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MIGRANTI E RIFUGIA TI 100ª Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 19 GENNAIO 2014 Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB Terni P RE S S MENSILE DELLA FONDAZIONE MIGRANTES ANNO XXXV - NUMERO 11-12 NOVEMBRE-DICEMBRE 2013 2013

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MIGRANTIE RIFUGIATI

100ª Giornata Mondialedel Migrante e del Rifugiato

19 GENNAIO 2014

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MENSILE DELLA FONDAZIONE MIGRANTES ANNO XXXV - NUMERO 11-12 NOVEMBRE-DICEMBRE 20132013

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Rivista di informazione e di collegamento della Fondazione MigrantesAnno XXXV - Numero 11-12 Novembre-Dicembre 2013

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DirettoreGian Carlo Perego

Caporedattore Raffaele Iaria

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Migranti e rifugiati: verso un mondo migliore 3Il Messaggio di Papa Francesco per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2014

EditorialeParole per un mondo migliore 6Mons. Francesco Montenegro

GMMUn Papa, un Vescovo e i migranti 7Gian Carlo Perego

La dignità della persona non si ferma alla frontiera 9Franco Miano

Un cambiamento di rotta 10Paolo Bustaffa

Nessuna appartenenza e diversità 12Francesco Rossi

ImmigratiA che punto siamo con l’integrazione? 14Vinicio Ongini

Una scuola “diversa” 17Alberto Campoleoni

Quando la fede avvicina i cuori e i popoli 20Giorgio Paolucci

Scuola, dialogo, autonarrazione: liberare la bellezza 22Luciano Carpo

Sussidio liturgicoMigranti e rifugiati: verso un mondo migliore 20Don Luca Pedroli

Rifugiati e richiedenti asiloResettlement 24Giovanni Godio

Italiani nel Mondo150 anni della Chiesa italiana di Londra 25Raffaele Iaria

Scalando le Montagne Rocciose 26Andrea Gagliarducci

Svizzera: nuove piste pastorali 28Luisa Deponti

Rom e SintiCatechismo “in campo” 30

Fieranti e circensiLa famiglia Cavedo 32Giancarlo Cavedo

sommario

MIGRANTIE RIFUGIATI

100ª Giornata Mondialedel Migrante e del Rifugiato

19 GENNAIO 2014

Poste Ita

liane s.p.a. - Spedizione in Abbonam

ento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, com

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2013 MENSILE DELLA FONDAZIONE MIGRANTES ANNO XXXV - NUMERO 11-12 NOVEMBRE-DICEMBRE 2013

Iscritto allaFederazione Italiana Settimanali Cattolici

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Cari fratelli e sorelle!Le nostre società stanno sperimentando, comemai è avvenuto prima nella storia, processi dimutua interdipendenza e interazione a livelloglobale, che, se comprendono anche elementiproblematici o negativi, hanno l’obiettivo di mi-gliorare le condizioni di vita della famigliaumana, non solo negli aspetti economici, maanche in quelli politici e culturali. Ogni persona,del resto, appartiene all’umanità e condivide lasperanza di un futuro migliore con l’interafamiglia dei popoli. Da questa constatazionenasce il tema che ho scelto per la Giornata Mon-diale del Migrante e del Rifugiato di quest’anno:“Migranti e rifugiati: verso un mondo migliore”.Tra i risultati dei mutamenti moderni, il crescentefenomeno della mobilità umana emerge comeun “segno dei tempi”; così l’ha definito il PapaBenedetto XVI (cfr Messaggio per la GiornataMondiale del Migrante e del Rifugiato 2006). Seda una parte, infatti, le migrazioni denuncianospesso carenze e lacune degli Stati e della Co-munità internazionale, dall’altra rivelano anchel’aspirazione dell’umanità a vivere l’unità nel ri-spetto delle differenze, l’accoglienza e l’ospitalitàche permettano l’equa condivisione dei benidella terra, la tutela e la promozione della dignitàe della centralità di ogni essere umano.

Dal punto di vista cristiano, anche nei fenomenimigratori, come in altre realtà umane, si verificala tensione tra la bellezza della creazione, segnatadalla Grazia e dalla Redenzione, e il mistero delpeccato. Alla solidarietà e all’accoglienza, ai gestifraterni e di comprensione, si contrappongonoil rifiuto, la discriminazione, i traffici dello sfrut-tamento, del dolore e della morte. A destare pre-occupazione sono soprattutto le situazioni incui la migrazione non è solo forzata, ma addirit-tura realizzata attraverso varie modalità di trattadelle persone e di riduzione in schiavitù. Il“lavoro schiavo” oggi è moneta corrente! Tuttavia,nonostante i problemi, i rischi e le difficoltà daaffrontare, ciò che anima tanti migranti e rifugiatiè il binomio fiducia e speranza; essi portano nelcuore il desiderio di un futuro migliore nonsolo per se stessi, ma anche per le proprie famigliee per le persone care. Che cosa comporta la creazione di un “mondomigliore”? Questa espressione non allude inge-nuamente a concezioni astratte o a realtà irrag-giungibili, ma orienta piuttosto alla ricerca diuno sviluppo autentico e integrale, a operareperché vi siano condizioni di vita dignitose pertutti, perché trovino giuste risposte le esigenzedelle persone e delle famiglie, perché sia rispettata,custodita e coltivata la creazione che Dio ci ha

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Migranti e rifugiati:verso un mondo miglioreIl Messaggio di Papa Francesco per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2014

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donato. Il Venerabile Paolo VI descriveva conqueste parole le aspirazioni degli uomini dioggi: «essere affrancati dalla miseria, garantirein maniera più sicura la propria sussistenza, lasalute, un’occupazione stabile; una partecipazionepiù piena alle responsabilità, al di fuori da ognioppressione, al riparo da situazioni che offendonola dignità umana; godere di una maggiore istru-zione; in una parola, fare conoscere e avere dipiù, per essere di più» (Lett. enc. Populorumprogressio, 26 marzo 1967, 6).Il nostro cuore desidera un “di più” che non èsemplicemente un conoscere di più o un averedi più, ma è soprattutto un essere di più. Non sipuò ridurre lo sviluppo alla mera crescita eco-nomica, conseguita, spesso, senza guardare allepersone più deboli e indifese. Il mondo può mi-gliorare soltanto se l’attenzione primaria è rivoltaalla persona, se la promozione della persona èintegrale, in tutte le sue dimensioni, inclusaquella spirituale; se non viene trascurato nessuno,compresi i poveri, i malati, i carcerati, i bisognosi,i forestieri (cfr Mt 25,31-46); se si è capaci dipassare da una cultura dello scarto ad una culturadell’incontro e dell’accoglienza.Migranti e rifugiati non sono pedine sullo scac-chiere dell’umanità. Si tratta di bambini, donnee uomini che abbandonano o sono costretti adabbandonare le loro case per varie ragioni, checondividono lo stesso desiderio legittimo di co-noscere, di avere, ma soprattutto di essere dipiù. È impressionante il numero di persone chemigra da un continente all’altro, così come dicoloro che si spostano all’interno dei propriPaesi e delle proprie aree geografiche. I flussimigratori contemporanei costituiscono il piùvasto movimento di persone, se non di popoli,di tutti i tempi. In cammino con migranti e rifu-giati, la Chiesa si impegna a comprendere lecause che sono alle origini delle migrazioni, maanche a lavorare per superare gli effetti negativie a valorizzare le ricadute positive sulle comunitàdi origine, di transito e di destinazione dei mo-vimenti migratori. Purtroppo, mentre incoraggiamo lo sviluppoverso un mondo migliore, non possiamo tacerelo scandalo della povertà nelle sue varie dimen-sioni. Violenza, sfruttamento, discriminazione,emarginazione, approcci restrittivi alle libertàfondamentali, sia di individui che di collettività,

sono alcuni dei principali elementi della povertàda superare. Molte volte proprio questi aspetticaratterizzano gli spostamenti migratori, legandomigrazioni e povertà. In fuga da situazioni dimiseria o di persecuzione verso migliori pro-spettive o per avere salva la vita, milioni dipersone intraprendono il viaggio migratorio e,mentre sperano di trovare compimento alleattese, incontrano spesso diffidenza, chiusuraed esclusione e sono colpiti da altre sventure,spesso anche più gravi e che feriscono la loro di-gnità umana.La realtà delle migrazioni, con le dimensioniche assume nella nostra epoca della globalizza-zione, chiede di essere affrontata e gestita inmodo nuovo, equo ed efficace, che esige anzituttouna cooperazione internazionale e uno spiritodi profonda solidarietà e compassione. E’ im-portante la collaborazione ai vari livelli, conl’adozione corale degli strumenti normativi chetutelino e promuovano la persona umana. PapaBenedetto XVI ne ha tracciato le coordinate af-fermando che «tale politica va sviluppata a partireda una stretta collaborazione tra i Paesi da cuipartono i migranti e i Paesi in cui arrivano; vaaccompagnata da adeguate normative interna-zionali in grado di armonizzare i diversi assettilegislativi, nella prospettiva di salvaguardare leesigenze e i diritti delle persone e delle famiglieemigrate e, al tempo stesso, quelli delle societàdi approdo degli stessi emigrati» (Lett. enc.Caritas in veritate, 29 giugno 2009, 62). Lavorareinsieme per un mondo migliore richiede il reci-proco aiuto tra Paesi, con disponibilità e fiducia,senza sollevare barriere insormontabili. Unabuona sinergia può essere di incoraggiamentoai governanti per affrontare gli squilibri socio-economici e una globalizzazione senza regole,che sono tra le cause di migrazioni in cui le per-sone sono più vittime che protagonisti. NessunPaese può affrontare da solo le difficoltà connessea questo fenomeno, che è così ampio da interes-sare ormai tutti i Continenti nel duplice movi-mento di immigrazione e di emigrazione. È importante poi sottolineare come questa col-laborazione inizi già con lo sforzo che ogniPaese dovrebbe fare per creare migliori condizionieconomiche e sociali in patria, di modo chel’emigrazione non sia l’unica opzione per chicerca pace, giustizia, sicurezza e pieno rispetto

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della dignità umana. Creare opportunità di lavoronelle economie locali, eviterà inoltre la separazionedelle famiglie e garantirà condizioni di stabilitàe di serenità ai singoli e alle collettività.Infine, guardando alla realtà dei migranti e rifu-giati, vi è un terzo elemento che vorrei evidenziarenel cammino di costruzione di un mondo mi-gliore, ed è quello del superamento di pregiudizie precomprensioni nel considerare le migrazioni.Non di rado, infatti, l’arrivo di migranti, profughi,richiedenti asilo e rifugiati suscita nelle popola-zioni locali sospetti e ostilità. Nasce la paura chesi producano sconvolgimenti nella sicurezza so-ciale, che si corra il rischio di perdere identità ecultura, che si alimenti la concorrenza sul mercatodel lavoro o, addirittura, che si introducanonuovi fattori di criminalità. I mezzi di comuni-cazione sociale, in questo campo, hanno unruolo di grande responsabilità: tocca a loro,infatti, smascherare stereotipi e offrire corretteinformazioni, dove capiterà di denunciare l’erroredi alcuni, ma anche di descrivere l’onestà, la ret-titudine e la grandezza d’animo dei più. Inquesto, è necessario un cambio di atteggiamentoverso i migranti e rifugiati da parte di tutti; ilpassaggio da un atteggiamento di difesa e dipaura, di disinteresse o di emarginazione – che,alla fine, corrisponde proprio alla “cultura delloscarto” – ad un atteggiamento che abbia allabase la “cultura dell’incontro”, l’unica capace dicostruire un mondo più giusto e fraterno, unmondo migliore. Anche i mezzi di comunicazionesono chiamati ad entrare in questa “conversionedi atteggiamenti” e a favorire questo cambio dicomportamento verso i migranti e i rifugiati.Penso a come anche la Santa Famiglia di Nazaretabbia vissuto l’esperienza del rifiuto all’iniziodel suo cammino: Maria «diede alla luce il suoprimogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in unamangiatoia, perché per loro non c’era posto nel-l’alloggio» (Lc 2,7). Anzi, Gesù, Maria e Giuseppehanno sperimentato che cosa significhi lasciarela propria terra ed essere migranti: minacciatidalla sete di potere di Erode, furono costretti afuggire e a rifugiarsi in Egitto (cfr Mt 2,13-14).Ma il cuore materno di Maria e il cuore premurosodi Giuseppe, Custode della Santa Famiglia, hanno

conservato sempre la fiducia che Dio mai ab-bandona. Per la loro intercessione, sia sempresalda nel cuore del migrante e del rifugiatoquesta stessa certezza. La Chiesa, rispondendo al mandato di Cristo“Andate e fate discepoli tutti i popoli”, è chiamataad essere il Popolo di Dio che abbraccia tutti ipopoli, e porta a tutti i popoli l’annuncio delVangelo, poiché nel volto di ogni persona è im-presso il volto di Cristo! Qui si trova la radicepiù profonda della dignità dell’essere umano,da rispettare e tutelare sempre. Non sono tanto icriteri di efficienza, di produttività, di ceto sociale,di appartenenza etnica o religiosa quelli chefondano la dignità della persona, ma l’esserecreati a immagine e somiglianza di Dio (cfr Gen1,26-27) e, ancora di più, l’essere figli di Dio;ogni essere umano è figlio di Dio! In lui èimpressa l’immagine di Cristo! Si tratta, allora,di vedere noi per primi e di aiutare gli altri avedere nel migrante e nel rifugiato non solo unproblema da affrontare, ma un fratello e una so-rella da accogliere, rispettare e amare, un’occasioneche la Provvidenza ci offre per contribuire allacostruzione di una società più giusta, una de-mocrazia più compiuta, un Paese più solidale,un mondo più fraterno e una comunità cristianapiù aperta, secondo il Vangelo. Le migrazionipossono far nascere possibilità di nuova evange-lizzazione, aprire spazi alla crescita di una nuovaumanità, preannunciata nel mistero pasquale:una umanità per cui ogni terra straniera è patriae ogni patria è terra straniera. Cari migranti e rifugiati! Non perdete la speranzache anche a voi sia riservato un futuro più sicuro,che sui vostri sentieri possiate incontrare unamano tesa, che vi sia dato di sperimentare la so-lidarietà fraterna e il calore dell’amicizia! A tuttivoi e a coloro che dedicano la loro vita e le loroenergie al vostro fianco assicuro la mia preghierae imparto di cuore la Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 5 agosto 2013

