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NOTIZIE NOTIZIE dei Canonici Regolari Lateranensi – Provincia Italiana Anno XL - n. 73 - Aprile 2012 Quadrimestrale n. 73 - Anno 40 - Aprile 2012 Registrato presso il Tribunale di Roma con il n° 431 in data 28/10/2004 Poste Italiane spa - spedizione in a.p. D.L.353/03 (conv. in L.27/02/2004 n° 46) art 1 comma 2 e 3 aut C/RM/169/20 Celebrare Celebrare è dire GRAZIE! è dire GRAZIE!

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NOTIZIENOTIZIEdei Canonici Regolari Lateranensi – Provincia Italiana

Anno XL - n. 73 - Aprile 2012

Quadrimestrale n. 73 - Anno 40 - Aprile 2012Registrato presso il Tribunale di Roma con il n° 431 in data 28/10/2004

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Anno XL - n. 73 - Aprile 2012

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NOTIZIEDEI CANONICI REGOLARI LATERANENSI

PROVINCIA ITALIANA

Quadrimestrale n°73 Anno 40 Aprile 2012RRegistrato presso il Tribunale di Roma con iln° 431 in data 28/10/2004Poste Italiane spa - spedizione in a.p.D.L.353/03 (conv. in L.27/02/2004 n° 46) art 1comma 2 e 3 aut C/RM/169/2004

SEDE REDAZIONALE:Collegio San VittoreVia Sette Sale, 24 - 00184 RomaPer informazioni:[email protected]. e fax 06/483703

c/c post. n. 23749005intestato a: Canonici RegolariLateranensi - Provincia ItalianaDIRETTORE RESPONSABILE:Maria Grazia FioraniREDATTORE RESPONSABILE:d. Edoardo [email protected]. e fax 06/8610840REDAZIONE:d. Giuseppe Cipolloni,d. Franco Bergamin,d. Damiano Barichello,Federica Pennesi,Emanuele Pozzilli,Federico CenciSITO INTERNET:www.lateranensi.itSTAMPA:STAMPERIA ROMANA S.R.L.Industria Grafica

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Rendiamo grazie a Dio don Giuseppe Cipolloni

Dossier Celebrare è dire grazie!

“Prese il pane e lo spezzo” don Andrea Piccolo

“Ecco l’Agnello di Dio”don Pasquale Criscuolo

“Prendete e mangiatene tutti”Sergio Gatti

“La messa (non) è finita. Andate in pace”Andrea Grillo

“Fate questo in memoria di me”don Raffaele Zaffino

Spazio Giovane

“A tavola prese il pane, recitò la benedizione...”don Damiano Barichello

Gli incontri del Giovedi a San Vittorea cura di Federica Pennesi

Ci diamo oggi il nostro “pane” quotidiano Federico Cenci

Vi suggeriamo

La Cena di Emmaus di Caravaggiodon Gianpaolo Sartoretto

Speciale capitoli

I Canonici: un dono per la Chiesadon Giuseppe Ganassin

Speciale Liturgia delle Ore

Ora media: la carezza di Diodon Raffaele Zaffino

Grembo e Fuoco per dire Speranzaa cura di don C. Lazzari e i catechisti di S. Giuseppe

Diario di una visita - gennaio 2012, Safadon Ercole Turoldo

Alunni di San Floriano - XXVII RadunoMario Scrocca

In ricordo di don Augusto FloriGiuseppe Flori

Vita di Famigliaa cura di don Giuseppe Cipolloni

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Carissimi,“grazie” è una delle prime parole che imparia-mo da bambini, è una di quelle che fanno piùparte della nostra vita di tutti i giorni. Ma èsoprattutto nella celebrazione eucaristica che il“grazie” acquista una risonanza tale da supera-re i limiti dello spazio e del tempo per divenirevoce del creato e comunione con il canto degliangeli e dei santi. Poiché non c’è “grazie” senzadono, ogni eucaristia ci fa rivivere l’apice dellanostra salvezza, il mistero pasquale di Cristo, ilquale, come ci racconta il Vangelo, “avendoamato i suoi che erano nel mondo, li amò sinoalla fine”. L’eucaristia è memoria di questoamore sconfinato e perché lo viviamo in tutta lasua pienezza, si arricchisce del racconto dellastoria che ha preceduto tale evento e dei fruttiche ne sono scaturiti. La celebrazione dellaParola è il momento in cui Dio ci prende sullesue ginocchia e nella sua tenerezza di Padre e diMadre, si racconta, ci racconta. Ci dice che nonci troviamo al mondo per caso. Ci siamo perchéLui ci ha voluto, ci ha amato, e tutto ciò che esi-ste lo ha creato per noi, perché trovassimo bello

il dono della vita. All’inizio ci pose in un giar-dino: il giardino dell’Eden, dove Lui era solitoscendere per passeggiare con noi, mano nellamano. Come era bello il camminare con Lui; ciinfondeva fiducia e calore. Come Padre eMadre ci accompagnò nella scoperta dell’uni-verso e ci insegnò a chiamare le cose con il loronome. Ma un giorno, un brutto giorno, quandoLui scese nel giardino e ci chiamò, non ci trovò.Ci eravamo nascosti, perché avevamo trasgredi-to i suoi comandi. Il maligno, invidioso dellanostra felicità, ci fece credere che Dio non eraun Padre buono, che anzi era geloso della nostragioia. E noi ci credemmo. Da quel giorno nonsolo la nostra vita, ma la vita del mondo interocambiò. Il sospetto che il maligno aveva semi-nato nel nostro cuore guastò la nostra relazionecon Lui, rovinò i rapporti tra noi e con il crea-to. Da quel giorno la nostra vita divenne unlungo e triste rimpianto di quel tempo bello tra-scorso nell’Eden.Ma il Padre celeste non ci lasciò al buio; acce-se per noi la luce della speranza. Ci promise ilSalvatore che avrebbe annientato il nemico

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“Rendiamo grazie a Dio”Eucaristia: riconoscere e ringraziare

don Giuseppe Cipolloni

1Peccato di Adamo ed Eva e cacciata dall’Eden (Michelangelo, Cappella Sistina)

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della nostra gioia. Per secoli i nostri antena-ti, alla sera, seduti intorno al fuoco, si rac-contarono questa promessa, e tante volte ilracconto diventava gemito, sospiro, preghie-ra e a volte anche pianto. Passarono i secoli,ed ecco… un giorno Gabriele, un Angelo delParadiso, fu mandato da Dio in una borgatadella Galilea, a Nazareth, ad una fanciulla: sichiamava Maria. Le annunciò che lei sareb-be divenuta, miracolosamente, per operadello Spirito Santo, la Madre del Salvatore, eche a Lui avrebbe dato nome Gesù. IlBambino nacque, crebbe come ognuno dinoi. Da Giuseppe, colui che tutti ritenevanosuo papà, imparò l’arte del falegname. E poiquando aveva circa trent’anni, lasciòNazareth e cominciò a predicare il Regno diDio, il nascere di un tempo nuovo, di unmondo nuovo, fondato sull’amore. Ci rivelòche Dio è Padre e veglia su ognuno di noi.Nelle sue Parole, nei suoi gesti di compas-sione, nei suoi miracoli ci fece intravederel’alba del nuovo mondo. Non tutti noi peròvolevamo questo mondo nuovo, tanto cheuna notte, tradito da uno dei suoi discepoli,fu preso, condannato a morte e morì incroce. Ma ecco: meraviglia delle meraviglie!Ecco che il giorno di Pasqua, un angelo ciannunciò che colui che la nostra cattiveriaaveva soppresso, Dio Padre lo aveva risusci-tato dai morti. E quanta fatica fece perché isuoi credessero a tale annuncio; pensavanodi vedere un fantasma. Non avevano tutti itorti. Non si era mai sentito che un uomomorto fosse risorto, con un corpo trasforma-to dallo Spirito. Il corpo che avremo anchenoi al momento della risurrezione finale. Ungiorno, durante la sua vita, ci aveva raccon-tato una piccola parabola, quella del chiccodi grano che muore e produce molto frutto.

Solo più tardi, quando i suoi discepoli rice-vettero lo Spirito Santo, il giorno diPentecoste, compresero che quel chicco digrano era Gesù stesso, e noi eravamo quelfrutto, frutto della sua morte e risurrezione.E noi oggi, ogni volta che ci ritroviamo percelebrare l’Eucaristia, riviviamo questa sto-ria meravigliosa e sempre facciamo memoriadella sua ultima Cena con i suoi apostoli,quando Gesù prese il pane e disse: “Prendetee mangiatene tutti, questo è il mio corpo datoper voi”; e poi prese il calice: “Prendete ebevetene tutti, questo è il mio sangue versa-to per voi”. E oggi, attraverso il sacramentodell’Altare, continua il dono della sua vitaper la salvezza di tutti noi. Noi proclamiamonon solo la sua morte e risurrezione, macelebriamo tutto il cammino che ha prepara-to tale evento e attendiamo la sua venutanella gloria, quando “saremo con Lui”.Per questo è bello, è cosa buona e giusta, ènostro dovere e fonte di salvezza, celebraresempre e dovunque quest’amore “sino allafine”. La meditazione e la contemplazione diquesto grande mistero aprono il nostro cuoree le nostre labbra alla lode e ci fanno gridarecon tutta la voce: “Rendiamo grazie alSignore nostro Dio”.

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In una sua lettera la scrittrice americanaFlannery O’Connor racconta di una cena traamici in cui si sta parlando dell’Eucarestia:«Tutti si aspettavano che io, unica cattolica,la difendessi. Mrs Broadwater disse che dapiccola, quando prendeva l’ostia, pensavache fosse quello lo Spirito Santo, la personapiù “portatile” della Trinità; ora invece loconsiderava un simbolo, e niente di male,dava ad intendere. E’ a quel punto che, conun gran tremito nella voce, ho detto: “Be’, seè un simbolo, che vada al diavolo”. Tutta quala mia difesa, ma ora mi rendo conto che nonsarò mai in grado di aggiungere altro…».(O’Connor F., Sola a presidiare la fortezza.Lettere, 46).L’Eucarestia è per eccellenza il sacramentodella presenza del Signore Gesù in mezzo alsuo popolo. Il fedele cristiano cattolico credeche il Signore si renda presente in manierareale nell’offerta dell’altare; e, dell’incontrocon questa presenza, nutre la sua vita quoti-diana e riceve la forza di cui ha bisogno peraffrontare il duro cammino che lo vede signi-ficativamente presente nel mondo, in pelle-grinaggio verso la compiutezza del Regno.Che qualità ha questa presenza? Da doveviene? Dove ci conduce?Il contesto in cui si parla di Eucarestia nelNuovo Testamento è delineato da tutta unaserie di affermazioni e di situazioni che Gesùsi trova a dire e a vivere. Una delle caratteri-stiche evidenti che questo contesto presenta èquella sacrificale: Gesù si sacrifica/vienesacrificato. Nei Vangeli di Matteo, Marco eLuca il contesto sacrificale è preparatodurante la predicazione di Gesù dai cosiddet-ti «tre annunci della Passione»: Gesù esplici-tamente annuncia la sua sofferenza e la suamorte e le lega alla città di Gerusalemme.Mentre il Vangelo di Giovanni, con sensibili-

tà più storica, riporta varie presenze di Gesùnella Città Santa, i tre Sinottici strutturano lanarrazione della predicazione e delle opere diGesù come un unico grande viaggio versoGerusalemme che costituirà l’apice di tutta lasua missione. Anche narrativamente la ten-sione che si accumula nel racconto dei fatti edelle parole di Gesù ha uno sbocco, quasiun’esplosione, sulla croce al grido di Gesùche accompagna il suo «rendere lo spirito».C’è poi la parabola dei «vignaioli omicidi»che letta dopo gli eventi della Pasqua dovetterisultare quanto mai emblematica. In ultimaanalisi, e tralasciando altri possibili esempi,c’è il contesto prossimo della cena pasqualeche è contesto di appartenenza al popolo (laritualità della cena, gli stipiti delle porte degliEbrei, segnate col sangue dell’agnello inEgitto) e di passaggio (= pasqua) di liberazio-ne. La drammaticità dei racconti evangelici,la tensione che si crea in essi, nonché le paro-le stesse di Gesù, ci mettono in guardia dal-l’interpretare l’Eucarestia solamente comeun banchetto fraterno. Quello raccontato neiVangeli è tutto tranne un banchetto fraterno:è pieno di tensione, di allusioni continue altradimento, al rinnegamento, all’offerta tota-le e sofferta di sé da parte di Gesù. Balza agliocchi anche l’inconsistenza degli apostoli

