R&P Mag n.2

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1 N. 02 - anno 2012

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periodico di approfondimento giuridico

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N. 02 - anno 2012

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SOMMARIO

1.COPYRIGHT

Giurisprudenza Locandine pubblicitarie di film realizzate da maestri pittori ....................................................................................................................... (pag. 7) Archiviazione di fotografie in siti web ............................................................................................................................................................. (pag. 8) L’opera cartografica come opera dell’ingegno ......................................................................................................................................... (pag. 8) Tutela dei programmi per elaboratore .......................................................................................................................................................... (pag. 9)

2.DIRITTO DELLA PRIVACY Giurisprudenza Rispetto del diritto all’oblio e obbligo di aggiornamento delle testate ................................................................................................... (pag. 12) Garante per la protezione dei dati personali ............................................................................................................................................... (pag. 12)

Legislazione Cookies e data breach: le modifiche al Codice Privacy apportate dal D.Lgs. 69/2012 ...................................................................... (pag. 13)

3.DIRITTO INDUSTRIALE

Giurisprudenza La dicitura “Falsi d’autore” non esclude il reato di introduzione e commercio di prodotti con segni falsi ........................................ (pag. 16)

Seminari e Convegni Inta – Al passo coi tempi (anche troppo)..................................................................................................................................................... (pag. 16)

4.COMUNICAZIONE D’IMPRESA

Giurisprudenza Inderogabilità unilaterale del foro del consumatore .................................................................................................................................. (pag. 17) Keywords Advertising. ....................................................................................................................................................................................... (pag. 19)

5.DIRITTO DELLA RETE

Giurisprudenza Google non è editore di youtube, ma un mero fornitore di servizi tecnologici e non è responsabile delle violazioni di diritto d’autore commesse dai propri utenti ................................................................................................................. (pag. 20) Il servizio di suggest search all’interno dei motori di ricerca: due ordinanze a confronto .................................................................... (pag. 20)

6. DIRITTO E TECNOLOGIA

Conversazioni davanti a un camino: Riccardo Rossotto e Leonardo Chiariglione................................................................................ (pag. 22)

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EDITORIALE

CYBER: FAR WEST Il tema potrebbe apparire… fuori tema. Simbolo di una posizione anti Rete. Illogico in una pubblicazione,

come la nostra, che ha come obbiettivo l’approfondimento di questioni giuridiche collegate al mondo

off-line e on-line. Stiamo parlando delle conclusioni di un libro uscito in questi mesi (“The future of the

power” del professor Joseph S. Nye dell’università di Harvard, ex assistente del Ministro della Difesa

americano) che si occupa e preoccupa del nostro futuro dominato dall’incontrollabile mondo della

Rete. Nye si pone una questione di drammatica attualità, probabilmente sottovalutata da tutti gli

entusiastici fautori della modernità e innovatività del web. Quanto l’equazione acritica Libertà-Velocità

di trasmissione dei dati-Incontrollabilità può portarci ad uno nuovo 11 Settembre nel cyberspazio? Se da

un lato, infatti, la Rete ha rappresentato il fantastico innesco o comunque lo straordinario strumento per

l’avvio delle rivoluzioni nel Nord Africa, per la speranza di una maggior libertà in Cina, per comunicare al

mondo le atrocità dei regimi in Birmania e in Tibet, dall’altro lato ha creato e continua a consolidare,

giorno dopo giorno, ora dopo ora, uno spazio senza confini, senza regole, certo senza censure ma nel

contempo senza controlli.

La diffusione del potere extra governativo (esattamente quello che si origina quotidianamente nella

Rete), sostiene Nye, costituisce il più grande cambiamento politico di questo secolo. Le grandi nazioni

mondiali hanno la capacità di controllare terra, cielo e mare, ma hanno perso il “grip” sulla Rete. Da

consulente del Ministero della Difesa degli Stati Uniti, Nye ha vissuto “dal di dentro” questa problematica

e la sua sintesi è drammatica e inquietante. Il cyberspazio è diventato la fonte di maggior insicurezza,

perché lì, in questa fase dello sviluppo tecnologico, l’offesa prevale sulla difesa”. Attacco informatico,

guerra informatica, sono gli incubi degli esperti del Pentagono che si dibattono intorno a questa nuova

minaccia “senza spargimento di sangue”. Il caso più esemplare ci arriva dall’Iran dove due anni orsono

un difetto di un codice informatico infettò il sistema posto alla base del programma nucleare iraniano.

Un sabotaggio? Probabilmente si, risponde Nye, ma anche l’esempio di che cosa potrebbe capitarci in

futuro… anche di segno opposto!

“Le grandi potenze - scrive Nye - potrebbero creare una situazione di caos e di distruzione fisica

attraverso attacchi informatici contro obbiettivi civili e militari.” Ma nello stesso tempo il nuovo potere

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extra governativo che vive e si nutre della e nella Rete potrebbe, a sua volta, scatenare situazioni

assolutamente nuove e inimmaginabili per gli stessi addetti ai lavori: oscuramento dei siti (già accaduto

in Georgia nel 2008), black-out di un’intera industria di un paese e chissà cos’altro.

“Prima o poi i gruppi terroristici - sottolinea Nye - si impossesseranno della complessità del cyberspazio, tra

l’altro molto meno complessa da capire rispetto a quella nucleare!”

“E’ tempo che gli stati si siedano - conclude il nostro autore - per discutere su come eliminare questo tipo

di minacce alla pace mondiale”.

Qui sta, a nostro avviso, il punto che ci riguarda, oltre che da cittadini di questo mondo, da giuristi

interessati alla tenuta delle regole del gioco di una convivenza virtuosa tra i popoli del nostro pianeta. Il

mondo off-line ha consolidato nei secoli un sistema normativo transnazionale che ha permesso a tutti,

con le naturali e comprensibili differenze di sviluppo,di crescere conoscendo i format normativi di

riferimento e le sanzioni in caso di inosservanza. Il mondo digitale non può rimanere un Far-west in cui

tutto è possibile e non esiste sanzione per coloro che non rispettano i diritti fondamentali dello “stare

insieme”.

Non sto parlando di introdurre censure o limiti ingiustificati allo sviluppo della Rete. Semplicemente di

porci un tema strategico di necessità di perimetrare, a livello internazionale, un sistema di regole che

coniughi da un lato la libertà di manifestazione del pensiero di tutti noi ma dall’altro la nostra sicurezza

sia personale sia collettiva.

Prepariamoci dunque ad assistere e convivere con uno scenario in cui saranno messe sul tavolo

proposte normative mirate a restringere la cosiddetta libertà nel Far-west del cyberspazio. Sarà

importante, in quel momento, la reazione del nostro mondo professionale e accademico.

Nye ci lancia un allarme e una sfida: noi giuristi abbiamo la responsabilità di raccoglierla e di non

limitarci a gridare “contro” a qualsiasi progetto mirato a disciplinare la Rete.

Riccardo Rossotto

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UN BIMESTRE PIENO DI NOVITÁ Questo numero del nostro Magazine, come certo noterete, si annuncia particolarmente interessante, perché la produzione legislativa e giurisprudenziale dell’ultimo bimestre ha dato luogo a provvedimenti che incidono, in alcuni casi notevolmente, sulle materie di riferimento. Andiamo con ordine.

In relazione alla parte legislativa, Vi segnaliamo il provvedimento (peraltro, già oggetto di un nostro alert) con cui è stato pubblicato il bando relativo alle agevolazioni dirette a favorire la registrazione di marchi a livello comunitario ed internazionale da parte delle imprese italiane. Il nostro studio sta già lavorando su alcune posizioni di clienti interessati a beneficiarne. Questa è, quindi, l’occasione di nuovamente sensibilizzare la vostra attenzione sul punto: si tratta, una volta tanto,

di qualcosa che non solo aiuta, ma anche incentiva l’internazionalizzazione delle PMI. Altro provvedimento davvero interessante è il Decreto Legislativo 69/2012 che ha introdotto modifiche al codice della privacy e che, quindi, per definizione, deve interessare tute le imprese. Con riferimento alle novità giurisprudenziali, degna di particolare nota è la sentenza del Tribunale di

Parigi, nella quale troverete un diverso approccio (rispetto a quello attuale dei giudici italiani) sul tema della relazione tra contenuti protetti e rete. Tra l’altro, la decisione si fa apprezzare per il fatto che i giudici francesi hanno correttamente ritenuto di esaminare nel dettaglio i contratti fonte (in alcuni casi, presunta) dei diritti dei titolari.

In tema, invece, di rete meritano una particolare menzione due ordinanze (peraltro, contrastanti, tanto per fare capire come i principi in questo settore siano ancora ben lontano dall’essere granitici) sulle c.d. “suggest search” e, nella sezione copyright, di una sentenza sull’archiviazione di fotografie in siti web.

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Sempre nella sezione copyright, troverete un’interessante decisione sulla tutela dei software e sulla titolarità dei diritti sulle locandine pubblicitarie di film. Date anche uno sguardo ad una divertente sentenza sulla tutelabilità delle carte geografiche.

Nella sezione comunicazione d’impresa, leggerete il commento di una decisione del Giurì sulla questione della keyword advertising, tema davvero caldo della rete. Da ultimo, avrete modo di seguire la seconda puntata dell’interessante e piena di spunti intervista con Leonardo Chiariglione nella sezione “Diritto e tecnologia”.

Vi ricordiamo, in chiusura, che Rep Mag è disponibile anche su twitter, dove quotidianamente pubblichiamo notizie di aggiornamento e che è, quindi, un efficace mezzo per tenersi continuamente informati sulle materie di riferimento.

