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Rotary Club di Palermo Sud Tavola Rotonda Migranti: problema o risorsa? Palermo 3 0ttobre 2017 ore 16,00 Aula Magna V. Li Donni - Viale delle Scienze, Palermo by Michele Trabona Cooperano all’Organizzazione i Rotary Club di: Palermo; Palermo Ovest; Palermo Monreale; Palermo Agorà; Corleone; Palermo Parco delle Madonie; Costa Gaia; Bagheria; Palermo Mediterranea; Palermo Baia dei Fenici; Palermo Montepellegrino. Rotaract Club di Palermo Sud

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Rotary Club di Palermo Sud

Tavola RotondaMigranti: problema o risorsa?

Palermo 3 0ttobre 2017 ore 16,00 Aula Magna V. Li Donni - Viale delle Scienze, Palermo

by M

ichele

Trabona

Cooperano all’Organizzazione i Rotary Club di: Palermo; Palermo Ovest; Palermo Monreale; Palermo Agorà; Corleone; Palermo Parco delle Madonie;Costa Gaia; Bagheria; Palermo Mediterranea; Palermo Baia dei Fenici; Palermo Montepellegrino.

Rotaract Club di Palermo Sud

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Interverranno:Roberto Lo Nigro, Presidente Rotary Club di Palermo Sudprof. Marcello Chiodi, Direttore dipartimento Scienze Economiche,

Aziendali e Statisticheprof. Vincenzo Provenzano, Coordinatore corsi di laurea in Sviluppo Econo-

mico e Cooperazione Internazionale e Migrazioni

Relatori:dott. Giovanni Putoto, Responsabile della Programmazione e Ricerca

Operativa Medici con l’Africa CUAMMdott.ssa Valeria Calandra, Presidente SOS MÉDITERRANÉEdott. Alfonso Cinquemani, Presidente CENTRO ASTALLI Palermoprof. Fabio Massimo Lo Verde, Professore di Sociologiadott. Lelio Cusimano, Editorialista Giornale di Siciliadott. Vincenzo Morgante, Direttore Testata Giornalistica Regionale RAI

Programma

Si ringraziano:

A N T I Q U A R I A T O

ARMONIE DELLA CASA

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Migranti: probleMa o risorsa?I processi di migrazione hanno sempre interessato la storia dell’uomo.L’impero Romano precipitò per le pressioni dei barbari, migranti ante litteram, che cercavanodi migliorare la propria situazione socio-economica. Esso cadde in quanto si rese conto tardi-vamente della enorme portata del fenomeno privilegiando in un primo momento la soluzionemilitare.

Nel 1500 la Riforma Luterana e la Contro-Riforma Cristiana Cattolica obbligarono moltitudini,da differenti nazioni europee, a spostarsi in cerca di rifugi sicuri anche e soprattutto verso il“Nuovo Mondo”.

Nel 1800 l’emigrazione in massa degli Irlandesi, per via della carestia, spinse milioni di per-sone verso gli USA ed il Canada.

Tra il 1860 ed il 1960 circa 23 milioni di italiani, nella fase iniziale dal nord, soprattutto dalFriuli-Venezia Giulia, dal Piemonte e dal Veneto e successivamente dalla Sicilia, dalla Puglia,dalla Calabria e dalla Campania sfuggirono alle tremende condizioni di vita in cui vivevanoverso il Nord Africa e non solo verso il Nord Europa e gli USA.

Non possiamo dimenticare, altresì, l’emigrazione interna degli anni ’60 e ’70 del XX secolo,che vide interi territori del Sud Italia spopolarsi a favore del “ricco” ed industrializzato Nord.

Ed, in ultima, la migrazioni di tanti giovani che in questi dieci anni di crisi economica sonostati costretti alla fuga dall’Italia per cercare lavoro.

Questi sono solo alcuni esempi a noi più vicini per formazione culturale, ma tanti altri se nepotrebbero fare in qualunque parte del mondo.

Da circa 10 anni, con un intensificarsi sempre più progressivo dal 2011 anno della caduta delgoverno libico di Gheddafi, assistiamo a quella che viene definita EMERGENZA MIGRANTI.

Secondo il vocabolario enciclopedico Treccani: emergènza s. f. [der. di emergere]. – 1. L’attodell’emergere; in senso concr., ciò che emerge. In partic.: a. In botanica, protuberanza dellasuperficie del fusto o delle foglie e organi omologhi (di forma e funzione diverse secondo laspecie), che può originarsi non solo dall’epidermide, ma anche dai tessuti sottostanti, come,per es., gli aculei delle rose e dei rovi, i peli ghiandolari di alcune piante carnivore, ecc. b.Con riferimento a beni storici e culturali, l’affioramento, il venire in luce di reperti archeologici,artistici, ambientali, ecc. prima nascosti o comunque ignorati: e. storiche, documentarie. 2.a. Circostanza imprevista, accidente: la congiuntura de’ tempi e delle e. (Salvini).b. Sull’esempio dell’ingl. emergency, particolare condizione di cose, momento cri-tico, che richiede un intervento immediato, soprattutto nella locuzione stato diemergenza (espressione peraltro priva di un preciso significato giuridico nell’ordi-namento italiano, che, in situazioni di tal genere, prevede invece lo stato di pericolopubblico)…

Quindi emergenza come “momento critico”. Ma considerare un processo migratorio, che copreal momento un arco temporale così vasto, ed assolutamente inarrestabile, è da considerarsi“emergenza”? O piuttosto stiamo assistendo ad un processo di modificazione etnica e socio-culturale che necessita di approcci differenti e strutturati? L’Emergenza consente di utilizzaremodelli e parametri non convenzionali e soprattutto non strutturati, che spesso superano leregole e le leggi ordinarie favorendo, in mancanza di controlli efficaci, il malaffare e la delin-quenza organizzata.

Dopo 10 anni di “emergenza” comincia a sorgere il dubbio che questa emergenza tale nonsia. Per sua stessa natura l’emergenza è temporanea, ma in questo caso siamo in presenzadi un fatto strutturale che obbliga la società contemporanea a riflettere ed a porsi nei confrontidi questa sfida in modo assolutamente strutturato ed organizzato.

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Occorre, a mio avviso, rivedere l’approccio soprattutto politico. L’Italia e la Grecia sono solole avanguardie dell’Unione Europea, che al momento parrebbe essere solo concentrata nelnegare/allontanare il problema senza risolverlo. E’ oscuro il fatto che si preferisca pagare na-zioni come la Turchia (sei miliardi di euro in 3 anni, per chiudere “la rotta balcanica”) o laLibia, Stati noti in ambito internazionale per una poco chiara politica di azione (si parla di verie propri campi di raccolta e prigioni, senza nessun rispetto della dignità dell’individuo).

I trafficanti di migranti sono solo l’estrinsecazione massima di come la politica dell’emergenzaabbia favorito il malaffare. Il fenomeno della c.d. “Mafia Capitale” ha avuto effetti devastantisul territorio, chiarendo come sia stato possibile lucrare immense (”rende più della droga”cit.) quantità di denaro per una mancanza di volontà politica, nazionale e comunitaria, idoneead offrire efficaci e reali soluzioni.

In questa giornata ricorre l’infausto anniversario della morte di 366 migranti che dalla Libiasono partiti per cercare salvezza verso l’Europa. Il Rotary Palermo Sud, che rappresento, in-sieme ad altri 12 club desidera offrire un punto di vista equo, solidale e non politicizzato diquesto fenomeno che ci costringerà come “Società Civile” a riflettere e a fornire soluzioni an-cora per parecchi anni.

Ecco perché abbiamo voluto interpellare alcuni dei protagonisti che operano quotidianamentea favore dei migranti. Ed abbiamo voluto inoltre analizzare in modo scientifico e finanziario,anche se non esaustivo, l’impatto economico che tale massa di uomini e donne hanno sullanostra società. Non abbiamo, per altro, dimenticato di analizzare l’approccio dato dai media,che tanto influenzano le opinioni di ognuno di noi.

Ai ragazzi che leggeranno queste parole e che assisteranno a questa tavola rotonda, augurodi acquisire capacità critiche che li portino a valutare, se pur con tante difficoltà, dovute anchealle distorsioni di certa politica e di certi media, il fenomeno con occhi nuovi. Da voi parte larivoluzione intellettuale di un nuovo mondo differente e interculturale. Voi siete il Nostro pre-sente in divenire. Noi siamo già il passato che agisce nel presente per supportarvi nei cam-biamenti che opererete nella società contemporanea.

Non i muri o le prigioni arresteranno i migranti, ma un sistema di supporto e di cooperazione.Ciò consentirà a milioni di uomini e donne di rimanere nelle proprie nazioni, in quanto avrannofinalmente ottenuto il rispetto dei diritti sanciti dalla “Dichiarazione Universale dei DirittiUmani” stipulata il 10 dicembre del 1948 che recita all’articolo 2: Ad ogni individuo spettanotutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna,per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altrogenere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione. Nessunadistinzione sarà inoltre stabilita sulla base dello statuto politico, giuridico o internazionale delpaese o del territorio cui una persona appartiene, sia indipendente, o sottoposto ad ammini-strazione fiduciaria o non autonomo, o soggetto a qualsiasi limitazione di sovranità.

ed all’articolo 25: Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la sa-lute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, alvestiario, all’abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari; ed ha diritto alla si-curezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia o in altro casodi perdita di mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà.

