R&P Mag n.12 - anno 2014

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1 N. 12 - anno 2014

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Sentenze, approfondimenti giuridici, legislazione per il web e interviste.

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N. 12 - anno 2014

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SOMMARIO

1.COPYRIGHT

Giurisprudenza Comunitaria

Sentenza della Corte di Giustizia Europea nel caso C-335/12 che vede Nintendo contro Pc Box per il c.d. modchips ................ (pag. 7)

2.DIRITTO DELLA PRIVACY Giurisprudenza Nazionale La responsabilità penale dell’hosting service provider per i contenuti immessi dall’utente: caso “Google-Vividown” .................. (pag. 9)

Garante per la Protezione dei Dati Personali: fornitori di servizi di comunicazione elettronica e attività di profilazione gli

aggiornamenti dell’autorità ............................................................................................................................................................................. (pag. 10)

Garante per la Protezione dei Dati Personali: persone giuridiche destinatarie di fax promozionali ................................................... (pag. 11)

3.DIRITTO INDUSTRIALE

Giurisprudenza Comunitaria L’uso del marchio altrui a fini di critica: Il caso Enel/Greenpeace............................................................................................................ (pag. 12)

4.COMUNICAZIONE D’IMPRESA

Giurisprudenza Nazionale Banche dati online: la società Expo Guide è stata sanzionata per pratica commerciale scorretta ................................................. (pag. 14)

5.DIRITTO DELLA RETE

Normativa Nazionale Una nuova proposta di legge a tutela della “Dignità in Internet” presentato in parlamento il DDL Sanna-Moretti. ....................... (pag. 15)

Vendite a distanza: rafforzate le tutele per il consumatore. ...................................................................................................................... (pag. 17)

Giurisprudenza Comunitaria Diritto d’Autore e diritti connessi – Sentenza della CGE sugli hyperlink .................................................................................................... (pag. 18)

6.DIRITTO E TECNOLOGIA

Come salvarci dalla tecnologia: guida pratica per non farci abbrutire dalle macchine .................................................................... (pag. 20)

A lunch with … Annamaria Bernardini de Pace .......................................................................................................................................... (pag. 21)

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EDITORIALE

Secondo Riccardo Luna, uno dei più apprezzati guru del giornalismo internettiano, siamo alle soglie della

prima Guerra Mondiale di Internet. Tutti contro tutti in una disperata e concitata lotta a chi riesce a

raggiungere prima i propri obbiettivi.

Gli Stati Uniti contro il resto del mondo per difendere (sic!) il proprio diritto al controllo sulla nostra

sicurezza planetaria. La rivendicazione, in altri termini, degli americani dello stato di sorveglianza legittimo

e senza confini.

I singoli individui, noi stessi, sballottati tra un comprensibile desiderio di tutela della nostra privacy e una

auspicata tutela della nostra sicurezza fisica e psicologica contro il terrorismo e il malaffare.

I grandi operatori del settore, per lo più americani, che si battono da un lato contro gli stati per sfuggire

ai controlli, alle tasse e alle rigorose normative sulla privacy e dall'altro tra di loro per acquisire una quota

dominante del mercato degli internauti, i cosiddetti nativi digitali, il mercato del futuro di dopodomani.

La grande posta in gioco son proprio i nostri dati personali, il cosiddetto Big Data. La rappresentazione

storica e statistica delle nostre attitudini di spesa, delle nostre passioni, dei nostri sogni di acquisto.

Maggiore è la conoscenza dettagliata dei nostri profili di acquisto maggiore è il valore commerciale del

nostro dato personale. Fino all'altro ieri tutte le imprese di questo mondo dovevano ricorrere a strumenti

di promozione dei propri prodotti indiscriminati, rivolti alla massa dei consumatori con un costo contatto

molto alto e difficilmente comprimibile. Dovevano sparare i loro messaggi pubblicitari ad un target

generalista sperando che nel mucchio qualcuno abboccasse. Oggi lo scenario sta cambiamo e molto

velocemente. Ogni nostra "entrata" nella Rete viene registrata, immagazzinata e poi, più o meno

lecitamente, utilizzata commercialmente. Negli Stati Uniti molto più facilmente, in Europa con molti

vincoli legali. La battaglia sulla legislazione della Privacy sta tutta qui: se i motori di ricerca, le piattaforme

digitali potranno utilizzare, monetizzandoli, tutti i dati archiviati e selezionati in questi anni, il futuro sarà

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nelle loro mani. E i loro conti economici presenteranno profitti clamorosi. In caso contrario il cammino

sarà molto più arduo e in salita.

I 193 paesi dell'ONU che, nello scorso dicembre, hanno approvato all'unanimità una risoluzione che

riafferma "il diritto alla privacy nell'era digitale" sono l'ultimo esempio della difesa di un diritto ormai

indifendibile oppure il segnale che i sogni di gloria delle aziende di Silicon Valley rimarranno tali?

Il tema è contraddittorio e decodificabile anche attraverso un'altra interessante prospettiva. Più privacy

significa meno dati personali trasferibili e registrabili; dunque meno conoscenza per le intelligence di

tutto il mondo. Quindi meno sicurezza per tutti noi cittadini.

Meglio quindi accettare uno scenario con i grandi operatori di Internet con i bilanci gonfi di utili e noi

cittadini in grado di avere servizi web sostanzialmente gratuiti ma meno privacy e più sicurezza oppure

un contesto più protetto, dal punto di vista della tutela della nostra privacy, con i motori di ricerca meno

ricchi e meno disponibili a regalare i propri servizi e con i servizi segreti di tutto il mondo con le mani più

legate e quindi con meno livelli di sicurezza contro il terrorismo internazionale?

Un bel dilemma che spiega le ragioni della lotta in essere sia tra gli stati, sia tra imprese concorrenti, sia

tra i cittadini e le istituzioni nazionali e internazionali.

Ma non è finita!

Un altro tema assolutamente spinoso in cui è davvero complicato individuare i buoni e i cattivi o meglio

delle soluzioni ragionevoli da mettere in campo per evitare le pericolose derive esistenti riguarda le

campagne di vero e proprio odio personale e sociale che si scatenano nella Rete e portano le vittime a

preferire il suicidio piuttosto che non subire la gogna internettiana. Gli appelli contro il cyber- bullismo si

sprecano ma le nostre cronache sono sempre più segnate da morti di ragazzi uccisi da campagne di

odio o di diffamazione lanciate nella Rete. Anche su questo punto è bene intendersi in modo chiaro e

netto. La Rete è per definizione anarchica e libertaria: un luogo di confronto libero fuori da ogni censura.

Ma deve esistere un limite alla libertà individuale: il rispetto della libertà altrui. Altrimenti torniamo indietro

di secoli alla legge del più forte, al sopruso del forte nei confronti della parte debole. I diritti alla tutela

della personalità, della reputazione e dell'onore vanno salvaguardati ad ogni costo. Nel web questo non

sta accadendo e il dibattito degenera spesso in aggressioni, insulti, campagne di vero e proprio odio. Il

tutto contaminando i pregi e le potenzialità di uno straordinario strumento di conoscenza come Internet.

Una recente proposta di legge firmata Moretti- Sanna va proprio nella direzione di non imbavagliare la

Rete, cercando di salvaguardarne libertà e dialogo senza censure ma nello stesso tempo di far rispettare

alcune regole basilari per la nostra convivenza. "Rendere la rete-si legge nella relazione al progetto di

legge- uno spazio ne' di anomia ne' di censura in cui cioè si promuovano i diritti e le libertà e non la

violenza, l'ingiuria, la discriminazione, soprattutto nei confronti dei soggetti fragili". Tutto ciò che è illecito

nel mondo offline, ha scritto Rodotà, deve essere illecito anche nel mondo online. Bisogna trovare degli

strumenti di repressione, anche dal punto di vista della tecnologia, efficaci ed efficienti tenendo conto

della straordinaria velocità di diffusione nella Rete di qualsiasi informazione o opinione. Bisogna insistere

sul tema della responsabilità: ognuno è responsabile degli atti che compie e delle parole che pronuncia

dal vivo, per scritto o nella Rete. Salvaguardiamo pure l'anonimato degli utenti ma senza far diventare la

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Rete un Far West in cui sia possibile dire e scrivere qualsiasi cosa contro chiunque senza rischi di sanzioni e

con una impunità totale. Il progetto di legge citato immagina un anonimato "tracciabile". In altre parole

ciascuno di noi conserva il suo anonimato nel web sapendo però che, in caso di ipotesi di illecito,

l'autorità giudiziaria e gli organi di polizia giudiziaria potranno identificarci, perseguendoci a norma di

legge. Anonimato sì ma senza illeciti, insomma. Per quegli strumenti dove l'identificazione del soggetto

pare tecnicamente impossibile sarà necessario, con l'ausilio della tecnologia adeguata, introdurre codici

di accesso o password personalizzate che permettano in ogni caso l'identificazione dell'utente effettivo

di un certo scritto apparso in un determinato momento temporale.

Insomma lo sviluppo della Rete e i suoi sempre più numerosi utenti a livello mondiale ci obbliga ad

aumentare i nostri sforzi di monitoraggio nel tentativo di salvaguardare l'esistenza di uno strumento

potenzialmente idoneo a farci fare dei progressi straordinari in termini di conoscenza a rischio però di

essere contaminato e rovinato da usi illeciti, fintamente ispirati a principi di libertà.

RepMag sarà sempre in prima fila a combattere questa difficile ma stimolante battaglia della nostra

convivenza futura.

Riccardo Rossotto

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VIRTUALMENTE, OGNI COSA OGGI È “DIGITALE”

Abbiamo sentito recentemente un imprenditore americano dire che “virtually ever business is digital”.

Già, ma per noi la considerazione non si limita al “business”. Potenzialmente oggi ogni cosa è digitale,

può essere vista in anteprima, vissuta in diretta e poi rivista. Nel lavoro, nello sport, nella vita di tutti i

giorni ormai il preview-rec-play permea ogni azione e l’avvento di tecnologie di comunicazione

sempre più penetranti, di camere sempre più piccole e precise e di lettori/visori ormai prossimi a

congiungersi alla nostra iride rende questo meccanismo vicino alla definitiva integrazione con i nostri

sistemi nervosi e le nostre naturali attività percettive. Potenzialmente, quindi, potremmo non perderci

più nulla di ciò che viviamo. Tuttavia, negli ultimi due mesi potreste esservi persi diverse novità in ambito

normativo e giurisprudenziale che vi presentiamo in questo nuovo numero di Repmag! Vi sono infatti

diverse pronunce di respiro comunitario in materia di diritto d’autore e di marchi registrati, importanti

novità in materia di tutela dei dati personali e il commento alle motivazioni della sentenza Google-

Vividown, di sicuro una delle pronunce più importanti degli ultimi anni.

