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TIROCINIO FORMATIVO ATTIVOClasse di abilitazione A043 Tirocinante: Giuseppe Capone
INDICE
INTRODUZIONE pag. 2
INSEGNANTI SI DIVENTA: IL TIROCINIO » 5
COME ITINERARIO DI RIFLESSIONE
1.1 Un tirocinante entra a scuola: la lettura del POF » 6
1.2 Descrizione della classe e dell'attività didattica del tutor » 20
1.3 Insegnare prima d'insegnare: » 30
l'esperienza di tirocinio fra osservazione e attuazione
CONCLUSIONI » 37
APPENDICE » 40
Relazione di Tirocinio
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TIROCINIO FORMATIVO ATTIVOClasse di abilitazione A043 Tirocinante: Giuseppe Capone
INTRODUZIONE
«Il Tirocinio Formativo Attivo (TFA) è un corso abilitante all’ insegnamento
istituito dalle Università. […] Il Tirocinio Formativo Attivo consiste di tre gruppi di
attività:
1) insegnamenti di materie psico-pedagogiche e di scienze dell’educazione;
2) un tirocinio svolto a scuola sotto la guida di un insegnante tutor,
comprendente una fase osservativa e una fase di insegnamento attivo;
3) insegnamenti di didattiche disciplinari che vengono svolti in un contesto di
laboratorio mirante a stabilire una stretta relazione tra l’approccio disciplinare e
l’approccio didattico»1.
Ho voluto riportare le attività messe in moto all’interno dei corsi abilitanti per
analizzare il cuore della formazione docente; attività che si articolano sia attraverso
una dimensione teorica che comprende l’insegnamento di discipline scientifiche
finalizzate all’azione didattica, sia attraverso una dimensione pratica da svolgere a
scuola sotto la guida di un docente dell’istituto. D’altra parte già all’interno del
decreto il termine “tirocinio” viene affiancato dagli aggettivi “formativo” e “attivo”,
quasi a voler esplicitare la complementarietà delle due fasi, di concettualizzazione e
di esecuzione, per andare oltre la semplice pratica imitativa delle competenze
mostrate da un tutor, la cui funzione si limiterebbe, altrimenti, a un semplice modello
da introiettare da parte dell’aspirante docente.
Andando alla ricerca dell’etimologia del termine “tirocinio” mi sono ritrovato
catapultato nel mondo romano: «i romani dissero tirones i giovani soldati che
facevano la prima campagna o i giovanetti appena avevano indossato la toga virile (o
libera), il che avveniva al diciassettesimo anno con grande solennità e tra il giubilo
dei parenti: tale voce secondo alcuni deriva dal gr. tero o tereo, guardo, tutelo,
prendo in cura, in quanto che i giovani Tironi dovevano frequentare per un anno il
1 http://www.tirocinioformativoattivo.com/
Relazione di Tirocinio
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Campo di Marte ove si facevano esercizi militari e ginnastici, e altri luoghi pubblici,
onde stare sotto gli occhi e quasi sotto la tutela, la protezione, la custodia del popolo,
il quale così, durante l’anno di prova, che si disse tirocinium, aveva l’agio di vegliare
su lui ed osservare le sue attitudini e la sua condotta per potere un giorno con fondata
cognizione concedergli o negargli i propri suffragi, quando il giovanetto fatto adulto
avesse concorso ai pubblici uffici. Ma pare, invece, che essa tenga dal latino terere
(gr. teirein) drusciare, fregare onde il senso di fare frequentemente una cosa, usare
spesso, esercitarsi»2.
Riflettendo su questa etimologia, e sul significato del verbo terere, si può
ipotizzare che l’esercizio cui erano sottoposti i giovani soldati andasse al di là della
prima prova d’armi e che presupponesse una dimensione di concettualizzazione che
li rendesse adeguati all’uso di quegli strumenti, senza che la loro attività si limitasse
alla mera ripetizione dei compiti pratici. Solitamente, lo scopo principale del
tirocinio è quello di apprendere dall’esperienza pratica, da situazioni operative simili
a quelle in cui la professione verrà esercitata, attraverso l’affiancamento di
professionalità esperte, che fungono così da modello per il tirocinante. Dall’analisi
della definizione etimologica del termine emerge, invece, una dimensione avanzata
del tirocinio, che rappresenta il cuore di una formazione attraverso la quale
l’individuo verifica e mette in pratica strumenti concettuali.
Da tutto ciò deriva il significato dell’organizzazione di questi nuovi corsi
abilitanti che prevedono un’integrazione fra le scienze dell’educazione e le discipline
didattiche nel progettare certi interventi, certe attività; mentre per professioni
pratiche, infatti, il tirocinio è visto come una sorta di addestramento, in cui il
tirocinante impara semplicemente ripentendo svariate volte un’azione, per
l’insegnante diventa, evidentemente, qualcosa di più complesso: il tirocinio nella
formazione docente svolge una funzione orientativa poiché permette di tradurre in
pratica le conoscenze teoriche acquisite durante il corso di studi e di sviluppare,
attraverso un profondo processo di riflessione, consapevolezza delle proprie abilità,
sia tecniche che relazionali all’interno di una situazione concreta. D’altra parte già
nel 1990 si parlava in questi termini: «la pratica del tirocinio comporta, […], una
2 http://www.etimo.it/?term=tirocinio
Relazione di Tirocinio
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serie di momenti per così dire teorici ed una serie di momenti operativi o pratici. I
primi debbono servire sia a mettere a fuoco le principali questioni che risultano
implicate nel fare scuola quotidiano e quindi ad organizzare il sapere pedagogico
secondo le esigenze che vengono poste dalla situazione scolastica; sia a compiere
tutta una serie di riflessioni e quindi di approfonditi chiarimenti intorno alla realtà
scolastica osservata dal tirocinante o da lui direttamente «agita». I secondi debbono
servire, come già abbiamo detto, a consentire allo stesso tirocinante di entrare «in
presa diretta» con il mondo della scuola. È bene tuttavia sottolineare
l'indispensabilità che questi momenti non vengano organizzati e fatti vivere come
separati e quindi come successivi l'uno all'altro, ma come strettamente correlati tra
loro e dunque come alternantisi secondo una scansione certo non rigidamente data
ma oculatamente programmata»3. Alla luce della mia esperienza (oggetto di questa
relazione), queste parole, ancora oggi, mantengono la loro validità, soprattutto nella
prospettiva di mettere in connessione la fase della riflessione pedagogica e degli
insegnamenti disciplinari svolti secondo un approccio didattico, e la fase del rapporto
diretto con la scuola. A mio parere, infatti, il primo momento “preparatorio” e di
“raccolta” di tutta una serie di conoscenze e relazioni tra pratiche educative e
insegnamenti disciplinari (inseriti sempre in una dimensione didattica) è stato
fondamentale per affrontare nel migliore dei modi la fase di tirocinio diretto svolta a
scuola: l’attivazione, nel contesto universitario, di una profonda riflessione tra
docenti e colleghi di metodologie didattiche applicate a materie come italiano, storia
e geografia, mi ha permesso non solo di rafforzare le conoscenze disciplinari, che
comunque ritengo siano fondamentali nella formazione di un buon docente, ma
anche di orientarmi e capire effettivamente come va agita la professione e di
rendermi conto, in questo modo, se la stessa professione, nella sua realizzazione
pratica, potesse corrispondere alle mie aspettative e ai miei desideri. E i desideri, la
maggior parte delle volte, danno inizio a una ricerca!
3 P. Bertolini, G. Balduzzi, Manuale del docente – Impariamo ad insegnare, Zanichelli, Bologna, 1990, p. 6.
Relazione di Tirocinio
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TIROCINIO FORMATIVO ATTIVOClasse di abilitazione A043 Tirocinante: Giuseppe Capone
1.1 Un tirocinante entra a scuola: la lettura del POF
Relazione di Tirocinio
INSEGNANTI SI DIVENTA: IL TIROCINIO COME ITINERARIO
DI RIFLESSIONE
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TIROCINIO FORMATIVO ATTIVOClasse di abilitazione A043 Tirocinante: Giuseppe Capone
Ho svolto l’attività di tirocinio diretto per la classe di concorso A0/43, come
previsto dal corso di Tirocinio Formativo Attivo, presso l’Istituto Comprensivo “P.
Stomeo – G. Zimbalo” di Lecce. Entrare in un edificio scolastico senza avere
esperienze d’insegnamento pregresse significa, prima di tutto, osservare le istituzioni
scolastiche e venire a contatto con la mission della scuola accogliente; per questo ho
ritenuto essenziale, già dalle prime ore di tirocinio, fare una lettura attenta del POF,
annotarmi le cose essenziali per discuterne in un momento successivo con la mia
tutor per poi passare, così, dalla scuola di “carta”, descritta dal piano, a quella “in
carne ed ossa” fatta da alunni e insegnanti.
Il Piano dell'Offerta formativa rappresenta la mappa fondamentale delle
opportunità e dei servizi che l'istituto intende rendere disponibili: in tale documento,
costitutivo dell’identità culturale e progettuale di tutte le istituzioni scolastiche
(l’autonomia scolastica, in vigore dal 1 settembre 2000, riconosce, infatti, alle
singole istituzioni scolastiche la possibilità di progettare e realizzare un proprio
percorso didattico e organizzativo, essenziale per far conoscere e motivare le scelte
pedagogiche e per rispondere ai bisogni diversificati connessi al contesto in cui la
scuola opera4), sono esplicitate tutte le scelte fondamentali e le caratteristiche che
distinguono l'offerta di formazione; in pratica, una "carta d'identità" presentata
pubblicamente all'utenza e, di conseguenza, esposta anche a osservazioni esterne.
Il POF dell’Istituto Comprensivo “Stomeo Zimbalo” si apre con una sezione
dedicata al contesto territoriale e socio-culturale in cui opera la scuola seguita da una
dettagliata presentazione delle risorse offerte. L’Istituto è situato nel quartiere Stadio,
una zona urbana in espansione che, in questi ultimi anni, ha avuto un notevole
sviluppo edilizio con la creazione di spazi verdi, di piazze, villette e palazzi costruiti
in cooperative. Tale incremento gli ha fatto acquisire una configurazione moderna,
favorendo l’insediamento di uno strato sociale tendenzialmente intermedio, attento
alla qualità della scuola verso la quale nutre buone aspettative, sia sotto l'aspetto
formativo che cognitivo. Tuttavia il quadro socio-economico culturale risulta
4 Cfr. http://archivio.pubblica.istruzione.it/argomenti/autonomia/documenti/legge59.htm
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eterogeneo ed articolato: accanto alle positività, emergono situazioni di disagio di
natura demografica, economica e sociale.
È opportuno subito che io faccia delle considerazioni sull’eterogeneità del
quadro socio-economico, alla luce anche dei molteplici confronti avuti con la mia
tutor, la professoressa Carla Magaraggia, in merito alle situazioni familiari di alcuni
alunni; durante la mia fase osservativa del tirocinio numerose sono state le situazioni
socioculturali svantaggiate di cui sono venuto a conoscenza, con riferimento non solo
alla condizione economica familiare ma anche a fattori come il livello di istruzione
dei genitori, la zona e le condizioni di residenza, la eventuale appartenenza a
minoranze culturali/linguistiche, carenze affettive, assenza di una valida rete di
supporto alla famiglia.