Lorenzo Attolico

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1.COPYRIGHT

Giurisprudenza italiana

Tribunale di Roma: LOCANDINE PUBBLICITARIE DI FILM REALIZZATE DA MAESTRI PITTORI - DIRITTI DEL COMMITTENTE / PRODUTTORE CINEMATOGRAFICO Con sentenza depositata in data 12 giugno 2012, il Tribunale di Roma ha definito una controversia avente ad oggetto la titolarità dei diritti di utilizzazione economica di immagini tratte da bozzetti originali di manifesti

pubblicitari di film, realizzati da maestri pittori, arricchendo due rilevanti principi di diritto già, in parte, elaborati dalla giurisprudenza. In primo luogo, il Giudicante ha stabilito che dette immagini costituiscono opere realizzate su

commissione del produttore cinematografico e tutti i relativi diritti di sfruttamento economico debbono considerarsi sorti ab origine in capo a detto soggetto committente. In secondo luogo, il Tribunale si è pronunciato nel senso che siffatta titolarità dei diritti

patrimoniali in capo al committente di un’opera dell’ingegno non necessita di essere provato per iscritto a norma dell’art. 110 della Legge sul diritto d’autore del 22 aprile 1941, n. 630. Tribunale di Roma 12 giugno 2012.pdf

Commento

Con riferimento al primo dei predetti principi di diritto, il Tribunale di Roma ha, da un lato, confermato, come detto, quanto già più volte espresso dalla giurisprudenza in ordine al riconoscimento dei diritti di sfruttamento economico di un’opera dell’ingegno in capo al soggetto committente dell’opera stessa. A ben vedere, peraltro, la pronuncia in esame ha il merito di cristallizzare l’ulteriore convincimento in base al quale le locandine dei film realizzate in passato dai maestri pittori, nonchè, viene da sè, tutte le immagini realizzate nel perseguimento di finalità promozionali legate all’opera cinematografica stessa, debbono considerarsi opere commissionate dal soggetto produttore cinematografico.

Il Giudicante sostiene, invero, che, al di là dell’esistenza di una consolidata prassi in tal senso, parrebbe davvero impensabile che l’esecuzione di disegni che compongono i manifesti con cui il film viene pubblicizzato, avvenga senza che il soggetto interessato, ovvero il produttore del film medesimo, conferisca un apposito incarico all’artista. Dal predetto convincimento deriva l’estensione del richiamato consolidato principio, avente ad oggetto il riconoscimento dei diritti di sfruttamento economico di un’opera dell’ingegno in capo al soggetto committente dell’opera stessa, all’ipotesi in cui detto soggetto sia un produttore cinematografico, titolare, in quanto tale e a norma degli artt. 45 e ss. della Legge 630/1941, dei diritti di utilizzazione economica sul film. Sul punto, il Tribunale di Roma osserva, altresì, che una delimitazione temporale dei diritti di sfruttamento dell’opera commissionata radicati in capo al committente/produttore cinematografico sarebbe incompatibile con gli interessi (promozionali o commerciali) che quel soggetto conserva anche dopo un primo ciclo di proiezioni del film. Da ultimo, il Giudicante esclude che le immagini realizzate per la promozione di un film possano essere liberamente sfruttate economicamente da terzi, atteso l’imprescindibile legame tra le stesse e l’opera filmica per cui sono state realizzate, i cui diritti d’autore spettano, come detto, esclusivamente al produttore cinematografico. Anche il secondo principio di diritto fissato dal Tribunale di Roma pare confermare quanto già in precedenza osservato dalla giurisprudenza in ordine alla inapplicabilità dell’art. 110 della Legge 630/1941 al trasferimento dei diritti relativi ad un’opera dell’ingegno commissionata. E’ solo con la sentenza in commento, tuttavia, che detto principio pare estendersi anche all’ipotesi in cui l’opera commissionata sia costituita da immagini legate all’attività promozionale di un film ed il soggetto committente sia un produttore cinematografico. (R.A.)

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Tribunale di Torino: ARCHIVIAZIONE DI FOTOGRAFIE IN SITI WEB – VIOLAZIONE DEI DIRITTI SI SFRUTTAMENTO COMMERCIALE DELLE FOTOGRAFIE Con ordinanza emessa il 26 marzo 2012, il Tribunale di Torino ha definito un procedimento cautelare instaurato da un’agenzia fotografica, ex artt. 163 l.d.a. e 700 c.p.c., in ragione

dell’avvenuto utilizzo, da parte della società resistente, di immagini oggetto di un contratto di fornitura di fotografie stipulato con quest’ultima, successivamente alla scadenza del contratto medesimo.

Secondo la citata ordinanza, la conservazione,

oltre la scadenza contrattuale, di fotografie concesse in uso editoriale a quotidiani web e pubblicate sulle relative pagine internet che siano composte, altresì, dalle notizie del giorno in cui avviene la consultazione della stessa pagina “storica” del web, nonché da banner

pubblicitari, anch’essi aggiornati al momento della consultazione, comporta uno sfruttamento ancora attuale delle medesime fotografie e, dunque, una violazione dei diritti di utilizzazione economica sulle stesse.

Detto principio è stato confermato, peraltro,

dall’ordinanza emessa dal medesimo Tribunale di Torino, in data 23 maggio 2012, sul reclamo proposto dalla predetta società resistente.

Tribunale di Torino 26 marzo 12.pdf

Commento

Si ritiene che l’ordinanza in commento meriti di essere segnalata per aver espressamente chiarito in quale specifica ipotesi, successivamente alla scadenza contrattuale che ne legittimi lo sfruttamento, l’archiviazione di fotografie, caricate in siti web in vigenza del predetto contratto, debba considerarsi illecita ai fini del diritto d’autore.

Con il citato provvedimento, il Tribunale di Torino pare non voler negare la liceità della predetta archiviazione storica di fotografie, ma specifica, bensì, come questa debba considerarsi illecita laddove consenta che il proprietario di un sito web ne tragga un profitto commerciale.

Con riferimento alla fattispecie in esame, si rileva come la resistente abbia, prevedibilmente, eccepito la sussistenza di una clausola contrattuale in base alla quale le veniva

consentita, anche dopo la cessazione del contratto, l’archiviazione, appunto, nei propri sistemi, delle immagini contenute, ovvero già caricate, nelle proprie pagine web.

Il Giudicante, tuttavia, ha ritenuto infondata siffatta eccezione sostenendo che la facoltà di conservare le immagini in un archivio virtuale, eventualmente riconosciuta ad una parte contrattuale, deve essere interpretata quale mera facoltà di conservare le “pagine del passato” senza alcuna possibilità di ulteriore sfruttamento commerciale.

Alla luce di siffatta considerazione, dunque, il Tribunale di Torino non poteva che concludere per l’illiceità dell’archiviazione in parola laddove ci si trovi in presenza di una pagina web che presenti, nella relativa fascia laterale, i menzionati banner pubblicitari o elementi di attualizzazione quali, per esempio, le “notizie aggiornate”.

Come già precisato, invero, tale modalità di composizione di una pagina web comporta uno sfruttamento commerciale delle immagini ancora attuale, atteso che il collegamento, posto in essere dall’utente, ad una determinata fotografia, permette al proprietario del sito di rimandare l’utente stesso ai contenuti attuali della propria testata telematica e di accedere agli annunci pubblicitari.

(R.A.)

Tribunale di Torino L’OPERA CARTOGRAFICA COME OPERA DELL’INGEGNO – RISARCIMENTO DEL DANNO Le cartine geografiche configurano opere dell’ingegno, tutelate dal diritto d’autore, in

quanto rappresentano un’originale e personale rielaborazione degli elementi geografici presenti nel territorio, con la conseguenza che qualsiasi utilizzazione non preventivamente autorizzata delle stesse comporta la violazione dell’esclusiva dell’autore delle cartine geografiche medesime.

Tribunale di Torino 1 febbraio 2012.pdf Commento

La sentenza in esame ha accolto un principio pacifico in giurisprudenza ed in dottrina, affermando che le cartine geografiche sono

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considerate a tutti gli effetti opere dell’ingegno, tutelate in quanto tali dalla normativa in materia di diritto d’autore ed in particolare dall’art. 2, n. 4 della L. 633/1941 e dalla Convenzione di Unione di Berna per la protezione delle opere letterarie ed artistiche, all’art. 2.1. Molte sono, ad oggi, le decisioni dei Giudici italiani che hanno affermato questo principio: tra le tante, ricordiamo la sentenza del Tribunale di Milano, 30 giugno 2004, che, come il Giudice Torinese, ha stabilito che le cartine geografiche costituiscono un’originale rielaborazione degli elementi geografici presenti nel territorio, caratterizzate da un grado di creatività adeguato e, comunque, sufficiente ad ottenere tutela anche in caso di riproduzione parziale delle stesse; nonché l’ordinanza del Tribunale di Monza, 15 maggio 2000, che ha riconosciuto il carattere creativo delle opere in questione, definendo queste ultime come frutto della fantasia creativa dell’uomo, espressione della sua personalità, nella misura in cui rappresentano e modificano, alla luce di un’originale ed unica “lente” sensopercettiva, la realtà naturale, senza, quindi, presentarsi totalmente astratte dal dato materiale, ma rielaborandolo in modo soggettivo. A tal proposito, rileviamo che denominatore comune di tutte le decisioni sull’argomento in oggetto è la condanna dell’utilizzatore al risarcimento del danno. Ciò in ragione del fatto che l’utilizzo da parte di terzi delle predette opere cartografiche senza il preventivo consenso dell’autore costituisce un illecito, suscettibile di far nascere in capo all’autore stesso il diritto ad ottenere il risarcimento del danno subito. Al riguardo, di particolare interesse sono i criteri che il Giudice di Torino ha utilizzato al fine di quantificare il danno subito dall’attore: il Tribunale ha, invero, tenuto conto nel numero di cartine utilizzate e divulgate, del formato digitale di altissima definizione delle stesse, del relativo periodo di pubblicazione, dei costi di produzione delle opere medesime e della circostanza per cui l’attore non aveva in passato mai concesso l’utilizzo di queste ultime su internet (modalità con cui le opere in questione erano state divulgate dal convenuto), nonché degli abituali costi che l’attore medesimo era solito applicare per il rilascio della propria autorizzazione alla riproduzione delle cartine in questione. Ciò detto, merita, altresì, attenzione un inciso della sentenza in esame relativo alla impossibilità di accogliere la tesi proposta dal convenuto circa una sua supposta buona fede riguardo alla

liceità dell’utilizzo su internet delle cartine geografiche ed alla esistenza di un vantaggio pubblicitario a favore dell’attore derivante dal predetto utilizzo. Il Tribunale ha, infatti, negato la possibilità di accertare le predette circostanze in quanto la pubblicazione delle opere in oggetto determina comunque la violazione del diritto di esclusiva dell’autore, violazione che non può essere esclusa neppure in caso di consultazione gratuita della cartine oggetto di causa, rientrando nella suddetta esclusiva qualsiasi forma di utilizzazione economica delle stesse senza la preventiva autorizzazione del relativo autore. Sul punto, il Giudice Torinese ha precisato, inoltre, che la possibilità di scaricare le opere in oggetto tramite internet non solo non determina una promozione delle stesse, ma comporta addirittura uno sviamento di clientela, dal momento che all’utente viene concesso di ottenere una copia delle predette cartine senza l’autorizzazione e/o l’intervento dell’autore. (F.F.)