FRANCESCO

© Copyright - Libreria Editrice Vaticana

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1 IL MESSAGGIO DEL S. PADRE FRANCESCO 1

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La famiglia umana spera in un futuro migliore,ricorda il Papa nel Messaggio della GiornataMondiale del Migrante e del Rifugiato del 2014,

e come comunità cristiana siamo chiamati a con-dividere la stessa fiducia e speranza, in un mondoglobale, con mutamenti e mobilità crescenti.Per preparare un mondo migliore servono parolee gesti che imparino ed esprimano la differenza.Infatti, ricorda Papa Francesco, “se da una partele migrazioni denunciano spesso carenze e lacunedegli Stati e della Comunità internazionale,dall’altra rivelano anche l’aspirazione dell’umanitàa vivere l’unità nel rispetto delle differenze, l’ac-coglienza e l’ospitalità che permettano l’equa con-divisione dei beni della terra, la tutela e la pro-mozione della dignità e della centralità di ogniessere umano”. Purtroppo la nostra natura tradiscequesta aspirazione e speranza umana e legge lamobilità nel segno del peccato e non della Grazia,sostituendo alla solidarietà e alla fraternità la dif-fidenza, la chiusura, il rifiuto, la discriminazione,l’esclusione, lo sfruttamento, la schiavitù. S’invocala salvaguardia di una cultura, di un’identità, laprecedenza sul lavoro o la sicurezza per lasciarefuori dalle porte dei nostri Paesi persone e famigliein fuga. L’economia del Mercato più che l’economiadi comunione – richiamata da Benedetto XVInell’enciclica Caritas in Veritate – rischia di essereprevalente rischiando di soffocare, anziché pro-muovere, le aspirazioni umane di chi si mette incammino e lascia la propria povera terra. Dobbiamo“passare dalla cultura dello scarto ad una culturadell’incontro e dell’accoglienza” ricorda PapaFrancesco: un cambiamento culturale che chiedela responsabilità di tutti.Guardando i volti dei migranti e dei rifugiati, i

volti di cui tutti abbiamo davanti i segni nei nu-merosi sbarchi a Lampedusa e nei porti dellaSicilia, della Calabria e della Puglia nel 2013 – ivolti di oltre 40.000 persone, uomini e donne,bambini e famiglie, “costretti ad abbandonare leloro case per varie ragioni” – ricorda il S. Padre –non possiamo non volere per loro qualcosa “dipiù”. Da qui l’impegno della Chiesa “per superaregli effetti negativi” delle migrazioni e “valorizzarele ricadute positive sulle comunità di origine, ditransito e di destinazione dei movimenti migratori.Cooperazione internazionale, collaborazione traPaesi, nuove normative sono percorsi che possonotutelare i migranti e, al tempo stesso, favorire larinascita dei Paesi da cui provengono i migranti:“nessun Paese, ricorda Papa Francesco, può af-frontare da solo le difficoltà connesse a questo fe-nomeno, che è così ampio da interessare ormaitutti i Continenti nel duplice movimento di im-migrazione e emigrazione”. Neppure l’Europapuò rinchiudersi in se stessa, come in una fortezza,pensando di tutelarsi così per il proprio futuro: ilfuturo è solo globale, insieme. È importante che nelle nostre comunità cristiane,anche grazie alla celebrazione della GiornataMondiale del Migrante e del Rifugiato, giunta alsuo centesimo anno, s’imparino e s’insegnino leparole per un mondo migliore: incontro, acco-glienza, ospitalità, tutela, condivisione, dialogo,rispetto delle differenze. Sono parole che dannoqualità alla nostra nuova evangelizzazione, so-prattutto se accompagnate da una testimonianzadi vita personale e di comunità, da una responsa-bilità condivisa verso un mondo in cammino. ■

*Presidente CEMi e Migrantes

Parole per un mondo miglioreIncontro, accoglienza, ospitalità, tutela, condivisione, dialogo, rispetto delle differenzeMons. Francesco Montenegro*

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Un Papa, un Vescovo e i migrantiPio X e Bonomelli: a cento anni dalla morte

Gian Carlo Perego

Cento anni fa, nell’agosto 1914, a distanzadi pochi giorni, morivano due protagonistidella storia e del magistero sull’emigrazione

italiana: Pio X e Geremia Bonomelli. I due pastorisi erano conosciuti quando l’uno, GiuseppeSarto, era vescovo di Mantova, e l’altro vescovodi Cremona. Entrambi, tra gli anni 70 e ’80 del-l’Ottocento, avevano vissuto, in visita pastorale,il dramma di numerose famiglie che partivanoper le Americhe o l’Europa, alla ricerca di un la-voro per mantenere la propria famiglia , di frontea uno Stato unitario che non riusciva ad affron-tare il dramma della miseria e della disoccupa-zione. Giuseppe Sarto fu vescovo di Mantova dal1883 al 1894. Significativa è la sua circolare alclero mantovano del 1887, in cui ricorda la chiu-sura del catechismo a Castelbelforte, con l’amaranotizia che 305 parrocchiani, la settimana suc-cessiva, sarebbero partiti per il Brasile. Il vescovoricorda ai sacerdoti “che non è la prima volta chepoveri contadini eccitati da agenti di case speculatricie da impresari di emigrazione…mentre si aspettavanoil favoloso paese dell’oro, nonché vedere infrante lestipulazioni, per solito puramente verbali, si riconob-bero e nel lungo tragitto e nelle terre promesse vittimedi inganni, per cui, fuggendo la miseria del luogonativo, incontrarono miserie ben più strazianti lungidalla terra dei loro padri”. Gli faceva eco il vescovodella vicina Cremona, Geremia Bonomelli, chescriveva un’importante lettera pastorale per laQuaresima del 1896 dal titolo L’emigrazione (che

ebbe una seconda edizione a Roma, con Descléeeditori, nel 1912), arricchita di alcune note. Bo-nomelli inizia la sua lettera ricordando comesiano “molti anni ch’io andava meco stesso coltivandoil pensiero di fermare la vostra attenzione sopra questofenomeno della emigrazione in generale e in partico-lare delle nostre campagne: immigrazione che oracresce, ora diminuisce, ma non cessa mai del tutto”.L’emigrazione, ricorda sempre Bonomelli, è giu-dicata da alcuni un bene e da altri un male e per

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altri ancora un tema che non vale la pena di con-siderare, quasi ovvio: “strano contegno – scrive ilVescovo – quello di quest’ultimi! Come se la partenzadall’Italia nostra di 200.000 e fin 500.000 personeogni anno fosse cosa di nessuna o lieve importanza”.Dell’emigrazione Bonomelli ricorda di avere in-contrato nei suoi viaggi in Europa i volti e le sto-rie di sofferenze: “conobbi dolori e miserie morali,religiose ed economiche, quali non avrei mai imma-ginato. Poveri emigrati! Quante volte questo dolorosolamento mi uscì spontaneo dalle labbra! Quante voltemi sentii stringere il cuore e non potei frenare le la-grime dinnanzi a certe scene, che non dimenticheròmai! In molte stazioni d’Italia e fuori d’Italia viditurbe di uomini, di donne, di bambini, malamentevestiti, colle traccie profonde del dolore e delle priva-zioni dipinte sul volto aspettare i treni, salire queivagoni, serrarvisi dentro come merci”.I successivi rapporti tra Papa Pio X e il vescovoBonomelli, dalla nascita dell’Opera di assistenzaper gli emigranti in Europa e in Medio Oriente,nel 1900, fino al 1914, dimostrano la reciprocastima tra i due Presuli, anche se con posizionidivergenti su alcuni temi d’attualità, come il

rapporto tra Stato e Chiesa, l’abolizione del Nonexpedit, la necessità di convocare un nuovo Con-cilio ecumenico. L’impegno di Pio X per gli emi-granti continuerà, raccomandando nel 1908 enel 1911 la nascita nelle diocesi dei Comitati perl’emigrazione e sollecitando indagini socio-reli-giose sull’emigrazione italiana. Nel 1912 Pio Xcostituì presso la Congregazione Concistorialeun ufficio per il coordinamento pastorale degliemigranti e nel 1914 istituì il Collegio per l’emi-grazione, per preparare e inviare sacerdoti dio-cesani tra gli emigranti, dimostrando in questodi condividere l’intuizione avuta da Mons. Bo-nomelli, anche se il riconoscimento pontificiodell’Opera Bonomelli non avvenne alla sua na-scita, ma nel 1905, in occasione del 50° di sa-cerdozio del vescovo cremonese. Da allora Pio Xsosterrà l’Opera di assistenza agli emigranti –con un contributo anche di 10.000 lire nel 1909 –e la difenderà da accuse frequenti. A 100 annidalla morte dei due Pastori, apostoli degli emi-granti italiani, rimane viva la loro amicizia, lacollaborazione leale, ma soprattutto il grandeamore per la Chiesa, “povera e santa”. ■

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L a dignità della persona nonsi ferma alla frontiera e ilmigrante o rifugiato che sia

non è semplicemente un “pro-blema da gestire”, ma una risorsanon solo economica da valoriz-zare e troppe volte miscono-sciuta, un patrimonio di umanitàfondamentale per la sopravvi-venza di società spesso stanche einvecchiate come lo sono quelledel Vecchio Con ti nente, come loè quella italiana.Ciò che è chiaro nelle intenzioni della prossimaGiornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato2014, “verso un mondo migliore”, non sembraesserlo altrettanto se si rileggono le scelte in ma-teria di migrazioni che la politica (nazionale ecomunitaria) ha fatto negli ultimi decenni, spessoschizofreniche e votate più a sollevare barriereche ad abbatterle. Scelte fatte in nome della “sfi-ducia” piuttosto che del reciproco aiuto tra Paesi.Cito, una per tutte, l’incapacità (colpevole) del-l’Europa di darsi un’unica efficace normativa co-munitaria in materia di diritto d’asilo.Se vogliamo dare un futuro all’Europa, occorreinvece ripensare i meccanismi d’ingresso, sveltirele pratiche di cittadinanza, intervenire sulle com-petenze di uffici e istituzioni coinvolte, eliminarele discriminazioni, qualificare la presenza delmigrante come persona inserita nella società. Acominciare, ad esempio, dalla ricezione dellaConvenzione d’Europa del 1992 sulla parteci-pazione degli stranieri alla vita pubblica a livello

locale, nella parte che consenteloro il diritto di voto attivo e pas-sivo nelle elezioni locali.Non si tratta di buonismo, ma dipromuovere un discernimentocristiano delle migrazioni, allaluce del quale identificare un per-corso di giustizia e promozioneumana, che ci renda capaci dipassare “da una cultura dello scar-to ad una cultura dell’incontro edell’accoglienza”, senza dimen-

ticare che ogni persona, poiché è tale, ha dirittoa “fare conoscere e avere di più, per essere dipiù”. È quanto ricorda lo stesso Papa Francescocitando la Populorum progressio nel suo Messaggioper la Giornata Mondiale del Migrante e del Ri-fugiato, invitando a mai considerare il migrantecome “merce o semplice forza lavoro”.La sfida è dunque tracciata. Per tutti e per i laicicristiani in particolare. Si tratta di delineare unmodello di convivenza sociale che sia inclusivoe solidale. Un modello che prenda le mossedalla categoria della convivialità, che faccia deldialogo interculturale e interreligioso un puntodi forza, che riconosca i migranti come parte delnostro tessuto sociale. Una sfida che ha rilevantirisvolti sul piano educativo e culturale. Una sfidache è speranza di bene comune per il tempopresente e che interpella e coinvolge tutti, co-munità ecclesiale e civile, associazioni cattoliche,italiani e migranti, nessuno escluso.