Un alto livello socioculturale può incidere, sicuramente, in vari modi: può
fornire un ambiente più ricco di stimoli e sussidi, con incentivi e impulsi diretti
qualitativamente superiori; c’è una maggiore sensibilità rispetto al processo di
apprendimento, al valore della scuola e all’importanza dell’istruzione, ed è così più
facile che il ragazzo sia motivato ad apprendere e a raggiungere un buon rendimento
scolastico. Gli alunni, invece, che vivono in ambienti socio-culturali svantaggiati
presentano, la maggior parte delle volte, una peculiarità: si mostrano scarsamente
motivati dagli insegnamenti tradizionali. La mia tutor mi faceva notare, per esempio,
come gli allievi appartenenti a strati socio-economici inferiori, siano coscienti dell’
“handicap” rappresentato dalla loro origine e condizione e abbiano la tendenza ad
accettare quello che è il loro status come qualcosa di ineluttabile, vivendo così
l’ambiente scolastico (numerose sono state le manifestazioni che ho potuto
riscontrare in questo senso) con spirito oppositivo e conflittuale, con atteggiamenti di
ribellione, di rifiuto e di sfida. Tutto ciò, rende particolarmente problematica
l’integrazione di tali soggetti nel ritmo dell’apprendimento scolastico e delle pratiche
educative: permane in essi una forte carenza di stimoli e motivazioni determinata
anche dalla presenza di modelli e valori di partenza che non vengono destrutturati e,
magari, sostituiti da quelli nuovi che la scuola offre loro.
L’iniziativa degli insegnanti - e di questo ne è ben consapevole la
professoressa Magaraggia, da anni alle prese con situazioni di questo genere - corre il
Relazione di Tirocinio
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rischio di essere ripetutamente frustata se non viene diretta, prima di tutto, a
stimolare in loro quell’energia positiva che induce a perseguire un determinato
obiettivo. E’ prioritario, pertanto, nell’affrontare la complessità e la delicatezza di
queste problematiche (la Direttiva Ministeriale del 27 dicembre 2012 si rivela, in
questo senso, un documento di particolare interesse che delinea e precisa la strategia
inclusiva della scuola italiana e che si inserisce sul percorso di inclusione scolastica e
di realizzazione del diritto all’apprendimento per tutti gli alunni e gli studenti in
situazione di difficoltà5), sviluppare, da parte dei docenti, idonee strategie di
intervento accompagnate da dinamiche relazionali adeguate che consentano agli
studenti in difficoltà una graduale “riemersione”, aiutandoli in modo significativo
nella ricostruzione della loro personalità accompagnata dall’identificazione di
obiettivi e finalità. E’ una sfida seria ed accattivante che l’Istituto raccoglie con la
consapevolezza che, anche su questo terreno, si gioca la sua credibilità in una società
moderna, solidale ed evoluta.
Continuando nell’analisi del POF, la descrizione delle risorse e dei servizi
offerti è molto puntuale e dettagliata; l’edificio scolastico dispone di importanti
risorse strutturali:
aule video;
laboratori di informatica;
laboratori linguistici;
aule sostegno;
biblioteche;
auditorium;
centro sportivo polifunzionale;
palestre – campetti;
attrezzature sportive;
mensa;
servizio di trasporto scolastico fotocopiatrici- attrezzature per fotografie;
servizi garantiti agli alunni: mensa e servizio di trasporto scolastico.
5 Cfr. Direttiva Ministeriale 27 dicembre 2012 “Strumenti d’intervento per alunni con bisognieducativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica”.
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Tra i sussidi si registrano:
Lavagne luminose, lavagne interattive, proiettori di diapositive, registratori,
macchine fotocopiatrici, telecamera VHS, macchina fotografica digitale e
pianoforti.
Fondamentale è stata la lettura della proposta dei percorsi formativi volti alla
realizzazione del diritto ad apprendere e alla crescita educativa di tutti gli studenti.
L'Istituto Comprensivo, come dichiarato nella premessa del documento, pone al
centro dell'azione formativa l’alunno/a come persona considerata nella sua unicità e
originalità; si caratterizza come un ambiente educativo di apprendimento dove i
docenti lo aiutano a crescere, a maturare progressivamente e a incrementare abilità
affettive, relazionali, sociali e cognitive, per costruire un personale progetto di vita.
L’Istituto si impegna, dunque, per:
nella Scuola dell'Infanzia favorire la conquista dell’autonomia, un primo
livello di competenza e di identità;
nella Scuola primaria promuovere un progressivo, unitario e coordinato
processo di alfabetizzazione culturale per lo sviluppo personale e sociale;
nella Scuola Secondaria di primo grado sviluppare la sistemazione organica
di conoscenze, abilità e competenze degli allievi/e in funzione della
maturazione dell’identità e del proprio progetto di vita.
Dunque, compito della scuola è far si che gli obiettivi educativi e di
apprendimento del processo formativo si trasformino in competenze educative,
culturali e professionali di ciascuno attraverso attività didattiche significative e
coinvolgenti. Il percorso didattico e cognitivo previsto dall’istituto, nasce dalle
“Indicazioni per il Curricolo” ed è contestualizzato nella pratica metodologica in
base alle effettive esigenze del gruppo classe. Tali criteri rappresentano il credo
pedagogico - educativo che la Scuola conosce, nel quale si riconosce, si propone
all'utenza e dal quale si muove per fare le scelte formative e poi didattiche per i
propri alunni, affinché si realizzi ciò che ben riassume la frase di Maria Montessori
“aiutami a fare da solo!”, sunto di tutte le teorie della più alta tradizione
psicopedagogia.
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La comprensività dell’Istituto è caratterizzata dalla continuità culturale e
pedagogica fra i diversi ordini di scuola, dall’attenzione all’alunno come persona,
dall’inclusione secondo le peculiarità di ciascuno, dai percorsi di cittadinanza attiva,
dall’orientamento e dalla comunicazione tra alunni, docenti e famiglie. La scuola
dell’infanzia avvia gli alunni alla conquista dell’autonomia, di un primo livello di
competenza, alla maturazione dell’identità ed allo sviluppo del senso della
cittadinanza. La scuola primaria promuove lo sviluppo personale e sociale attraverso
un progressivo, unitario, coordinato processo di alfabetizzazione culturale degli
alunni. La scuola secondaria di I grado favorisce la sistemazione organica di
conoscenze, abilità e competenze degli alunni in funzione della propria identità e del
proprio progetto di vita.
Il POF, inoltre, per rispondere alle esigenze dell’Istituto Comprensivo, orienta
la propria azione secondo questi principi:
favorire lo star bene a scuola e promuovere il benessere degli alunni;
accompagnare con continuità la crescita degli alunni dall’infanzia
all’adolescenza, seguendoli nel processo evolutivo, attraverso opportunità di
apprendimento “raccordate”;
fare della scuola un ambiente organizzato di apprendimento, privilegiando la
didattica laboratoriale;
favorire percorsi di cittadinanza attiva;
coinvolgere l’alunno nella costruzione di se stesso;
contrastare la dispersione e l’abbandono precoce;
attivare una didattica personalizzata;
garantire una sicura padronanza delle competenze di base;
promuovere la conoscenza e l’uso delle lingue straniere;
sviluppare competenze riferibili alle nuove tecnologie;
rafforzare il senso di identità personale, l’autovalutazione e la capacità
decisionale;
educare alla convivenza democratica;
Relazione di Tirocinio
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promuovere e guidare il processo educativo centrato sull’orientamento per
consentire l’acquisizione delle abilità cognitive, operative e sociali necessarie
per affrontare le tappe successive della propria formazione.
Al fine di individuare i bisogni di apprendimento e delineare i percorsi
formativi individuali e collettivi la scuola è attenta:
alla realtà economica, culturale, sociale, professionale in cui opera;
alle risorse educative ed extrascolastiche che possono essere messe a
disposizione degli alunni;
a potenziare la qualità delle proprie proposte culturali;
a coglier precocemente segnali di disagio psico-affettivo, adottando
all’occorrenza strategie adeguate all’individuazione di percorsi di recupero;
a mettere in atto sinergie e risorse per promuovere negli alunni la cultura
della legalità;
alla necessità di informazione sull’organizzazione scolastica, sulle iniziative,
sui servizi forniti direttamente dalla scuola.
Pertanto l’Istituto, nella prospettiva di “dare senso alla frammentazione del
sapere” si impegna ad attuare la formazione dell’uomo e del cittadino operando per
l’individuazione di una coerenza e consapevolezza dentro la trasmissione delle
competenze, dei saperi e delle abilità. Nello scenario ambivalente della nostra cultura
in cui si moltiplicano sia rischi che opportunità, l’apprendimento scolastico si
caratterizza come una delle principali esperienze di formazione dei bambini e dei
ragazzi. Proprio per questo la scuola non può abdicare al compito di promuovere la
capacità degli studenti di dare senso alla varietà delle loro esperienze: a tal fine si
indicano come linee guida per l’istituzione scolastica:
la centralità della persona;
un rinnovato senso della cittadinanza;
la consapevolezza del duplice scambio tra l‘individuo e l’umanità.
Pertanto, il Collegio dei Docenti, come dichiarato dal documento, per
rispondere alle necessità e agli obiettivi di un istituto comprensivo, ha evidenziato la
necessità di creare un curricolo progressivo, verticale e condiviso, dalla Scuola
Relazione di Tirocinio
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dell’Infanzia alla Scuola Secondaria di Primo Grado, organizzato per la definizione
dei traguardi di sviluppo delle classi in uscita dei tre ordini di scuola.
Per quanto riguarda l’area dell’inclusione l’Istituto promuove la piena
integrazione ed il massimo sviluppo delle potenzialità degli alunni diversamente abili
mediante:
il riconoscimento del diverso come portatore di esigenze specifiche e di
caratteristiche peculiari da capire e da utilizzare;
il coinvolgimento nel processo d’integrazione dell’alunno diversamente abile
di: alunni, docenti, famiglia, personale della scuola, personale socio-sanitario,
enti locali.
Per garantire ad ogni alunno in difficoltà un percorso adeguato e rispettoso
della singola persona, la scuola segue le indicazioni della Legge quadro del 5
febbraio 1992: ad una diagnosi funzionale segue un Profilo Dinamico-Funzionale
finalizzato alla stesura, da parte della scuola, di un Piano Educativo Personalizzato
(PEP) in collaborazione con la famiglia e con gli operatori socio-sanitari. Per favorire
l’integrazione di ciascun alunno, l’ Istituto si avvale, inoltre, di docenti specializzati e
di personale assistente fornito dagli Enti locali. Il PEP, calibrato sulle potenzialità
dell’alunno e integrato con la programmazione di classe, mira a:
promuovere l’inserimento e la socializzazione;
migliorare il grado di autonomia;
aiutare l’alunno a sviluppare la fiducia in se stesso;
far conoscere, comprendere e rispettare semplici norme di convivenza
sociale;
promuovere lo sviluppo delle strumentalità di base;
favorire le specifiche attitudini;
L’integrazione degli alunni extracomunitari viene perseguita attraverso:
valorizzazione delle differenze;
interventi mirati;
occasioni di inserimento nel gruppo classe;
Relazione di Tirocinio
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collaborazione sistematica con la famiglia e con gli operatori dei servizi
territoriali.
Per quanto concerne la parte relativa alle scelte metodologiche la scuola si
propone di attivare le seguenti metodologie:
Metodo della comunicazione: ascolto, dialogo, lettura, input con grafici,
immagini, simulazione, lezioni–stimolo;
Metodo sperimentale – scientifico: osservazione empirica, osservazione
scientifica (raccolta dati, classificazione, confronto, ipotesi, verifica,
valutazione, elaborazione);
Metodo iterativo: imitazione, ripetizione, memorizzazione;
Metodo cooperativo: lavori di gruppo, coppie d’aiuto, tutoraggio;
Metodologie alternative (problem solving, roleplay, ricerca-azione…);
Uso delle nuove tecnologie (strategie innovative e ambienti multimediali,
strumenti indispensabili per facilitare/migliorare i processi di
apprendimento);
Metodo personalizzato: differenziazione di percorsi e compiti-sostegno e
recupero- ampliamento e approfondimento.
