltiplicato

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la discendenza del suo figlio legittimo come le stelle del cielo, gli disse: Propagherò pure la stirpe del figlio della tua schiava, perché anch'esso è figlio tuo (Gen 21 , 13 ).

3 - Adunque, coloro che vogliono pregare bene, indirizzino a Dio le forze e il gaudio della volontà nelle loro preghiere, e non ricorrano a cerimonie che la Chiesa Cattolica non usa e non approva. Lascino che il sacerdote dica la messa come gli ha ordinato la Chiesa, da cui fu deputato a tale ufficio; né vogliano escogitare e introdurre nuovi riti e stranezze, quasi che ne sappiano più loro, che lo Spirito Santo e la sua Chiesa. Che se non sono esauditi da Dio per mezzo di una preghiera sì semplice e pura, si persuadano che nemmeno lo saranno con tutte le loro invenzioni; poiché Dio è tale che, se è invocato nel debito modo e con fine retto, concede le sue grazie; altrimenti, se c'è di mezzo l'interesse, è inutile pregarlo.

4 - Così pure circa le cerimonie del recitare e tutte le altre devozioni e pratiche di pietà, non facciano assegnamento su modi di pregare diversi da quelli che Cristo e la Chiesa ci hanno insegnati (Lc 11 , 1 -2 ). È chiaro che, quando i discepoli domandarono al Nostro Divin Redentore che insegnasse loro a pregare, Egli avrà certamente suggerito tutto ciò che è più opportuno per essere esauditi dal suo Eterno Padre, come Quegli che ben conosceva la di Lui volontà; ebbene insegnò loro solamente quelle sette petizioni del Pater Noster, in cui si racchiudono tutte le nostre necessità corporali e spirituali, e non prescrisse altre preghiere e cerimonie. Anzi, in altra circostanza, disse loro che nel fare orazione non parlassero molto, perché il nostro Padre Celeste sa bene quello che ci bisogna (Mt 6 ,7 -8) . Solo raccomandò, e assai caldamente, che fossimo perseveranti nell'orazione, cioè in quella del Pater Noster, dicendo altrove: È necessario pregare sempre, senza mai cessare (L c 18 ,1 ) . Ma non c'insegnò affatto a cambiare le petizioni del Pater Noster, bensì a ripeterle spesso con attenzione e fervore, perché contengono tutto ciò che è volontà di Dio e che conviene a noi. Per la qual cosa, allorché Sua Divina Maestà nell'orto di Getsemani si rivolse tre volte all'Eterno Padre perché lo liberasse, ogni volta lo pregò con le medesime parole del Pater Noster, dicendo: Padre, se è impossibile che io non beva questo calice, sia fatta la tua volontà (M t 26 ,39) . Le cerimonie poi con le quali Egli c'insegnò a pregare sono soltanto una di queste due: o pregare nel segreto della nostra stanza, dove lungi dal frastuono e senza che alcuno ci veda possiamo farlo con cuore più libero e puro, secondo che Egli disse: Quando vorrai fare orazione, entra nella tua stanza e, chiusa la porta, prega (M t 6 ,6 ); ovvero pregare, com'Egli faceva, nei luoghi solitari e durante il tempo migliore e più quieto della notte. Quindi non v'è alcuna necessità di fissare, tempo e giorni determinati per le nostre preghiere, né v'è alcun motivo di ricorrere a certi artifizi di parole, e di orazioni: basta solamente servirsi di quelle che la Chiesa usa e come le usa, perché tutte si riducono, come abbiamo detto, a quelle del Pater Noster.

5 - Però non condanno, anzi approvo il fatto che alcuni stabiliscono di far le loro devozioni e digiuni in determinati giorni di novene o altre simili occasioni, ma riprovo l'attaccamento che hanno al loro limitato modo di pregare e alle cerimonie che usano: come fece Giuditta la quale, riprendendo quei di Betulia perché avevano fissato un termine di tempo dentro il quale si aspettavano il divino aiuto, disse loro: Chi siete voi che assegnate a Dio il tempo delle sue misericordie? Non è questo il modo di muoverlo a pietà di noi, ma di eccitarlo a sdegno (Gd t 8 ,11 -12) .

3S CAPITOLO 45

SECONDA SPECIE DI BENI SPIRITUALI DISTINTI , DI CUI LA VOLONTÀ PUÒ VANAMENTE GODERE

1 - La seconda specie di beni distinti dilettevoli in cui la volontà può vanamente compiacersi, sono quelli che provocano o persuadono a servire il Signore, e che noi chiamiamo provocativi. Questi sono i predicatori, dei quali si può parlare sotto due diversi aspetti, cioè in quanto a ciò che si riferisce precisamente a loro, e in quanto a ciò che concerne gli uditori. Non ci resta che rammentare agli uni e agli altri come hanno da indirizzare a Dio il gaudio della loro volontà, quando annunziano o ascoltano la divina parola.