Giurisprudenza comunitaria

Corte di giustizia dell’Unione Europea TUTELA DEI PROGRAMMI PER ELABORATORE La Corte di giustizia dell’Unione Europea ha di

recente fissato, con la sentenza pubblicata il 2 maggio 2012, tre significativi principi di diritto in ambito di tutela dei programmi per elaboratore, i cosiddetti “software”. In primo luogo, la Corte, interpretando l’art. 1, paragrafo 2, della direttiva 91/250 CE, ha

escluso che la funzionalità del programma per elaboratore, il relativo linguaggio di programmazione ed il formato di file di dati dallo stesso utilizzato possano essere considerati forme di espressione del programma per elaboratore

medesimo e dunque tutelabili dal diritto d’autore. In secondo luogo, la Corte, interpretando l’art. 5, paragrafo 3, della direttiva 91/250 CEE, ha ritenuto che il titolare del diritto d'autore su un programma per elaboratore non può impedire

che il relativo soggetto licenziatario studi, osservi e sperimenti liberamente il funzionamento del programma stesso, al fine di effettuare operazioni che la licenza gli consente di compiere, nonché operazioni di caricamento e svolgimento necessarie all'utilizzazione del

programma medesimo, a condizione, tuttavia,

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che egli non leda i diritti esclusivi del titolare del diritto d'autore su tale programma. Da ultimo, la Corte, interpretando l’art. 2, lett. a), della direttiva 2001/250 CE, ha stabilito che,

laddove venga giudizialmente accertato che il manuale d’uso di un programma per elaboratore costituisce una creazione intellettuale del programma stesso e sia, in quanto tale, protetto dal diritto d’autore, la riproduzione di elementi in esso descritti

all’interno di un altro programma per elaboratore o di un altro manuale d’uso rappresenta una violazione del diritto d’autore sul predetto manuale protetto. http://curia.europa.eu/juris/liste.jsf?language=it&jur=C,T,F&num=C-406&td=ALL

Commento Non può che rilevarsi come la sentenza in commento abbia il pregio di chiarire in maniera piuttosto dettagliata e precisa il contenuto di norme che, fino ad oggi, parevano del tutto generiche.

La Corte, chiamata a pronunciarsi, in via pregiudiziale, sull’interpretazione degli artt. 1, paragrafo 2, e 5, paragrafo 3, della direttiva 91/250/CEE, relativa alla tutela giuridica dei programmi per elaboratore, nonché sull’art. 2, lett. a) della direttiva 2001/29 CE, integrativa rispetto alla precedente e relativa all’armonizzazione di alcuni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione, pare aver assolto efficacemente al proprio compito di interprete.

Quanto al citato art. 1, paragrafo 2, l’organo giudicante ha finalmente chiarito, invero, quali debbano effettivamente considerarsi le forme di espressione di un programma per elaboratore ai fini della tutela del diritto d’autore e, quindi, anche quali elementi non debbano essere considerati tali.

A tale proposito si rammenta come la norma in parola disponga genericamente che: “La tutela ai sensi della presente direttiva si applica a qualsiasi forma di espressione di un programma per elaboratore. Le idee e i principi alla base delle sue interfacce, non sono tutelati dal diritto d’autore a norma della presente direttiva”.

Ebbene, dalla massima citata al precedente paragrafo, emerge la rilevanza del contributo fornito dalla Corte che, escludendo dal novero delle forme di espressione del programma per elaboratore tutelabili dal diritto d’autore la

funzionalità del programma stesso, nonché il linguaggio di programmazione ed il formato di file di dati utilizzato, ha limitato notevolmente il rischio di infondate contestazioni.

Secondo l’interpretazione della Corte, invero, ammettere che la funzionalità di un programma per elaboratore possa essere tutelata dal diritto d'autore equivarrebbe ad offrire la possibilità di monopolizzare le idee, a scapito del progresso tecnico e dello sviluppo industriale.

Allo stesso modo, la Corte ha escluso la tutelabilità del linguaggio di programmazione e del formato dei file di dati utilizzati nell'ambito di un programma per elaboratore per interpretare ed eseguire programmi d'applicazione scritti dagli utenti nonché per leggere e scrivere dati in un formato di dati specifico, considerando tali elementi necessari ai fini dello sfruttamento di talune funzioni del programma stesso da parte degli utenti.

Anche in ordine al predetto art. 5, paragrafo 3, della direttiva 91/250 CEE, l’interpretazione fornita dalla Corte pare del tutto efficace a scongiurare un’eventuale confusione in ordine ai casi in cui un soggetto licenziatario dei diritti su un programma per elaboratore, nell’utilizzo dello stesso, necessiti dell’autorizzazione da parte del titolare dei diritti medesimi.

A tale proposito si rammenta come la norma in esame preveda che: “La persona che ha il diritto di utilizzare una copia di un programma può, senza chiederne l’autorizzazione al titolare del diritto, osservare, studiare o sperimentare il funzionamento del programma, quando essa effettua le operazioni di caricamento, visualizzazione, esecuzione, trasmissione o memorizzazione del programma che ha il diritto di effettuare”.

Pare di tutta evidenza come prima della sentenza in commento non fosse agevole comprendere a che tipo di operazioni la norma facesse riferimento, laddove adesso, invece, risulti chiaro che lo studio del funzionamento del programma ai fini della determinazione delle idee e dei principi su cui si basano gli elementi dello stesso può essere realizzato, da parte del licenziatario, solo nell’ambito delle operazioni autorizzate dalla licenza stessa o necessarie all’uso del programma.

Anche l’interpretazione dell’art. 2, lett. a), della direttiva 2001/250 CE, risulta essere molto utile ai fini della corretta determinazione del concetto di “riproduzione della propria opera”.

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La norma in esame stabilisce genericamente, infatti, che gli Stati membri riconoscono agli autori il diritto esclusivo di autorizzare o vietare la riproduzione diretta o indiretta, temporanea o permanente, in qualunque modo o forma, in tutto o in parte, della propria opera.

Finalmente è dato comprendere, adesso, a che tipo di fattispecie concreta detta riproduzione può considerarsi riferibile, e, soprattutto, entro quali limiti. Sul punto, peraltro, è bene precisare

che, nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che fosse compito del giudice del rinvio accertare, in concreto, se la riproduzione effettuata dalla parte convenuta in causa costituisse violazione della predetta norma.

(R.A.)

Coordinatori:

Avv. Lorenzo Attolico

Avv. Francesca Florio

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2.DIRITTO DELLA PRIVACY

Giurisprudenza italiana Corte di Cassazione RISPETTO DEL DIRITTO ALL’OBLIO E OBBLIGO DI AGGIORNAMENTO DELLE TESTATE

Il diritto fondamentale alla riservatezza trova un

limite nell’interesse pubblico sotteso al diritto all’informazione, ma al soggetto cui i dati appartengono è correlativamente attribuito il diritto all’oblio, e cioè il diritto a che non vengano ulteriormente divulgate notizie che lo

riguardano e che, per il trascorrere del tempo, risultino ormai dimenticate o ignote alla generalità dei consociati. Se, in ogni caso, l’interesse pubblico alla persistente conoscenza di un fatto avvenuto in epoca anteriore trova giustificazione nell’attività

svolta dal soggetto titolare dei dati, e tale vicenda ha registrato una successiva evoluzione, non si può prescindere dall’informazione circa tale ultima evoluzione, dal momento che, altrimenti la notizia, originariamente completa e vera, diventa non

aggiornata, risultando parziale e non esatta, e pertanto sostanzialmente non vera. Se vera, esatta ed aggiornata essa era al momento del relativo trattamento quale notizia di cronaca, e come tale ha costituito oggetto di trattamento, il suo successivo spostamento in altro archivio di

diverso scopo (nel caso, archivio storico) con memorizzazione anche nella rete internet deve essere allora realizzato con modalità tali da consentire alla medesima di continuare a mantenere i suindicati caratteri di verità ed esattezza, e conseguentemente di liceità e

correttezza, mediante il relativo aggiornamento e contestualizzazione. Solo in tal modo essa risulta infatti non violativa sia del diritto all'identità personale o morale del titolare, nella sua proiezione sociale, del dato

oggetto di informazione e di trattamento, sia dello stesso diritto del cittadino utente a ricevere una completa e corretta informazione. Cass. Civ. Sez. III, 5 aprile 2012, n. 5525 pdf

Commento Con la sentenza n. 5525/2012 la Corte di Cassazione ha affrontato il tema della pubblicazione in un archivio di una testata online di una notizia di cronaca riportante la condanna per corruzione di un politico, il quale era stato poi prosciolto e del diritto all’oblio di quest’ultimo. La Suprema Corte ha accolto il ricorso del politico, confermando la sussistenza del diritto all’oblio e stabilendo che se una notizia di cronaca è collocata nell’archivio storico di una testata online e resa disponibile tramite l’intervento dei motori di ricerca, il titolare dell’organo di informazione deve provvedere a curare anche la messa a disposizione della contestualizzazione e aggiornamento della notizia stessa. La Corte ribadisce il principio generale secondo cui "se l’interesse pubblico sotteso al diritto all’informazione (art. 21 Cost.) costituisce un limite al diritto fondamentale alla riservatezza, al soggetto cui i dati appartengono è correlativamente attribuito il diritto all’oblio e cioè a che non vengano ulteriormente divulgate notizie che per il trascorrere del tempo risultano ormai dimenticate o ignote alla generalità dei consociati", ma prosegue la propria analisi in relazione a quelle notizie che, in quanto riportanti un fatto di cronaca, assumono rilevanza anche quale fatto storico, e riconosce che in tali casi può essere giustificata la permanenza nella memoria di Internet. Secondo la Corte, tuttavia, in ossequio al principio generale stabilito dall’articolo 11 del Codice Privacy secondo cui i dati personali trattati devono essere esatti ed aggiornati, affinché la conservazione sia lecita, essa deve essere effettuata con modalità tali da garantire “il diritto della persona alla propria identità personale e morale, a non vedere cioè travisato o alterato all’esterno il proprio patrimonio intellettuale, politico, sessuale, religioso, ideologico, professionale” ed a tal fine, precisa la Corte, il titolare del sito deve collegare la notizia ad altre informazioni successivamente pubblicate concernenti l’evoluzione della vicenda che possano completare o mutare il quadro evincentesi dalla notizia originaria, predisponendo un “sistema idoneo a segnalare (nel corpo o a margine) la sussistenza nel caso di un seguito e di uno sviluppo della notizia.” (A.B.)