*Presidente nazionale dell’Azione Cattolica Italiana

La dignità della persona non si fermaalla frontieraDelineare un modello di convivenza sociale inclusivo e solidale

Franco Miano*

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Se si analizza la qualità dell’informazionesull’immigrazione a sette anni dalla pub-blicazione della “Carta di Roma”, sotto-

scritta dall’Ordine e dal Sindacato dei giornalisti,si deve ammettere che l’orientamento deontolo-gico proposto nel documento non è rimastonelle buone intenzioni di pochi ma ha incisonella coscienza di molti professionisti.La competenza e la correttezza sono cresciuteproprio perché quel protocollo ha motivato pro-fessionalmente il dovere di “osservare la massimaattenzione nel trattamento delle informazioniconcernenti i richiedenti asilo, i rifugiati, le

vittime della tratta ed i migranti nel territoriodella Repubblica italiana ed altrove”.Il cambiamento di rotta non è tuttavia iniziatosolo per la spinta di quell’indicazione etica chechiede ai giornalisti di non affrontare con pre-sunzione o con frettolosità la realtà dell’immi-grazione che ha sempre cause, sviluppi ed esitidi grande complessità economico-sociale e digrande sofferenza umana.L’informazione sull’immigrazione è migliorataanche perché c’è una cultura popolare, sostan-zialmente cultura dell’ascolto, dell’accoglienza edella legalità, che non poteva più a lungo tollerare

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Un cambiamento di rottaOccorre continuare i passi compiuti nei sette anni dopo la “Carta di Roma”Paolo Bustaffa

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di venire immiserita da luoghi comuni, da pre-giudizi, da parole offensive, da paure e da stru-mentalizzazioni.Il miglioramento è inoltre opera dei moltissimiimmigrati che hanno detto e dicono ai mediaitaliani che la loro onestà e la loro laboriositànon dovevano e non devono essere sacrificateall’altare delle notizie su fatti criminosi e sugesti di illegalità commessi da alcuni di loro. In un clima sociale e culturale meno turbatodalla diffidenza e dal rancore anche la politica siè riposizionata con una maggior competenza euna maggior efficacia legislativa ed è riuscita adare un segnale di cambiamento con la nominadel ministro Cecile Kyenge. L’informazione non poteva non prendere attodi quanto stava accadendo e con la “Carta di Ro-ma” ha iniziato a compiere passi in avanti nelsegno del rispetto della dignità e dei diritti del-l’uomo che si possono riassumere nella decisionedi sostituire la parola “clandestini” con la parola“persone”.La strage di Lampedusa, strage annunciata comealtre, lo ha ribadito e nei giornalisti ha trovatodegli osservatori e dei narratori che, in queigiorni, hanno cercato di dare spazio, voce e im-magine a un’umanità percossa, umiliata, distrutta.Hanno cercato di andare oltre l’emotività e difare informazione sulla tragedia denunciandonele cause immediate e quelle remote.Lampedusa ha posto anche una domanda dicontinuità: come evitare che una notizia sul-l’immigrazione scacci l’altra senza consentire al-l’opinione pubblica di cogliere il filo che le legae di approfondire?Come evitare che l’assuefazione abbia la meglio

sulla conoscenza, sull’indignazione, sulla de-nuncia, sull’impegno?Nonostante questi passi avanti l’immigrazione,come altre realtà del nostro tempo, non è deltutto fuori dal rischio del tritatutto mediaticoche, per la sua sempre più alta velocità, rischiadi trasformare l’informazione in un indigestoimpasto di notizie. E qui conta molto la memoria intesa come ponteintellettuale che unisce passato, presente e futurodel fenomeno migratorio.È stato molto importante, ad esempio, cheaccanto ai servizi d’attualità sulla strage di Lam-pedusa alcuni media abbiano posto servizi suEllis Island, abbiano scritto di Marcinelle e dialtre esperienze dell’emigrazione italiana aprendo,a volte, un intenso dibattito con i lettori.Ed è stato altrettanto importante che alcunimedia, compreso il cinema con “La gabbia do-rata”, abbiano anche raccontato storie dramma-tiche di moltissimi migranti tra Messico e Usa. Non è stato un esercizio giornalistico per con-fermare che nella storia e nella geografia tutto siripete e quindi è inutile pensare un mondo mi-gliore. È stato un impegno giornalistico serio dicollegare, nelle analisi e nelle riflessioni, tempie luoghi distanti tra loro per far emergere laquestione di fondo che in particolare bussa allacoscienza dell’Europa, cioè la questione delladignità dell’uomo e del suo anelito insopprimibilealla giustizia, alla pace, alla felicità.Non a caso sull’Unione europea sono accesi i ri-flettori dei media per cogliere qualche segnalepiù consistente di quella solidarietà che, fonda-mento della casa comune, sembra ancora anna-spare nelle acque di un mare europeo.Non pochi passi sono stati comunque compiutiin questi ultimi sette anni e altri certamente sipotranno fare soprattutto se nel clima culturale,sociale e politico del nostro Paese la conoscenzadell’altro prevarrà sulla diffidenza nei confrontidell’altro. In questa prospettiva si pone la “Cartadi Roma” nel proporre “l’istituzione di premidedicati all’informazione sui richiedenti asilo, irifugiati, le vittime di tratta, i migranti sullascorta della positiva esperienza rappresentata daanaloghe iniziative a livello europeo ed interna-zionale”.È un altro piccolo passo: è sempre con i piccolipassi che si iniziano i grandi percorsi. ■

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Igiovani stranieri, ormai, fanno parte integrantedelle nostre comunità. Una realtà che la Pa-storale giovanile della Chiesa Italiana intercetta

a più livelli, dal cortile dell’oratorio al confrontosulla fede. In questi anni, tanti passi sono staticompiuti, e il cammino prosegue giorno dopogiorno. Don Michele Falabretti, responsabile delServizio Cei per la pastorale giovanile, esempli-fica così a Migranti Press questo percorso: “Ri-cordo, una volta, una partita all’oratorio. Erastato fatto un gol e alcuni hanno chiesto: chi hasegnato? Vi sono state contemporaneamente duerisposte: un papà ha detto ‘el negher’, il ragazzonegro; un bambino, ‘il 9’. L’identificazione perl’adulto era il colore della pelle, per il bambinoil numero sulla maglia”. Una risposta differente– quella del bambino rispetto all’adulto – che èal tempo stesso un bel segno di speranza. “Fravent’anni, quando i bambini e ragazzi di oggiavranno giocato insieme un bel po’ di partite edi campionati, la differenza etnica per loro nonsarà certo un problema”.

Don Falabretti, l’estate scorsa è stata caratte-rizzata dalla Giornata Mondiale della Gioventùdi Rio. Qual è il bilancio che avete fatto del-l’evento?Credo che in questa Gmg abbia avuto grande ri-lievo soprattutto la dimensione dello scambiocon le altre Chiese. Anche in questa edizionec’erano certamente gli aspetti ‘tipici’ di ogni

Gmg, oltre alla novità del primo appuntamentodei giovani con Papa Francesco, ma a questi si èaggiunto l’aver fatto incontrare ai nostri ragazzie ragazze comunità diverse dalle nostre, chehanno ricevuto l’annuncio del Vangelo in epocapiù recente. Inoltre, significativo è stato l’incontrocon numerosi italiani all’estero e con i nostrimissionari.

Che cosa ha significato per i giovani partitidall’Italia la presenza di loro connazionali chevivono in altre parti del mondo, specialmentein Brasile e nel resto dell’America latina?Trovare la nostra lingua, le usanze, i costumi ri-masti vivi in persone che in Italia hanno radiciremote aiuta a cambiare prospettiva e considerarel’emigrante da un altro punto di vista: è una per-sona, con tutto il suo bagaglio umano e culturale,non solo un individuo partito in cerca di soldi,lavoro, fortuna.

Uno scambio che aiuta ad aprire lo sguardoverso gli immigrati che vengono da noi?Quando gli italiani all’estero raccontano dei ge-nitori, della loro nostalgia per la madrepatria,aiutano a comprendere meglio quali sono leimplicanze di un viaggio verso un paese total-mente diverso dal proprio, permettendo così direlazionarsi in maniera diversa e migliore congli stranieri che hanno lasciato il loro Paese e iloro affetti per cercare un futuro da noi.

Nessuna appartenenza e diversitàLa pastorale giovanile e il mondo migratorio. Intervista a don Michele FalabrettiFrancesco Rossi

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Venendo alla pastorale giovanile nelle nostrediocesi, quali sono le sfide principali che sitrova oggi ad affrontare?La sfida vera è costruire un progetto che sia inte-grato nella vita della Chiesa e delle comunità.La pastorale giovanile non può essere un mondoa sé, altrimenti si finisce per considerare la gio-vinezza una malattia da curare e i giovani un‘settore dello zoo’.

Le nostre comunità non prestano sufficienteattenzione ai giovani?Ci sono luci e ombre. Si parla molto d’iniziazionecristiana e poi dei giovani 20-30enni. In mezzo c’èla preadolescenza e l’adolescenza: 7-8 anni strategicinel percorso di vita di ciascuno, che se non vengonoaffrontati in maniera adeguata impediscono didare continuità a un percorso educativo.

Come tornare a intercettare queste fasce gio-vanili, problematiche per via dell’età comepure per l’assenza – in taluni casi – di un pro-getto loro dedicato?Dobbiamo riscoprire la passione educativa, l’ac-compagnare i ragazzi nei loro processi di crescita,soprattutto in quelli che sono gli anni più difficili.Gli adolescenti si educano, accompagnano e, inultima istanza, si fa pastorale giovanile ancheascoltandoli, condividendo le loro ansie e fatiche,mettendo da parte la preoccupazione di ‘con-quistarli’.

C’è anche la difficoltà di raggiungere determi-nate categorie di giovani. Penso a quanti sitrasferiscono nelle metropoli per frequentarel’università, magari senza punti di riferimentoper un cammino spirituale, come pure ai nu-merosi minori immigrati, che hanno lasciatoil loro Paese da soli, o con la famiglia, oancora sono nati in Italia da genitori immigrati.Cosa viene fatto per loro nelle nostre Chieseparticolari?Tanto viene fatto. Penso a tutto ciò che ‘ruota’attorno all’oratorio: qui i ragazzi stranieri s’in-contrano in tantissimi modi. Il cortile, per esem-pio, che non richiede alcuna appartenenza spe-cifica ma è luogo d’incontro quotidiano deiragazzi tra di loro. Poi ci sono spazi per i compiti,corsi di alfabetizzazione. Senza dimenticare leattività sportive. In questi ambiti nascono anchedomande nuove: il cristiano è chiamato non aconvertire, ma a raccontare la propria fede. Magarinon con le parole, ma certamente con i gesti,con il modo di comportarsi. ■

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Si rifletterà anche sulle migrazioni al XIII Convegnonazionale di pastorale giovanile, in programma aGenova dal 10 al 13 febbraio 2014 sul tema “Tra ilporto e l’orizzonte. Le direzioni della cura educativanella comunità cristiana”. “C’è fermento in vista del Convegno – osserva donFalabretti –; vorremmo che fosse l’occasione peruna riflessione, per ricordare nuovamente le ragioniforti dell’educare, dell’accompagnare, del fare pa-storale giovanile. Prima di ‘saper fare’ c’è bisognodi riaffermare un ‘saper essere’. E vorremmo anche

offrire ragioni di speranza per proseguire il cam-mino”. Nella seconda giornata è prevista la visitaalla sezione sulle migrazioni degli italiani all’esteroall’interno del Galata museo del mare (www.gala-tamuseodelmare.it); il giorno seguente, invece, sicondurranno “lavori di gruppo sull’idea che l’emi-grazione – ovvero il partire, lasciando la casapaterna con le sue ‘sicurezze’ – è una sorta di pa-rabola della crescita di ciascuno”. Info: www.chiesacattolica.it/giovani.

Le migrazioni al convegno della Pastorale Giovanile

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Nel paesaggio multiculturale della scuolaitaliana sono avvenuti alcuni significativicambiamenti negli ultimi anni.

In grande sintesi, sul totale di circa 800.000alunni con cittadinanza non italiana, il 47,2%sono nati in Italia e la gran parte di loro parlala lingua italiana. Mentre quasi il 4% sonoappena arrivati nelle nostre scuole (entrati nel-l’ultimo anno) e sono per la gran parte non ita-lofoni. L’aumento più significativo di studentistranieri si riscontra nelle scuole secondarie disecondo grado, quasi 180.000 studenti, in granparte iscritti negli istituti tecnici e professionali.Sono 1110 le scuole (sul totale di 57.000) chesuperano la percentuale di alunni stranieri del40%, e più di 400 superano il 50%.Questi dati, con molti altri approfondimenti,sono contenuti nel rapporto Gli alunni stranierinel sistema scolastico italiano, anno scolastico2012/2013, a cura del Servizio statistico del Mi-nistero dell’Istruzione, Università e Ricerca).In considerazione di questi cambiamenti la nostraDirezione sta avviando una revisione/aggiorna-mento del documento Linee guida per l’accoglienzadegli alunni stranieri, 1 marzo 2006, con un’atten-zione particolare al tema e alle problematichedelle seconde generazioni, della valutazione, del-l’orientamento scolastico, cercando di distinguerei bisogni dei neo arrivati dai bisogni e dalle pro-

blematiche degli studenti di origine straniera natie cresciuti nel nostro Paese.Un’azione specifica, operativa dal 1 dicembre2013, è finalizzata all’insegnamento dell’italianocome seconda lingua per gli studenti con citta-dinanza non italiana, di recente immigrazione,iscritti in terza media e provenienti da paesi dilingua non latina. Una definizione lunghissimama che ha una ragione: abbiamo individuato inquesto segmento le maggiori difficoltà, sia pergli studenti che per gli insegnanti. Pensiamo,

A che punto siamo con l’integrazione? I numeri e le azioni del MIUR sugli studenti stranieri in Italia

Vinicio Ongini*

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Infanzia Primaria Secondaria I grado Secondaria II grado

Alunni con cittadinanza non italiana per livello scolastico - AA.SS. 2003/2004 - 2012/2013

Anni scolastici Totale Infanzia Primaria Secondaria I grado Secondaria II grado

2000/2001 147.406 30.793 62.683 35.575 18.355…2004/2005 370.803 74.348 147.633 84.989 63.8332005/2006 431.211 84.058 165.951 98.150 83.0522006/2007 501.420 94.712 190.803 113.076 102.8292007/2008 574.133 111.044 217.716 126.396 118.9772008/2009 629.360 125.092 234.206 140.050 130.0122009/2010 673.800 135.840 244.457 150.279 143.2242010/2011 710.263 144.628 254.653 157.559 153.4232011/2012 755.939 156.701 268.671 166.043 164.5242012/2013 786.630 164.589 276.129 170.792 175.120

7,00,22,20,27,11002/0002…

4,27,43,55,42,45002/40021,36,59,50,58,46002/50028,35,68,67,56,57002/60023,43,77,77,64,68002/70028,40,83,86,70,79002/80023,55,87,81,85,70102/90028,58,80,96,89,71102/01022,63,95,92,94,82102/11026,66,98,98,98,83102/2102

valori assoluti

per 100 alunni

Alunni con cittadinanza non italiana per livello scolastico (valori assoluti e percentuali)AA.SS. 2000/2001 - 2012/2013

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per esempio, ad un adolescente cinese o indianoneoarrivato, proveniente da Paesi con sistemilinguistici molto diversi dall’italiano, iscritto interza media, dunque alle prese con la scuoladelle discipline, con gli esami di terza media,con la difficoltà di orientarsi per scegliere il per-corso scolastico successivo nelle scuole secondarie. È stata programmata una ricerca /azione nazionalecon gli alunni e le famiglie di scuole ad altissimapresenza di allievi con cittadinanza non italiana(presenze del 50% e oltre). Obiettivo: contribuirea trasformare scuole difficili, in quartieri o territoria forte impatto immigratorio, in scuole nellequali la presenza di alunni stranieri diventi daproblema a risorsa, aumentando le chance for-mative per tutti.