Roberto Lo Nigro

Presidente Rotary Club di Palermo Sud a.s. 2017/2018

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sVilUppo eConoMiCo, CooperaZioneinternaZionale e MigraZioni

Il Dipartimento di Scienze Economiche Aziendali e Statistiche (SEAS) dell’Università degliStudi di Palermo ha attivato per l’anno accademico 2017/2018 il Corso di Studi di “SviluppoEconomico, Cooperazione Internazionale e Migrazione” o SECIM per ampliare l’offerta forma-tiva dedicata agli studenti. La gestione di questo corso di studi è affidata alla Scuola delle Scienze Giuridiche ed Eco-nomico Sociali. Rispetto al Corso di Studi attivo negli anni accademici precedenti “Sviluppo Economico e Co-operazione Internazionale o SECI” quest’anno è stato introdotto anche il profilo “Migrazioni”al fini di offrire agli studenti maggiori conoscenze su un tema ampliamente dibattuto dai massmedia ma poco studiato scientificamente. Il piano di studi del corso prevede due curriculum:

- Sviluppo e Cooperazione- Migration Studies

obiettiVi speCiFiCiIl percorso formativo del corso di laurea è essenzialmente finalizzato a fornire conoscenze ecompetenze multidisciplinari nel campo delle scienze economiche, sociali, e demoetnoantro-pologiche che consentono di comprendere, affrontare e gestire con adeguatezza e professio-nalità i problemi derivanti dagli interventi di cooperazione e sviluppo economico nelle aree, avario titolo, definite depresse o a ritardo di sviluppo. La formazione mira anche a trasmetterequelle attitudini necessarie a operare all’interno di contesti organizzati come quelli della pub-blica amministrazione, sia a livello locale che nazionale, ma anche delle organizzazioni inter-nazionali, governative e non, e del terzo settore, oltre, ovviamente, a tutte quelle impreseprivate, nazionali ed internazionali, che abbiamo interesse specifico a intraprendere un pro-cesso di investimento nelle aree economiche meno sviluppate.Caratteristica peculiare del corso di laurea è, inoltre, quello di creare profili professionali capacidi gestire con attenzione e accuratezza tutte le fasi che contraddistinguono l’intervento dicooperazione per lo sviluppo. Lo studente verrà dunque accompagnato lungo un percorso for-mativo che lo condurrà a sviluppare una approfondita conoscenza:- delle dinamiche sottostanti ai principali processi di sviluppo e convergenza economica, a li-vello micro e macro attraverso le discipline di carattere economico;- dei processi di relazione sociale, con una visione particolareggiata degli aspetti demoetno-antropologici con riferimento alle tradizioni passate e moderne, attraverso le discipline an-tropologiche, sociologiche, storiche e demografiche;- delle principali nozioni legate alle discipline giuridiche, con particolare riferimento al dirittosovranazionale;- di quegli strumenti e di quelle metodologie di statistica, metodologica, sociale ed economica,necessari a descrivere fenomeni complessi.-degli aspetti essenziali della autoimprenditorialità.

Il corso mira, inoltre, a fornire agli studenti approfondimenti specifici legati ai flussi migratorie alle problematiche d’integrazione dei cittadini stranieri, nonché agli aspetti concernenti iprogrammi politici internazionali. Per questi approfondimenti gli studenti hanno a disposizioneanche 12 CFU per le attività a scelta.Il corso di laurea in Sviluppo Economico, Cooperazione Internazionale e Migrazioni mira a for-mare professionalità attive nel campo della cooperazione e dello sviluppo in possesso di stru-menti relativi alla comprensione delle realtà del sottosviluppo, dei problemi inerenti la crescitaeconomica e lo sviluppo sostenibile, delle politiche di lotta alla povertà e dei processi di mo-dellizzazione, democratizzazione, globalizzazione e regolazione internazionale. E questo ancheattraverso una lunga attività di tirocinio obbligatorio.

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sboCCHi oCCUpaZionaliLa figura professionale che esce da questo corso di studi potrà assumere due fisionomie:

- Esperto nell’ambito della progettazione e della coordinazione di programmi e progettidi sviluppo

- Agenti e consulenti per lo sviluppo locale

Con riferimento al primo profilo professionale il laureato del corso in “Sviluppo economico,cooperazione internazionale e migrazioni” sarà in grado di adempiere alle seguenti funzioni:

- Funzione di progettazione e gestione di interventi di cooperazione e sviluppo: - capacitàdi analizzare contesti economici a ritardo di sviluppo - capacità di selezionare ed im-plementare politiche di intervento idonee ad innescare processi di sviluppo

- Funzione di analisi economica e di contesto sociale: capacità di utilizzare gli strumentistatistico-metodologici per l’analisi economica - capacità di analizzare le relazioni trale grandezze economiche fondamentali e di interpretare gli indicatori statistici che ledescrivono.

Grazie allo studio del fenomeno migratorio la figura professionali formata sarà in possesso dicompetenze necessarie per individuare le cause all’origine di questo fenomeno, sapere fareun identikit di un individuo che può essere definito “migrante”, raccogliere ed elaborare i datiquantitativi per misurare la portata ed evoluzione negli ultimi anni di questo fenomeno, essereun interlocutore attivo di enti pubblici come la Regione e le amministrazioni nell’analisi deicontesti sociali e suggerire indicazioni di politica economica per svolgere una attività di coop-erazione e sviluppo economico a livello generale e con riferimenti al fenomeno delle migrazionifavorire una maggiore integrazione dei migranti in vari settori ad esempio quello scolastico,sanitario e amministrazione. Uno primo possibile sbocco lavorativo potrebbe essere l’inserimento nella pubblica amminis-trazione, nelle organizzazioni non governative e del terzo settore, nelle istituzioni educative,nel sistema della cooperazione sociale e culturale e nelle organizzazioni internazionali.L’esperto è in grado di individuare e approfondire le necessità di intervento all’interno dellasua progettazione e, inoltre, monitorare e valutare i risultati dell’intervento progettato o dialtre azioni di sviluppo e cooperazione internazionale. Altro sbocco occupazionale è quellorappresentato da attività, in forma individuale o di studi associati e cooperative giovanili, in-dirizzate alla cooperazione, agli interventi sociali verso gli immigrati, all’assistenza e all’osser-vazione elettorale nelle aree di crisi internazionale, alla promozione e tutela dei diritti umanie civili e al conseguimento delle pari opportunità nei paesi a ritardo di sviluppo o in quellearee in cui il ruolo della donna è ancora marginale rispetto ai processi sociali ed economici. Illaureato potrà trovare occupazione anche presso organizzazioni che si occupano di proget-tazione e gestione di programmi e progetti di sviluppo, presso enti di cooperazione decentrata(Regione, Provincia e Comune), ONG, imprese con interessi in paesi in via di sviluppo.Altre competenze acquisite sono quelle funzionali all’avvio di processi di autoimprenditorialitàe di risposta ai nuovi fabbisogni del mercato del lavoro come le imprese sociali.Con riferimento al secondo profilo professionale il laureato del corso in “Sviluppo economico,cooperazione internazionale e migrazioni” sarà in grado di realizzare ricerche su concetti,teorie e metodi per analizzare e comprendere il funzionamento dei mercati, per individuaresoluzioni ai problemi economici, programmare e supportare la realizzazione delle politiche disostegno e di regolazione dell’economia e dei sistemi sociali.

ConsegUiMento Del titolo Per conseguire la laurea, lo/a studente/ssa deve avere acquisito 180 crediti formativi compresiquelli relativi alla prova finale pari a 3 CFU.La prova ha l’obiettivo di verificare il livello di maturità e la capacità critica del laureando, conriferimento agli apprendimenti e alle conoscenze acquisite, a completamento delle attivitàpreviste dall’ordinamento didattico.La prova finale consiste in una prova orale, secondo modalità definite dal regolamento sullaprova finale del Corso di laurea per ogni anno accademico, nel rispetto della tempistica, delleprescrizioni ministeriali e delle inerenti linee guida di Ateneo.

Prof. Vincenzo Provenzano

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gli iMMigrati aFriCani in italia:

DoVe sono gli UganDesi?

preambolo

Il fenomeno migratorio può essere letto anche con una lente invertita. Può essere utile chie-dersi come mai alcune popolazioni non arrivano sulle nostre coste.

L’Uganda è un paese che grazie alle condizioni di relativa stabilità in cui si trova dal 1986 stacompiendo un percorso orientato alla crescita e allo sviluppo. A questo percorso non è deltutto estraneo il tipo di interventi di cooperazione realizzati da Medici con l’Africa Cuamm.

Il CUAMM è presente nel paese dal 1958, prima ancora dell’indipendenza. L’organismo nonha mai abbandonato l’Uganda nemmeno nelle fasi più acute di instabilità come la guerra traUganda e Tanzania del 1979 e il periodo di tensioni politiche e violenze che si susseguirononegli anni successivi.

Volendo riassumere quasi 60 anni di intervento nel paese, possiamo dire che gli operatori cheil CUAMM ha inviato in Uganda sono stati oltre 300 per la maggior parte di profilo sanitario,che l’intervento si è sviluppato all’interno di 16 ospedali sia governativi che diocesani, presentiin diverse aree del paese ma soprattutto nel nord e nelle aree più complesse, povere, perife-riche quali la Karamoja e il West Nile.

Oltre all’intervento a sostegno dell’offerta di servizi sanitari alla popolazione, sia a livello ospe-daliero che dei centri di salute periferici, che delle comunità, il CUAMM è intervenuto anchenel campo della formazione degli staff e dei quadri sanitari locali e dei manager sanitari at-traverso training on the job, corsi di formazione più strutturati e arrivando anche alla didatticanelle facoltà di Health Sciences and Health Management delle Università di Makerere e Nkozi.

L’approccio di Medici con l’Africa Cuamm è sempre stato attento all’evoluzione del paese: si ècercato di intercettare, assecondare e, dove possibile, anticipare il cambiamento delle necessitàdel paese intervenendo nelle regioni caratterizzate dalle diseguaglianze più gravi come, ap-punto, la Karamoja. In questa regione negli ultimi 5 anni, presso 7 distretti, 121 centri di sa-lute, scuole, villaggi, si è portato avanti un intervento nel campo della salute materna einfantile che ha raggiunto una popolazione di riferimento di 1.5 milioni di persone ed ha mi-gliorato l’accesso al parto assistito portandolo dal 27% di partenza all’attuale 72%, misurazionerealizzata non dal CUAMM ma da una realtà terza come il DHS (Demographic Health Survey)e che lo stesso ministro della Sanità dell’Uganda ha accolto con grande soddisfazione.