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“Prese il pane e lo spezzò”Eucarestia: incontro con il Signore risorto

don Andrea Piccolo

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che non capiscono, si spaventano, fuggono,tradiscono, piangono.Tuttavia la dimensione del banchetto frater-no c’è, eccome. In prospettiva e in dinami-smo escatologici, però: «Io vi dico che nonberrò più di questo frutto della vite fino algiorno in cui lo berrò nuovo con voi nelregno del Padre mio», così dice Gesù inMatteo e con alcune differenze in Marco eLuca dopo aver passato il calice ai discepo-li. Questa frase ci ricorda sempre che il ban-chetto eucaristico a cui ci sediamo ora èun’anticipazione di quello che mangeremonel Regno del Padre. Quello che mangiamooggi, deve passare per il sacrificio del Figliodi cui è memoriale: «fate questo in memoriadi me»; quello del Regno, sarà tra tutti iRisorti in Cristo. Già, i fedeli risorti!Sembra che ci sia una separazione netta,nella dottrina cristiana, tra donazione diGesù fino alla morte e la resurrezione deicredenti, tra Eucarestia e Regno dei cielitotalmente compiuto, tra sofferenza e gloria,per dirla in altre parole. Ciò che tiene assie-me queste due realtà è proprio la presenzaEucaristica di Gesù che è presenza delRisorto. Noi nell’Eucarestia mangiamo il

Cristo vivo, il Corpo risorto di Gesù che hagià portato nel Regno del Padre, quel pane equel vino che mangiamo e beviamo sull’al-tare, essi sono già diventati Lui, come anchenoi diventeremo Lui nel Regno del Padre.Noi mangiamo e beviamo quello che saremoin pienezza e che cominciamo ad essere, inombra e in itinere, già oggi. Sotto questoaspetto gli antichi contestatori e persecutoridella Chiesa erano ben più intelligenti eacuti di quelli di oggi, anche se comunquelontani dal vero: oggi nessuno ha la sagaciadi accusare i cristiani di essere cannibali enon è certo per sensibilità e bon ton. Gliantichi invece, ben più concreti, erano rima-sti scandalizzati dall’affermazione e dallafede nella presenza reale del Corpo e

Sangue di Cristo, pergiunta vivo. Un moni-to per noi cristiani dioggi tanto frettolosi edistratti di fronte alMistero di unaPresenza.Per chi volesse appro-fondire c’è un librici-no molto bello e leg-gibile non solo dagli addetti ai lavori:DURRWELL F.-X.,L’Eucarestia presen-za di Cristo, ed.Qiqajon, 1998.

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Il pellicano, simbolo del sacrificio di Cristo (capitello nel Cenacolo di Gerusalemme)

Cenacolo di Gerusalemme

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“Entrando nel mondo, Cristo dice: Tu non hai voluto né sacrificio né offerta,un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrificiper il peccato.Allora ho detto:«Ecco, io vengo - poichédi me sta scritto nel rotolo del Libro -per fare, o Dio, la tua volontà»” (Ebrei 10, 5-7).Con queste parole la Chiesa ci fa entrarenella Settimana Santa; le leggiamonell’Ufficio delle Letture dellaDomenica delle Palme. In queste parole èsintetizzato tutto ciò che si vive nei gior-ni del Triduo Santo. L’autore della lette-ra agli Ebrei mette sulle labbra di Gesù leparole del Salmo 40 (vv. 7-8), leggendo-lo non come una profezia da realizzarsiné come un desiderio astratto, ma comeattuazione di ciò che è avvenuto e che siattualizza nella quotidianità. Quando loviviamo, quando sperimentiamo l’offertadel corpo, la risposta libera all’ECCOMI,

il dono della riconciliazione? Lo viviamonell’Eucarestia: “Ogni volta infatti chemangiate di questo pane e bevete di que-sto calice, voi annunziate la morte delSignore finché egli venga” (1 Corinzi11,26). Nell’Eucarestia celebriamo lagrande offerta del Figlio al Padre. Ilcuore di ogni celebrazione è proprio ilsacrificio. Il verbo SACRIFICARE, nellalingua ebraica propria della Scrittura,significa “far salire”. Nella prospettivabiblica, l’essenza del sacrificio non ètanto l’uccisione della vittima ma ilsegno della sua elevazione. La vittima è“fatta salire” sull’altare e attraverso ilmovimento del fuoco, simbolicamente,nel fumo, è fatta salire verso l’alto. Ilpopolo del Signore, nell’AnticaAlleanza, vedeva il proprio salire allaComunione con Dio. Ma noi, questounico ed eterno sacrificio di Cristo, comelo viviamo, come vi partecipiamo?Dovremmo capire nella Fede e viverlo

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Altare della chiesa di S. Secondo in Gubbio

“Ecco l’Agnello di Dio”Altare, Vittima e Sacerdote

don Pasquale Criscuolo

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nell’Amore, non come spettatori passivima come veri cristiani, consapevoli che ilsacramento del sacrificio di Cristo è pereccellenza il sacramento di ogni battez-zato; unendoci al capo, che è Cristo, ci fadiventare il vero corpo della Chiesa.Senza Eucaristia non c’è Chiesa ma solomembra che diventano un organismo ste-rile. In quel sacrificio invece diventiamoun solo corpo e un solo spirito, innalzatoalla Comunione della Trinità. In questaprospettiva comprendiamo pienamente leparole di Gesù: “Quando sarò innalzatoda terra, attirerò tutti a me” (Giovanni12,32). Sì, Cristo ha innalzato sull’altaredella Croce quello che aveva assunto danoi. S. Agostino ci ricorda nelCommento ai Salmi: “Quale parte di lui,infatti, pendeva dalla Croce, se non ciòche aveva assunto da noi?”. Noi vedia-mo il suo corpo che pende dalla croce ein quel corpo ci siamo tutti noi. S. Paoloci dice: “L’uomo vecchio è stato crocifis-so con lui…” (Romani 6,6). Mentre ilsuo corpo pende, il suo spirito è conse-gnato (cfr Luca 23,46) al Padre e donatoall’Uomo (cfr Giovanni 19,30). Questo èil vero sacrificio: una vita offerta peramore che sale come incenso profumatoverso Dio. L’Eucarestia non è forseanche per noi l’offerta della nostra vita?

“Vi esorto, fratelli… offri-te i vostri corpi comesacrificio vivente, santo egradito a Dio; è questo ilvostro culto spirituale”(Romani 12,1). Non possiamo mettere daparte tutto ciò che vivia-mo, esistiamo nel corpo esiamo corpo. Offrire ilpane e il vino sull’altarediventa il segno chiaro etangibile della nostraofferta perché sia trasfor-mata dall’amore del Padre

per essere l’offerta a Lui gradita. In quelpane e in quel vino non possiamo nonoffrire il dolore, la gioia e la speranza;spesso sentiamo frasi con le quali civiene raccomandato: “Preghi per me”,oppure: “Preghi per mia figlia…” e cosìvia. Dove presentare queste preghiere senon sull’altare? È su quella mensa chedobbiamo deporre totalmente noi stessi.Quanti dolori, sofferenze, malattie, pian-ti; ma anche festa, contentezza, gioia esperanza! Il momento della consacrazio-ne è il cuore della celebrazione eucaristi-ca; dovrebbe essere vissuto con calma,meditazione, profonda preghiera e nelpiù totale silenzio. Qui avviene il misterodella nostra fede, noi offriamo una partedi noi, Cristo si offre totalmente a noi; ilnostro poco e il suo molto diventano dav-vero l’offerta gradita al Padre. Viviamolonella serietà: “Sta’ in silenzio davanti alSignore e spera in lui” (Salmo 36,7). Lìtutto trova una risposta. Anche il peccatoe la morte, in quell’orizzonte di amore,sono misteri rivelati: il peccato è perdo-nato e la morte è vinta. “E qualunquecosa facciate, in parole e in opere, tuttoavvenga nel nome del Signore Gesù, ren-dendo grazie per mezzo di lui a DioPadre” (Colossesi 3,7).

Agnello nella facciata della Cattedrale di Gubbio

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Un po’ meno di dieci anni fa, venneorganizzata a Roma una mostra sullaFamiglia nel XX secolo. Nelle diversesale del Museo di via del Corso, tele diartisti noti e meno noti del Novecentoitaliano si succedevano dando vita ad unpercorso di interpretazione della fami-glia che migrava dalla dimensione con-tadina a quella cittadina. Non mancava iltentativo di cogliere gli effetti delle gran-di trasformazioni - che hanno precedutoe seguito le grandi guerre - sulla struttu-ra, le abitudini, gli stili di vita dei nucleifamiliari: la numerosità dei componentiè andata diminuendo, la fertilità scen-dendo, la stabilità incrinandosi. Un belcalore si percepiva nelle sezioni dellamostra dedicate alla famiglia comeluogo degli affetti più forti e proprio perquesto mai scontati: le figure del padre edella madre, i bambini che fanno i com-piti (ricordo Intimità familiare di ErcoleDrei), i preparativi prima di uscire(Andiamo che è tardi di Giacomo Balla),altre situazioni che tentano di “fermare”gli attimi intensi della vita quotidiana. Ad un certo punto ricordo di aver incro-ciato un paio di dipinti che invece tra-smettevano una qualche freddezza. Edera proprio il momento del mangiare

insieme. La famiglia a tavola veniva rap-presentata con distacco e alterità, era“descritta”, non interpretata. O forse piùsemplicemente era “non sentita”. I dueartisti l’avevano voluta rappresentarecosì, come l’avevano vissuta o comel’avevano vista vivere. Il luogo e ilmomento simbolo del mangiare a tavola,del ritrovarsi, del condividere, del con-frontarsi nella più assoluta semplicità inquella mostra romana diventavano fred-de. Descritto come luogo dove emergo-no le tensioni familiari (La famiglia atavola di Achille Funi) e dove si incapsu-lano le tristezze delle assenze e deidistacchi (La cena dei rimasti di CarloPotente), il sedersi guardandosi negliocchi diventava più un imbarazzo che unmomento di letizia. A distanza di anni, quelle sensazioni tor-nano, filtrate da qualche stagione in più.Vengono in mente le tavole familiariquotidiane, quelle vissute durante unviaggio, quelle aperte ad amici e altricongiunti. Le dinamiche della tavolaquotidiana comunque permangono: con-centrate quando si è in cinque, più dilui-te quando si aggiungono posti a tavola.Ma una certa impronta comunque resta,probabilmente solo in filigrana.Comunque resta. Due domande. 1. La prima. Può la tavola familiareemanare freddezza o evocare tristezza?Ho imparato che dipende dallo spirito(quello minuscolo, ma con potenzialitàmaiuscole). Dipende dal modo con ilquale “si prepara” la tavola e dal tipo di“appetito” con il quale ci si siede. Nonpuò essere sempre allegro, non può enon deve essere sempre isolato da ciòche succede nel mondo o da ciò che si èvissuto durante la giornata. Non si puòpretendere di finire sempre il pasto conlo stato d’animo con il quale ci si è pre-parati e apparecchiati. Insomma, c’è unanormalità che rischia di scivolare via