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Garante per la Protezione dei Dati Personali TRATTAMENTO DI DATI PERSONALI TRATTI DA UN QUESTIONARIO ON-LINE IN ASSENZA DI VALIDO CONSENSO E INFORMATIVA: NE RISPONDE ANCHE L’ACQUIRENTE DI LISTE DI CONTATTI DA UTILIZZARE A FINI DI MARKETING Una società, operante attività di marketing, non è esente da responsabilità con riferimento al trattamento dei dati contenuti in una lista anagrafica generata da una diversa società, nel caso in cui tali dati siano stati acquisiti senza

un valido consenso informato dell’interessato. Garante Privacy – Provvedimento n. 136 del 5 aprile 2012.pdf Commento Con provvedimento del 5 aprile 2012, il Garante per la protezione dei dati personali si è pronunciato sul trattamento dei dati personali tratti da un questionario compilato on-line, su segnalazione di un utente, che aveva denunciato la ricezione di numerose chiamate (indesiderate) a carattere promozionale da parte di una importante società che opera nel settore dell’energia, nonostante l’intestatario avesse iscritto il numero nel Registro pubblico delle opposizioni. Nel corso del procedimento, è emerso che la società che aveva effettuato la chiamata promozionale non aveva estratto i dati dagli elenchi telefonici, ma li aveva acquisiti da una nota azienda “che si occupa di generazione di anagrafiche con consenso per il marketing diretto”. Durante l’istruttoria il Garante ha accertato che la società cedente i dati non aveva acquisito un valido consenso informato dall’interessato e ha ordinato il blocco dei dati trattati in violazione di legge. Il Garante, inoltre, ha analizzato la posizione della società acquirente e ne ha affermato la responsabilità nonostante quest’ultima, per espresso accordo con la società cedente, non aveva alcun accesso ai dati personali degli utenti ma si limitava “a dettare i criteri di individuazione dei nominativi da contattare senza alcuna ingerenza nel trattamento dei relativi dati”. Nonostante tale circostanza, infatti, l’Autorità ha ritenuto che la società acquirente “deve essere considerata titolare del trattamento delle informazioni personali dei destinatari delle iniziative commerciali adottate

in suo nome e per suo conto. A questa società competono, infatti, le decisioni di cui all’art. 4, comma 1, lett. F) del Codice”. D'altro canto diversamente argomentando, continua il Garante, “anche avuto riguardo ad un punto di vista squisitamente contrattuale, ci si troverebbe di fronte ad una pattuizione - il richiamato accordo … - nella quale il sinallagma proprio del negozio giuridico posto in essere (e cioè la fornitura, verso corrispettivo, delle liste di dati personali di interessati che hanno acconsentito alla ricezione di iniziative di carattere commerciale) risulterebbe di fatto alterato, dal momento che quei dati sarebbero destinati, nella formale volontà dei contraenti, a permanere nella sfera giuridica del soggetto fornitore. Questi, infatti, si limiterebbe a riversarli ai propri responsabili, senza possibilità alcuna per l'acquirente di poterne disporre, nonostante il pagamento del relativo prezzo; con l'innegabile vantaggio di tenere indenne la società acquirente da oneri, obblighi e responsabilità connessi all'esercizio della titolarità.” In conclusione, secondo il Garante, l'oggetto stesso del contratto risulterebbe illecito poiché si realizzerebbe in tal modo un indiretto risultato elusivo delle norme imperative del Codice che disciplinano, appunto, obblighi, oneri e responsabilità del titolare del trattamento di quelle informazioni. (A.B.)

Legislazione COOKIES E DATA BREACH: LE MODIFICHE AL CODICE PRIVACY APPORTATE DAL D.LGS. 69/2012 Il 1 giugno 2012 è entrato in vigore il D.Lgs.

69/2012 che ha introdotto rilevanti modifiche al Codice in materia di Protezione dei Dati Personali, di cui al D.Lgs. 196/2003 (“Codice Privacy”), per effetto del recepimento delle Direttive Europee n. 2009/136/CE, in materia di

trattamento dei dati personali e tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche, e n. 2009/140/CE in materia di reti e servizi di comunicazione elettronica, nonché del Regolamento (CE) n. 2006/2004 sulla cooperazione tra le autorità nazionali

responsabili dell’esecuzione della normativa a tutela dei consumatori.

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Le modifiche introdotte riguardano principalmente le problematiche inerenti ai così detti cookies, nonché ai casi di data breach da parte degli operatori di telecomunicazione.

A tal riguardo, occorre rilevare che l’iter di recepimento di tali Direttive è stato contraddistinto sin dall’inizio da un acceso dibattito sia nazionale, che sovrannazionale: non pochi e non banali, infatti, sono gli obblighi che tali disposizioni di legge pongono a carico degli

operatori del mercato delle telecomunicazioni. Le imprese e le associazioni di categoria, in particolare, hanno rilevato come apparissero eccessive parte delle misure ivi previste, soprattutto in tema di ottenimento del possibile previo consenso da parte degli utenti all’utilizzo

dei così detti cookies, in considerazione della netta sproporzione sussistente tra l’effettivo beneficio che avrebbero conferito agli utenti e gli oneri che sarebbero stati posti a carico degli operatori.

Anche il Garante della Concorrenza e del

Mercato (“AGCM”), nel parere reso su richiesta del Ministero dello Sviluppo Economico sullo schema del D.Lgs. 69/2012 ha espresso le sue perplessità sulla possibile applicazione di un modello di ottenimento del consenso da parte degli interessati basato sulla applicazione di uno

stretto regime di opt-in, caldeggiando l’adozione di un sistema meno invasivo e, precisamente, una modalità alternativa mista tra opt-in e opt-out, possibilmente basata sulle impostazioni del browser.

Il testo finale del D.Lgs. 69/2012, pur con le limitazioni del caso, appare aver recepito parzialmente le esigenze manifestate dalle imprese del settore e dall’AGCM, anzitutto laddove il novellato art. 122 del Codice Privacy, nell’imporre l’obbligo di acquisire il consenso

degli utenti per l’utilizzo di cookies, definisce tale consenso quale “espresso”, eliminando il riferimento al consenso “preventivo”, contenuto nella traduzione italiana della Direttiva 2009/136/CE. Inoltre, tra i criteri interpretativi cui dovrà attenersi il Garante in materia di

Protezione dei Dati Personali (“Garante Privacy”) nell’individuare le specifiche modalità di raccolta del consenso espresso all’utilizzo di cookies, il legislatore ha esplicitamente imposto a tale autorità indipendente di tenere conto delle proposte formulate dalle associazioni

maggiormente rappresentative a livello nazionale delle categorie economiche coinvolte e di rendere una informativa mediante

configurazioni di programmi informatici: sembra quindi sussistere un’apertura da parte del Legislatore ad una metodologia di raccolta del consenso che possa congruamente bilanciare il

diritto degli utenti ad essere correttamente informati in merito al trattamento dei loro dati personali con le esigenze operative degli operatori del mercato delle comunicazioni.

Con riferimento al data breach, inoltre, il Legislatore si è limitato a recepire il contenuto

della Direttiva 2009/140/CE, allargandone la portata soggettiva soltanto ai soggetti che gestiscono in outsourcing determinati servizi per i fornitori di comunicazione elettronica accessibile al pubblico, senza estendere l’obbligo di porre in essere gli onerosi adempimenti a carico di tutti i

titolari del trattamento dei dati, come avviene, ad esempio, in Germania.

Come anticipato, in particolare, il primo importante tema su cui verte l’intervento legislativo riguarda l’utilizzo dei cosiddetti cookies, per cui si intendono quelle stringhe di

testo che vengono scambiate tra un server ed un client (quindi tra il server del proprietario del sito web ed il browser del visitatore), con la funzione di consentire al titolare di un sito internet o ad un terzo soggetto di “memorizzare” determinate informazioni relative alla

navigazione dell’utente, ai fini di un loro utilizzo automatico durante le successive navigazioni dell’utente (come, ad esempio, la memorizzazione di password di autenticazione in modo che compaiano all’utente in maniera

automatica nei suoi successivi accessi ad un sito internet, l’impostazione della lingua utilizzata, la grandezza e il tipo di testo prescelto, la localizzazione dell’indirizzo IP, ecc.). A tal riguardo, occorre precisare che esistono differenti tipologie di cookies: tra i vari, si

evidenzia l’esistenza dei cosiddetti cookies di sessione, che si eliminano alla chiusura del browser, e quelli di natura persistente, che al contrario, si eliminano solo dopo un certo periodo di tempo; i c.d. first party cookies (che sono leggibili al solo dominio che li ha creati) e i

third party cookies (che sono creati e soggetti a domini diversi da quello effettivamente visitato dall’utente, come ad esempio i Google analytics).