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2 - Quanto al primo punto, diciamo che, per giovare al popolo e non macchiarsi di vanagloria e presunzione, il sacro oratore si ricordi che il ministero della predicazione è più spirituale che vocale, poiché quantunque si eserciti esternamente con parole, trae tutta la sua forza ed efficacia solo dallo spirito interiore. Quindi la sua dottrina, per quanto sia sublime rivestita di scelta retorica e di stile elevato, ordinariamente non farà di per sé negli uditori più effetto di quello che scaturisce dalla pienezza dello spirito. Poiché, sebbene è vero che la parola di Dio per se stessa è efficace, secondo quel detto di Davide: Egli darà alla sua voce una voce di virtù (S al 67 ,36 ); tuttavia anche il fuoco ha virtù di bruciare, eppure non brucia quando non v'è disposizione nel soggetto.

3 - Ora, affinché la dottrina s'imprima nei cuori con forza, deve avere due disposizioni: una da parte di chi predica e l 'altra da parte di chi ascolta, ché per solito il profitto dell'uditore è a seconda della disposizione di chi insegna; onde si dice che quale è il maestro, tale suol essere il discepolo. Si legge negli Atti degli Apostoli che, quando i sette figli di Sceva, principe dei sacerdoti dei Giudei, tentarono di scongiurare i demoni alla stessa maniera di San Paolo, il maligno inveì contro di loro dicendo: Confesso Gesù e conosco Paolo; ma voi, chi siete? (A t 19 ,1 5 ) Ed avendoli assaliti, li spogliò e li ferì: il che avvenne perché essi non avevano la conveniente disposizione, non già perché Cristo Signor nostro non volesse che operassero in suo nome. Difatti, una volta gli Apostoli, essendosi imbattuti in uno che, senza essere discepolo, scacciava un demonio in nome di Cristo, gli proibirono di far ciò, ma il Signore li rimproverò dicendo: Non glielo proibite, perché nessuno che abbia fatto qualche prodigio in mio nome, potrà dir subito male di me (M c 9 , 38 ). Il Signore però aborrisce coloro che, insegnando la legge di Dio, non l'osservano, e mentre predicano buono spirito, non ne hanno. Perciò Egli dice per bocca di S. Paolo: Tu insegni agli altri, e non a te stesso; tu che ammonisci gli altri di non rubare, tu stesso rubi (R m 2 ,21 ). E similmente lo Spirito Santo per mezzo di Davide dice: Dio disse al peccatore: Perché ragioni tu dei miei comandamenti e hai sempre in bocca la mia legge, mentre aborrisci la disciplina, e ti sei gettato le mie parole dietro le spalle? (S al 49 ,16 - 17): nel che ci fa intendere che ad uomini di tal fatta nemmeno infonderà quello spirito tanto necessario a produrre frutto.

4 - Ed invero, secondo quanto ci è dato giudicare quaggiù, ordinariamente vediamo che quanto più il predicatore è di santa vita, tanto più copioso è il frutto che riporta, ancorché adoperi umile stile e poca retorica, ed esponga una dottrina comune. Ciò avviene perché il calore emana dallo spirito vivo: chi non ha questo, ricaverà poco profitto, quantunque sia fornito di dottrina e stile elevato. Certo non si può negare che la dottrina sublime e il forbito linguaggio e il bel modo di porgere hanno il loro valore e fanno più effetto, purché vadano accompagnati da buono spirito; però, senza di questo, daranno gusto al senso e all’intelletto, ma poco o niente fervore comunicheranno alla volontà, la quale per solito rimarrà come prima debole e fiacca nell'operare, benché con grazia ammirabile siano state dette le cose più meravigliose possibili. In tal caso, queste serviranno solamente a dilettare l'udito, come farebbe il suono armonioso di strumenti musicali o di campane, ma non risveglieranno l'anima dal suo torpore, perché la sola voce non ha virtù bastante per risuscitare il morto dal suo sepolcro.

5 - Pertanto, che importa ascoltare una musica migliore di un'altra, se questa non muove più di quella a far opere buone? Per quanto eccellenti siano le cose che si odono, ben presto si dimenticano, se non infiammarono la volontà. Anzi, oltre che di per sé non sono atte a produrre grande effetto, si aggiunge il fatto che il senso, gustando a modo suo ciò che l'oratore dice, impedisce che la verità penetri nello spirito: e quindi chi ascolta, si ferma nella considerazione della veste esteriore della dottrina, stima e loda le belle doti del predicatore, e lo ascolta volentieri e con frequenza, più per queste che per ricavare frutto di emenda da ciò che quegli insegna. L'Apostolo S. Paolo conferma molto bene questa dottrina, scrivendo a quei di Corinto: Quando venni a voi, o fratelli, non vi predicai Cristo con sublimità di discorsi e di dottrina; le mie parole, la mia predicazione non era poggiata sugli amminicoli dell'umana sapienza, ma nella manifestazione dello spirito e della verità (1C or 2 ,1 - 4 ).

6 - L'intenzione però dell'Apostolo e la mia non è di condannare il buono stile e la retorica e le belle maniere, perché anzi giovano molto alla predicazione, come a tutto

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il resto. La buona grazia, il bello stile solleva e riedifica anche le cose cadute e guaste, come il mal garbo suole corrompere e rovinare le buone... (M anca l a f ine de l C ap i to lo e i l L ib ro t e r mina

incomple to ).