Sabbatucci e Vidotto - Il Mondo Contemporaneo. Dal 1848 a Oggi (1)

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Giovanni Sabbatucci e Vittorio Vidotto Il mondo contemporaneo Dal 1848 a oggi

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Giovanni Sabbatucci e Vittorio VidottoIl mondo contemporaneo Dal 1848 a oggiPremessa

Questo volume nasce innanzitutto con l'intento di offrire agli studenti e ai docenti universitari, ma anche ai lettori in generale, una opzione ulteriore e diversa rispetto a quella proposta tre anni fa con i due volumi di Storia contemporanea (L'Ottocento e Il Novecento), che hanno peraltro ottenuto un lusinghiero successo anche fuori dal circuito universitario e che continueranno comunque a essere presenti in libreria. Si pensato in questo caso di adottare una diversa periodizzazione, fra le molte possibili per segnare il problematico termine a quo della storia contemporanea, e di partire dall'ondata rivoluzionaria del 1848 - evento senza dubbio epocale a livello europeo, e avvertito come tale anche dai contemporanei - per raccogliere in un unico volume l'intera materia che comunemente viene ricompresa in questa disciplina. una scelta opinabile come tutte le altre, dal momento che ogni periodizzazione per sua natura arbitraria e convenzionale. Ma, rispetto ad altre altrettanto legittime (come quelle che fanno riferimento alle grandi rivoluzioni di fine Settecento, al congresso di Vienna o all'unificazione tedesca), presenta alcuni indubbi vantaggi: consente, infatti, di includere in un'unica e organica trattazione, senza procedere per tagli troppo sbrigativi, problemi ed eventi imprescindibili per la comprensione del mondo contemporaneo, a cominciare da quelli relativi alla realizzazione dell'unit italiana.

G.S. V.V.1. Le rivoluzioni del 1848.1.1. Una rivoluzione europea.La crisi economica del '46-47 - La tradizione rivoluzionaria - La partecipazione popolare.Nel 1848 l'Europa fu sconvolta da una crisi rivoluzionaria di ampiezza e di intensit eccezionali. Non a caso l'espressione "quarantotto" diventata da allora sinonimo di "sconvolgimento improvviso e radicale". Eccezionale fu innanzitutto l'estensione dell'area geografica interessata dalle agitazioni. Ma eccezionale fu anche la rapidit con cui il moto rivoluzionario si diffuse in tutta l'Europa continentale, dalla Francia all'Italia, all'Impero asburgico e alla Confederazione germanica. Fra le potenze europee, solo la Russia (dove l'arretratezza della societ civile e l'efficienza dell'apparato repressivo impedivano l'emergere dei fermenti democratici) e la Gran Bretagna (dove al contrario il sistema politico si dimostrava pi adatto a recepire le spinte della societ) non furono toccate dall'ondata delle rivoluzioni.

Un moto cos ampio, esploso quasi simultaneamente in paesi molto diversi fra loro per assetto politico e condizioni sociali, non sarebbe stato possibile se non fosse stato favorito da alcuni fattori comuni, presenti nell'intera societ europea. Un primo elemento comune era dato dalla situazione economica: nel biennio 1846-47 l'Europa aveva attraversato una fase di crisi, che aveva investito prima il settore agricolo, poi quello industriale e commerciale, provocando carestie, miseria, disoccupazione e creando dovunque un clima di acuto malessere. Il disagio economico e l'inquietudine sociale non sarebbero bastati di per s a provocare una crisi di cos vaste proporzioni se su di essi non si fosse inserita l'azione consapevole svolta dai democratici di tutta Europa, in particolare dagli intellettuali, depositari di una tradizione comune che affondava le sue origini nella rivoluzione francese. Questa tradizione nel '48 era ancora viva; e viva era l'attesa di un nuovo grande sommovimento che avrebbe dovuto ridare slancio al moto di emancipazione politica - ma anche nazionale - cominciato alla fine del 700 e solo provvisoriamente interrotto dalla Restaurazione. In questo senso i moti del '48 si collegano a quelli del 1820-21 e del 1830. Simile fu il contenuto dominante delle insurrezioni: la richiesta di libert politiche e di democrazia, variamente intrecciata - in Italia, in Germania e nell'Impero asburgico - alla spinta verso l'emancipazione nazionale. Simile fu anche la dinamica dei moti, che si svilupparono tutti secondo lo schema delle "giornate rivoluzionarie": cominciarono cio con grandi dimostrazioni popolari nelle capitali, sfociate poi in scontri armati.

Se per un verso il 1848 chiude simbolicamente un'epoca - quella delle rivoluzioni liberali e democratiche legate all'iniziativa della borghesia e alle grandi sommosse urbane - per un altro verso ne apre una nuova, caratterizzata essenzialmente all'intervento delle masse popolari e dall'emergere degli obiettivi sociali accanto a quelli politici. Un altro tratto comune delle rivoluzioni del '48 fu rappresentato dalla massiccia partecipazione dei ceti popolari urbani. A Parigi come a Vienna, a Berlino come a Milano, furono gli artigiani e gli operai a svolgere il ruolo principale nelle sommosse. A Parigi, la componente popolare e operaia si mosse in relativa autonomia, e spesso in contrasto, rispetto alle forze democraticoborghesi e cerc di imporre propri specifici obiettivi di lotta.

Nel gennaio del '48, poche settimane prima dello scoppio dei moti, era stato scritto il Manifesto dei comunisti di Marx ed Engels, destinato a diventare il testobase della rivoluzione proletaria. Questa coincidenza di date ci aiuta a capire come mai il 1848 sia stato spesso considerato l'anno ufficiale di nascita del movimento operaio e addirittura sia stato scelto come una delle date pi indicative per segnare il problematico confine che divide l'et moderna dall'et contemporanea.

1.2. La rivoluzione di febbraio in Francia.Contraddizioni e crisi della "monarchia liberale", La lotta per la riforma elettorale, L'insurrezione di febbraio e la proclamazione della repubblica, Il governo provvisorio, L'entusiasmo rivoluzionario, Le prime riforme, Il diritto al lavoro e gli "ateliers nationaux", Le elezioni di aprile e la sconfitta dell'ala radicale, L'insurrezione operaia di giugno, Il riflusso conservatore, La nuova costituzione, Le elezioni presidenziali e la vittoria di Luigi Napoleone Bonaparte.

Come gi era accaduto nel 1830, il moto rivoluzionario ebbe il suo centro di irradiazione in Francia. La "monarchia liberale" di Luigi Filippo d'Orlans era certamente uno dei regimi europei meno oppressivi. Ma la stessa maturazione economica, civile e culturale della societ francese, favorita dal regime liberale, faceva apparire sempre meno tollerabili i limiti oligarchici di quel regime e la politica ultramoderata praticata da Luigi Filippo e dal suo primo ministro Guizot. Si and cos coalizzando un vasto fronte di opposizione che andava dai liberali progressisti ai democratici, dai bonapartisti ai socialisti, senza escludere alcune frange di opinione pubblica cattolica e legittimista. Per i democratici, in particolare, l'obiettivo da raggiungere era il suffragio universale, ossia la concessione del diritto di voto a tutti i cittadini maschi senza distinzione di reddito o di condizione sociale. Il suffragio universale era visto non solo come l'attuazione pratica del principio della sovranit popolare, ma anche come il mezzo pi sicuro per realizzare gli ideali di giustizia sociale, dando voce agli autentici rappresentanti del popolo e spezzando il monopolio del privilegio economico. Nettamente minoritari in Parlamento, i democratici cercarono di trasferire la loro protesta nel "paese reale". Lo strumento scelto fu la cosiddetta campagna dei banchetti: riunioni svolte in forma privata che aggiravano i divieti governativi e consentivano ai capi dell'opposizione e ai loro seguaci di tenersi in contatto e di far propaganda per la riforma elettorale.

Fu proprio la proibizione di un banchetto, previsto per il 22 febbraio a Parigi, a innescare la crisi rivoluzionaria. Lavoratori e studenti parigini, gi mobilitati da giorni, organizzarono una grande manifestazione di protesta. Per impedirla, il governo ricorse alla Guardia nazionale, il corpo volontario di cittadini armati che era stato istituito nel 1789 ed era rinato dopo l'insurrezione del luglio 1830. Espressione della borghesia cittadina, la Guardia nazionale era stata impiegata pi volte per reprimere agitazioni o sommosse operaie. Ma questa volta, chiamata a difendere un governo largamente impopolare, fin col fare causa comune con i dimostranti. Il successivo intervento dell'esercito radicalizz la situazione e rese impossibile qualsiasi soluzione di compromesso. Dopo due giorni di barricate e di violenti scontri, che provocarono pi di trecentocinquanta morti, gli insorti erano padroni della citt. Il 24 febbraio, dopo un vano tentativo di placare la piazza con la destituzione di Guizot, Luigi Filippo abbandon Parigi. La sera stessa allHotel de Ville (il municipio parigino, naturale punto di riferimento di tutte le rivoluzioni) veniva costituito un governo che si pronunciava decisamente a favore della repubblica e annunciava la prossima convocazione di un'Assemblea costituente da eleggere a suffragio universale.

Nel governo figuravano tutti i capi dell'opposizione democraticorepubblicana (il leader pi in vista, l'avvocato parigino Alexandre LedruRollin, ebbe la responsabilit degli Interni, mentre gli Esteri furono affidati al poeta Alphonse de Lamartine) ed erano presenti anche due socialisti: Louis Blanc e l'operaio Alexandre Martin, detto Albert. L'inclusione nel governo di due rappresentanti dei lavoratori - un fatto nuovo e sconvolgente nella storia europea - rifletteva la forza del popolo parigino, protagonista delle giornate di febbraio, e riaffermava la vocazione "sociale" della neonata repubblica.

I primi passi della Seconda Repubblica francese si svolsero in un clima di generale entusiasmo e furono caratterizzati da una ripresa in grande stile del dibattito politico. Fu abrogata ogni limitazione alla libert di riunione. Sorsero nuovi giornali e si moltiplicarono, come gi era avvenuto nell'89, i club e le associazioni d'ogni colore. In generale, i primi atti del governo repubblicano furono improntati a una certa moderazione. Fu abolita la pena di morte per i reati politici (veniva cos implicitamente ripudiata la tradizione della repubblica giacobina, sulla cui immagine aveva a lungo pesato il ricordo del Terrore). Fu rifiutata la proposta di sostituire al tricolore la bandiera rossa, simbolo della rivoluzione sociale. La Repubblica si impegnava inoltre a rispettare l'equilibrio europeo rinunciando cos a "esportare" la rivoluzione oltre i suoi confini. Questa moderazione scontentava per le correnti pi accese del fronte repubblicano, che chiedevano da un lato un appoggio deciso ai movimenti rivoluzionari di tutta Europa e premevano dall'altro per l'adozione di misure radicali in materia di politica economica e sociale.Gi alla fine di febbraio il governo provvisorio aveva stabilito in un dici ore la durata massima della giornata lavorativa e - cosa ancora pi importante - aveva affermato il principio del diritto al lavoro: una decisione di portata rivoluzionaria, che affrontava per la prima volta un nodo fondamentale dell'economia capitalistica, quello del pieno impiego, Per dare attuazione al diritto al lavoro, furono istituiti degli ateliers nationaux (alla lettera: opifici, o officine, nazionali). Il nome faceva pensare a quegli ateliers sociaux che Louis Blanc aveva teorizzato, nel suo libro del 1839 su L'organizzazione del lavoro, come vere e proprie cooperative di produzione, capaci di sostituirsi all'impresa privata. Ma la realt era pi modesta, legata com'era alla necessit immediata di aiutare i lavoratori colpiti dalla disoccupazione. Gli operai degli ateliers furono infatti adibiti a lavori di pubblica utilit (scavo di canali, riparazione di strade) e posti alle dipendenze del ministero dei Lavori pubblici. Anche entro questi limiti, l'esperimento poneva gravi problemi alle finanze statali e introduceva un motivo di profondo contrasto in seno allo schieramento repubblicano, la cui ala moderata considerava pericoloso - e incompatibile con i princpi del liberismo economico - un intervento diretto dello Stato nel mercato della manodopera.