Svolta tale necessaria premessa ai fini di una maggiore comprensione del dettato normativo

in analisi, si osserva come il novellato art. 122 del Codice Privacy preveda che le informazioni acquisite mediante l’utilizzo di cookies possano

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essere trattate unicamente a condizione che l’utente abbia espresso il proprio consenso, dopo essere stato informato mediante una informativa ad hoc, fornita con modalità

semplificate. Tali modalità semplificate saranno determinate concretamente dal Garante Privacy: la norma in questione individua, in ogni caso, i due criteri interpretativi a cui il Garante dovrà attenersi per individuare tali modalità: la richiesta del consenso mediante specifiche

configurazioni di programmi informatici o di dispositivi che siano di facile e chiara utilizzabilità per l’utente e l’individuazione di una modalità di acquisizione di tale autorizzazione, che tenga conto delle proposte formulate dalle associazioni maggiormente rappresentative a

livello nazionale dei consumatori e dalle categorie economiche coinvolte. Dai suddetti obblighi informativi sono esclusi i cookies tecnici, ossia quelle particolari stringhe di testo finalizzate “unicamente ad effettuare la trasmissione di una comunicazione su una rete di comunicazione

elettronica” o strettamente necessarie “al fornitore di un servizio della società dell’informazione” per erogare un servizio “espressamente richiesto dal contraente o dall’utente”. In linea di massima, pertanto, e nonostante sia in ogni caso necessaria una

valutazione in concreto dei cookies al fine di una loro corretta decodifica, sembra potersi affermare che non occorra richiedere il consenso espresso agli utenti nell’ipotesi in cui si utilizzino first party cookies di sessione: tali

strumenti infatti, consentono esclusivamente una corretta visualizzazione e funzionalità del sito che l’utente sta visitando, rientrando quindi all’interno della categoria di servizi esplicitamente richiesti dagli utenti. Diversamente, l’utilizzo di third party cookies, che

consente al soggetto terzo di raccogliere ed analizzare informazioni con finalità di carattere essenzialmente statistico, non appare rientrare nella suddetta esclusione di legge.

Per quanto attiene il così detto data breach, il novellato art. 32 del Codice Privacy impone

l’adozione di alcune misure di sicurezza preventive e/o contenitive ed obblighi informativi nel caso di accesso indebito ad una banca dati.

La portata soggettiva della suddetta norma riguarda sia i fornitori di un servizio di

comunicazione elettronica accessibile al pubblico, sia tutti quei soggetti cui è affidata l’erogazione di tale servizio (“Fornitori”), in piena

conformità all’evoluzione del mercato delle telecomunicazioni, che ha visto aumentare il numero di players in esso operanti, con un modello di business caratterizzato dalla gestione

in outsourcing di numerose attività.

Per “servizio di comunicazione elettronica” si intendono, ex art. 4, comma 2, lett. e) del Codice Privacy, tutti i servizi consistenti esclusivamente o prevalentemente nella trasmissione di segnali su reti di comunicazioni

elettroniche, compresi i servizi di telecomunicazioni e i servizi di trasmissione nelle reti utilizzate per la diffusione circolare radiotelevisiva: i titolari obbligati a rispettare le disposizioni di legge introdotte dal D.Lgs. 69/2012, pertanto, appaiono essere soltanto gli

operatori delle telecomunicazioni in senso proprio, con l’esclusione, ad esempio, dei soggetti che forniscono dei servizi informatici attraverso le reti di comunicazioni elettroniche, tra cui, ad esempio, gli operatori di e-mail marketing.

Nell’ottica di prevenzione di un evento di data breach, il novellato art. 32 del Codice Privacy prevede che i soggetti che operano sulle reti di comunicazione elettronica siano obbligati a garantire la protezione dei dati personali dalla (i) distruzione anche accidentale; (ii) perdita o

alterazione anche accidentale nonché dalla (iii) archiviazione, trattamento, accesso o divulgazione non autorizzati o illeciti. Inoltre, essi devono attuare una specifica politica di sicurezza, idonea a prevenire tali eventi nonché

informare in modo idoneo i contraenti nel caso in cui dovesse sussistere un particolare rischio di violazione della sicurezza della rete.

Qualora di verifichi un evento di data breach, il fornitore di servizi di comunicazione elettronica ne deve dare comunicazione, “senza indebiti

ritardi”, al Garante Privacy, e, laddove vi sia il pericolo di pregiudizio ai dati personali o alla riservatezza del contraente, anche al contraente stesso. Sulle modalità del data breach notification, il legislatore ha attribuito a tale autorità indipendente la facoltà di

individuare orientamenti ed istruzioni che meglio codifichino le modalità, tempistiche e contenuti di tale informazione.

Infine, i Fornitori dovranno tenere un aggiornato Inventario delle Violazioni, nel quale dovranno essere riportate le circostanze in cui ciascuna

violazione si è verificata, le conseguenze ed i provvedimenti adottati per porvi rimedio.

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Nel caso in cui il Fornitore non comunichi un caso di data breach al Garante Privacy, è prevista l’erogazione di una specifica sanzione amministrativa pecuniaria da 25.000 a 150.000

euro; qualora, invece, ometta di effettuare la comunicazione ai contraenti, è prevista una ulteriore sanzione amministrativa pecuniaria da 150 a 1.000 euro per ciascun contraente nei cui confronti venga omessa tale comunicazione. La mancanza totale o l’assenza di aggiornamento

dell’Inventario delle Violazioni, infine, importa l’erogazione di una ulteriore sanzione pecuniaria amministrativa da 20.000 a 120.000 euro.

Le disposizioni ora analizzate implicano l’adozione di una serie di misure ed adempimenti di non scarsa rilevanza, da parte

degli operatori commerciali del settore, cui segue l’erogazione di rilevanti sanzioni: in un’ottica di prudenza, pertanto, potrebbe risultare opportuno aggiornare/ridefinire i rapporti che gli stessi hanno con le proprie società in outsourcing (solitamente nominate

Responsabili del trattamento), ad esempio prevedendo l’obbligo di adozione di una procedura di notifica delle violazioni corredata della relativa tempistica, in modo da consentire ai titolari del trattamento di effettuare la comunicazione al Garante Privacy nei modi e

nei tempo previsti dalla legge. (C.A.)

Decreto Legislativo 28 maggio 2012 n. 69.pdf Direttiva 2009/136/CE.pdf Direttiva 2009/140/CE.pdf

Coordinatori:

Avv. Chiara Agostini

Avv. Allegra Bonomo

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3.DIRITTO INDUSTRIALE

Giurisprudenza italiana

Corte di Cassazione LA DICITURA “FALSI D’AUTORE” NON ESCLUDE IL REATO DI INTRODUZIONE E COMMERCIO DI PRODOTTI CON SEGNI FALSI L’apposizione della dicitura “Falsi d’Autore” su prodotti industriali recanti marchi contraffatti non esclude l’integrazione del reato di cui all’art. 474 cp; infatti il reato in esame configura una fattispecie di pericolo contro la fede pubblica,

per la cui integrazione è sufficiente anche la sola attitudine della falsificazione ad ingenerare confusione, con riferimento non solo al momento dell’acquisto, ma anche a quello della successiva utilizzazione del prodotto

contraddistinto dal marchio contraffatto. Cass.Pen. Sez. II 19 aprile 2012 n. 15080.pdf Commento La Corte di Cassazione, con sentenza n. 15080 depositata il 19 aprile 2012, ha ritenuto che l’apposizione della dicitura “Falsi d’autore” su prodotti industriali recanti marchi contraffatti non escluda l’integrazione del reato di cui all’art. 474 c.p. Nelle proprie difese, accolte in primo grado dal Tribunale di Palermo, il commerciante aveva sostenuto che la dicitura in questione, apposta su confezioni di profumi contraddistinte da marchi contraffatti, dallo stesso acquistate e poi rivendute, fosse sufficiente ad evitare la lesione della fede pubblica tutelata dall’art. 474 c.p., escludendo l’idoneità del falso prodotto a trarre in inganno i consumatori. Tale conclusione era stata tuttavia ribaltata dalla Corte di Appello di Palermo la quale, sulla base della irrilevanza della dicitura “Falsi d’autore”, aveva considerato tali prodotti capaci di ingannare il consumatore. Con il ricorso avverso quest’ultima sentenza il commerciante invocava altresì l’insussistenza dell’elemento psicologico del reato sostenendo di aver regolarmente acquistato i profumi da un agente di commercio. Confermando la decisione pronunciata all’esito del giudizio di appello, la Suprema Corte ha ribadito che il reato di commercio di prodotti

con segni falsi di cui all’art. 474 c.p. configura una fattispecie di pericolo contro la fede pubblica per la cui integrazione è sufficiente anche la sola attitudine della falsificazione ad ingenerare confusione, con riferimento non solo al momento dell’acquisto, ma anche a quello della successiva utilizzazione del prodotto contraddistinto da marchio contraffatto. Il reato di commercio di prodotti con segni falsi deve pertanto ritenersi integrato anche quando la dicitura “falsi d’autore”, informando i clienti circa l’effettiva non originalità della merce, escluda la ragionevole possibilità che essi vengano tratti in inganno. (M.G.)

Seminari e Convegni

INTA – AL PASSO CON I TEMPI (ANCHE TROPPO)

Nello scorso mese di maggio, si è tenuto a Washington il consueto raduno annuale organizzato dall’INTA (International Trademark

Association). Si tratta, per chi non lo sapesse, di un evento che da sempre raccoglie la partecipazione di operatori della proprietà industriale provenienti da tutto il mondo.

Come è tradizione, anche l’edizione di quest’anno ha avuto un grande successo in termini di presenze e dà sempre modo di ritrovare vecchi e nuovi amici con cui relazionarsi, dando vita, in molti casi, ad un

interessante e proficuo scambio culturale. In questo contesto, ci ha davvero sorpreso un’assoluta novità rappresentata dall’organizzazione, all’interno della hall che ospitava l’evento, di un vero e proprio sistema di

“speed date”. Vi spieghiamo di cosa si trattava. All’interno di un recinto, erano posizionati dei

tavolini “alti” ai cui lati era possibile, in piedi, avere una conversazione con un collega proveniente da un qualsiasi altro paese del mondo.

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All’interno di un recinto, erano posizionati dei tavolini “alti” ai cui lati era possibile, in piedi, avere una conversazione con un collega proveniente da un qualsiasi altro paese del

mondo. La sorpresa era che la conversazione doveva durare solo tre minuti, perché, ad un cenno del “moderatore”, si doveva necessariamente abbandonare il collega con cui si stava

parlando per passare al collega e, quindi, al tavolino successivo. Insomma, secondo gli organizzatori, in tre minuti si doveva instaurare un rapporto professionale.

