Romualdo Lucchi, Le Diminuzioni Nell'Adagio Della Prima Sonata Per Violino Solo Di J.S.bach

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Romualdo Lucchi - Le “diminuzioni” nell’Adagio della prima sonata per violino solo di J.S.Bach La concezione ottocentesca, romantica, dell’opera musicale legava indissolubilmente la personalità dell’autore all’opera da lui scritta, alla sua personale “scrittura”. L’esaltazione dell’opera d’arte musicale come prodotto di alte individualità ed espressione di alti valori umani ed estetici, così come concepito dal credo romantico, portò progressivamente ad abbandonare quel tipo di interpretazione musicale costituita dall’introduzione da parte dell’interprete di variazioni personali, più o meno estemporanee, contribuendo alla progressiva scissione tra compositore e interprete, e alla cristallizzazione di questi due ruoli. Tuttavia, affrontando tutto il repertorio musicale che possediamo dal Cinquecento al Settecento, l’attuale interprete può appropriarsi di una prassi esecutiva che prevede un intervento importante dell’esecutore: l’arte della diminuzione. Riservata soprattutto al solista, l’arte della diminuzione era una prerogativa del virtuoso, dando la possibilità di valorizzare al meglio le personali caratteristiche di bravura. Ne abbiamo esempi anche in alcuni grandi dell’Ottocento, Liszt valga per tutti. La diminuzione, o arte di abbellire una interpretazione, era una consuetudine acquisita dagli interpreti, dal Cinquecento al Settecento; una prassi alla quale i giovani talenti venivano istruiti durante il percorso di studio della composizione musicale e dell’esecuzione allo strumento. Elementi fondamentali erano: l’uso del rubato nei movimenti lenti, la conoscenza di un repertorio di formule melodiche (abbellimenti e diminuzioni) da impiegare in vari contesti armonici e melodici, l’uso di disuguaglianze dei valori ritmici, il tutto per far sorgere nell’ascoltatore il senso del “meraviglioso”, o straniamento poetico (1). Al contrario di molti compositori a lui contemporanei, J.S.Bach scriveva tutto ciò che doveva essere suonato. Tuttavia non deve sfuggire all’interprete la possibilità di arricchire le parti musicali ripetute una seconda volta per via del ritornello (una peculiarità dell’esecutore da Concerto, il solista) (2) presenti, ad esempio, nelle sonate e suite bachiane. Modello per tutti i compositori della sua epoca e successivi, Bach offre in molte sue opere esempi scritti di una corretta diminuzione, facendone parte integrante dell’opera stessa. Così è per l’Adagio della prima sonata per violino solo, composta come le altre sonate e partite intorno al 1720. Come possiamo osservare, nell’Adagio bachiano (fig.1) le diminuzioni, pur collegando una armonia alla successiva, sono costituite da note facenti parte dell’ambito armonico precedente (3). Abbastanza inconsueto l’impiego dello strumento solista senza il continuo. Conoscendo come fosse prescritto, durante l’accompagnamento offerto dal continuo, che questi mantenesse costante l’andamento ritmico, mentre il solista era libero di variare l’agogica del brano (4), possiamo dedurre che Bach volesse svincolare l’esecutore dalla costante presenza di un indicatore ritmico-armonico e, nel contempo, assegnare allo strumento una completa autonomia espressiva. Quando scriverà sonate per violino e cembalo lo farà dando loro il carattere del duo, assegnando ai due strumenti valore paritario. L’indicazione Adagio, leggibile correttamente, ad-agio, quindi con libertà di andamento, ci suggerisce di interpretare con molta libertà (rubato) la conduzione agogica del brano. La presenza di tante diminuzioni non deve prefigurare un andamento lento. Le diminuzioni rimangono elementi virtuosistici,“decorativi”, anche se scritti, col senso di dare forza al valore di contrasto emotivo presente nella successione delle armonie, vero cardine strutturale del brano (5). E’, perciò, importante considerare le successioni armoniche come significative di vettori di movimento verso le cadenze. Ugualmente importante notare la presenza di una polifonia sottintesa, prevalentemente a tre voci. Un’esecuzione omogenea del rubato tra diminuzioni successive, costituite da gruppi di note di diversa durata prevede che non debba sentirsi la differenza tra gruppi di diversi valori, accelerando leggermente il moto se la diminuzione procede verso i valori più brevi o rallentandola impercettibilmente se il moto procede in senso opposto. Molto preciso è Bach nella scrittura dei valori delle diminuzioni, mentre le diminuzioni attribuite a Corelli negli Adagio delle sue sonate (fig.2, Adagio della sonata V op.5, Parte prima) sono scritte quasi sempre in gruppi di note quantitativamente irregolari. Essendo la prassi della diminuzione assai diffusa, agli interpreti non piaceva leggere le diminuzioni di altri, nelle edizioni stampate, fossero state pure dell’autore stesso. L’editore londinese John Walsh dopo la prima edizione (1710-1711) contenente le “graces” negli Adagio delle sonate corelliane, le omise del tutto nelle sue edizioni successive, forse testimoniando un interesse puramente documentario sulla diminuzione che doveva rimanere legata all’improvvisazione, come caratteristica peculiare di ogni interprete.