Una prima secca sconfitta per le correnti di estrema sinistra venne dalle elezioni per l'Assemblea costituente, che si tennero il 23 aprile 1848. Il suffragio universale - applicato per la prima volta dopo gli anni della "grande rivoluzione" e dopo i plebisciti napoleonici - port infatti alle urne un elettorato rurale, i cui orientamenti erano assai pi conservatori di quelli prevalenti nella capitale. Su novecento eletti, i conservatori dichiarati e i nostalgici della monarchia non erano pi di un centinaio; ma un insuccesso ancora pi netto tocc ai socialisti e all'ala pi radicale dello schieramento democratico. I veri vincitori furono i repubblicani moderati: furono loro a costituire l'ossatura del nuovo governo dal quale vennero esclusi i socialisti Blanc e Albert.

Invano il popolo parigino tent di riprendere l'iniziativa sul terreno delle manifestazioni di piazza. Il 15 maggio, una grande dimostrazione conclusasi con l'invasione dell'Assemblea costituente fu prontamente repressa dalla Guardia nazionale e molti leader della sinistra rivoluzionaria furono arrestati. Un mese dopo, il governo eman un decreto con cui si stabiliva la chiusura degli ateliers nationaux e si obbligavano i disoccupati pi giovani ad arruolarsi nell'esercito. La reazione dei lavoratori di Parigi fu immediata e spontanea. Il 23 giugno, oltre cinquantamila persone (fra cui molti ex dipendenti degli ateliers) scesero in piazza. Nei quartieri popolari ricomparvero le barricate. In risposta, l'Assemblea costituente concesse pieni poteri al ministro della Guerra, il generale Louis Eugne Cavaignac, per procedere alla repressione, che fu condotta nei giorni successivi con spietata durezza. Migliaia di insorti trovarono la morte sulle barricate o nelle esecuzioni sommarie che seguirono gli scontri.

Le tragiche giornate di giugno segnarono una svolta decisiva non solo nella breve storia della Seconda Repubblica. Agli occhi della borghesia di tutta Europa, la rivolta dei lavoratori parigini (apparsa a Marx come il primo vero scontro di classe che vedesse schierati su opposti fronti proletariato e borghesia) dava corpo all'incubo della rivoluzione sociale, allo "spettro del comunismo". Tutta la societ francese, dalla borghesia urbana, al clero, ai contadini irritati per l'aumento delle tasse, fu attraversata da un'ondata di riflusso conservatore.

Nei mesi successivi alle giornate di giugno, la situazione rimase tuttavia sotto il controllo dei repubblicani moderati. In novembre l'Assemblea costituente approv a stragrande maggioranza una costituzione democratica, ispirata al modello statunitense, che prevedeva un presidente della Repubblica eletto direttamente dal popolo per la durata di quattro anni e un'unica Assemblea legislativa eletta anch'essa a suffragio universale.

Ma alle elezioni presidenziali (10 dicembre) i repubblicani si presentarono divisi (l'ala moderata appoggi Cavaignac, quella progressista si schier con LedruRollin), mentre i conservatori di ogni gradazione fecero blocco sulla candidatura di Luigi Napoleone Bonaparte, figlio di un fratello dell'imperatore (quel Luigi Bonaparte che aveva occupato il trono olandese). Nonostante avesse un passato da cospiratore - era sfuggito al carcere due volte, dopo altrettanti tentativi falliti di rovesciare Luigi Filippo - l'allora quarantenne Luigi Napoleone seppe offrire ampie garanzie alla destra conservatrice e clericale, che non avrebbe avuto alcuna possibilit di successo se si fosse presentata isolata. Bonaparte assicurava, al contrario, per la sola forza del suo nome, una sicura presa su vasti strati di elettorato popolare. Il calcolo si rivel esatto. Una vera e propria valanga di suffragi si rivers sul Bonaparte, che ottenne 5.400.000 voti, contro il milione e mezzo scarso di Cavaignac e i 400.000 di LedruRollin. Si chiudeva cos la fase democratica della Seconda Repubblica. La Francia cessava di essere il centro di irradiazione della rivoluzione europea.

1.3. La rivoluzione nell'Europa centrale.Il contagio rivoluzionario, L'insurrezione di Vienna, L'incendio si propaga, La rivoluzione in Ungheria, La sollevazione dei popoli slavi, Il "Reichstag" e i contrasti fra le nazionalit, I croati contro i magiari, La sconfitta della rivoluzione a Vienna, L'insurrezione di Berlino, L'Assemblea di Francoforte, La sconfitta della rivoluzione in Prussia, "Grandi tedeschi" e "piccoli tedeschi", La fine della Costituente.

Il moto rivoluzionario iniziato a Parigi alla fine di febbraio si propag nel giro di poche settimane a gran parte dell'Europa. Nell'impero asburgico, negli Stati italiani e nella Confederazione germanica gli echi degli avvenimenti parigini fecero esplodere una situazione gi tesa: il malcontento suscitato dalla crisi economica si univa alla protesta contro la gestione autoritaria del potere e si mescolava alle tensioni provocate dalle numerose "questioni nazionali" che il congresso di Vienna aveva lasciato irrisolte. Diversamente da quanto era accaduto in Francia, la componente "sociale" rimase in secondo piano e lo scontro principale fu combattuto fra la borghesia liberale (con l'appoggio di consistenti settori delle classi popolari) e le strutture politiche dell'assolutismo.

Il primo importante episodio insurrezionale ebbe luogo a Vienna, il 13 marzo. L'occasione della rivolta fu data da una grande manifestazione di studenti e lavoratori duramente repressa dall'esercito. Dopo due giorni di combattimenti, gli ambienti di corte (regnava allora l'imperatore Ferdinando I, seminfermo di mente) furono costretti a sacrificare il cancelliere Metternich: l'uomosimbolo dell'et della Restaurazione dovette abbandonare il potere, che deteneva ininterrottamente da quasi quarantanni, e rifugiarsi all'estero.

Le notizie dell'insurrezione di Vienna e della fuga di Metternich fecero precipitare la situazione nelle gi irrequiete province dell'Impero asburgico e nella vicina Confederazione germanica. Il 15 marzo vi furono tumulti a Budapest. Il 17 e il 18si sollevavano Venezia e Milano (negli stessi giorni una violenta sommossa scoppiava a Berlino, capitale della Prussia). Il 19 i cittadini di Praga inviavano una petizione all'imperatore chiedendo autonomia e libert politiche per i cechi. Nella primavera del '48 il grande impero plurinazionale sembrava sull'orlo del collasso. In maggio l'imperatore dovette abbandonare la capitale e promettere la convocazione di un Parlamento dell'Impero (Reichstag) eletto a suffragio universale.

In Ungheria le promesse del governo imperiale di concedere ai magiari una propria costituzione e un proprio parlamento non bastarono a fermare l'agitazione autonomistica. Sotto la spinta dell'ala democraticoradicale, che faceva capo a Lajos Kossuth, i patrioti ungheresi profittarono della crisi in cui versava il potere centrale per creare un governo nazionale e per agire in totale autonomia da Vienna. Fu decretata la fine dei rapporti feudali nelle campagne, una misura che certo contribu ad assicurare l'appoggio dei contadini alla causa nazionale. Fu eletto un nuovo Parlamento a suffragio universale. In luglio, infine, Kossuth cominci a organizzare un esercito nazionale, primo passo verso la piena indipendenza, che costituiva ormai l'obiettivo finale degli insorti.

Anche a Praga, in aprile, venne formato un governo provvisorio. I patrioti cechi, per lo pi di orientamento liberale, non mettevano in discussione il vincolo con la monarchia asburgica, ma si limitavano a chiedere pi ampie autonomie per tutte le popolazioni slave dell'Impero. Ai primi di giugno si riun a Praga un congresso cui parteciparono delegati di tutti i territori slavi soggetti alla corona asburgica: sia di quelli settentrionali (Boemia, Slovacchia, Galizia, Rutenia), sia di quelli meridionali (Croazia e Slovenia). Ma il 12 giugno, pochi giorni dopo l'apertura del congresso, alcuni incidenti scoppiati fra la popolazione e l'esercito fornirono alle truppe imperiali il pretesto per un intervento. La capitale boema fu assediata e bombardata. Il congresso slavo fu disperso e il governo ceco sciolto d'autorit.

La sottomissione di Praga segn l'inizio della riscossa per il traballante potere imperiale. Essa mostrava che l'efficienza e la fedelt dell'esercito, tradizionale pilastro della monarchia asburgica, non erano state intaccate dagli ultimi rivolgimenti politici. Nel corso dell'estate la svolta si consolid. Mentre il Reichstag, riunitosi per la prima volta in luglio, era paralizzato dai contrasti fra le diverse nazionalit (l'unica sua decisione di portata storica fu l'abolizione della servit della gleba in tutti i territori dell'Impero in cui era ancora in vigore), il governo centrale riprendeva gradualmente il controllo della situazione. In luglio - come vedremo pi avanti - il maresciallo Radetzky sconfiggeva i piemontesi e ristabiliva il dominio austriaco in Lombardia. In agosto, sotto la protezione dell'esercito, l'imperatore rientrava a Vienna.

A questo punto il governo si sent abbastanza forte per affrontare lo scontro con i separatisti ungheresi che ormai rifiutavano ogni compromesso con la monarchia. Per venire a capo della secessione, il potere imperiale si serv abilmente delle profonde rivalit che dividevano gli slavi dai magiari. Questi ultimi infatti inseguivano il sogno di una "grande Ungheria" che comprendesse tutti i territori slavi gi appartenenti all'antico regno magiaro. Gli slavi del Sud - in particolare i croati - furono cos indotti ad appoggiarsi alla monarchia asburgica che offriva loro maggiori garanzie di conservare la propria identit nazionale. Un capo del movimento autonomista, Josip Jelacic, fu nominato in luglio governatore della Croazia. In settembre, un esercito comandato dallo stesso Jelacic entr in Ungheria per unirsi alle truppe imperiali.

Almeno per il momento, per, l'Ungheria fu salvata grazie a una nuova insurrezione scoppiata a Vienna ai primi d'ottobre. Studenti e lavoratori della capitale austriaca si sollevarono per impedire la partenza di nuove truppe per il fronte. I reparti gi impegnati in Ungheria furono allora richiamati per schiacciare la rivolta. Alla fine di ottobre Vienna fu cinta d'assedio e occupata dopo tre giorni di durissimi combattimenti che costarono agli insorti circa duemila morti. La rivoluzione nell'Impero asburgico veniva cos stroncata nella sua punta pi avanzata. Poche settimane dopo, l'imperatore Ferdinando I abdicava in favore del nipote, il diciottenne Francesco Giuseppe. Nel marzo 1849 il nuovo imperatore sciolse d'autorit il Reichstag e promulg una costituzione "moderata", che prevedeva un Parlamento eletto a suffragio ristretto e dotato di poteri molto limitati e ribadiva al tempo stesso la struttura centralistica dell'Impero.

