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Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare NEOS AUGUSTO PIETRO CASANI GIORGIO GUIDETTI MARCO MANFRIN ALDO MESSINA

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Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategienella clinica dei disturbi audio-vestibolari

di natura vascolare

NEOS

AUGUSTO PIETRO CASANIGIORGIO GUIDETTI MARCO MANFRIN ALDO MESSINA

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Titolo dell’operaNEOSNuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinicadei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare

AUTORI/EDITORS Augusto Pietro CasaniDipartimento Neuroscienze, Sezione ORL, Università degli Studi di PisaGiorgio GuidettiServizio di Audio-Vestibologia e Rieducazione Vestibolare, Azienda USL di Modena, Ospedale Ramazzinidi Carpi (MO)Marco ManfrinSezione di Clinica Otorinolaringoiatrica - Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Rianimatorie-Riabilitative e dei Trapianti d’Organo, Fondazione IRCCS Policlinico “San Matteo” e Università di PaviaAldo MessinaAmbulatorio di Otoneurologia - Unità Operativa di Audiologia, A.U.O. Policlinico “Paolo Giaccone” diPalermo

CO-AUTORINiccolò Cerchiai Dipartimento Neuroscienze, Sezione ORL, Università degli Studi di PisaPaola LenziDipartimento di Morfologia Umana e Biologia Applicata, Università degli Studi di Pisa Antonio PaparelliDipartimento di Morfologia Umana e Biologia Applicata, Università degli Studi di Pisa

ISBN 978-88-8204-162-5

L’opera è stata resa possibile grazie al contributo non condizionante di ALFAWASSERMANN S.p.A.

Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta o conservata inun sistema di recupero o trasmessa in qualsiasi forma, o con qualsiasi sistema elettronico, meccanico, permezzo di fotocopie, registrazioni o altro, senza un’autorizzazione scritta da parte dell’Editore.

© 2011 by MEDISERVE S.r.l.Milano – [email protected]

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III

INTRODUZIONELa vertigine vascolare: razionale diagnostico e terapeutico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1

Giorgio Guidetti

CAPITOLO 1Anatomia del circolo posteriore e correlazioni con il circolo anteriore . . . . . . . . . . . . . . . 9

Antonio Paparelli, Paola Lenzi, Niccolò Cerchiai, Augusto Pietro Casani

CAPITOLO 2La barriera emato-labirintica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19

Marco Manfrin

CAPITOLO 3 Fisiologia del microcircolo e dell’endotelio: una nuova finestra sulla patologia vestibolare. . . . 29

Augusto Pietro Casani

CAPITOLO 4La semeiotica del deficit labirintico su base vascolare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63

Marco Manfrin

CAPITOLO 5La sordità centrale: tra Gestalt e Working Memory . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73

Aldo Messina

CAPITOLO 6Il rischio della ototossicità farmacologica. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95

Giorgio Guidetti

CAPITOLO 7Lo stress ossidativo nel danno cocleare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 115

Giorgio Guidetti

CAPITOLO 8Le scelte terapeutiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 123

Giorgio Guidetti

APPENDICEI. Farmaci Vascolari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 135II. Inquadramento Clinico-Diagnostico del TIA - SPREAD 2010. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 155

SOMMARIO

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VERTIGINI E DISEQUILIBRIO:UNA SINTOMATOLOGIA ETEROGENEA

La vertigine ed i disturbi dell’equilibrio rappre-sentano una delle più comuni cause di richiesta divisita medica. Dopo il dolore, la vertigine acuta èil sintomo (spesso estremamente invalidante) chepiù frequentemente determina l’accesso alPronto Soccorso e risulta al terzo posto tra i qua-dri clinici che richiedono l’intervento del neurolo-go, dopo la patologia cerebro-vascolare e lecefalee. Essi costituiscono però anche una dellecause più frequenti di ripetuto consulto ambula-toriale, soprattutto per le forme cronicizzate.

Varie analisi epidemiologiche dimostrano chela prima valutazione del paziente vertiginosospetta nove volte su dieci al medico di MedicinaGenerale e, tra gli specialisti, all’otorinolaringoia-tra, rispecchiando la maggior frequenza di “verti-gini di tipo labirintico”. Il sintomo vertiginoso vieneinfatti riferito in circa il 5% delle prestazioni ambu-latoriali di base e nel 15-20% delle consultazionispecialistiche ORL.