Allegra Bonomo

Luca Egitto

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1.COPYRIGHT

Giurisprudenza Comunitaria

SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA

EUROPEA NEL CASO C-335/12 CHE VEDE

NINTENDO CONTRO PC BOX PER IL C.D.

MODCHIPS.

Nell’ambito di una controversia tra la Nintendo,

da un lato, e PC Box Srl e 9Net Srl dall’altro, in

merito alla commercializzazione, da parte di PC

Box, di c.d. «mod chips» e di «game copiers»

(ovvero dispositivi in grado di aggirare le misure

di sicurezza integrate nei sistemi di gioco), il

Tribunale di Milano, chiamato a decidere la

controversia, ha proposto alla Corte di Giustizia

Europea domanda di pronuncia pregiudiziale

vertente sull’interpretazione dell’articolo 6 della

direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e

del Consiglio, del 22 maggio 2001,

sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto

d’autore e dei diritti connessi nella società

dell’informazione.

L’art. 6 della richiamata direttiva, stabilisce che

gli Stati membri debbano prevedere

un’adeguata protezione giuridica contro la

fabbricazione, l’importazione, la distribuzione, la

vendita, il noleggio, la pubblicità per la vendita

o il noleggio o la detenzione a scopi

commerciali di attrezzature, prodotti o

componenti o la prestazione di servizi, che

abbiano la finalità di rendere possibile o di

facilitare l’elusione di efficaci misure

tecnologiche.

Il fatto da cui la questione prende origine è il

seguente: le imprese Nintendo hanno adottato

misure tecnologiche, vale a dire un sistema di

riconoscimento installato sulle consolle ed il

codice criptato del supporto fisico sul quale

sono registrati i videogiochi protetti dal diritto

d’autore, aventi l’effetto di impedire

l’utilizzazione di copie illegali di videogiochi.

Tali misure tecnologiche impediscono, peraltro,

l’utilizzazione sulle consolle dei programmi, dei

giochi e, in generale, dei contenuti multimediali

che non provengono da Nintendo.

Nintendo ha rilevato che gli apparati di PC Box,

una volta installati sulla consolle, eludono il

sistema di protezione presente sull’«hardware» e

consentono l’utilizzazione di videogiochi

contraffatti e, per ciò, hanno citato in giudizio

tale società.

PC Box, dal canto suo, commercializza le

consolle originali di Nintendo in combinazione

con un «software» aggiuntivo costituito da

talune applicazioni ideate espressamente per

essere utilizzate su simili consolle e il cui utilizzo

richiede la previa installazione degli apparati di

PC Box che disattivano il dispositivo installato

che costituisce la misura tecnologica di

protezione.

Ad avviso di PC Box, la reale finalità perseguita

dalle imprese Nintendo è quella di impedire l’uso

di un «software» indipendente, che non

costituisce una copia illegale di videogiochi, ma

che è diretto a consentire la fruizione sulle

consolle di file MP3, film e video, al fine di

sfruttare pienamente tali consolle.

Il giudice del rinvio si chiede, dunque, se

l’apposizione di misure tecnologiche di

protezione come quelle utilizzate da Nintendo,

ecceda, o meno, quanto previsto dall’articolo 6

della direttiva 2001/29.

A riguardo la Corte, con sentenza dello scorso

23 gennaio, ha così pronunciato: “La direttiva

2001/29/CE del Parlamento europeo e del

Consiglio, del 22 maggio 2001,

sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto

d’autore e dei diritti connessi nella società

dell’informazione, deve essere interpretata nel

senso che la nozione di «efficace misura

tecnologica», ai sensi dell’articolo 6, paragrafo

3, di tale direttiva, può comprendere misure

tecnologiche dirette prevalentemente ad

equipaggiare con un dispositivo di

riconoscimento non solo il supporto che

contiene l’opera protetta, come il videogioco, al

fine di proteggerla da atti non autorizzati dal

titolare di un diritto d’autore, ma altresì le

apparecchiature portatili o le consolle destinate

a garantire l’accesso a tali giochi e la loro

utilizzazione.

Spetta al giudice nazionale verificare se altre

misure, o misure non installate sulle consolle,

possano causare minori interferenze con le

attività dei terzi o minori limitazioni di tali attività,

pur fornendo una protezione analoga per i diritti

del titolare. A tal fine, rileva prendere in

considerazione, segnatamente, i costi relativi ai

diversi tipi di misure tecnologiche, gli aspetti

tecnici e pratici della loro attuazione nonché la

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comparazione dell’efficacia di tali diversi tipi di

misure tecnologiche per quanto riguarda la

protezione dei diritti del titolare, efficacia che,

tuttavia, non deve essere assoluta. Spetta altresì

al suddetto giudice esaminare la finalità dei

dispositivi, dei prodotti o dei componenti che

possono eludere le citate misure tecnologiche.

A tal riguardo, la prova dell’uso che i terzi

effettivamente ne fanno sarà, in funzione delle

circostanze di cui trattasi, particolarmente

rilevante. Il giudice nazionale può esaminare,

segnatamente, con quale frequenza tali

dispositivi, prodotti o componenti vengono

effettivamente utilizzati in violazione del diritto

d’autore nonché la frequenza con cui sono

utilizzati a fini che non violano il suddetto diritto.”

In pratica l'avvocato generale della Corte di

giustizia dell'Unione Europea, ha agito con

diplomazia ritenendo raccomandabile una

giusta proporzionalità, sia per quanto riguarda la

valutazione di questi “lucchetti anti-pirateria”

che potrebbero essere più limitativi di quanto

necessario, sia relativamente all’utilizzo che

fanno i possessori dei modchip (laddove, ad

esempio, modifichino un dispositivo non per

utilizzare copie pirata ma per utilizzare giochi

originali di altri produttori).

La questione dunque, torna nuovamente al

Tribunale di Milano, che dovrà verificare la

“giusta proporzionalità” nel caso di specie.

Qui il link alla sentenza :

http://curia.europa.eu/juris/document/docume

nt.jsf?text=&docid=146686&pageIndex=0&docla

ng=IT&mode=req&dir=&occ=first&part=1&cid=5

32968

(P.P.)

Coordinatore:

Pietro Perugini

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2.DIRITTO

DELLA PRIVACY

Giurisprudenza Nazionale

COMMENTO A CORTE DI CASSAZIONE,

SEZ. III PENALE, SENTENZA 17 DICEMBRE

2013 – 3 FEBBRAIO 2014, N. 5107

(PRESIDENTE MANNINO – RELATORE

ANDRONIO)

La responsabilità penale dell’hosting

service provider per i contenuti immessi

dall’utente: la Cassazione interviene sul

caso “Google-Vividown” Con le motivazioni rese il 3 febbraio, la terza

sezione penale della Corte di Cassazione ha

messo definitivamente la parola fine all’annosa

questione salita agli onori delle cronache come

vicenda “Google-Vividown”. La Suprema Corte

ha confermato l'assoluzione dei manager di

Google Italy sotto processo per un video diffuso

nel 2006 nel quale un minorenne disabile di

Torino veniva maltrattato dai compagni di

scuola. La vicenda ha visto istruire un

procedimento penale a carico di tre

amministratori della società per i reati di

diffamazione e di trattamento illecito di dati

personali (art. 167 d.lgs. n. 196 del 2003) e si è

articolata, nel corso degli anni, in una sentenza

resa in primo grado (Tribunale di Milano,

sentenza n. 1972 del 24 febbraio 2010) che ha

mandato assolti gli imputati dalle accuse di

diffamazione, ma li ha condannati a sei mesi di

reclusione (pena sospesa) per violazione della

privacy.

Con la successiva sentenza della prima Sezione

Penale della Corte d’Appello di Milano,

depositata il 27 febbraio 2013, gli imputati sono

stati mandati assolti con la formula “perché il

fatto non sussiste”. La Cassazione ha

confermato la decisione della Corte di Appello

concentrandosi su tre aspetti particolarmente

rilevanti in tema di diritto della privacy.

Il primo è che nella sua qualità di fornitore del

servizio di hosting “Google Video”, Google non

è titolare del trattamento dei dati personali che

sono immessi dagli utenti. Il punto è decisivo: la

Cassazione, per la prima volta in maniera così

netta, afferma che il trattamento illecito dei dati

è reato che può essere compiuto solo ed

esclusivamente dal titolare del trattamento. Si

tratta, quindi, di un reato “proprio”, ossia di un

reato che può essere commesso solo da chi ha

una certa qualifica. In particolare, due passaggi

delle motivazioni vanno messi in evidenza:

i) il titolare del trattamento è il soggetto che

decide “di trattare i dati personali per propri

fini”: il punto chiave è l’“esistenza di un potere

decisionale in ordine alle finalità, alle modalità

di trattamento di dati personali e agli strumenti

utilizzati”;

ii) nel caso in esame, “i titolari dei dati caricati in

siti di hosting sono i singoli utenti” e quindi

“nessun obbligo sussiste in capo al provider, non

essendo questo, ma il singolo utente il

responsabile del trattamento dei dati personali

contenuti nel video caricato dall’utente stesso”;

Il secondo aspetto riguarda la relazione tra la

disciplina del commercio elettronico e quella

della privacy. La Suprema Corte sostiene che:

“l’applicazione delle norme in materia di

commercio elettronico deve avvenire in

armonia con le norme in materia di tutela dei

dati personali, armonia perfettamente

riscontrabile - come appena visto - nel caso

della determinazione dell’ambito di

responsabilità penale dell’Internet hosting

provider relativamente ai dati sensibili caricati

dagli utenti sulla sua piattaforma”.

Quindi, la disciplina sul commercio elettronico

conferma che Google, quale fornitore di

hosting, non ha alcun potere decisionale sul

contenuto dei video immessi dai propri utenti –

dal momento che non ne conosce e non ne

deve conoscere il contenuto ai sensi di detta

disciplina - e quindi non determina finalità e

modalità del trattamento. Interessante anche

osservare come Google Video venga definito un

servizio di hosting dato che “il provider si è

limitato a fornire ospitalità ai video inseriti dagli

utenti, senza fornire alcun contributo nella

determinazione del contenuto dei video stessi”.