Le scelte didattico-educative sono divise in tre sezioni:
Acquisizione di saperi essenziali
studio assistito in classe (sotto la guida di tutor);
adattamento dei contenuti disciplinari;
allungamento dei tempi di acquisizione dei contenuti;
coinvolgimento in attività collettive;
gratificazione per gli interventi positivi;
affidamento di compiti a crescente livello di difficoltà e responsabilità.
Crescita delle competenze
attività guidate a crescente livello di difficoltà;
Relazione di Tirocinio
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valorizzazione delle esperienze scolastiche e non;
passaggio dall’induttivo al deduttivo;
coinvolgimento in attività collettive.
Espansione delle competenze verso l’eccellenza
approfondimento, rielaborazione e problematizzazione dei contenuti;
stimolo alla ricerca di soluzioni originali, anche in situazioni non note;
affinamento delle tecniche dello studio individuale;
valorizzazione degli interessi extrascolastici positivi;
impulso allo spirito critico e alla creatività;
coinvolgimento in attività collettive.
Un ampio spazio viene dedicato all’argomento valutazione: nel POF sono
definiti gli indicatori e i descrittori da tenere sotto controllo nelle verifiche
disciplinari, le modalità di verifica formativa periodica e il resoconto dei risultati in
sede di Consiglio di Classe. Momento di riflessione è stata poi la lettura della parte
relativa all’autovalutazione dell’Istituto: è fondamentale che ogni scuola si interroghi
in autonomia sul proprio servizio, verificandone regolarmente l’efficienza e
l’efficacia, per poter costantemente attivare, potenziare, integrare e/o correggere i
necessari processi di qualificazione e miglioramento in una realtà scolastica investita
in modo sempre più evidente dalla richiesta di un servizio formativo adeguato alle
esigenze di una società sempre più complessa, nella quale le conoscenze sono
divenute una chiave di accesso indispensabile. Un vero percorso di autovalutazione e
monitoraggio richiede, quindi, ai soggetti coinvolti, quali attori attivi e partecipi del
sistema, di effettuare un’attenta e accurata riflessione al fine di costruire percorsi
comuni e condivisi, favorendo, in questo modo, il confronto, lo scambio e la
divulgazione di esperienze.
Pertanto i traguardi che l’Istituto si propone per lo sviluppo delle competenze
al termine della Scuola Secondaria di I grado sono:
Nell’area cognitiva l’alunno:
conosce nuclei tematici disciplinari;
Relazione di Tirocinio
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correla le conoscenze, individuando e confrontando le relazioni esistenti nei
vari ambiti;
elabora in un quadro organico le conoscenze, utilizzando le abilità in modo
consapevole ed autonomo;
padroneggia strumenti, tecniche disciplinari e codici di comunicazione;
utilizza programmi informatici per comunicare e per apprendere;
valuta criticamente fatti, fenomeni, teorie e problemi, utilizzando conoscenze
e tecniche apprese in contesti nuovi.
Nell’area formativa l’alunno:
si relaziona responsabilmente, maturando un atteggiamento di apertura al
dialogo costruttivo, allo scambio critico di opinioni e al lavoro cooperativo;
utilizza le proprie risorse per conoscere se stesso;
interiorizza e interpreta i valori sociali condivisi;
adotta comportamenti di conservazione, difesa e tutela dell’ambiente;
rispetta consapevolmente le regole del vivere civile;
pianifica il lavoro assegnato e lo conduce a termine con dinamicità e rapidità.
Numerosi sono infine i progetti in orario curriculare ed extracurriculare che
arricchiscono e permettono di personalizzare l’offerta formativa. In particolare
ritengo significativo citare un progetto trasversale d’istituto, dal titolo “Ambiente: un
tesoro da salvare” , che coinvolge tutti gli alunni dell’Istituto e si propone importanti
obiettivi:
imparare ad osservare ciò che ci circonda, utilizzando l'ambiente come un
"libro" di lettura, di storia, di scienze;
sviluppare le conoscenze inerenti al territorio: aspetto geo-fisico, storico –
culturale e scientifico;
saper leggere un ambiente come sistema complesso;
acquisire la capacità di utilizzare varie fonti: bibliografiche, sperimentali,
extrascolastiche;
conoscere per valorizzare il patrimonio naturale, storico e tradizionale;
favorire l’instaurarsi di una nuova coscienza ambientale;
Relazione di Tirocinio
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favorire la conoscenza del proprio ambiente naturale e antropico;
promuovere il rispetto per l’ ambiente naturale antropico;
salvaguardare e conservare i beni artistici e culturali;
divulgare una consapevole sensibilità verso la salvaguardia dell’ambiente
marino.
In definitiva la lettura del POF è stata fondamentale non solo per
comprendere l’identità dell’Istituto ma anche per riflettere, insieme alla mia tutor, su
alcune fondamentali questioni.
Nella tradizione scolastica italiana, mi faceva riflettere nei primi giorni di
tirocinio la professoressa Magaraggia, ha sempre avuto importanza preminente il
programma di ciascuna materia, fissato dal Ministero della Pubblica Istruzione per
ogni ordine e grado di scuola. Per l’insegnante efficiente era necessario “essere in
pari con il programma”, cioè con un’indicazione di contenuti effettivamente
vincolante. Questa impostazione, però, si prestava a tutta una serie di riflessioni
critiche:
il percorso sostanzialmente rigido del programma non teneva conto delle
necessità della classe: dei tempi individuali e delle difficoltà degli allievi;
generalmente, nella compilazione di un’unità di apprendimento, ogni docente
deve, oggi, tener conto della conoscenza di prerequisiti, cioè una serie di
conoscenze e capacità che debbono essere valutate: ciò non avveniva in
passato, con la logica conseguenza che gli allievi che presentavano maggiori
difficoltà non avrebbero potuto trarre il massimo dell’utilità dalle lezioni del
docente;
la lezione, che poteva essere anche non inserita in un contesto programmato e
quindi essere improvvisata, era generalmente frontale ed univoca, e non
stimolava, con l’utilizzo di varie metodologie, l’interesse e la partecipazione
attiva di tutti gli allievi;
non era, inoltre, prevista nessuna forma di collaborazione tra gli insegnanti di
una stessa classe.
Relazione di Tirocinio
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TIROCINIO FORMATIVO ATTIVOClasse di abilitazione A043 Tirocinante: Giuseppe Capone
In sostanza il programma corrispondeva ad un sistema scolastico
centralistico, emanato dall’autorità centrale (Ministero) e richiedeva solo di essere
svolto dall’insegnante, che diventava così un mero esecutore senza la possibilità di
operare deroghe o di attivare didattiche differenziate secondo un’interpretazione
flessibile.
Il POF invece, nelle sue varie parti, esplicita chiaramente il passaggio da una
“scuola di programma” ad una “scuola di programmazione” attraverso un processo
dinamico, continuo ed evolutivo. In questa prospettiva, come si evince chiaramente
dalla lettura di qualsiasi piano dell’offerta formativa, programmare, oggi, indica
l’attività degli insegnanti di gestire e controllare il processo educativo e di adattarlo
secondo diverse esigenze: l’accento non viene più messo sui programmi, da svolgere
in maniera rigida, ma sulle finalità e gli obiettivi da raggiungere tenendo sempre in
considerazione le diverse necessità che emergono nei contesti della classe, della
scuola, del territorio.
Nella scuola, come si evince dal POF, tutti gli Organi Collegiali sono organi
di programmazione:
Consiglio di Circolo o di Istituto: cui spetta il compito di gestire la vita
amministrativa dell’Istituto in stretta relazione con la progettazione didattica;
Collegio dei Docenti: cui spetta il Compito di progettare, organizzare
verificare, controllare e valutare la vita didattica dell’Istituto in tutte le sue
componenti;
Consiglio di Classe: cui spetta il compito di progettare, organizzare,
verificare, controllare e valutare la vita didattica delle classi di competenza.
Gruppi Disciplinari o Dipartimentali.
La progettazione di Istituto si realizza attraverso varie fasi che richiedono la
collaborazione dei docenti delle varie discipline, la disponibilità, quindi, a lavorare in
team e l’abbandono di una dimensione meramente individualistica dell’attività
didattica. L’organo che si occupa della programmazione dell’intero Istituto è il
Collegio dei Docenti il cui compito è quello d’individuare gli obiettivi educativi
generali e trasversali a tutte le discipline; a titolo esemplificativo, come è emerso
Relazione di Tirocinio
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TIROCINIO FORMATIVO ATTIVOClasse di abilitazione A043 Tirocinante: Giuseppe Capone
chiaramente dall’analisi del POF, tra i molteplici obiettivi che ogni studente può
raggiungere, la scuola deve farsi carico dello sviluppo dell’autonomia nel formulare
giudizi, nell’operare scelte consapevoli, del sapere lavorare in gruppo, del rispetto
degli altri… In questa prospettiva ogni insegnante dovrà far propri questi obiettivi in
quanto prevedono la crescita dello studente come persona. All’interno delle singole
classi operano, poi, i Consigli di Classe, ai quali spetta il compito di tradurre la
programmazione del Collegio dei Docenti e dei Gruppi Dipartimentali, nel rispetto,
per ogni docente, della libertà di insegnamento. Ritengo opportuno soffermarmi
anche sulla figura di coordinatore del Consiglio di Classe dal momento che la mia
tutor esercita questa funzione per la classe nella quale ho svolto il tirocinio; i compiti
svolti dal coordinatore di classe non sono fissi perché non previsti dall’ordinamento
scolastico: la funzione di coordinare è propria, infatti, del dirigente scolastico.
Ricevendo, quindi, una delega da parte del dirigente, il coordinatore del Consiglio di
Classe si occupa della stesura e della realizzazione del piano didattico - educativo
della classe, controlla regolarmente le assenze degli studenti ponendo particolare
attenzione ai casi di irregolare frequenza ed inadeguato rendimento, si tiene
regolarmente informato sul profitto e il comportamento della classe tramite frequenti
contatti con gli altri docenti del consiglio; è il punto di riferimento circa tutti i
problemi specifici del consiglio di classe; ha un collegamento diretto con la
presidenza e presiede egli stesso le sedute del Consiglio di Classe, quando ad esse
non intervenga il dirigente; mantiene i contatti con i genitori, fornendo loro le
informazioni globali sul profitto, sull’interesse e sulla partecipazione degli studenti.
Concludendo, l’analisi del POF e le riflessioni, svolte insieme alla
professoressa Magaraggia, sulle diverse parti che lo compongono, mi ha reso più
chiaro il passaggio che si è avuto negli anni, attraverso il riconoscimento
dell’autonomia scolastica, da una “scuola di programma” a una “scuola di
programmazione”, che interpreta e adatta i contenuti e gli obiettivi al percorso
formativo che s’intende perseguire, e pianifica l’attività didattica. Al contrario del
programma, la programmazione ha, infatti, la caratteristica della flessibilità, della
modificabilità didattica, e può essere anche basata sulla presenza di didattiche
differenziate a seconda delle esigenze della scuola, della classe e anche dell’ambiente
locale. Pertanto la programmazione didattica diventa, durante l’anno scolastico, un
Relazione di Tirocinio
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TIROCINIO FORMATIVO ATTIVOClasse di abilitazione A043 Tirocinante: Giuseppe Capone
processo fondamentale che definisce la mission dell’Istituto all’interno della
relazione educativa tra chi insegna e chi apprende.