Un’altra linea d’azione è dedicata al tema dellapeer education in contesti multiculturali: alunnie studenti di seconda generazione (o studentiitaliani) che fanno da tutor a studenti stranieridi prima generazione e neo arrivati.È stata programmata, per il prossimo announ’azione di formazione nazionale dei dirigentiscolastici: Dirigere le scuole in contesti multi-culturali.L’azione si propone di accrescere le competenzedei dirigenti sui temi dell’integrazione scolastica,in particolare nei contesti a forte processo immi-gratorio o di deprivazione socioeconomica. ■

*Direzione generale per lo studente-MIUR

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Due casi di cronaca hanno acceso il dibattitosulla questione degli alunni stranieri nellescuole proprio all'inizio del nuovo anno

scolastico.Si tratta di quanto accaduto a Costa Volpino,nel Bergamasco - dove una prima elementare èstata cancellata perché aveva solo iscritti di originestraniera - e a Landiona, in provincia di Novara.Qui dodici famiglie hanno ritirato i figli dallascuola elementare, per la presenza di “troppizingari”. Casi particolari, che andrebbero esaminati“da vicino”, per cogliere gli aspetti di problema-ticità, ben oltre le cronache dei giornali. Tral'altro almeno la metà dei ragazzi stranieri diCosta Volpino risultano essere nati in Italia, ecosì anche i sinti di Landiona sarebbero quasitutti italiani.Esiste un “problema stranieri” nella scuola delnostro Paese? A guardare i dati non pare proprio.Anzitutto i numeri: vero che il fenomeno migra-torio da anni costituisce una realtà importante ecertamente c'è stato in passato un aumento espo-nenziale di allievi di nazionalità non italiananelle scuole del Belpaese. Però da tre anni aquesta parte il fenomeno ha conosciuto un si-gnificativo rallentamento. Per l'anno scolasticoappena cominciato, gli alunni stranieri sarebberocirca 800 mila, cioè lo 0,4% in più dello scorsoanno. In termini percentuali gli alunni di originestraniera, in tutti gli ordini di scuole, sono pocopiù dell’8% del totale: nessuna “invasione”, dun-que. Da considerare, poi, che nelle scuole del-

l’infanzia l’86% degli alunni stranieri è nato quida noi. “Sono bimbi italiani di fatto, se nonancora di diritto”, chiosa Vinicio Ongini, del-l'Ufficio integrazione alunni stranieri del Miur.Che aggiunge: “Fra tutti gli studenti stranieri diogni grado di scuola, ormai la metà sono nati inItalia”.Non va dimenticata poi la “famosa” norma del30%, il tetto previsto di alunni con cittadinanzanon italiana sul totale degli iscritti in ciascunaclasse. “Tetto” indicativo e che prevede peraltrouna serie di eccezioni, ad esempio legate alla ve-rifica di specifiche competenze linguistiche.Perché il significato della norma va cercato nontanto nella “questione stranieri”, ma nella necessitàdi evitare situazioni didattiche precarie.Un'ultima notizia: recenti dati Invalsi diconoche alla fine del primo ciclo di istruzione la di-stanza tra gli alunni italiani e la seconda genera-zione di immigrati risulta solo di alcuni puntiin italiano e nulla in matematica. Cosa vuoldire? Che la scuola “funziona” nel diminuire ledistanze.Ecco la questione vera: diminuire le distanze,promuovere integrazione e interazione. La scuolaè un laboratorio sociale fondamentale, dove l'in-contro tra le componenti diverse della societàpuò diventare estremamente fruttuoso, per ridi-segnare relazioni e orizzonti. La presenza dialunni stranieri pone sfide didattiche complesse,ma è certamente, per la scuola e la società tutta,una vera opportunità. Non un problema. ■

Una scuola “diversa”Alunni stranieri nelle scuole italiane: opportunità o problema?

Alberto Campoleoni

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Domenica 19 gennaio 2014Giornata Mondiale delle MigrazioniDomenica II del Tempo Ordinario A

Migranti e rifugiati: verso un mondo migliore(Is 49,3.5-6; Sal 39; 1Cor 1,1-3; Gv 1,29-34)

don Luca Pedroli

Le letture che ci accompagnano nella liturgia diquesta domenica risultano orientate dal temadella chiamata.

Nella prima lettura, tratta da quello che è conosciutocome «il secondo canto del servo», Dio ricopre ilsuo prediletto con uno sguardo di profonda tene-rezza e gli affida un incarico nuovo, che diventaprovvidenziale per tutta l’umanità. A dire il vero,la vicenda del servo non sembrava aver nulla daoffrire, tutta segnata dalla sofferenza e dall’improntadella sconfitta, del fallimento umano. Il Dio cheaffiora nella Scrittura, però, non solo non sivergogna della piccolezza e della sventura dell’uomo,ma vi si cala fino in fondo, facendo delle peripeziedei poveri e degli ultimi il luogo privilegiato dellasua rivelazione e della manifestazione della suagloria. In tal senso, il canto del servo assume già iltono di un inno pasquale, come profezia dellacroce e della risurrezione. È suggestivo poi il fattoche il servo non rimane passivo, immobile difronte a tutto questo, ma viene messo in movimento,perché durante il suo itinerario diventi per tutti ipopoli e le culture con cui verrà a contatto unsegno autentico dell’amore di Dio, di quell’amoredi cui lui per primo si è scoperto ricolmato in ab-bondanza. Anche oggi le vicissitudini che portanomolti a lasciare tutto e a mettersi in cammino

verso altri lidi portano impresso un carattere prov-videnziale, non soltanto per le persone in causa,ma anche per le nuove terre che li accolgono: è inquesto quadro, infatti, che emerge in modo quantomai incisivo come il Signore voglia davvero chetutti gli uomini siano salvi. Ed è nel contesto diquesto incontro tra genti diverse che le vicende ap-parentemente insignificanti dei più piccoli e disagiatisi rivelano luogo di riconoscimento del volto mi-sericordioso e compassionevole di Dio. Il tema della chiamata domina anche l’esordiodella Prima Lettera ai Corinti. Paolo è chiamato adessere apostolo; i componenti della comunità cri-stiana sono chiamati ad essere santi; la stessaChiesa che è in Corinto ha la sua identità e la suanatura originaria nel fatto di essere l’assemblea«convocata», chiamata attorno a sé da Cristo. Nelcontempo, però, anche i cristiani «invocano», chia-mano continuamente il nome del Signore Gesù.Quello che ne scaturisce è un quadro caratterizzatodalla ricerca reciproca, una ricerca che non rimanesterile, ma che è orientata all’incontro. Del resto,ogni chiamata porta in sé la predisposizione al-l’accoglienza e la responsabilità del dono, propriosull’esempio di Cristo il quale, quando chiama, èper entrare in comunione e donare la sua vita, ri-generando così nel suo amore. Anche in questo

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caso, poi, la chiamata non lascia inerti, ma mettein movimento ed è in funzione di un compito.Paolo è chiamato perché sia apostolo di GesùCristo. Questo comporta la rinuncia a se stesso, laconformazione piena al Signore e alla sua volontàe la coscienza di essere inviato ad annunciare lamisericordia e l’amore di Dio. È in tal senso chePaolo cambierà pensieri, sentimenti e propositi, elascerà la sua città, le realtà e la sicurezza di prima,per mettersi in viaggio e portare l’annuncio delVangelo in tutto il mondo. Come avrà modo di ri-marcare più volte nelle sue lettere, tutto ciò signifi-cherà mettere a repentaglio la propria vita e speri-mentare la fame, la sete, il freddo, naufragi, percosse,la carcerazione e disagi di ogni genere. Ma saràproprio nella sua debolezza che Cristo rivelerà ilproprio volto e la grandezza del suo amore, percui le peripezie e le vicissitudini dell’apostolo,come quelle di tutti i cristiani che da lì in poi lo se-guiranno nel corso della storia, diventeranno segnoe testimonianza vivente di un Dio che si fa vicinoe ci ricolma della sua compassione.Gli elementi che sono affiorati nelle prime due

letture tornano anche nella pagina del Vangelo.Anche qui troviamo qualcuno che viene chiamato:si tratta del Battista, il quale, a differenza deiSinottici, viene scelto in Giovanni non tanto come«precursore» del Messia — in vista quindi dellapreparazione della sua venuta — ma come suo te-stimone. Ancora una volta, poi, chi viene chiamatosi attiva, si mette in viaggio. In questo caso, ilBattista lascia tutto e si sposta nel deserto dove,proprio nell’estrema sobrietà e nel disagio di quelcontesto, farà risuonare il suo annuncio e battezzeràil popolo nel nome del Signore che viene. È sugge-stivo poi come anche la sua testimonianza si facciapiccola e si attui secondo la logica del nascondi-mento e della negazione di sé, in modo da diventareunicamente segno vivo della presenza di Cristo. Ora questa testimonianza passa nelle mani dellaChiesa. Perché risulti credibile, deve però conservaregli stessi connotati di umiltà, altrimenti si rischiadi sovrapporsi al Signore Gesù, testimoniando sestessi invece di lui e del suo amore. Risuona alloraquanto mai illuminante la definizione che il Battistadà di sé, riprendendola dal profeta Isaia: essere«voce» dice infatti un farsi piccolo, lieve, marginale,ma allo stesso tempo una dipendenza diretta euna profonda intimità. È significativo poi come ilBattista riveli che non conosceva colui al qualeavrebbe dovuto dare testimoniare, finché non selo è visto venire incontro. È quello che siamo chia-

mati a fare pure noi: quante persone ci vengonoincontro ogni giorno, anche da paesi lontani dalnostro, dal punto di vista geografico, culturale ereligioso; persone che non conoscevamo prima equasi sempre segnate da vicende che dicono povertà,violenza, ingiustizia. In questi volti le pagine dellaScrittura di questa domenica ci insegnano a rico-noscere i lineamenti del Signore Gesù che si calanella sofferenza degli ultimi e dei più bisognosiper farvi risuonare l’annuncio della sua compassionee della sua predilezione. Dobbiamo chiedere co-stantemente la grazia di saper riconoscere questonuovo segno di speranza proprio dove tutto sembraineluttabilmente marcato dalle tenebre dell’angosciae della disperazione. In tal senso, un’altra suggestionepreziosa ci viene offerta dal Battista, il quale,quando si vede Gesù venirgli incontro, non si curadi se stesso, ma solo di lui, cogliendone tutta la ri-levanza salvifica per l’umanità. Tante volte, invece,noi non riconosciamo nelle persone che approdanoda noi una risorsa per il nostro paese e per lenostre comunità, e finiamo persino per porre degliostacoli al disegno di Dio che chiede di svilupparsiproprio attraverso le trame semplici e ordinarie diquesti incontri. Ma dietro a tutto questo ci sta ilpeccato insito nel cuore dell’uomo: quello dipensare solo a se stessi e di pensare di bastare a sestessi, di stare meglio da soli, chiusi nella proprialogica e nelle proprie ragioni. L’incontro con indi-vidui e storie differenti, specialmente se segnatedal dolore e dalle prove della vita, risultano alloraquanto mai provvidenziali, in quanto ci schiudonoda questo individualismo mortale e ci fanno com-prendere che tutti abbiamo sempre bisogno diqualcuno che ci accolga e ci conforti, e che insiemedobbiamo affidarci a colui che può donarci la sal-vezza e la pace. Quello che viene delineandosi èquindi un orizzonte nuovo, caratterizzato da unaprospettiva universale, nella quale si rende tangibileil vivo desiderio di Dio di giungere a tutte le terre edi entrare nel cuore di tutti i popoli e di tutte leculture, per cui ci si sente sempre più parte di unafamiglia e di una comunità più grande. Di conse-guenza, ci si sente istintivamente proiettati all’attesa,con profonda fiducia e speranza, nella consapevo-lezza che il meglio per ciascuno di noi e perl’umanità intera deve ancora compiersi; e l’acco-glienza di coloro che si rendono vicini e ci chiamano,ci invocano, sfigurati dalla sofferenza, ci predisponequasi naturalmente al riconoscimento e all’acco-glienza di colui che, alla fine del tempo, ci visiteràper diradare la nostra oscurità e donarci la pace.