Un corso per molti aspetti simile ebbero gli avvenimenti in Germania. Le grandi manifestazioni popolari iniziate a Berlino il 18 marzo 1848, dopo le prime notizie dei fatti di Vienna, costrinsero il re Federico Guglielmo IV di Prussia a concedere la libert di stampa e a convocare un Parlamento prussiano (Landtag). Ma intanto agitazioni e sommosse erano scoppiate in molti degli Stati e staterelli che componevano la Confederazione germanica. Ne era scaturita, quasi spontaneamente, la richiesta di un'Assemblea costituente dove fossero rappresentati tutti gli Stati tedeschi, Austria compresa. Un "preparlamento" riunitosi all'inizio di aprile stabil che la Costituente tedesca sarebbe stata eletta a suffragio universale e avrebbe avuto la sua sede a Francoforte sul Meno. A met maggio l'Assemblea apr i suoi lavori in un clima di generale entusiasmo.

Ben presto fu chiaro per che la Costituente di Francoforte non aveva i poteri necessari per imporre la propria autorit ai sovrani e ai governi degli Stati tedeschi e per avviare un processo di unificazione nazionale. Le sue sorti non potevano che dipendere da quanto accadeva nello Stato pi importante, la Prussia. Ma proprio in Prussia il movimento liberaldemocratico conobbe un rapido declino, anche perch la borghesia era spaventata dalle agitazioni sociali che nel frattempo si andavano intensificando: in estate vi furono sommosse di lavoratori a Berlino, in Slesia e a Francoforte. Ai primi di dicembre Federico Guglielmo sciolse il Parlamento prussiano ed eman una costituzione assai poco liberale.

Frattanto, i lavori dell'Assemblea di Francoforte erano quasi completamente assorbiti dalle dispute sulla questione nazionale e dalla contrapposizione fra "grandi tedeschi" e "piccoli tedeschi": fautori i primi di una unione di tutti gli Stati germanici intorno all'Austria imperiale, sostenitori i secondi di uno Stato nazionale pi compatto, da costruirsi sul nucleo principale del Regno di Prussia. Prevalse, dopo lunghe discussioni, la tesi "piccolotedesca". Ma quando, nell'aprile 1849, una delegazione dell'Assemblea si rec a Berlino per offrire al re di Prussia la corona imperiale, questi la rifiut in quanto gli veniva offerta da un'assemblea popolare, nata da un moto rivoluzionario.

Il gran rifiuto di Federico Guglielmo segn in pratica la fine della Costituente di Francoforte. La Prussia ritir i suoi delegati. I rappresentanti moderati e conservatori degli Stati minori, timorosi di sviluppi rivoluzionari, si ritirarono anch'essi. Ridotta alla sola componente democratica, l'Assemblea, che nel frattempo si era trasferita a Stoccarda, fu sciolta il 18 giugno 1849 dalle truppe del governo del Wrttemberg.

1.4. La rivoluzione in Italia e la prima guerra di indipendenza.

L'attesa delle riforme, La sollevazione di Palermo, Le costituzioni, L'insurrezione di Venezia, Le "cinque giornate" di Milano, L'intervento piemontese, La guerra nazionale, La guerra di Carlo Alberto, Il ritiro di Pio IX, La sconfitta di Custoza.

La rivoluzione del '48 in Italia ebbe, nella sua fase iniziale, uno sviluppo autonomo rispetto agli altri paesi europei. Gi all'inizio dell'anno, tutti gli Stati italiani apparivano percorsi da un generale fermento. Primo e fondamentale obiettivo comune a tutte le correnti politiche era la concessione di costituzioni (o statuti) fondate sul sistema rappresentativo.

Fu la sollevazione di Palermo del 12 gennaio 1848 - legata soprattutto alle tradizionali rivendicazioni autonomistiche dei siciliani - a determinare il primo successo in questa direzione, inducendo Ferdinando II di Borbone - il pi retrogrado di tutti i regnanti della penisola - ad annunciare, il 29 gennaio, la concessione di una costituzione nel Regno delle due Sicilie.

La mossa inattesa di Ferdinando II non bast a spegnere il moto autonomistico siciliano ed ebbe inoltre l'effetto di rafforzare l'agitazione costituzionale in tutto il resto d'Italia. Spinti dalla pressione dell'opinione pubblica e dalle continue dimostrazioni di piazza, prima Carlo Alberto di Savoia, poi Leopoldo II di Toscana, infine lo stesso Pio IX si decisero a concedere la costituzione. Annunciate - salvo quella di Pio IX - prima dello scoppio della rivoluzione di febbraio in Francia, le costituzioni del '48 avevano tutte un carattere fortemente moderato ed erano ispirate al modello di quella francese del 1830. La pi importante di tutte, lo Statuto che fu promesso da Carlo Alberto l'8 febbraio e che sarebbe poi diventato la legge fondamentale del Regno d'Italia, prevedeva una Camera dei deputati (le cui modalit di elezione furono stabilite da una apposita legge, che legava il diritto di voto a un censo piuttosto elevato), un Senato di nomina regia e una stretta dipendenza del governo dal sovrano. Una soluzione costituzionalemoderata si andava dunque delineando nei maggiori Stati italiani, quando lo scoppio della rivoluzione in Francia e nell'Impero asburgico giunse a mutare i termini del problema, dando nuovo spazio all'iniziativa dei democratici e riportando in primo piano la questione nazionale, fin allora rimasta in ombra.

Nei giorni immediatamente successivi alla rivolta di Vienna, si sollevarono anche Venezia e Milano. A Venezia, il 17 marzo, una grande manifestazione popolare aveva imposto al governatore austriaco la liberazione dei detenuti politici, fra cui era il capo dei democratici, l'avvocato Daniele Manin. Pochi giorni dopo, una rivolta degli operai dell'Arsenale militare, cui si unirono numerosi marinai e ufficiali (la marina asburgica era composta in larga parte da Veneti), costringeva i reparti austriaci a capitolare. Il 23 un governo provvisorio presieduto da Manin proclamava la costituzione della Repubblica veneta.

A Milano l'insurrezione inizi il 18 marzo, con un assalto al palazzo del governo, e si protrasse per cinque giorni, le celebri "cinque giornate" milanesi. Borghesi e popolani combatterono fianco a fianco sulle barricate contro il contingente austriaco, forte di quindicimila uomini comandati dal maresciallo Radetzky. Ma furono soprattutto gli operai e gli artigiani a sostenere il peso degli scontri, che costarono agli insorti circa quattrocento morti. La direzione delle operazioni fu assunta da un "consiglio di guerra" composto prevalentemente da democratici e guidato da Carlo Cattaneo. Anche gli esponenti dell'aristocrazia liberale, inizialmente favorevoli a un compromesso col potere imperiale, finirono per appoggiare la causa degli insorti e diedero vita, il 22 marzo, a un governo provvisorio. Il giorno stesso Radetzky, preoccupato per l'eventualit di un intervento del Piemonte, decise di ritirare le sue truppe ai confini tra Veneto e Lombardia, all'interno del cosiddetto quadrilatero formato dalle fortezze di Verona, Legnago, Mantova e Peschiera.

Il 23 marzo, all'indomani della cacciata degli austriaci da Venezia e da Milano, il Piemonte dichiarava guerra all'Austria. Diverse furono le ragioni che spinsero Carlo Alberto a questa decisione: la pressione congiunta dei liberali e dei democratici, che vedevano nella crisi dell'Impero asburgico l'occasione per liberare l'Italia dagli austriaci; la tradizionale aspirazione della monarchia sabauda ad allargare verso est i confini del Regno; infine il timore che il LombardoVeneto diventasse un centro di agitazione repubblicana.

Anche in questo caso, com'era avvenuto per la concessione degli statuti, l'esempio di un sovrano fin col condizionare le decisioni degli altri. Preoccupati dal diffondersi dell'agitazione democratica e patriottica che minacciava la stabilit dei loro troni, Ferdinando II di Napoli, Leopoldo II di Toscana e Pio IX decisero di unirsi alla guerra antiaustriaca e inviarono contingenti di truppe regolari che partirono, accompagnati da grande entusiasmo popolare, assieme a folte colonne di volontari. La guerra piemontese sembrava cos trasformarsi in una guerra di indipendenza nazionale e federale, benedetta dal papa e combattuta col concorso di tutte le forze patriottiche.

Ma l'illusione dur poco. Carlo Alberto mostr scarsa risolutezza nel condurre le operazioni militari e si preoccup soprattutto di preparare l'annessione del LombardoVeneto al Piemonte, suscitando l'irritazione dei democratici e la diffidenza degli altri sovrani, gi poco entusiasti della partecipazione al conflitto. Particolarmente imbarazzante era la posizione di Pio IX, che si trovava in guerra contro una grande potenza cattolica. Il 29 aprile il papa annunci il ritiro delle sue truppe. Lo imitava, pochi giorni dopo, il granduca di Toscana. A met maggio era Ferdinando di Borbone, che nel frattempo aveva sciolto il Parlamento appena eletto, a richiamare il suo esercito. Rimasero a combattere contro l'Austria, disobbedendo agli ordini dei sovrani, molti fra i componenti dei corpi di spedizione regolari. Rimasero i volontari toscani, guidati da Giuseppe Montanelli, che furono protagonisti, in maggio, di un glorioso fatto d'armi a Curtatone e Montanara. Accorse dal Sud America Giuseppe Garibaldi, che si mise a disposizione del governo provvisorio lombardo. Ma il contributo dei volontari fu poco e male utilizzato da Carlo Alberto, deciso a combattere la "sua" guerra e a non lasciare spazio all'azione dei democratici.

Dopo alcuni modesti successi iniziali dei piemontesi, mentre fra maggio e giugno venivano indetti nei territori liberati (compresa Venezia) frettolosi plebisciti per sancire l'annessione al Regno sabaudo, l'iniziativa torn nelle mani dell'esercito asburgico. Il 23-25 luglio, nella prima grande battaglia campale, che si combatt a Custoza, presso Verona, le truppe di Carlo Alberto furono nettamente sconfitte e si ritirarono oltre il Ticino. Il 9 agosto fu firmato l'armistizio con gli austriaci.

1.5. Lotte democratiche e restaurazione conservatrice.

La rivoluzione dei democratici, La Sicilia, Venezia, la Toscana; La Repubblica romana, Il triumvirato, La ripresa della guerra piemontese, Sconfitta e abdicazione di Carlo Alberto, Il ritorno degli austriaci, L'opera della Repubblica romana, L'intervento francese e la fine della Repubblica romana, La fine della rivoluzione ungherese.