Un risultato di questo genere è stato raggiunto attraverso diverse leve:

1- Continuità e durata nel tempo: la presenza di Medici con l’Africa Cuamm in Kara-moja non si riduce solo ai 5 anni del progetto, ma ha una storia che inizia nel 1971 conl’invio del proprio personale nell’ospedale St. Kizito di Matany, nel distretto di Napacke prosegue fino ad oggi.

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2- Utilizzo di tecnologie frugali ma appropriate: come l’implementazione di un si-stema di voucher a rimborso dei costi di trasporto sostenuti dalle gravide per recarsialle strutture sanitarie, questi incentivi si sono dimostrati assai efficaci per abbatterela barriera ai servizi rappresentata dal costo del trasporto. Oppure lo sviluppo del birthcushion un’innovazione low- tech e a basso impatto economico, implementato per laprima volta nel 2013 proprio nel progetto realizzato in KAramoja dal CUAMM. Si trattadi un intervento che ha contribuito ad abbattere le barriere di tipo culturale da partedelle donne nell’accedere al parto assistito. I Birth Cushions offrono alle donne dellaKaramoja la possibilità di assumere la posizione accovacciata per partorire, si trattadella posizione tradizionale per il parto presso il popolo karamojong, il birth cuschionconsente questo stesso posizionamento sebbene leggermente modificato per facilitareil parto. Entrambi questi “incentivi” sono maturati a seguito di una ricerca operativache ha coinvolto 800 donne in Karamoja interrogate sui motivi per cui non erano orien-tate a servirsi dei servizi sanitari di assistenza al parto.

3- approccio critico: per cui oltre a misurare costantemente il proprio intervento si èdisponibili a ricevere la misurazione degli interventi da parte di realtà terze. Per l’inter-vento in Karamoja abbiamo chiesto alla Fondazione Bruno Kessler, in particolare all’IR-VAPP (Istituto per la ricerca valutativa sulle politiche pubbliche) di valutare criticamentequesto intervento contribuendo ad individuare ulteriori aree di miglioramento per leimplementazioni future.

Si diceva poco sopra della necessità di leggere, interpretare e se possibile anticipare il cam-biamento, oggi in Uganda il cambiamento passa per la regione del West nile dove sono con-centrati quasi 1 Milione di rifugiati sud sudanesi, in gran parte donne e bambini.

Il Cuamm iniziò a lavorarvi sin dall’inizio, nel 1958, con una massa critica di intervento moltoelevata tra la metà degli anni ottanta e la fine degli anni novanta. Oggi il West Nile, collocatoal confine con il Sud Sudan, è la regione più esposta ai flussi di migrazione determinati dalconflitto. Il CUAMM sta intervenendo nel West Nile con rinnovato vigore utilizzando il paradigmadi cui si è parlato poco sopra, fatto di costanza, durata e radicamento nell’area, attenzionealla formazione allo sviluppo delle risorse umane locali, innovazione frugale e utilizzo di tec-nologie appropriate, approccio critico e orientato alla misurabilità dei risultati dell’intervento.

Un problema da risolvere a monte e a valle

Ci rendiamo conto che quelle suggerite sono solo buone pratiche, ma vale la pena sviluppareuna riflessione seria su cosa significa garantire a chi vive in Africa la possibilità di restarenelle terre in cui è nato. Fatta salva l’esigenza improrogabile di salvare le vite umane in peri-colo, quella di affrontare i problemi a monte ci pare una modalità di gestire la questione dellemigrazioni in una maniera più umana e sostenibile, anche dal punto di vista economico.

I dati 2015 sull’Aiuto Pubblico allo Sviluppo (APS) mostrano una tendenza che deve far riflet-tere. Le risorse destinate dai paesi donatori, prevalentemente europei, sono in leggero au-mento (6,9%). Una crescente quota dei fondi destinati, però, non raggiunge i paesi, marimane all’interno dei confini dei paesi donatori per far fronte alle spese di accoglienza deirifugiati, tanto che, al netto di questa contabilizzazione, l’incremento risulta solo dell’1,7%.L’Italia, per gli aiuti internazionali, spende lo 0,26% del PIL.

Non è questo, a nostro avviso, il modo per affrontare un problema che non è solo di chi ac-coglie, ma prima di tutto di chi si trova costretto a scappare da condizioni di vita non piùsostenibili.

www.mediciconlafrica.org Medici con l’Africa Cuamm

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inContro Con

sos MéDiterranée italiaCon la conclusione del progetto Mare Nostrum, egregiamente condotto negli anni passati dal-l’Italia per conto della Comunità Europea, e il mancato rifinanziamento dello stesso, si deter-minò una brusca frenata d’arresto per tutti i profughi che già da tempo intraprendevano lavia del mare per fuggire da guerre, carestie, dittature ecc. e che erano stati tratti in salvograzie a quel progetto.

Tuttavia l’assenza di realtà di salvataggio non arrestò per nulla l’esodo dei migranti ne le sep-pur frammentarie notizie che provenivano dalle coste nord africane ed in particolare dallaLibia, facevano chiaramente intendere che un enorme numero di uomini, donne e bambini sistavano ammassando sulla costa nel tentativo di guadagnarsi uno spazio su questi terribilibarconi della speranza, convinsero le istituzioni ad approntare nuovi progetti di aiuto.

D’altra parte in Libia la situazione politica sempre più instabile favoriva il proliferare di traffi-canti di esseri umani che sfruttavano, e ancora oggi sfruttano, il desiderio e la necessità difuga da quel paese considerato un vero inferno.

Ben presto cominciarono gli sbarchi lungo le coste siciliane e in particolare sull’isola di Lam-pedusa, primo avanposto europeo vicino all’Africa. Ma al tempo stesso sempre più spesso ar-rivava notizia di naufragi di piccole imbarcazioni con poche decine di persone ma anche digrandi barconi in legno con centinaia di persone a bordo. Un insostenibile bollettino di mortecui, purtroppo, si accompagnava la consapevolezza di chissà quanti naufragi dei quali non siè mai saputo nulla poiché avvenuti troppo lontano dalle coste!

Klaus Vogel, capitano di lungo corso tedesco, ha navigato per anni sulle navi commerciali ditutto il mondo incontrando più di una volta migranti in fuga dai propri paesi e resosi conto dicosa stava avvenendo anche nel Mediterraneo ha accarezzato il sogno di poter fare qualcosadi concreto in aiuto a questa gente. Per il tramite di un mio nipote berlinese chiese a lui dicondividere con me questo sogno e di potere venire in Sicilia per valutare insieme quanto lostesso potesse diventare realtà.

Gli svariati incontri e le conversazioni avute con Sindaci, prefetti, questori e con rappresentantilocali della Guardia Costiera nonché il dichiarato appoggio del Ministero competente lo con-vinsero a portare avanti il suo progetto e a catena lui convinse me e tante altre persone , asostenere l’idea di mettere a mare una grande nave che, navigando nel Mediterraneo, andasseincontro ai barconi e ai gommoni carichi di esseri umani, per salvarli.

La società civile dei paesi coinvolti in questa impresa (Germania, Francia ed Italia) risposecon forza a questo appello mettendo in campo chi risorse umane con le proprie professiona-lità, chi risorse economiche, chi beni materiali necessari ad organizzare la nave per l’obiettivoche si prefigge.

In circa nove mesi il sogno diventò realtà; ciascun paese costituì la propria Associazione conuno Statuto uguale per tutti che indica a chiare lettere i nostri obiettivi :

1) salvare vite umane in mare

2) proteggere e supportare i migranti salvati

3) raccogliere e diffondere le testimonianze dei migranti

Fatto questo, insieme cercammo e trovammo la nave che meglio rispondeva alle nostre esi-genze. Massiccia, tarchiata abbastanza per garantire una grande stabilità, lunga oltre 77metri, con una vita precedente dedita al salvataggio dei pescherecci in difficoltà nei mari delnord Europa, pronta ad affrontare anche il talvolta tempestoso ed infido basso Mediterraneo,lei, l’AQUARIUS, era proprio la nave giusta per noi.

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Tutti i soci coinvolti lavorammo al suo allestimento e all’organizzazione dei Team Operativi.

L’Hempel Shipping, società armatrice e proprietaria della nave, mette a disposizione i suoiequipaggi; marinai esperti che garantiscono una serena navigazione guidati dai loro Capitanima, soprattutto, tutte persone scelte tra quelle più sensibili e capaci di compenetrarsi nellamissione umanitaria che la nave si accingeva a compiere.

Una apposita commissione di tecnici marittimi e psicologi effettua i colloqui che portano allascelta degli operatori che costituiscono il SAR TEAM un gruppo di 9/11 volontari selezionatitra i tanti che si offrono ogni giorno di collaborare con noi; comprovata esperienza marittima,forte motivazione umanitaria, ottime condizioni fisiche sono alcuni dei requisiti necessari perfar parte di questo Team; la collaborazione dura almeno un turno di tre settimane e può ri-petersi a distanza di alcune settimane di necessaria pausa.

Il loro compito è forse il più duro sotto il profilo fisico e psicologico; andare incontro ai gom-moni/barconi ed effettuare materialmente il salvataggio dei migranti garantendo il loro tra-sbordo sulla nave, di giorno o di notte, con la pioggia e il freddo o con il sole a picco, con labonaccia o con le onde alte 3/5 metri. Essere pronti a vedere ed affrontare le situazioni piùimprevedibili; donne partorienti, neonati o bambini piccolissimi soli o affidati a sconosciuti,gente ferita e purtroppo anche persone morte.

Il Team Medico Sanitario è costituito da personale medico e paramedico con differenti quali-fiche e che fa parte di un’ organizzazione cui siano riconosciuti gli scopi umanitari, sociali e laprofessionalità medica e tecnica.

L’Aquarius ha già avuto a bordo Mediciens du Monde per i primi sei mesi cui si è avvicendata,e ancora naviga con noi, Medici senza Frontiere.