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Immigrazione non fa rima solo con emargina-zione o con integrazione, ma anche con reli-gione. Chi lascia la propria terra porta con sé

gli affetti più cari e custodisce le tradizioni e i ri-ferimenti ideali che sorreggono l’esistenza. Unatestimonianza eloquente è offerta dalle comunitàperuviane sparse nel mondo, che ogni anno nelmese di ottobre fanno memoria di una devo-zione popolare che da secoli ha lasciato un segnoindelebile. Per le strade di Lima va in scena laprocessione del Senor de los milagros (il Signoredei miracoli) alla quale partecipano centinaia dimigliaia di persone. E nei Paesi in cui i migrantiperuviani hanno messo radici si svolgono ceri-monie analoghe, a testimonianza di una fede ra-dicata e che non soffre le distanze dalla terra diorigine. Così anche quest’anno migliaia di per-sone hanno sfilato per le strade di Roma, Milano,Torino, Genova e altre città italiane, cammi-nando, pregando e cantando dietro l'immaginedel Cristo miracoloso.Questa devozione prende origine nel diciasset-tesimo secolo quando a Lima uno schiavo diorigine angolana dipinge sul muro di una cata-pecchia un’immagine di Gesù crocifisso. Nel1655 un terremoto si abbatte sulla città, radendoal suolo centinaia di case, ma il muro con l’im-magine rimane misteriosamente intatto. Da quelgiorno quel luogo diviene meta di preghiera evenerazione, una venerazione che aumenta dopo

che nel 1687 un nuovo sisma colpisce la capitaleperuviana ma lascia indenne il muro con l’im-magine. Nasce un vero e proprio culto popolaree si registrano guarigioni prodigiose di personeche hanno pregato davanti all’immagine, cheviene staccata e collocata nella cattedrale diLima, finché nel 1715 il Signore dei miracoliviene proclamato patrono e custode della città.Nel corso dei secoli sono molte le persone chehanno ricevuto benefici e grazie dopo avere pre-gato davanti a quel Cristo crocifisso, che ognianno viene portato in processione per le stradedella città, con una partecipazione popolare cheha pochi eguali nel mondo e che prevede un ri-tuale molto particolare. I “cargadores”, uominiche portano a spalla l’”anda”, il pesante baldac-chino sul quale è collocata l’immagine sacra, sispostano muovendo un passo a destra e uno asinistra, conferendo al cammino un’andaturadanzante; le “saumadoras”, donne che spargonol’incenso lungo il percorso, procedono a ritrosoguardando con devozione l’immagine del Cro-cifisso; segue una folla immensa, fatta di gentedi ogni età e condizione sociale. Molti sfilanoindossando tuniche appositamente preparate eintonate al colore viola, a simboleggiare la pas-sione di Gesù. Con l’emigrazione il culto si èdiffuso in molti Paesi e, nel 2005, il Senor de losmilagros è stato dichiarato patrono dei peruvianiresidenti e dei migranti.

Quando la fede avvicina i cuori e i popoliLa processione de “El Senor de los Milagros” in Italia

Giorgio Paolucci

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Anche in Italia questa devozione ha attecchito ein molte città, nelle domeniche di ottobre, sisvolgono processioni alle quali partecipano mi-gliaia di peruviani e a cui si aggregano molti la-tinoamericani. Il 27 ottobre diecimila personesono sfilate nel centro di Milano dietro lo sten-dardo sul quale è riprodotto il dipinto del Signoredei miracoli, montato su un grande baldacchinoportato a spalla dai “cargadores” della Hermandaddel Senor de los milagros, la confraternita checura tutti i particolari di questa singolare iniziativa.È significativa la decisione presa alcuni anni fadall’allora arcivescovo di Milano, il cardinaleDionigi Tettamanzi, di iscrivere nell’albo delle

antiche confraternite ambrosiane anche la Her-mandad del Signore dei miracoli, per sottolinearequanto la fede cristiana può essere strumento diunità tra popoli diversi, e quanto l’immigrazionepuò divenire fattore di arricchimento reciproco.Dalla testimonianza semplice che proviene daquesta devozione così radicata abbiamo da im-parare anche noi cristiani d’Italia, spesso troppoassuefatti a un clima egemonizzato dalla secola-rizzazione e dal relativismo, nel quale il cristia-nesimo è divenuto uno tra i tanti soprammobilida esibire nel salotto buono dei valori. Forse ilSenor de los milagros può fare miracoli ancheoggi, nelle nostre città e nei nostri cuori. ■

La Migrantes agisce per l’evangelizzazione e la promo-zione umana degli immigrati assicurando la cura pastoralespecifica secondo le diverse lingue, culture, tradizioni eriti, con circa 750 centri pastorali presenti nelle diverseDiocesi italiane, con cappellani etnici e 18 coordinatoriche a livello nazionale assicurano l’assistenza religiosainserendola nella pastorale ordinaria.La Migrantes promuove inoltre una cultura di acco-glienza, di incontro e di dialogo, agendo sulla comunità

cristiana e civile per il rispetto e la valorizzazione delleidentità, rafforzando le motivazioni e le condizioniper una convivenza fruttuosa e pacifica, in un clima dirispetto dei diritti fondamentali della persona.Promuove, inoltre, iniziative per favorire la correttaintegrazione, prevenire e combattere l’esclusione socialedegli immigrati, diffondere una cultura della legalità,sostenere atteggiamenti e scelte positive nei loro con-fronti.

Immigrati

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La casa circondariale di Vicenza vive quoti-dianamente tutte le problematiche delle car-ceri italiane, incluse le dinamiche legate ad

una coabitazione tra detenuti di 28 diverse na-zionalità, ognuno con una propria cultura, storiamigratoria e percorso personale. Questo ponespecifici problemi di interelazione e di forma-zione, tra i quali prioritario è quello linguistico.Organizzati dal Centro Territoriale Permanentesono attivi i corsi di alfabetizzazione orientati,da un lato, all’acquisizione di competenze oralie scritte per soddisfare le necessità quotidiane eper ottenere permessi, colloqui con gli educatori,l’avvocato, lo psicologo, gli assistenti volontarie, dall’altro, al conseguimento di un titolo distudio superiore (con l’Istituto Agrario che hasede a Bassano del Grappa), all’apprendimentodell’inglese, alla frequenza di un laboratorio discrittura creativa. Per superare la scarsa motiva-zione e il possibile scoraggiamento di fronte al-l'impegno che comporta lo studio giornaliero ela rinuncia ad usufruire dell’ora d’aria o delle at-tività sportive, occorre fare leva sui bisogni im-pellenti e sulle motivazioni strumentali cui af-fiancare quelle affettive, come dialogare con altrepersone, parlare delle proprie esperienze migra-torie, esprimere i propri sentimenti. La Migrantes – inserita ufficialmente in questoquadro educativo generale con i referenti scola-stici – ha stipulato una convenzione con la dire-

zione del carcere; inoltre lavora in stretto contattocon il cappellano perché i distinti interventi del-l’associazionismo siano sempre più coordinatitra loro. Si cerca, quindi, di creare le condizioniper la realizzazione di progetti che consentanoai detenuti di sperimentare un “tempo scelto”,definito, contrattato, non subito e nell’ambitodel quale sentirsi protagonisti. Migrantes cura in particolare un progetto educativomediante lo strumento cineforum denominato“Frontiere” perché tratta il tema dei conflitti edei processi interculturali evidenziati dai flussimigratori da diversi paesi del mondo, soprattuttodal Nord Africa e dal Medio Oriente, attraversoil Mediterraneo. Il cineforum ha come obiettivoquello di essere uno stimolo al dialogo sulle“frontiere interiori ed esteriori” che ancora per-sistono in questo nostro mondo globalizzato, eun’opportunità di riflessione sulle esperienze vi-venziali e sociali di convivenza e di mediazionedei conflitti interculturali attraverso la conoscenzadell’Altro. Il cinema, veicolo per elaborare iconflitti vissuti nel passato nelle terre d’origine(lotte per il potere politico ed economico, emar-ginazioni e strumentalizzazioni a sfondo etnicoe religioso, discriminazioni uomo-donna, ecc.)e quelli sperimentati nella quotidianità delladetenzione, tra il dentro e il fuori. Mezzo per ri-cominciare a immaginare un nuovo percorso dilibertà.

Scuola, dialogo, autonarrazione: liberare la bellezza“Buone Pratiche” di interculturalità e cittadinanza a Vicenza

Luciano Carpo

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L’orario a disposizione è di circa tre ore a setti-mana, ogni lunedì. Il gruppo massimo consentitoè di 50 detenuti, immigrati in maggioranza as-soluta, per lo più in attesa di giudizio. Tuttihanno alle spalle storie familiari e personalimolto complesse e dolorose, oltre che vicissitudinitalora drammatiche legate alle varie fasi del loropercorso migratorio, soprattutto del loro primoinserimento caratterizzato da grandi aspettative,da cocenti frustrazioni e da errori fatali. Sedersinella penombra della sala ed entrare in unastoria cinematografica è per loro evadere dalcarcere, uscire con la mente e con il cuore dauna realtà caratterizzata dalle sbarre e dai piccolispazi di una convivenza coatta per immergersiin altri contesti, in altri problemi, in altri spazi.

In genere, la proiezione è seguita con una parte-cipazione straordinaria, con commenti ad altavoce, con frasi di indignazione o di plauso, conrisate, fischi e applausi. Ma, appena si riaccendonotutte le luci (la sala non resta mai del tutto al-l’oscuro), l’esperienza diventa subito terapia:alcuni fanno convulsamente a gara per prenderela parola sottolineando una loro identificazionecon il tipo di conflitto che ha fatto da motorenarrante alla pellicola, altri restano muti quasi

impietriti, qualcuno non si vergogna a mostrarsicommosso, talora fino alle lacrime. Tutti inizianoa parlare dicendo “anch’io”. Anch’io ho provatoqualcosa di analogo..., anch’io ho saputo che...,anch’io avrei fatto come quel personaggio... L’as-sunzione personale della fiction cinematograficarivela la necessità che il proprio dolore sia messoal centro dell’attenzione, quasi che il propriodramma sia altrettanto degno di essere comunicatoa tutti nella trasfigurazione della bellezza dellasettima arte, che sa donare libertà. Almeno inte-riore. Poi si ritorna in cella, ma con dei questionariaperti da consegnare agli insegnanti, una voltaelaborati. Durante la settimana ognuno è invitatoa proseguire per iscritto la riflessione, a decantarela propria storia attraverso la storia vista nel

grande schermo, a decostruire i propri conflitticon la mediazione dei conflitti presentati, a os-servare quali “ponti” riescano a costruire contattoe interrelazione con l’Altro. La memoria dei filmvisti lascia presto il posto all’autonarrazione.L’evento estetico si perde ed emerge l’occasionedi incontro e di dialogo soprattutto con se stessi.L’aver condiviso una storia, un’emozione artistica,diventa catarsi, stimolo a riprogettarsi in vistadel reinserimento nella società. ■

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Resettlement: una parola difficile per noi dapronunciare e anche da tradurre. Sarebbequalcosa tipo “riposizionamento”, “risiste-

mazione”. Nel linguaggio tecnico di chi si occupadi profughi in fuga dalle guerre significa trasferirequeste persone dai primi campi di raccolta ap-pena fuori dalle zone di guerra, a condizioni divita migliori in posti più dignitosi, ovvero inPaesi che sono disposti ad accoglierli. In questiultimi mesi sono certamente i profughi dallaSiria che hanno attirato maggiormente l’atten-zione e che hanno bisogno di piani di “resettle-ment”. Sono oggi 16 i Paesi che collaborano conl'Unhcr in un Programma di resettlement e am-missione umanitaria di rifugiati siriani: si sonopresi impegni precisi Australia, Austria, Canada,Finlandia, Germania, Ungheria, Irlanda, Lussem-burgo, Olanda, Norvegia, Spagna, Svezia e Sviz-zera, ma anche la Moldavia; partecipano ancheFrancia e Stati Uniti, anche se questi due Statinon hanno ancora comunicato numeri precisisulle accoglienze che intendono fare. Grandi as-senti dalla lista, il Regno Unito e l’Italia.Dal canto suo, l’Unhcr chiede ai Paesi industria-lizzati di prevedere posti di resettlement addizionalirispetto alle loro quote ordinarie, per non inter-rompere i flussi provenienti da altre zone delmondo in difficoltà; e ha proposto l’obiettivo“globale” di reinsediare o accogliere con am-missione umanitaria 30.000 rifugiati siriani entroil 2014 (una goccia nel mare degli oltre 2 milionifuggiti dalla Siria e ospitati dai Paesi limitrofi),

“con particolare attenzione ai più vulnerabili,quali i sopravvissuti di torture e violenze, donnee bambine a rischio, rifugiati in critiche condizionidi salute e Lgbti”. A oggi una dozzina di Paesi in-teressati al resettlement e alle ammissioni umani-tarie hanno offerto in tutto 10.000 posti e l’Altocommissariato ha loro sottoposto 1200 casi.La Germania, ad esempio, si è impegnata perl'ammissione umanitaria di 5000 siriani prove-nienti dal Libano e l’Austria di 500.Intanto, al di là dell’Atlantico, si è mosso a favoredelle vittime della crisi siriana anche il Comitatonazionale brasiliano per i rifugiati (Conare), cheha deciso di emettere speciali visti umanitari peri cittadini siriani e di altre nazionalità colpiti dalconflitto e che intendono cercare rifugio in Brasile,per “accelerare” il loro ingresso. Le ambasciatebrasiliane nei Paesi limitrofi alla Siria saranno re-sponsabili dell'emissione dei visti di viaggio e lerelative domande d'asilo dovranno essere poipresentate all’arrivo oltreoceano. Questi vistispeciali saranno estesi anche ai membri della fa-miglia che vivono negli stessi Paesi limitrofi.L’Unhcr ha sottolineato che il Brasile è il primoPaese americano ad adottare un simile approccionei confronti dei rifugiati siriani. Fra i due Paesi,del resto, esiste un importante legame storico: 3milioni di brasiliani hanno antenati siriani, so-prattutto a seguito di un’ondata migratoria cherisale agli inizi del XX secolo.