“Prendete e mangiatene tutti”Quel pane di Gerusalemme che entra a casa nostra

Sergio Gatti*

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come banalità scontata. Proprio le cenedifficili, proprio quelle in cui le asperitàdella comunicazione attorno al tavolo sifanno un po’ pesanti, ti ritrovi con gliocchi che seguono i pensieri guardando idisegni della tovaglia, sono quelle cheracchiudono l’intensità dello stare insie-me. La tavola di ogni sera è un po’ latavola del giovedì santo: si benedice, sicondivide, si racconta, si discute, si liti-ga, si tiene il muso, si ride. Ma lì si pre-para anche il domani. Tutte forme delmettere in comune. Radice di tantedimensioni che si intrecciano e chehanno a che fare con la sera del giovedìa Gerusalemme e in tutte le sere nelmondo (anche se non per tutti coloro chesono nel mondo): una radice comune percomunione, comunicazione, comunità.Ma anche radice di verbi, di azioni che siconiugano in famiglia, anche con diffi-coltà, talvolta con sofferenza profonda:comprendere, comporre, compatire,comunicare, cominciare, compiere... Ilcom è il segno dello stare insieme. Einsieme quei verbi si riescono a coniuga-re al singolare e al plurale, al presente eal futuro. Senza dimenticarsi il passato.Quello stare seduti attorno al rettangolodi legno vestito di tovaglia annoda ildesiderio di infinito con la necessità di

fermarsi a nutrirsi; la voglia di senso e dirisposte ai grandi perché con l’umiltà deltagliare il pane e, dopo, del lavare i piat-ti; la necessità di organizzare l’indomanicon il sentimento non espresso che scor-re dietro gli occhi di chi ti sta di fronte.Quello stare seduti fa crescere. Fermarsia pensarci, accorgersene, viverlo inten-samente anche solo un attimo fa cresce-re.2. La seconda domanda. Il mangiareinsieme ha una grammatica? Non lo so.Ma se grammatica vuol dire non soloregole, ma anche luogo e tempo in cui siimpara, allora si può rispondere di sì. Iltavolo rettangolare può essere considera-to un insieme di “scuole”, un crocevia diinsegnamenti indiretti che trovanoespressione verbale. Mi permetto diindicare almeno sette “Scuole”.a) Scuola di relazioni basate sull’amore.La famiglia è la scuola degli affetti dagovernare (non da amministrare), dellagratuità e della costanza. A tavola la con-divisione è la dimensione più evidentedell’amore. Ma non c’è spazio per situa-zioni idilliache. Essere realisti e nonchiudere gli occhi di fronte alle difficol-tà del fare comunione non può scorag-giare o avvilire. In questa speciale pale-stra ci si addestra a reagire, a resistere, aprendere l’iniziativa. b) Scuola di lavoro. In famiglia si impa-ra a imparare. Si studia per essere com-petenti, per prepararsi a bussare alleporte di chi dovrebbe darti del lavoro,per imparare a dare il proprio contributoalla gestione delle cose concrete, perdividersi i compiti. A tavola se ne parla.Lì si possono spiegare le tecniche sem-plici per tenere in ordine la casa e inse-gnare i piccoli segreti per fare il sugo,non far scadere le bollette, cambiare lelampadine, prendersi le prime responsa-bilità fino in fondo, allenarsi alla durez-za del guadagnarsi anche oggi il panequotidiano. c) Scuola di solidarietà. La famiglia è ilprimo luogo della solidarietà, del dono,dell’altruismo. Lì si dispiega il welfaredi base, insostituibile e di grande valore:il prendersi cura di bambini, nonni, zii,

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vicini di pianerottolo e fratellini lontaniadottati a distanza, richiede allenamentoe buoni esempi. Ascolto e azione. Esseresia Marta sia Maria, del Vangelo.d) Scuola di gratitudine. Nulla è sconta-to tra le cose materiali e tra quelle imma-teriali che ci sono affidate. Attorno allatavola è bene stupirsi che qualcosa nelpiatto anche stasera c’è, che le opportu-nità nella giornata non sono mancate,che l’abbondanza relativa di oggetti erelazioni vanno gustati-apprezzati-inqualche modo condivisi: solo così si puòsperare di essere felici. e) Scuola di festa. Almeno una volta lasettimana c’è il giorno di festa. E l’ariafestiva va respirata. La domenica diven-ta giorno di comunione, quindi giorno difamiglia, spazio di ricreazione. Ma cisono anche le feste di compleanno, lefeste dei momenti forti dell’anno (ad es.Natale, Pasqua, Ferragosto) che attornoalla tavola si vivono insieme. Sonoimpronte che resteranno per sempre neibambini di oggi e che probabilmentecondizioneranno il loro essere adultidomani, il loro sentire e il loro fare nellesituazioni di festa: gioia intima da comu-nicare, allegria spontanea, buon umorecontagioso.f) Scuola di preghiera. Basta una fraseprima di mangiare. Talvolta qualcunoporta una poesia. Altre volte c’è chi inse-gna un canto nuovo di buon appetito.

Quando poi si sta fuori casa, qualchevolta quella preghiera si accontenta diessere detta sottovoce, per non disturba-re né creare imbarazzi. Ma intanto c’è.g) Scuola di economia. A Nazaret, Gesùcresce in una famiglia di artigiani.Lavora come falegname nella piccolabottega a conduzione familiare. Usa lemani che diventano abili e modellanooggetti. I genitori terreni di questo ragaz-zo – come tutte le famiglie – finché sonofidanzati hanno prima un sentimento diaffetto, che resta personale e privato. Maquando decidono di sposarsi entrano nelperimetro dell’economia.L’organizzazione economica della fami-glia assolve un compito importante nelprocesso di produzione e di spesa delreddito nazionale, nei meccanismi didistribuzione delle risorse, nel loro inve-stirle. Se la famiglia è monoreddito o no,se nella famiglia c’è qualcuno che perce-pisce una pensione, se c’è un disoccupa-to o un lavoratore precario, l’economiafamiliare di fatto riequilibra le ricchezzee le redistribuisce. Nella famiglia sifanno scelte di spesa, di risparmio, diinvestimento. E’ una forma di comunio-ne anche questa (una comunione di benimateriali e relazionale). Il grande reali-smo che lascia immaginare Gesù chevive, mangia, lavora nella famiglia cheha una piccola bottega in cui si tratta illegno è pieno di messaggi. La pienezzaumana è anche pensare all’umanitàrotonda di Gesù. Anche l’ostia consacrata a questo puntoracconta, promette e dona cose ancoranuove. Lì dietro si nasconde quel fale-gname che morì proprio su un pezzo dilegno e che è tornato a vivere. Riflettendosulla famiglia riunita attorno alla tavola,quel frammento di pane consacrato -perennemente in viaggio da quel giovedìsera a Gerusalemme - ancora una volta ciha raggiunto e ha guadagnato più sapore.

* Direttore Generale di Federcasse,nominato dalla CEI membro del Comitato orga-nizzatore delle Settimane Sociali dei CattoliciItaliani

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Cena di Emmaus (Velazquez)

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“La messa (non) è finita. Andate in pace”Rito e vita

nell ’esperienza della missione ecclesialeAndrea Grillo*

La messa finisce, ma la messa non fini-sce. Alcuni anni fa, riprendendo questopunto nodale della esperienza cristiana,il card. Carlo Maria Martini aveva pro-vocato i lettori suggerendo una nuovaespressione: “la messa è infinita”! Forseper comprendere meglio questa tensionedobbiamo soffermarci su diversi aspettidella Eucaristia, che dobbiamo armoniz-zare e comporre, senza smentirne uno alservizio di un altro.Poiché resta vero che l’atto rituale chechiamiamo “messa” – e che prende ilnome da quella espressione latina concui si conclude (“ite missa est”) di cuinon è del tutto chiaro il significato – ècomunque caratterizzato da una strutturaformale che impone un inizio e una fine.I “riti di conclusione” hanno proprio lafunzione di chiudere l’atto rituale e diricondurre alla esperienza ordinaria.Ora, di fronte a questo dato di fatto,potrebbe sembrare che da un lato questa

“interruzione” della messa introduca unascissione nella esperienza, che bisogne-rebbe evitare. Così la tendenza (o la ten-tazione) sarebbe quella di consideraretutta la vita come una messa e la messaestesa a tutta la vita. Questa legittima ricostruzione del“senso profondo” della eucaristia, tutta-via, non tiene conto di un fatto moltosemplice, ma non facilmente aggirabile.Ossia che la messa non è – come tale –una esperienza “ordinaria”: essa inter-rompe la vita ordinaria, la mette alcospetto della Parola di Dio, la fa esulta-re per la lode, per il rendimento di graziee per la benedizione, la trasforma indono e in offerta, la tocca con garbonella forma di una comunione senzatempo e senza spazio. Tutto ciò, però,viene realizzato “in forma simbolico-rituale”, ossia secondo usi della espe-rienza, del linguaggio e della azione chesono e rimangono del tutto particolari,

il che significa pro-priamente che non sipossono immediata-mente tradurrre inesistenza ordinaria.Qui allora sorge unadelle obiezioni piùinsidiose che laChiesa può fare a sestessa: la liturgiaeucaristica, nondiventa, in questomodo, una grandeparata che non hanulla a che fare conla “vita vissuta”?Per rispondere a

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I discepoli di Emmaus

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questa domanda biso-gna considerare atten-tamente proprio la“specificità” del modocon cui i riti “realizza-no la missione dellaChiesa”. Essi, utiliz-zando esperienze, lin-guaggi e azioni moltomeno “chiare”, moltopiù “elementari”,molto più “ricche”,riconducono la Chiesaal “punto zero” dellapropria esperienza.Con la loro immedia-tezza restituisconoalla Chiesa la primariaesperienza dell’essere donata a se stessa,dell’aver ricevuto il dono della Parola, dicui essa è “creatura”, e di essere agita dalSignore in ciò che di più autentico essafa. La liturgia (anzitutto la messa) riconfi-gura le priorità e le identità ecclesiali.Per farlo, tuttavia, deve uscire dal lin-guaggio ordinario, deve uscire dall’agireordinario, deve uscire dalla “normaleesperienza”. Non per negarli, ma perriconfigurarli, per rileggerli e per ricono-scerne la verità più profonda.Ecco allora profilarsi una verità più com-plessa, ma più ricca, del rapporto tramessa e vita, tra messa e missione. Finoa che la messa non comincia, non è deltutto chiara quale sia la vita e la missio-ne che alla Chiesa è donata/richiesta dalSignore. Ma finché la messa non finisce,non si apre quello spazio “non-rituale”che non è semplicemente il profanorispetto al sacro, ma che rappresenta illuogo più autentico di esercizio e di sco-perta della santità cristiana. Nella messa siamo pochi, ma il vangeloè per tutti; d’altra parte nella missioneabbiamo bisogno di ritrovare una vera

universalità, che solo il rito sa promette-re e sognare.Per attingere a questa coscienza real-mente nuova, che il cristianesimo haintrodotto rispetto alla sensibilità e allapratica religiosa classica - in parte anchedi Israele -, dobbiamo quindi evitare dicontrapporre culto rituale e culto esisten-ziale. Alla vita come culto e come mis-sione possiamo accedere non una voltaper tutte, ma nella continua riscopertadella logica battesimale/crismale nellaripetizione eucaristica (domenicale e/oquotidiana). Ciò che oggi la Chiesa riscopre con laparola “iniziazione” ha precisamente ache fare con questa “cooriginarietà” delculto rituale rispetto al cultospirituale/esistenziale. Finché avremo lapretesa e presunzione di “strumentaliz-zare” il culto rituale alle evidenze delculto spirituale saremo ancora vittime diun “pregiudizio antirituale” che non per-metterà di coglierne la verità più profon-da. D’altra parte, finché resteremo legatiad una lettura devota e clericale delculto, potremo sempre rinviare l’appun-tamento decisivo con il culto spirituale,

Messa nella cappella di Bokopi (missione di Safa)

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richiudendo il senso della Chiesa in una“messa che non finisce mai”. Ma la messa finisce e deve finire, pro-prio perché la Chiesa non è il Regno. Inquanto atto rituale, deve avere inizio efine. Solo così può “passare nella vita”.Questo passaggio alla vita, questa forzamissionaria, questo anelito di evangeliz-zazione tanto è maggiore, quanto piùintensa è la “diversa logica del rito”.Solo quando la narrazione della Paroladiventa Parola sulla mia vita, quando lapreghiera eucaristica diventa la mia pre-ghiera più alta, solo quando il Padrenostro ricapitola tutte le mie suppliche,tutte le mie lodi, tutte le mie grazie etutte le mie benedizioni, solo quando il“fare la comunione” è con tutta evidenzaun partecipare dello stesso pane spezza-to e dello stesso calice condiviso peressere nello stesso tempo membra di unsolo corpo, accomunati nella stessa vitae nella stessa morte, come figli di ununico padre e fratelli in Cristo, allora lavita viene nutrita e riconosciuta nella suaverità. Come è evidente, questa coscienza ritua-

le, nel maturare, muta la vita non rituale.E la vita non rituale, nel riconoscersi isti-tuita e destinata a quella comunione,semina comunione e si apre alla logicasanta del “non vivere più per se stessi”.In questo modo, possiamo capire meglioche la logica cristiana è “logica eucari-stica” sia in senso rituale, sia in sensoesistenziale. Lo Spirito si fa vivace sia nella forma diun rito sia nella forma di una vita. El’uomo non ha modo di guardare a Dio ea se stesso se non nell’esercizio di unainiziazione progressiva ad un inizio e auna fine rituale, che si traduce e si espli-ca in un centro vitale. Per questo occorre che la messa finisca(ritualmente) perché possa essere infinita(esistenzialmente). Ma anche occorreche la vita possa riconoscersi finita perpoter attingere dal rito il dono infinitoche la rende accoglienza della libera pro-messa e dono di libertà promettente.