I migranti arrivano a bordo provati, disidratati, spesso bruciati dal mix di petrolio e acqua sa-lata, con i piedi feriti ma oltre alle ferite dovute alla traversata ci sono spesso quelle conse-guenti alle violenze e agli abusi subiti prima dell’imbarco e ancor peggio le ferite psicologicheche portano tanti di loro a perdere la ragione e un sano contatto con la realtà. L’aiuto tempe-stivo che questa equipe fornisce ai migranti appena arrivati a bordo è spesso fondamentalese non addirittura determinante per la loro sopravvivenza. Infarti, collassi, dissanguamenti,parti prematuri sono solo alcune delle emergenze che il Team affronta ad ogni salvataggioeffettuato.

E’ moralmente inaccettabile che centinaia, forse migliaia di persone rischino la propria vita e,spesso, muoiano in mare nel disperato tentativo prima di fuggire dal proprio paese, e dopodall’inferno libico, per raggiungere le coste europee dove sognare di potere ricominciare lapropria storia e avere una vita normale.

Ed è altrettanto inaccettabile tutta la violenza che su questa gente viene operata durante illungo viaggio che affrontano prima di imbarcarsi.

Questo è ciò a cui noi, fondatori di SOS Mediterranee, abbiamo pensato quando abbiamo ini-ziato la nostra missione, questo è quello a cui pensiamo ogni giorno quando accogliamo letestimonianze di chi salviamo, questo è quello che cerchiamo di far sapere e comprendereogni volta che incontriamo persone disposte ed interessate ad ascoltarci e ad aiutarci nellanostra missione.

Ma sebbene la società civile e anche parte della stampa e dei media più illuminati si sianoadoperati per tenere viva l’attenzione sulla immane tragedia che giornalmente colpisce cen-tinaia di esseri umani e di accendere una luce anche sulle Associazioni umanitarie che comela nostra si adoperano per soccorrere ed aiutare questa parte dell’umanità in sofferenza, lamigrazione viene vissuta da molti come un fenomeno da frenare o bloccare del tutto, negandocosì un principio e un diritto fondamentale qual è quello della libertà di scegliere dove viveree costruire il proprio futuro.

Così anche se da un lato il numero delle persone salvate solo dalla nostra Aquarius in poco

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più di un anno (circa 20.000 persone tra uomini, donne e bambini) ci gratifica e ci rende con-sapevoli di quanto importante sia stato per tutte queste persone poter contare sul nostroaiuto, dall’altro lato questo numero, sommato a quello dei salvataggi effettuati dalle altreONG, viene visto, e strumentalmente utilizzato, come argomento valido a ravvisare un’inva-sione, un’ insostenibile condizione di disagio per il nostro paese, rafforzata dalla totale assenzadi collaborazione e azioni di accoglienza da parte degli altri paesi europei, alcuni dei quali anzisi sono affrettati a chiudere le frontiere ed alzare muri invalicabili.

Questa inaccettabile condizione ha messo l’Italia nella difficile condizione di dover reggerenegli ultimi mesi sola e sulle proprie spalle l’arrivo di migliaia di profughi.

Anche di questo bisogna parlare, anche per queste ragioni bisogna cercare e trovare soluzioniche rispettino questa parte dell’umanità e la aiuti a risolvere i problemi dei loro paesi piuttostoche, con la forza e la violenza, li respinga e li rimandi “in bocca al lupo”.

Nell’immediato però si e’ ritenuto opportuno aprire un dialogo con il principale attore, la Libia.

In parallelo agli accordi siglati dal nostro governo con quel paese a luglio scorso è stato chiestoalle ONG che operano nel Mediterraneo di accettare nuove norme , inizialmente molto restrit-tive, con la firma di un apposito Codice di Condotta, per continuare ad operare nelle zoneSAR.

Solo Venerdì 11 agosto 2017 SOS MEDITERRANEE HA FIRMATO UNA VERSIONE INTEGRATAED EMENDATA DEL CODICE DI CONDOTTA PER LE ONG PROPOSTA DAL MINISTERO DELL’IN-TERNO. La decisione di aderire al Codice di Condotta è stata presa al termine di un processodi dialogo e confronto aperto e costruttivo con i rappresentanti del Ministero. Riconoscendol’importante lavoro di salvataggio delle ONG e l’apertura al dialogo di SOS MEDITERRANE, ilMinistero dell’Interno ha acconsentito infatti ad includere i punti sollevati da Sophie Beau,co-fondatrice e Vice-presidente di SOS MEDITERRANEE International, che ha partecipato al-l’incontro risolutivo (il terzo, dopo due incontri interlocutori) aggiungendoli al testo originariodel Codice di Condotta in forma di addendum.

Il Codice di Condotta firmato da SOS MEDITERRANEE riconosce chiaramente tramite l’adden-dum proposto questi concetti chiave:

- Il Codice di Condotta non è legalmente vincolante e prevalgono le regolamentazioni e leleggi nazionali ed internazionali

- Il Codice di Condotta non menziona il portare armi. SOS MEDITERRANEE non si impegnadunque a ricevere uomini armati a bordo della sua nave, fatto salvo in caso di mandato rila-sciato nell’ambito del diritto nazionale o internazionale.

- Nel caso in cui ufficiali di polizia siano ricevuti a bordo della nave di ricerca e soccorso questinon interferiranno con la missione umanitaria di salvare e proteggere vite

- Il Codice di Condotta non limita i trasbordi dei sopravvissuti ad altre navi, quando coordinatidal MRCC Roma.

La firma del Codice di Condotta ha consentito di chiudere un periodo di polemiche durato alungo, che rischiavano ormai da troppo tempo di distrarre dai problemi umanitari e di sicu-rezza reali e contingenti

Tra questi, prima di tutto il prolungarsi della crisi umanitaria nel mar Mediterraneo in assenzadi una risposta a livello europeo e il deficit di solidarietà nei confronti dell’Italia da parte deglialtri Paesi europei; la caotica situazione in Libia, che ha condotto a livelli di violenza senzaprecedenti nei confronti dei migranti che sono vittime del traffico di esseri umani; le preoc-cupazioni riguardo la sicurezza in area SAR, anche alla luce della dichiarazione della propriaarea SAR di competenza da parte della Libia e la nuova presenza in mare di unità riconducibilialle guardie costiere libiche.

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Siamo consapevoli che l’esodo dei migranti non si arresterà domani e solo alla luce dei nuovieventi in corso in Libia. È molto probabile che si apriranno nuove rotte sulle quali migliaia dipersone continueranno a rischiare la propria vita; pertanto la nostra prospettiva, così comeda finalità statutaria, è di continuare ad operare fintanto che ci saranno vite da salvare e ri-sorse sufficienti per farlo.

Il rapporto con i diversi attori istituzionali per noi non è cambiato. Il nostro referente unico èstato e continua ed essere la Guardia costiera italiana e il Centro di Coordinamento per la ri-cerca ed il soccorso in mare del Ministero.

Sos Mediterranee rappresenta una piccola goccia nel mare di problemi e difficoltà che orbitanointorno alle migrazioni. Ma fino a quando ci sarà bisogno del nostro aiuto e fino a quando sa-remo supportati dalle vostre donazioni e dalla società civile, continueremo la nostra missioneumanitaria a sostegno di una società migliore, più umana ed altruista e soprattutto più giustae pacifica.

Note informative:

SOS Mediterranee è un network internazionale italo-franco-tedesco costituito da tre Associa-zioni Umanitarie di volontariato sociale.

L’Associazione italiana e’ stata fondata il 19 febbraio del 2016 a Palermo dove risiede la sedecentrale e legale. Ai soci fondatori (13) sparsi in tutta Italia si sono presto aggiunte circa 200nuove richieste di adesione di nuovi soci e sono pervenute centinaia di piccole donazioni dacentinaia di cittadini.

L’Associazione promuove attraverso incontri, meeting e partecipazione a eventi pubblici e pri-vati, la propria attività tramite video, conferenze, pubblicazioni e presentazione di testimonie testimonianze.

Per garantire il proprio sostegno in tali occasioni i soci invitano alla donazione diretta o tramitebonifico bancario o postale. Essendo l’Associazione riconosciuta come organizzazione senzascopo di lucro (Onlus) qualunque donazione può essere sgravata fiscalmente.

www.sosmediterranee.org SOS Méditerranée

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aCCoMpagnare, serVire e DiFenDere …

il Centro astalli di palermo al servizio di rifugiati, richiedenti asilo e immigratidi simona la placa e alfonso Cinquemani