*viedifuga.org

Si tratta di un mondo che in Italia è cresciuto inquesti anni.L’esperienza sul “campo” in diverse diocesi, di ac-coglienza dei profughi e rifugiati va oltre l’emer-

genza, costruendo percorsi di integrazione e non solodi accoglienza, alla luce della diversa storia delle per-sone e delle famiglie, è stato un valore aggiunto sulpiano pastorale e civile.

Rifugiati e richiedenti asilo

ResettlementUn piano per i profughi sirianiGiovanni Godio*

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La Chiesa italiana di San Pietro a Londra com-pie 150 anni di vita. Fu costruita infatti nel1863 per rispondere alle esigenze di culto di

una emigrazione italiana che in quel periodo sidirigeva sempre più numerosa verso Londra. Perricordare questo evento il Presidente della Com-missione Cei per le Migrazioni e della FondazioneMigrantes, l’Arcivescovo Francesco Montenegroha presieduto, lo scorso 20 ottobre, su invito dipadre Carmelo Di Giovanni, rettore della Chiesa,una solenne celebrazione eucaristica. Nell’omelia l’Arcivescovo ha esordito portando ilsaluto di Papa Francesco - incontrato nel corsodell’udienza generale del mercoledì precedente -a tutti i fedeli italiani; ha poi invitato a farememoria dei 150 anni di storia, intrecciata digioia, ma anche di tante fatiche dei nostri emigranti,confidando nella compagnia del Signore e guar-dando al futuro. Alla fine della celebrazione ilsaluto di Mons. Gian Carlo Perego, Direttoredella Migrantes, che ha ricordato la presenza dioltre 200.000 cittadini italiani nel Regno Unito, ela necessità di accogliere e accompagnare i numerosigiovani italiani che stanno ancora arrivando aLondra, in particolare, e in Inghilterra. I dati con-solari, infatti, parlano di oltre 10.000 arrivi nel-l'ultimo anno, 5.000 solo negli ultimi mesi. Oggila chiesa italiana di San Pietro, guidata da PadreCarmelo Di Giovanni e coadiuvato da Padre Ric-cardo Wrobel, è il centro di una intensa attività

sia pastorale che sociale. Le attività pastorali sonoincentrate sulle celebrazioni delle Sante Messenei giorni feriali e festivi, i battesimi, le prime co-munioni, le cresime, i matrimoni, i funerali ed icorsi di preparazione ai sacramenti. A queste siaggiungono le celebrazioni speciali come il pelle-grinaggio a Aylesford, dove San Simone Stockebbe una visione della Madonna del Carmine.Ma la celebrazione più conosciuta, amata e fre-quentata da tutti gli italiani di Londra e dintorni,è la processione in onore della Madonna del Car-mine che si festeggia ogni anno, la prima domenicadopo il 16 luglio. La preparazione dei carri con isanti protettori di molti paesi e regioni d’Italia ela raffigurazione di particolari momenti della vitadi Gesù, dura tutto l’anno e vengono trasportatilungo le strade che circondano la chiesa. La pro-cessione fu la prima manifestazione cattolica pub-blica del dopo Riforma e si tenne nel 1883. Apartire dal 1896 si è svolta regolarmente ognianno, fatta eccezione per i periodi di guerra. Leattività sociali sono anch’esse tante: le numerosevisite alle carceri e agli ospedali ed il centro di ac-coglienza e recupero dei giovani italiani consu-matori di droga (il St Peter’s Project). A queste at-tività partecipano donne e uomini soprattuttoitaliani, ma anche di molte altre nazionalità, rea-lizzando così il desiderio di San Vincenzo Pallottidi fondare una “Chiesa di tutte le nazioni”. ■

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150 anni della Chiesaitaliana di LondraCelebrazioni con mons. Montenegro e mons. Perego

Raffaele Iaria

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Per arrivare su in cima si devono percorrere373 gradini. E lì, ti accoglie una enormestatua del Sacro Cuore di Gesù, scolpita da

un artista italiano, che guarda dritto verso valle.Intorno a te le Montagne Rocciose. In fondo, lacittà di Denver, che appare come una cattedralenel deserto. Si presenta così il picco più alto delMother’s Cabrini Shrine, il Santuario di SantaFrancesca Cabrini. Qui, lei passò del tempo condelle piccole orfane e vi costruì una casa di acco-glienza per diseredati. Qui, Santa Francesca Ca-brini amava tornare e fece scaturire una fontemiracolosa. E qui, c’è una tappa dello specialeAnno della Fede della diocesi di Denver.Quando si arriva al santuario c’è una personache ti aspetta. Vuole che tu faccia delle domande.Ti risponde raccontando la storia di Madre Ca-brini e perché la religiosa era così legata a queimonti, perché amava le montagne del Colorado,specialmente quelle colline a ovest di Denver. Vifece tappa nel 1902 durante uno dei suoi viaggiche la stava portando a visitare i lavoratori italianie le loro famiglie a Clear Creek e nei distretti diminiere di South Park. In quell’occasione, MadreCabrini scoprì una proprietà nella parte Est dellaLookout Mountain. Non c’era una fonte in quellaproprietà, anche se c’erano due fienili e una ca-setta costruita alla fine del XIX secolo. Nel 1909-1910 acquistò questa proprietà per farne uncampo estivo per le sue ragazze dell’OrfanotrofioQueen of Heaven di Denver. Le suore del SacroCuore si sistemarono nel fienile più grande e co-minciarono a sistemare il terreno.Durante i mesi estivi, gruppi di circa 20 ragazze,a seconda dell’età, cominciarono a trascorrere

diverse settimane ai campi estivi in contatto conla natura.C’era il problema dell’acqua. Ce n’era pochis-sima, quasi niente. Tutta l’acqua necessaria perbere e cucinare doveva essere portata fino in cimaalla montagna, andandola a prendere nel Mt.Vernon Canyon. Nel settembre 1912, le suore silamentarono con madre Cabrini della carenzadi acqua. Madre Cabrini rispose: “Sollevate

Scalando le Montagne RoccioseA Denver con madre CabriniAndrea Gagliarducci

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quelle roccia laggiù e cominciate a scavare. Tro-verete acqua fresca e sarà abbastanza per bere epulita per lavarsi”. La fonte non ha mai smessodi sgorgare acqua, e molti pellegrini credono chel’acqua abbia portato guarigione e pace nelleloro vite.Su questa fonte fu costruita una “replica” dellagrotta di Lourdes nel 1929. Questa è stata de-molita e sostituita nel 1959 da quella di oggi.Davanti all’altare di Madre Cabrini, molti ven-gono a pregare e chiedere la sua intercessione.In cima alla montagna la statua del Sacro Cuoredi Gesù. Lì madre Cabrini arrivò con le sue or-fane, e viene custodito con cura il disegno dicuore fatto dalle ragazze che si erano avventuratelassù.La scalata dei 373 gradini rappresenta il Calvario,la fatica di Gesù verso la Croce, e le stazioni dellavia Crucis lo ricordano. Ma ce lo ricorda anchela vita stessa di Madre Cabrini.Una vita in salita, come lo è quella di molti emi-granti. Ma anche una vita piena di amore.Nata a Sant’Angelo Lodigiano, in Lombardia,fonda nel 1880 a Codogno l’Istituto del SacroCuore. Vorrebbe andare ad Est, ad evangelizzarela Cina. Papa Leone XIII la invia invece in Ame-rica, per assistere le centinaia di migliaia di ita-liani emigrati, sfruttati, malpagati, vere vittimedi organizzazioni senza scrupoli.Malaticcia, fragile, con grandi occhi azzurri tra-scinatori e un sorriso irresistibile, sbarca a NewYork senza un soldo con 7 suore il 31 marzo1889. Avversata anche da coloro che inveceavrebbero dovuto aiutarla. Scrive: “Poveri italiani,senza Dio, senza patria, senza pane”.

Li avvicina nei porti, nei ghetti, nei miseri tuguridove neppure la polizia osa avventurarsi. A tuttireca una briciola d’Italia. Dopo aver fondato ilprimo orfanotrofio a New York, attraversa gli Sta-tes con ogni mezzo di locomozione: dal NewJersey a Los Angeles, da Chicago a New Orleans,Denver, Seattle per impiantare orfanotrofi, asili,scuole, collegi, ospedali, laboratori, ricoveri, cen-tri sociali per gli italiani e i loro piccoli figli.Scende in Nicaragua, in Honduras tra gli indianiMosquitos, percorre il Perù e il Cile da dove rag-giunge l’Argentina a dorso di un mulo attraversole Ande con 8 metri di neve, arriva in Brasile,sfiora l’Alaska e il Canada.Madre Cabrini è una vera manager, trova semprei finanziamenti per le sue opere, stronca sempretentativi mafiosi o richieste di tangenti. E poi,assiste anche i carcerati italiani nelle prigioni diSing-Sing, Chicago, New Orleans; visita i mina-tori nelle profondità delle miniere di Scranton eDenver.Per altre fondazioni in Europa, Inghilterra, Fran-cia, Spagna, varca 24 volte l’oceano che chiama“la strada dell’orto della sua casa di Sant’Angelo”.Il 17 ottobre del 1892 fonda per gli italiani ilprimo dei suoi famosi Columbus Hospital a NewYork. Muore nel suo Columbus Hospital di Chi-cago nel 1917.Fu beatificata il 13 novembre 1938 da Pio XI(che l’aveva conosciuta a Milano) e canonizzatada Pio XII il 7 luglio 1946. È la prima Santa degliStati Uniti. Ed è una immigrata italiana. Nel 1950fu proclamata “patrona di tutti i migranti”. ■

Il mondo dell’emigrazione italiana ha ormai più di unsecolo e mezzo. Oggi tutto è cambiato con gli italianiall’estero. Sono comunità adulte, sono soggetti politiciche stanno crescendo in consapevolezza e contano 18Parlamentari Italiani espressi nella Circoscrizione Estero.La Fondazione Migrantes ha presentato l’VIII edizionedel “Rapporto Italiani nel Mondo”, perché sia unostrumento di lavoro che tolga dall’invisibilità gli italianinel mondo. Oggi ci sono oltre quattro milioni di

Italiani nel mondo

cittadini italiani che vivono all’estero e oltre 60 milionidi oriundi. La Chiesa italiana ha una lunga storia di im-pegno a favore della diaspora italiana. Attualmentenel mondo sono circa 400 le Missioni cattoliche italiane(Mci), con oltre seicento operatori specificatamente inservizio per gli italiani (laici/laiche consacrati e non, sa-cerdoti diocesani e religiosi, suore, sacerdoti in pensione)in 41 nazioni nei cinque Continenti.

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Le Missioni Cattoliche di Lingua Italiana(MCLI) in Svizzera, dopo una lunga storiache abbraccia più di 100 anni, attraversano

una fase di rapidi cambiamenti, che d'altra parteriguardano tutta la pastorale e le strutture dellaChiesa locale. In questo contesto è di fondamen-tale importanza la formazione continua deglioperatori pastorali, affinché, tenendo conto delcammino compiuto finora, siano preparati adaffrontare in modo propositivo le nuove sfidedell'annuncio del Vangelo in campo migratorioin un contesto profondamente mutato.Con questo obiettivo si è svolto a Engelberg dal21 al 24 ottobre l'annuale corso di aggiornamentoper operatori pastorali delle MCLI, che ha radu-nato sessanta partecipanti: sacerdoti, religiose,laici e laiche, impegnati presso le comunitàitaliane nelle diverse diocesi elvetiche. Il temascelto era “Concilio Vaticano II e pastorale mi-

gratoria. Nuove piste pastorali a partire dall'ec-clesiologia di comunione”.Il Coordinatore delle MCLI in Svizzera, donCarlo De Stasio, ha aperto il convegno presen-tando una panoramica sull'evoluzione della pa-storale in lingua italiana nelle diverse diocesi. Idue principali relatori sono stati p. Aldo Skoda,missionario scalabriniano vice-preside dello Sca-labrini International Migration Institute a Roma, emons. Gian Carlo Perego, Direttore generaledella Fondazione Migrantes. Nella sua relazionep. Skoda è partito proprio considerando i nuovisviluppi in atto. Prima di tutto è il fenomenomigratorio ad essere in continua evoluzione e arichiedere sempre nuovi approfondimenti siadal punto di vista sociologico che teologico.Questo riguarda anche le comunità italiane inSvizzera, in cui alle generazioni ormai stabilitesida tempo in questo paese si sovrappongono ora

Nuove piste pastoraliCorso di aggiornamento per operatori pastorali delle MCLI in SvizzeraLuisa Deponti