* giovane teologo, padre di famiglia,docente di Teologia presso vari Istituti (vedi: andreagrillo.altervista.org)

Messa in occasione del Convegno catechisti crl a S. Giuseppe - Roma (4 marzo 2012)

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“Fate questo in memoria di me”Il rito della Messa, da Gesù ai nostri giorni

don Raffaele Zaffino

Ogni domenica e nelle grandi feste (disolito!) varchiamo la porta di unaChiesa - mi auguro della nostra chiesaparrocchiale e non solo quella di un cen-

tro commerciale – per partecipare allaCelebrazione Eucaristica. La Messa nonnasce così come oggi la celebriamo, maha una sua origine, una sua storia, unasua evoluzione e continuerà ad essercifintantoché ci sarà un sacerdote sullaterra che la potrà celebrare. Tutto ciòche viviamo nell’Eucarestia trova la suafonte in quelle parole e in quei gesti cheGesù pronunziò e fece la seradell’Ultima Cena: “Fate questo inmemoria di me”, donando ai suoi disce-poli un po’ di pane e del vino, ovverodistribuendo loro il suo Corpo e il suoSangue, che di lì a poche ore venivaofferto sulla croce per la salvezza del-l’uomo. Il comando di Gesù “Fate que-sto…” è stato attuato fedelmente secon-do la Tradizione negli anni e nei secoli

successivi, fino ai nostri giorni. Ma come siamo giunti a celebrarel’Eucarestia con il rito attuale partendodal rituale della cena pasquale? Tutto

viene documentato da vari testibiblici, i racconti dell’UltimaCena (cfr Lc 22,14-20; Mc14,22-24; Mt 16,26-28; 1Cor11,23-25) ed extrabiblici, comeDidachè, Apologia di SanGiustino, Costituzioni Apostoliche,Tradizione apostolica diSant’Ippolito, ed altri ancora,dove si attesta che nel Giorno delSignore (la Domenica), l’assem-blea cristiana si riuniva perascoltare i testi sacri e spezzare ilpane (fractio panis, uno degliappellativi con cui si designavain origine la celebrazione dellaMessa, cfr At 2, 42), pronuncian-do la preghiera di ringraziamen-to (= eucarestia). Dal IV-V sec.

in poi, si introducono nella celebrazionealtri elementi (canti, come il Gloria, eriti processionali…) e si va a creare quelfondo eucologico romano, costituito dalcanone romano e da quelle preghieredefinite presidenziali (colletta, superoblata, post communio, le benedizionisuper populum, pronunciate esclusiva-mente dal sacerdote). Nel Medioevovengono introdotti le apologie (quellepreghiere che il sacerdote pronunciasottovoce per chiedere grazia e perdono)e altri testi liturgici come il Credo. Lastruttura della Messa si arricchisceanche di inni, sequenze, tropi, masoprattutto di diversi segni e gesti (crocie genuflessioni). Il popolo un po' allavolta si trova emarginato dalla parteci-pazione consapevole al rito, perché non

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è più in grado di capire il latino. Il clero,molto accresciuto di numero e con unanuova mentalità di Chiesa, comincia amonopolizzare quasi tutte le parti e icanti dell'assemblea e perfino le rispostepiù semplici finiscono via via con l’es-sere riservate al solo ministrante, nel-l'inerzia e mutismo quasi totale delpopolo: questo al più si dedica alle suepreghiere e devozioni private, che taloranulla hanno a che vedere col senso e losvolgimento della messa. Quando poinegli ordini monastici, e in seguito colcrescere delle nuove schiere dei mendi-canti, si moltiplica il numero dei sacer-doti, questi cominciano a celebrare lamessa nei loro conventi per devozionepersonale (e anche parecchie volte nellostesso giorno, ricavandone così il bene-ficio dell'elemosina): in tal modo lamessa non può più essere - come è statofino ad allora - atto comunitario, a moti-vi dell’assenza del popolo e di ministriconvenienti. In pratica il sacerdote vienead assorbire e a svolgere da solo la partedi tutti gli altri attori della celebrazione.Si arriva così alla piena clericalizzazio-ne della liturgia, con una messa celebra-ta per il popolo o davanti al popolo cheormai è presente in veste di spettatoresoltanto, senza alcuna partecipazioneattiva al rito stesso. Se i laici svolgonoqualche parte nella celebrazione (come icantori nella schola), avviene solo “perdelega” del clero, considerato unicosoggetto della celebrazione. Intantoanche la comunione si fà sempre piùrara, non è più l'atto normale di tuttal’assemblea cristiana e quindi si riducead una devozione privata e spesso haluogo fuori della celebrazione dellamessa. Per questo ora la si riceve (pur-troppo!) spesso solo sotto una sola spe-cie. Il Concilio di Trento (1545-1563)non ha portato modifiche essenziali nelrito ma, davanti all’ondata dei riforma-

tori protestanti, ha difeso, ribadito e raf-forzato i dati della dottrina e correttoalcune abusi della prassi celebrativa chesi erano man mano diffusi: si giunge acelebrare l’Eucarestia con una rigidauniformità rituale, avvolta da un minu-zioso rubricismo. Nell’epoca post-tri-dentina, intorno al XVIII-XIX sec., ini-zia a nascere e a svilupparsi il movimen-to liturgico, che tenta di promuovere unariforma della liturgia (e quindi anchedell’Eucarestia) e che possa incontrarele esigenze pastorali del popolo. Il lavo-ro paziente di tanti studiosi prepara ilterreno alle varie modifiche (un ritornoalle fonti, alla liturgia della Chiesa anti-ca), promulgate dal Concilio Vaticano II(1962-1965). Si giunge quindi al ritodella celebrazione odierna, con l’usodella lingua volgare e la partecipazioneattiva e consapevole dei fedeli. È beneprecisare che il “percorso storico” dellaLiturgia non è formato da periodi “con-trapposti”: è sempre il cammino del-l’unico soggetto, la Chiesa, che ha vis-suto momenti di luce ed ombre, masempre orientato alla celebrazione defi-nitiva della liturgia del Cielo.P.S. Ricordiamoci di inginocchiarci difronte al sublime Mistero dellaEucarestia, che se pur non comprensibi-le con la ragione rimane il “tesoro piùprezioso” della nostra vita!

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EPrendere:accettare, accogliere ciò che la vita propone, anche se può essere duro e difficile, anchese non ci piace e abbiamo altri progetti in testa. Prenderlo sì, ma non passivamente(“Mi tocca!”), bensì come dono di Dio e della Vita, come momento prezioso e impre-scindibile per la tua esistenza. Prendi la tua vita allora, per quella che è, così com’è,non girarci attorno, non evitarla; non giudicarla bella o brutta, buona o cattiva; nonconfrontarla con altre vite o con quello che vorresti essere; prendila tutta e non solo inparte (quella più comoda) e amala, perché è tutto quello che ti è dato in affido per te,per Lui e per il mondo.

Bene-dire:imparare a “dire bene” non solo per ciò che è positivo e funzionale, ma soprattutto peril difficile, il problematico, l’incomprensibile, cercando di coglierne il senso. Senza unmotivo, senza un significato non si può benedire, perché si rimane nell’assurdo e nel“dire male”. La sofferenza non fa bene e non è mai desiderabile, ma può essere accet-tabile solo se ha un significato per noi. Benedici ciò che sei, ringrazia Dio e finché nonsei in grado di compierlo, non smettere di pregare. Perché Dio ti ha creato come esse-re sacro, divino, figlio della Luce: sei quindi atteso, desiderato, voluto, cercato, cura-to, amato, benedetto, caro per la Vita. Non maledire mai chi sei: ogni volta che ti sva-luti, che pensi di fare schifo, che sarebbe meglio morire o nasconderti; ogni volta chenon ti stimi e non credi al tuo valore, che vivi al di sotto delle tue possibilità, che tipunisci, ti colpevolizzi e ti insulti, tu stai lottando contro Dio che ti benedice fin dalgiorno della creazione (cfr Genesi 1,31).

Spezzare:“essere spezzati”, accettando la perdita, la fine, la morte, la lotta, il distacco, ecc. Lavita a volte ci pota, ci “spezza”, per farci fruttificare. Accetta i limiti insiti nell’esisten-za perché ci sono; considera che tutto ciò che c’è di grande s’impara anche attraversoil dolore; accetta di poter essere rifiutato, escluso, deriso, denigrato, perseguitato, per-ché in certi giorni (attenzione, non sempre!) sarà così; accetta di fallire e di sbagliare,di vivere e di morire, semplicemente perché fa parte della vita; constata che puoi feri-re senza volerlo e magari proprio chi ami; accetta che Dio ti dia “quattro sberle” ognitanto per svegliarti e per ridestarti dal torpore e dal sonno.

Donare:non tenere per sé, ma fare di ciò che si è un bene per sé e poi per gli altri (se manca ilprimo passo, il secondo non è possibile). Donare vuol dire che si sta imparando a faredella bellezza che si è e che si ha dentro, un dono per l’umanità. Non si può donare,chiaramente, ciò che si ritiene una sfortuna o una condanna. Solo una benedizione puòessere offerta e può portare frutto. Altrimenti si “regalerà” solo risentimento e acidità.Il mondo ha bisogno di persone che sappiano fare delle proprie vite vissute, maturate,cresciute, un dono di sapienza per lo spirito umano. La vita ha senso solo se continuanegli altri, se è donata a qualcuno o a qualche causa, altrimenti rimane sterile e chiusain sé, in altre parole è sprecata. Per questo c’è bisogno di trovare una direzione, unvalore, un motivo per cui vivere in modo da far della propria esistenza e soprattutto delproprio spirito un dono che arricchisca e alimenti la vita stessa.

“A tavola prese il pane, recitò la benedizione,lo spezzò e lo diede loro”

Quattro azioni, graduali e progressive, che l’Eucaristia ci chiede di tradurre in vitadon Damiano Barichello

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Preghiera MeditativaLuci soffuse, accensione di un punto diluce, musica di sottofondo, tutto questocontribuisce a creare un’atmosfera cheinvita a rilassarsi, a lasciarsi andare, adabbandonarsi completamente. Occhichiusi, il corpo si rilassa, la respirazionesegue il ritmo della musica. S’inspira es’immagazzina energia positiva, si espiraeliminando “spazzatura” ovvero tensionie pensieri negativi accumulati. La mentesi libera, si svuota e al tempo stesso siricarica. Viaggia e immagina, sempreguidata da una voce che ti indica il sen-tiero da percorrere alla ricerca di unincontro, dell’Incontro. Alla fine di que-st’esperienza intensa e suggestiva, misono “risvegliato” provando una profon-da sensazione di pace, serenità e benes-sere. (Stefano)

Parola MeditataLa Parola parla di te, della tua vita. Lasensazione che si ha dopo aver meditatosulla Parola è una sensazione di confortoperché si capisce che non si è soli, di leg-gerezza perché ci si rende conto che lavita è bella e semplice, di entusiasmoperché si ha la certezza del presente, chela Vita è ora, è vera e tutto ciò chedesideri, se davvero lo desideri,accade. Alla fine di ogni incontrosenti un grande desiderio di rin-graziare. (Silvia e Filippo)

Presepe insiemeTrovare uno spazio di tranquillitànel quale riflettere sul senso pro-fondo del Natale, sentirsi uniti nelsegno dell’attesa e della ricerca,ma guardare all’arrivo della Lucenelle proprie vite, ognuno secon-

do il proprio particolare presente. Tuttociò, grazie alla scoperta del messaggioche ogni statuetta porta dentro di sé edalla comprensione di come ognuna diesse, in fondo, ci parlasse di noi. Questoè stato, per noi, il ricostruire insieme ilpresepe, ricollocando ogni personaggiosecondo il proprio posto nel “presepedella Vita”. (Federica)

CineforumUn’esperienza importante a cui non man-care è la visione di alcuni film, pellicolescelte appositamente affinché impariamoad interpretare gli eventi che ci accadonoseguendo una logica completamentediversa da quella umana, ossia dal puntodi vista di Dio e della Vita. Possono esse-re film sconosciuti, come veri campionid’incassi! Da Matrix a Io sono con te,passando per The peaceful warrior, tra-dotto in italiano con La Forza delCampione, ci siamo accorti di quanto inrealtà Dio sia presente non solo nellostesso film, ma soprattutto dentro di noi enei posti e nelle situazioni in cui nonavremmo mai pensiamo di trovarlo.(Priscilla)