La storia del Centro Astalli di Palermo ha inizio nel 2003 sulla scia di un’esperienza, oramai35ennale, quella del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati in Italia che dagli scantinati della Chiesadel Gesù a Roma, in Via degli Astalli, attraverso un capillare lavoro di rete raggiunge inevita-bilmente Palermo. Nelle aule del Collegio Gonzaga, un piccolo gruppo di Volontari della Co-munità di Vita Cristiana cittadina avviano una scuola di Italiano per stranieri, con il desideriogli uni di offrire accoglienza, gli altri di imparare una lingua a loro altrettanto straniera, cosìcome la città e il Paese in cui sono arrivati in fuga da guerre, persecuzioni, violenze, povertàe miseria e proprio per tutte queste ragioni in cerca finalmente di una vita degna di esserevissuta tra lavoro, casa, famiglia, amici.Alla scuola, nei primi anni di attività, si sono aggiunti la consulenza legale, l’ambulatorio me-dico e lo sportello lavoro e a quel punto è stato inevitabile trasferirsi a Ballarò in Piazza Santi40 Martiri. Questo avviene nel 2006 con l’apertura di un centro di accoglienza diurno, dove èpossibile usufruire di servizi di prima accoglienza, quali colazione, docce, lavanderia, guarda-roba, e seconda accoglienza, dal doposcuola per bambini ai programmi di formazione profes-sionale, ai corsi di informatica e laboratori linguistici, ai corsi di preparazione per la patenteguida e, in ultimo, ai laboratori di artigianato che favoriscono occasioni di incontro e scambiotra migranti e palermitani. Tutto questo grazie a circa 70 volontari, laici, che garantiscono unlavoro integrato tra i vari servizi, indispensabile per rispondere ai bisogni delle persone e perrisolvere situazioni di disagio. Parallelamente oramai da anni, nelle scuole medie superiori attraverso i Progetti “Finestre” e“Incontri” vengono sensibilizzati sui temi del diritto di asilo e del dialogo interreligioso migliaiadi studenti. Il loro percorso formativo si conclude con l’incontro in classe, che riscuote sempresuccesso ed entusiasma i ragazzi, con un rifugiato o con il testimone di una religione, al finedi approfondire e aumentare la consapevolezza sulle tematiche trattate a partire dalla cono-scenza reciproca.Dal 2014 a seguito di quella che ancora oggi viene chiamata “emergenza sbarchi” e nell’am-bito dei Progetti di Accoglienza SPRAR, il Centro Astalli ospita, presso la ex residenza dei padriGesuiti di Casa Professa, rifugiati e richiedenti asilo dalla Nigeria, Gambia, Senegal, Mali, Er-itrea, ecc. Attualmente in 30, tra i 18 e i 45 anni (per un totale di 51 persone compresi 7nuclei familiari con minori accolti in 2 anni) vengono assistiti da un’équipe stabile di otto op-eratori che forniscono assistenza e orientamento ai servizi del territorio oltre che mediazionelinguistico-culturale e consulenza legale. Nel corso di questi primi 10 anni, da quando la porta di piazza SS40 Martiri è “aperta”, sono“passati” in oltre 10.000 provenienti dal Bangladesh, Ghana, dal Marocco, dalla Tunisia, dallaCosta d’Avorio, dalla Nigeria, dallo Sri Lanka, dalle Mauritius, dal Somalia, dall’Eritrea, dalSudan … un caleidoscopio di nazionalità ma soprattutto di persone. Per concludere, l’invito a leggere due storie che da punti di vista diversi, quello dello stranieroda una parte e quello del volontario dall’altra, tratteggiano il senso della “fatica” quotidianadegli uni e degli altri ma soprattutto raccontano perché quella porta resta aperta!

raCConti Di Vita: storie eD esperienZe al Centro astalli Di palerMo

sono nato in italia ma per l’italia non esisto di Maria Giulia Manzella «Sono nato a Napoli. L’anno scorso sono partito per l’Italia dalla Tunisia, convinto che questopaese poteva essere casa mia, la casa che mi aveva dato la vita. Al mio arrivo ho avuto un’a-mara sorpresa. Per lo stato italiano non esito. Mia madre non mi ha mai registrato all’anagrafee mi ha portato via troppo presto da questo paese per poter reclamare qualsiasi tipo di diritto.Sono andato a Palermo dove avevo trovato un contatto per il lavoro nelle campagne, cheperò si è rivelato una fregatura. Nessuno si è presentato all’appuntamento e io sono rimastosolo, senza soldi, in una città dove non conoscevo nessuno. Dormivo per strada, non avevo

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un posto dove andare, non capivo la lingua e avevo sempre la sensazione di essere preso ingiro, fregato. La gente mi allontanava, non so se perché ero sporco o straniero. Forse en-trambi. Per strada ho conosciuto dei miei paesani. Mi hanno indicato un posto, dentro Ballaròdove ogni tanto provavo a raccattare qualche lavoretto, magari con i fruttivendoli, o nei mer-catini “dell’usato” per così dire. Un posto dove si può fare la doccia, dove si può mangiare unpasto caldo la mattina, dove posso imparare italiano, dove mi aiutano a cercare un lavoro,dove mi danno vestiti, dove posso essere visitato da un medico, dove posso chiedere la con-sulenza di un avvocato. Tutto questo GRATIS!!! Non ci potevo credere, mi sembrava un’altrafregatura….ma le notti al freddo, il bisogno di cibo e di un posto dove far trascorrere le gior-nate mi serviva. Così sono andato. Mi hanno accolto due volontarie forse tra le prime personea Palermo che invece di allontanarmi mi invitavano ad avvicinarmi. E parlavano anche intunisino!! «Salem M., Lebès?» era buffo sentirle parlare la mia lingua, ma mi ha dato subitouna sensazione di calore che non provavo da tanto. Ho poi incontrato il mio tutor, la signoraLivia, che è diventata il mio punto di riferimento per qualsiasi problema. Ho ricevuto tantoaiuto e tanto conforto. Mi hanno dato la mia tessera, ho chiesto se potevo usare il bagno permettere un po’ di gel nei capelli e finalmente assumere un aspetto più simile al ragazzo cheaveva lasciato la Tunisia qualche mese prima. Sono andato via, ancora incredulo che un posto,come il Centro Astalli, potesse esistere.Sono tornato l’indomani mattina, verso l’ora di chiusura. Non ero riuscito a svegliarmi quellamattina e avevo perso l’occasione di fare un pasto caldo. In quel momento ho visto più miseriaumana di quanto un uomo dovrebbe vederne in tutta la sua vita. Un gruppo di eritrei, sbarcatida solo qualche giorno dopo più di un anno di viaggio erano nella sala d’attesa del centro,stremati sui divani, con vestiti di fortuna. C’era un via vai frenetico dall’accoglienza alla cucinaper dare da mangiare a quelle persone. Io ero ancora impietrito da tutta quella miseriaquando una delle volontarie del giorno prima mi ha riconosciuto, mi ha salutato e mi ha detto:«M. oggi non ti ho visto a colazione». Nel mio italiano stentato ho provato a dirle che non eroriuscito a svegliarmi in tempo. E lei aveva capito. Così ha preso del cibo e ha fatto uno di queipacchetti pranzo, destinati ai ragazzi eritrei, anche per me. Me lo ha portato e con unosguardo di intesa me lo ha consegnato. Erano le due, ben oltre l’orario di chiusura, la sala erain disordine dopo i panini mangiati in quella piccola sala con i divani. Le volontarie erano stre-mate così ho tolto loro di mano la scopa e ho pulito io la stanza. Era il minimo che potessifare. Così ancora adesso, quando c’è bisogno, cerco di dare una mano ai volontari. La serafaccio il giro di bar e dei panifici, raccolgo l’invenduto e lo porto al centro perché possanoservirlo agli utenti per la colazione. Alcuni dei volontari sono anche diventati miei amici. Ognitanto andiamo a bere una birra insieme oppure partecipo con loro alle manifestazioni in favoredei migranti.Purtroppo non sono riuscito a trovare lavoro qui a Palermo e ho dei progetti da realizzare.Presto partirò per il Nord Europa, ma mi dispiace lasciare quella che, per un po’, è stata lamia famiglia. Qui al centro Astalli lascio un pezzo di cuore».

www.centroastallipalermo.it

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Migranti e soCial MeDia: sCenari e MoDalità D’Uso

di Fabio Massimo Lo Verde11

Professore associato di Sociologia generale, Dipartimento di Scienze Economiche, Aziendalie Statistiche, Università degli Studi di Palermo. Il presente lavoro è stato parzialmente pre-sentato nel IV rapporto sulle Migrazioni in Sicilia, a cura di Giuseppina Tumminelli e Serena

Greco, Ist. di Formazione Politica “Pedro Arrupe”, Palermo, 2016.

Gli italiani sono mediamente meno “digitalizzati” degli altri concittadini europei nell’uso delPC e delle tecnologie ormai “tradizionali” dell’ICT. Presentano invece una maggiore versatilitànell’uso dei social network attraverso mobile e, sembrerebbe, proprio in ragione della notevolediffusione di questa tecnologia smart che ha rivoluzionato sia il sistema di comunicazione, siale forme della socialità contemporanea, sempre più frequentemente connotata da un infittirsidi “relazioni senza corpo” che danno vita a una vera e propria “socialità senza corpo” [LoVerde, 2014]. E infatti, per quanto la “socialità senza corpo” costituisca anche in Italia sempre più una dellemodalità in cui si presentano le geometrie sociali della postmodernità [Lo Verde, 2012] checoinvolgono, come vedremo, sia i “nativi” sia i “migranti” presenti e residenti nel nostro Pese,il tema dell’impatto delle tecnologie della comunicazione e dei social media su un fenomenoche comunque viene considerato - per quanto non lo si possa più definire tale vista la dom-inanza – “emergente” come il processo migratorio e sui percorsi di integrazione, rimane pocotrattato nella letteratura scientifico-sociale, contrariamente a quanto avvenuto nella comunitàscientifica del resto del mondo [Hiller Franz, 2004; Parham, 2004, 2005; Ros, González,Marín, Sow, 2007]. Rispetto alle aree del mondo che costituiscono luoghi di emigrazionemassiccia tra la comunità scientifica si è ritenuto addirittura necessario parlare di un più ampionuovo approccio epistemologico all’analisi dei processi migratori in ragione dell’effetto deter-minato dal sopraggiungere degli strumenti tecnologici della comunicazione [Diminescu, 2008].Si tratta di una emergenza conoscitiva che rileviamo certamente in riferimento a quanto l’usodei social media sia diventato un fattore oltremodo essenziale rispetto alla stessa modalità incui esso si è declinato negli ultimi cinque anni nella dinamica dei flussi migratori. Un temaassai rilevante ed emergente nel dibattito scientifico è, ad esempio, quello riguardante lamodalità in cui si costruisce, decostruisce e si diffonde il “racconto” dell’esperienza migratoriaattraverso i social media, sia da parte di chi la vive come migrante, sia da parte di chi la vivecome “ospitante”, nelle più equilibrate e aperte - ma anche disequilibrate e chiuse - forme incui si sta declinando questa capacità - o incapacità - di ospitare. Da questo punto di vista gli approcci teorici più recenti si ancorano a tre temi fondamentali ecioè: quello che richiama la nascita della “società digitale”, o «Era dell’informazione», a cuifa riferimento Castells [2000], concetti questi peraltro utilizzati insieme a quello di networksociety a cui fa riferimento, ad esempio, la seconda produzione di Granovetter [1983] e allemetodologie di studio connesse; quelli del «nomadismo» e del «transnazionalismo», il primogià presente nei lavori di Deleuze e Guattari [1987] e successivamente sviluppatosi nell’ideadi «mobilità universale» cui fa riferimento Urry; il secondo, ai più recenti studi che vedononella costituzione di uno spazio simbolico intermedio fra la società locale di origine e quelladi accoglienza, la nuova modalità in cui si declina uno “stare tra” due o più culture, ciò che ètipico di molte famiglie migranti presenti nelle società occidentali [Ambrosini, 2008]. In questo breve intervento affronteremo il tema del rapporto fra migrazioni e social mediaprendendo in considerazione sia lo scenario che riguarda l’uso che dei social media fanno imigranti nelle diverse fasi del processo migratorio e dei percorsi di integrazione, sia lo speci-fico effetto che questo uso determina nella costruzione del “racconto” dell’esperienza migra-toria, per chi lo fa e per chi lo ascolta, accogliendo, ancora una volta, l’assunto di MarshallMcLuhan secondo cui, non dimentichiamolo, il medium è il messaggio…