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Romualdo Lucchi - Le “diminuzioni” nell’Adagio della prima sonata per violino solo di J.S.Bach La concezione ottocentesca, romantica, dell’opera musicale legava indissolubilmente la personalità dell’autore all’opera da lui scritta, alla sua personale “scrittura”. L’esaltazione dell’opera d’arte musicale come prodotto di alte individualità ed espressione di alti valori umani ed estetici, così come concepito dal credo romantico, portò progressivamente ad abbandonare quel tipo di interpretazione musicale costituita dall’introduzione da parte dell’interprete di variazioni personali, più o meno estemporanee, contribuendo alla progressiva scissione tra compositore e interprete, e alla cristallizzazione di questi due ruoli. Tuttavia, affrontando tutto il repertorio musicale che possediamo dal Cinquecento al Settecento, l’attuale interprete può appropriarsi di una prassi esecutiva che prevede un intervento importante dell’esecutore: l’arte della diminuzione. Riservata soprattutto al solista, l’arte della diminuzione era una prerogativa del virtuoso, dando la possibilità di valorizzare al meglio le personali caratteristiche di bravura. Ne abbiamo esempi anche in alcuni grandi dell’Ottocento, Liszt valga per tutti. La diminuzione, o arte di abbellire una interpretazione, era una consuetudine acquisita dagli interpreti, dal Cinquecento al Settecento; una prassi alla quale i giovani talenti venivano istruiti durante il percorso di studio della composizione musicale e dell’esecuzione allo strumento. Elementi fondamentali erano: l’uso del rubato nei movimenti lenti, la conoscenza di un repertorio di formule melodiche (abbellimenti e diminuzioni) da impiegare in vari contesti armonici e melodici, l’uso di disuguaglianze dei valori ritmici, il tutto per far sorgere nell’ascoltatore il senso del “meraviglioso”, o straniamento poetico (1). Al contrario di molti compositori a lui contemporanei, J.S.Bach scriveva tutto ciò che doveva essere suonato. Tuttavia non deve sfuggire all’interprete la possibilità di arricchire le parti musicali ripetute una seconda volta per via del ritornello (una peculiarità dell’esecutore da Concerto, il solista) (2) presenti, ad esempio, nelle sonate e suite bachiane. Modello per tutti i compositori della sua epoca e successivi, Bach offre in molte sue opere esempi scritti di una corretta diminuzione, facendone parte integrante dell’opera stessa. Così è per l’Adagio della prima sonata per violino solo, composta come le altre sonate e partite intorno al 1720. Come possiamo osservare, nell’Adagio bachiano (fig.1) le diminuzioni, pur collegando una armonia alla successiva, sono costituite da note facenti parte dell’ambito armonico precedente (3). Abbastanza inconsueto l’impiego dello strumento solista senza il continuo. Conoscendo come fosse prescritto, durante l’accompagnamento offerto dal continuo, che questi mantenesse costante l’andamento ritmico, mentre il solista era libero di variare l’agogica del brano (4), possiamo dedurre che Bach volesse svincolare l’esecutore dalla costante presenza di un indicatore ritmico-armonico e, nel contempo, assegnare allo strumento una completa autonomia espressiva. Quando scriverà sonate per violino e cembalo lo farà dando loro il carattere del duo, assegnando ai due strumenti valore paritario. L’indicazione Adagio, leggibile correttamente, ad-agio, quindi con libertà di andamento, ci suggerisce di interpretare con molta libertà (rubato) la conduzione agogica del brano. La presenza di tante diminuzioni non deve prefigurare un andamento lento. Le diminuzioni rimangono elementi virtuosistici,“decorativi”, anche se scritti, col senso di dare forza al valore di contrasto emotivo presente nella successione delle armonie, vero cardine strutturale del brano (5). E’, perciò, importante considerare le successioni armoniche come significative di vettori di movimento verso le cadenze. Ugualmente importante notare la presenza di una polifonia sottintesa, prevalentemente a tre voci. Un’esecuzione omogenea del rubato tra diminuzioni successive, costituite da gruppi di note di diversa durata prevede che non debba sentirsi la differenza tra gruppi di diversi valori, accelerando leggermente il moto se la diminuzione procede verso i valori più brevi o rallentandola impercettibilmente se il moto procede in senso opposto. Molto preciso è Bach nella scrittura dei valori delle diminuzioni, mentre le diminuzioni attribuite a Corelli negli Adagio delle sue sonate (fig.2, Adagio della sonata V op.5, Parte prima) sono scritte quasi sempre in gruppi di note quantitativamente irregolari. Essendo la prassi della diminuzione assai diffusa, agli interpreti non piaceva leggere le diminuzioni di altri, nelle edizioni stampate, fossero state pure dell’autore stesso. L’editore londinese John Walsh dopo la prima edizione (1710-1711) contenente le “graces” negli Adagio delle sonate corelliane, le omise del tutto nelle sue edizioni successive, forse testimoniando un interesse puramente documentario sulla diminuzione che doveva rimanere legata all’improvvisazione, come caratteristica peculiare di ogni interprete.