La sentenza non affronta dunque il tema

dell’hosting attivo, escludendo, con riferimento

al caso di specie, che Google Video possa

essere considerato tale.

Il terzo aspetto, infine, lascia spazio a qualche

dubbio; la Suprema Corte, infatti, afferma che

Google non è titolare del trattamento

fintantoché non ha consapevolezza del

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contenuto illecito. In altre parole: “finché il dato

illecito è sconosciuto al service provider, questo

non può essere considerato quale titolare del

trattamento, perché privo di qualsivoglia potere

decisionale sul dato stesso; quando, invece, il

provider sia a conoscenza del dato illecito e non

si attivi per la sua immediata rimozione o per

renderlo comunque inaccessibile, esso assume

a pieno titolo la qualifica di titolare del

trattamento ed è, dunque, destinatario dei

precetti e delle sanzioni penali del Codice

Privacy”.

Si tratta di un passaggio molto delicato, in

relazione al quale sarebbe stato auspicabile un

intervento più dettagliato, che non lasciasse

adito a dubbi interpretativi. Infatti la Cassazione

non chiarisce l’aspetto fondamentale, ossia

quando e in presenza di quali condizioni il

provider deve essere considerato a conoscenza

del contenuto illecito.

La questione ha fatto molto discutere sia gli

operatori del diritto e che gli operatori di internet

perché lungi dal “molto rumore per nulla”,

secondo la citazione utilizzata dalla sentenza di

primo grado, si è di fronte ad una vicenda che

attiene, come affermano i Giudici di appello,

alla questione del “governo di internet” che

impone ai giudici di perimetrare con estrema

attenzione l’ambito della responsabilità penale

degli operatori del web.

(A.R.)

Giurisprudenza Nazionale

Garante per la Protezione dei Dati

Personali

FORNITORI DI SERVIZI DI

COMUNICAZIONE ELETTRONICA E

ATTIVITA’ DI PROFILAZIONE: GLI

AGGIORNAMENTI DELL’AUTORITA’ (6

febbraio 2014).

Il Garante per la protezione dei dati personali,

dopo cinque anni, torna sul tema della

“profilazione” effettuata dai fornitori dei servizi di

comunicazione elettronica per adeguare le

misure prescrittive a suo tempo emanate

all’evoluzione del mercato delle

telecomunicazioni.

http://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/

docweb/-/docweb-display/docweb/2951718

L’intervento del Garante per la protezione dei

dati personali rappresenta un indiscutibile

esempio di adeguamento della normativa al

cambiamento del mercato, delle esigenze degli

utenti e dell’impresa.

Le prescrizioni modificative del precedente

provvedimento di carattere generale del 25

giugno 2009, si basano, infatti, sulla maggiore

dinamicità del mercato dei servizi offerti nel

settore delle comunicazioni elettroniche e sulla

sempre maggiore competitività tra le aziende e

la maggiore reattività dei clienti, che sono in

grado di reagire rapidamente ai mutamenti del

mercato, scegliendo le offerte di volta in volta

più vantaggiose. Il Garante, sempre nell’ottica

di minimizzare i rischi per l’utenza soggetta alla

profilazione in un settore altamente aggressivo

come politica commerciale e di marketing, ma

con un equo bilanciamento degli interessi delle

varie parti coinvolte, ha parzialmente modificato

alcune misure prescrittive.

Come noto, una delle principali preoccupazioni

del Garante in tema di profilazione su dati

aggregati è che questi ultimi, derivando da dati

personali dettagliati, possano essere in qualche

modo essere ricondotti dai titolari – in possesso di

numerosissime informazioni sulla relativa clientela

– a dati dettagliati. In ragione di ciò, il Garante,

aveva individuato tra le misure prescrittive a

carico dei fornitori dei servizi di comunicazione

elettronica, una previsione di un livello di

aggregazione delle informazioni non inferiore a

trenta giorni.

Tuttavia, l’Autorità nell’esaminare le diverse

istanze di verifica preliminare giunte ai propri

uffici, ha compreso le necessità dei titolari di

considerare un diverso livello di aggregazione

delle informazioni degli utente, utilizzate per

finalità di profilazione.

In ragione di ciò e delle suesposte variazioni del

mercato delle telecomunicazioni, l’Autorità con

il provvedimento in esame, ha ridotto da trenta

a due giorni il periodo minimo di riferimento per

l’aggregazione dei dati personali utilizzati per

l’attività di profilazione; ciò, tuttavia, con

esclusivo riferimento ai dati relativi “al volume di

minuti in traffico originato o terminato (in minuti

o byte), al numero di eventi di ricarica, distinto

per canale di ricarica, nonché al totale delle

ricariche.

L’attività di profilazione su altri eventi, invece,

resta integralmente regolata dal precedente

provvedimento del 2009, ivi incluso il periodo di

aggregazione.

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Il Garante ha quindi prescritto ai fornitori di servizi

di comunicazione elettronica accessibili al

pubblico che svolgono attività di profilazione di

trasmettere all’Autorità stessa, entro il termine di

30 giorni dall’eventuale implementazione delle

nuove misure prescrittive, copia della

documentazione che ne comprovi l’adozione.

(A.B.)

Giurisprudenza Nazionale

Garante per la Protezione dei Dati

Personali

PERSONE GIURIDICHE DESTINATARIE DI

FAX PROMOZIONALI (23 gennaio 2014).

Il Garante per la protezione dei dati personali

torna ancora una volta sul delicato tema delle

comunicazioni promozionali inviate con sistemi

automatizzati (nella specie a mezzo fax) a

professionisti e imprese e conferma il proprio

orientamento volto a sanzionare tale pratica in

ragione del fatto che le modifiche apportate

alla nozione di “dati personali” non hanno inciso

sulla nozione di “contraente” prevista nel capo 1

del titolo X del Codice relativo alle

“Comunicazioni elettroniche”.

Con provvedimento del 23 gennaio 2014, il

Garante per la protezione dei dati personali si è

pronunciato sul trattamento dei dati personali

effettuato da una società che fornisce un

elenco telefonico on line. L’azienda inviava,

senza acquisire preventivamente uno specifico

consenso, fax con i quali promuoveva presso

imprese e professionisti il proprio servizio di

pubblicazione sul suddetto elenco e nei quali

forniva l’informativa ai sensi dell’articolo 13 del

Codice e chiedeva il consenso alla ricezione di

comunicazioni promozionali.

La società, in prima istanza, si difendeva

negando la necessità del consenso in quanto

scambiata tra “un soggetto esercente attività

economica” e “altro soggetto di analoga

natura (comunicazione business – to – business)”

e negando la natura promozionale dei

messaggi “in quanto, attenendo al settore

business to business sarebbero qualificabili come

“comunicazioni non pubblicitarie”.

L’Autorità ha, invece, considerato illecito il

trattamento in quanto effettuato dalla società in

assenza del consenso preventivo degli utenti.

In primis, in quanto il Garante ha ribadito che

l’invio di un fax è già di per sé un trattamento di

dati personali rilevante ai sensi del Codice a

prescindere dalle modalità con le quali esso

viene effettuato ed in particolare che “ai fini

della legittimità della comunicazione

promozionale effettuata, non è lecito …

chiedere, con tale primo messaggio

promozionale, il consenso al trattamento per

finalità promozionali”

In secondo luogo, in quanto l’Autorità ha

considerato la fattispecie esaminata

pienamente rientrante nella specifica ipotesi

dell’articolo 130 del Codice, in base al quale

“l'uso di sistemi automatizzati di chiamata o di

comunicazione di chiamata senza l'intervento di

un operatore per l'invio di materiale pubblicitario

o di vendita diretta o per il compimento di

ricerche di mercato o di comunicazione

commerciale è consentito con il consenso del

contraente o utente”.

Ebbene, conclude il Garante, poiché la

definizione di “contraente” offerta dall’articolo

4, comma 2, lett. f del Codice, comprende

“qualunque persona fisica, persona giuridica,

ente o associazione parte di un contratto con

un fornitore di servizi di comunicazione

elettronica accessibili al pubblico per la fornitura

di tali servizi, o comunque destinatario di tali

servizi tramite schede prepagate”, la relativa

tutela assicurata dall’articolo 130 del Codice

deve considerarsi integralmente estesa anche ai

professionisti ed alle imprese.

(A.B.)

Coordinatori:

Avv. Chiara Agostini

Avv. Allegra Bonomo

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3.DIRITTO INDUSTRIALE

Giurisprudenza Comunitaria

L’USO DEL MARCHIO ALTRUI A FINI DI

CRITICA: IL CASO ENEL/GREENPEACE

Il fenomeno dell’uso di marchi altrui in chiave

critica o parodistica ha vissuto negli ultimi anni

un notevole sviluppo in ogni parte del globo,

come testimoniano questi esempi:

Insegna recentemente apparsa all’esterno di un

bar di Los Angeles (“dumb” in inglese significa

“stupido”).

Uso del logo Esso (opportunamente modificato)

da parte di Greenpeace nell’ambito di una

campagna di denuncia nei confronti della

multinazionale del petrolio.

Utilizzo umoristico/commerciale del marchio Luis

Vuitton negli Stati Uniti per borsette destinate ai

proprietari di animali domestici.

I titolari di marchi il più delle volte hanno

denunciato tali pratiche, lamentando lo

svilimento dei propri segni nonché l’indebito

sfruttamento compiuto dagli utilizzatori non

autorizzati. Approdate nelle aule di tribunale, tali

controversie sono state decise in base alla

tipologia e alle finalità dell’uso del marchio

altrui.

In linea generale, i titolari dei marchi hanno

avuto la meglio quando è stato riconosciuto il

carattere principalmente commerciale dell’uso

parodistico e/o critico compiuto da terzi.

Quando invece tale uso è stato ritenuto

finalizzato ad una giusta e proporzionata critica

o ad una (riuscita) parodia, anche se latamente

commerciale, hanno vinto i c.d. free riders.

Quanto alla giurisprudenza nazionale, ultimo in

ordine cronologico è il caso Enel/Greenpeace,

riguardante l’uso del logo Enel in una

campagna ambientalista. Tale campagna

consisteva nella distribuzione di false bollette

Enel, apparentemente identiche alle originali,

riportanti dati sui danni ambientali, sanitari ed

economici causati da Enel nella produzione di

energia fossile. Non solo. Greenpeace distribuiva

anche false copie del quotidiano Metro

contenenti una finta pubblicità in cui il logo Enel

veniva storpiato (un albero con una foglia

caduta a terra) e accompagnato dalla dicitura

“Enel, l’energia che ti sporca”.