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1. Lo scenario Volendo riassumere brevemente i dati sull’uso delle nuove tecnologie della comunicazionedigitale e in particolare dei social network nel contesto mondiale, il Digital Yearbook 201622

Cfr. . In riferimento ad alcuni Paesi cfr. anche i diversi report pubblicati inhttp://www.unesco.org/new/en/communication-and-information/resources/publications-and-communication-materials/publications/publications-by-series/assessments-based-on-une-scos-media-development-indicators/evidenzia come internet sia ormai utilizzata da circa tre miliardi e mezzo di utenti, ha un

tasso di penetrazione del 46% sul totale della popolazione presente nell’intero globo e crescedi anno in anno coinvolgendo aree del mondo che precedentemente risultavano del tutto es-cluse dalla diffusione delle innovazioni digitali. Nello stesso tempo, il numero di account socialattivati nel mondo ha raggiunto il numero di quasi due miliardi e quattrocento milioni. Fonte: http://wearesocial.com/it/blog/2016/01/report-digital-social-mobile-in-2016 Secondo il report, complessivamente, il numero di utenti internet totali è cresciuto dunquedel 10% e di altrettanto, rispetto al 2015, è aumentato il numero di utenti attivi sui canalisocial (un aumento di 219 milioni di utenti). Ancora, è aumentato anche il numero di coloroche usano dispositivi mobile, numero cresciuto del 4% (+141 milioni); e, dato ancora più in-teressante, la crescita maggiore riguarda il numero di persone che accedono a social mediada dispositivi mobile come smartphone e Tablet: si tratta di un incremento pari al 17% rispettoal 2015 per un totale di +283 milioni di persone.Ovviamente la piattaforma social più diffusa rimane Facebook che però si trova a poca dis-tanza da altre piattaforme social usate contemporaneamente in tutto il mondo. Fonte: http://wearesocial.com/it/blog/2016/01/report-digital-social-mobile-in-2016 Va dunque sottolineato che nella maggior parte dei Paesi dai quali si emigra le percentuali dipenetrazione della navigazione Internet è ancora molto bassa e lo è ancora meno la per-centuale di penetrazione della navigazione a mezzo mobile (cfr. Tabella 1) così come del tuttoinesistente risulta in molti Paesi la connessione Internet (cfr. figura 5). D’altra parte però, intutti questi Paesi la diffusione del mobile, evidentemente utilizzato come strumento per lasola comunicazione tradizionale, è estremamente alta, tranne che in pochi casi e cioè in queiPaesi dove difficoltà nella infrastrutturazione, nonché povertà estrema della popolazione, nonne consentono una più ampia diffusione. Vi sono inoltre Paesi come l’Albania, il Marocco, l’Al-geria, la Tunisia e altri in cui la percentuale di penetrazione del mobile è elevatissima, rag-giungendo una diffusione di quasi due mobile a testa.

Fonte: nostra elaborazione su datihttp://wearesocial.com/it/blog/2016/01/report-digital-social-mobile-in-2016

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2. Le modalità di uso social media Da un punto di vista analitico, l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comuni-

cazione da parte dei migranti è stato classificato sulla base di tre modalità di uso ancorate afasi diverse della stessa esperienza migratoria, ciascuna delle quali costituisce, peraltro, uncampo di ricerca su cui si sono concentrati diversi studiosi [Kozachenko, 2013, 6]:

1) l’uso nella fase “pre-migratoria”: si tratta dell’uso che ne fanno coloro che non sonoancora emigrati e utilizzano digital media e le ICT in generale prima della decisione di affron-tare il viaggio, al fine di a) raccogliere informazioni riguardanti la destinazione, b) stabilirecontatti nel luogo di destinazione, c) trovare un lavoro; d) ricongiungersi con il nucleo fami-liare;

2) l’uso nella fase successiva al viaggio, cioè una volta giunti nella sede di destinazionee che può essere messo in relazione al modo in cui si articolano i “processi di adattamento”nella società di accoglienza;

3) l’uso messo in atto in una terza fase e cioè quello che ne fanno i migranti ormaipresenti da più anni nel Paese di destinazione. In questo caso – e le ricerche cominciano adessere, soprattutto in Europa, meno in Italia, quantitativamente significative - va preso inconsiderazione l’uso che ne fanno le cosiddette seconde-terze generazioni. All’interno di que-ste fasi assumono peraltro rilevanza, anche da un punto di vista conoscitivo per chi fa ricerca,sia il tipo di device utilizzati – PC, notebook, tablet, smartphone ecc. - sia i luoghi e le modalitàdi accesso allo spazio virtuale – se in luoghi pubblici, quali gli internet café, o privati, comefatto da chi usa device presi in prestito. Come è facile immaginare, negli ultimi cinque anniparticolare interesse stanno suscitando sia gli usi messi in atto nella prima e nella secondafase soprattutto dai rifugiati, sia gli usi nella terza fase da parte dei migranti presenti già damolti anni e da parte delle seconde e terze generazioni nella costruzione di “arene virtuali” fi-nalizzate alla costruzione di una opinione pubblica virtuale che alimenti la coesione delle co-munità migranti. Ma il diverso uso nelle diverse fasi a cui si fa riferimento è intanto funzione dell’uso che se nefa, in primo luogo, nel paese di provenienza. A queste tre fasi ne aggiungiamo un’altra e cioèquella che riguarda l’uso che se ne fa “durante” l’esperienza di viaggio, meno diffusa comeesperienza d’uso ma certamente ormai presente. Se guardiamo all’Italia, in generale, la maggior parte dei migranti giunti negli ultimi anni - ein particolare coloro che sono giunti in Sicilia - proviene da Paesi in cui il processo di “social-izzazioneall’uso dei social media” non è sempre definibile come ad uno stadio avanzato. Ma,certamente, lo è quello del mobile che facilmente diventa il vettore attraverso il quale si ap-prende ad “orientarsi” nel Paese ospitante, cercando informazioni soprattutto attraverso i so-cial media una volta entrati in territorio italiano. Non è un caso che questa “leva” utile al miglioramento dei percorsi di orientamento, oltreche di integrazione, dei migranti nei contesti di destinazione sia stata utilizzata recentementeanche in funzione di una diffusione della cultura dello scambio interculturale fra gli stessiprofughi e rifugiati33 Dovrebbe essere implementata, fra qualche tempo, una applicazione persmartphone che si chiama Hi Here e che ha la funzione di connettere con il mondo dei rifugiatipresenti in un paese, una piattaforma nella quale raccontare la vita nei Centri d’Accoglienzae raccogliere informazioni sul diritto di asilo e sui servizi locali di assistenza.. Inoltre, organizzazioni quali Save the Children e Medici Senza Frontiere sono state fra leprime istituzioni del privato sociale ad avviare iniziative che giungessero ai migranti via social,consapevoli del fatto che, comunque, i social media hanno una capacità di penetrazione anchefra i migranti assai maggiore rispetto ad altri canali utilizzati per la promozione di iniziative aloro indirizzate.

Ad ogni modo, gli smartphone, secondo quanto evidenziato da ulteriori ricerche [Dek-ker, Engbersen, 2014; Hiller, Franz, 2004], sarebbero considerati uno strumento fondamentalesia semplicemente per lo scambio di informazioni istantanee, sia perché, in tutta l’esperienzamigratoria, svolgono diverse funzioni fra cui:

a) migliorare la possibilità di mantenere legami con amici e parenti; b) consentire la costruzione di “legami deboli”, cioè contatti fra conoscenti, per citare

Granovetter, assai necessari per l’organizzazione del percorso migratorio e dei successivi pro-cessi di integrazione nel luogo di destinazione; e, come è noto,

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“i legami deboli nei contesti di destinazione possono avere la stessa funzione che ebbero i“pionieri” in passato nella costruzione delle catene migratorie e nel fornire informazioni o as-sistenza ai nuovi migranti, ad esempio, per trovare un alloggio o una occupazione” [Dekker,Engbersen, cit., p. 408];

c) costruire una nuova infrastruttura sociale precedentemente inesistente, costituitada quelli che vengono definiti “legami latenti”, ovverossia quel tipo di legami che vanno “oltrequelli deboli”, ma che risultano essere essenziali per potere costruire il percorso di integra-zione, ad esempio attraverso l’acquisizione di informazioni che possano orientare rispetto allamodalità per mezzo delle quali consentire un percorso di “sistemazione” nel contesto socialedi destinazione;

d) offrire informazioni che provengono “dall’interno” del Paese che costituisce la desti-nazione finale, informazioni solitamente più difficili da reperire per i migranti e che, solita-mente, appaiono come meno diffuse e, soprattutto, non reperibili attraverso canali “ufficiali”.Ma nondimeno essenziali, costituendo quella sorta di backstage informativo che può risultarefondamentale per muoversi tra le difficoltà costituite dagli apparati della società ospitante.