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Nota 1 Una bibliografia essenziale per un approccio alla prassi esecutiva barocca può essere costituita dai seguenti testi: J.J.Quantz, 1752, Trattato sul flauto traverso, a cura di Sergio Balestracci, Libreria Musicale Italiana Editrice; Carl Philipp Emanuel Bach, Saggio di metodo per la tastiera, 1753, a cura di Gabriella Gentili Verona, Edizioni Curci; Arnold Dolmetsch, 1915, L’interpretazione della musica dei secoli XVII e XVIII, a cura di Luca Ripanti, Polyhymnia; Leopold Mozart, 1787, Scuola di Violino, a cura di Giovanni Pacor e Gloria Giliberti, Editore Geroglifico; Giulio Caccini, 1601, Le nuove musiche, S.P.E.S. Editrice; Girolamo Frescobaldi, 1637, Prefazione al Primo libro di Partite e toccate, S.P.E.S. Editrice; Italian Diminution, The pieces with more than one diminution from 1553 to 1638, edited by Richard Erig and Veronica Gutman, Amadeus Verlag, 1979. Nota 2 “L’allegro non vuole molte volontarie mutazioni (diminuzioni), poiché è composto spesse volte di un canto, e di passaggi, in cui gli ornamenti non hanno che fare. Ma se si vorrà farvi qualche mutamento convien farlo non prima che al ritornello, ciò che può farsi più propriamente in un Solo, ove l’allegro ha due ripetizioni”. (J.J.Quantz, 1752, Trattato sul flauto traverso, a cura di Sergio Balestracci, Libreria Musicale Italiana Editrice, pag.160) Nota 3 Gran parte dei trattatisti insegna la diminuzione come modo di riempire o fiorire un dato intervallo. Personalmente ritengo che, data una pregressa sufficiente conoscenza dell’armonia come fatto acustico e della tecnica del proprio strumento, sia utile esercitarsi eseguendo un accordo e suonando subito dopo un disegno melodico a valori brevi tenendo in mente la composizione armonica dell’accordo suonato precedentemente. Per una applicazione ai brani convien tenere presenti le parole di Carl Philipp Emanuel Bach: “A certe melodie semplici, talvolta possono essere apportate variazioni molto vivaci e viceversa, ovviamente, dopo matura riflessione. Si deve tener presente lo svolgimento precedente e quello seguente della composizione: avere cioè una visione dell’intero pezzo, per mantenere l’equilibrio tra brillante e semplice, tra focoso e languido, tra triste, gaio e cantabile, esaltando tutte le caratteristiche dello strumento”. (Carl Philipp Emanuel Bach, Saggio di metodo per la tastiera, 1753, a cura di Gabriella Gentili Verona, Edizioni Curci, pag.158) Nota 4 “Se colui che accompagna non avrà fermezza nella misura, e che si lascerà in oltre portare, o strascicare nel Tempo rubato, quando ‘l suonatore della parte principale ritarda alcune note per dare ciò facendo grazia alla esecuzione, ovvero spigne la misura, allorache la nota, che siegue, viene anticipata, essendo posta in vece di una pausa, potrà in tal contingenza non solo smarire quello, ‘l quale suona ‘l Solo, ma anche fargli nascere diffidanza per tutto ‘l restante del pezzo, così che ‘l migliore Musico perde ‘l coraggio di formare abbellimenti arditi temendo che non partoriscano buono esito”. (J.J.Quantz, 1752 Trattato sul flauto traverso, a