La vicenda ha impegnato il Tribunale di Milano.

In prima istanza, Greenpeace ha avuto la

meglio. Il Tribunale ha infatti ritenuto che l’uso

del marchio Enel non avesse scopi commerciali

e fosse invece diretto ad una giusta e

proporzionata critica. E che pertanto tale uso

fosse protetto dal principio costituzionale della

libertà d’espressione. In poche parole, anche se

Greenpeace aveva svilito il marchio Enel, aveva

un “giusto motivo” per farlo.

Tale decisione è stata però ribaltata in sede di

reclamo. Il Tribunale di Milano ha infatti ritenuto

che l’uso non autorizzato del marchio Enel fosse

avvenuto all’interno di un’attività economica. In

particolare, i giudici hanno sottolineato che

Greenpeace è strutturata come un’azienda,

avendo allestito un sistema di fund raising di

natura imprenditoriale. Di qui il convincimento

per cui l’utilizzo del marchio Enel va letto come

forma di sfruttamento della sua notorietà

finalizzata a favorire la raccolta di fondi da parte

di Greenpeace.

Gli stessi giudici hanno poi sottolineato che l’uso

del marchio Enel da parte di Greenpeace è

altamente denigratorio. In particolare è stato

evidenziato come la produzione di energia

fossile non sia di appannaggio esclusivo di Enel.

Greenpeace, tuttavia, ha rivolto la campagna

unicamente nei confronti di tale operatore,

utilizzando il suo marchio per simboleggiare

l’intera categoria dei produttori di energia

fossile. Inoltre, l’utilizzo del marchio Enel

danneggia l’azienda nel suo complesso, pur se

la critica di Greenpeace si riferisce ad una sola

delle tante attività dell’azienda (la produzione di

energia fossile).

13

Su questi presupposti il Tribunale di Milano ha

ritenuto prevalente in sede di reclamo la natura

commerciale ed il carattere denigratorio della

campagna di Greenpeace rispetto alla sua

finalità di critica e ne ha conseguentemente

inibito la prosecuzione, disponendo il sequestro

del materiale pubblicitario.

Il provvedimento è disallineato rispetto alla

giurisprudenza formatasi in altri Paesi europei in

casi analoghi.

In Francia, ad esempio, l’utilizzo sopra raffigurato

del logo ESSO non è stato considerato come un

utilizzo illecito del marchio altrui, in quanto privo

di finalità commerciali (Esso v. Greenpeace

France, Cour de Cassation, 8 aprile 20082008 -

http://www.courdecassation.fr/IMG/pdf/bul_civ_

04_08.pdf, pag. 89). Analoga decisione è stata

adottata dalla Corte di Cassazione francese nel

caso Areva/Greenpeace. Areva, società

monopolista dell’energia nucleare in Francia,

aveva fatto causa a Greenpeace per l’uso del

suo marchio modificato attraverso l’aggiunta di

un teschio, così da evidenziare i danni mortali

causati dall’energia atomica. Di nuovo è stata

esclusa ogni finalità commerciale dell’utilizzo del

marchio altrui e dunque la sua contraffazione

(Greenpeace France v. Spcea, Cour de

Cassation, 8 aprile 2008 -

http://www.legalis.net/spip.php?page=jurisprud

ence-decision&id_article=2275). Stesso esito ha

avuto un giudizio similare in Germania, che ha

visto ancora una volta contrapposti Esso e

Greenpeace in ragione della campagna

ambientalista STOPE$$O (Stoppesso.de, LG

Hamburg, 10 giugno 2002, in GRUR 2003).

In tutti i casi stranieri citati, l’attività di fund raising

non è stata considerata un’attività economica.

Non è pertanto stata applicata la normativa sui

marchi e il bilanciamento tra gli interessi in gioco

è avvenuto mediante quelle categorie di

proporzionalità e continenza proprie dei giudizi

di diffamazione. Greenpeace è quindi uscita

vittoriosa da tali processi in quanto la sua critica

non è stata ritenuta gratuitamente denigratoria,

anche in considerazione dell’importanza di

interessi sociali quali la tutela della salute e

dell’ambiente. Per tali motivi, l’utilizzo critico dei

marchi ESSO e Areva è stato ritenuto lecito in

quanto protetto dalla libertà d’espressione.

Il tema resta aperto e in Italia ha avuto già un

impatto in quanto Greenpeace ha eliminato

ogni riferimento al logo Enel dalla sua

campagna pur continuando a riferirsi al colosso

energetico e alle sue pratiche dannose per la

salute e per l’ambiente

(http://www.greenpeace.it/metro/). Staremo a

vedere se anche questo riferimento ad Enel sarà

oggetto di censura o se, al contrario, la

giurisprudenza italiana opterà per un

riallineamento con quella di altri paesi europei.

(F.P.)

Coordinatore:

Avv. Gianluca Morretta

14

4.COMUNICAZIONE

D’IMPRESA

BANCHE DATI ONLINE: LA SOCIETA’ EXPO

GUIDE E’ STATA SANZIONATA PER PRATICA

COMMERCIALE SCORRETTA

L’Autorità Garante della Concorrenza e del

Mercato ha sanzionato le pratiche commerciali

scorrette poste in essere da Expo Guide.

La società in questione ha, infatti, registrato nel

suo data base i dati relativi a 247.000 società

italiane che avevano partecipato ad eventi

fieristici, senza alcuna preventiva autorizzazione

da parte delle stesse all’utilizzo dei propri dati.

La società Expo Guide inviava poi alle società in

questione una comunicazione commerciale in

cui si richiedeva di verificare, ed eventualmente

rettificare, i dati unilateralmente inseriti nel data

base telematico presente sul sito www.expo-

guide.com denominato “Guida per fiere ed

espositori”.

Ciò, in verità, al solo fine di promuovere la

sottoscrizione presso la società contattata di un

oneroso abbonamento pluriennale ad un

servizio di annunci pubblicitari a pagamento,

ottenuta mediante un indebito

condizionamento del processo decisionale del

destinatario, influenzato dai toni fortemente

intimidatori della comunicazione. Nella

richiamata comunicazione si paventava, infatti,

alla società contattata che, in difetto di

riscontro e di compilazione del modulo allegato,

essa sarebbe stata cancellata dall’evento

fieristico prescelto. La minaccia risultava ancora

più credibile posto che detta comunicazione

risultava inserita in una busta con il logo della

manifestazione fieristica a cui la società risultava

effettivamente iscritta. E, come evidenziato

dall’Autorità, “tanto la mancata partecipazione

all’esposizione, quanto la cancellazione dei

propri dati aziendali dall’almanacco digitale

della fiera o dagli archivi dell’ente organizzatore,

anche successivamente all’evento stesso,

costituiscono per le microimprese un mancato

guadagno, nonché la frustrazione delle

aspettative di migliore e più diffusa

pubblicizzazione dei propri prodotti e servizi e di

aumento della clientela”.

Tale elemento, unitamente alla constatazione

dell’erroneità ed incompletezza dei dati riportati

nel modulo, induceva il destinatario della

comunicazione a rettificare i dati ivi riportati ed

a inoltrarli alla Expo Guide. Nel periodo

compreso tra gennaio 2012 e giugno 2013, ben

3185 società hanno riscontrato la

comunicazione commerciale Expo Guide

all’esito della pratica commerciale scorretta

sopra descritta.

La richiesta di pagamento della prima rata dei

corrispettivi dovuti veniva poi inviata

successivamente alla scadenza del termine di

esercizio del diritti di ripensamento, onde evitare

l’esercizio tempestivo di tale diritto da parte

della società che aveva dato riscontro alla

precedente comunicazione.

A questo punto scattava una pressante

procedura di recupero del credito che si

articolava in ripetute diffide, inviate anche

tramite società di recupero del credito, con

minaccia di ricorso ad azioni giudiziarie.

Tale pratica commerciale è stata giudicata

dall’AGCM in violazione degli articoli 20, 24, 25,

comma 1, lett. d) ed e), nonché 26, comma 1,

lett. f) del Codice del Consumo. A parere

dell’Autorità “sia l’espediente della pre-

iscrizione non richiesta, che le modalità ed i

termini adoperati per veicolare la

comunicazione commerciale relativa all’offerta

del servizio a pagamento, costituiscono

elementi necessari per esercitare un’indebita

pressione sul processo decisionale delle

microimprese, facendolo sfociare nell’acquisto

di un servizio non richiesto di annunci

pubblicitari a pagamento”.

Parimenti aggressiva è stata giudicata la pratica

di ripetuti invii di solleciti di pagamento ad opera

di un apposito ufficio denominato “Reparto

legale” e della società di diritto cipriota

International Credit Assesment Agency, con

richiesta di somme, di volta in volta,

incrementate per “Interessi e spese di mora” e

con la minaccia di agire giudizialmente per il

recupero coattivo del credito con ancora

maggiori esborsi.

A fronte di dette pratiche è stata irrogata ad

Expo Guide S.C. una sanzione amministrativa

pecuniaria di euro 500.000,00.

Per una lettura integrale della decisione si rinvia

al link http://www.agcm.it/trasp-

statistiche/doc_download/4097-ps9026-provv-

19-feb-2014.html .

(M.T)

Coordinatore:

Avv. Riccardo Rossotto

15

5.DIRITTO DELLA RETE

Normativa Nazionale

UNA NUOVA PROPOSTA DI LEGGE A

TUTELA DELLA “DIGNITA’ IN INTERNET”.

PRESENTATO IN PARLAMENTO IL DDL

SANNA-MORETTI, CHE INTERVERRA’ SU

CODICE PENALE E CODICE DELLA

PRIVACY.

E’ ancora una bozza ad uno stadio embrionale

il progetto di legge presentato dai deputati del

Pd Alessandra Moretti e Francesco Sanna.

Tuttavia siamo certi che, stante l’attualità degli

argomenti che si prefiggono di affrontare –

rinnovando trasversalmente l’impianto

normativo di codice penale, legge sulla stampa

e codice della privacy – le nuove disposizioni

faranno parlare di sé, e non soltanto gli addetti

ai lavori.