D’altra parte, recenti lavori inerenti soprattutto al processo migratorio dei rifugiati,hanno evidenziato come la quantità e qualità di informazioni che circolano sui social che torninorealmente utili a chi deve affrontare il viaggio, o a chi sia appena giunto nel luogo di transitoo di destinazione, siano davvero scarse [Gillespie et alii, 2016, Nedelcu, 2012]. Si evidenzia[Gillespie et alii, cit.] inoltre la paradossale situazione in base alla quale se, per un verso, i so-cial costituiscano uno strumento ormai essenziale e quasi necessario per il viaggio dei migranti,d’altra parte costituiscano una vera e propria minaccia proprio in ragione del fatto che è difficilemantenere una “clandestinità digitale” [ibidem] che invece, in questo caso, sembrerebbe ne-cessaria per sfuggire alla rete degli smuggler i “trafficanti di uomini”, sempre pronti ad inter-cettare le tracce digitali lasciate dagli stessi migranti nei social network e nella rete in genere[ibidem, p. 2; Latonero, 2011; Latonero et alii, 2012; EU Commission, 2015], tracce per questiutili ad alimentare i loro affari. Secondo gli studiosi, la domanda di informazione da parte deimigranti rifugiati - ma la considerazione può essere estesa certamente anche agli altri migranticosiddetti “economici” - che si accingono a partire o che stanno affrontando il viaggio e che ri-sulta, quasi sempre, inevasa dalle istituzioni pubbliche, crea un effetto distorsivo rispetto allaattendibilità e validità delle informazioni stesse che, invece, essi trovano copiose in diversi sition line e, ancora una volta, nei social network. Il problema è dato dal fatto che si tratta di in-formazioni errate o addirittura pericolose e che, dunque, vengono a costituire una vera e pro-pria minaccia per l’incolumità dei migranti, in particolare per i minori non accompagnati,solitamente fra i più avvezzi all’uso dei social media in generale.

L’uso di queste fonti poco attendibili da parte dei migranti è poi determinato dal timoredi essere “tracciati” dalle autorità dei Paesi che dovranno ospitarli e dei quali intendono, co-munque, ricevere informazioni qualora utilizzino siti “ufficiali”. Un timore peraltro difficile daallontanare poiché viene alimentato proprio dalle campagne di disinformazione messe in attodagli stessi trafficanti di uomini. I social dunque, cominciano a costituire sistemi di produzionee di scambio di informazioni paralleli a – e spesso sostitutivi di - quelli ufficiali e all’internodei quali, però, anche l’immigrazione illegale o le reti criminali di smuggler o di trafficanti ingenere, trovano, come dicevamo, spazio di azione.

Più in generale, rispetto all’uso che si fa dei social media nei Paesi di destinazione unavolta giuntivi, ciò che si sostiene [Dekker, Engbersen, cit., p. 410] è che la nuova infrastrut-tura di “forti, deboli e latenti legami” determinata dall’introduzione dei social media, tende-rebbe a cambiare la natura stessa delle reti di relazioni esistenti fra i migranti . La stessaconoscenza sulle possibilità di uso dei device in luoghi ancora senza infrastrutture tecnologichesufficienti come i paesi d’origine, non impedisce la diffusione di una rappresentazione delviaggio in molti casi percepita come più facile proprio in ragione dei “discorsi” che sul viaggiocircolano nella rete social. Discorsi che, come è noto, tendono a tralasciare o a dimenticare –o a far dimenticare, ad esempio nell’utilizzo che ne fanno gli smuggler – le difficoltà e i rischidell’«impresa» migratoria quale risulta essere quella intrapresa dai migranti negli ultimi anni.

Oltre a ciò, va però rilevato che lo stesso uso dei social network e dei social media,una volta giunti nei Paesi di destinazione e intrapreso il percorso di uscita dalla clandestinitàe ingresso in quello di legalizzazione, nonché di integrazione economica e sociale, diventauna modalità attraverso la quale costruire quella che è stata definita una “co-presenza vir-

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tuale” dei propri cari, con i quali si resta più facilmente in contatto. Questo avviene sia perchéè più facile e meno costoso l’accesso - dato evidenziato già da molti anni anche in riferimentoall’uso del telefono fisso che avrebbe contribuito alla diffusione di “famiglie transnazionali”anche in ragione della riduzione dei costi delle telefonate internazionali [Vertovec, 2004] -sia perché la notevole offerta di strumenti per la comunicazione on line ne riduce ormai ulte-riormente i costi di utilizzo, approssimandoli, in alcuni casi allo zero (si pensi all’uso di Skypequando si è dotati della possibilità di accedere gratuitamente ad una rete). Talvolta, al primoviaggio di ritorno temporaneo, sono gli stessi migranti a regalare un device che consente lacomunicazione digitale ai genitori o agli affini, co-producendo così insieme quello che è statodefinito come un vero e proprio “strumento di resilienza” per loro stessi e per le famiglie [Ba-cigalupe, Camara, 2012; Madianou, Miller, 2012]. E altrettanto viene sostenuto in una ricercasu famiglie transnazionali che vivono in Australia, Irlanda, Italia, Olanda, Iran, Singapore eNuova Zelanda, pur con le differenze significative che esistono fra le diverse nazionalità e ladiversa velocità fra queste nella socializzazione all’uso [Wilding, 2006, p. 136].

Vi è comunque una differenza interna all’universo dei migranti nel profile dell’utilizza-tore dei social, differenza che risulta essere funzione della maggiore penetrazione dei socialstessi – o della penetrazione delle ICT in generale - nei diversi Paesi di origine, ma anchedelle variabili che intervengono generalmente nell’uso degli strumenti di comunicazione digi-tale, ovverossia1. l’età – al crescere dell’età tende a diminuire o a scomparire del tutto l’uso della comu-nicazione on line; 2. il titolo di studio - fra i migranti economici a basso livello di istruzione vi è un utilizzomeno frequente e complessivamente inferiore in termini di quantità di persone che lo usano; 3. il genere – tranne che nel caso di uomini e donne che provengono dai paesi dell’est,fra i quali il gap di utilizzo è poco elevato, generalmente le donne usano meno internet e inparticolare i social network. E ciò soprattutto a causa del fatto che, vivendo in Paesi in cui viè una scarsa penetrazione di Internet nelle case private, ed un più diffuso uso di Internet at-traverso device collocati negli Internet café, luoghi pubblici meno o del tutto non accessibilialle donne in molti paesi, risulta loro inibita questa possibilità. La scarsa socializzazione all’uso“a monte” non limita però una rapida socializzazione all’uso “a valle”, cioè una volta giuntinei paesi di destinazione, come si evince da molti studi riguardanti l’uso dei social media frale donne migranti [Cambouri, Parsanoglou, 2010].

Discorso a parte, e certamente assai più approfondito, andrebbe fatto per i minori nonaccompagnati che giungono in Itala e la cui competenza digitale, come si diceva, è media-mente più alta rispetto a connazionali di età maggiore. Ma l’attuale assenza di dati inerenti,più in generale, agli usi dei social fra i migranti in Italia non consente di analizzare il fenomenoin questa sede.

In conclusione riteniamo che quello dell’uso dei social media costituisca un ambito distudio e di interesse su cui è ormai assolutamente necessario implementare iniziative diricerca finalizzate ad approfondire l’analisi dell’esperienza migratoria e di integrazione dellepopolazioni migranti, sia che si tratti di cosiddetti “migranti economici” sia che si tratti di rifu-giati e richiedenti asilo.

L’articolazione delle domande di ricerca su cui lavorare non riguardano solamente l’in-teresse “conoscitivo” per un tema che coinvolge l’intero “Global North”, per evocare l’immag-ine che ormai viene utilizzata quando si indica l’Occidente sviluppato, ma anche l’interesseper questioni che, se non affrontate, avranno conseguenze importanti sugli equilibri globali,e non solo locali, delle aree che costituiscono regioni del “Global North”.

Queste questioni ineriscono non solo al digital divide, all’uso dei social media fra i mi-granti, al modo in cui i social media possono essere utilizzati per organizzare gli interventinei luoghi in cui stanno avvenendo veri e propri disastri umanitari o, ancora, a come i socialmedia contribuiscono alla socializzazione agli usi e ai costumi della società di accoglienza eall’integrazione nella cultura locale, ma anche a come le nuove generazioni di migranti giovanipotranno utilizzarli per meglio sentirsi parte di un “Global North” che, da subito, deve impararead accettare la propria missione - e la propria responsabilità - di area privilegiata nella nuovageografia del benessere mondiale. Perché queste generazioni scelgono i social media proprioperché il medium è il messaggio: perché stanno comunicando già attraverso il medium chescelgono, un medium che, non a caso, ha la caratteristica di essere “senza frontiere”….

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MigraZioni: il FestiVal

Dei lUogHi CoMUniNon esiste un problema esclusivo migrazioni-Europa, né tantomeno un problema migrazioni-Italia, se non all’interno di un gigantesco flusso a livello mondiale di donne, uomini e minoriche lasciano i luoghi di origine per garantirsi la sopravvivenza.

Lo scenario globale dei flussi migratori mostra che tre abitanti su cento sono nati in un Paesediverso da quello di residenza. Complessivamente i migranti nel mondo sono 244 milioni (In-ternational Migration Report delle Nazioni Unite). Sono numeri che fanno annichilire i 126mila migranti arrivati in Italia nei primi sette mesi dell’anno, che pure rappresentano per noiun grave problema di gestione.

Perché si emigra?

Si stima che la popolazione mondiale abbia raggiunto la soglia di 7,5 miliardi di abitanti; diquesti più della metà si concentrano in tre Paesi: 1,4 miliardi vivono in Cina, 1,3 miliardi inIndia e 1,2 miliardi in Africa.

I differenziali di reddito sono enormi.

La ricchezza (PIL pro capite) varia dai 14 mila dollari della Cina ai 6 mila dell’India, rispettoai 36 mila dollari pro capite dell’Italia.