Tuttavia, la varia sintomatologia associata e ladiversa percezione soggettiva del fenomeno ver-tiginoso chiamano spesso in causa anche altrispecialisti, quali il neurologo, il cardiologo, l’an-giologo, l’ortopedico, il fisiatra, lo psicoterapeutao lo stomatologo. In questo modo si finisce spes-

so per coinvolgere il paziente in un lungo edispendioso iter diagnostico che non sempreporta in tempi accettabili alla giusta diagnosi eterapia.

Il problema interpretativo nasce in genere dauna scarsa abitudine ad una classificazione cor-retta di questo tipo di problema.

La vertigine propriamente detta è unicamen-te la falsa sensazione di movimento (general-mente di tipo rotatorio, a volte traslatorio) del-l’ambiente circostante rispetto al proprio corpo(vertigine oggettiva) o di quest’ultimo rispettoall’ambiente (vertigine soggettiva). Per altri sin-tomi, simili ma non identici, occorre utilizzarealtri termini, per non ingenerare pericolosi frain-tendimenti.

In realtà, “vertigine”, “disequilibrio”, “instabilità”, “capogiro”, “sensazione di svenimento o dimancamento”, “testa leggera o pesante” sonotermini utilizzati dai pazienti indifferentemente perdescrivere tutta la vasta gamma eterogenea dialterazioni dell’equilibrio, accompagnate o menoanche da sintomatologia uditiva, neurovegetativao neurologica di entità variabile.

L’eterogeneità della sintomatologia dell’equili-brio è giustificata dalle numerose e differenti pos-sibilità di coinvolgimento della complessa rete diorgani e vie nervose interagenti nella funzione del-l’equilibrio. L’ equilibrio, il vero sesto senso del-

Introduzione

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LA VERTIGINE VASCOLARE: RAZIONALE DIAGNOSTICO E TERAPEUTICO

Giorgio Guidetti

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Tabella 1. Il modello funzionale del sistema dell’equilibrio

l’uomo, è infatti garantito da un “sistema com-plesso” il cui organo principale è il labirinto vesti-bolare, ma che integra a livello cerebrale le infor-mazioni provenienti anche dai sensori visivi e pro-priocettivi, attuando una sofisticata organizzazio-ne neuro-fisiologica di riflessi segmentari e siner-gie che coinvolge centri nervosi posti nel midollospinale, nel tronco encefalico, nel cervelletto, neltalamo, nel sistema limbico e nella cortecciacerebrale per dare vita alla strategia finale di man-tenimento di un giusto rapporto uomo/ambiente.

Questo rapporto è infatti il mezzo grazie alquale l’uomo può mantenere in qualsiasi condi-zione ambientale un corretto orientamento spa-zio-temporale, il controllo visivo dell’ambiente,una corretta postura statica e dinamica, normalifunzioni neurovegetative e la sensazione dibenessere anche psicologico.

Secondo un modello interpretativo di tipocibernetico potremmo definire l’equilibrio comeun insieme di sottosistemi sensoriali (visivo, pro-priocettivo e vestibolare) connessi in un “tutto”,dove le varie informazioni sensoriali vengono, inogni istante, elaborate e trasferite al sistemamuscolare e neurovegetativo per dare vita arisposte automatiche e volontarie, condizionate

anche dalle esperienze precedenti e dallo statoemozionale (Tabella 1).

Il corretto funzionamento dell’apparato vesti-bolare è fondamentale per la funzione e trae ori-gine dai diversi recettori labirintici altamente spe-cializzati nell’analizzare le accelerazioni rotatorie(creste dei tre canali semicircolari) e lineari (macu-le dell’utricolo e del sacculo) della testa e delcorpo. I recettori delle creste dei canali semicirco-lari vengono attivati dal movimento dell’endolinfa,mentre le macule dell’utricolo e del sacculo dallospostamento degli otoliti in relazione alla forza digravità. Tali impulsi vengono trasportati attraversole porzioni vestibolari dell’ottavo paio dei nervicranici fino ai nuclei vestibolari del tronco, al cer-velletto e ai centri superiori (talamo, sistema lim-bico e corteccia cerebrale in toto, ma particolar-mente quella destra, soprattutto nella cosiddettacorteccia vestibolare multisensoriale).