Quattro articoli che intervengono sulla «tutela

dell’identità personale in Internet» (art. 1), in

particolare per i minori, sul «diritto all’oblio,

aggiornamento e rettificazione dei dati

personali» (art. 2) e infine altre «disposizioni in

materia di diffamazione e ingiuria» (art. 3 e 4),

con in particolare una revisione della disciplina

relativa alla diffamazione a mezzo stampa. Di

seguito proviamo ad introdurre e presentare il

testo così come apparso in rete e sulla stampa

di settore, seppur con una eloquente etichetta

riportante l’avviso “Bozza non corretta”, che ci

ricorda che l’iter parlamentare non è ancora

iniziato e che quindi l’eventuale approvazione è

ancora molto lontana.

Con l’art. 1 il DDL aggiunge un art. 131-bis al

D.Lgs. 196/2003, meglio conosciuto come

“Codice della Privacy”. Tale norma – rubricata

“Tutela dei minori” – introduce la possibilità per i

genitori di un minore (ovviamente di anni 18)

che abbia “registrato mediante falsa

dichiarazione di maggiore età i propri dati su un

sito web”, di inoltrare “anche singolarmente”

una richiesta (non è indicato a chi debba essere

inoltrata, tuttavia si potrebbe supporre che si

faccia riferimento al “fornitore di servizi di

comunicazione elettronica”, ossia al soggetto

indicato dal secondo comma lett. e) dell’art. 4

del D.Lgs. 196/2003) per l’oscuramento, la

rimozione o il blocco di qualsiasi altro dato

personale del minore.

Ma non saranno solo i genitori a potersi rivolgere

al Garante in caso di richiesta di intervento in

tema di aggiornamento e rettifica dei dati

personali. Si introducono, infatti, gli artt. 137-bis e

137-ter (sempre nel Codice della Privacy) in

base ai quali l’interessato “ha diritto di ottenere

l’aggiornamento e l’integrazione dei propri dati

personali pubblicati in emeroteche telematiche,

secondo gli sviluppi che la notizia abbia avuto”,

così come diventa un diritto codificato la

deindicizzazione degli articoli pregiudizievoli dai

risultati offerti tramite i motori di ricerca. Come

già accaduto con il neonato regolamento

AGCOM, dunque, l’Autorità amministrativa

verrebbe chiamata a svolgere compiti fino ad

oggi riservati all’Autorità giudiziaria.

Proseguendo nell’analisi della proposta di legge,

e passando all’argomento stampa e

diffamazione, con l’art. 3 del DDL si vorrebbero

apportare ampie e consistenti novità alla L.

47/1948. Si introduce, innanzitutto, un secondo

comma all’art. 1 della legge-stampa,

prevedendo l’applicabilità delle norme

precedentemente previste anche alle “testate

giornalistiche on line registrate”. Tale norma

parrebbe voler “riequilibrare” quella situazione

che – a seguito di numerose sentenze di

legittimità (tra tutte Cass. Pen. 35511/2010) e di

merito – aveva escluso per le testate online

l’applicabilità, in ambito penale, di una serie di

norme (tra cui, ad esempio, l’aggravante di cui

all’art. 13 L.S. o il reato di cui all’art. 57 c.p.) in

quanto confliggenti con il divieto di

interpretazione analogica in malam partem

della norma penale e, più in generale,

confliggente con l’art. 25 Cost.

Una modifica più sostanziosa viene riservata,

sempre dall’art. 3 del DDL, all’art. 8 della Legge

Stampa in tema di “risposte e rettifiche”. Si

prevede l’estensione anche alla testata

giornalistica online registrata l’obbligo per il

direttore – o responsabile – di pubblicare

gratuitamente e senza commento, la rettifica,

oltretutto “non oltre due giorni” dalla ricezione

della richiesta. Ebbene, così facendo, si

eliminerebbe dunque l’attuale situazione di

“disparità” tra stampa tradizionale e stampa

online rendendo, di fatto, applicabili le sanzioni

penali a situazioni prima non disciplinate.

16

E’ previsto poi che, qualora la rettifica venga

pubblicata in ritardo o non venga pubblicata

affatto entro i suddetti termini, il richiedente

potrà rivolgersi anche in questo caso al Garante

della Privacy. Ciò a differenza di quanto avviene

oggi tramite richiesta avanzata al Giudice in

composizione monocratica nelle forme del

procedimento cautelare civile di cui all’art. 700

c.p.c. Non è chiaro tuttavia se, anche innanzi

all’Autorità amministrativa il “richiedente” (o

meglio il ricorrente) debba esporre anche il

fumus, ossia le ragioni di fondo che giustificano

la richiesta di rettifica (e, quindi, anche il fumus

in merito alla sussistenza dell’eventuale lesione

della dignità personale).

Sempre in tema di diffamazione a mezzo

stampa, dopo aver previsto l’abrogazione

dell’art. 12 L.S., il DDL Sanna-Moretti si prefigge il

compito di riformulare ex novo l’art. 13 della

Legge Stampa. Ed è qui si trova la più

importante novità della proposta di legge.

L’attuale articolo 13, infatti, prevede che “nel

caso di diffamazione commessa col mezzo della

stampa, consistente nell’attribuzione di un fatto

determinato, si applica la pena della reclusione

da uno a sei anni e della multa non inferiore a

lire 500.000”. Questo articolo rappresenta,

attualmente, un’aggravante per il solo reato di

diffamazione (non anche per il reato di omesso

controllo di cui all’art. 57 c.p.) che eleva la pena

detentiva sino al massimo edittale di 6 anni, e

comporta, in base all’art. 550 c.p.p., che per il

reato di diffamazione a mezzo stampa (secondo

l’accezione delimitata dalla Cassazione)

consistente nell’attribuzione di un fatto

determinato, sia prevista la celebrazione

dell’udienza preliminare.

Il nuovo primo comma dell’art. 13, invece, così

come disegnato dal DDL, stravolge

completamente questa impostazione,

introducendo una fattispecie autonoma e

speciale rispetto a quella prevista dall’art. 595

c.p. e creando, quindi, una sorta di disparità di

trattamento tra i casi di diffamazione “a mezzo

stampa” (secondo la nuova definizione dell’art.

1 della L.S. introdotta dal DDL) e gli altri casi di

diffamazione. Bisogna, però, evidenziare che

l’aggravante ad effetto speciale che si

vorrebbe introdurre in base all’ultimo periodo del

primo comma del novellato art. 13 prevede

l’aggravante del solo “fatto determinato falso la

cui diffusione sia avvenuta con la

consapevolezza della sua falsità”. A parte i

profili problematici legati alla prova della

sussistenza di tale elemento del fatto tipico

descritto si crea un discrimine tra la diffamazione

dell’art. 13 L.S. e la diffamazione dell’art. 595 c.p.

dove, in quest’ultimo caso, non si prevede che il

fatto determinato debba anche essere “falso”.

Alla condanna per la diffamazione dell’art. 13

L.S. consegue la pena accessoria della

pubblicazione della sentenza e, in caso di

recidiva per reato della stessa indole, la pena

accessoria dell’interdizione dalla professione di

giornalista per un periodo da uno a sei mesi.

Il progetto di legge vorrebbe introdurre poi un

nuovo reato che richiama le pene previste dal

primo comma dell’art. 13 per il direttore o

vicedirettore responsabile del “quotidiano, del

periodico o della testata giornalistica,

radiofonica o televisiva o della testata

giornalistica online registrata” che abbia rifiutato

di pubblicare le dichiarazioni o le rettifiche

previste ex art. 8, prevedendo una sanzione

amministrativa pecuniaria da € 8.000 ad €

16.000, nonchè una sanzione penale per il caso

di rifiuto.

Sempre in tema di diffamazione, si introdurrebbe

una deroga alle norme sulla competenza,

probabilmente tenendo a mente, ma

disponendo a contrario, le recenti pronunce

della Cassazione in tema di competenza

territoriale per i casi di diffamazione online

(ultimo “nuovo” comma dell’art. 21 L.S.).

Poche le modifiche al reato di ingiuria ex art 594

c.p.: giusto quelle suggerite dalla CEDU nel caso

Belpietro contro Italia (ricorso n. 42612/10), ossia

la eliminazione della sanzione detentiva, seppur

con un sostanzioso incremento della sanzione

pecuniaria.

Anche all’art. 595 c.p. (diffamazione) vengono

apportate modifiche esigue, e nello stesso senso

di quelle previste dall’art. 594, seppur con una –

forse ridondante – precisazione e distinzione:

l’inserimento, nel terzo comma, dell’inciso “in via

telematica”. Checché se ne possa pensare,

infatti, l’attuale formulazione del terzo comma

dell’art. 595 c.p. (“qualsiasi altro mezzo di

pubblicità”) ricomprende già i casi di

diffamazione a mezzo internet o, se si preferisce,

“in via telematica”.

17

Destinando eventuali commenti approfonditi

all’esito dell’esame del testo eventualmente

approvato in Parlamento, non ci rimane che

attendere che l’assemblea si confronti sulle

tante innovazioni proposte. Data la velocità con

cui muta la materia di riferimento, speriamo

prima che sia troppo tardi.

(M.T.G.)

Normativa Nazionale

VENDITE A DISTANZA: RAFFORZATE LE

TUTELE PER IL CONSUMATORE. L’11 marzo 2014 è stato pubblicato sulla

Gazzetta Ufficiale il D.Lgs. n. 21/2014, che ha

recepito la Direttiva n. 2011/83/UE, volta a

favorire l’armonizzazione a livello comunitario di

taluni aspetti dei contratti a distanza e di quelli

negoziati fuori dai locali commerciali. La

disposizione di legge in esame è andata a

modificare alcune norme del Codice del

Consumo, apportando rilevanti novità nei

rapporti con i consumatori. Il D.Lgs. 21/2014

entrerà in vigore a far tempo dal 13 giugno 2014

e si applicherà ai contratti conclusi dopo tale

data: i titolari dei siti e-commerce, pertanto,

dovranno adeguare le proprie condizioni

generali di vendita alla nuova disciplina entro

tale data.

Tra le novità più rilevanti poste a tutela del

consumatore segnaliamo:

1. diritto di recesso: la novità di maggiore

interesse è senz’altro l’allungamento dei tempi

previsti per l’esercizio del diritto di recesso da

parte del consumatore.

Il D.Lgs. 21/2014 ha esteso da 10 a 14 giorni il

termine per l’esercizio di tale diritto.