In molte zone dell’Africa va ancora peggio; i Paesi nella costa settentrionale, come Libia e Al-geria, si attestano sui 14-15 mila dollari pro capite, ma già l’Eritrea precipita a 1.300 dollaril’anno, mentre il Burundi si ferma a 818 dollari pro capite e la Repubblica Centraficana, ad-dirittura, a 630 dollari pro capite l’anno; stiamo parlando di meno di due dollari al giorno.

L’Unione europea, in questo quadro, si pone come un potente fattore di richiamo e di attra-zione; noi spesso non ci riflettiamo, ma l’Europa rappresenta, da sola, quasi un quarto del-l’intero prodotto interno mondiale. Secondo Eurostat, il Pil dell’UE rappresenta il 24% del Pildel pianeta, superando di poco il 22% degli Stati Uniti e di gran lunga il 13% della Cina. Moltiin Italia e forse in Europa non si rendono ben conto della potenza economica rappresentatadall’Unione Europea; molti non si rendono conto di avere in tasca la più potente moneta delmondo: l’Euro!

Insieme ai conflitti, è quindi la mancanza di risorse finanziarie che spinge migliaia di personead affrontare rischi enormi per raggiungere l’Europa; si tratta di un flusso che, specie nel-l’Africa centrale, risulta incontenibile a causa della cosiddetta “bomba demografica”, la velocitàcon la quale la popolazione aumenta.

Per avere un’idea, in Italia una donna ha un tasso medio di fecondità pari a 1,2; il che equivalea dire che dieci donne italiane, mediamente, mettono al mondo 12 bambini, quando, solo perassicurare il mantenimento dell’equilibrio nascite-morti, ci vorrebbero 21 bambini ogni diecidonne.

In un Paese come la Nigeria, che già conta l’impressionante livello di 188 milioni di abitanti(più del triplo dell’Italia), il tasso di fecondità è di 53 bambini per dieci donne, quasi cinquevolte il nostro. Fino al caso limite del Niger, dove la ricchezza è di appena 1.080 euro pro ca-pite, ma la fecondità supera le 70 nascite per dieci donne.

Detto in termini più espliciti, da molti anni il numero delle nascite in Italia è inferiore a quellodelle morti; conseguentemente il saldo naturale è negativo. Nell’ultimo anno l’Italia ha avuto503 mila nascite e 598 mila morti. Senza gli immigrati, quindi, la popolazione italiana sarebbediminuita di quasi cento mila unità in un solo anno.

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Accanto al problema delle quantità c’è anche un problema di qualità dell’immigrazione (Fe-derico Fubini sul Corriere della Sera); l’Italia per vari motivi fa fatica ad attrarre gli stranieridi cui avrebbe più bisogno e cioè quelli più qualificati.

In realtà esiste un nesso preciso tra il livello d’istruzione degli immigrati e quello dei nativi.Quello che succede trova, infatti, una spiegazione anche nel fatto che l’Italia risulta l’ultimatra i 28 Paesi dell’Unione Europea per numero di laureati (25%) quando la Lituania ha il 58%di abitanti con una laurea. Sempre in Lituania soltanto il 6% degli adulti ha conseguito il di-ploma di scuola media inferiore, mentre in Italia si raggiunge il 41%.

Persino la legge sulla ricerca universitaria scoraggia l’immigrazione per chi vorrebbe venirenel nostro Paese, ad esempio, per frequentare un master.

E’ evidente che un maggiore livello di qualità degli immigrati migliorerebbe anche la capacitàd’integrazione. Tuttavia un dato già emerge; il tasso di sovraistruzione (la quota di occupaticon un titolo di studio superiore a quello che sarebbe necessario per il lavoro svolto) è del41% per gli stranieri e del 22% per gli italiani.

Come ricorda l’Osservatorio Statistico dell’Immigrazione dell’IDOS, la presenza degli immigratiè quanto mai positiva anche sotto l’aspetto previdenziale, perché assicura un copioso gettitocontributivo di circa 11 miliardi di euro l’anno a fronte di uscite per un importo assai modesto,data la giovane età, in media, degli occupati stranieri.

I numeri dell’immigrazione sono di solito sconosciuti o comunque non molto noti (Dossierstatistico immigrazione del Centro Studi IDOS); pochi, infatti, riflettono sul fatto che i cittadinistranieri residenti in Italia sono cinque milioni e 26 mila mentre gli italiani residenti all’esterosono 5 milioni e 200 mila. Riceviamo molti migranti e abbiamo molti migranti. Spesso lo di-mentichiamo.

Negli ultimi mesi si sta verificando un fatto nuovo; c’è una drastica riduzione degli immigrati;rispetto a luglio scorso, il mese di agosto ha segnato il 51% di arrivi in meno; rispetto adagosto dello scorso anno arriviamo a meno 85%. E’ un fatto positivo ma che nasconde unproblema.

La Spagna sta vedendo quadruplicare gli sbarchi dal Marocco sulle proprie coste, mentre sista aprendo una nuova rotta tra il Mar Nero e la Romania; per tacere che ci sono sempre tremilioni di rifugiati “parcheggiati” con i fondi europei ai confini della Turchia.

Non possiamo dimenticare che se oggi invochiamo una maggiore presenza dell’Europa, certonon possiamo negarla domani, quando i flussi migratori dovessero stabilmente prendereun’altra strada, diversa dall’Italia, per arrivare in Europa.

La spinta all’emigrazione non si fermerà; potrà registrare andamenti più o meno ondivaghi,ma il fenomeno ha radici profonde. La siccità, per fare un esempio, ha spinto alla fame trentamilioni di persone solo nel Sud Sudan, nel Corno d’Africa e nel bacino del lago Ciad, causando260 mila morti solo in Somalia.

Le strade verso la soluzione del problema migrazioni sono poche e tutte difficili; in una primafase di contenimento dei viaggi della speranza, bisognerebbe assicurarsi, anche sotto l’egidadell’ONU, che nei campi di accoglienza fossero garantiti i diritti umani. Tuttavia la soluzionedi medio-lungo periodo resta una sola: promuovere lo sviluppo e la crescita dell’economiaafricana che già in alcuni casi, peraltro non limitati, risulta brillante.

“I Paesi africani che tendenzialmente realizzeranno performance positive sono quelli coneconomie più diversificate e quelli con una minore dipendenza da singole risorse. Paesi comeKenya, Uganda, Rwanda, Tanzania, Costa d’Avorio e Mozambico avranno buoni livelli dicrescita, in particolare gli ultimi tre, che dovrebbero crescere a oltre il 7%. Queste sonoeconomie caratterizzate da un settore dei servizi forte, da un’internet penetration in rapidaespansione e da servizi finanziari sempre più accessibili a tutti” (Malick Badjie, Director &Head of Investment Solutions per Silk Invest, Repubblica).

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Negli ultimi 15 o 20 anni il continente africano ha registrato un periodo di crescita economicasostenuta, con tassi che spesso hanno superato il 5% per anno.

“Si prevede che la crescita economica dell’Africa nel 2016 sarà superiore di circa il 4% rispettoa molte altre aree emergenti e in via di sviluppo nel mondo. Anche se sta attraversando unperiodo di rallentamento, la Cina sta spendendo miliardi in Africa per accordi commerciali einvestimenti nel settore minerario e delle infrastrutture. La Cina e lo Zimbawe di recentehanno siglato accordi del valore di circa 4 miliardi di dollari, mentre il ministro del commerciocinese ha annunciato un fondo di 50 miliardi di dollari per l’industrializzazione dell’Africa”.

Sono solo alcuni esempi che confermano l’esistenza di un problema complesso; come pertutte le situazioni complesse non ci sono però soluzioni facili.

Gli immigrati non sono solo un problema di gestione e un costo; sono un’opportunità per mo-tivazioni demografiche, economiche, previdenziali. L’Africa rappresenta una grande opportu-nità di crescita e d’investimento; centinaia di milioni di giovani e di minori interpretano unacrescente domanda di consumi, cui il cosiddetto mondo industrializzato è chiamato a dareuna risposta sociale, economica e di sicurezza. Non è una questione di buonismo. E’ unaquestione di buon senso.

Non desidero e non posso portare il ragionamento sul terreno politico, ma mi sia consentitoricordare che certe facilonerie come i respingimenti in mare, al pari di altre come, ad esempio,il contrasto dei vaccini, rappresentano soluzioni politiche assai modeste che, inopportuna-mente, fanno leva sulle paure della gente ed in particolare di quella componente sociale menoattrezzata culturalmente, e non in grado quindi di valutare le parole in libertà di alcuni leaderpolitici italiani.

E’ curioso l’attacco polemico di alcune forze politiche, di alcuni ambienti iper garantisti epersino di talune ONG contro l’Italia, un Paese del quale in tutto il mondo si riconoscono l’im-pegno e la solidarietà con gli immigrati.

Di straordinario impatto è risultato in questo dibattito, spesso surreale, il contributo chiarifi-catore della Chiesa di Roma che ai suoi massimi livelli di rappresentanza politico-istituzionale,ha voluto testimoniare la necessità di conciliare sempre l’aiuto ai migranti con le ragioni deiPaesi ospitanti.

Il cardinale Reinhard Marx, presidente della conferenza episcopale tedesca e assai vicino aPapa Francesco, ha spiegato a chiare lettere che, a proposito dell’emergenza migranti, “nonsi tratta solo di misericordia, ma anche di ragione. La politica deve sempre concentrarsi sulpossibile e ci sono certamente dei limiti”.

Vorrei concludere il mio intervento con una bellissima ed efficace citazione. Come ha scrittoil grande economista John Kenneth Galbraith “le migrazioni sono la più antica azione di con-trasto alla povertà; selezionano coloro i quali desiderano maggiormente riscattarsi; sono utiliper il Paese che li riceve; aiutano a rompere l’equilibrio di povertà nel Paese di origine. Qualeperversione dell’animo umano – si chiedeva Galbraith – ci impedisce di riconoscere un ben-eficio tanto ovvio?”

Dott. Lelio Cusimano

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A N T I Q U A R I A T O

ARMONIE DELLA CASA

Via Mazzini 20, Palermo

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