Gli impulsi visivi provenienti dalla retina sonoimportanti per valutare la situazione ambientalee per stabilizzare lo sguardo durante i movi-menti degli oggetti circostanti. Gli impulsi pro-venienti dai propriorecettori articolari e musco-lari sono essenziali per analizzare la condizioneposturale.

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STRUTTURA FUNZIONESensori Periferici Informazione sensore-specifica

Sistema Nervoso Centrale

Riconoscimento dei singoli input

Modulazione

Integrazione

Riconoscimento dell’insieme degli input integrati

Valutazione dell’esperienza (piacevole, pericolosa, ecc.)

Programmazione delle risposte automatiche e volontarie

Coscienza della situazione

Adattamento alle nuove situazioni

Memorizzazione dell’esperienza

Organi Periferici Effettuazione dei programmi automatici e volontari

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La disfunzione di una qualsiasi componentedi questa rete neuronale, sia a livello periferi-co che centrale, è in grado di provocare undisturbo dell’equilibrio, che avrà naturalmentecaratteristiche diverse per ciascuna sede dilesione.

Orientarsi nel labirinto delle ipotesi diagnostiche

La notevole variabilità dei quadri clinici caratte-rizzati dall’insorgenza di una sindrome vertiginosa,sia in acuto che in cronico, rende spesso la tasso-nomia delle vertigini un autentico “labirinto clinico”.

I disturbi dell’equilibrio possono infatti rappre-sentare la prima espressione di processi morbosimolto diversi – sistemici, neurologici, otologici,osteo-artro-muscolari, visivi, psicopatologici – edi diversa gravità.

Sintomi abbastanza simili possono inoltreessere provocati da cause molto diverse e ciòimplica una difficoltà nell’inquadramento diagno-stico e, di conseguenza, nella scelta della terapia.• Le vertigini possono essere acute, di breve

durata e spesso a carattere occasionale,oppure ricorrenti, croniche, periodiche. Ladurata delle manifestazioni acute può variareda pochi secondi ad intere settimane.

• La vertigine può associarsi a sintomi di tiponeurovegetativo (senso di nausea, vomito,tachicardia), oppure di tipo otologico, qualiipoacusia, acufeni, senso di pienezza o pres-sione endoauricolare (fullness), oppure puòcoesistere con segni neurologici più o menofocali, quali turbe della coordinazione del movi-mento o deficit di più nervi cranici, tremori,dismetria, cefalea.

• Una vertigine può insorgere spontaneamente oessere scatenata da determinati movimenti oposizioni del capo o del corpo.Per l’interpretazione topo-diagnostica risulta

fondamentale la distinzione tra la vera vertiginerotatoria (legata generalmente ad una patologiavestibolare periferica) ed i sintomi più aspecificidi disequilibrio (“dizziness” degli Autori anglo-sassoni) come la sensazione di sbandamento,lateropulsione, incertezza o instabilità durante lamarcia, lipotimia, sensazione di “testa vuota” edi svenimento imminente, oscillopsia, sincopi,cadute.

In ambito clinico, è di uso comune la suddivi-sione delle patologie vestibolari propriamentedette in base alle caratteristiche di insorgenza e dievoluzione.

Vi sono infatti patologie caratterizzate da crisiricorrenti (Malattia di Menière, Vertigini parossisti-che posizionali da labirintolitiasi, Fistola labirinti-ca, Deiscenza canalare superiore, Vertigine emi-cranica), altre con episodio unico acuto(Neuronite virale, Labirintite otogena, Ictus labi-rintico, Fratture della rocca petrosa, Ototossicitàda farmaci) anche se talora caratterizzate dasuccessivi episodi di scompenso. In alcuni casi,infatti, i meccanismi fisiologici di compenso e diadattamento centrale alla patologia non sono deltutto efficaci e si possono avere sintomi cronici ericorrenti più aspecifici che ricordano le patologiecentrali.

L’efficacia degli indirizzi terapeutici dipendemolto dalla precisione diagnostica: è, infatti,l’identificazione dei meccanismi eziopatoge-netici della vertigine, che può indirizzare lascelta di una terapia il più possibile mirata.