Dopo la sconfitta del Piemonte, a combattere contro l'Impero asburgico restavano solo i democratici italiani e ungheresi. Mentre in Ungheria lo scontro col potere imperiale assunse il carattere di una vera e propria guerra nazionale, in Italia i patrioti democratici dovettero combattere una serie di battaglie locali (a Roma e a Venezia, in Toscana e in Sicilia) senza riuscire a coordinare i diversi fronti e senza poter dare alla loro lotta una dimensione autenticamente popolare. Il loro ideale di una guerra di popolo che unisse la prospettiva della liberazione nazionale a quella dell'emancipazione politica e del rinnovamento sociale contrastava con la ristrettezza della base su cui effettivamente potevano contare: la piccola e media borghesia urbana (soprattutto quella intellettuale), il "popolo minuto" e i ceti artigiani delle citt. Le masse contadine, ossia la stragrande maggioranza della popolazione italiana, rimasero invece estranee, quando non apertamente ostili, alle loro battaglie.

Tuttavia, nell'autunno del '48, la situazione in Italia era ancora abbastanza fluida. La Sicilia restava sotto il controllo dei separatisti, che si erano dati un proprio governo e una propria costituzione democratica. A Venezia, rimasta in mano degli insorti anche dopo la sconfitta di Custoza, Manin aveva nuovamente proclamato la repubblica. In Toscana, alla fine di ottobre, il granduca fu costretto dalla pressione popolare a formare un ministero democratico, capeggiato da Giuseppe Montanelli e da Francesco Domenico Guerrazzi, leader dei repubblicani livornesi. A Roma, in novembre, l'uccisione in un attentato del primo ministro pontificio, il liberalmoderato Pellegrino Rossi, aveva indotto il papa ad abbandonare la citt e a rifugiarsi a Gaeta sotto la protezione di Ferdinando di Borbone. Nella capitale, rimasta senza governo, presero il sopravvento i gruppi democratici.

Nel gennaio del 1849, in tutti i territori dell'ex Stato pontificio, si tennero le elezioni a suffragio universale per l'Assemblea costituente. Fra gli eletti, in maggioranza democratici, c'erano anche Mazzini e Garibaldi. Il 9 febbraio l'Assemblea proclam la decadenza del potere temporale dei papi e annunci che lo Stato avrebbe assunto "il nome glorioso di Repubblica romana", avrebbe adottato come forma di governo "la democrazia pura" e avrebbe stabilito col resto d'Italia "le relazioni che esige la nazionalit comune". Era il primo passo verso la realizzazione di quella "Costituente italiana" che avrebbe dovuto fondare la costruzione dell'unit nazionale su basi democratiche e non dinastiche. Gli sviluppi della situazione nello Stato pontificio ebbero immediate ripercussioni in Toscana. Ai primi di febbraio, Leopoldo II abbandon il paese, mentre veniva convocata un'Assemblea costituente e i poteri effettivi passavano a un triumvirato composto da Montanelli, Guerrazzi e Mazzoni.

Intanto i democratici ripresero l'iniziativa anche in Piemonte. Il 20 marzo 1849 Carlo Alberto, schiacciato fra le loro pressioni e l'intransigenza degli austriaci, che ponevano condizioni molto pesanti per la firma della pace, si decise a tentare di nuovo la via delle armi. Questa volta per aveva di fronte non un esercito in ritirata, ma una armata gi pronta ad attaccare. Penetrate in territorio piemontese, le truppe di Radetzky affrontarono l'esercito sabaudo il 22-23 marzo nei pressi di Novara e gli inflissero una gravissima sconfitta. La stessa sera del 23 marzo, Carlo Alberto, per non mettere in pericolo le sorti della dinastia, abdic in favore del figlio Vittorio Emanuele II. Questi, il giorno dopo, firm un nuovo armistizio con gli austriaci. Una rivolta democratica scoppiata a Genova fu duramente repressa dall'esercito.

Liquidata la partita col Regno sabaudo, gli austriaci potevano ora procedere alla restaurazione dell'ordine in tutta la penisola. Alla fine di marzo, un'insurrezione a Brescia fu schiacciata dopo durissimi combattimenti (le "dieci giornate" di Brescia). In aprile, le truppe imperiali strinsero d'assedio Venezia, che avrebbe resistito eroicamente per quasi cinque mesi e si sarebbe arresa per fame solo alla fine di agosto. In maggio, mentre Ferdinando di Borbone riusciva finalmente a riconquistare la Sicilia, gli austriaci occuparono il territorio delle Legazioni pontificie (Bologna, Ferrara, la Romagna e le Marche settentrionali) e contemporaneamente posero fine all'esperienza della Repubblica toscana.

Pi lunga e gloriosa fu la resistenza della Repubblica romana, divenuta il centro principale della rivoluzione democratica e il luogo di incontro di esuli e cospiratori di tutta Italia: da Mazzini e Garibaldi al romagnolo Aurelio Saffi, al genovese Mameli, al napoletano Pisacane, ai milanesi Cernuschi&Manara, eroi delle "cinque giornate". Fin dai suoi primi atti, il governo repubblicano si qualific per l'energia con cui cerc di portare avanti l'opera di laicizzazione dello Stato e di rinnovamento politico e sociale. Furono aboliti i tribunali ecclesiastici e fu decretata la confisca dei beni del clero. Fu varato - caso unico nella storia delle rivoluzioni italiane dell'800 - un progetto di riforma agraria che prevedeva la concessione di parte dei fondi confiscati in affitto perpetuo alle famiglie pi povere.

Frattanto per, dal suo esilio di Gaeta, Pio IX si era rivolto alle potenze cattoliche per essere ristabilito nei suoi territori. Avevano risposto all'appello non solo l'Austria, la Spagna e il Regno di Napoli, ma anche la Repubblica francese, ormai dominata dalle forze clericoconservatrici. Il presidente Bonaparte - sia per assicurarsi l'appoggio dei cattolici sia per prevenire un intervento austriaco - si riserv il ruolo principale nella restaurazione pontificia, inviando nel Lazio un corpo di spedizione forte di 35.000 uomini. All'inizio di giugno i reparti francesi attaccarono la capitale. I repubblicani - che avevano affidato i pieni poteri a un triumvirato composto da Mazzini, da Saffi e dal romano Carlo Armellini - riuscirono a tenere in scacco gli assedianti per pi di un mese. La difesa della Repubblica romana, pur priva di qualsiasi possibilit di successo sul piano militare, ebbe un altissimo valore di testimonianza politica e ideale. Il 4 luglio, subito prima di annunciare la resa, l'Assemblea costituente approv il testo della Costituzione, destinato a diventare un documentosimbolo della politica democratica, oltre che un modello alternativo agli statuti di ispirazione moderata. Mentre i francesi entravano a Roma, Garibaldi lasciava la citt con qualche centinaio di volontari, nel vano tentativo di raggiungere Venezia.

Dopo la fine della Repubblica romana, l'unico focolaio di rivolta in Europa - a parte l'estrema resistenza di Venezia - restava l'Ungheria di Kossuth, dove i patrioti magiari, profittando anche dell'impegno austriaco in Italia, avevano riacquistato il controllo del paese e ne avevano proclamato l'indipendenza. Per venire a capo della ribellione, il governo austriaco chiese l'aiuto dello zar di Russia, preoccupato dalla persistenza di un focolaio rivoluzionario ai confini del suo impero. Attaccato contemporaneamente da due eserciti, il neonato Stato magiaro fu costretto a soccombere (battaglia di Vilagos dell'11 agosto 1849), dopo una campagna durata pi di due mesi. Due settimane dopo (26 agosto) capitolava Venezia. Si concludeva cos l'ultima fase della stagione rivoluzionaria cominciata all'inizio del '48.

La causa principale di questo generale fallimento va individuata nelle profonde fratture che attraversavano al loro interno le forze del cambiamento e della rivoluzione, dividendo sempre pi le correnti democraticoradicali dai gruppi liberalmoderati. Questi ultimi, spaventati dalla minaccia della rivoluzione sociale (identificata con lo "spettro del comunismo"), si riaccostarono pi o meno rapidamente alle vecchie classi dirigenti. Lasciati soli a sostenere lo scontro politico e militare con l'antico regime, e privi di un'autentica base di massa, i democratici erano inevitabilmente destinati a soccombere. La sconfitta dell'ipotesi rivoluzionaria non cancellava per quanto di nuovo era emerso dalla esperienza del '48: la spinta verso una pi ampia partecipazione al potere politico e l'affermazione degli ideali di nazionalit costituivano ormai un dato incancellabile del panorama europeo, un problema cui si potevano dare risposte diverse, ma da cui non si poteva prescindere del tutto.

1.6. La Francia dalla Seconda Repubblica al Secondo Impero.

Le cause della sconfitta democratica, Le elezioni del '49, La repressione contro i democratici, Il colpo di Stato di Bonaparte, Il Secondo Impero.Portato al potere da una coalizione di conservatori, clericali e moderati ex orleanisti, Luigi Napoleone Bonaparte mostr subito di voler mantenere gli impegni assunti col "partito dell'ordine". Un notabile orleanista, Odilon Barrot, fu chiamato a presiedere il nuovo governo. Il ministero della Pubblica istruzione e dei culti fu affidato a un clericale. Le elezioni per la nuova Assemblea legislativa, che si tennero il 13 maggio '49, portarono nella nuova Camera una solida maggioranza clericoconservatrice.

Una delle prime conseguenze delle elezioni fu la decisione del governo di affrettare i tempi dell'intervento militare contro la Repubblica romana. Contro questa decisione protestarono i democratici che, il 13 giugno, organizzarono una manifestazione nella capitale. Il successo della manifestazione fu scarso, ma ugualmente energica fu la repressione: molti capi democratici furono arrestati o, come LedruRollin, costretti a fuggire all'estero. Anche nei mesi successivi la destra conservatrice continu a segnare punti al suo attivo. Nel 1850 fu varata una nuova legge sull'istruzione, che riapriva al clero le porte della scuola e dell'universit, e furono aumentate le tasse sulle imprese giornalistiche (una misura che colpiva soprattutto le piccole testate). Nello stesso anno, una nuova legge elettorale privava del diritto di voto circa tre milioni di elettori nullatenenti. A questo punto, per, l'alleanza fra il presidente e la maggioranza moderata cominci a incrinarsi. I gruppi conservatori, che avevano favorito l'elezione di Bonaparte in quanto ritenevano di poterlo controllare facilmente, guardavano con sospetto a un eccessivo rafforzamento del suo potere personale. Nel luglio del '51, la Camera respinse la proposta di modificare quell'articolo della costituzione che impediva la rielezione di un presidente alla scadenza del mandato.

Ma, pochi mesi dopo, un colpo di Stato attuato con l'appoggio dell'esercito consent a Bonaparte di sbarazzarsi contemporaneamente della maggioranza moderata e dell'opposizione democratica. Il 2 dicembre 1851 la Camera fu occupata dalle truppe e sciolta d'autorit. Oltre diecimila oppositori furono arrestati e deportati oltremare. La resistenza dei quartieri popolari di Parigi e i tentativi isolati di insurrezione in provincia furono facilmente repressi dall'esercito. Il 21 dicembre, un plebiscito a suffragio universale sanzion a maggioranza schiacciante (7 milioni e mezzo di voti contro 650.000) l'operato di Bonaparte e gli attribu il compito di redigere una nuova costituzione. Promulgata nel gennaio successivo, la costituzione stabiliva in dieci anni la durata del mandato presidenziale; ripristinava il suffragio universale, ma toglieva alla Camera l'iniziativa legislativa (cio il diritto di proporre leggi), riservandola al presidente; istituiva un Senato vitalizio, ovviamente di nomina presidenziale.