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i nuovi arrivi dall'Italia. Inoltre, tra gli operatoripastorali si sta verificando un cambiamento ge-nerazionale, ma anche di formazione, esperienzae mentalità. Negli ultimi anni vi sono stati nu-merosi avvicendamenti soprattutto tra i missionari,con l’assunzione di nuovi sacerdoti sia italianiche di altra nazionalità. Emerge, poi, la presenzadi operatori e operatrici pastorali laici, formatiteologicamente o nelle università italiane o inquelle svizzere. Di fondamentale importanza èil crescente inserimento della pastorale migratorianella pastorale ordinaria delle diocesi svizzere,che chiedono quindi agli operatori pastorali inemigrazione così come alle comunità di altralingua una più forte collaborazione ed una pro-gressiva inserzione nelle strutture locali. Con esse,d'altra parte, si condivide la difficile congiunturasociale e religiosa, in cui è entrato in crisi il mododi vivere il cristianesimo finora conosciuto in Eu-ropa. P. Skoda, quindi, sottolineava l'importanza,per non subire un decorso destabilizzante, di an-ticipare il futuro: un futuro progettato, desideratoe attuato congiuntamente. Parole chiave sono in-contro, conoscenza reciproca, partecipazione edialogo. A questo proposito, risulta fruttuoso ilconcetto, sorto nella riflessione teologica tedescanella fase post-conciliare degli anni ‘70, di “co-munità che apprende”, indicando con ciò unprocesso di apprendimento ecumenico in sensoallargato, che comprende anche l'apprendimentointerculturale ed ha al suo centro l’incontro. Ciòsignifica permettere ad altri di partecipare allaprassi della propria vita e della propria fede e nelpartecipare alla prassi della vita e della fede dialtri, intrecciare il proprio oikos (casa) con l’oikumeneche abbraccia il mondo. Ma questo metodo di dialogo comporta alcunipassi intermedi: la ricerca di un alfabeto comune,l'uguaglianza di diritti e doveri di tutti i parteci-panti, un processo di reciproca intesa e di comuneprogresso, dove non vi sia parallelismo o decisioniunilaterali, ma in cui l’obiettivo raggiunto vengavisto come un cammino condiviso. L’ampia re-lazione di P. Skoda ha illustrato l’ecclesiologiasorta dal Concilio Vaticano II e le sue ricadutesulla pastorale migratoria proponendo delle pisteconcrete in vista di una pastorale integrale, cioèrispettosa dell'uomo nella sua interezza, e inte-grata, che né annulla le differenze per creareuniformità, né le esaspera fino a renderle inco-

municabili tra loro, ma tende alla costruzionedi luoghi e di comunità dove le differenze arric-chiscono e sono parte attiva nella costruzionedelle comunità. Formazione, cooperazione, co-municazione e progettazione sono i termini diquesto agire pastorale. Nei lavori di gruppo ipartecipanti hanno potuto riferirsi a queste parolechiave per compiere una verifica della loro attivitàpastorale sia all'interno delle comunità sia nelrapporto con le altre componenti della chiesalocale considerando le buone pratiche già con-solidate e riflettendo su nuovi percorsi possibili.Mons. Gian Carlo Perego ha arricchito il Convegnocon la sua relazione dal titolo: "Le migrazioninella Gaudium et Spes: l'attualità di un Magistero",evidenziando in questo documento riflessioniinerenti al fenomeno migratorio, visto nel suocomplesso intreccio con le evoluzioni e le pro-blematiche sociali, culturali, religiose del mondoglobalizzato. Centralità della persona, storia comeluogo teologico, lettura dei segni dei tempi,dialogo Chiesa/mondo, nuovi stili di vita, pace,mondialità, cooperazione internazionale, desti-nazione universale dei beni della terra sono tuttitemi della Gaudium et Spes che rimangono digrande attualità e che danno chiavi di lettura fon-damentali anche per l'impegno della Chiesa nel-l'ambito delle migrazioni.Nelle conclusioni del Convegno è emerso che,nella varietà di forme in cui si sta evolvendo lapastorale in lingua italiana in Svizzera, centralepiù che le strutture è la persona dell'operatorepastorale, chiamato ad essere per primo dispo-nibile, nonostante le difficoltà, ad una conversioneverso la collaborazione e il dialogo a livellolocale e dotato di competenze specifiche per fa-vorire nella Chiesa l’accoglienza dei migranti ela comunione tra le diversità. ■

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Catechismo “in campo”Una esperienza a Carpi

Nei mesi scorsi si è concluso l’anno di cate-chismo presso il Campo Nomadi di Carpi,sotto l’impulso della Commissione dioce-

sana Migrantes, in comunione con il Vescovo,che si è tenuto settimanalmente. L’iniziativa si è rivolta ai numerosi ragazzi presentinel campo, in vista della preparazione neiprossimi anni ai sacramenti della Comunione edella Cresima. Per quanto riguarda il Battesimo,i bambini risultano tutti già battezzati da neonati,grazie soprattutto, all’impegno degli scorsi anni

del direttore della Commissione, il diacono Ste-fano Croci, che da tempo ha avviato un dialogocon le diverse famiglie presenti nel campo. La risposta all’iniziativa del catechismo è statamolto positiva sia da parte dei bambini chedelle famiglie. Gli educatori sono stati sempreaccolti in un clima di attesa, attenzione e festa. Iragazzi si sono mostrati molto ricettivi ai messaggiproposti. Sono state presentate dai diversi catechistile verità fondamentali della nostra fede. Ovvia-mente si è tenuto conto dell’età dei partecipanti,

1 ROM E SINTI 1

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I Rom e i Sinti che si trovano inItalia non sono censiti “etnica-mente”, perciò i numeri che vengonoabitualmente riportati riguardano i censi-menti degli abitanti dei campi nomadi e le stimesono approssimative. Quando perciò si dice: sono circa 50.000 i rom stra-nieri e 100.000 i rom italiani, non si consideranocoloro che, stranieri o italiani, sono sparsi sul terri-torio, inseriti nei paesi o nelle città in abitazioni co-muni. Perseguire la giustizia accanto a rom e sintisignifica perciò riconoscere loro il diritto di esserecome gli altri fra gli altri, sia dal punto di vista am-ministrativo che dell’accoglienza nella comunitàecclesiale. La maggior parte dei rom italiani sono

cattolici, ma anche gli stranieri, in genere mu-sulmani e ortodossi, arrivano alle soglie delle

nostre chiese.Gli operatori pastorali della Fondazione Migrantescercano di compiere con queste persone un comunecammino di fede, di arricchirsi della diversità, di av-vertire in loro un sentire diverso da quello che glialtri gli attribuiscono, di creare occasione di incontro.Attualmente sono circa 20 i singoli (sacerdoti, reli-giosi/e o laici) che a tempo pieno si occupano, oche vivono all’interno di accampamenti insieme aiRom o ai Sinti. Periodicamente durante l’anno cen-tinaia di Operatori pastorali si incontrano a livellodi zone geografiche per discutere ed esaminare levarie problematiche del settore presenti nelle zonedi appartenenza.

Rom e Sinti

e perciò tali principi sono stati presentati secondomodalità adatte. In particolare, si è fatto ricorsospesso al gioco, al disegno e al racconto. In occasione di alcuni momenti speciali, ci sonostate iniziative particolari come la partecipazionedei ragazzi alla messa in San Niccolò il giornodell'Immacolata, la messa di Natale celebrata nel

campo grazie alla disponibilità di padre Ivano,la visita per Pasqua di don Francesco Cavazzuticon la sua profonda testimonianza di vita. Graziealla disponibilità di ulteriori volontari, siamoriusciti a garantire una qualche presenza anchenel periodo estivo. Al momento il catechismo èripreso regolarmente ogni settimana. ■

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1 GENTE DELLO SPETTACOLO VIAGGIANTE 1

La famiglia CavedoUna famiglia itinerante che ha contribuito alla cultura circenseGiancarlo Cavedo

Èaccattivante la ricerca delle proprie radici, emi diverte moltissimo frugare negli angolidella memoria, fatti vissuti in prima persona,

o sentiti raccontare da parenti, amici o compagnidi viaggio.Devo iniziare da Pasqua Massari (1834) figlia diAndrea Massari e Anna Minghini (1816) di Ar-genta (FE). Voci di popolo dicevano fosse unabellissima zingara di etnia Sinti; altre invecefosse figlia di un nobile nata fuori dal matrimonio.Seguendo le tracce lasciate, confermo senza alcundubbio, che era una “Sinta” bellissima. Pasqua Massari, era specializzata nel ”durcarel”,ossia la “lettura della mano”. È a Massa Lombarda(BO) che incontra un seminarista (virtuoso suo-natore d’organo) che, mentre si esercitava inchiesa, venne sviato dall’approccio della affasci-nante zingara che nel frattempo gli aveva afferratola mano sinistra, quella del cuore per leggerne ilfuturo. Don Enrico, così lo chiamavano in paeserimase sorpreso e ammirato da tanta impudenza. Succedeva, che fra una lettura di mano e l’altra,scoccasse la fatal scintilla del desiderio. DonEnrico Orfei (1822), seminarista già vestito daprete, originario di Massa Lombarda, venne atrovarsi di fronte ad un dilemma non facile darisolvere.Siccome la fede religiosa in lui faceva acqua datutte le parti, decise che la strada del desideriofosse più piacevole, convissero e seguì Pasquanel suo nomade mondo.La loro relazione durò il tempo necessario permettere al mondo un figlio, chiamato Ferdinando

(1862). Il bambino riconosciuto dal padre, preseil nome Orfei. Nello stesso tempo però, Enricoabbandonò il figlio e la sua compagna Pasqua,per sposare una donna di Massa Lombarda chegli darà quattro figli. La storia non eclatante delcapostipite che diede vita agli Orfei circensi, finivacosì e inizia l’avventura di Ferdinando Orfei.Per alcuni anni Pasqua fu inconsolabile. Avevaun figlio da crescere, e senza un uomo che laaiutasse, e che si prendesse cura di lei e di suo fi-glio, l’esistenza diventava sempre più difficile. Fu così, che un vedovo con due figlie di nome“Murga” (1860) e “Veca” (1864) si facesse avanti. Era uno Zingaro “Sinti”, Eugenio Torri “Nuto”(1830), un bell’uomo robusto che s’invaghì diPasqua, e le propose una vita assieme creandouna nuova famiglia. Si misero assieme nel 1869 e nel 1871 nacque As-sunta Torri, la futura “Saltarin”, che si trovò sorellada parte di madre di Ferdinando Orfei, e sorellada parte di padre di “Murga” e “Veca” Torri.La nuova famiglia, arricchendosi di quest’ultimoelemento, era così composta: Pasqua Massari conil figlio Ferdinando Orfei, Eugenio Torri “Nuto”,con le due figlie; “Murga” Torri e Maria Torri“Veca”, avute dalla precedente unione, infine As-sunta Torri “Saltarin”, figlia di Pasqua e di EugenioTorri “Nuto“. Va ricordato che al seguito del“Nuto” agivano anche tre uomini, Nonino, Seve-rino, Pralin. Purtroppo non mi è stato possibilesapere se fossero familiari o semplici appartenential suo gruppo di saltimbanchi che si esibiva nellepiazze, nelle fiere e nelle sagre paesane.

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Far crescere e far viverela Chiesa in questa realtà"mobile" (il Circo e ilLuna Park, artisti di stra-da,   ecc.) che non ha lapossibilità di contatticontinuativi con le par-rocchie e, al tempo stesso,aiutare le parrocchie a sentireanche una comunità o famigliaper breve tempo sul suo territorio un tassellovivo della propria comunità sono le particolariattenzioni pastorali della Fondazione Migran-tes.  L’obiettivo è di formare gli adulti delle fa-miglie dello spettacolo viaggiante ad essere lorostessi evangelizzatori della loro gente, protago-nisti della pastorale nel loro ambiente, aiutatida operatori pastorali delle nostre parrocchie.La pastorale nei Circhi e nei Luna Park e nellealtre realtà dello spettacolo popolare coglie fa-miglie in costante mobilità e per di più con una“cultura”, un modo di vita con aspetti originali.La Migrantes cerca di coinvolgere le diocesi e leparrocchie in questa pastorale che comprendeaccoglienza, assistenza, testimonianza, evange-lizzazione, con riferimento ai Sacramenti. Ognidiocesi è chiamata ad esprimere la propria at-tenzione pastorale specifica verso gli operatoridello spettacolo popolare con una o più persone(sacerdoti, laici, consacrati, diaconi) che lavoranonelle parrocchie e fanno riferimento alla Mi-grantes per questa ‘specifica’ azione pastorale.

Gente dellospettacolo viaggiante

La data del 1864 indica l’inizio dell’avventura nelmondo circense dei Cavedo con la nascita di Luigiil ”Gadje” cremonese.I due cognati, Luigi Cavedo e Ferdinando Orfei,avevano risolto il problema del personale e dellamano d’opera, mettendo al mondo diciassettefigli in due. Queste due famiglie segnano l’iniziodi una nuova avventura distaccandosi gradualmentedal mondo zingaresco, per entrare indiscutibilmentein quello artistico, quello che “Nuto” già pratica-va… Che bello !!!! Che emozioni !!!!! ■

(Questa breve descrizione sulla famiglia circenseCavedo è tratta dal libro che a breve sarà pubblicatoscritto da Cavedo Giancarlo)

Questo gruppo era composto da musicanti,fachiri, prestigiatori, contorsionisti, acrobati sal-tatori, giocolieri.Anche “Nuto” aveva la musica nel sangue. Suonavail violino con destrezza. I vecchi dicevano chefosse un formidabile virtuoso.Poi successe che “ Veca” Torri e Ferdinando Orfeiraggiunta la maturità, si ricordassero di nonessere fratelli di sangue.Iniziano una relazione appassionata creandouna famiglia nel 1881, nascono sei figli: EnricoOrfei (1883), Orfeo Orfei (1885), Paolo Orfei(1889), Giovanna Orfei (1891), Vittoria Orfei(1893), Cecilia Orfei (1895).La data del 1862 indica l’inizio della dinastia cir-cense degli Orfei con la nascita di Ferdinando.Sempre nel 1881, il diciasettenne“ Gadje” (il nonzingaro) Luigi Cavedo(1864) di Ossolaro (CR)trova lavoro nella compagnia di saltimbanchi.Apprende dagli artisti di “Nuto” i giochi diprestigio, diventando anche un ottimo illusionista. Trascorsero cinque anni e si ritrova innamoratodella quindicenne Assunta, un amore pienamentecondiviso. Da questa indovinata coppia nasconoundici figli; Giovanni Cavedo alias Primo Bonora(1889), “Cinquetta” Natalina Cavedo (1891), “Ta-marot” Ines Cavedo (1893), Sante Cavedo (1897),Ida Cavedo (1899), Irene Cavedo (1901), “Toto”Odone Cavedo (1903), Menotti Mario Cavedo(1905), Cesare Enrico Cavedo (1910), Bruna Io-landa Cavedo (1912) “Trieste” Italo Cavedo (1915).