Gli incontri del Gioved ì alla Casa di accoglienza San Vittore

a cura di Federica Pennesi

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Crisi è un termine con il quale,nella sua declinazione collettiva,abbiamo iniziato a familiarizzaresoltanto in questi ultimi anni direcessione economica. E’ così cheanche la nostra società basata sulprofitto ha perso molta della suacredibilità, mostrandoci il baratroverso cui è votata da anni. Ladiminuzione dei consumi è forse ilsuo indice più evidente. Eppure, inun contesto di tale flessione gene-ralizzata, c’è un consumo - figliodi una crisi ben più profonda e invalidan-te di quella economica - che non conosceriduzioni, arrivando addirittura a regi-strare una crescita esponenziale negliultimi anni. Non è un bene di primanecessità. Anzi, recenti dati alla mano, sipotrebbe asserire che molte volte non èproprio un bene. Si tratta degli psicofar-maci, il cui consumo, in dieci anni, èaumentato del 400% negli Usa e del 76%in Italia. Preoccupante è che in tutti iPaesi sviluppati le vendite di questi far-maci segnino una parabola ascendente,favorita da una politica pubblicitaria daparte delle industrie produttrici evidente-mente vincente. Il punto di forza di que-sto circuito di vendite è costituito dallapressione che gli informatori sanitari rie-scono ad esercitare sui medici, spessopropiziata da interessi commerciali bila-terali. Se è ormai dimostrato che tali far-maci assumono una funzione palliativa enon curativa, è al contempo innegabileche i veri beneficiari del loro consumosono i fatturati delle industrie produttrici.Appurato è inoltre un allarmante fatto,ossia che è sempre più frequente - a fron-te di un aumento convulso dei consumi -che l’assunzione di psicofarmaci possarivelarsi dannosa, talvolta foriera di pato-

logie psichiche che all’inizio della “cura”farmaceutica non sono presenti nelpaziente. Appena due anni fa laOrganizzazione Mondiale della Sanità haredatto un documento dal quale emerge-va che solo sei pazienti su dieci, tra quel-li che assumono antidepressivi, ne trag-gono beneficio. Del resto, i dati emersirecentemente negli Stati Uniti non sidiscostano da quelle conclusioni: solo unpaziente su tre ha diagnosi di malattiasevera, e l’uso di questi farmaci è quasiad esclusivo appannaggio delle classisociali agiate (i neri e gli ispanici, relega-ti ai margini della società americana edunque, giocoforza, meno sensibili allepersuasioni consumistiche, non arrivanoinsieme a costituire il 7% dei consumato-ri di psicofarmaci). Il National Center forHealt Security lancia un campanellod’allarme preciso e ancora più desolante:l’11% dei bambini di dodici anni, negliUsa, assume tali prodotti, che riguarda-no, per altro, le ricette più prescritte pergli adulti. Somministrare farmaci di que-sta portata ai bambini è un gesto, da partedei medici, quantomeno imprudente, sesi considera la gravità di alcuni dei loroeffetti collaterali. Un gesto che il soloscopo cinico del guadagno può giustifi-

Ci diamo oggi il nostro “pane” quotidianoFederico Cenci

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care, facendo tuttavia leva su una psicosicollettiva che porta molti, tra i cittadinidelle società industrializzate, a ricorrerea soluzioni artificiali per sanare unmalessere che - sotto forma lieve o seve-ra - cova nel proprio animo. La semprepiù desolata assenza di sostegni spiritua-li, del resto, ha costretto l’uomo dellasocietà moderna a ricercare tra i beni ter-reni le risposte alle sue domande di asso-luto. I riscontri che ne ha tratto si sonorivelati parziali, talvolta falsi, senz'altrodeludenti, forieri di reconditi assilli chel'assunzione di una pillola non solo nonrisolve, ma addirittura accentua. L'unicocibo che può davvero liberarci dalleangosce, sollevandoci dagli inferi del

cattivo pensiero per farci risalire la chinadi una vita vissuta nel segno della fidu-cia, è il corpo di Cristo. Si tratta dellaPresenza Reale in un mondo ove regna lafinzione, l'unico guado di salvazione lad-dove ci viene proposto il rimedio pallia-tivo. Il tempo perso a ricercare antidotieffimeri - come le pillole - si riscatta nelmomento in cui i cuori si apronoall'Amore di Dio. Mai frase fu più ade-guata a concludere l'articolo dellaseguente, pronunciata da Santa Teresa diLisieux: "Se la gente conoscesse il valo-re dell'Eucaristia, l'accesso alle chiesedovrebbe essere regolato dalla forza pub-blica".

21-22 Aprile: o Paura o Amore, 3° incontro Passi di Vita(Sabato 21: pomeriggio aperto ai partecipanti del 2011)

Sabato 5 Maggio: In tutti i Sensi Vivi,giornata di ripasso per i partecipanti dei corsi passati

Giovedì 10 Maggio, ore 20.45: Parola Meditata

19-20 Maggio: 2° week end In tutti i Sensi Vivi(Sabato 19: giornata aperta ai partecipanti dei corsi passati)

Giovedì 24 Maggio, ore 20.45: Meditazione (coperta e vestiario comodo)

Giovedì 31 Maggio, ore 20.45: Parola Meditata

Da Domenica 27 Maggio a Sabato 2 GiugnoSettimana di Condivisione di Vita

Giovedì 7 Giugno, ore 20.45: Preghiera del Cuore

Giovedì 14 Giugno, ore 20.45: Parola Drammatizzata

Giovedì 28 Giugno, ore 19.30: Celebrazione e cena a seguire

Casa S. VittoreVia delle Sette Sale, 24 - 00184 Roma - tel. 06.483703

[email protected] - [email protected]

Casa San VittoreProgramma Aprile - Giugno 2012

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Il frutto di Dio donato agli uominiLa Cena in Emmaus di Caravaggio

don Gianpaolo Sartoretto

La Cena in Emmaus è un dipinto realizza-to dal pittore Caravaggio nel 1601 e oraesposto alla National Gallery di Londra.Nel quadro è rappresentato il culmine del-l'episodio descritto nel Vangelo di Luca,due discepoli: Cleofa, tradizionalmentericonosciuto nella figura a sinistra, e l'altrodiscepolo, a destra, riconoscono Cristorisorto, che si era presentato loro come unviandante e che avevano invitato a cena,nel momento in cui compie il gesto dellabenedizione del pane.La struttura del dipinto può essere lettaattraverso i canoni dell’arte partecipativa,propria di alcuni dipinti del Caravaggio, incui il tempo e lo spazio sembrano dissol-versi per creare un unicum temporale incui lo spettatore viene invitato a entrare.L’ambientazione della scena ricorda letaverne romane frequentate dall’artista,quasi a voler sottolineare la contempora-neità del miracolo: quello che sta succe-dendo nel quadro riguarda il nostro pre-

sente: Emmaus è oggi, quando un sempli-ce pasto diventa condivisione e una cena èdiventata sacramento. Il Cristo risorto,dipinto secondo i canoni paleocristiani delBuon Pastore, si rivela non come un uomomaturo, come avverrà invece nell’altrodipinto con lo stesso soggetto, realizzatoda Caravaggio nel 1606, e ora esposto allapinacoteca di Brera, ma con le fattezze diun giovane dal volto tra il maschile e ilfemminile riprendendo così le indicazionidell’Arcivescovo di Milano di quel tempo,il cardinale Federigo Borromeo, di cuiCaravaggio aveva seguito alcune predica-zioni, e che raccomandava che il volto diCristo assumesse forme simili a quelle diMaria. I due discepoli al contrario espri-mono tutta la contemporaneità delCaravaggio; sono dipinti con alcuni carat-teri simbolici: Cleofa, che si alza dallasedia e sembra rispondere alla mano tesadel Cristo che invia verso la missione,funge da espediente per coinvolgere più

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direttamente lo spettatore nella scena; l'al-tro discepolo vestito da pellegrino e con laconchiglia appuntata sul petto, allarga lebraccia con un gesto che rifà simbolica-mente la croce evidenziando come il rico-noscere Gesù nell’Eucaristia porti ildiscepolo a compiere gesti simili a quellidi Gesù: riconosco Gesù e mi comportocome lui. Il quarto personaggio, l'oste,mostra uno stupore senza consapevolez-za, non coglie il significato dell'episodiocui sta assistendo. Ed è questo il messag-gio del dipinto, si salva chi sa vedere ecomprendere la presenza di Cristo, chi faattenzione ai particolari, chi lascia che laluce divina illumini le piccole e consuetevicende umane dando a tutto il sapore deldivino. Caravaggio dà, inoltre, risalto alla naturamorta posta sul tavolo, con i vari oggettidescritti con grande virtuosismo, unendoancora una volta realismo e simbolismoin un linguaggio unico. La brocca di vetroe il bicchiere riflettono la luce, il pollocon le gambe stecchite è stato interpreta-to come simbolo della morte, anche senon tutti gli esperti di iconografia concor-dano. Nella canestra di frutta, soggetto diun altro celebre dipinto, che pende perico-losamente sul bordo del tavolo, e che con-tiene diversi frutti, con le loro imperfezio-ni, seguendo le catechesi del cardinaleBorromeo, Caravaggio riprende neisuoi quadri il concetto dell' admira-

bilis fructus: l’Eucarestia, Cristo, è il“frutto di Dio” donato agli uomini. Cosìnella frutta si possono leggere vari signi-ficati teologici: l'uva nera indica la morte,l'uva bianca la resurrezione, le melagranesono simboli di Cristo, i pomi possonoessere intesi come frutti di Grazia o ripor-tare al significato del peccato, infine l'om-bra della canestra crea sul tavolo l'imma-gine del pesce, simbolo paleocristianocon cui si proclamava il Cristo, salvatoredegli uomini.

Alcune indicazioni: Andrew Graham-Dixon,Caravaggio; Stefano Zuffi, Caravaggio. Simboli esegreti; Thomas J. McElligott, Caravaggio andthe resurrection of the body; M. Calvesi - A.Zuccari, Da Caravaggio ai Caravaggeschi;Pierluigi Panza, archiviostorico.corriere.itDorini don Danilo, www.parrocchiamilanino.it/prediche_artistiche/

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Anno del Signore 2012. Per noi CanoniciRegolari Lateranensi è l’anno in cui cele-briamo a Gubbio nella nostra antichissimaCasa di San Secondo, sia il CapitoloGenerale (17-25 luglio), sia il CapitoloProvinciale (18-23 giugno). I CapitoliProvinciali saranno celebrati anche inFrancia, Polonia, Spagna, Inghilterra,Brasile, Argentina. Il Capitolo! Cos’è mai?Posso dire che i Capitoli Generali eCapitoli Provinciali di ogni Congregazionereligiosa, appartengono alla Chiesa, sonodegli eventi ecclesiali. Un carisma (dono)non è dato, è affidato! Non appartiene allapersona o al gruppo che lo riceve, ma allaChiesa. Così avviene del “carisma” di unafamiglia religiosa. Benché gli sia proprionon è di sua esclusiva proprietà.Questo carisma, per sua natura,appartiene al popolo di Dio e nonsolo ai membri che formano lafamiglia religiosa. La vita consa-crata appartiene alla struttura stessadella Chiesa; ecco allora che iCapitoli Generali e i CapitoliProvinciali di un istituto religiosocome il nostro di Canonici regolari,non sono un affare privato, ma sitratta di un evento ecclesiale cheinteressa tutta la comunità cristiana.E’ normale che i Capitoli si preoc-cupino dell’orientamento dellaCongregazione. Per noi diventaoccasione privilegiata di assumeresempre nuova coscienza dei nostrilegami con la Chiesa, di cui eserci-tiamo una parte della missione,secondo l’invito di Cristo. ICapitoli Generali e i CapitoliProvinciali sono anche un momen-to per ridefinire la propria identità,attraverso decisioni concrete cheimplicano il senso rinnovato di unavocazione, il riconoscimento di unaspecifica missione e l’ammissione

di un bisogno di ‘convertirci’ continuamen-te. Un Capitolo Generale o Provinciale –penso - non può dirsi riuscito nella misurain cui è stato preparato… cioè non si trattasemplicemente di una buona preparazionetecnica, che ha certamente la sua importan-za, ma della preparazione dello spirito e delcuore, di cui tutti i membri dell’istitutodevono sentirsi responsabili. Così per noiCanonici regolari lateranensi il 2012 è l’an-no del Capitolo Generale e del CapitoloProvinciale. Questi nostri Capitoli sonoanche di ‘elezione’ e di ‘cambiamenti’…inevitabili cambiamenti… e, per forze e pernumeri, cambiamenti quasi mai visti dibuon occhio dalle persone che noi serviamonelle varie Comunità, perché la gente si