La Repubblica era ormai tale solo di nome. E la finzione fu abolita, nel dicembre 1852, da un nuovo plebiscito che approvava, con una maggioranza ancor pi schiacciante di quella dell'anno precedente, la restaurazione dell'Impero. Luigi Napoleone assumeva cos il nome di Napoleone III (veniva dunque incluso nella serie anche il figlio di Napoleone I, morto in esilio) col diritto di trasmettere il titolo imperiale ai suoi eredi.

Sommario

La crisi rivoluzionaria del '48 interess gran parte dell'Europa continentale, anche a causa di alcuni elementi comuni presenti nei vari paesi: crisi economica del 1846-47, azione dei democratici, attesa di un nuovo grande sommovimento rivoluzionario. Simili furono anche i contenuti delle varie insurrezioni: richiesta di libert politiche e di democrazia, e - in Italia, Germania e Impero asburgico - spinta verso l'emancipazione nazionale. La novit delle rivoluzioni del '48 risiedette nella massiccia partecipazione dei ceti popolari urbani e nella presenza di obiettivi sociali accanto a quelli politici.

Il centro di irradiazione del moto rivoluzionario fu la Francia. L'insurrezione parigina di febbraio port alla proclamazione della repubblica, che ebbe all'inizio un indirizzo democraticosociale. Le elezioni per l'Assemblea costituente dell'aprile '48 sancirono la vittoria dei repubblicani moderati. L'insurrezione di giugno dei lavoratori di Parigi fu duramente repressa e segn la svolta in senso conservatore della Repubblica, concretizzatasi in dicembre con l'elezione a presidente di Luigi Napoleone Bonaparte.

In marzo il moto rivoluzionario si propag all'Impero asburgico, agli Stati italiani e alla Confederazione germanica. A Vienna, Metternich dovette lasciare il potere e venne concesso un Parlamento dell'Impero. In Ungheria l'agitazione ebbe un accentuato carattere indipendentistico. Anche a Praga e negli altri territori della monarchia asburgica si estesero, sia pure in forma meno accentuata, le rivendicazioni di autonomia. La repressione militare della sollevazione di Praga (giugno 1848) segn l'inizio della riscossa del potere imperiale, che utilizz abilmente le rivalit fra gli slavi e i magiari. Dopo la repressione di una nuova insurrezione a Vienna (ottobre '48), saliva al trono imperiale Francesco Giuseppe.

La rivoluzione di Berlino port inizialmente ad alcune concessioni da parte del re Federico Guglielmo IV; il movimento liberaldemocratico conobbe per un rapido declino. In maggio, sulla spinta delle agitazioni e sommosse scoppiate nei vari Stati tedeschi, si era riunita a Francoforte un'Assemblea costituente con l'obiettivo di avviare un processo di unificazione nazionale tedesca. Il rifiuto da parte di Federico Guglielmo IV della corona imperiale offertagli dall'Assemblea di Francoforte nell'aprile '49 segn in pratica la fine di quest'ultima.

All'inizio del 1848, e prima della rivoluzione di febbraio in Francia, negli Stati italiani c'erano forti aspettative di un'evoluzione interna dei vecchi regimi. La sollevazione di Palermo, in gennaio, induceva Ferdinando II di Borbone a concedere una costituzione; il suo esempio era subito seguito da Carlo Alberto, Leopoldo II di Toscana e Pio IX. Lo scoppio della rivoluzione in Francia dava nuova spinta all'iniziativa dei democratici italiani e riportava in primo piano la questione nazionale. A Venezia si proclamava la repubblica; a Milano, dopo "cinque giornate" di insurrezione, fu costituito un governo provvisorio. Il 23 marzo '48 Carlo Alberto dichiarava guerra all'Austria, ottenendo l'appoggio del re delle due Sicilie, del granduca di Toscana e del papa, appoggio che sarebbe stato ritirato di l a poco. I piemontesi, anche per la scarsa risolutezza con cui condussero le operazioni militari, vennero sconfitti a Custoza (luglio '48) e costretti a firmare un armistizio con l'Austria.

A combattere contro l'Impero asburgico restavano i democratici italiani (oltre a quelli ungheresi). In Sicilia resistevano i separatisti, a Venezia era proclamata di nuovo la repubblica, in Toscana si formava un triumvirato democratico, a Roma, dopo la fuga del papa (novembre '48), si proclamava la repubblica. Nel marzo '49 il Piemonte riprendeva la guerra contro l'Austria. Subito sconfitto a Novara, Carlo Alberto abdicava a favore del figlio Vittorio Emanuele II. I governi rivoluzionari venivano sconfitti in tutta Italia: terminava la rivoluzione autonomistica siciliana, gli austriaci ponevano fine alla Repubblica toscana e occupavano le Legazioni pontificie, i francesi intervenivano militarmente contro la Repubblica romana. Gli ultimi focolai rivoluzionari a soccombere furono quelli ungherese e veneto, in entrambi i casi per l'intervento asburgico.

La causa fondamentale del generale fallimento delle rivoluzioni del '48 va individuata nelle fratture all'interno delle forze che di quelle rivoluzioni erano state protagoniste: nei contrasti, cio, fra correnti democraticoradicali e gruppi liberalmoderati. Aveva pesato inoltre, nel determinare la sconfitta delle esperienze rivoluzionarie italiane, l'estraneit delle masse contadine, che costituivano la stragrande maggioranza della popolazione.

In Francia si accentuava, nel 1849, l'evoluzione della situazione politica in senso conservatore. Nel dicembre 1851 Bonaparte effettu un colpo di Stato e riform la costituzione. L'anno successivo un plebiscito sanzionava la restaurazione dell'Impero: Luigi Napoleone Bonaparte diventava imperatore con il nome di Napoleone III.

Bibliografia

Per uno sguardo d'insieme sulle rivoluzioni del '48-49: L'et della borghesia, a e. di G. Palmade, Feltrinelli, Milano 1975 (vol. 27 della Storia universale Feltrinelli).

Sull'esperienza repubblicana in Francia: M. Agulhon, La Francia della Seconda Repubblica 1848-1852, Editori Riuniti, Roma 1979.

Sulle rivoluzioni nell'Impero asburgico e in Germania: A. Sked, Grandezza e caduta dell'Impero asburgico 1815-1918, Laterza, RomaBari 1992; H. Holborn, Storia della Germania moderna, Rizzoli, Milano 1973; H. Lutz, Fra Asburgo e Prussia. La Germania dal 1815 al 1866, Il Mulino, Bologna 1992.

Per l'Italia, la ricostruzione migliore quella di G. Candeloro, Storia dell'Italia moderna, vol. III, La Rivoluzione nazionale, Feltrinelli, Milano 1960.

Fra le opere dei contemporanei vanno ricordate: K. Marx, Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850, Editori Riuniti, Roma 1973; i ricordi di A. de Tocqueville, Una rivoluzione fallita, in Scritti politici, vol. I, Utet, Torino 1969; e gli scritti di C. Cattaneo, Il 1848 in Italia, Einaudi, Torino 1972.

2. Societ borghese e movimento operaio.2.1. La borghesia europea.

L'ascesa della borghesia; Borghesia, borghesie; Il ceto medio, Lo stile borghese, La casa., I valori tradizionali, Morale sessuale e rispettabilit, La povert come peccato.

Le rivoluzioni del '48-49 si erano concluse con un totale fallimento. Nessuno degli esperimenti democratici aveva retto all'urto dell'ondata restauratrice. I vecchi sovrani erano tornati sui loro troni dappertutto, salvo che in Francia (dove per l'istituto monarchico era stato ripristinato sotto altra forma). Le istituzioni rappresentative erano state quasi ovunque cancellate o soffocate dal ritorno dei metodi assolutistici. Al clima di generale conservatorismo e alla sostanziale staticit delle strutture politiche, faceva per riscontro un processo di profondo mutamento della societ: un processo che aveva per principali protagonisti i ceti borghesi, ma che coinvolgeva anche, sia pure pi lentamente, le classi proletarie.

Nel ventennio successivo al 1848, la borghesia europea conobbe una stagione di crescita e di affermazione. Nonostante che il suo ruolo, la sua composizione e i suoi stessi caratteri variassero molto da paese a paese (in questo senso parlarne come di un tutto unico suona come una semplificazione eccessiva), nonostante fosse ancora condizionata dalla persistenza delle vecchie gerarchie sociali e fosse pesantemente sacrificata nella distribuzione del potere (in quasi tutti i paesi europei le redini del governo restavano nelle mani di membri dell'aristocrazia), la borghesia riusc in questo periodo a presentarsi come portatrice e depositaria degli elementi di novit e trasformazione (lo sviluppo economico, il progresso scientifico), a far valere la sua influenza e le sue idee guida: il merito individuale, la libera iniziativa, la concorrenza, l'innovazione tecnica.

Chi erano, quanti erano, come vivevano e come pensavano i protagonisti di questa fase della storia europea che non a torto stata definita come "et della borghesia"? Allora come oggi il termine "borghesia" serviva a definire una gamma molto ampia di figure e posizioni sociali. Si andava dagli artigiani e dai contadini piccoli proprietari, la cui condizione, ai livelli inferiori, tendeva a confondersi con quella delle classi proletarie, ai grandi magnati dell'industria e della finanza, che aspiravano ad assumere i comportamenti esteriori tipici dell'aristocrazia e, dove ci fosse possibile, a mescolarsi con essa. Fra questi due estremi si collocavano i gruppi e le categorie sociali che pi propriamente si possono definire borghesi. Innanzitutto i ceti "emergenti", la cui fortuna era legata allo sviluppo dell'industria e dei mezzi di trasporto: imprenditori e dirigenti d'azienda, banchieri e grossi commercianti. Accanto a loro, la borghesia pi tradizionale: quella che traeva i suoi proventi dalla terra, quella che esercitava le professioni (avvocati, medici, ingegneri) e quella che occupava i gradi medioalti della burocrazia statale. Un gradino pi in basso si situavano impiegati e insegnanti, piccoli commercianti e piccoli professionisti: insomma quell'area dai confini non ben definibili che gi allora veniva indicata come ceto medio o piccola borghesia. Nel complesso, la borghesia costituiva una fascia piuttosto ristretta della popolazione: in Gran Bretagna, intorno al 1870, i borghesi in senso lato non erano pi del 20%; e la percentuale scendeva al 2% circa se si prendevano in considerazione solo gli strati urbani superiori (senza contare, dunque, il ceto medio e la borghesia agraria).

Nonostante la variet delle sue componenti, la borghesia europea tendeva a esprimere una propria cultura e un proprio stile di vita, i cui tratti essenziali si possono ricondurre a un modello unitario. Uno stile di vita borghese innanzitutto ravvisabile nelle manifestazioni esteriori. Ad esempio, nell'abbigliamento, cui uomini e donne delle classi superiori dedicavano allora molta cura e che rappresentava, assai pi di quanto accade oggi, il principale segno distintivo di una condizione sociale. In Francia, verso la met del secolo, nel bilancio di una famiglia altoborghese le spese per l'abbigliamento costituivano una quota non molto inferiore a quella per l'alimentazione e pari a quella destinata all'affitto della casa di abitazione (alimentazione e affitto assorbivano invece la quasi totalit delle entrate di una famiglia operaia).