Qualora il professionista non fornisca al

consumatore le informazioni sull’esistenza di tale

diritto, inoltre, il legislatore ha stabilito che il

consumatore possa esercitare il recesso entro il

periodo di 1 anno e 14 giorni dalla conclusione

del contratto, per il caso dei contratti di servizi, o

dall’effettiva ricezione della merce, se si tratta di

contratti di vendita. Con tale ultima previsione,

quindi, il legislatore ha, da un lato, allungato il

periodo di esercizio del diritto in questione,

dall’altro, uniformato il termine per i contratti a

distanza e per quelli negoziati fuori dai locali

commerciali, che nella vigente disciplina è

rispettivamente di 90 e 60 giorni.

Da ultimo, nell’ipotesi in cui il professionista

fornisca le informazioni sul recesso entro 12 mesi

dalla conclusione del contratto e/o dalle

ricezione della merce, il periodo di recesso

termina 14 giorni dopo il giorno in cui il

consumatore riceve le informazioni;

2. diritto di rimborso: ulteriore novità riguarda la

riduzione dei termini per la restituzione

dell’importo ricevuto dai consumatori in caso di

esercizio del diritto di recesso, che passa dagli

attuali 30 giorni a 14 giorni dal momento in cui il

professionista è informato della decisione del

consumatore di recedere dal contratto;

3. contratti online: per i contratti conclusi

attraverso mezzi elettronici che impongono al

consumatore l’obbligo di pagare, il venditore

dovrà indicare in modo chiaro ed evidente,

prima dell’inoltro dell’ordine da parte del

consumatore, che l’ordine implica l’obbligo di

pagare, il calcolo totale del prezzo, le

caratteristiche principali dei beni e servizi, la

durata del contratto o, se a tempo

indeterminato o con rinnovo automatico, le

condizioni per recedere ed, eventualmente, la

durata minima degli obblighi del consumatore

scaturenti dal contratto. Nel caso in cui l’inoltro

dell’ordine richieda di azionare un pulsante o

strumenti analoghi, questi dovranno riportare

chiaramente la dicitura “ordine con obbligo di

pagare” o una formulazione di analogo tenore.

In caso di mancato rispetto di tali obblighi

informativi, il legislatore ha previsto che il

consumatore non sia vincolato dal contratto o

dall’ordine.

Tale specifica previsione appare in linea con

l’orientamento espresso dall’Autorità Garante

della Concorrenza e del Mercato, che

soprattutto in materia di prenotazione online di

pacchetti turistici, ha rilevato la scorrettezza

delle pratiche esercitate sui siti di alcuni

professionisti che presentavano i servizi turistici

con modalità poco chiare, soprattutto in

relazione all’indicazione del prezzo totale

indicato solo dopo svariate schermate e con la

specifica che alcuni prezzi indicati avrebbero

potuto subire delle variazioni non commisurate

ad alcun parametro conoscibile da parte del

consumatore.

4. informativa precontrattuale: il legislatore ha

poi ampliato le informazioni che il professionista

deve fornire al consumatore prima della

conclusione del contratto a distanza o fuori dai

locali commerciali, anticipando alla fase

conferma scritta. È interessante osservare a tal

riguardo che la nuova disciplina ha esteso taluni

18

obblighi di informativa anche riguardo i contratti

diversi da quelli a distanza e da quelli stipulati

fuori dai locali commerciali e che la tutela è

stata estesa anche ai contratti per la fornitura di

acqua, gas e elettricità, fatta eccezione per

l’ipotesi in cui siano messi in vendita in volume

limitato o quantità determinata,

teleriscaldamento e di contenuto digitale non

fornito su supporto materiale;

5. strumenti di pagamento e comunicazione

telefonica: è espressamente stabilito il divieto di

imporre sovrattasse in relazione all’uso di

determinati strumenti di pagamento (es. carte di

credito) e per i servizi di assistenza telefonica.

Il D.Lgs. 21/2014 non ha previsto solo maggiori

tutele per il consumatore ma anche più certezze

per il professionista:

1. termini di consegna: la nuova disciplina,

confermando l’obbligo per il professionista di

effettuare la consegna della merce entro 30

giorni dalla conclusione del contratto, aggiunge

che in caso di mancata consegna entro il

predetto termine gravi sul consumatore l’onere

di concedere al professionista un termine

supplementare per la consegna, eccezion fatta

per le ipotesi in cui il professionista si sia

espressamente rifiutato di effettuare la

prestazione o il termine sia indicato quale

essenziale e/o risulti tale in base alle circostanze.

In ogni caso, scaduto il termine di consegna

essenziale o supplementare senza che la merce

sia stata recapitata, il consumatore è legittimato

a risolvere il contratto e richiedere il risarcimento

dei danni mentre il professionista dovrà, senza

ritardo, provvedere alla restituzione delle somme

eventualmente ricevute. Con riferimento a tale

aspetto, dunque, il legislatore ha anche

ampliato i tempi concessi al professionista per la

restituzione di eventuali acconti ricevuti che non

sarà più di 30 giorni dalla conclusione del

contratto ma dovrà avvenire, nel più breve

tempo possibile, solo a seguito della risoluzione

del medesimo da parte del consumatore.

2. obblighi di restituzione del consumatore: altra

importante novità riguarda l’apposizione di un

termine massimo per la restituzione della merce

anche a carico del consumatore. La disciplina

attuale, prevede unicamente l’ipotesi in cui sia

pattiziamente determinato il termine di

restituzione, con il limite di non porre un termine

inferiore a dieci giorni dall’esercizio del diritto di

recesso. La nuova disciplina, viceversa, dispone

che il consumatore è tenuto alla restituzione dei

beni entro 14 giorni dalla data in cui ha

comunicato il recesso.

Infine, rispetto alla vigente normativa, cambia la

soglia minima al disotto della quale non si

applica la disciplina in questione in relazione ai

contatti negoziati fuori dai locali commerciali

che passa dai 26 Euro ai 50 Euro, fatta salva

l’ipotesi del frazionamento di un contratto in una

serie di transazioni con il medesimo consumatore

che superi, complessivamente, l’importo di 50

Euro.

(C.A.)

Giurisprudenza Comunitaria

DIRITTO D'AUTORE E DIRITTI CONNESSI –

SOCIETA’ DELL’INFORMAZIONE

SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA

DELL’UNIONE EUROPEA (Quarta Sezione) nella

causa C‑466/12, 13 febbraio 2014 - Rinvio

pregiudiziale – Ravvicinamento delle legislazioni

– Diritto d’autore e diritti connessi – Direttiva

2001/29/CE – Società dell’informazione –

Armonizzazione di taluni aspetti del diritto

d’autore e dei diritti connessi – Articolo 3,

paragrafo 1 – Comunicazione al pubblico –

Nozione – Collegamenti Internet (hyperlink

“collegamenti cliccabili”) tramite i quali si

accede ad opere protette.

La Corte di Giustizia si pronuncia sugli hyperlinks

e sulla loro rilevanza ai fini della tutela del diritto

d’autore online, un tema di grande interesse ed

attualità vista la crescente propensione di siti e

utenti dei social network specializzati ad usare i

propri profili come indicizzatori di notizie.

La questione deriva proprio dall’attività di

indicizzazione di links diretti a testate

giornalistiche online esercitata dalla società

svedese Retriever Sverige, citata in giudizio dai

redattori del giornale Göteborgs-Posten,

pubblicato anche in versione online. Questi

ultimi hanno lamentato infatti che l’utente del

sito di Retriever Sverige che clicca su uno dei link

offerti da quest’ultima non si accorge di essere

ri-direzionato su un altro sito per accedere

all’opera di proprio interesse e che pertanto

l’indicizzazione dei link ai loro articoli

costituirebbe illecito sfruttamento economico

dei medesimi. La convenuta, dal canto suo, ha

replicato sostenendo che tutti gli utenti hanno

sempre saputo di essere trasferiti su altro sito dal

19

momento in cui cliccavano sul link e che in ogni

caso la mera indicazione del link non integra

sfruttamento economico dell’articolo

giornalistico.

La Corte d’Appello svedese, preliminarmente

alla disamina dell’impugnazione da parte dei

giornalisti delle sentenza di primo grado (che

aveva respinto la loro domanda di

accertamento della violazione del diritto

d’autore e di risarcimento del danno), ha

sottoposto alla CGE le seguenti questioni

pregiudiziali:

«1) Se il fatto che un soggetto diverso dal

titolare del diritto d’autore su una

determinata opera fornisca un

collegamento cliccabile alla stessa sul

proprio sito Internet si configuri come

comunicazione al pubblico dell’opera ai

sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della

[direttiva 2001/29].

2) Se sia rilevante, ai fini della soluzione

della prima questione, il fatto che l’opera

alla quale rimanda il collegamento si

trovi su un sito Internet accessibile a

chiunque senza limitazioni oppure che

l’accesso sia in qualche modo limitato.

3) Se, ai fini della soluzione della prima

questione, si debba distinguere il caso in

cui l’opera, dopo che l’utente abbia

cliccato il collegamento, sia presentata

su un altro sito Internet da quello in cui

l’opera sia presentata con modalità tali

da offrire al cliente l’impressione di

restare nello stesso sito Internet.

4) Se uno Stato membro possa stabilire una

maggiore tutela del diritto esclusivo

dell’autore includendo nella nozione di

comunicazione al pubblico più forme di

messa a disposizione di quante stabilite

all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva

2001/29».

La CGE ha esaminato congiuntamente i primi

tre quesiti, stante la loro evidente

interconnessione, procedendo a qualificare

l’atto di “comunicazione dell’opera” e di

“pubblico” ai sensi dell’art. 3, par. 1 della Dir.

2001/29 al fine di determinare se la

pubblicazione di links diretti a testate online

potesse essere qualificata come comunicazione

al pubblico delle opere residenti sui siti a cui

puntano tali links.

Per la Corte, affinché vi sia “atto di

comunicazione”, è sufficiente che l’opera sia

messa a disposizione del pubblico in modo che

coloro che compongono tale pubblico possano

avervi accesso, senza che sia determinante che

utilizzino o meno tale possibilità, concludendo

che, in circostanze come quelle di cui al

procedimento principale, il fatto di fornire

collegamenti cliccabili verso opere tutelate

deve essere qualificato come “messa a

disposizione” e, di conseguenza, come “atto di

comunicazione” ai sensi della Dir. 2001/29.