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I Canonici: un dono per la ChiesaIn preparazione ai Capitoli Generale e Provinciale

don Giuseppe Ganassin

Chiostro di S. Secondo in Gubbio, ove si svolgeranno i due Capitoli

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affeziona e anche il sacerdote si affezionaalla gente. E’ un segno di affetto che ci legaal popolo di Dio e ne siamo grati, ma ilcambiamento può diventare segno di ‘ric-chezza spirituale’ per il sacerdote stesso eper le persone. Con il Capitolo Generale eil Capitolo Provinciale cambierà l’AbateGenerale che per noi Canonici è la guida ditutta la Congregazione e cambierà anche ilPadre Visitatore (Provinciale). Dovremolasciarci guidare dallo Spirito per eleggerenon tanto la persona che piace di più o chesarà il migliore amministratore, ma quellache sembra capace di dirigere la nostraCongregazione nel proseguimento dellasua missione e nella lettura continua dellavolontà di Dio… oltre all’impegno per levocazioni. Di solito le elezioni deiSuperiori Generali o Provinciali sonoaccompagnate da Messe dello Spirito Santoe da invocazioni per ricevere la sua luce.Ottimo! Penso però che alla nostra respon-sabilità nel discernimento, qualche volta,rinunciamo un po’ troppo facilmente, pen-

sando che colui che verrà eletto sarà il can-didato dello Spirito Santo. Lo Spirito Santooffre certamente la luce necessaria: il pro-blema è sapere se noi la utilizziamo questaluce. Penso sia bene che prepariamo questidue importanti Capitoli pregando… magaricosì:

Dio onnipotente e misericordioso, che in questo anno ci chiami a celebrare

i Capitoli Generale e Provinciale, illumina la nostra mente e il nostro cuore

a comprendere ciò che Tu vuoi, per mantenerci saldi nella fede,

creativi nei propositi, coraggiosi nelle scelte.

Risveglia in noi la gioia di ripartire dal Vangelo e dalla Regola,fondamento della nostra vita

di Canonici Regolari Lateranensi,attenti a condividere i doni ricevuti

e in ascolto delle Comunità in cui operiamo.Guidaci sempre in un cammino

di discernimento e di testimonianza.Sostieni con la forza del Tuo Spirito

noi che ci prepariamo a questi Capitolie coloro che vorrai donarci

come Abate Generale e come Padre Visitatore,

a servizio della nostra famiglia religiosa.Siano fedeli interpreti del Tuo amore

e delle nostre attese.Tutto questo ti chiediamo

per l’intercessione di Maria, Madre del Salvatore,

di Sant’Agostino, Nostro Padre, e dei Santi del nostro Ordine.

Amen.

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Terminiamo con questo contributo scrit-to il nostro ormai lungo viaggio nelmondo della Liturgia delle Ore; lungonon tanto per i contenuti perché il nostro“amico” Breviario si riesce a tenerlo inuna mano, ma lungo perché molta è lastrada per imparare a pregare e soprat-tutto grande la fatica a perseverare nellapreghiera quotidiana, che la Chiesa cioffre per la nostra santificazione e per laglorificazione di Dio. Questo momentodi preghiera viene denominato Oramedia, perché la si può celebrare entrol’intero arco della giornata dopo le Lodie prima dei Vespri (in mezzo, appunto!).I cristiani, fin dai primissimi tempi,erano soliti pregare nel corso della gior-

nata, in forma privata o interrompendobrevemente il lavoro, per imitare l’inse-gnamento degli Apostoli. La liturgia haconservato tale momento di lode proprionell’Ora media, che viene suddivisa intre parti simili nella struttura per facili-tare il fedele nella scelta dell’orario piùconsono per ristorarsi dall’attività lavo-rativa e volgere il suo cuore a Dio. E’presente quindi l’ora terza (intorno alle9), l’ora sesta (intorno alle 12) e l’oranona (intorno alle 15); sono tempi che ciricordano gli eventi della Passione diGesù Cristo: “Era circa l'ora terza quan-do lo crocifissero” (Mc 15, 25);“Dall'ora sesta si fecero tenebre su tuttoil paese, fino all'ora nona” (Mt 27,45).

Si ricordano anche altri eventidella Salvezza: la discesa delloSpirito Santo “Essendo appenale nove del mattino” (At 2,15);Pietro ha la visione della tova-glia piena di vivande: “Il gior-no dopo, mentre essi erano pervia e si avvicinavano alla città,Pietro salì verso mezzogiornosulla terrazza a pregare” (At10,9-11); Pietro guarisce ilparalitico mentre si reca alTempio: “Un giorno Pietro eGiovanni salivano al tempioper la preghiera verso le tre delpomeriggio” (At 3,1). Nelsecolo IV asceti e vergini inco-minciarono a santificare que-ste Ore con pratiche di pietà;in seguito nei secoli V e VI sif-fatti momenti di preghierafurono inseriti nella preghiera

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Ora media: la carezza di Diodon Raffaele Zaffino

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ufficiale della Chiesa. Dopo la riformaliturgica del Concilio Vaticano II, lastruttura dell’Ora media risulta semplifi-cata perché ogni cristiano ha la possibi-lità di celebrarla durante il dì per la suabrevità. La struttura celebrativa è com-posta da un versetto d’introduzione edall’inno. Segue la salmodia, quindi lalettura breve (poche righe della Parola diDio che si rivelano come una luce-spiaper aiutarci a controllare il senso di mar-cia della nostra giorna-ta) con un versetto (ecoqualificato a far pene-trare più profondamen-te la Parola di Dio incolui che prega) e l’ora-zione conclusiva. Lacelebrazione dell’Oramedia si colloca all’in-terno di un camminoorante da parte delfedele: il contatto conti-nuo con la Parola rige-nera nella scelta dellafede, rende l’animo libero e più docileall’azione dello Spirito, per costruireuna vita nella totale obbedienza alPadre. Per la sua brevità, l’Ora media èparagonabile ad una semplice “carez-za”, che se pur non rappresenta unabbraccio dice tutto l’amore che unapersona ha per l’altra e così in questomomento di preghiera noi diciamo aDio, anche per un attimo, di continuaread amarLo anche nella fatica quotidia-na… e Lui ci sostiene con una “dolcecarezza”. Per concludere vorrei invitarvia riscoprire nella preghiera dellaLiturgia delle Ore un ritmo più contem-plativo, che stimoli mente e spirito adaccordarsi con la voce, e permetta una

assimilazione più vitale della Parola,evitando di strascicare formule una die-tro l’altra in modo meccanico. Inun’azione meccanica si infilano pezziuno dopo l’altro ed è tanto meglio quan-to più presto si fa: interporre delle pauseè uno sprecare tempo. Salmi, versetti,letture non si succedono come se fosse-ro pezzi di un ordigno da montare; sonoinvece le battute di un dialogo con il Diovivente. Noi fedeli presentiamo al

Signore un pezzo della nostra anima: unsilenzio carico di emozione è il respirostesso di questo dialogo. Ora, nella suaParola Dio mi dona se stesso, e nellarisposta io mi abbandono a lui in undono totale. Una preghiera fatta bene,intrisa di pathos sembra breve anche selunga. Una salmodia sciatta e meccani-ca, sembra lunga anche se breve. Non èla quantità della preghiera ma la qualità:importante è vivere un tempo di con-templazione, che giorno per giorno siaregolare e vitale come l’ossigeno allenostre vite. E vi lascio con un invito didon Divo Barsotti: «La preghiera veracomincia quando termina la parola».

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Il Logo della SperanzaNella Parrocchia di S. Giuseppe a ViaNomentana, abbracciata storicamente daPorta Pia e Villa Torlonia, si è celebrato il 3-4 marzo il XXXII Convegno NazionaleCatechisti delle comunità dei CanoniciRegolari Lateranensi. Il gruppo catechisti – coeso fino all’animadallo speciale evento da offrire – con laguida di don Carlo si è lasciato da subitoprovocare dal grande tema urgentedell’EDUCAZIONE (cf Orientamenti dellaCEI). Don Carlo ha proposto una dupliceimmagine simbolica del-l’emergenza educativa:l’ispirazione LOGO è ungrembo, un fuoco, per direla delicata premura del gene-rare: s’assomigliano le trearti della fede, l’arte dellamaternità, l’arte dell’educa-zione.

GREMBO E FUOCO perdire SPERANZA

L’amico Luca Castellino ciha regalato la sua invenzionegrafica: una giovane inarcatadalla vita attesa e un fuoco acolmare la mano: chiesa efamiglia genera, testimoneogni genitore e catechista.

Stupendo!Ecco il LOGO della SPERANZA! Il fuoco ha cominciato a pervadere ogniparola, ogni tempo, ogni contatto. La frescaattesa del Convegno diventava gratuità dicuore e di tempo: infaticabili Patrizia,Artemia, Vitina, Rossana, Daniela, Cristina,Simona, M.Agnese, Giuseppina, Antonio,Claudia, Carla, Federica, Saro, Giovanni,Francesco, Pietro, Alberto, e 10 preziosissi-mi Scouts per l’allestimento e il servizio.Noi catechisti (Daniela, Patricia, Marco, M.Michela, Elisabetta, Olimpia, Ilaria, Paola,Gisa, Alessandra, M. Ausilia, Eleonora,Rosaria, Artemia, Rossana) come fossimoun unico pulsante grembo di un Evento checi avrebbe sorpreso, come un figlio cheviene alla luce… La Parrocchia è sensibiliz-zata da tempo, e in particolare le famigliecoinvolte nella catechesi dei figli. Quantesorprese di coinvolgimento! Tirava le filadell’evento, Daniela Vinazza, perfetta coor-dinatrice. Previi incontri precisano quanto lastrategia degli ambienti e la fiorita acco-glienza esigevano.

Sabato, la nostra casa è tutta in fermento. Dalle ore 14 gli arrivi! L’emozione balza tra

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Grembo e Fuoco per dire SperanzaConvegno catechisti crl a S. Giuseppe - Roma

a cura di don Carlo e dei catechisti di S. Giuseppe

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volto e volto, saluti, abbracci, reminiscenze,esultanze. La reception è servita tra i coloridelle primule da Daniela, Elisabetta, Gisa,Paola. Ciascuno ne usciva dotato di badgeidentificativo, di una imbottita cartella colo-rata e il fremito dell’Evento. All’ingresso il BENVENUTI e il LOGO:“Quando sogni da solo è solo un sogno.Quando sogniamo insieme è l’inizio dellarealtà”, e “La gioia è come una strada diluce nel nostro cuore”. Per una sapiente edolce accoglienza, scritte sul fronte di ognistanza… per arricchire il cuore in silenzio. Per la prima relazione l’amico Saro trasmet-te le slides su “EDUCARE SI DEVE: MASI PUÒ? COME?”, relatore il prof. CarloNanni, Rettore Magnifico dell’UniversitàSalesiana. Seconda relazione: “VERITA’ EAUTORITA’ nella CATECHESI”, relatoredon Andrea Lonardo, direttore dell’Ufficiocatechistico di Roma. Dopo i Vespri, in tea-tro, alla tastiera Franco Canichella, direzio-ne musicale Franco De Marchi, è servita lacena nella Sala S. Giuseppe imbandita diogni ben di Dio, tra cui un’ottima porchetta.Poi la notte di Roma ci ha visti visitatori sol-leciti in S. Maria del Popolo per la visitaguidata da don Lonardo alle opere delCaravaggio: la Crocifissione di Pietro e laConversione di Paolo.

Domenica, fervore e letizia nel celebrare leLodi in chiesa e poi la solenne concelebra-zione, con canti e strumenti del drappelloEster, Marco, Lorenzo, Andrea, Mattia,Salvatore, Simona, Donatella, Antonia.L’Eucaristia è presieduta da S.E. Mons.Enrico Dal Covolo, Rettore Magnifico della

Università Lateranense, che ha tenutouna lezione sui 4 gradini della Lectio,circondato dai confratelli GianpaoloSartoretto, Silvano Minorenti, FrancoCanichella, Giancarlo Guidolin,Gabriele Pauletto, Pietro Benozzi,Franco De Marchi, Franco Bergamin,Giuseppe Ganassin, Carlo Lazzari, P.Abate d. Emilio Dunoyer, d. GiuseppeCipolloni P. Visitatore e PaoloMenichetti. Servizio ministranti grandi:Max, Irene, Francesco, Gianni, Antonio,Claudia.