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DOMANDE E RISPOSTESULLE OFFERTE INSIEME AI SACERDOTICHI PUÒ DONARE L’OFFERTA PER I SACERDOTI?Ognuno di noi. Per se stesso, ma anche a nome della famiglia o di ungruppo parrocchiale. Importante è che il nome del donatore corri-sponda ad una persona fisica.

COME POSSO DONARE?� Con conto corrente postale n. 57803009 intestato a “Istituto cen-

trale sostentamento clero - Erogazioni liberali, via Aurelia 796 00165Roma”

� Con uno dei conti correnti bancari dedicati alle Offerte, indicati sulsito www.insiemeaisacerdoti.it

� Con un contributo diretto all’Istituto sostentamento clero dellatua diocesi. La lista degli IDSC è su www.insiemeaisacerdoti.it

� Con carta di credito CartaSì, chiamando ilnumero verde CartaSì 800-825 000 o donando on line suwww.insiemeaisacerdoti.it

DOVE VANNO LE OFFERTE DONATE?All’Istituto Centrale Sostentamento Clero, a Roma. Che le distribuisceequamente tra i circa 37 mila preti diocesani. Assicura così una remu-nerazione mensile tra 883 euro netti al mese per un sacerdote appe-na ordinato, e 1.380 euro per un vescovo ai limiti della pensione. LeOfferte sostengono anche circa 3 mila preti ormai anziani o malati,dopo una vita intera a servizio del Vangelo e del prossimo. E 600 mis-sionari nel Terzo mondo.

PERCHÉ OGNI PARROCCHIA NON PUÒ PROVVEDERE DA SOLA ALSUO PRETE?L’Offerta è nata come strumento di comunione tra sacerdoti e fedeli,e delle parrocchie tra loro. Per dare alle comunità più piccole gli stes-si mezzi di quelle più popolose, nel quadro della “Chiesa-comunione”delineata dal Concilio Vaticano II.

CHE DIFFERENZA C’È TRA OFFERTE PER I SACERDOTI E L’OBOLO RACCOLTO DURANTE LA MESSA?È diversa la destinazione. Ogni parrocchia infatti dà il suo contributo alparroco. Che può trattenere dalla cassa parrocchiale una piccola cifra(quota capitaria) per il suo sostentamento. È pari a 0,0723 euro almese per abitante. E nella maggior parte delle parrocchie italiane, checontano meno di 5 mila abitanti, ai parroci mancherebbe il necessario.Le Offerte e l’8xmille vengono allora in aiuto alla quota capitaria.

PERCHÉ DONARE L’OFFERTA SE C’È GIÀ L’8XMILLE?Offerte e 8xmille sono nati insieme. Nel 1984, con l’applicazione degliaccordi di revisione del Concordato. L’8xmille oggi è uno strumentoben noto, e non costa nulla in più ai fedeli.Le Offerte invece sono un passo ulteriore nella partecipazione: com-portano un piccolo esborso in più ma indicano una scelta di vitaecclesiale. Tuttora l’Offerta copre circa il 3% del fabbisogno, e dunqueper remunerare i nostri sacerdoti bisogna ancora far riferimentoall'8xmille. Ma vale la pena far conoscere le Offerte perché questodono indica una scelta consapevole di vita ecclesiale. E raggiungeanche i sacerdoti di parrocchie piccole e lontane.

PERCHÉ SI CHIAMANO ANCHE “OFFERTE DEDUCIBILI”?Perché si possono dedurre dal reddito imponibile nella dichiarazionedei redditi fino a un massimo di 1.032,91 euro l’anno.

I SACERDOTI FANNO TANTO PER TUTTI NOI. Con un’Offerta possiamo ringraziarli tutti.

ESISTONO REALTÀ IN CUI I SACERDOTISONO L'UNICA LUCE.AIUTALI A TENERLAACCESA.A difesa delle creature, di terra e acqua,dono di Dio. Don Maurizio Patriciello,parroco di San Paolo apostolo aCaivano, è oggi voce di tanti senza vocenella Terra dei fuochi. Un’area di duemilioni di abitanti tra le province diNapoli e Caserta, dove da anni brucia-no senza sosta roghi tossici, controllatidalla camorra. Un business senza fine,alimentato dallo smaltimento illegale dirifiuti tossici da parte di imprese di tuttaItalia, nel silenzio di amministratori epolitici corrotti o collusi con i clan.“L’anticamera dell’inferno” l’ha definitaun comandante del Corpo Forestale.Oggi la mortalità sul territorio è doppiarispetto al resto del Paese. Non c’è

ormai una famiglia che non conti uno odue vittime. Hanno dai 9 ai 55 anni inomi di quelli che don Maurizio ricordanelle celebrazioni. “La terra avvelenata e tradita avvelena etradisce l’uomo - dice il sacerdote - oggii rifiuti vengono sia interrati, sia bruciatiper non lasciare tracce”. In Italia, tra dif-fuse violazioni ambientali e cambia-menti climatici, sono sempre più nume-rosi i preti diocesani che si dedicano aquesta nuova evangelizzazione, attra-verso la custodia del creato. Perchédalla salvaguardia del patrimonio natu-rale dipendiamo per la salute e la vita.Don Patriciello non è solo. L’interaChiesa è con lui. Dai vescovi e parrocicampani a tutti i fedeli italiani chesostengono la sua missione, ancheattraverso le Offerte per il sostentamen-to. Segno di vicinanza e corresponsabili-tà verso i nostri preti diocesani, che sifanno pane spezzato nell’annuncio delVangelo e nel servizio ai più deboli.

VICINO AI SACERDOTI,VICINO AL CUOREDELLA CHIESA.Ognuno di noi è parte della Chiesa. LaChiesa è cosa mia, io le appartengo elei mi appartiene. Se credo in GesùCristo, se ho questa speranza dentro ilcuore, e non la disperazione, è meritosuo, è della Chiesa che mi ha accolto.Perciò mi sento responsabile: toccaanche a me contribuire perché que-sta Chiesa possa accogliere tanti altricome me. Al cuore di tutto l’Eucarestia. E con Essai sacerdoti. Vicini. E lontani, lontanissi-mi, che mai vedrò ma che esistono ehanno bisogno di me, perché io appar-tengo a loro e loro a me. Don Donato, a Roma è parroco di unadelle 26.000 parrocchie italiane, e faparte della Chiesa. Così come anchedon Luigi a Rimini, don Giancarlo aLamezia Terme, don Antonio a Napolie via via, insieme a tutti i 37.000 sacer-doti diocesani, compresi quelli anzianie malati. Tutti sono nel cuore dellanostra Chiesa.

La responsabilità di provvedere econo-micamente al loro sostentamento tornasu ogni fedele, proprio come un tempo,alle origini, quando tutto cominciò.Questione di “dovere” penserà qualcu-no. Giusto. Prima ancora è questionedi “fede” e di “affetto”, che dannosenso al dovere.Innanzitutto c’è questo pensiero. Alloral’offerta, destinata esclusivamente alloro sostentamento, smette di essereun semplice esborso di denaro e diven-ta un gesto di comunione. Questo ilsenso della Giornata Nazionale che sicelebra il 24 novembre.Comunione e libertà di donare. Iltempo donato è un gesto d’amoreimportante, verso il prossimo e versoDio. E il Signore ama chi dona e chi “si”dona con gioia. Siamo liberi di donaretempo, sorrisi, confortare e aiutare. Eliberi di sostenere economicamente laChiesa anche tramite una piccolaofferta destinata non solo al nostroparroco, ma a ogni “don” che si èofferto di servire Gesù e la Chiesa attra-verso un “sì” alla Sua chiamata.

Maria Grazia Bambino

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STRUTTURE A LIVELLO NAZIONALE

COMMISSIONE EPISCOPALE PER LE MIGRAZIONI (CEMi)00165 Roma – Circonvallazione Aurelia, 50 – Tel. 06.663981

Presidente : S.E. Mons. Francesco MONTENEGRO Membri:

S.E. Mons. Giuseppe ANDRICH (Vescovo di Belluno-Feltre);S.E.

Mons. Lino Bortolo BELOTTI (Vescovo già ausiliare di Bergamo);

S.E. Mons. Guerino DI TORA (Vescovo ausiliare di Roma);S.E. Mons. Salvatore LIGORIO (Vescovo di Matera-Irsina);

S.E. Mons. Domenico MOGAVERO (Vescovo di Mazara del Vallo);

S.E.

Mons.

Franco

AGOSTINELLI (Vescovo

di

Grosseto);

FONDAZIONE “MIGRANTES”00165 Roma - Via Aurelia, 796 - Tel. 06.6617901 - Fax 06.66179070-71

[email protected] - www.migrantes.it oppure: www.chiesacattolica.it (cliccare Migrantes)

Presidente : S.E. Mons. Francesco MONTENEGRO

Direttore Generale: Mons. Giancarlo PEREGOTel. 06.66179020-30 segr. - [email protected]

Tesoriere: Dott. Giuseppe CALCAGNO

Consiglio di Amministrazione:Presidente : S.E. Mons. Francesco MONTENEGRO;

Consiglieri: P. Tobia BASSANELLI SCJ;Dott. Antonio BUCCIONI;

Don Giovanni DE ROBERTIS;Mons. Pierpaolo FELICOLO;Mons. Luigi FILIPPUCCI;

Mons. Anton LUCACI

UFFICI NAZIONALI:

Pastorale per gli emigrati italiani:Tel. Segreteria: 06.66179035

[email protected]

Pastorale per gli immigratiPastorale per i richiedenti asilo,

rifugiati e profughi:Tel. Segreteria 06.66179034

[email protected]

Pastorale per la gente dellospettacolo viaggiante:

Tel. Segreteria [email protected]

Pastorale per i Rom, Sinti e nomadi:Tel. Segreteria: 06.66179033

[email protected]

Incaricata USMI-Migrantes per le religioseimpegnate nei vari settori o ambiti della mobilità:

Sr. Etra MODICAVia Zanardelli, 32 - 00186 Roma

Tel. [email protected]

S.E. Mons. Paolo SCHIAVON (Vescovo ausiliare di Roma)

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PROGETTIMIGRANTESLiturgia, cultura, integrazione e carità

Tra il 2011 e il 2013 oltre 100 progetti diocesani a favore di chi è in “cammino”

In questi anni la Migrantes ha finanziato molte borse di studio per studenti universitari e operatori pastorali. Nel corso del 2013 sonostate assegnate dieci borse di studio per studenti del Camerun, Albania, Costa D'Avorio, Romania, Senegal...). In ricordo del vescovoPresidente Bruno Schettino, scomparso improvvisamente, la Migrantes ha attivato una nuova borsa di studio per uno studenteuniversitario africano presente in Italia.

Budget progetto 2014: 50.000 euro

Progetto Borse di studio Migrantes

Nel 2010 la Migrantes ha costituito un fondo di aiuto per il rimpatrio salme, di cui hanno beneficiato finora oltre 150 persone. Nel2013 sono state 45, di 16 Paesi, le salme per le quali la Migrantes ha dato un contributo per il rimpatrio.La morte improvvisa o per violenza di alcuni stranieri che sono soli in Italia pone il problema dell’informazione delle famiglied’origine e spesso dell’aiuto, soprattutto per gli stranieri che compiono lavori occasionali o sono irregolari sul territorio, per ilrimpatrio delle salme, o per una sepoltura in Italia.Nei nostri cimiteri delle aree metropolitane è ormai abitudine che per mesi rimangano all’obitorio decine di salme di personestraniere, senza che nessuno si occupi del rimpatrio. Inoltre, in questi ultimi anni le richieste più frequenti sono venute dallaRomania, dall'Ucraina, Romania, Sri Lanka, India, Filippine ed Albania. Per questo motivo, soprattutto per aiutare i 750 centripastorali per i migranti e le Migrantes diocesane presenti in Italia e che spesso raccolgono le richieste, ma anche le Migrantes didiocesi più piccole, che faticano a disporre la somma complessiva per i rimpatri, si è ritenuto utile costituire un fondo presso laFondazione Migrantes nazionale per i rimpatri delle salme di immigrati in Italia.

Budget progetto 2014: 50.000 euro

Il progetto scuola riguarda i figli della gente dello spettacolo viaggiante e si è sviluppato in questi anni in diverse regioni del Norde Centro Italia. In Veneto, Lombardia, Emilia Romagna, Toscana e Liguria nel corso dell’anno 2011 sono stati distribuiti materialedidattico, Il Libro dei Saperi, consegnati personalmente ai ragazzi e alle famiglie. Sono stati seguiti 200 ragazzi nel doposcuolaguidandoli nelle varie città.

Budget progetto 2014: 45.000 euro

Oppure tramite Conto corrente postale intestato a:

MIGRANTES - U.C.E.I.Via Aurelia 796 00165 ROMAN. Conto: 000026798009CIN: X - ABI: 07601 - CAB: 03200 IBAN: IT87 X076 0103 2000 0002 6798 009

Causale: specificare il progetto

CHI VOLESSE CONTRIBUIRE AI PROGETTI MIGRANTES

Progetto rimpatrio delle salme di persone immigrate in Italia (Roma)

Cultura e scuola studenti delle famiglie dello spettacolo viaggiante (Lombardia, Triveneto, Emilia Romagna, Toscana, Liguria)

È possibile contribuire ai progetti Migrantes attraverso un bonifico a:

FONDAZIONE MIGRANTES C/O BANCA PROSSIMA S.p.APresso Filiale n.5000 – MilanoABI: 03359 CAB: 01600 CIN: I C/C: 100000010331IBAN: IT 87 I 03359 01600 100000010331

Bonifici anche on line sul sito www.migrantes.it