Tuttavia, la stessa CGE ha escluso che possa

trattarsi di comunicazione “al pubblico” ai sensi

della citata direttiva poiché ai sensi dell’articolo

3, paragrafo 1, della stessa occorre che una

comunicazione, come quella di cui trattasi nel

procedimento principale in Svezia, riguardante

le stesse opere della comunicazione iniziale ed

effettuata in Internet come la comunicazione

iniziale (ossia quella del Göteborgs-Posten), “sia

rivolta ad un pubblico nuovo, cioè ad un

pubblico che i titolari del diritto d’autore non

abbiano considerato, al momento in cui

abbiano autorizzato la comunicazione iniziale al

pubblico”.

Così ragionando la CGE ha escluso quindi che la

messa a disposizione di opere tramite link (del

tipo esaminato nel processo svedese) possa

integrare “comunicazione al pubblico” ai sensi

della Dir. 2001/29 poiché “qualora il complesso

degli utilizzatori di un altro sito, ai quali siano

state comunicate le opere di cui trattasi tramite

un collegamento cliccabile, potesse

direttamente accedere a tali opere sul sito sul

quale siano state inizialmente comunicate,

senza intervento del gestore dell’altro sito, gli

utilizzatori del sito gestito da quest’ultimo devono

essere considerati come potenziali destinatari

della comunicazione iniziale e, quindi, ricompresi

nel pubblico previsto dai titolari del diritto

d’autore al momento in cui hanno autorizzato la

comunicazione iniziale.”

Non sussistendo quindi “comunicazione al

pubblico” ai sensi della Dir. 2001/29,

l’autorizzazione degli autori del Göteborgs-

Posten alla pubblicazione di links ai loro articoli

20

non doveva essere richiesta da Retriever

Sverige.

“Pertanto, occorre rispondere alle prime tre

questioni proposte che l’articolo 3, paragrafo 1,

della direttiva 2001/29 deve essere interpretato

nel senso che non costituisce un atto di

comunicazione al pubblico, ai sensi di tale

disposizione, la messa a disposizione su un sito

Internet di collegamenti cliccabili verso opere

liberamente disponibili su un altro sito Internet.”

Quanto al quarto quesito, la CGE ha chiarito

che, poiché “l’obiettivo della direttiva 2001/29

risulterebbe inevitabilmente compromesso se la

nozione di comunicazione al pubblico fosse

intesa come comprendente più forme di messa

di disposizione di quante stabilite all’articolo 3,

paragrafo 1, di tale direttiva” gli Stati membri

dovrebbero evitare di utilizzare la facoltà

attribuitagli dall’articolo 20 della Convenzione di

Berna di riconoscere ai titolari di diritti d’autore

diritti più ampi di quelli stabiliti dalla Convenzione

stessa.

La Corte ha pertanto così concluso:

“Di conseguenza, occorre rispondere alla quarta

questione dichiarando che l’articolo 3,

paragrafo 1, della direttiva 2001/29 deve essere

interpretato nel senso che osta a che uno Stato

membro possa stabilire una maggiore tutela dei

titolari del diritto d’autore, includendo nella

nozione di comunicazione al pubblico più forme

di messa a disposizione di quelle disposte da tale

articolo.”

Qui il link alla sentenza della CGE:

http://curia.europa.eu/juris/document/docume

nt_print.jsf?doclang=IT&text=&pageIndex=0&par

t=1&mode=DOC&docid=147847&occ=first&dir=

&cid=15890

(L.E.)

Coordinatori:

Avv. Pierluigi De Palma

Avv. Luca Egitto

6.DIRITTO

E TECNOLOGIA

COME SALVARCI DALLA TECNOLOGIA:

GUIDA PRATICA PER NON FARCI

ABBRUTIRE DALLE MACCHINE. – Di

Riccardo Rossotto

Stiamo per farci del male? Abbiamo almeno la

percezione di aver assunto e consolidato

comportamenti nevrotici verso e con la Rete?

Non credo proprio: e questa sottovalutazione mi

preoccupa non poco. Le email, i social network,

i tablet, gli smartphone e che più ne ha ne

metta, stanno diventando i nostri compagni di

vita. Ci sottraggono tempo, curiosità, affetti e

non ce ne rendiamo neanche conto. Sto

esagerando forse? Provate a seguirmi in questo

ragionamento e poi, alla fine, ciascuno di voi

tragga le sue conclusioni davanti al suo

specchio.

Provate a rispondere sinceramente ai seguenti

quesiti: quanto pensate di essere diventati web

dipendenti? Usate la tecnologia soltanto per

lavoro o anche per svago? Quante volte vi

ponete questa domanda durante il corso della

giornata: devo tornare connesso? Cosa è

successo durante la mia assenza da internet?

Quando finalmente il cellulare non suona, siete

in uno stato di continua allerta come se foste in

stand-by?

Devo ammettere che quando, nei giorni scorsi,

un amico americano, psicanalista, dopo avermi

frequentato per una giornata intera, mi ha

detto...sorridendo ma mica troppo...:"You are

web addicted!" Non con la forma interrogativa

ma esclamativa, mi è venuta voglia di mandarlo

a quel paese. Poi, riflettendoci sopra, mi sono

preoccupato. Dietro a quelle domande si

nascondono risposte inquietanti. Certo, sono a

rischio di assuefazione con tutte le conseguenze

del caso. Il vero paradosso della situazione è

che, a 60 anni compiuti, sono uno degli ultimi

arrivati nel rutilante mondo digitale, neanche

troppo innamorato. In casa denominato

addirittura Tecno-leso!

Eppure....eppure passo le mie giornate, da

schiavo-contento, del mio vecchio cellulare

preistorico (mi da sicurezza prima del definitivo e

21

rischioso passaggio all'Iphone), del mio nuovo

Iphone appunto, solo parzialmente sfruttato, del

mio Ipad, e, ogni tanto, quando devo scrivere

documenti lunghi o complessi, del mio tanto

amato lap top. Sembro un marziano, un po'

goffo e un po' nevrotico, soprattutto sorpreso

della tecnologia caduta per caso nelle mie

mani.

Quello che in fondo mi offende di più è che mi

ritrovo a vivere la stessa situazione

comportamentale di ansie, nevrosi e

psicodipendenze che ho criticato e

sbeffeggiato per anni ad amici e colleghi.

Eppure, e qui ricomincio ad usare il plurale, se

non facciamo tutti più attenzione, rischiamo

davvero di farci del male alla salute. Dal 2013 la

dipendenza dal mondo digitale è stata inclusa

nel manuale diagnostico dei disturbi mentali con

una curiosa dicitura" da approfondire" che

lascia aperti dubbi e speranze. La più recente

letteratura scientifica pone la tematica sul

tavolo, aprendo confronti tesi e accorati, molto

contrastati, logicamente da tutti i rappresentanti

dell'industria di internet e dintorni.

Francesco Booth ha recentemente pubblicato

con De Agostini un manuale

"felicementeconnessi" che fa riflettere sulla

spinosità dell'argomento.

Il National Bureau of Economic Research, un

autorevole centro di ricerca americano, ha

approfondito un aspetto peculiare di questa

tematica: quanto tempo mediamente stiamo in

rete ogni giorno per lavoro o per svago,

stimando anche a quale attività abbandonata

tale tempo è stato rubato. Il verdetto è

sorprendente: internet ci ruba circa due ore al

giorno pro-capite, sottratte in gran parte al

tempo libero, poi al lavoro, poi al sonno, poi

ancora alla relazione con gli altri. 120 minuti

dunque in cui ci isoliamo, rinunciamo ai nostri

hobby, rischiamo di diventare soggetti

passivi...non attivi! delle presunte macchine

della felicità.

Nessuno, credo, seriamente, può contestare

quanto si importante nella nostra vita,

soprattutto lavorativa, poter usufruire di internet

e delle sue straordinarie opportunità. Il punto è

un altro!

Gestire tale opportunità con raziocinio, con

lucidità, senza morbose forme di assuefazione.

Ecco allora una breve lista di suggerimenti per

protegger i e per rendere la vita dei nostri affetti

di maggior qualità e socialità.

1) TELEFONINO: per uscire dall'incubo

ossessionante di un perenne stato di stand-by,

abituiamoci a chiuderlo come se fossimo in

aereo...obbligati dalle hostess. 30 minuti, poi

un’ora poi ...chissà. Scopriremo che il mondo

non è crollato e che il nostro orecchio sta

decisamente meglio.

2) EMAIL: per evitare di essere spinti a controllare

la posta.....permanentemente, proviamo a

staccare, a darci un metodo di lavoro. Ogni x

ore apriamo outlook e controlliamo...ma non di

più! Con il tempo guadagnato, pensiamo,

leggiamo, scriviamo, lavoriamo, giochiamo ma

senza assilli, senza stress. Evitiamo quel mondo

nevrotico caratterizzato dal "dover-rispondere-

subito" che ci impedisce relax, maggior

concentrazione, risposte più meditate e virtuose.

3) IL MULTITASKING: il nostro cervello, in

sequenza, codifica le info raccolte e assimilate,

le archivia e poi, se e quando lo ritiene utile, le

recupera. Se siamo continuamente distratti da

qualcosa, perdiamo focus e l'esperienza

fondamentale dell'ascolto e/o della vista si

riduce fino ad annullarsi. L'obbiettivo di una

frenetica corsa ad elaborare più dati nello stesso

momento è una emerita stupidaggine che

mette a rischio la qualità della nostra capacità

di archiviazione celebrale delle notizie

assimilate. Essere multitasking, di per sè, quindi

non è un valore. Dipende....

In definitiva il buon senso dei nostri nonni torna a

galla. Sfruttiamo la tecnologia, é sicuramente

una opportunità di crescita virtuosa ma...con

giudizio! Concentriamoci su una cosa per volta,

senza distrazioni, senza connessioni varie, senza

incubi da abbandono. Scopriremo di aver fatto

un lavoro (o anche una semplice attività di

svago) meglio, con maggior qualità. Senza con

questo perdere amici, clienti o scoop

giornalistici. Il mondo è andato avanti ma

possiamo raggiungerlo.

(R.R.)

A lunch with… E' conosciuta come l'avvocato divorzista per

antonomasia. Nella sua carriera ha assistito molti

dei vip dello spettacolo in vicende legate al

diritto di famiglia. Chi l'ha avuta dalla sua parte

la mitizza; chi l'ha avuto contro non la dimentica

più. Detto ciò, pochi sanno che Annamaria

Bernardini de Pace è un illustre membro del

22

Giuri' dell'Autodisciplina Pubblicitaria e che la

sua passione è proprio il diritto della

comunicazione e della pubblicità.