1.2 Descrizione delle classi e dell'attività didattica del tutor
Relazione di Tirocinio
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TIROCINIO FORMATIVO ATTIVOClasse di abilitazione A043 Tirocinante: Giuseppe Capone
Il mio tirocinio presso l’Istituto Stomeo-Zimbalo si è svolto principalmente in
una terza: la 3C. La classe 3C è composta da 25 alunni: 11 ragazzi e 14 ragazze.
Come riportato dalla mia tutor nella sua scheda di presentazione della classe (in
qualità anche di coordinatrice del Consiglio di Classe, come già precedentemente
riportato), sin dai primi giorni di scuola gli alunni hanno dimostrato interesse nei
confronti dei lavori presentati dai docenti per il 2012/2013, partecipando con
attenzione e con un comportamento educato e consono alla loro età.
Dopo un’attenta correzione e valutazione delle prove d’ingresso sulle capacità
logico - cognitive, sulla comprensione del testo e sulle conoscenze fonologiche e
morfologiche della lingua italiana la classe è stata divisa dalla mia tutor in cinque
fasce. Nella prima sono stati inseriti gli alunni che hanno raggiunto come voto
complessivo, nei test d’ingresso, 9/10 e 8/10 presentando, quindi, le seguenti
caratteristiche: interesse e impegno costante, partecipazione attiva, attenzione
spontanea e propositiva, metodo di studio efficace, comportamento corretto e
collaborativo. Gli studenti di questa fascia conoscono i contenuti delle diverse aree
disciplinari in modo esauriente; applicano autonomamente procedimenti operativi
seguendo principi e teorie note; sono in grado di comunicare in maniera chiara ed
efficace; valutano una situazione problematica e complessa sulla base di possibili
interventi risolutivi. Nella seconda fascia sono stati inseriti gli allievi che hanno
ottenuto nelle prove 7/10: sono anch’essi propositivi e lavorano in modo costante e
con impegno. Il terzo gruppo ha ottenuto come votazione complessiva nei test iniziali
6/10: gli studenti di questa fascia dimostrano di possedere le conoscenze essenziali e
di applicarle solo in abiti noti; comunicano in modo corretto ma semplice; tendono a
valutare e comprendere i concetti solo dopo interventi chiarificatori del docente. Nel
quarto gruppo sono inseriti gli alunni le cui prove sono state valutate intorno ai 5/10
e 4/10. I ragazzi di questa fascia presentano difficoltà di acquisizione anche dei più
semplici contenuti culturali; elaborano informazioni in modo frammentario;
comunicano utilizzando un lessico scarno ed essenziale; non sono in grado di
individuare possibili soluzioni ad un problema.
È opportuno che inserisca alcune personali considerazioni sulle fasce di
livello: quando un docente divide la propria classe in livelli, lo fa ovviamente
pensando non al comportamento dei propri alunni, ma al loro rendimento; lo fa come
Relazione di Tirocinio
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TIROCINIO FORMATIVO ATTIVOClasse di abilitazione A043 Tirocinante: Giuseppe Capone
forma interpretativa del rendimento generale della propria classe. In genere, i termini
che vengono assegnati a questi livelli sono i seguenti: recupero, consolidamento,
potenziamento. Tuttavia, il più delle volte, tale suddivisione non ha mai una ricaduta
positiva sull’organizzazione dell’attività didattica e sulla qualità dell’apprendimento;
per esempio, le prove che un docente somministra nel corso dell’anno scolastico,
spesso, non sono tarate sui diversi livelli di preparazione, di apprendimento che ha di
fronte: sono prove che possono andar bene per tutti, secondo una media standard, con
cui si cerca di trovare una via di mezzo tra i due estremi della facilità e della
complessità. Il voto finale cercherà di non essere punitivo nei confronti di chi non
supera la prova secondo la media prevista; non avendo assolutamente il tempo di
preparare ogni volta tre prove diversificate a seconda dei livelli, il docente
inevitabilmente pensa a una verifica che possa andar bene alla fascia di mezzo. In
questa prospettiva ritengo che sia necessario, per ogni docente, assegnare a queste
fasce di livello la giusta importanza per andare incontro alle esigenze di ciascun
alunno: è ben noto, infatti, come, un allievo privo di prerequisiti o non motivato,
ritenendo troppo difficile o incomprensibile la lezione, tenda a deconcentrarsi, ad
isolarsi e col tempo ad estraniarsi completamente dal gruppo classe. Allo stesso
tempo, un allievo molto dotato potrebbe annoiarsi per i motivi opposti, ritenendo la
lezione troppo facile. È necessario, pertanto, attuare in maniera adeguata i progetti di
recupero, potenziamento e ampliamento dando la possibilità a ciascun allievo di
avere l’opportunità didattica più giusta per le proprie esigenze individuali,
raggiungendo, in questo modo, un principio che mi sta molto a cuore e che proviene
dalla mia formazione musicale: in musica, note e voci diverse si incontrano e si
legano l’una all’altra in un andamento comune, realizzando l’uguaglianza pur
all’interno di una gerarchia tra voci principali e voci secondarie. La gerarchia che
vige in tutta la musica rispetta l’individualità di ciascuna voce, che può non avere le
stesse caratteristiche, ma certo ha la stessa responsabilità di tutte le altre. Ovviamente
è molto più facile raggiungere questo obiettivo nella musica che nella vita: quant’è
difficile creare in una classe l’uguaglianza all’interno di una gerarchia!
Nella classe sono inseriti tre allievi disabili seguiti da tre insegnanti di
sostegno che cercano di raggiungere la migliore integrazione con il resto dei
compagni: è presente un ragazzo ipovedente che segue le lezioni con regolarità e
Relazione di Tirocinio
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senza difficoltà, essendo supportato da strumenti come ingranditore e computer, che
gli permettono di lavorare seguendo il ritmo della classe. L’allievo è sempre attento
ed interessato alle attività svolte dai docenti e dalle prove d’ingresso risulta inserito
nella prima fascia avendo ottenuto nei test iniziali 8/10. È presente una ragazza con
un disturbo nella sfera emozionale, non sempre attenta e poco incline a seguire le
lezioni dei docenti; per questo deve essere sempre stimolata ad una partecipazione
costante. L’altra allieva disabile è affetta, invece, da un grave ritardo mentale ed
encefalopatia multicistica: entra nel contesto classe per assistere alle lezioni in modo
da socializzare ed integrarsi con il gruppo; è continuamente stimolata attraverso la
somministrazione di diversi linguaggi, acustici e iconografici, che le permettono di
decodificare messaggi e contenuti.
La mia docente accogliente, la professoressa Carla Magaraggia, si occupa
esclusivamente dell’insegnamento di italiano. A mio avviso questo smembramento
delle cattedre di italiano, storia e geografia, riscontrato anche in altre scuole durante
il confronto con i miei colleghi, non è molto positivo ai fini di un apprendimento
significativo da parte dell’alunno: impedisce, infatti, quella naturale continuità
didattica e interdisciplinarietà tra le materie umanistiche che permette all’allievo di
sviluppare processi cognitivi trasversali e comuni.
L’insegnante è esperta e autorevole, con una grande capacità di gestione della
classe ed una profonda conoscenza della scuola e delle sue dinamiche interne.
Affrontare la fase di osservazione affiancando una docente come lei è stata una vera
fortuna: nelle ore passate ad ascoltarla e osservarla, ma anche in tutte quelle
occasioni in cui riuscivamo a scambiare due chiacchiere sulla didattica, era capace di
gettar luce su alcuni dei punti oscuri della relazione insegnamento - apprendimento
presentandomi il suo punto di vista, frutto di anni di lavoro in prima linea.
Svolgendo le ore di tirocinio con la professoressa Magaraggia ho potuto
notare che in classe si da un certo “spazio” e si pone una buona attenzione ai
problemi legati alle differenze psicosociali tra i ragazzi e alle loro singole
individualità, considerato anche che la scuola (come già riportato durante l’analisi
del POF), operando in un contesto socioeconomico diversificato, evidenzia alcuni
problemi legati alle disparità sociali. I ragazzi vengono considerati, in genere, non
Relazione di Tirocinio
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solo come allievi/studenti in vista del conseguimento del diploma di licenza media,
ma anche e soprattutto nella loro “soggettività” e ciascuno con i propri problemi.
Tutto questo mi sembra di averlo intuito seguendo le lezioni, confrontandomi con la
mia tutor, facendomi un poco un quadro generale, ma sono mie opinioni personali e
relative solo al mio campo di osservazione, perché non posso relazionare o riferire
con assoluta certezza su ciò che avviene in altri spazi della scuola.
Per quanto riguarda in maniera specifica la mia osservazione sulle capacità
relazionali, comunicative e sulle metodologie didattiche utilizzate dalla docente
“accogliente”, vorrei esprimere alcune personali impressioni. La professoressa
Magaraggia è sempre aperta alle difficoltà dei ragazzi pur affrontando varie volte
alcuni problemi di disciplina e di comportamento, ma riesce comunque sempre a
“gestire” la situazione e a tenerla “sotto controllo” con fermezza, con grande capacità
di comprensione e disponibilità. D’altra parte, tra i vari talenti che ho potuto
riscontrare osservando il suo stile didattico, ritengo che la sua capacità comunicativa
sia fondamentale, non solo ai fini di una trasmissione significativa del sapere, ma
anche per creare un clima relazionale disteso e confrontarsi quotidianamente con le
complesse e delicate problematiche dei ragazzi. In merito al suo stile didattico e la
metodologia della sua materia, l’insegnante cerca sempre di “motivare” i ragazzi
verso gli argomenti trattati, anche attraverso un linguaggio amichevole, ironico, un
uso frequente di semplificazioni e intervalli divertenti e distensivi tra un concetto e
l’altro.
Durante le ore trascorse con lei ho avuto modo di sperimentare dal vivo lo
svolgimento del programma specifico della mia futura materia di insegnamento, ho
osservato il modo delle sue spiegazioni, la disponibilità verso quei ragazzi meno
motivati e meno pronti nell’apprendimento. La docente, inoltre, mi ha fatto
conoscere le sue modifiche personali alla programmazione tradizionale, attraverso
una ricerca che mira continuamente ad una proficua flessibilità rispetto alle esigenze
degli alunni; mi ha reso inoltre partecipe di alcuni suoi progetti per il prossimo anno
scolastico.
Nella prospettiva di attivare diversi canali di comunicazione, in modo da
coinvolgere tutti i ragazzi e da stimolarne la partecipazione al processo di
Relazione di Tirocinio
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apprendimento, la metodologia didattica della mia tutor comprende il maggior
numero possibile di tecniche, al fine di rendere vario, flessibile, ricco ed efficace
l'insegnamento.