Siamo ormai da anni abituati alla velocità del nostro lavoro, ma la nostra impressione è che stare al passo con i tempi qualche volta non sia propriamente un valore.

(L.A.)

Coordinatore:

Avv. Gianluca Morretta

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4.COMUNICAZIONE DI IMPRESA

Giurisprudenza italiana

Corte di Cassazione INDEROGABILITÀ UNILATERALE DEL FORO DEL CONSUMATORE Con sentenza dell’8 febbraio 2012, la Corte di Cassazione assume una posizione innovativa su

un tema fondamentale nell’ambito del diritto dei consumatori: l’inderogabilità del foro del consumatore, sancita dall’art. 63 del D. Lgs. 206/2005 (“Codice del Consumo”), per i contratti a distanza e quelli negoziati fuori dei locali commerciali. Il Tribunale di Milano, adito in

prima istanza, aveva dichiarato la propria incompetenza a decidere su una causa promossa da diversi consumatori, nessuno dei quali residente a Milano: e ciò sulla base dell’assunto che la lettera e la ragione dell’art. 63 del Codice del Consumo, nel quale è

prevista, quale competenza territoriale inderogabile, quella del giudice del luogo nel quale il consumatore ha la propria residenza o domicilio, non ammettono una interpretazione tale da consentire a nessuna delle parti di

derogare a tale competenza, neppure al consumatore stesso. Diversamente, la Suprema Corte, ha ritenuto che tale disposizione di legge preveda l’inderogabilità del foro del consumatore unicamente per il professionista, dal momento

che la funzione stessa della norma è indubbiamente quella di tutelare la posizione debole del consumatore rispetto a quella del professionista, e, conseguentemente, essa non può essere interpretata in senso a lui sfavorevole: laddove il consumatore ravvisi

maggiormente rispondente al proprio interesse non avvalersi del foro del consumatore, gli deve essere consentito derogarvi, anche unilateralmente, adendo un giudice territorialmente competente in base ai criteri di competenza stabiliti dagli articoli 18, 19 e 20 del

codice di procedura civile, ovvero adendo un diverso giudice indicato nel contratto concluso con il professionista.

Infine, secondo la Corte, non è ravvisabile un interesse pubblico che suffraghi l’ipotesi di applicazione letterale dell’art. 63 del Codice del Consumo anche a svantaggio, e cioè in

pregiudizio, dell’interesse del consumatore medesimo. Pertanto, il consumatore può adire “un giudice diverso da quello del luogo della propria residenza senza che tale giudice possa dichiarare la propria incompetenza, anche a

svantaggio del consumatore medesimo”. Cass.Civ.Sez. VI. 8 febbraio 2012 n. pdf Commento

La sentenza in esame, dalla portata fortemente innovativa, si pone in contrasto rispetto alla pregressa e costante interpretazione giurisprudenziale in relazione all’art. 63 del Codice del Consumo, che aveva considerato la natura inderogabile del foro del consumatore come ulteriore motivo di tutela del contraente debole. La previsione di cui all’art. 63 del Codice del Consumo si riferisce alle ipotesi di contratti in cui il consumatore non ha potuto incontrare direttamente il professionista, e, pertanto, è, in astratto, ancora più esposto al rischio di non poter valutare propriamente le proprie scelte contrattuali: pertanto, il Legislatore correttamente aveva ritenuto di sottrarre l’individuazione della competenza a qualsiasi trattativa individuale. L’art. 63 costituisce un’eccezione rispetto alla disciplina in tema di contratti con il consumatore in generale, prevista all’art. 33, comma 2, lettera u) del Codice del Consumo, nel quale si presume vessatoria qualsiasi clausola contrattuale che stabilisca un foro diverso rispetto a quello del consumatore: una clausola contrattuale che deroghi il foro del consumatore, pertanto, rientrerà nella cosiddetta “lista grigia” e spetterà al professionista provare che la stessa sia stata effettivamente oggetto di una trattativa contrattuale ad hoc con il consumatore che l’abbia sottoscritta. Con la sentenza in analisi, la Corte ha precisato che, per escludere la vessatorietà di una simile clausola non è sufficiente né la previsione di un foro coincidente con uno dei fori legali di cui agli artt. 18 e 20 c.p.c. né la specifica approvazione per iscritto: nel caso in cui non fosse provata la trattativa contrattuale, la clausola vessatoria sarebbe da considerarsi nulla, ai sensi dell’art. 36 del Codice del

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Consumo; si tratta di una nullità di protezione, operante solamente a vantaggio del consumatore, e che in ogni caso non può andare a discapito del consumatore medesimo. Pertanto, qualora lo ritenga, egli potrà liberamente scegliere un diverso foro, a lui più confacente. L’argomentazione sopra esposta risulta essere alquanto ermetica. Le condivisibili conclusioni cui giunge la Corte, più che da sottese ragioni processuali, sono in realtà dettate dalla necessità di attualizzare la prescrizione di cui all’art. 63 rispetto alle mutate condizioni economico/sociali, nonché dalla interpretazione sistematica e funzionale dell’intero sistema speciale costituito dal Codice del Consumo: una interpretazione letterale, infatti, limiterebbe la tutela del consumatore, imponendogli di dover obbligatoriamente adire il giudice del luogo in cui risiede, precludendogli ogni diversa valutazione di carattere anche economico, con il paradossale effetto di agire a suo discapito. Nel caso in esame, ad esempio, i consumatori ricorretti, residenti in differenti città d’Italia, avevano considerato più vantaggioso concentrare la causa davanti al Tribunale di Milano, in modo da garantire da un lato l’uniformità dei giudicati e dall’altro consentendo di beneficiare di un sensibile contenimento dei costi relativi al procedimento, nonché una maggiore celerità ed economia processuale. Resta ora da attendere una successiva pronuncia in merito, per valutare il verificarsi di una eventuale adesione all’orientamento espresso nella sentenza in esame, o piuttosto la genesi di un conflitto tra diverse sezioni, che dovrà essere risolto in definitiva dalle Sezioni Unite. (C.A.)

Giurì di Autodisciplina Pubblicitaria KEYWORD ADVERTISING

Il Giurì di autodisciplina pubblicitaria, con

decisione n. 17 del 18 febbraio 2011, si è pronunciato sulla vertenza che vedeva contrapposte la ricorrente Inspop.com Italy Ltd e le resistenti Assicurazione.it s.p.a. e Cercassicurazioni.it s.r.l., società tutte operanti

nel settore dell’intermediazione assicurativa attuata mediante una comparazione effettuata in via telematica.

Le resistenti erano abbonate al servizio di keyword advertising prestato da Google, in forza del quale le imprese che desiderano far apparire il proprio sito Internet ai primi posti,

all’esito della ricerca effettuata da un utente, possono acquistare le parole chiave che evocano il nome dei propri prodotti e/o servizi, ovvero il proprio e/o altrui marchio o nome a dominio.

Nel caso specifico, le resistenti avevano

acquistato parole chiavi affini o simili ai marchi e nomi a dominio registrati dalla ricorrente (CHIAREZZA e CHIAREZZA.IT), attuando una pratica nota come brand bidding.

A parere della ricorrente tale condotta sarebbe risultata illecita costituendo un

agganciamento parassitario alla notorietà dei marchi della ricorrente con conseguente indebito sviamento concorrenziale.

Tale assunto è stato disconosciuto dal Giurì di autodisciplina pubblicitaria il quale non ha ravvisato alcuna violazione dell’art. 13, comma

secondo, del CACC, norma che vieta ogni “sfruttamento del nome, del marchio, della notorietà e dell'immagine aziendale altrui, se inteso a trarre per sé un ingiustificato profitto”.

A parere del Giurì è, innanzitutto, corretto ritenere che l’acquisto di parole chiave

all’interno di un motore di ricerca possa configurarsi come “comunicazione commerciale” ai sensi della lettera e) delle norme preliminari del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale (CACC) in

virtù della visibilità che tale attività comporta per le aziende che decidono di fruire del relativo servizio.

La scelta di parole identiche e/o simili all’altrui marchio registrato non può configurarsi, a parere del Giurì, quale sfruttamento indebito

della notorietà altrui, tanto più se si tratta di parole di uso comune (come nel caso di specie – cfr. chiarezza, assicurazione). Né si può ravvisare in capo alle resistenti un “ingiusto profitto” in conseguenza dell’effettuato agganciamento: il profitto è, infatti, quello della

visibilità in un “repertorio reticolare di imprese” costituito dai risultati della ricerca Google e non può dirsi che esso sia ingiusto essendo finalizzato ad assicurare una maggiore concorrenza tra imprese.

Pronuncia n. 17/2011.pdf

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Commento

Il tema, ancor oggi, di grandissima attualità, è stato affrontato dalla Corte di Giustizia Europea del 23 marzo 2010 nelle cause riunite C-236/08, C-237/08, C-238/08 aventi ad oggetto la asserita violazione dei marchi perpetrata attraverso il servizio di posizionamento di Google AdWords attivato da soggetti concorrenti rispetto ai titolari dei marchi utilizzati e senza il consenso di questi ultimi.

La Corte sottolinea, innanzitutto, come il prestatore di un servizio di posizionamento consente ai propri clienti inserzionisti di usare segni identici o simili ai marchi altrui, senza fare esso stesso uso di tali segni.

A parere della Corte, “il titolare di un marchio può vietare ad un inserzionista di fare pubblicità – a partire da una parola chiave identica a detto marchio, selezionata da tale inserzionista nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet senza il consenso dello stesso titolare – a prodotti e servizi identici a quelli per cui detto marchio è registrato, qualora la pubblicità di cui trattasi non consenta, o consenta solo difficilmente, all’utente medio di Internet di sapere se i prodotti o i servizi indicati nell’annuncio provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente connessa a quest’ultimo o invece da un terzo”. Nello stesso senso si è pronunciato nel febbraio scorso l’Avvocato Generale in relazione al ricorso presentato dalla società austriaca Wintersteiger AG (si rinvia a quanto riportato sulla Rivista R&P Mag, n. 1, pp. 15-16).