"Era il 1987, mi occupavo di questioni legali

collegate al mondo dello spettacolo. Avevo

discusso alcuni casi importanti davanti al Giurì,

presieduto da Borrelli tra i quali lo spot di Mike

Bongiorno per la grappa Bocchino con la frase

che feci assolvere "sempre più in alto". Bene,

proprio in occasione della mia prima e dolorosa

sconfitta, un caso su un panettone, nei giorni

successivi alla decisione, ricevetti una telefonata

proprio da Borrelli che mi propose di far parte

dell'organo giudicante del sistema

autodisciplinare. Come dire di no ad un invito

proveniente da un magistrato di tale levatura e

professionalità. Accettai subito con passione e

entusiasmo, come è la mia natura. Da allora non

ho più smesso e ancora oggi sono membro del

Giurì di via Larga."

Incontriamo Annamaria al Nobu di via Manzoni.

E' una fredda e piovosa serata di questo

Febbraio bizzarro. L'avvocato Bernardini de

Pace è di casa: viene accolta e coccolata

come una amica, un punto di riferimento per

tutti, clienti e personale. Smista saluti, baci e

sorrisi spesso accompagnati da una battuta

implacabile, diretta, tale da mettere

l'interlocutore in un momentaneo imbarazzo che

lei poi recupera abilmente con una gentilezza o

uno sguardo sornione. Poi finalmente si siede: le

sono immediatamente intorno i suoi "fidi"

consiglieri e l'ordine al cameriere si riduce in un "il

solito.....ma con le novità che avete

sperimentato la scorsa settimana.....so tutto, vi

seguo e non voglio perdere nessuna chicca del

vostro menu'."

Chiacchierare con Annamaria è sempre una

sorpresa: ti aspetti di trovarti di fronte l'aggressiva

professionista di tante battaglie rosa,

combattute in tutti i tribunali d'Italia con resse di

paparazzi e di bodyguard a stringere d'assedio i

suoi clienti e invece ti ritrovi una affettuosa e

materna nonna che ti parla dei suoi unici nipoti,

trasferendoti la bellezza di una stagione della

vita diversa dalla gioventu' ma che, se sai gestire

con l'equilibrio giusto, riserva gioie e soddisfazioni

uniche.

"Contrariamente alla mia immagine mediatica,

sono molto materna. Facendo questo lavoro

penso soprattutto ai nostri bambini che rischiano

di vivere in uno zoo senza educazione e senza

autodisciplina. Se non facciamo attenzione,

avranno un futuro terribile in una società

caratterizzata dalla violenza fisica e psicologica

e dalla volgarità'. Dobbiamo insegnare ai

genitori, spesso distratti, l’importanza di dare ai

propri ragazzi una educazione adeguata ad un

mondo sempre più complesso e rischioso."

Ma entriamo negli argomenti più attinenti al

mondo della comunicazione. Qual è il bilancio

di tutti questi anni trascorsi come giudice della

pubblicità?

Annamaria sorride soddisfatta: "Un'esperienza

bellissima, una grande palestra giuridica e di

vita. Ho potuto conoscere persone straordinarie

che mi hanno fatto imparare un sacco di cose.

Inoltre la pubblicità non è una fesseria, come

alcuni pensano, ma è una fotografia, a volte

anticipatoria, delle mode e della cultura dei

popoli. Sono convinta che i pubblicitari, quelli

bravi naturalmente, siano dei geni. In 30

secondi, con uno spot, riescono a sintetizzare dei

sentimenti, delle sensazioni straordinarie. La

capacità di sintesi di questo mondo è incredibile

e, credo, si possa raggiungere dopo anni e anni

di studi e di sperimentazioni. Il talento ci vuole

ma non basta. E' necessaria passione, dedizione

e ... perché' no? coraggio per fare bene il lavoro

del creativo pubblicitario."

Come sei riuscita a coniugare due mestieri

all'apparenza così diversi come l'avvocato dei

divorzi e il giudice della pubblicità?

"Ho iniziato la mia carriera di avvocato

occupandomi dei problemi legali del mondo

dello spettacolo, soltanto più tardi ho iniziato a

seguire alcune separazioni di protagonisti delle

nostre cronache. Così via via, alcuni clienti e il

successo dei loro casi mi hanno appiccicato

addosso l'etichetta dell'avvocato divorzista dei

vip."

Nel 1991 Annamaria assiste la moglie del

geometra Mario Chiesa durante la loro

separazione legale. Chiesa si dichiara

impossibilitato a riconoscere un assegno di

mantenimento nella misura richiesta dalla

moglie. Inizia una causa durante la quale

l'avvocato Bernardini richiede al giudice della

nona sezione civile di svolgere una indagine sulle

proprietà di Chiesa, ritenute molto superiori

23

rispetto a quelle dichiarate in causa. Gli esiti dei

controlli danno ragione ai dubbi dell'avvocato e

gli atti del processo sono trasferiti alla Procura

della Repubblica dove un certo PM, di nome

Antonio Di Pietro, apre un fascicolo a nome

Mario Chiesa. Inizia tangentopoli, una rivoluzione

per il sistema politico italiano che, ancora oggi,

non riusciamo a metabolizzare.

"Fate un po' voi" dice Annamaria, quasi sotto

voce.

Ti sei battuta sempre per la difesa della donna in

una società maschilista.....

"Si è vero e devo anche ammettere che mi sono

tolta diverse soddisfazioni. Ho firmato molte

decisioni del Giurì in materia collaborando ad

una modernizzazione della cultura maschilista

sull'uso della donna in comunicazione. Non

abbiamo ancora terminato però le nostre

battaglie....i maschietti sono sempre pronti a

risvegliare - Annamaria sorride e scandisce le

parole - i loro atavici istinti sessisti.....! Sono

convinta che l'Autodisciplina abbia avuto un

ruolo fondamentale nel miglioramento della

pubblicità sia dal punto di vista legale sia

contenutistico. L'esperienza dello IAP è stata

essenziale nella mia vita e nell'evolversi dei

costumi del nostro paese."

Pensi che lo IAP sarà in grado di mantenere

questo suo ruolo anche con il diffondersi del

Web?

"Una bella sfida che bisogna assolutamente

tentare. Bisogna cercare di replicare il format

coinvolgendo tutti i protagonisti del Web con la

sottoscrizione della clausola di accettazione del

sistema che è stata la chiave del successo

dell'Autodisciplina italiana."

Come vivi, dal tuo angolo di visuale, la

rivoluzione di Internet e della Rete?

"Con paura e angoscia. Constato una

esplosione di violenza e di volgarità

impressionante. Mi sono iscritta a Twitter per

ragioni professionali, volevo scoprire dei

tradimenti di alcuni mariti di mie clienti....e ce

l'ho fatta perché sono cretini e pigri e

sottovalutano la tecnologia"- ride di cuore

Annamaria quando ricorda quegli episodi...ma

poi torna seria e preoccupata - "mentre sei su

Twitter commenti dei fatti, partecipi alla

discussione in corso. Bene sono stata subissata

da insulti di ogni genere con una campagna di

una violenza verbale inaudita, orchestrata, l'ho

scoperto più tardi, dai grillini. Dal 1987, dai tempi

dell'indimenticabile Indro Montanelli, una

persona che non dimenticherò mai, collaboro al

Giornale e per i fans di Grillo questo è

inaccettabile. Il Giornale è l'unico che non mi

abbia mai censurato una riga dei miei articoli

ma questo è un argomento evidentemente

spinoso per i grillini. Dobbiamo riflettere su come

arginare questa deriva che sulla Rete trova spazi

infiniti. Va arginata con strumenti giuridici

adeguati, perché no? Magari con forme di

autodisciplina specifiche."

Nel dibattito tra Privacy si e Privacy no dove ti

collochi?

"Sono profondamente infastidita da questa

discussione. La Privacy è diventata l'alibi di chi

ha qualcosa da nascondere. L'istituto è stato

snaturato ed è diventato il diritto a nascondere

chissà cosa. E' un diritto personale che ciascuno

di noi gestisce come vuole. Chi entra in Rete sa i

rischi che corre, nessuno lo obbliga a correrli.

L'unica vera tutela che bisogna inserire è quella

dei minori: non possono diventare oggetti delle

vane glorie dei genitori che postano le loro

fotografie esponendoli al rischio pedofili etc. E'

un tema delicatissimo che stiamo

sottovalutando. Con il compianto Corso Bovio,

uno dei più grandi colleghi che abbia mai

conosciuto, avevamo studiato un codice di

autodisciplina per il diritto di famiglia. Un codice

che proteggesse le parti deboli e soprattutto i

figli minori. Purtroppo Corso se ne

andato...troppo presto...lasciandoci tutti più soli

e senza il completamento di tale affascinante

progetto innovativo. Mi è sempre piaciuto

anticipare i problemi cercando prima soluzioni

adeguate. Il tema dell'educazione dei nostri figli,

della loro tutela mi sta molto a cuore. Vorrei

davvero collaborare a costruire un sistema

giuridico che li aiuti a crescere in una società

complessa e distratta come la nostra dove il

web costituisce una opportunità ma anche un

rischio pazzesco per la nostra convivenza civile."

I vari piatti della creativa cucina giapponese di

Nobu si alternano sulla tavola. Purtroppo non gli

puoi dare la giusta attenzione che si

meriterebbero. Ma il pregio di un confronto

dialettico interessante si porta dietro questo

24

prezzo...la poca attenzione per quello che ti sta

davanti e che stai mangiando.

Chiudiamo con la solita domanda: che consiglio

daresti ad un giovane che si approccia al

mercato del lavoro....sempre che di mercato si

possa parlare viste le tragiche statistiche sulla

disoccupazione giovanile.

"Di cercare una attività che appassioni sul serio.

Se no il lavoro diventa una galera. Se non esiste,

bisogna inventarsela."

Fare l'avvocato divorzista?

"Solo un matto può fare oggi questa scelta. Io

dovrei richiedere un risarcimento danni per tutti i

dolori che ho dovuto assorbire in questi anni.

Tornare a casa e portarsi dietro, tutte le sere, i

dolori degli altri è terribile. Faticosissimo. Ti segna

tutta la vita. No, non lo consiglierei proprio

anche perché oggi, tra l'altro, non ti pagano

più!"

Grazie Annamaria, non tanto per la cena ma

per quanto, ogni volta che uno ti incontra, riesci

trasferire con entusiasmo, passione e anti

conformismo…..pagato a caro prezzo sempre.

Riccardo Rossotto

25

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Redattori:

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