La tipologia più usata dalla professoressa Magaraggia è sicuramente quella
tradizionale della lezione frontale, coadiuvata però da altre metodologie quali ad
esempio il brainstorming, il problem solving, il metodo induttivo-deduttivo: il
contenuto viene proposto sotto forma di problematizzazione, affinché diventi motivo
di riflessione e di conquista autonoma da parte dell'alunno che vedrà così svilupparsi
il suo spirito critico. Consapevole del fatto che attualmente il sapere non è più
contenibile e che quindi il docente non può esserne detentore, la mia tutor fornisce
continuamente ai ragazzi metodi di fruizione culturale e strumenti che li rendano
autonomi nella ricerca e nell'acquisizione di nuove conoscenze; più volte, nelle
nostre discussioni, ha condiviso con me la sua convinzione che l'insegnante debba
mettere il suo sapere a disposizione dell'allievo, perché diventi punto di partenza per
un ulteriore arricchimento culturale e autonomo da parte dello studente. Lo sviluppo
di tali capacità è uno dei fini più importanti, secondo la mia tutor, della scuola media,
in relazione soprattutto al prosieguo degli studi: per questo è utile guidare i ragazzi
nella selezione delle informazioni già durante l’attività d’aula, coltivando il loro
pensiero autonomo, creativo e divergente. Un’altra motivazione è da ricercarsi, poi,
all’interno della sfera privata della vita dei ragazzi: il tempo dedicato allo studio nel
corso del pomeriggio, sempre più gravato da attività collaterali alla scuola, sta
diminuendo vertiginosamente col passare degli anni. Perciò è necessario attivare
direttamente in classe un processo di apprendimento significativo che permetta di
monitorare l’interiorizzazione di conoscenze e il consolidamento delle competenze:
in questa prospettiva un aspetto dell’impostazione didattica, particolarmente
apprezzato dagli alunni, consiste nella sua disponibilità a svolgere attività di
esercitazione in classe soprattutto in prossimità di un compito o una verifica. Una
volta stabilita la data del compito, infatti, l’insegnante non prosegue né con la
spiegazione di nuovi argomenti, né con le verifiche orali, allo scopo di far assimilare
al meglio gli argomenti che saranno trattati nel compito. In generale la mia tutor
instaura un clima relazionale basato su una collaborazione rispettosa, una sorta di
contratto formativo non scritto: un contratto ben chiaro e apprezzato dagli alunni che
Relazione di Tirocinio
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sanno bene come comportarsi in classe in presenza dell’insegnante e quali sono le
regole da seguire per una convivenza serena; un clima determinato anche dalla sua
capacità comunicativa e da un tono della voce, tenuto durante le ore di lezione, che è
insieme autorevole e collaborativo, sicuro e propositivo.
Per rendere efficace il proprio metodo di insegnamento la professoressa
Magaraggia è consapevole del fatto che un docente si debba mettere continuamente
in discussione, riflettendo sui propri stili di insegnamento (metadidattica),
chiedendosi il perché di eventuali insuccessi scolastici, del disinteresse o della scarsa
partecipazione degli alunni; deve sapersi autovalutare, osservando continuamente gli
effetti e le reazioni dei ragazzi al proprio metodo di insegnamento. In sostanza, oggi,
il docente deve entrare nel mondo degli adolescenti, analizzando e comprendendo le
loro problematiche e le loro caratteristiche, attraverso un ascolto attivo.
In merito alla verifica e alla valutazione del livello di apprendimento degli
alunni, la professoressa Magaraggia ricorre alle metodologie tradizionali
dell’interrogazione (che diventa, comunque, una sorta di conversazione e dibattito
coerente con gli argomenti trattati) e dell’elaborato scritto. Per quanto riguarda gli
scritti una particolare attenzione è dedicata alla grammatica; sono svolti diversi
compiti di analisi grammaticale, logica e del periodo: propone generalmente frasi
abbastanza complesse, mai elementari, soprattutto in preparazione, per coloro che
proseguiranno i loro studi in un liceo, allo studio delle lingue classiche.
Parlando di valutazione non posso non accennare alle prove Invalsi, oggetto,
in numerose occasioni, della mia fase osservativa, considerato anche il periodo
durante il quale si è svolto il tirocinio: più volte la mia tutor mi ha esposto i motivi
della sua contrarietà a queste prove che contraddicono il principio di una didattica
centrata sull’alunno, attenta ai diversi contesti sociali e familiari, costruita su percorsi
adeguati alle varie esigenze formative, come evidenziato nella parte dell’analisi del
POF. Le considerazioni della professoressa Magaraggia, da me condivise, vertevano
sul fatto che molte ore, distribuite nei giorni, nelle settimane e, persino, nei mesi
scolastici siano dedicate alle “crocette”, con conseguente sospensione delle modalità
didattiche fatte di strategie, di perseguimento di obiettivi programmati, di attenzione
ai ritmi e alle capacità d’apprendimento dei ragazzi. I timori e i pregiudizi attorno
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alle suddette prove, da parte della mia tutor si basavano inoltre su ulteriori
motivazioni: si tratta di test di matrice anglosassone, estranei alla cultura scolastica
italiana; sono un modo per “controllare” la didattica degli insegnanti e per dividere le
scuole in “buone” e “cattive”; infine, si fondano sulla pretesa di ridurre tutto a
misurazioni oggettive con il conseguente ritorno a pratiche didattiche che la scuola
pensava di essersi lasciata alle spalle, sempre più trasmissive e tradizionali, in cui il
rapporto tra insegnante ed alunno sta tornando ad assumere un carattere di tipo
“verticale”.
Prima di presentare un intervento svolto nell’ambito della fase operativa del
mio tirocinio è opportuno riportare alcune riflessioni condivise con la mia tutor
rispetto all’insegnamento dell’italiano nella scuola media. Ho già chiarito, nella
prima parte di questa relazione, attraverso l’analisi del POF, il passaggio da una
“scuola di programma” a una “scuola di programmazione”; una nuova dimensione
didattica che è emersa chiaramente, nella fase osservativa, in cui è possibile
confrontare il curricolo dichiarato dalla scuola nei suoi documenti ufficiali, e quello
invece nascosto tra i banchi e le lavagne, attuato dal docente. La professoressa
Magaraggia in più occasioni (per esempio nella semplice stesura delle attività nel suo
registro di classe) mi ha fatto comprendere come, la riforma dell’ex ministro del
MIUR Letizia Moratti6, abbia introdotto profondi cambiamenti nella scuola
secondaria di primo grado che si riflettono sull’intera pianificazione didattica dei
docenti. Le nuove indicazioni nazionali, infatti, a differenza dei tradizionali
programmi scolastici, non forniscono un elenco dettagliato dei contenuti da trattare,
ma suggeriscono, in modo generico, alcuni argomenti, e definiscono le competenze
da promuovere. Sono gli insegnanti a dover coniugare gli obiettivi specifici di
apprendimento con gli obiettivi formativi; e lo strumento attraverso il quale dovrà
realizzarsi questo connubio è la cosiddetta unità di apprendimento. Attraverso la
lettura di alcune unità di apprendimento realizzate dalla mia tutor e l’osservazione
della loro attuazione in classe, ho potuto comprendere quali siano gli obiettivi
specifici di apprendimento per l’italiano. L’insegnamento d’italiano prevede una
serie di attività finalizzate al conseguimento di cinque competenze specifiche da
parte degli alunni: saper ascoltare, parlare, leggere, scrivere e riflettere sulla lingua.
6 Cfr. http://www.gildame.it/riforma.htm
Relazione di Tirocinio
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Tra le principali attività previste dalla professoressa Magaraggia per raggiungere tali
finalità c’è l’analisi di tipologie testuali diverse tra loro allo scopo di far comprendere
ai ragazzi la specificità di ciascuna; la lettura e la produzione (orale e scritta) di testi
differenti per operare una riflessione sulla lingua in chiave diacronica e sincronica;
un’introduzione alla storia della letteratura (poetiche, contestualizzazione storico -
culturale) affiancata dalla lettura di brani narrativi e di testi poetici. Pertanto l’attività
di lettura e analisi del testo letterario (prosa o poesia) svolta in classe dalla mia tutor
non è finalizzata soltanto all’acquisizione di una maggiore consapevolezza
linguistica ma funge anche da introduzione alla storia della letteratura italiana. Di
conseguenza l’attività di analisi testuale rientra sia nell’ambito dell’educazione
linguistica che in quello dell’educazione letteraria.
Esempio di unità di apprendimento della professoressa Magaraggia:
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UNITA’ DI APPRENDIMENTO N 2 TITOLO: Parole per crescere storie di adolescenti e racconti sui rapporti interculturali
PERSONALIZZAZIONE
CONOSCENZE ABILITA’ LIVELLO DIBASE
LIVELLOAVANZATO
Strategie per l’ascolto dei testi orali (telegiornali, documentari….)
Tecniche e strategie per prendere appunti
Caratteristiche dei testi parlati
Tecniche e strategie per argomentare
Elementi caratterizzanti i testi informativo-espositivi su: racconti di adolescenti, su un mondo interculturale e sulla scienza e tecnologia
Studio sistematico delle categorie morfologiche e sintattiche di brevi segmenti testuali
Identificare, attraverso l’ascolto attivo e finalizzato, le varie tipologie testuali e il loro scopo
Interagire in situazioni comunicative usando argomentazioni per formulare ipotesi e confrontare tesi.
Leggere in modo espressivo e riconoscere le tesi esposte e l’opinione dell’autore
Confrontare punti di vista diversi
Commentare testi espositivi/argomentativi interpretativi/valutativi
Cogliere messaggi e valori positivi
Esprimere giudizi critici motivati
Produrre testi argomentativi e progetti tematici
Riconoscere ed analizzare le strutture morfo-sintattiche
Comprende e analizza racconti e poesie di vita adolescenzialeAnalizza brani sullo sfruttamento minorile e su situazioni di emarginazione Ascolta e comprende brani aventi come argomento lo sviluppo scientifico.Utilizza le conoscenze apprese per scrivere un semplice testo argomentativo Conosce la funzione della subordinazione
E’ consapevole delle modalità relazionali da attivare con coetanei di sesso diversoApprofondisce la conoscenza e l ’accettazione di sé rafforzando l’autostimaSviluppa atteggiamenti corretti, responsabili, tolleranti e solidali, combattendo ogni forma di razzismoUtilizza le conoscenze<e abilità apprese per produrre racconti di esperienza personaleUtilizza e conosce la funzione della subordinazione
Obiettivi di
Apprendimento
1) Ascoltare con attenzione - comprendere la comunicazione e le informazioni implicite ed esplicite, confrontare opinioni2) Ricostruire oralmente quanto ascoltato o letto,interagisce nelle diverse situazioni comunicative3) Leggere testi di diversa tipologia• comprende il messaggio, la loro struttura - interpreta valuta4) Produrre testi scritti con 1) capacità di espressione personale; coerenza e organicità del pensiero; uso corretto della lingua
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5) Riflettere sulla lingua per analizzare ed utilizzare
consapevolmente le strutture sintattiche in base al profilo
comunicativo
Attivita’ di Laboratorio
Laboratorio linguistico- espressivo (destinatari tutti gli alunni)
Lettura e scrittura creativa:manipolare testi narrativi,…smontarli e riorganizzarli, ampliarli, sintetizzarli. Modificare personaggi, ambienti, operare transcodifiche (da un genere all’altro, da una favola ad un racconto…)
Uso “consapevole” dello strumento informatico,con programmi di video scrittura e software specifici per sviluppare le competenze linguistiche
La navigazione in internet permetterà di reperire informazioni ed arricchire le conoscenze
Lettura di quotidiani per approfondire le problematiche
attuali /Attivita’ di cineforum /studio dei primi elementi
della lingua latina
1.3 Insegnare prima d'insegnare: l'esperienza di tirocinio fra osservazione e
attuazione
La fase operativa e pratica del tirocinio è stato il vero banco di prova perché
mi ha permesso di riflettere in prima persona su quei modelli di insegnamento e
Relazione di Tirocinio
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quelle strategie didattiche apprese nel corso delle lezioni in università. La gestione
diretta di piccoli interventi all’interno del percorso didattico della mia tutor è stato un
momento fondamentale per mettere a fuoco le principali questioni che risultano
implicate nel fare scuola quotidiano e quindi ad organizzare le mie conoscenze e
attitudini secondo i bisogni posti dalla situazione della classe.