cura di Sergio Balestracci, Libreria Musicale Italiana Editrice, pag.292) “Nel rubato le voci (le diverse parti strumentali o vocali) cadono ben di rado contemporaneamente in battere…Eccettuata la voce più acuta, tutte le altre devono essere eseguite rigorosamente in tempo, altrimenti il rubato si snatura…Chi suona strumenti a tastiera, dovendo provvedere anche all’accompagnamento, incontra maggior difficoltà di qualsiasi cantante e di altri strumentisti…L’esecuzione dovrà essere tale da dare l’impressione che una mano suoni aritmicamente e l’altra perfettamente a tempo”. (Carl Philipp Emanuel Bach, Saggio di metodo per la tastiera, 1753, a cura di Gabriella Gentili Verona, Edizioni Curci, pag.155) Nota 5 “Intanto si può osservare che in generale le dissonanze si suonano più forte delle consonanze, perché le prime mettono in risalto le emozioni e le altre le smorzano. In una frase, un sentimento particolare destinato a suscitare una emozione violenta va suonato forte. Quindi le cosiddette cadenze d’inganno si suoneranno generalmente forte, perché sono quasi sempre introdotte a questo scopo.” (Carl Philipp Emanuel Bach, Saggio di metodo per la tastiera, 1753, a cura di Gabriella Gentili Verona, Edizioni Curci, pag.156) “Per rendere ciò più chiaro, voglio dare uno esempio delle Dissonanze, di cui ho parlato, e della differenza della loro espressione, in riguardo alla moderatezza e al raddoppiamento della forza del tuono … da questa vedrassi, che alloraquando si vuole esprimere bene le passioni, è cosa necessarissima nella esecuzione, di formare con esatezza’l Piano, ed il Forte … Io divido in tre Classi come ho di sopra sempre detto, per maggior chiarezza, le Dissonanze in riguardo ai loro effetti, ed alla maniera, con cui bisogna toccarle. Io do a conoscere la prima classe col mezzo forte, la seconda col forte e la terza col fortissimo. Si potrà principiare dalla prima classe, cioè dal mezzo forte: La Seconda colla Quarta, La Quinta colla Sesta maggiore, La Sesta maggiore con la Terza minore, La Settima minore con la Terza minore, La Settima maggiore. Quelle, che risguardano la seconda classe, cioè’l forte sono: La Seconda colla Quarta superflua (eccedente), La Quinta falsa (diminuita) con la Sesta minore, Le note, che sono contate nella terza classe, vale a dire nel fortissimo, sono: La Seconda superflua (eccedente),con la Quarta superflua (eccedente), La Terza minore con la Quarta superflua (eccedente), La Quinta falsa (diminuita) colla Sesta maggiore, La Sesta superflua (eccedente), La Settima diffettosa (diminuita), La Settima maggiore con la Seconda, e con la Quarta”. (J.J.Quantz, 1752 Trattato sul flauto traverso, a cura di Sergio Balestracci, Libreria Musicale Italiana Editrice, pag.295-6)

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J.S.Bach – Adagio dalla prima sonata per violino solo (battute iniziali)

(dal facsimile dell’autografo bachiano riprodotto nell’edizione delle Sei sonate e Partite della International Music Company)

(dalle Sonate per violino e Sonate in trio, Edizione Dover)

Fig.2 A.Corelli - Sonata V (primo movimento, battute iniziali)

Fig.1