Uguali cure erano destinate allarredamento. Le abitazioni borghesi non avevano certo lo sfarzo e lo spreco di spazio delle dimore aristocratiche. Requisiti tipici della casa borghese erano piuttosto la solidit e la funzionalit. All'interno, per, l'abbondanza degli addobbi, dei quadri e dei soprammobili, l'attenzione al particolare e il gusto dell'ornato rivelavano l'esigenza di tradurre il successo e la ricchezza in simboli visibili e tangibili.

Nonostante questa esigenza - e nonostante le tendenze imitative dei modelli aristocratici, che affioravano soprattutto negli strati superiori i valori fondamentali dell'etica e della cultura borghese restavano quelli tradizionali, l'austerit, la moderazione, la propensione al risparmio, la capacit di reprimere gli istinti erano le virt capitali per il borghesetipo, quelle che gli permettevano di legittimare moralmente la propria posizione nella societ. Questa componente moralistica e puritana si rifletteva in particolare nella struttura della famiglia: una struttura patriarcale non diversa nella sostanza da quella delle societ preindustriali, basata quindi sull'autorit del capofamiglia e sulla subordinazione della donna. Con la differenza che, nella societ borghese, la donna era generalmente esclusa dalle attivit lavorative e confinata nel ruolo di custode e simbolo del focolare domestico.

Ci si pu chiedere come mai una societ che riconosceva i valori della libert e della concorrenza fra eguali poggiasse su un'istituzione che cos radicalmente li negava; e come un rigorismo cos intransigente in materia di morale familiare e sessuale potesse conciliarsi con l'ideale di moderazione e di giusto mezzo che tradizionalmente caratterizzava gli orizzonti culturali della borghesia. La contraddizione si pu spiegare abbastanza agevolmente. Proprio perch credeva in una societ aperta, dove nulla era garantito a priori, il borghese aveva bisogno di un retroterra sicuro, quale solo il tradizionale istituto familiare poteva fornirgli. Proprio perch viveva in un mondo dominato dalla competizione e rischiava continuamente di essere sostituito da altri pi meritevoli e pi fortunati di lui, doveva costruire e difendere un'immagine di rispettabilit (che non gli derivava, come agli aristocratici, dall'appartenenza a un ordine privilegiato) e doveva armarsi di quei saldi princpi morali senza i quali la caduta sarebbe stata inevitabile.

Non tutti i borghesi praticavano scrupolosamente le virt borghesi: le cronache della borghesia ottocentesca pullulano di speculatori disonesti e di avventurieri senza scrupoli. Ma l'idea secondo cui solo certe doti morali potevano garantire il mantenimento o il miglioramento delle posizioni acquisite era largamente accettata. Ne discendeva, come logica conseguenza, il luogo comune secondo cui chi occupava i gradini inferiori della scala sociale era colui che di quelle doti era sprovvisto. In altre parole, la povert era un peccato o quanto meno il frutto di colpe ataviche. I poveri rimanevano poveri perch non conoscevano l'arte del risparmio e non erano in grado di dominare i bassi istinti. Cos veniva spiegata, fra l'altro, la diffusione tra le classi subalterne della delinquenza, dell'alcolismo, della prostituzione. Al contrario, si pensava che chiunque possedesse accortezza, moderazione e capacit di sacrificio potesse raggiungere i traguardi pi ambiziosi, in termini di ricchezza e di rispettabilit.

2.2. Ottimismo borghese e cultura positiva.

Il positivismo, Le teorie di Darwin, Le implicazioni culturali del darwinismo, Il positivismo e la politica, Il "darwinismo sociale".

Fermamente convinto della validit dei suoi princpi e fiducioso nelle proprie capacit, il borghese europeo della seconda met dell'800 era altres animato da una robusta fede nel progresso generale dell'umanit.

Questo diffuso ottimismo poggiava soprattutto su due pilastri: lo sviluppo economico e le conquiste della scienza.

Negli anni 1850-70, la chimica, la fisica, la biologia e tutte le scienze della natura non solo conobbero importanti progressi teorici (furono questi gli anni delle scoperte di Maxwell sull'elettricit, delle ricerche di Pasteur sui microrganismi, della formulazione da parte di Mendel delle leggi sui caratteri ereditari), ma tornarono a occupare, come nell'et dell'Illuminismo, una posizione di preminenza nell'ambito della cultura europea. Sui progressi della scienza si fond essenzialmente quella nuova corrente intellettuale, il positivismo, che cominci ad affermarsi verso la met del secolo e venne poi allargando la sua influenza fino a improntare di s una lunga stagione della cultura occidentale, a diventare una sorta di mentalit diffusa, un metodo generale di ricerca e di interpretazione della realt.

Il positivismo fu prima di tutto un indirizzo filosofico) che considerava la conoscenza scientifica - quella basata su dati reali, positivi - come la sola valida e applicava i metodi delle scienze naturali allo studio di tutti i campi dell'attivit umana, dall'arte all'economia, dalla psicologia alla politica. Il pensatore francese Auguste Comte, vissuto nella prima met del secolo, fu il padre riconosciuto della nuova filosofia e il primo a tracciare i lineamenti di una "scienza della societ", ossia della moderna sociologia. Il filosofo inglese Herbert Spencer, pi giovane di una generazione, ne elabor un'interpretazione in chiave evoluzionistica, che incontr notevole fortuna soprattutto nel mondo anglosassone. Dal settore degli studi filosofici il positivismo venne allargando la sua influenza a tutti gli altri campi del sapere. Fra i maggiori esponenti della cultura positivista si annoveravano infatti studiosi di economia e di politica, giuristi, storici, letterati e soprattutto scienziati.

Il rappresentante pi tipico e pi popolare del nuovo spirito "positivo" fu appunto uno scienziato: il grande naturalista inglese Charles Darwin. In un'opera dal titolo L'origine delle specie, uscita nel 1859 e diventata subito celebre, Darwin formul, sulla base di lunghe osservazioni scientifiche sul mondo animale, una compiuta teoria dell'evoluzione. Secondo questa teoria, la natura soggetta a un incessante processo evolutivo, guidato da un meccanismo di selezione naturale che determina la sopravvivenza (e la riproduzione) degli individui meglio attrezzati per reagire alle sollecitazioni dell'ambiente e la scomparsa degli elementi pi deboli e meno adatti. L'uomo stesso, secondo Darwin, non che il risultato dell'evoluzione di organismi inferiori, l'ultimo anello di una catena biologica che procede, senza soluzione di continuit, dai protozoi fino ai mammiferi pi complessi.

Pur muovendosi in un ambito prettamente scientifico, le teorie darwiniane influenzarono in larga misura il dibattito filosofico; e, ci che pi conta, agirono in profondit sulle convinzioni e sulla mentalit delle classi colte e sulla stessa cultura popolare. La teoria evoluzionistica contraddiceva le credenze religiose sulla creazione dell'uomo direttamente ad opera della divinit e forniva gli elementi per una storia del genere umano radicalmente alternativa a quella offerta dalle Sacre Scritture. In questo modo il darwinismo si inseriva nel quadro pi generale della cultura "positiva", che tendeva a liberare l'uomo da ogni forma di condizionamento soprannaturale, a immergerlo completamente nel mondo della natura, a sostituire le certezze delle religioni rivelate con quelle delle scienze esatte. Dal punto di vista ideologicopolitico, il positivismo poteva dar luogo a esiti diversi e talora opposti: fortemente conservatori in Comte, che teorizzava un sistema politico autoritario e gerarchico, apertamente progressisti in Spencer e in altri pensatori anglosassoni (come John StuartMilD, che pensavano invece a una societ organizzata democraticamente e aperta alle esigenze del riformismo sociale. Lo stesso darwinismo fu letto e sviluppato in modi molto diversi. Se da un lato la teoria dell'evoluzione si prestava a essere interpretata in chiave ottimistica, come prova della possibilit di progresso indefinito della specie umana, dall'altro il principio della selezione naturale poteva essere utilizzato per consacrare il diritto del pi forte nei rapporti fra gli individui e fra le classi (si parl a questo proposito di "darwinismo sociale"), e anche fra gli Stati.

Quel che certo comunque che, nella seconda met dell'800, il positivismo fu l'ideologia tipica della borghesia in ascesa; e che, nelle sue diverse espressioni, esso contribu potentemente ad alimentare la fiducia nel progresso dell'umanit e a sostenere la convinzione di poter controllare, grazie alla scienza, il corso della natura e degli stessi processi sociali.

Parola chiave Progresso

Nel linguaggio comune, "progresso" sinonimo di "avanzamento" o di "sviluppo". In termini storicofilosofici, credere nel progresso significa pensare che il corso della storia sia necessariamente orientato verso un graduale miglioramento della condizione umana, verso un aumento della felicit - o del benessere materiale, o della ricchezza spirituale - dei singoli e della collettivit. L'idea moderna di progresso nata con l'Illuminismo: tipica della cultura illuministica infatti una concezione laica della storia, che considera la natura umana perfettibile e la felicit realizzabile nel mondo degli uomini (e non solo nell'aldil). Nell'et romantica, l'idea di progresso viene mutando i suoi tratti e si lega alle concezioni idealistiche e storicistiche che vedono la storia come un processo di continuo arricchimento dello spirito universale: un processo che inarrestabile e necessario, ma non dipende dall'azione dell'uomo, anzi la determina. L'epoca del positivismo stata quella in cui l'ideale di progresso ha conosciuto la sua maggiore affermazione, fino a costituire il nucleo centrale e l'ideaguida della cultura borghese nella seconda met dell'800. Anche per i positivisti il progresso il risultato di leggi immanenti allo sviluppo storico, pi che della volont dei singoli (gli uomini possono tutt'al pi agire per accelerare il progresso o per rallentarlo). Ma si tratta di leggi scientifiche, analoghe a quelle che regolano l'evoluzione del mondo naturale; e l'accento posto non tanto sul progresso "spirituale", quanto sullo sviluppo tecnico e materiale. Questa idea di progresso entrata in crisi alla fine dell'800, assieme a tutto il sistema culturale e filosofico legato al positivismo. Le vicende drammatiche del '900 - in particolare le due guerre mondiali - hanno ulteriormente incrinato la fiducia in un corso razionale e ordinato della storia dell'umanit; e la cultura del '900, in tutte le sue molteplici correnti, ha assunto nei confronti dell'idea di progresso un atteggiamento pi critico e disincantato. Nemmeno il grande processo di sviluppo economico e di avanzamento scientifico verificatosi nell'epoca successiva al secondo conflitto mondiale (epoca per altro verso dominata dall'incubo della guerra nucleare) valso a riproporre l'idea di progresso nei termini ottimistici in cui veniva concepita nell'800.

2.3. Lo sviluppo economico.

Il boom industriale, La diffusione delle macchine, Le concentrazioni e le societ per azioni, Le crisi cicliche, I fattori dello sviluppo, La rimozione dei vincoli giuridici, Il trionfo del libero scambio, La disponibilit di materie prime, Capitali e banche, Mezzi di trasporto.

A partire dalla fine degli anni '40, superata la crisi del '46-47, l'economia europea conobbe una fase di forte espansione, che fu caratterizzata dall'aumento dei prezzi, dei salari e dei profitti e che dur, salvo due brevi interruzioni, per quasi un quarto di secolo. Gli effetti di questa fase espansiva si fecero sentire, sia pure in diversa misura, in tutti gli Stati europei e interessarono tutti i settori dell'economia. Anche il settore meno dinamico, quello agricolo, favorito dal regime di alti prezzi, realizz notevoli progressi in termini di produttivit e si giov in misura crescente delle nuove possibilit offerte dalle ferrovie che, aumentando la velocit di circolazione delle merci, aprirono le campagne alla penetrazione dell'economia di mercato.