Per quanto attiene alle ripercussioni sull’utilizzo a fini pubblicitari del marchio ai danni del suo titolare, a parere della Corte, esse non costituiscono, di per sé, una violazione della «funzione di pubblicità» del marchio.

In conseguenza della citata sentenza, a partire dal 14 settembre 2010 Google ha modificato le policy del servizio Google AdWords per l’acquisto di inserzioni pubblicitarie a pagamento, consentendo la pubblicazione di annunci attivati da una parola chiave associata ad un marchio altrui, purché l’annuncio non risulti fuorviante.

A titolo esemplificativo e non esaustivo, l’utilizzo del marchio è, dunque, consentito per annunci che: (i) utilizzano un termine associato a un marchio quando tale termine è utilizzato in modo generico e descrittivo, senza far riferimento al termine come marchio, (ii) per

prodotti e/o servizi in concorrenza tra loro, (iii) per la rivendita di beni o servizi registrati come marchio, (iv) per la vendita di componenti, parti di ricambio o prodotti compatibili corrispondenti a un marchio, (v) per siti di informazioni su di un prodotto o servizio corrispondente al marchio.

(M.T.)

Coordinatore:

Avv. Riccardo Rossotto

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5.DIRITTO DELLA RETE

Giurisprudenza Comunitaria

Tribunale di Grande Istanza di Parigi GOOGLE NON È EDITORE DI YOUTUBE, MA UN MERO FORNITORE DI SERVIZI TECNOLOGICI E NON È RESPONSABILE DELLE VIOLAZIONI DI DIRITTO D’AUTORE COMMESSE DAI PROPRI UTENTI

Il Tribunale di Grande Istanza di Parigi ha stabilito che Google è un intermediario della comunicazione ovvero un mero fornitore di servizi

tecnologici e non già un editore. Conseguentemente, Google non può essere chiamato a rispondere di eventuali violazioni dei diritti d’autore poste in essere dai propri utenti attraverso la pubblicazione di video sulla

piattaforma di videosharing Youtube.

Tribunal De Grande Istance de Paris, 29 maggio 2012 S.A. Television Francaise 1 – TF1 ed d’autres c. YouTube LLc Commento Con la decisione del 29 maggio 2012, il Tribunale di Parigi ha rigettato la domanda risarcitoria proposta dalla rete televisiva francese Tf1 nei confronti di Google per violazione dei diritti d’autore su propri programmi diffusi tramite la piattaforma di videosharing Youtube, ed ha affermato che Google deve essere considerata un mero fornitore di servizi tecnologici e non può pertanto essere chiamata a rispondere di eventuali illeciti posti in essere dai propri utenti. Il Tribunale è giunto alla suddetta conclusione a seguito di un esame dettagliato dei servizi offerti dalla piattaforma Youtube agli utenti, agli inserzionisti e ai titolari di diritti ed ha stabilito che essi non possono essere considerati elementi idonei ad escludere il ruolo di mero hosting provider di Google a favore di quello di editore e che, pertanto, a Google dovessero applicarsi le limitazioni di responsabilità previste dalla Direttiva 2001/31/CE sul commercio elettronico, così come implementate dalla legge nazionale. In particolare, il Tribunale di Parigi ha ritenuto irrilevanti: (i) la circostanza che Google nelle condizioni generali del servizio accettate dagli utenti, si riserva il diritto di utilizzare i contenuti dei utenti stessi, in assenza

della prova di un effettivo esercizio di tale diritto al fine di conferire alla piattaforma una specifica linea editoriale; (ii) la raccolta di pubblicità connessa ai contenuti degli utenti; (iii) la previsione di un sistema di ricerca di contenuti protetti (c.d. Content id) utilizzabile dai titolari dei diritti. Si tratta di una sentenza che si pone in netto contrasto con quelle dei Giudici nazionali; questi, infatti, sulla base degli stessi elementi sopra indicati che il Tribunale di Parigi ha ritenuto non avessero alcuna rilevanza sulla qualificazione di Google come mero “hosting provider”, hanno invece elaborato una nuova figura di Intermediario della Rete, definita “ hosting attivo” ritenuto “ non completamente passivo e neutro rispetto ai contenuti immessi dagli utenti” al quale non è inapplicabile la disciplina del D.Lgs. 70/2003. (A.B.)

Giurisprudenza italiana

Tribunale di Milano Tribunale di Pinerolo IL SERVIZIO DI SUGGEST SEARCH ALL’INTERNO DEI MOTORI DI RICERCA: DUE ORDINANZE A CONFRONTO Il servizio di suggest search, utilizzato dai principali motori di ricerca, è stato

recentemente al centro di due ordinanze cautelari che, con riferimento a fattispecie sostanzialmente analoghe, sono giunte a soluzioni differenti.

La prima decisione (emessa dal Tribunale di Milano) ha ritenuto sussistente la responsabilità

del motore di ricerca se, attraverso il servizio di completamento delle query (c.d. suggest search), vengono forniti all’utente, all’interno della stringa di ricerca, suggerimenti aventi contenuto diffamatorio; diversamente, la seconda ordinanza (emessa dal Tribunale di

Pinerolo), sempre in un’ipotesi di presunta diffamazione, ha negato ogni responsabilità in capo al motore di ricerca.

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Tribunale Milano 24-03-2011.pdf

Tribunale Pinerolo 02-05-2012.pdf

Commento

Il servizio di suggest search (denominato anche “Autocomplete”), presente nei principali motori di ricerca si basa su un software che consente di “guidare” l’utente nella ricerca mostrandogli le query più comuni che iniziano con le parole che vengono inserite nella stringa di ricerca.

I suggerimenti forniti sono indicatori della popolarità delle query e derivano da un’elaborazione statistica/automatica (costantemente aggiornata) delle ricerche effettuate dagli utenti nell’ultimo periodo.

La questione alla base di entrambe le ordinanze in commento riguarda la configurabilità o meno di un illecito in capo al motore di ricerca allorquando venga fornito all’utente un suggerimento a contenuto diffamatorio; nel caso del Tribunale di Milano si trattava dell’accostamento del nome di una persona alle parole “truffa” e “truffatore”, mentre nel caso del Tribunale di Pinerolo i termini in questione erano “indagato” e “arrestato”.

Al di là dell’aspetto, esclusivamente di merito, circa la portata diffamatoria (o meno) di tali suggerimenti, entrambe le ordinanze analizzano il ruolo del motore di ricerca (in entrambi i casi si trattava di Google) e, soprattutto, l’eventuale responsabilità dello stesso in relazione ad un servizio automatico fondato su rivelazioni statistiche.

Il Tribunale di Milano ha concluso ritenendo responsabile il motore di ricerca, in quanto il servizio di suggest search, pur essendo basato su un sistema automatico di algoritmi matematici, è un servizio solo astrattamente neutro che perde tale prerogativa quando i criteri, scelti dallo stesso motore di ricerca, generano un abbinamento improprio tra i termini di ricerca. Per tale ragione, i giudici milanesi hanno ravvisato una responsabilità

extracontrattuale del motore di ricerca che risponde degli abbinamenti derivanti dal servizio di suggest search pur non ricoprendo alcun ruolo rispetto ai siti indicizzati che, ovviamente, sono gestiti da terzi.

Diversamente, il Tribunale di Pinerolo ha dichiarato che, attraverso il servizio di suggest search, il motore di ricerca si limita a svolgere con neutralità un mero servizio di Internet Service Provider, rientrante nella disciplina di cui al d.lgs. 70/2003 (attuativo della direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione nel mercato interno, con particolare riferimento al commercio elettronico). Di conseguenza la responsabilità del motore di ricerca non è configurabile, salvo che l’informazione ospitata (nel caso di specie la query suggerita all’utente e non, ovviamente il/i risultato/i indicizzato/i) sia illecita ed il prestatore del servizio ne sia consapevole.

L’ordinanza del Tribunale di Pinerolo, dunque, diversamente dal precedente milanese, ritiene applicabile il decreto 70/2003 e nega la configurabilità di una responsabilità del motore di ricerca per gli abbinamenti derivanti dal servizio di suggest search che, in effetti, non sono altro che la conseguenza di comportamenti collettive degli utenti e, dunque, loro personale manifestazione del pensiero che, come tale, è estranea al motore di ricerca.

(A.F.)

Coordinatori:

Avv. Pierluigi De Palma

Avv. Luca Egitto

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6.DIRITTO E TECNOLOGIA

Conversazioni davanti a un camino. Riccardo Rossotto e Leonardo Chiariglione. Dopo aver sentito da Leonardo Chiariglione una serie di riflessioni sul tema “innovazione tecnologica e diritto d’autore” abbiamo ritenuto opportuno approfondire con lui alcuni temi di grande attualità nel mondo del web. Lo abbiamo incontrato “davanti a un caminetto” per cercare di capire un po’ meglio e un po’ più in profondità quali siano i pregi di questa straordinaria ma forse troppo rapida evoluzione della tecnologia della rete e quali le sue criticità. Leonardo Chiariglione, in tutti i consessi nazionali ed internazionali, ha sempre cercato di rivestire il ruolo di “facilitatore” del dialogo tra i fondamentalisti della difesa del copyright e i fondamentalisti dell’open source. La nostra chiaccherata è partita proprio da lì e cioè dalla riflessione su come mai le due posizioni non riescano ad uscire da una rigidità filosofica che non aiuta l’industria a trovare una soluzione mediana virtuosa sia per i consumatori sia per i titolari di opere protette sia, soprattutto, per i giudici che devono ogni volta valutare fattispecie sempre più complesse e quindi dall’incerto finale. (di seguito, la sigla “RR” corrisponde a Riccardo

Rossotto, mentre “LC” sta per “Leonardo Chiariglione”). RR: “Allora Leonardo, perché questa difficoltà di individuare con lucidità e lungimiranza una via mediana tra i due estremismi?”

LC: “Io direi che non sarebbe giusto dare la colpa solo a una delle due parti, sarebbe meglio interrogarsi sul perché, nella società in cui viviamo, la durata della tutela del copyright è passata dai 14 anni, rinnovabili una volta, del Queen Ann’s Act ai 100 e passa anni di oggi.