Ogni comunità è intervenuta in modo spe-ciale con la presentazione del DONO del-l’icona del Santo o Santa Patroni di ciascu-na chiesa canonicale di pertinenza. Lanostra parrocchia terrà in onore questo donovivo, palpitante di una storia antica e ancoranuova. Le foto di gruppo hanno creato lega-mi di luce e di gratitudine fra la nostraComunità ospitante e le singole comunitàcanonicali d’Italia tutte partecipi di persona,eccetto Coronata che però è stata presentecon la preziosa Icona del suo Santuario. Epoi a tavola! Un ricordo insieme di donAugusto Flori da poco chiamato al Cielo e lapreghiera di mensa guarnita di tovaglie colorsole che infatti ci ha rallegrato invadendo lestanze del convivio. Il nostro DONO a tutti i convegnisti il saccodei sogni! Da ultimo, portata da 4 giovani,ha fatto il suo ingresso come una miss lagrande torta raffigurante l’Italia – creazioneTina Lucarelli - con segnalate le località diorigine delle Comunità… meraviglia! Il cuore è colmo di luce, di emozioni, difeconde nuove promesse. L’emergenza edu-cativa diventi stile passione di ogni comuni-tà. Oh fascino della Libertà, della Bellezza,dell’Interiorità e del Mistero! Ciò che contaè la Speranza affidabile. Il Dono del Diofedele nel tempo più difficile è la sete, desi-derio di futuro.Educazione è grembo: è diventare persona.Educazione è fuoco: è sperare. Grembo e Fuoco sono cantiere dellaSperanza.“Canta e cammina, non deviare, non tornareindietro, non fermarti” (S. Agostino).

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L’ambiente. Due settimane, nella stagionesecca, in Africa equatoriale, nella RepubblicaCentrafricana: una visita alla Missione diSAFA, affidata ai Canonici RegolariLateranensi. Siamo a circa 130 km a sud dellacapitale Bangui, nella diocesi di M’baiki, pre-fettura della Lobaye, la regione del fiumeomonimo, affluente dell’Oubangui, che a suavolta confluisce nel fiume Congo. La parroc-chia, che comprende il territorio della SAFA- un toponimo che deriva da un acronimo:“Société Africaine Forestière et Agricole”,instaurata negli anni ’60 -, consta di una deci-na di villaggi, in uno dei quali, Bernabeng, hasede la Missione. In questa residenza, chedon Sandro e don Mauro mantengono con lenecessarie ed assidue attenzioni, donGiuseppe Cipolloni ed io possiamo disporciall’approccio con un altro mondo... Le gior-nate - le ore di luce vanno all’incirca dalle seidi mattina alle sei di sera - cominciano con lapreghiera, nella vicina cappella delle suore:ore 5.45, Lodi e Messa. Un po’ alla volta sidischiude il vissuto quotidiano della gente deivillaggi, nella sua disarmante semplicità: lapolvere rossa delle strade, le casette rettango-lari in grossi mattoni di terra con copertureperlopiù vegetali, le frotte di bambini con i

loro giochi e sorrisi, le donne che trasportanoin testa le ampie bacinelle colme di manioca,gli uomini seduti in lunghe soste davanti alleloro case, la fila vociante davanti alla pompadell’acqua potabile, le caprette e i porcelliniche scorrazzano tra i cortili... L’esuberanzadella natura, che si mostra con le piante dibanani papaie manghi e legnami d’ogni spe-cie, convive con le condizioni secolari diun’economia di sussistenza.L’Eucaristia domenicale. Ma è il giornofestivo che ci sorprende di più e ci manifestal’anima della gente, permettendoci di coglie-re gli elementi che ci accomunano nella fedecristiana, sia pure attraverso espressioni cul-turali diverse. Bisogna tener presente chesiamo in un territorio di recente evangelizza-zione, dove i cattolici, ancorché numerosi,portano con sé un antico retaggio di consue-tudini, non sempre compatibili con la fedecristiana. Domenica 15 gennaio, ore 8.00, vil-laggio di Moscou: si sta preparando la cele-brazione della Messa, nella quale sarà ammi-nistrato il Battesimo a una quindicina diragazzi, dai tredici anni in su, che riceveran-no anche la loro Prima Comunione. Tutto èpredisposto all’aperto, sulla terra battuta, afianco della cappella, sotto ingegnosi teloni di

copertura; la corale si dispone a latodell’altare, all’ombra del grandemango. Concelebriamo con don Sandroe con don Mauro, il quale presiede inqualità di parroco. Suggestiva è la pro-cessione d’ingresso, aperta dal gruppodelle giovani danzatrici, munite dimaracas, che procedono inchinate conordinate movenze, al ritmo del tam-tampercosso da due mani instancabili,mentre la corale sostiene il canto ditutta l’assemblea. Seguono i ministran-ti, con le ampie tuniche colorate, e icelebranti. Infine i battezzandi, in mag-gior parte ragazze, prendono postodavanti all’altare, rispondendo all’ap-

Diario di una visita Gennaio 2012 - Missione di Safa

don Ercole Turoldo

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Cortile della scuola materna di Safa

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pello nominale; sono fieri e compiti, vestiti dibianco, con appropriata eleganza. La Messasi celebra nella lingua centrafricana: il sango.Un secondo rito processionale accompagnapoi l’intronizzazione della Parola; il catechi-sta introduce le letture, in modo composto eautorevole. Dopo l’omelia di don Mauro pro-nunciata in sango, si presentano i battezzandia uno a uno, chinando il capo per riceverel’acqua battesimale. Anche noi partecipiamocome ministri del sacramento, imparandonesollecitamente la formula liturgica: “N., Mbisukula mo na ngu, na iri ti Baba, na tiMolenge, na ti Yingo Gbia”. Intanto i cantiesplodono a più voci... Particolarmente ani-mato il momento dell’offertorio: dopo la son-tuosa presentazione dei doni costituiti da pro-dotti della terra, in tanti si mettono in fila,procedendo con lenti movimenti ritmici, perpassare davanti all’altare e depositare la sim-bolica offerta nel cestino sorretto da un mini-strante. La comunione dei fedeli, precedutada quella dei battezzati, rappresenta quasi unculmine emotivo, grazie all’intensità deicanti, che sembrano forzare i limiti deltempo, nonostante le due ore e mezza già tra-scorse. Riviviamo analoga esperienza difesta, forse un po’ più rumorosa, nella cele-brazione dell’Eucaristia e del Battesimo didiciassette ragazzi, la mattina della domenicasuccessiva, 22 gennaio, nella cappella del vil-laggio di Poto Poto. La gioia di questi eventisi unisce a una certa trepidazione: come darecontinuità e coerenza a un’apparte-nenza cristiana così solennemente epubblicamente celebrata...La formazione. In questi giorni,abbiamo modo di constatare chel’evangelizzazione si avvale di unarticolato tessuto di formazionescolastica, che è la grande sfida perquesta terra, ancora molto indietrocon l’alfabetizzazione. Le ‘incursio-ni’ nelle aule delle varie sedi, con laguida di don Sandro, sono salutatecon un corale e fragoroso: ‘Bonjour,mon père’ dai piccoli alunni, molto

numerosi, anche più di quaranta in alcuneclassi. Meno chiassoso e più posato il salutodella prima classe del corso di liceo, avviatoquest’anno. Tutta l’attività scolastica parroc-chiale - materna compresa - fa parte di unEnte della Conferenza Episcopale, ricono-sciuto a livello statale, che noi chiameremmo‘scuola parificata’, sotto la denominazione di“Écoles Catoliques Associées Centrafricaines”(E.C.A.C.). Occorre ricordare che i nostriconfratelli, sostenuti dall’impegno direttodella comunità delle Suore, si occupanoanche della scuola materna - fiore all’occhiel-lo della parrocchia - e della sanità - con laMaternità e il centro di assistenza per i mala-ti di AIDS (in francese: SIDA) -, ambeduepresso la sede centrale di Bernabeng. In fattodi Chiesa locale, la diocesi di M’baiki, direcente istituzione, è costituita da nove par-rocchie di grande estensione. La formazionedel clero locale è ancora timidamente agliinizi; la presenza dei missionari provenientidall’estero (sacerdoti, suore, volontari) è tut-tora vitale e decisiva. Il vescovo, l’italianomons. Rino Perin, ci ha manifestato il suoapprezzamento e incoraggiamento.

Risalendo sull’aereo di ritorno, portiamo connoi l’eco dei canti africani, il sorriso dei bam-bini, la poesia dei tramonti e dei cieli stellati,le immagini di una gente e di una Chiesaancora giovani... un’ “impronta interiore” chesi prevede duratura.

Scuola nel villaggio di Loko

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Anche quest’anno come per i ventisei precedenti, ci incontreremo. Come stabilito l’anno scor-so saremo a Firenze, e il ritrovo sarà organizzato in toto da Enzo Ferrini. Tutti, partendo dalleparti più lontane, raggiungeremo la città fiorentina per assaporare ancora un giorno di comuni-tà, un giorno, come allora. Purtroppo qualcuno mancherà all’appello. Qualcuno già ci aspettalà dove tutti un giorno andremo per festeggiare ancora il nostro incontro e il nostro essere alun-ni di San Floriano. Ci ritroveremo insieme, seppure con qualche assenza, come allora, comequando, bambini, lasciando le nostre case, raggiungemmo quel piccolo paese del Veneto cheper noi ha comunque rappresentato qualcosa di molto importante. Non abbiamo solo studiatolatino e francese o matematica. Lì abbiamo imparato a vivere e a vivere cristianamente. E quimi corre l’obbligo, ma è un piacere farlo, di ricordare i nostri educatori, coloro che, seppure conmetodi oggi ripudiati, ci hanno insegnato a seguire la retta vita. Voglio ricordare il “burbero”don Emilio Dunoyer, il “trascinatore” don Bruno Giuliani, “l’allegro giocherellone” donAlfredo Miccinilli, il “severo” don Mario Bartaccioli, il “serio” don Giuseppe De Nicola, il“simpaticissimo” don Giuseppe Sapori, l’“artista” don Bernardo Meconi. Ma tutti questi epitetinon hanno più alcun senso oggi. Sono loro, i Sacerdoti che ho menzionato, che ci hanno inse-gnato, chi in maniera burbera, chi in maniera gioviale, che la vita val la pena essere vissuta eva vissuta cristianamente. Tutti nel corso della nostra esistenza almeno una volta siamo tornati a San Floriano. Non è chesia un paese “fantastico”, non è che ci siano divertimenti che attraggono, non ci sono musei obiblioteche che attirano la nostra curiosità. Non c’è nulla di tutto questo, ma tutti siamo torna-ti là. Per vederci bambini ancora? Forse anche quello. Certamente siamo voluti tornare lì perricordare il nostro cammino di fede, per ritrovare gli affetti che non avevamo più, per ritrovareinfine quella serenità che avevamo quando andavamo a raccogliere il fieno o sulle piante diciliegie a far finta di raccoglierle. Tornare a San Floriano è significato per tutti fare un tuffo nel

passato, nel passato gioioso dei nostri 15 anni (età che nonritorna, come dice una nota canzone), quando immersinello studio dei classici ascoltavamo la campana dellaParrocchia che sembrava ripeterci: “Venite a San Florian, astudiar latino e italian”. Ma lì, e vogliamo dirlo a gran voceai nostri educatori, abbiamo imparato forse meno il latinoe l’italiano, ma abbiamo certamente imparato a vivere cri-stianamente. E’necessario da parte nostra quindi un ringra-ziamento a tutti loro, a chi, burbero, severo, allegro, trasci-natore o artista, ci ha insegnato a vivere. Grazie!P.S. Un ricordo particolare consentitemelo a don EmilioDunoyer, definito da molti di noi burbero e severo. Forse loè anche stato, specie quando si toglieva l’orologio dal polsomancino, ma a lui dobbiamo molto, lui che ci ha seguitoancora nel corso di questi 26 anni e che, col cuore di Padre,ha per ognuno di noi una parola buona, un ricordo, un pen-siero per farci riflettere. Ha perso la luce degli occhi, manon è mai mancata in lui la luce della Fede, di quella Fedeche ci ha trasmesso, anche quando ci sembrava severo.Grazie don Emilio! Tutti noi ti vogliamo bene!