I risultati pi consistenti si ebbero per nell'industria che, fra il 1850 e il 1873, fece registrare un vero e proprio boom. Il boom avvantaggi soprattutto le "nuove" potenze industriali (la Francia del Secondo Impero e la Germania in via di unificazione), consentendo loro di ridurre il divario che le separava dalla Gran Bretagna, e si fond essenzialmente sullo sviluppo dei settori siderurgico e meccanico: per i paesi di industrializzazione pi recente, furono questi settori a svolgere il ruolo trainante che in Inghilterra era stato proprio dell'industria tessile. Si tratt di uno sviluppo imponente sia dal punto di vista quantitativo (l'industria siderurgica tedesca, ad esempio, crebbe, per tutto il ventennio 1850-70, a un tasso medio annuo del 10%), sia da quello qualitativo. In questi anni si diffusero nell'Europa continentale le innovazioni che avevano costituito, mezzo secolo prima, il nucleo propulsivo della rivoluzione industriale inglese. La macchina a vapore sconfisse definitivamente la ruota idraulica; (filatoi e telai meccanici) soppiantarono gradualmente quelli manuali; il combustibile minerale (carbon coke) si sostitu sempre pi al carbone di legna. Fra il 1850 e il 1870, la potenza in cavalli vapore delle macchine fisse per l'industria crebbe di tre volte in Gran Bretagna, di cinque volte in Francia, di quasi dieci volte in Germania.

I costi crescenti degli impianti e l'accresciuta concorrenza diedero un forte impulso alla tendenza verso l'aumento delle dimensioni delle imprese e verso le concentrazioni aziendali. Si moltiplicarono le societ per azioni, che permettevano agli imprenditori di ridurre il rischio degli investimenti e di sopperire al bisogno di capitale raccogliendolo fra numerosi sottoscrittori. Un clima di fiduciosa euforia, ai limiti della febbre speculativa, si diffuse nel mondo degli affari.

L'eccesso di fiducia nelle capacit espansive del mercato fu all'origine di due crisi scoppiate nel '57-58 e nel '66-67, che interruppero temporaneamente il corso positivo dell'economia mondiale. Furono le prime "crisi cicliche" del capitalismo moderno: crisi provocate non da cattivi raccolti e da scarsit di derrate agricole - come avveniva nel mondo preindustriale - ma al contrario da un eccesso di produzione di determinate merci (di qui il termine crisi di sovrapproduzione) che causava a sua volta bruschi ribassi dei prezzi, crolli in borsa e fallimenti a catena. Entrambe le crisi furono comunque di breve durata, non intaccarono in modo durevole la fiducia degli investitori e furono seguite da periodi di rapida ripresa.

Molti furono i fattori che resero possibile il boom degli anni '50 e '60. Fra questi possiamo elencarne cinque principali.

1. Dopo il 1848, soprattutto in quei paesi dell'Europa centro orientale dove pi forti erano le sopravvivenze dell'antico regime, furono cancellate o lasciate cadere in disuso molte leggi che fin allora avevano inceppato le attivit economiche. Furono smantellati gli ordinamenti corporativi che regolamentavano l'esercizio dei mestieri, ostacolando la mobilit del lavoro e l'innovazione tecnologica. Furono definitivamente abrogate le vecchie (e mai seriamente applicate) leggi che proibivano il prestito a interesse. Furono mitigate le pene dei condannati per debiti o per fallimento. Fu perfezionata la disciplina dei brevetti. Si diffuse sempre pi l'uso della cartamoneta e degli assegni.

2. Assieme ai vecchi vincoli giuridici, caddero, nel giro di pochi anni, le numerose barriere che si frapponevano alla libera circolazione delle merci: imposte sul traffico delle vie d'acqua, dazi interni e soprattutto dazi di entrata e di uscita ai confini fra gli Stati. Una fitta rete di trattati commerciali, che prevedevano congrue riduzioni delle tariffe doganali, fu stretta tra le principali potenze europee, Russia compresa. Il trionfo del libero scambio favor in primo luogo la Gran Bretagna che, grazie alla sua pi collaudata struttura industriale, poteva offrire i suoi prodotti a prezzi competitivi sui mercati stranieri; ma fin col giovare anche agli altri paesi europei, in quanto, provocando la scomparsa delle imprese meno attrezzate per reggere alla concorrenza, favor la modernizzazione dell'apparato produttivo.

3. Dopo la met del secolo, la scoperta e lo sfruttamento di nuovi giacimenti minerari nell'Europa continentale (come quelli del Pas de Calais in Francia o del bacino della Ruhr in Germania) aumentarono in misura considerevole la disponibilit delle materie prime pi importanti: i minerali ferrosi e soprattutto il carbone, prima ed essenziale fonte di energia per i paesi industrializzati.

4. La scoperta, nel 1848, di nuovi giacimenti auriferi in California fece affluire in Europa cospicue quantit di metalli preziosi. Ne deriv un rapido aumento della circolazione monetaria, che caus a sua volta l'abbassamento dei tassi di interesse e l'espansione del credito. Le banche assunsero una funzione decisiva nel promuovere lo sviluppo, incanalando i capitali disponibili verso gli investimenti produttivi. Nacquero a questo scopo, soprattutto in Francia e in Germania, "banche di investimento" (o "banche d'affari"), la cui funzione principale non consisteva tanto nel fornire prestiti a breve termine per operazioni commerciali, quanto nel sostenere iniziative di ampio respiro con finanziamenti a lunga durata. Fu questo il caso delle banche di credito mobiliare sorte nella Francia del Secondo Impero o delle banche miste tedesche, chiamate cos perch svolgevano contemporaneamente due funzioni: quella tradizionale della raccolta del risparmio e dell'offerta di credito a breve termine e quella nuova dell'investimento a lungo termine nelle imprese industriali.

5. Ai fattori che abbiamo appena elencato ne va aggiunto un altro non meno importante, che fu insieme causa ed effetto dello sviluppo industriale: l'affermazione e la diffusione di nuovi mezzi di trasporto e di comunicazione, primo fra tutti la ferrovia, simbolo dell'et industriale e della civilt moderna. La costruzione di linee ferroviarie, treni e navi a vapore fu certamente un prodotto della rivoluzione industriale, ma al tempo stesso contribu potentemente ad alimentarla: sia perch allargava a dismisura le possibilit di circolazione dei prodotti dell'industria, sia perch determinava essa stessa una domanda in continua espansione per i settori siderurgico e meccanico.

2.4. La rivoluzione dei trasporti e dei mezzi di comunicazione.

Il boom delle costruzioni ferroviarie, Il trionfo della ferrovia, La navigazione a vapore, Il telegrafo, La rivoluzione delle comunicazioni.

La rivoluzione dei trasporti, che conobbe il suo momento decisivo intorno alla met dell'800, non ebbe solo conseguenze di ordine economico, ma influenz significativamente abitudini e modi di pensare della gente comune: dei borghesi che commerciavano o viaggiavano per istruzione e per diporto, ma anche dei ceti popolari (lavoratori che emigravano, manovali impiegati nelle costruzioni ferroviarie, contadini che vendevano i loro prodotti sul mercato). La stessa immagine del mondo cambi radicalmente, com'era avvenuto ai tempi delle grandi scoperte geografiche; e l'idea di un mondo unito, le cui parti erano legate fra loro da stretti rapporti di interdipendenza, cominci a farsi strada nella coscienza collettiva.

All'inizio degli anni '50 esistevano in tutto il mondo circa 40.000 km di ferrovie: 15.000 negli Stati Uniti e25.000 in Europa (di cui 11.000 nella sola Gran Bretagna). Dieci anni dopo, l'estensione della rete ferroviaria mondiale era quasi triplicata (110.000 km, di cui pi della met nel Nord America). La crescita continu, con un ritmo di poco inferiore, nei due decenni successivi (oltre 200.000 km nel 1870 e 370.000 nell'80), favorita dai grandi progressi dell'ingegneria civile, che permisero di superare gli ostacoli naturali e di portare le linee ferroviarie anche nelle zone pi impervie.

Nel 1854 fu inaugurata la prima linea transalpina, la ViennaTrieste. Tre anni dopo, cominciarono i lavori del primo grande tunnel delle Alpi, il Frjus, lungo 13 km, che, una volta completato nel 1870, avrebbe abbreviato di ventiquattr'ore i collegamenti fra l'Italia e l'Europa del Nord. Ma gli sviluppi pi spettacolari si ebbero negli Stati Uniti, dove le costruzioni ferroviarie accelerarono notevolmente la conquista dei territori dell'Ovest (nel '69 fu aperta la prima linea transcontinentale da New York a San Francisco) e assunsero l'aspetto di una grandiosa avventura, a met strada fra l'epopea e la speculazione finanziaria. Fra il 1860 e il 1880, le ferrovie penetrarono in vaste aree dei continenti extraeuropei, soprattutto nelle colonie britanniche (India e Australia) e nell'America Latina. Restavano ancora escluse dalla rivoluzione dei trasporti buona parte dell'Asia e l'intera Africa. Ma, gi nel 1870, i viaggi da un capo all'altro del globo risultavano enormemente abbreviati rispetto a vent'anni prima: tanto da rendere possibile, almeno in teoria, quel Giro del mondo in ottanta giorni immaginato e minuziosamente descritto da Jules Verne in un celebre romanzo del 1872.

Pi lenta e contrastata fu l'affermazione del vapore nel campo dei trasporti marittimi. Nel secolo XIX, le navi a vela - che si giovavano di costi d'esercizio molto limitati - avevano raggiunto un notevole grado di perfezione tecnica: non di rado i grandi clippers (velieri veloci impiegati per la navigazione mercantile transoceanica) battevano in velocit gli steamers, battelli a vapore azionati da grandi ruote e dotati di vele ausiliarie. Perci solo dopo il 1860, con l'introduzione dell'elica al posto della ruota e con la sostituzione degli scafi in ferro a quelli in legno, le navi a vapore divennero decisamente competitive in termini di velocit oltre che di capacit di carico. Se nel 1870 il naviglio a vela copriva ancora circa la met dei trasporti marittimi di tutto il mondo, negli ultimi anni del secolo la percentuale si sarebbe ridotta a poco pi del 20%.

Contemporaneamente alla rivoluzione dei trasporti, un'altra trasformazione non meno radicale si ebbe nel campo della comunicazione dei messaggi, grazie alla diffusione del telegrafo elettrico. L'invenzione, che risaliva alla fine degli anni '30, trov le sue prime applicazioni pratiche nel decennio successivo (il telegrafo di Morse del 1844). Negli anni '50 e '60, tutti i paesi europei si dotarono di un sistema di comunicazioni telegrafiche: in breve tempo l'intera Europa si copr di pali e di fili (erano circa 3000 km nel 1850, divennero 180.000 dieci anni dopo). Nello stesso periodo, l'adozione di nuove tecniche di isolamento dei fili metallici consent la posa dei primi cavi telegrafici sottomarini. La Manica fu attraversata gi nel 1851. Per vedere in funzione il primo cavo nordatlantico, si dovette attendere il 1866; ma pochi anni dopo gli oceani erano solcati da una fitta rete di cavi ed era possibile per un europeo scambiare telegrammi con tutti i continenti.