Consapevole che la mia tutor, nella sua disponibilità, mi avrebbe prima o poi
buttato in prima linea per gestire una serie d’interventi a supporto delle sue lezioni
frontali, è stato indispensabile conoscere e osservare preventivamente gli aspetti della
lezione su cui focalizzare l’attenzione. D’altra parte la fase operativa, (considerato
anche il breve periodo di tirocinio) non doveva essere, a mio parere, una sostituzione
del docente titolare ma un inserimento nella programmazione del tutor, all’interno
del percorso che stava conducendo, secondo stile e metodi il più possibile vicini alla
sua attività didattica. In questa prospettiva ho potuto contare sull’esperienza
pluriennale della mia tutor che, svolgendo un delicato ruolo di mediazione, e pur
tenendo conto delle esigenze relative alla sua programmazione, mi ha fornito anche
importanti momenti di crescita autonoma.
Il rapporto di fiducia reciproca stabilito con la mia tutor durante la fase di
osservazione mi ha permesso d’individuare alcuni elementi necessari per l’attuazione
dei miei interventi: utilizzo di materiali didattici adeguati, gestione della classe
(relazione, comportamento,…), uso di un linguaggio e di una comunicazione non
verbale adeguata al livello della classe, raccolta di feedback e risposte degli studenti
durante l’intervento, disponibilità di ascolto nei confronti di dubbi e domande della
classe.
Il principale intervento didattico che ho gestito nel corso della
programmazione della professoressa Magaraggia si è focalizzato sulle caratteristiche
del primo periodo della produzione poetica di Eugenio Montale, confluite nella
raccolta “Ossi di seppia” del 1925. Adottando la classica lezione frontale in linea con
lo stile cui i ragazzi erano abituati, ho subito cercato di stimolarli e catturare la loro
attenzione chiedendo loro se avessero mai visto, durante le loro vacanze al mare, un
osso di seppia. L’immagine dell’osso di seppia ha attivato così una riflessione sul
titolo della raccolta e il suo significato: l’osso di seppia, bianco e poroso, che
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galleggia sull’acqua marina, viene di solito trovato sulle rive delle spiagge come un
residuo, un rifiuto del mare; tenta di vivere nel mare, galleggiando, ma non ci riesce
perché viene portato a riva dalle onde. Ho spiegato così che l’osso di seppia è, per il
poeta, la metafora dell’uomo che cerca la felicità, ma che viene respinto a riva,
gettato sulla terra, esiliato dal mare e quindi escluso dalla verità. A questo punto,
dopo la breve riflessione sul titolo, ho cercato di contestualizzare la raccolta
riflettendo, insieme ai ragazzi, sul momento storico: l’anno di pubblicazione (1925)
ha stimolato la classe, dietro opportune domande, al collegamento interdisciplinare
con la storia: erano gli anni in cui il fascismo si mutava in dittatura, per mezzo delle
cosiddette leggi speciali, che imponevano un regime totalitario e quindi un pensiero
unico, un capo unico, un governo senza oppositori. Un momento di svolta politica,
che i ragazzi avevano ben presente a livello storico perché già studiato, e che ho
sottolineato come si riflettesse anche a livello culturale: stava morendo infatti la
stagione delle avanguardie e stava affermandosi in ogni campo un ritorno all’ordine
con la restaurazione antiavanguardistica promossa dal classicismo della “Ronda”. Ho
fatto notare così come, prendendo a modello gli umili ossi di seppia che tendono a
galleggiare felicemente nel mare (simbolo della felicità naturale), la poesia
montaliana finì per diventare, negli anni venti, un saldo punto di riferimento per chi
negava il fascismo e i suoi dogmi, per chi si sentiva esiliato in terra. Emersi, in
questo modo, i due simboli dominanti della raccolta, il mare, luogo della beatitudine
panica e naturale, e la terra, sede della privazione e dell’esilio, ho scritto questi due
termini alla lavagna per permettere ai ragazzi di operare successivamente le varie
concatenazioni con i contenuti che mi accingevo a spiegare. Utilizzando il metodo
del brainstorming ho nuovamente invitato loro a riflettere su alcuni termini: “muro”,
“rete”, “catena”. Dopo vari pareri è emersa chiaramente l’idea di una separazione, di
un ostacolo, espressa da queste parole; successivamente ho scritto questi termini
sotto la parola “terra”, inducendo così i ragazzi a comprendere come la rete o il muro
rappresentino, per Montale, il simbolo di un impedimento che costringe l’uomo ad
accettare la privazione della conoscenza della verità, del raggiungimento della
felicità rappresentata dal mare. La rete o il muro, che circondano e imprigionano
l'uomo, gli tolgono la vista, sono invalicabili; non presentano quindi spiragli o
prospettive di salvezza. A questo punto ho cercato, ancora una volta, di stimolare la
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classe alla riflessione sul significato di altre parole: “varco”, “fessura”,
“smagliatura”, “anello rotto della catena.” Anche in questo caso la discussione è stata
proficua: è emersa l’idea di una via di passaggio, di salvezza, di una luce in fondo al
tunnel. Ma una domanda è sorta tra i ragazzi: se il muro e la rete rappresentano
l’impedimento ad ogni prospettiva di salvezza come si giustifica la presenza di questi
spiragli? L’interrogativo sorto mi ha permesso così di spiegare che il “varco”, per
Montale, è solo un’illusione: l’uomo s’illude di trovare le tracce di una possibile
salvezza, interrogandosi sulla possibilità di una fessura per accedere alla verità; ma la
sua ricerca è vana: finisce così per accettare che la vita è una ricerca continua, senza
fine e che dopo il momento dell’illusione viene il momento della realtà che distrugge
l’illusione. Inserendo tra le parole “mare” e “terra” i termini “varco”, “fessura”,
“anello rotto della catena” la classe ha compreso così il nucleo tematico principale
della raccolta “Ossi di seppia”: il rapporto tra uomo e mondo, la lotta tra illusione,
che rappresenta la volontà di vivere e di raggiungere la felicità, e la realtà, che riporta
gli uomini nel grigiore della vita di tutti i giorni, nella consapevolezza
dell’accettazione dell’esilio. Conclusa la spiegazione delle caratteristiche principali
della prima raccolta poetica di Montale, ho chiesto ai ragazzi di aprire il manuale per
analizzare gli elementi venuti fuori attraverso la lettura di un testo poetico: la poesia
in questione era Spesso il male di vivere ho incontrato. Ho fatto leggere a due ragazzi
le due quartine che compongono il testo per introdurre il discorso sulla struttura
binaria che lo caratterizza e che si esprime attraverso la figura retorica dell’antitesi
tra il “male” e il “bene”: il male, connaturato alla vita stessa dell’uomo, è
rappresentato dalle tre immagini della prima quartina; il bene, invece, è individuabile
nella distanza, dalla staticità, dalla inconsapevolezza rappresentate dalle tre immagini
della seconda quartina. Ho deciso, pertanto, di utilizzare alcuni schemi per
permettere ai ragazzi di sviluppare una rappresentazione mentale sul significato della
poesia. Gli schemi, disegnati alla lavagna, erano i seguenti:
Relazione di Tirocinio
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Grazie a questo schema ho potuto far comprendere ai ragazzi che Montale usa
molte più parole per spiegare il bene che il male di vivere: mentre il male è un dato
di realtà, il bene è un atteggiamento razionale.
Relazione di Tirocinio
male
incontrato
presenza concreta
bene
non seppi
conoscenza razionale
fuori del prodigio
evento eccezionale
che schiude
fa nascere, intravedere
la divina
dei che guardano da lontano al mondo
Indifferenza
maiuscolo, personificazione,
divinità
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Questi ultimi due schemi mi hanno permesso di spiegare il concetto di
“correlativo oggettivo”, caratteristico della poetica montaliana. I ragazzi hanno infatti
Relazione di Tirocinio
male di vivere
il rivo strozzato che gorgoglia
difficoltà ostacolo
l'incartocciarsi della foglia riarsa
aridità secchezza mancanza di vitalità
il cavallo stramazzato
fatica lavoro estenuante
bene di vivere
statua
inconsapevolezza staticità
nuvola
impassibilità lontananza mancanza di volontà
falco alto levato
distanza indifferenza
Campi semantici del “male di vivere”
Campi semantici del “bene di vivere”
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notato come dei concetti astratti (lontananza, distanza, difficoltà…) vengano espressi
da oggetti concreti, che diventano così emblemi e testimoni silenziosi della
condizione umana. Ho cercato così di approfondire il significato e l’importanza della
parola per Montale facendo anche un confronto con Ungaretti, la cui poetica era stata
già ampiamente assimilata attraverso le spiegazioni della professoressa Magaraggia.
I ragazzi, infatti, avevano ben chiara la “poetica della parola” di Ungaretti: una
parola che si propone di esprimere sensazioni indefinite e indeterminate, capace di
farsi strumento per cogliere valori universali, l’assoluto. Ho potuto così focalizzare le
differenze con il significato della parola per Montale: nella poetica montaliana,
infatti, la parola, da sola, non può raggiungere direttamente l’assoluto, ma deve
prima confrontarsi con il reale; indica oggetti concreti, definiti, elementi di una realtà
povera che diventano emblemi di sentimenti e sensazioni. Per questo, ho chiarito
loro, (collegandomi al concetto di “correlativo oggettivo”), quella di Montale viene
definita “poetica delle cose”. Concludendo la spiegazione della poesia ho
sottolineato, alla luce di quanto emerso, che il precario messaggio che il poeta vuole
trasmettere in positivo è quello di fuggire dal male in ciò che egli chiama
indifferenza: bisogna contemplare ogni cosa dall'alto e da fermi, secondo il tipico
volo del falco. Questo è l'unico bene concesso agli uomini.
Nonostante qualche difficoltà avuta nel tenere alto il livello di attenzione
della classe durante l’intervento, posso ritenermi soddisfatto dei feedback ricevuti dai
ragazzi, non solo per i risultati osservati nel momento delle interrogazioni tenute
dalla mia tutor, ma, in particolare, quando cercavo di coinvolgerli, ponendo loro
delle domande e dando il via ad intense discussioni: passando “dal banco alla
cattedra” ho potuto constatare, attraverso questo breve momento operativo, che il
successo scolastico dei ragazzi parte soprattutto dalla capacità del docente di servirsi
delle competenze possedute dagli stessi alunni, di immagini mentali già costruite, per
attivare una relazione virtuosa tra esperienza e conoscenza.
Da queste convinzioni ho maturato, inoltre, durante brevi momenti
elaborativi-progettuali, collegati all’attività laboratoriale svolta in università,
un’ipotesi di lavoro che avrebbe potuto legarsi perfettamente ad alcuni obiettivi posti
dal progetto trasversale d’istituto “Ambiente: un tesoro da salvare”,
Relazione di Tirocinio
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precedentemente descritto: in particolare allo sviluppo di conoscenze inerenti al
proprio territorio, principalmente visto nel suo aspetto storico. L’ipotesi sarebbe stata
quella di utilizzare la metodologia dello storytelling (valorizzando, quindi, storie
personali, vicende, aneddoti di personaggi che vivono o hanno vissuto un dato
territorio) in un contesto didattico tra geografia e storia per favorire, attraverso
un’esplicitazione narrativa, l’inclusione della dimensione temporale nell’affrontare
problemi geografici, come la ricostruzione di un territorio; un’operazione che risulta
fondamentale anche nella prospettiva di dare delimitazione spaziale a fenomeni e
fatti che, ancorati in un luogo definito, diventano segni fisici ed elementi geografici
caratterizzanti.