Perché è successo? E’ successo perché c’è stato un processo legislativo che ha consentito di partire da 14 anni e arrivare non si sa dove, il che non è necessariamente un male. Lo è se

questo processo, che sembra non porre mai un limite all’aumento della durata della protezione

del copyright avviene senza una ratifica della Società. La conseguenza di questo processo è la progressiva scomparsa di contenuti di pubblico dominio. Da un certo punto di vista sono anche disposto a trattare su questo punto, tuttavia è la collettività dei soggetti interessati a questa

tematica che deve cercare di dare una risposta progettuale a questa open issue piuttosto che non limitarsi dare colpe a chi tutela i propri interessi, dall’una o dall’altra parte.”

RR: “Quindi secondo te c’è un eccesso di protezione in termini quantitativi e questo

eccesso si è consolidato negli anni. La rivisitazione e la possibile mediazione passa attraverso una disponibilità non solo del legislatore ma anche dell’industria a rinunciare a una parte di questo periodo di protezione. Su tale ragionamento ti seguo e, in qualche misura,

ti capisco e condivido il tuo approccio. Quello che mi preoccupa di più culturalmente però è che un singolo che cammina per la strada ed entra in un negozio non può pretendere di prendere un capo di abbigliamento e uscire senza pagare. Per le nuove generazioni, invece,

sembra non esserci alcuna remora ad appropriarsi illecitamente di tutto quello che si trova in Rete.”

LC “Sul primo punto preciso che prima di tutto ci dobbiamo porre il problema delle regole

generali che ci governano. Il decidere se è accettabile per la Società che un contenuto abbia protezione illimitata nel tempo è un questione che va decisa dalla Società, non è corretto lasciarlo alla quotidianità delle riunioni parlamentari che non fanno altro che passare

da un incremento di durata all’altro. Sul secondo punto io sono terribilmente sensibile per il fatto che sono anni, almeno da quando ero Executive Director della Secure Digital Music Initiative, che dico: “se lasciate crescere tutta questa gioventù con la possibilità di appropriarsi

di quello che oggettivamente è proprietà di altri alla fine creerete un consenso diffuso sul fatto che questi contenuti siano liberamente fruibili. La responsabilità è sì dei giovani che commettono questi atti ma è anche vostra, che dovete trovare un sistema che non sia solo portare in

tribunale John Doe (nel lessico americano ….. il “Chiunque”) per avere scaricato 100mila canzoni”

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RR: “Cosa ne diresti di una soluzione ragionevolmente basata su un triangolo di questo genere: diminuzione della durata, definizione di criteri per l’individuazione di opere

che debbano prioritariamente cadere in pubblico dominio e riduzione a costi accessibili – a forfait ad esempio - del corrispettivo per uso privato di opere protette?”

LC “Sono disposto a sottoscrivere una proposta di questo tipo perché ricalca la strada già

suggerita da me in passato relativamente agli alternative compensation systems. E’ una signora strada! Togliamo via tutta la complessità della protezione e della monetizzazione delle opere dicendo che i contenuti sono disponibili, e, come si paga una tassa per avere le strade

asfaltate, si paga una tassa/costo per accedere ad un bene comune i cui produttori devono essere remunerati. Però questo è facile da dirsi ma non a farsi. E’ facile essere d’accordo sul principio, ma il lato pratico rischia di essere difficoltoso se non concordiamo su come

superare la prassi odierna della SIAE, che premia chi ha già successo e trascura i piccoli cantanti. La remunerazione del produttore dell’opera che ha avuto un 1milione di hit rispetto a quello che ha avuto 10hit deve passare dal principio che dev’esserci un contatore, che non vedo come

possa essere altrimenti che “tecnologico”, per misurare l’effettivo utilizzo di queste opere il cui responso che sia accettato dalle parti”.

RR “Avendo raggiunto un apparente condivisione su un ipotesi di soluzione, con le

complessità che essa comporta, l’occasione è troppo ghiotta per non capire meglio cosa tu intenda per contatore tecnologico.”

LC “Sul contatore sicuramente d’accordo non lo saremo….. in prima istanza, ma ne parleremo un'altra volta”.

RR “Allora promesso! La prossima volta ci spiegherai qual è la tua idea sul contatore e su come tale strumento potrebbe essere quello ideale per realizzare la rivoluzionaria ipotesi di condivisione di una soluzione tecnico-giuridica che possa andare bene sia ai titolari di diritti

d’autore sia ai sostenitori del “sapere libero”.

RR: “Completiamo questa chiaccherata con due riflessioni sul caso Facebook. Grande attesa, una quotazione record alla vigilia, poi il tonfo: le cause legali, la diminuzione degli utenti, i primi inserzionisti che abbandonano il più famoso

social network del mondo. Cosa sta succedendo? Da notizie interne all’industria

pare che Facebook sia condannato a cambiare se non vuole tramontare dal punto di vista operativo o commerciale.”

LC: “E’ un affermazione parecchio dura, ad oggi

non riesco a sottoscriverla. Non so se sia un problema di piattaforma quanto di modello di business. Se il signor Zuckerberg ha la possibilità di vedere ciò che le persone si scambiano e sulla base di questo fare delle analisi che aiutino la redditività della sua azienda, è probabile che

il modello Facebook sia valido”

RR “Il patrimonio che vedi collegato, l’asset intangibile di Facebook, è l’insieme dei dati trasferiti tra gli utenti, che attribuisce al titolare della piattaforma due privilegi, uno è quello di avere i dati in quanto tali, l’altro di poterli

vendere decodificati: questo è il valore. Ma tutto ciò è lecito?”.

LC “Si, infatti, io come cittadino potrei contestare questa prerogativa, poiché il titolare della piattaforma sa diverse cose di me che io preferirei non fossero utilizzate. La Società ci

mette ere geologiche per comprendere l’impatto di alcune iniziative commerciali, però quando se ne accorge potrebbe distruggere ciò che ad oggi è un validissimo modello. Questo è il rischio di Facebook e dei modelli di business impostati in modo analogo”.

RR “Ti propongo una riflessione su questo tema, che impatta ovviamente sulla questione privacy. Ogni volta che sono introdotte norme a tutela della privacy il mercato le vive come un eccesso di burocrazia, un costo improduttivo

che genera ostilità nei confronti dell’intera normativa a tutela dei dati personali. Lancio una provocazione: perché è riconosciuto un valore patrimoniale intrinseco alla mia opera dell’ingegno ma non si fa la stessa cosa sui dati che riguardano, oltre che la mia persona, anche

la mia personalità, i miei gusti, i miei orientamenti, così che il loro utilizzo debba sempre ritenersi dotato di significato economico?

LC “Vediamo se ho capito: se io sono autore di un opera, io deliberatamente decido di

condividere il prodotto della mia mente per qualsiasi fine. Se io decido di mettere a disposizione le mie preferenze, posso farlo solo se ho un incentivo economico, un beneficio tutto mio”

RR “secondo me sono diritti analoghi. Secondo

questa impostazione la tutela della privacy diverrebbe quindi non solo burocrazia allo stato

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puro ma anche protezione di un bene patrimoniale personale, economicamente monetizzabile”

LC “E’ chiaro che se noi continuiamo a

comunicare con i piccioni viaggiatori abbiamo un costo, ma oggi abbiamo strumenti più moderni ed efficienti che consentono di attuare la tutela della privacy in modo inexpensive“

RR “L’esecuzione degli obblighi in materia di privacy in maniera efficiente e non onerosa è

l’argomento più delicato nell’ambito dell’implementazione della direttiva privacy per ciò che concerne l’online behavioural advertising, che richiede - a tutela degli utenti - una manifestazione di consenso informato e preventivo al tracciamento della loro

navigazione a fronte di una informazione graficamente chiara e comprensibile e di un meccanismo autorizzativo semplice e fruibile dal punto di vista tecnico in qualsiasi stadio della navigazione”

LC “Con la differenza che questo caso - che se

implementato porterebbe a mio avviso ad un enorme progresso – è molto più semplice di quello che Zuckerberg deve gestire. Dobbiamo creare una macchina che abbia il potenziale di servire l’umanità – com’è internet oggi – coniugato con la flessibilità necessaria per

consentire all’utente di autorizzare di volta in volta il trattamento del dato personale senza che questo sia vissuto come un intralcio alla navigazione”

RR “Questo tipo di riflessioni mi portano

solitamente ad una serie di conclusioni, assolutamente soggettive. E’ nell’animo umano (“stessa spiaggia stesso mare”) tornare dove si è stati bene. E’ naturale quindi autorizzare il fornitore di cui mi fido a profilare la mia navigazione. Ma questo non può mai essere

interpretato come una autorizzazione a profilarmi sistematicamente, a bombardarmi di pop-ups o peggio a vendere i dati della mia navigazione”

Ma su questo tema, come su molti altri, torneremo su uno dei prossimi numeri di R&P Mag.

Coordinatore:

Avv. Luca Egitto

Interlocutore:

Dott. Leonardo Chiariglione

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www.replegal.it Torino Via Amedeo Avogadro, 26 (10121) Tel +39 011 5584 111

Fax +39 0115611206 Milano Piazzale Luigi Cadorna, 4 (20123) Tel +39 02880721

Fax +39 02 8807222 Roma Via Ludovisi, 16 (00187) Tel +39 06977451 Fax +39 06 8078804

Aosta Via Festaz, 66 (11100) Tel +39 0165 235166 Fax. +39 0165 31719

Busto Arsizio Via Goito, 14 (21052) Tel +39 0331 638573 Fax +39 0331 632312

Redattori: Avv. Chiara Agostini

[email protected] Avv. Lorenzo Attolico [email protected] Avv. Roberta Avarello

[email protected] Avv. Allegra Bonomo [email protected] Dott.Leonardo Chiariglione

[email protected] Avv. Pierluigi De Palma [email protected]

Avv. Luca Egitto [email protected] Avv. Francesca Florio [email protected]

Avv. Alberto Fogola [email protected] Avv. Matteo Gragnani [email protected]

Avv. Francesco Henke [email protected] Avv. Gianluca Morretta [email protected]

Avv. Riccardo Rossotto [email protected] Avv. Monica Togliatto [email protected]