La comunicazione dei messaggi era cos svincolata per sempre dalla dipendenza dei mezzi di trasporto e la velocit delle notizie aumentava in modo vertiginoso: il tempo necessario per comunicare un'informazione da Londra a Tokio si ridusse d'un colpo da tre mesi a tre minuti. Da allora divent possibile concludere istantaneamente affari e transazioni finanziarie con paesi lontani, impartire direttive diplomatiche in tempi rapidissimi, guidare gli eserciti da zone distanti dal fronte. Una rivoluzione nella rivoluzione si verific nel settore giornalistico, dove si assiste alla nascita di agenzie specializzate, basate sull'uso del telegrafo: la pi celebre di tutte, l'anglotedesca Reuter, fu fondata nel 1851. In questo campo - ha scritto lo storico Eric Hobsbawm - "il Medioevo fin negli anni '60, quando i notiziari poterono essere telegrafati da un numero sufficiente di punti del pianeta per raggiungere all'indomani la tavola della prima colazione".

2.5. La citt moderna.

L'urbanesimo, La crescita delle grandi citt, Le trasformazioni dei nuclei urbani, I nuovi centri, Le "cinture operaie", Haussmann e la ristrutturazione di Parigi, L'intervento dei poteri pubblici, Illuminazione e trasporti urbani, La citt come sistema organizzato.Nell'Europa dell'800, l'affermazione della borghesia e la crescita del proletariato andarono di pari passo con lo sviluppo dei grandi centri urbani. Ebbe allora inizio quel grande processo storico che va sotto il nome di urbanesimo e che avrebbe portato gradualmente la maggioranza della popolazione dei paesi industriali a trasferirsi dalle campagne nelle citt. Attorno al 1850, la grande citt - intendendo per grande citt ci che si intendeva allora, cio un centro con almeno centomila abitanti era ancora un fenomeno molto raro. Unica eccezione, la Gran Bretagna, dove gi negli anni '40 la popolazione urbana aveva uguagliato e superato quella rurale e dove, nel 1850, esistevano una trentina di grossi centri industriali. Londra, con pi di due milioni e mezzo di abitanti, era di gran lunga la pi grande citt del mondo e continuava ad espandersi a un ritmo impressionante. In Francia, nello stesso periodo, le citt con pi di centomila abitanti erano solo sei, compresa Parigi che superava ormai il milione; in Germania erano otto, fra cui Berlino, che raggiungeva appena i quattrocentomila.

Solo trent'anni dopo, la situazione era molto cambiata. In Francia e in Germania, il numero delle grandi citt era pi o meno raddoppiato. Erano cresciuti nuovi centri industriali, come Lille e Roubaix in Francia, Essen e Dsseldorf in Germania. Le grandi capitali si erano allargate a dismisura: Parigi era passata da poco pi di uno a oltre due milioni di abitanti, Berlino da quattrocentomila a oltre un milione, mentre Londra superava i quattro milioni e mezzo.

Alla base di questo fenomeno c'erano cause diverse, ma strettamente legate fra loro. Lo sviluppo industriale, che creava nuove occasioni di lavoro, e la contemporanea rivoluzione dei trasporti, che rendeva pi facili gli spostamenti, alimentavano un imponente flusso migratorio dalla campagna alla citt. Questo flusso ininterrotto determinava nei grandi centri una situazione di cronico sovrappopolamento, favorendo la diffusione delle malattie infettive (in primo luogo del colera) e mantenendo la mortalit a livelli molto elevati.

Col mutare delle dimensioni, le citt cambiavano anche il loro aspetto e le loro strutture. Nella seconda met dell'800 molti grandi centri urbani assunsero un volto e una forma simili a quelli che ancora oggi conosciamo. Per secoli e secoli la pianta delle citt era stata definita dalle cinte murarie. Sotto la spinta dello sviluppo economico e del boom demografico, la zona abitata prese ad allargarsi rapidamente e disordinatamente, coprendo gli spazi vuoti circostanti il vecchio nucleo urbano. La forma della citt si rendeva del tutto indipendente dagli antichi condizionamenti di origine militare e si modellava sempre pi sulle esigenze della produzione e dei traffici.

Tutta la vita cittadina ruotava intorno a nuovi centri, che si affiancavano e si sostituivano a quelli tradizionali (la cattedrale, il municipio, la piazza del mercato). Punti di riferimento essenziali erano in primo luogo le stazioni ferroviarie, costruite spesso con grandiosit, come veri e propri monumenti dell'et industriale; poi la borsa, i centri commerciali, il tribunale e, nelle capitali, i palazzi dei ministeri. Attorno a questi poli si sviluppava il quartiere degli affari, che tendeva a svuotarsi dei suoi abitanti di condizione meno agiata e a riempirsi di uffici e di negozi.

I ceti popolari espulsi dai centri storici andavano ad addensarsi - assieme ai nuovi immigrati - nelle grandi periferie, costruite completamente ex novo (era il caso della periferia di Berlino, con i suoi casermoni di cinque o sei piani disposti in fila, parallelamente alle strade) o nate dall'assorbimento e dalla trasformazione di villaggi gi separati dal centro principale (come i sobborghi che costituivano la "cintura operaia" di Parigi). Diventava sempre pi netta la separazione fra le periferie operaie, tirate su in fretta, sovraffollate, malsane, prive di servizi e spesso afflitte dal fumo delle fabbriche, e i quartieri residenziali borghesi, che erano situati in zone pi verdi e pi aerate e cominciavano ad essere provvisti di acqua corrente e di impianti di riscaldamento centralizzato. Anche questa separazione costituiva una differenza importante rispetto alla vecchia citt, che faceva coabitare ricchi e poveri nelle stesse strade o addirittura nei medesimi edifici: i ricchi ai piani bassi, i poveri ai piani alti e nelle soffitte.

Queste trasformazioni si producevano nella maggior parte dei casi in modo spontaneo, sotto la spinta della speculazione edilizia e in assenza di qualsiasi piano regolatore. Un esempio di intervento attuato dall'alto, in base a un progetto consapevolmente studiato, fu invece la ristrutturazione di Parigi condotta per incarico di Napoleone III dal prefetto Georges Haussmann. Haussmann oper in profondit sul vecchio tessuto urbano, sventrando buona parte del centro medievale, col suo intrico di vicoli strettissimi, e aprendo una serie di larghi viali (boulevards) che avevano lo scopo di rendere pi piacevole e meglio percorribile il centro cittadino, ma servivano anche a scoraggiare il ripetersi di sommosse urbane come quelle del '48 (nei grandi boulevards erano pi facili gli spostamenti delle forze di polizia ed era impossibile la costruzione di barricate). L'opera di Haussmann non si limit alla risistemazione della rete viaria. Negli anni '50 e '60 del secolo XIX, Parigi fu dotata di ben quindici nuovi ponti sulla Senna, di quattro nuove stazioni ferroviarie, di un nuovo sistema di fognature, di parchi e di edifici pubblici.

In quello stesso periodo, anche se in tempi pi lunghi e in forme meno spettacolari, quasi tutte le grandi citt europee videro moltiplicarsi le iniziative dei poteri pubblici, volte a risolvere i pi urgenti problemi igienici, a sconfiggere la piaga delle epidemie, a migliorare la qualit della vita, a facilitare gli spostamenti all'interno dell'area urbana. La rete fognaria fu ovunque migliorata e spesso interamente ricostruita: scomparvero cos i rigagnoli fetidi che costeggiavano le vie dei quartieri poveri e la citt fu gradualmente liberata dai miasmi degli scarichi che ne rendevano talora l'aria irrespirabile. L'approvvigionamento idrico divenne pi diffuso e pi regolare, anche se doveva passare ancora parecchio tempo prima che la disponibilit di acqua corrente e di servizi igienici nelle case diventasse un fatto generalizzato. Le strade in terra battuta, polverose d'estate e fangose d'inverno, furono ricoperte dal selciato. I quartieri della periferia, bui e malsicuri nelle ore notturne, furono, come gi il centro, illuminati da lampioni a gas. Attraversare la citt divenne pi facile anche per chi non disponeva di mezzi privati, grazie all'organizzazione di reti di trasporto pubbliche. Un caso unico era quello di Londra che, gi negli anni '70, disponeva di un efficiente sistema di ferrovie metropolitane. Ma in tutte le grandi citt, molto prima dell'avvento delle metropolitane e delle tramvie elettriche, gli itinerari pi importanti erano serviti dai cosiddetti omnibus, grandi carrozze su rotaie trainate da cavalli.

La citt diventava pi confortevole e pi "vivibile" (soprattutto per le classi agiate, ma anche per i ceti popolari) e insieme pi ordinata e pi attrezzata. Man mano che l'area urbana si allargava, si moltiplicavano i centri commerciali (mercati, botteghe e anche grandi magazzini), i luoghi di svago e di riunione (teatri, caff, ristoranti), i punti di riferimento culturali (scuole, musei, biblioteche), ma anche le istituzioni preposte al controllo sociale: uffici comunali, posti di polizia, tribunali, carceri.

L'intervento sempre pi sistematico dei pubblici poteri, statali e municipali; lo sviluppo di pi ampi apparati burocratici per il governo delle citt; la creazione di nuovi corpi di polizia sempre pi numerosi e pi "professionali" (era ormai un ricordo la "guardia civica" cara alle rivoluzioni liberali e democratiche dell'800); la formazione di nuovi quadri tecnici (amministratori, architetti, ingegneri) specializzati nei problemi della convivenza urbana: tutto ci serv a disciplinare i processi di urbanizzazione e ad attenuarne il carattere spontaneo, talora "selvaggio". Pur conservando al suo interno squilibri giganteschi e ponendo sempre nuovi e difficili problemi ai suoi amministratori, la grande citt tendeva a perdere l'aspetto caotico e tentacolare che tanto aveva affascinato gli scrittori ottocenteschi (si pensi alle opere di Balzac e di Dickens, ai Miserabili di Victor Hugo o a un romanzo popolarissimo nel secolo XIX come I Misteri di Parigi di Eugne Sue). Si avviava a diventare un sistema organizzato, specchio della civilt moderna e dei suoi progressi e al tempo stesso luogo di tutte le sue contraddizioni.

2.6. Il mondo delle campagne.

Il peso numerico dei lavoratori agricoli, Una realt molto differenziata, Le condizioni di vita delle masse rurali, L'emigrazione.

La rilevanza assunta dal fenomeno urbano non deve far dimenticare che, intorno alla met dell'800, in tutta l'Europa continentale erano i lavoratori della terra a costituire il grosso della popolazione attiva. Se in Gran Bretagna, gi negli anni '50, gli addetti all'agricoltura si erano ridotti a non pi del 20% sul totale degli occupati (contro il 50% di addetti all'industria), la percentuale era del 50% circa in Francia e negli Stati tedeschi, del 70% in Italia e nell'Impero asburgico, dell'80% e oltre in buona parte dell'Europa orientale.

A sua volta, il mondo contadino comprendeva una miriade di realt economiche e di figure sociali diverse, con forti differenze fra Stato e Stato e fra regione e regione. La Gran Bretagna, con una popolazione agricola formata in buona parte da lavoratori salariati, rappresentava un caso isolato; cos come un caso limite era costituito dal