Durante la mia fase operativa non posso non riportare i momenti in cui sono
venuto a contatto con l’estrema varietà e la delicatezza delle problematiche legate
alla disabilità. La mia tutor, insieme con l’insegnante di sostegno, conoscendo la mia
inesperienza nel campo dell’insegnamento hanno cercato di introdurmi gradualmente
nel “loro mondo”: fornendomi un quadro diagnostico e insieme educativo-didattico
dei singoli allievi chiaro e completo; e indicandomi, durante la “pratica” del tirocinio
diversi modi di relazionarmi con chi si trova in una situazione di disabilità. È
importantissimo il tipo di relazione che si viene a creare tra docente e disabile; è
solamente, infatti, tramite una corretta relazione d'aiuto ed educativa che si può
promuovere nell'altro la crescita, lo sviluppo, la maturità ed il raggiungimento degli
obiettivi, favorendo nel soggetto in difficoltà una maggiore valorizzazione delle
capacità presenti, in modo da incoraggiare una crescita che porti a graduali
miglioramenti. Anche e soprattutto in questi casi è altrettanto importante il modo di
porsi del docente: deve accogliere la persona nella sua globalità, deve essere
empatico, deve immedesimarsi nell'altra persona per capire ciò che essa prova, senza
perdere il proprio punto di vista, sviluppando, al contempo, la capacità di essere
creativo e flessibile nell’“inventare” sempre nuove e interessanti attività, purché
significative per la crescita degli allievi in difficoltà.
CONCLUSIONI
Relazione di Tirocinio
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“Quando qualcuno riflette nel corso dell’azione, diventa un ricercatore operante nel contesto della
pratica […]. La sua indagine non è limitata a una decisione sui mezzi dipendente da un preliminare
consenso sui fini. Egli non tiene separati i fini dai mezzi, ma li definisce in modo interattivo, mentre
struttura una situazione problematica. Non separa il pensiero dall’azione, ragionando sul
problema sino a raggiungere una decisione che successivamente dovrà trasformare in azione.
Poiché la sua sperimentazione rappresenta una sorta di azione, l’implementazione è costruita
nell’ambito dell’indagine.”
D. A. Schön
«Formare il professionista riflessivo. Per una nuova prospettiva della formazione e
dell’apprendimento nelle professioni»
Alla fine di questo straordinario ma anche faticoso viaggio posso trarre, con
lucidità e consapevolezza, alcune considerazioni. In primo luogo è stato possibile
riscontrare come il conseguimento della laurea (magari anche a pieni voti) sia solo
l’inizio di un percorso, una ricerca continua, da parte del futuro docente, che miri
all’ampliamento delle proprie competenze e alla riflessione sulle pratiche didattico-
educative messe in atto. In questa prospettiva si può affermare che «la formazione,
iniziale e continua, degli insegnanti non può esaurirsi oggi nell’acquisizione di saperi
e tecniche nuove e nemmeno nella traduzione in pratica solamente di teorie, ma si
deve configurare piuttosto come una sorta di “apprendistato della capacità riflessiva”.
La necessità diviene quella di abilitare chi insegna a ragionare sopra la sua
riflessione, il suo agire in situazione, per analizzarlo, comprenderlo, giudicarlo ed
eventualmente migliorarlo. […] Per un insegnante oggi, molto di più che nel passato
(si fa riferimento alla svolta data dal D. P. R. 275/1999 in merito all’autonomia
scolastica), diviene necessario essere in grado di progettare il proprio intervento, di
assumere decisioni in situazione privilegiando una tipologia di conoscenza che
deriva da un processo continuo di elaborazione e di trasformazione dei saperi e dei
modelli culturali, piuttosto che da una pura implementazione di conoscenze teoriche
nella pratica professionale. Oggi infatti all’insegnante si chiedono capacità di
utilizzare un insieme di conoscenze in maniera dinamica e flessibile e proprio in
questo senso la formazione punta alla costruzione di strumenti e strategie per
“leggere” l’esperienza in prospettiva ragionata nel senso di rielaborazione dell’agire
Relazione di Tirocinio
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e di pensiero orientato sull’analisi del fare. L’interrogazione riflessiva rimanda al
concetto di “pratica riflessiva” come analisi da parte del soggetto in formazione e
autoformazione della propria azione e dei processi mentali che l’accompagnano»7.
Un processo che diventa indispensabile considerando il passaggio (anche se tutto da
consolidare) all’autonomia delle singole unità scolastiche: un’autonomia che un
“bravo insegnante” deve saper interpretare e tradurre in modelli di azione concreta.
D’altra parte «la scuola rappresenta un crogiuolo di contesti, azioni, attori sociali e
culturali, di intenzioni e progettualità che rendono quanto mai difficile ignorare la
strada della riflessività come strumento di sviluppo di azioni competenti. […] Il
lavoro educativo richiede attenzione al pensiero autobiografico professionale in una
duplice direzione: da una parte come progettualità educativa e formativa per gli
studenti (imparare a riflettere e a comunicare sul Sé è una delle prerogative
fondamentali dell’educazione); dall’altra una progettualità formativa per gli
insegnanti troppo spesso “confinati”, o “autoconfinati”, in un lavoro tecnico,
routinario, prevalentemente attento ai contenuti piuttosto che ai processi»8.
È proprio nella parola chiave della “riflessività” che si può individuare il
ponte tra i due momenti principali del corso abilitante, quello puramente teorico,
tenutosi in università, e l’altro di carattere pratico svolto a scuola; la capacità di
riflettere sul proprio Sé e di conseguenza sul Sé degli studenti rappresenta una
condizione necessaria per attivare quel “doppio sguardo” che consente di mettere in
relazione dimensione soggettiva e dimensione sociale della professione docente.
Attivando la propria riflessività in relazione a numerose situazioni che vanno dalla
realtà organizzativa, territoriale e socioculturale della scuola, passando per la
dimensione progettuale e la pratica didattica, fino ad arrivare alla realtà emotiva che
riguarda la propria immagine professionale carica di valori e credenze, l’insegnante
richiama un’azione fondamentale: si decentra, interrogandosi in maniera dinamica e
circolare sui processi di teoria e prassi, di costruzione dei propri saperi e strategie
didattiche, attivando un dialogo virtuoso tra interno ed esterno.
7 C. Petrucco – M. De Rossi, Narrare con il digital storytelling a scuola e nelle organizzazioni, Carocci editore, Roma, 2009, pp. 99-100.8 Ibidem.
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“La felicità non è avere ciò che si desidera, ma desiderare ciò che si ha”.
Prendo in prestito il famoso aforisma di Oscar Wilde per concludere questo lavoro e
augurare a me e a tutti i miei (spero) futuri colleghi di avvertire sempre l’esigenza di
un cambiamento, di un rinnovamento che possa portare a recuperare, ogni giorno, il
senso della professione docente, il desiderio d’insegnare che si traduce in passione e
attenzione. Quel desiderio che (come anticipato nell’introduzione) ha attivato,
all’inizio di questo viaggio, un processo di ricerca ma che oggi mi propongo di
coltivare per dare significato all’azione didattica: un desiderio che deve spingere chi
insegna a re-inventarsi, a de-costruirsi non solo come docente ma soprattutto come
persona. In questo stesso momento in cui mi accingo a concludere questa riflessione
mi rendo conto, d’altra parte, che in tutti questi mesi sono stato immerso in una
ricerca continua, in un percorso, in una storia, in una narrazione di cui ero
l’eroe/protagonista: all’inizio avevo solo tracce, indizi, idee confuse; ma, procedendo
man mano nella “foresta”, e superando prove e ostacoli, ho cercato di avvicinarmi
sempre più alla verità, per poi scoprire, alla fine di questo viaggio, che la Verità
stessa non esiste: «la verità è un processo, il cammino verso la verità una
narrazione»9. Per questo l’insegnante non può essere un semplice esecutore, un mero
applicatore di teorie apprese: l’insegnante è anche mente, corpo, cuore che deve
sapere mettersi continuamente in gioco e mostrarsi come soggetto capace di andare
oltre verità precostituite, come soggetto desiderante, cioè che de-sidera (fuori dalle
stelle) per tentare ogni giorno un viaggio che prevede percorsi originali, sollecitati
dalla curiosità e dalla passione; un viaggio fatto di successi e fallimenti ma
contraddistinto, comunque, dalla sperimentazione continua.
Un buon insegnante deve prima di tutto desiderare di esserlo!
APPENDICE
Unità di apprendimento di geografia:
9 S. Colazzo, Webquest: una palestra dell’apprendimento per abduzione, [Pubblicata sulla rivista “Studi e Ricerche” del Dipartimento di Scienze Pedagogiche, Psicologiche e Didattiche dell’Università di Lecce, anno VI, n. 13-14, pp. 11-21].
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GEOGRAFIA E STORIA: LO STORYTELLING NELLA
RICOSTRUZIONE STORICA DI UN TERRITORIO
SCUOLA: Istituto d’Istruzione Secondaria di I grado
CLASSE: III
ANNO SCOLASTICO: 2011/12
DOCENTE: Giuseppe Capone
SOMMARIO
L’obiettivo è quello di utilizzare la metodologia dello storytelling in un
contesto didattico tra geografia e storia per favorire, attraverso un’esplicitazione
narrativa, l’inclusione della dimensione temporale nell’affrontare problemi
geografici, come la ricostruzione di un territorio; un’operazione che risulta
fondamentale anche nella prospettiva di dare delimitazione spaziale a fenomeni e
fatti che, ancorati in un luogo definito, diventano segni fisici ed elementi geografici
caratterizzanti.
OBIETTIVI TASSONOMICI
Tale percorso di apprendimento, al fine di sviluppare gli aspetti fisici,
affettivi, cognitivi e sociali dell’area di comunicazione degli allievi, si propone
d’inserire il racconto di storie come fulcro dell’attività didattica, nello specifico, della
ricostruzione storica del territorio. In questa prospettiva l’attività da perseguire è
quella di una contestualizzazione narrativo-emotiva dei diversi temi da analizzare in
relazione ad una geografia che, sulla scorta del pensiero di F. Braudel, diventi
l’indicatore dei segni della civiltà. La valorizzazione di storie personali, vicende,
aneddoti di personaggi che vivono o hanno vissuto un dato territorio, ricostruite con
efficacia e attraverso una coerente strategia narrativa, possono, infatti, favorire un
processo di apprendimento mediante l’attivazione di quel tessuto emotivo che
Relazione di Tirocinio
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realizza esperienze di partecipazione, coinvolgimento e identificazione, aiutando al
contempo la comprensione e la ricostruzione di un territorio come memoria
collettiva. In questo senso, concentrando lo sviluppo di tale strategia didattica sul
contesto locale, si può favorire il raggiungimento dei seguenti obiettivi:
Avvicinare i ragazzi ai problemi di ricostruzione storico-geografica del
proprio territorio;
Sviluppare curiosità e senso critico;
Creare motivazione nell’apprendimento valorizzando legami affettivi;
Sviluppare atteggiamenti di rispetto nei confronti del proprio patrimonio
culturale;
Favorire la formazione di un cittadino partecipe.
OBIETTIVI OPERATIVI
Il percorso verrà articolato in diverse fasi attraverso le quali gli studenti
acquisiranno varie competenze:
Fase 1 (Story finding): rilevare una storia interessante e verificare se i
contenuti sono coerenti con gli obiettivi di apprendimento e le finalità scelte;
si può partire, in questa prospettiva, dal contesto locale che può favorire una
motivazione all’apprendimento valorizzando i legami affettivi. In questo caso
i ragazzi saranno invitati a diventare i protagonisti di un testo autobiografico,
di una storia che, per esempio, racconti i loro luoghi d’incontro all’interno di
una città. Il territorio così, diventato lo sfondo di una storia, può essere
utilizzato come fonte, come archivio di dati storici sedimentati attraverso i
quali una società può essere ricordata. In questa fase gli allievi svilupperanno
la capacità di osservazione e riconoscimento degli elementi costitutivi il loro
quartiere, la loro città, il loro territorio.