Notizie n. 73

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Alunni di San FlorianoXXVII Raduno - Firenze, 25 aprile 2012

Mario Scrocca

(Andora, 1963)

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Notizie n. 73

Sto davanti a lui, a mio fratello Augusto,nella camera mortuaria della Clinica S.Raffaele di Cassino. Non è più martoria-to dai tubi, dai cateteri, dalle sacche, daidolori. E’ pallido, ma finalmente sereno,il viso disteso perché da qualche ora halasciato questo mondo dopo quattro mesiesatti da quando ebbe quell’improvvisomalore, dopo quattro mesi di dolori, diperipezie da un ospedale all’altro. Loguardo e, in un attimo, scorrono tanteimmagini dei nostri incontri, rimastescolpite nella mia mente. Sento ancoral’eco delle nostre risate seduti sotto quel-l’immensa e stupenda magnolia di S.Floriano in Castelfranco Veneto. Davantia noi tutti della famiglia sprigionava alle-gria, gioia e serenità: stava all’inizio di unnuovo percorso che nessuno gli avevaimposto, ma che lui aveva cercato, voluto ed era pienamente consapevole di dover rispon-dere alla “chiamata”. Augusto, dal momento della sua Ordinazione sacerdotale, non si è“impegnato” a fare il sacerdote, ma ha “vissuto” il sacerdozio, lo ha praticato con l’impe-gno libero e sereno del mandato evangelico: “Andate e predicate…”. Quando gli capitavadi tornare per qualche giorno nella sua Guarcino, il suo principale compito era quello dellaMessa domenicale del Fanciullo. In quegli anni il paese era ricco di bambini e fanciulli enessuno mancava alla Messa domenicale. Nessuno vi mancava soprattutto quando sapeva-no che c’era don Augusto. Li affascinava, li coinvolgeva, li trascinava nell’entusiasmo enella consapevolezza di cosa significhi essere e vivere da cristiano. Sono andato a trovarlo in tutte le Parrocchie dove ha svolto la sua attività soprattutto con iragazzi, i giovani, gli scout: Bologna, Lucca, Gubbio, Napoli, Andora. Anche se talvolta lotrovavo stanco, anche se sentiva il peso di varie preoccupazioni, lui non si mostrava maisfiduciato, mai si abbandonava, neanche nell’intimità tra fratelli, ad evidenziare un qual-che barlume di impotenza o di stanchezza morale relativa alla sua missione. Sorrideva ediceva sempre che tutto andava bene e si preoccupava di noi, di papà e mamma, per i qualiha avuto sempre un affetto filiale profondo. Negli ultimi anni della sua vita non veniva più a Guarcino. Il suo fisico cominciava a daresegni notevoli di stanchezza. Ma a settembre dello scorso anno riuscii a portarlo a casa per-ché saremmo stati insieme ad una suora, nostra parente, direttrice dell’Ospedale italiano diHaifa in Israele, dove era ricoverato da mesi un confratello di Augusto. Venne volentieriper ringraziarla e trascorse una giornata nella più assoluta serenità e gioia. Prima di ripar-tire per riaccompagnarlo a S. Agnese, andammo a fare visita al cimitero ai nostri genitori.Lì, davanti alla loro tomba, mi indicò il posto dove voleva essere sepolto lui, accanto a loro.Come si usa in questi frangenti, me la cavai con la solita frase di circostanza. Neanche un mese dopo iniziò il suo calvario che lo ha portato dentro quella tomba. E, sono certo, alla felicità eterna.

In ricordo di don Augusto FloriGiuseppe Flori

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Notizie n. 73

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VITA

DI

FAM

IGLIA

28 dicembre 2011 – 3 gennaio 2012. A Roma, presso il Collegio S. Vittore,nostra Casa di Accoglienza, in due turni,per offrire a tutti i confratelli la possibilitàdi partecipare, si svolgono due giornate diassemblea per preparare il prossimoCapitolo provinciale. Guidati dal PadreVisitatore, insieme si riflette sul tema dellevocazioni e sul futuro della Provincia.

16 febbraio. Don Sandro rientra dalla nostramissione di Safa, nella RepubblicaCentrafricana, per un periodo di riposo,tempo prezioso per stare vicino ai suoi, inparticolare con il papà, per incontrare confra-telli e amici e per un controllo generale delsuo stato di salute. Rimarrà in Italia fino al 16maggio.

12 gennaio – 16 marzo. Il Padre Visitatoredon Giuseppe Cipolloni, accompagnato aturno da uno dei suoi quattro Consiglieri, ha

visitato le Comunità dellaProvincia, incominciando dallanostra missione di SAFA, nellaRepubblica Centrafricana. Talevisita, chiamata Canonica, inquanto prescritta dalle nostreCostituzioni, ha lo scopo di pre-parare l’evento importante delCapitolo provinciale, che siterrà a Gubbio dal 18 al 24 giu-gno. I Visitatori hanno incontra-to singolarmente e comunitaria-mente i confratelli delle Case, ifedeli delle parrocchie e iVescovi delle Diocesi.

Vita di famigliaa cura di don Giuseppe Cipolloni

Visite Canoniche del P. Prov. d. Giuseppe Cipolloni (con uno dei suoi consiglieri a turno, tra parentesi)

12 - 26 gennaio SAFA (don Ercole)30 - 31 gennaio Andora (don Damiano)1 - 3 febbraio Genova (don Damiano)6 - 8 febbraio Verres (don Ercole)13 - 14 febbraio S. Floriano (don Franco )15 - 18 febbraio Bologna (don Franco)20 - 22 febbraio S. Giuseppe (don Franco – don Ercole)27 - 29 febbraio S. Secondo (don Franco)5 - 6 marzo Collegio S. Vittore (don Giancarlo) 7 - 9 marzo S. M. di Piedigrotta (don Damiano)12 - 14 marzo S. Agnese (don Giancarlo)16 marzo S. Pietro in Vincoli (don Giancarlo)

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28 febbraio. Nella clinica San Raffaele di Cassino, dopo unalunga malattia e mesi di coma, muore il confratello donAugusto Flori. I funerali avvengono a Guarcino, ove era natoil 25 ottobre 1935. L’Eucaristia, presieduta dal Padre Abate,don Bruno Giuliani, e concelebrata da un bella rappresentanzadi confratelli e sacerdoti del luogo; sono presenti, oltre aiparenti, fedeli del paese e della parrocchia romana di S.Agnese, ove viveva don Augusto.

25 marzo. Domenica, V di Quaresima, con la celebrazione eucaristica delle ore 11, pre-sieduta dal Vicario Generale di Bologna, Mons. Giovanni Silvagni, inizia con grande con-corso di popolo la vita della comunità nella nuova chiesa dedicata ai Santi Monica eAgostino. La solenne consacrazione della chiesa sarà invece il 23 settembre con ilCardinale di Bologna, S. Em. Carlo Caffarra.

3 – 4 marzo. A Roma, nella nostra parrocchia di S. Giuseppein Via Nomentana, XXXII Convegno nazionale dei catechisti.Gli operatori pastorali della catechesi, rappresentanti le parrocchie italiane rette da noicanonici, sono convenuti per apprendere sempre meglio l’arte dell’annuncio del Vangeloe per vivere un momento di grande e gioiosa comunione. Dopo una calda e festosa acco-glienza, al teatro Arcobaleno due momenti di riflessione che hanno ruotato intorno al temaindicato dalla Chiesa italiana per questi anni: “Educare alla vita buona del Vangelo”. Il

Convegno ha vissuto anche momenti diintensa preghiera: il canto dei Vespri il saba-to sera e quello delle Lodi la domenica mat-tina. La solenne celebrazione festivadell’Eucaristia è stata presieduta dal RettoreMagnifico dell’Università Lateranense S.Ecc. Mons. Enrico Dal Covolo. Al momentodell’offertorio ogni comunità ha presentatoun piccolo segno, quale espressione dellapropria identità parrocchiale. E poi, dopo unfestoso e lauto pranzo, tra abbracci e baci,tutti sulla via di casa.

3 – 4 marzo. A Capri, rievocazione dei venticinque anni dell’Istituto scolastico “GirolamoVida”, fondato nel 1936 e gestito fino al 1961 dai Canonici Regolari Lateranensi nellaCertosa dell’isola. Tra i vari appuntamenti, sabato 3, la S. Messa presieduta dal nostro Ab.Gen. don Bruno Giuliani, e domenica 4, la rievocazione storica, con testimonianze e inter-venti commemorativi di vari protagonisti e autorità, proiezione d’immagini e esecuzione dibrani musicali; presente anche l’ex-alunno Peppino di Capri. Il nome della scuola si riface-va al poeta umanistico e vescovo di Alba, nonché canonico regolare lateranense, GirolamoVida. L’Istituto “Vida” fu il primo dell’isola e venne affidato ai Canonici, dopo vari inter-venti di restauro. Nel 1961 i Canonici lasciarono l’isola e il “Vida” divenne scuola statale“Publio Virgilio Marone”. Indubbiamente, grazie ai Canonici, si trattò di un periodo digrande fervore non solo culturale, ma anche artistico, religioso e sportivo, rivitalizzandol’antico complesso monumentale e formando tanti professionisti e dirigenti del paese.

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Notizie n. 73V

ITA

DI

FAM

IGLI

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NOTIZIEDEI CANONICI REGOLARI LATERANENSI

PROVINCIA ITALIANA

Quadrimestrale n°73 Anno 40 Aprile 2012RRegistrato presso il Tribunale di Roma con iln° 431 in data 28/10/2004Poste Italiane spa - spedizione in a.p.D.L.353/03 (conv. in L.27/02/2004 n° 46) art 1comma 2 e 3 aut C/RM/169/2004

SEDE REDAZIONALE:Collegio San VittoreVia Sette Sale, 24 - 00184 RomaPer informazioni:[email protected]. e fax 06/483703

c/c post. n. 23749005intestato a: Canonici RegolariLateranensi - Provincia ItalianaDIRETTORE RESPONSABILE:Maria Grazia FioraniREDATTORE RESPONSABILE:d. Edoardo [email protected]. e fax 06/8610840REDAZIONE:d. Giuseppe Cipolloni,d. Franco Bergamin,d. Damiano Barichello,Federica Pennesi,Emanuele Pozzilli,Federico CenciSITO INTERNET:www.lateranensi.itSTAMPA:STAMPERIA ROMANA S.R.L.Industria Grafica

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Rendiamo grazie a Dio don Giuseppe Cipolloni

Dossier Celebrare è dire grazie!

“Prese il pane e lo spezzo” don Andrea Piccolo

“Ecco l’Agnello di Dio”don Pasquale Criscuolo

“Prendete e mangiatene tutti”Sergio Gatti

“La messa (non) è finita. Andate in pace”Andrea Grillo

“Fate questo in memoria di me”don Raffaele Zaffino

Spazio Giovane

“A tavola prese il pane, recitò la benedizione...”don Damiano Barichello

Gli incontri del Giovedi a San Vittorea cura di Federica Pennesi

Ci diamo oggi il nostro “pane” quotidiano Federico Cenci

Vi suggeriamo

La Cena di Emmaus di Caravaggiodon Gianpaolo Sartoretto

Speciale capitoli

I Canonici: un dono per la Chiesadon Giuseppe Ganassin

Speciale Liturgia delle Ore

Ora media: la carezza di Diodon Raffaele Zaffino

Grembo e Fuoco per dire Speranzaa cura di don C. Lazzari e i catechisti di S. Giuseppe

Diario di una visita - gennaio 2012, Safadon Ercole Turoldo

Alunni di San Floriano - XXVII RadunoMario Scrocca

In ricordo di don Augusto FloriGiuseppe Flori

Vita di Famigliaa cura di don Giuseppe Cipolloni

INDIRIZZO POSTALEDON MAURO MILANI

DON SANDRO CANTONMission Catholique Jeanne D’Arc

B.P. 19 - MBAIKIREPUBLIQUE CENTRAFRICAINE

CONTO CORRENTE POSTALEN. 23749005

intestato a: Canonici RegolariLateranensi - Provincia italiana

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(e-mail di d. Sandro Canton)[email protected]

(e-mail di d. Mauro Milani)

MISSIONE SAFA

Pagina

delbuonumore

a cura di Emanuele Pozzilli

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