La diagnosi eziologica delle vertigini è peròcomplessa, perché, come già illustrato, comples-sa è la rete neuronale che sovraintende alla funzio-ne dell’equilibrio, vari sono gli organi interessati eche possono provocarne una disfunzione e altret-tanto numerose sono le possibili cause di patolo-gia di ciascuno di questi elementi del sistema.

LA VERTIGINE VASCOLARE: RAZIONALE DIAGNOSTICO E TERAPEUTICO

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La ricerca di specifici fattori eziopatogeneticipuò richiedere uno studio multidisciplinare, checomporta il coinvolgimento di diverse specialità especifiche competenze e l’impiego di esami clini-ci e strumentali specialistici. Tuttavia, resta fonda-mentale l’approccio clinico al paziente vertigino-so. Per poter valutare il ruolo delle diverse possi-bili cause di vertigine ed individuare singoli setto-ri disciplinari di approfondimento, l’attenzione delmedico deve concentrarsi in prima battuta sullainterpretazione dei sintomi riferiti dai pazienti e deisegni clinici non strumentali, rilevabili mediantemanovre semeiologiche praticabili al letto delpaziente (bedside examination), nel contesto delquadro anamnestico e delle disfunzioni eviden-ziate all’esame clinico.

L’attenzione all’anamnesi, ai sintomi conco-mitanti e a quelli pregressi diventa ancor piùfondamentale quando si ipotizza un’eziologiavascolare del disturbo.

I meccanismi patogenetici potenzialmente ingrado di provocare danni di tipo vascolare alsistema nervoso centrale o al labirinto sono daricercare tra le numerose possibili cause di altera-zione dell’emodinamica della microcircolazionecerebrale che, compromettendo l’autoregolazio-ne del flusso, non consentono un adeguatoapporto di ossigeno e nutrienti ai tessuti, ed i fat-tori trombogenetici (Figura 1). • L’esclusione di altre cause e la documentazio-

ne del meccanismo patogenetico specificorichiedono poi il riscontro dei markers tipici diognuna delle eziologie sospettate.

• In tal senso risultano utili anche strumenti dia-gnostici quali l’eco-color-doppler dei tronchisovra-aortici e la diagnostica per immagini,associata o meno ad angiografia.La concordanza di elementi è determinante per

giudicare la responsabilità di una lesione vascola-re, in quanto, specialmente nelle persone anziane,coesistono spesso più elementi lesionali.

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Figura 1. Meccanismi patogenetci nelle vertigini vascolari.

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In caso di sospetto diagnostico ristretto alsolo microcircolo terminale labirintico, l’ezio-logia vascolare rimane comunque spesso piùun’ipotesi che una certezza “documentabilevisivamente” e la diagnosi viene sostenutasolo dai dati anamnestici e dai markers biou-morali e neuroradiologici.

Data la complessità del problema, l’esigenza diuna strategia diagnostico-terapeutica o di una verae propria linea guida per i disturbi dell’equilibrio dinatura vascolare è avvertita da tempo. Nel 2001Tirelli e collaboratori sottolineavano l’importanza diuna terapia impostata su base eziologica (rispostapositiva nel 69% dei casi entro il primo mese ditrattamento) e, in un successivo studio retrospetti-vo del 2004, rilevavano l’assenza di diagnosi ezio-logica in 1039 su 1975 casi di dizziness, di cui oltreil 40% sarebbero stati inquadrabili come “vascola-ri” utilizzando una flow-chart diagnostica ad hoc.

Nel 2005 una Consensus Conference nazio-nale tenutasi a Modena sui criteri diagnostici dellavertigine vascolare ha sottolineato l’utilità del pro-tocollo diagnostico-terapeutico per le vertiginivascolari elaborato nell’ambito dello studioVascVert, indagine retrospettiva condotta supazienti con sindrome vertiginosa di verosimileorigine vascolare (Figura 2).

L’esperienza dello studio VascVert ha suggeritoun percorso diagnostico basato sull’identificazionedei fattori di rischio cardiovascolare (Figura 3) edha evidenziato l’importanza di una terapia causalenon solo ad azione antiaggregante, specialmentenei pazienti a basso e medio rischio trombotico.

I farmaci eparinoidi (es. Sulodexide) sono risul-tati infatti particolarmente efficaci grazie ad unmeccanismo d’azione più complesso e che vero-similmente consente di affrontare in modo piùspecifico e personalizzato alcuni tra i vari possibilimeccanismi implicati nell’ eziopatogenesi dellevertigini vascolari.