Fase 2 (Story telling): la storia viene narrata e riconosciuta come coerente e
dotata di una struttura narrativa chiara ed equilibrata (incipit, sviluppo,
risoluzione); si può pensare anche ad una costruzione visiva della storia
tramite la realizzazione di un fumetto o di una photostory realizzando un
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montaggio con movie maker, in modo tale da stimolare i ragazzi
all’interiorizzazione dei luoghi e monumenti che fanno da sfondo alla
vicenda.
Fase 3 (Story processing): verificare se la storia produce un’attività
riflessiva. All’interno del processo di ricostruzione storica di una città, per
esempio, si possono individuare i singoli elementi architettonici presenti nella
storia, anche attraverso l’uso di cartine topografiche. Individuare:
- singoli oggetti architettonici: palazzi, ospedali, stazioni, chiese, conventi,
mura, porte, archi di trionfo, ecc.
- strade: vie di quartiere, viali, croci di strade, rotonde, ecc.
- isolati: cioè insiemi di edifici circoscritti da un sistema di strade.
- spazi pubblici: piazze (piazza comunale, del mercato, della chiesa, ….)
Si possono poi specificare le singole parti di una città:
- nucleo storico centrale;
- quartieri residenziali a alta o bassa densità, aree industriali e ferroviarie,
commerciali, …
- periferia e i sobborghi.
Seguirà l’esperienza sul campo: individuare una fonte di analisi oggettiva che
ha fatto da sfondo alla vicenda narrata attraverso l'osservazione di fenomeni
svolti in un determinato territorio e in un arco di tempo ben definito.
Verificare, quindi, in che modo le differenze (anche piccole) dal punto di
vista geografico possano influire sullo svolgersi della vicenda. Se, per
esempio, la storia narrata si svolge prevalentemente all’interno del centro
storico, far intercettare le differenze tra due diverse fasi delle sviluppo di
questa parte della città prendendo in esame un periodo storico ben definito. In
questo modo gli allievi svilupperanno lo studio dell’osservazione diretta
dell’ambiente e la capacità di confrontarlo con quello del passato: nel
particolare caso dell’esplorazione, nella vicenda narrata da ognuno, dei luoghi
della propria città, sarà utile il confronto tra le diverse organizzazioni
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urbanistiche, nei periodi storici presi in esame, in modo tale da verificare
come tali periodi storici abbiano influito sull’evoluzione, sulle funzioni e
sulla struttura delle diverse parti di una città. Rilevare se sono ancora presenti
questi segni e indicatori del passato.
Fase 4 (Story reconstructing): rilevare se la storia ha modificato i
comportamenti e gli atteggiamenti degli studenti coinvolti sugli argomenti
trattati. In questa prospettiva si può invitare i ragazzi a ricostruire la propria
storia collocandola nel periodo storico preso in esame inserendo, pertanto, le
differenze geografiche intercettate, attraverso un processo di auto-costruzione
del percorso di apprendimento. Alla fine si può osservare, pertanto, se
l’alunno riesce a collocare fatti ed eventi sulla linea del tempo e rileva
permanenze e trasformazioni.
PREREQUISITI
I ragazzi dovranno possedere, prima d’intraprendere tale percorso di
apprendimento, la consapevolezza delle nozioni geografiche di base, la capacità di
orientarsi nello spazio e di cogliere gli elementi del loro territorio, e la conoscenza
dei contesti storici presi in considerazione.
SITUAZIONE MOTIVANTE
Per favorire la curiosità e il coinvolgimento degli alunni al percorso di studi, è
essenziale creare entusiasmo; in questa prospettiva, tenendo sempre ben presente il
fine dell’unità di apprendimento (la ricostruzione storica di un territorio), si cercherà
di collegare la metodologia dello storytelling alla loro sfera esperienziale, stimolando
la generazione o la raccolta di storie, racconti, vicende che riguardano la loro
quotidianità o persone comunque loro vicine che hanno vissuto un dato territorio,
come i loro nonni. I racconti, infatti, generano emozioni, appartenenza e
partecipazione cognitiva, supportano la comprensione di eventi complessi; e tutti
questi processi, emotivi, identificativi, partecipativi, svolgono un’importante
funzione formativa. D’altra parte la conoscenza di un luogo si fa, soprattutto, a
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partire da chi quel luogo lo vive, lo abita e lo ha abitato: la narrazione diventa così
uno degli strumenti più utili al coinvolgimento e alla partecipazione degli alunni,
nonché alla costruzione del loro stesso processo di apprendimento, nella prospettiva
di favorire la conoscenza di quel patrimonio di memorie che definiscono un territorio
dal punto di vista storico-geografico e la comprensione che l’oggi è il risultato di
tanti processi, cambiamenti e trasformazioni.
METODI E TECNICHE
Lo storytelling, letteralmente l’arte del raccontare storie, è una tecnica molto
antica adoperata dall’uomo per comunicare ai suoi simili la propria conoscenza.
Narrare vuol dire “far conoscere”. L’ascesa dell’approccio narrativo e delle ricerche
sul significato e sulle potenzialità formative e culturali della narrazione è favorita
dalla rivalutazione del pensiero narrativo in alternativa a quello scientifico: se il
pensiero scientifico, infatti, s’inserisce in un sistema esplicativo, formale e
matematico, quello narrativo si occupa delle azioni, dei comportamenti dell’uomo e
lo fa attraverso un linguaggio simbolico, mitico, analogico, metaforico che si traduce
nel discorso narrativo. Pertanto, le storie, i racconti costituiscono delle trame che non
solo intrattengono chi le ascolta, ma vengono ricordate e rielaborate durante la
fruizione attivando processi emotivi, di identificazione e forte coinvolgimento; in
questo senso si può cogliere il potenziale didattico della narrazione, le peculiarità
educative e formative intendendola sia come strumento di comunicazione delle
esperienze, sia come strumento riflessivo per la costruzione di significati
interpretativi della realtà. Sulla base di queste convinzioni, lo scopo è quello di
guidare i ragazzi a raccontare e leggere un territorio che spesso risulta ai loro occhi
sconosciuto nelle sue stratificazioni storiche, quasi un “non-luogo”, un semplice
sfondo ai loro spostamenti e incontri abituali. Una piazza, per esempio, è un luogo
classico di condivisione emotiva, e quindi non rappresenta solo un insieme di strade,
edifici o monumenti, ma anche un complesso di sentimenti e memorie che possono
essere tramandate col succedersi delle generazioni. Partendo da racconti
autobiografici si instaura, quindi, un legame tra “presente”, inteso come storia
individuale, come vissuto personale, per agire a livello motivazionale sugli studenti,
e “passato” al fine di acquisire un sapere che diventa tale perché è costruito insieme a
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loro, a partire dalla loro realtà e non è solo dato e memorizzato. L’ambiente vissuto e
raccontato dai ragazzi, così, si fa immagine interiore attraverso un processo di
ricostruzione del territorio che partendo dalla dimensione orizzontale e geografica si
inoltra nella dimensione temporale del tempo. E il pensiero narrativo, in questo
senso, può diventare un vero e proprio stile didattico che approfitta della forza
emotiva che può generare una storia per comunicare esperienze formative ed
educative: il contesto vissuto e raccontato diventa, infatti, oggetto di riflessione, di
analisi critica e non è più un dato ma uno spazio che parla attraverso segni
riscontrabili che lo hanno definito e lo caratterizzano nel presente. Inoltre, ricordare e
raccontare una storia è, il più delle volte, un’esperienza “allocativa”: non c’è
memoria senza un luogo che stabilisce un legame con l’identità e la soggettività. Ed è
proprio sfruttando questo potenziale che caratterizza la narrazione che si passerà
dall’appartenenza ad un territorio alla ricostruzione di fatti, eventi, processi che
hanno interessato quel territorio e che si sono sedimentati.
CONTENUTI
La città nella storia e nel territorio (sito, posizione)
Struttura della città (pianta, quartiere, sobborgo, periferia, agglomerazioni)
Le funzioni urbane (nella storia e nel territorio)
Nello sviluppare questi contenuti l’urbanistica ci aiuta a comprendere i sensi
del territorio, a capire lo spazio in cui si vive, ci si muove e si interagisce. Ci guida a
leggere i segni della città con le variabili che, nelle diverse epoche, sono intervenute
a tradurre forme differenti dello spazio urbano.
MATERIALI E STRUMENTI
Gli strumenti per la costruzione di una strategia narrativa posso essere:
racconti orali, racconti iconici, photostory, digital storytelling, album di fotografie
etc… prestando attenzione al fatto che i diversi elementi di uno storytelling siano ben
integrati e calibrati al fine di esprimere un contenuto emotivo specifico e coerente
all’obiettivo prefissato. Fondamentale risulta l’uso di documenti catastali che
permettono di stabilire un consistente punto fermo, agganciato a dati attendibili, nella
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ricostruzione regressiva di un territorio: si possono così rintracciare dati
toponomastici, ubicazione di edifici, etc.. nella prospettiva di un impiego sistematico
per la ricostruzione d’insieme del territorio nei diversi periodi storici presi in
considerazione. Introdurre lo strumento dell'atlante storico, fondamentale per lo
studioso di storia ed estremamente dipendente dall'individuazione geografica dei
luoghi. Obiettivo fondamentale è quello di far acquisire, con una certa dimestichezza,
la competenza della lettura e interpretazione di una carta storica, i suoi elementi e i
significati delle informazioni contenute. Inoltre è importante introdurre l’uso di carte
topografiche appartenenti ai periodi storici presi in considerazione.
SPAZI
L’unità didattica si svolgerà prevalentemente in classe durante le prime due
fasi (story finding e story telling); mentre le successive fasi operative (story
processing e story reconstructing) si potranno svolgere negli spazi del territorio
oggetto della materia narrativa dei ragazzi.
COLLEGAMENTI DISCIPLINARI
Storia, Storia dell’arte.
DURATA COMPLESSIVA
La durata prevista per lo svolgimento dell’intera unità di apprendimento è di
circa 8-10 lezioni.
VERIFICA
Tale percorso di apprendimento terminerà con brevi momenti di verifica sui
contenuti acquisiti che saranno preziosi al fine di monitorare l’interiorizzazione dei
principali concetti. D’altra parte, si può verificare l’acquisizione delle conoscenze da
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parte dei ragazzi nel momento in cui, nell’ultima fase del percorso didattico, saranno
chiamati ad ambientare la propria storia nel periodo storico preso in considerazione,
inserendo gli elementi geografici intercettati durante il percorso di ricostruzione
storica del territorio.
VALUTAZIONE
La valutazione sarà espressa sulla base dei risultati emersi dalle singole fasi
nelle quali si articolerà l’unità, dai momenti di verifica, dall’interesse e l’entusiasmo
dimostrato da parte di ciascun alunno, e dei progressi raggiunti.
ATTIVITÁ DOCENTE ALUNNI
Ricerca di documenti e fonti utili nel percorso di ricostruzione storica del
territorio.
SVILUPPI SEQUENZIALI
Alla fine di tale esperienza di apprendimento si potrà valutare, facendo
riferimento al territorio preso in esame, se inserire altri percorsi didattici come:
- Dinamica della popolazione;
- Organizzazione degli spazi agricoli;
- Organizzazione territoriale dell’industria;
- Attività terziarie.
Relazione di Tirocinio