VascVert: studio epidemiologico policentricoitaliano sulla vertigine vascolare

Nello studio VascVert sono stati coinvolti 46Centri italiani di Vestibologia, con il coordina-mento del Servizio di Vestibologia eRieducazione Vestibolare dell’ Azienda USL diModena. La casistica considerata, inerente alperiodo luglio 2002-febbraio 2006, è stata di315 pazienti ambulatoriali con disturbi cronicidell’equilibrio (44,1% di sesso maschile, 55,9%di sesso femminile), di età compresa tra i 41 e i94 anni (età media: 66 anni).

Nell’indagine retrospettiva, condotta supazienti con sindrome vertiginosa di verosimileorigine vascolare, sono stati valutati le caratte-ristiche della vertigine, la sua evoluzione e glieffetti dei trattamenti adottati: antitrombotico(sulodexide) e antiaggregante (aspirina, ticlopi-dina) (Figura 4).

L’eziologia vascolare è stata dedotta da:1. Rilevazione anamnestica di almeno tre dei

fattori di rischio cardiovascolari seleziona-ti: eventi cerebro-vascolari, patologiacarotidea, cardiopatia ischemica, diabetemellito, ipertensione arteriosa, arteriopatiaperiferica, familiarità per patologia vasco-lare, fumo, consumo di alcool, obesità,fibrinogenemia >350 mg/dL, ipertrigliceri-demia (>180 mg/dL) ed ipercolesterolemia(>220 mg/dL).

I fattori di rischio più rappresentati sono stati:ipertensione arteriosa (71,7%), ipercolestero-lemia (64,1%), patologia carotidea (45,7%) efamiliarità per malattie cardiovascolari(59,7%).

2 Chiara positività per patologia vascolare dialmeno uno dei seguenti esami: eco-Doppler dei vasi sovra-aortici, TC o RMcerebrale.

LA VERTIGINE VASCOLARE: RAZIONALE DIAGNOSTICO E TERAPEUTICO

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Figura 2. Protocollo diagnostico-terapeutico realizzato in base ai risultati dello studio VascVert (Guidetti, Otolaringol 2005).

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LA VERTIGINE VASCOLARE: RAZIONALE DIAGNOSTICO E TERAPEUTICO

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Figura 3. Prevalenza dei fattori di rischio cerebrovascolari nella popolazione generale e nel campione di pazienti dello studio VascVert(Guidetti, Otolaringol 2005).

Figura 4. Miglioramento della maggioranza dei parametri clinici nel campione di pazienti dello studio VascVert dopo due mesi di trat-tamento causale (sia antitrombotico sia antiaggregante). Vertigine e instabilità migliorano in modo statisticamente significativo conentrambi i trattamenti: * P<0,001 (Guidetti, Otolaringol 2005).

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Sono stati valutati gli effetti del trattamento didue mesi con farmaco antitrombotico (sulodexi-de) o antiaggregante (aspirina, ticlopidina).

I trattamenti antiaggregante e antitrombotico,insieme considerati, dopo due mesi di terapia,hanno determinato (Figura 4):• riduzione significativa dei casi di vertigine

(dal 90% al 61,1%) e di instabilità (da 88,9%

a 54%); • ridotta incidenza dei sintomi neurovegetativi

(da 45,7% a 20,6%), cefalea (da 34,6% a19,7%) e miglioramento nei test di bedsideexamination: test di Unterberger (da 17,1% a7,3%), head shaking test (da 23,5% a 9,5%),prova indice-naso (da 4,8% a 2,2%), nistag-mo spontaneo (da 15,9% a 4,4%).

NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare

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BIBLIOGRAFIA

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– Guidetti G. La vertigine vascolare: elementi anamnestico-clinici di sospetto diagnostico. Otoneurologia 2000

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56.– Tirelli G, Meneguzzi C. Orientamento clinicodiagnostico sulla vertigine da causa vascolare. Otorinolaringol

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IL CIRCOLO CEREBRALE ARTERIOSO

Le strutture encefaliche nella fossa cranicaanteriore e media vengono irrorate da rami dell’ar-teria carotide interna (territorio arterioso della caro-tide), le strutture nella fossa cranica posteriore darami dell’arteria vertebrale o dell’arteria basilare cheha origine dall’unione delle due arterie vertebrali(territorio arterioso vertebro-basilare) (Figura 1).

Territorio di irrorazione della carotide e territo-rio arterioso vertebro-basilare sono collegati traloro mediante un circolo arterioso, il poligono diWillis; grazie ad esso in molti casi una parzialeocclusione può essere compensata da un altrovaso (formazione di anastomosi: importante nelcaso di stenosi delle arterie).

Poligono di WillisLe due arterie vertebrali (che nascono dalla

succlavia) giungono all’interno del cranio attraver-so il forame magno e si fondono a livello del clivioper formare l’arteria basilare impari. Da questa ori-ginano poi le arterie cerebrali posteriori (Figura 2).

L’arteria cerebrale media costituisce il prolun-gamento diretto della carotide interna.

Varianti del circolo arterioso cerebraleI collegamenti vascolari all’interno del circolo

arterioso sono soggetti a notevole variabilità ana-

tomica, potendo presentare conformazioni anchemolto diverse da individuo ad individuo.1. Nel 40% dei casi, il circolo arterioso è forma-

to dalle seguenti arterie: a. comunicante ante-riore, a. cerebrale anteriore, a. cerebrale

Capitolo 1

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ANATOMIA DEL CIRCOLO POSTERIORE ECORRELAZIONI CON IL CIRCOLO ANTERIORE

Antonio Paparelli, Paola Lenzi, Niccolò Cerchiai, Augusto Pietro Casani

Figura 1. Diagramma del circolo cerebrale.

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media, a. carotide interna, a. comunicanteposteriore, a. cerebrale posteriore, a. basilare.

2. L’a. comunicante anteriore è assente nell’1%dei casi.

3. Entrambe le aa. cerebrali anteriori hanno origi-ne da un’a. carotide interna (10% dei casi).

4. L’a. comunicante posteriore è monolaterale,ipoplastica o addirittura non presente (10%dei casi).

5. L’a. comunicante posteriore si presenta bilate-ralmente, ipoplasica o manca del tutto (10%dei casi).

6. L’a. cerebrale posteriore origina monolateral-mente dall’a. carotide interna (10% dei casi).

7. L’a. cerebrale posteriore ha origine bilateral-mente dall’a. carotide interna (5% dei casi).

VASCOLARIZZAZIONEDELL’ORECCHIO INTERNO

L’orecchio interno comprende il labirintoosseo, una complessa serie di cavità della pirami-de del temporale e il labirinto membranoso, che è

contenuto in esso ed è formato da un sistema divescicole e condotti membranosi, tra loro comu-nicanti.

ArterieÈ interessante notare come una struttura così

piccola, come la rocca petrosa, riceva molteplicirami arteriosi di diversa origine, sia intracranici,derivanti dalla carotide interna e dall’arteria basi-lare, sia extracranici, di pertinenza invece dellacarotide esterna.

L’arteria basilare deriva dalla confluenza dellearterie vertebrali (destra e sinistra) che a loro voltatraggono origine dall’arteria succlavia. L’arteriabasilare, nella sua porzione inferiore, dà origineall’arteria cerebellare inferiore anteriore (AICA),responsabile principale dell’apporto di sangue allabirinto membranoso in quanto vaso di originedell’arteria uditiva interna (AUI) o arteria labirintica(Figura 3).

L’origine dell’AUI è stata negli anni ampiamen-te discussa in letteratura: mentre alcuni Autoriammettono che essa possa generarsi solo comeramo dell’arteria cerebellare inferiore anteriore(AICA) all’interno della cavità cranica, altri neammettono una possibile origine anche comeramo indipendente direttamente dall’arteria basi-lare. I dati più recenti sembrano comunque esclu-dere un’origine diretta dall’arteria basilare. In par-ticolare, dagli studi di Mazzoni negli anni ’70emerge come l’AUI derivi invariabilmentedall’AICA (o dall’AICA accessoria), la quale (inalcuni casi una sua collaterale) dopo un decorsoin direzione laterale e dorsale, prima di raggiunge-re la superficie antero-inferiore dell’emisfero cere-bellare, forma un’ansa arteriosa con convessitàrivolta verso l’apertura del meato acustico interno.Da tale ansa trarrebbero origine l’arteria subarcua-ta ed appunto l’AUI. Diversi Autori hanno inoltreaffermato che, in una percentuale di casi che puògiungere al 60%, l’arteria uditiva interna possa

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Figura 2. Il poligono di Willis.

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presentarsi come una doppia arteria, anche separe che un solo ramo raggiunga effettivamentel’orecchio interno. Nell’evenienza di una doppiaAUI, possiamo distinguerne una principale chesegue il medesimo decorso della variante innumero singolo, e una secondaria, generalmentepiù piccola, con un decorso meno costante(Figura 4). L’AUI secondaria può non avere ramicollaterali diretti all’orecchio interno ed esseredeputata solo all’irrorazione del condotto; in altricasi può invece fornire apporto di sangue al labi-rinto attraverso l’arteria vestibolare posteriore.

Altra arteria del labirinto è l’arteria stilo-mastoi-dea che si origina per i due terzi degli individuidall’occipitale (origina dalla parete posterioredella carotide esterna) o per un terzo degli indivi-dui dall’auricolare posteriore (che origina dallacarotide esterna posteriormente) e vascolarizza icanali semicircolari.

La vascolarizzazione del labirinto membranosonon può essere comunque interamente separatadalla vascolarizzazione del labirinto osseo e daquella dell’orecchio medio, in quanto esistono deirami anastomotici che penetrano nell’endostio.

Durante il suo decorso, l’arteria labirinticaprima fornisce il sangue ai nervi (VIII nervo crani-co) e alla dura madre del canale uditivo interno,poi alle ossa contigue al canale uditivo e alla

ANATOMIA DEL CIRCOLO POSTERIORE E CORRELAZIONI CON IL CIRCOLO ANTERIORE

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Figura 4. Schema dell’AUI nel condotto uditivo interno. L’AUIprincipale (IAa I) dà origine alle tre branche arteriose: vestibolareanteriore (SVa), cocleare comune (Ca) e vestibolo-cocleare(VCa). La AUI secondaria (IAa II) rifornisce la vestibolo-cocleare.

Figura 3. La vascolarizzazione dell’orecchio interno.

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regione mediale dell’orecchio interno. All’internodell’osso temporale adulto, l’arteria labirintica nonsi distribuisce soltanto all’orecchio interno, alladura e alle formazioni nervose, ma anche ad unadiscreta area dell’osso petroso stesso. Il suodecorso all’interno del meato acustico internoovviamente cambia a seconda se siamo di frontealla variante singola o alla variante doppia (ildecorso in questo seconda evenienza è diversosoltanto per l’arteria secondaria; per la principaledelle due il decorso è assimilabile a quello dell’ar-teria labirintica in numero singolo). Nei casi in cuiessa è singola, al livello del terzo prossimale delcanale, decorre tra la superficie ventrale dell’VIIInervo cranico e la parete ventrale del canale, inprossimità del pavimento. Nel terzo medio incro-cia in senso obliquo la faccia ventrale dell’VIIInervo cranico e si adagia sulla superficie cranialedel medesimo nervo appena prima della sua divi-sione. A questo punto l’arteria continua il suodecorso sulla superficie craniale del nervococleare e si divide nei suoi rami intralabirintici(Figura 5). Nel caso si sia di fronte ad un’arterialabirintica in variante doppia, ci sono importantidifferenze determinate dalla presenza di un’arte-

ria labirintica secondaria. Essa, nata dalla giàmenzionata ansa formata dall’AICA, giace primasul lato caudale dell’VIII nervo cranico, e.g. tra ilpavimento del condotto ed il nervo vestibolareinferiore. Continua il suo decorso tra lato caudalee lato dorsale dell’VIII e successivamente, resasimediale, va a giacere ventralmente e caudalmen-te al nervo sacculare.

Il primo di questi vasi arteriosi a diramarsidall’AUI è l’arteria vestibolare anteriore che conun decorso tortuoso penetra nel canale osseo delnervo vestibolare superiore, al quale rimane prati-camente adesa e tramite il quale raggiungel’orecchio interno.

L’arteria vestibolare anteriore (Figura 6) riforni-sce di sangue la sezione antero-superiore delvestibolo, comprendendo l’utricolo con la suamacula, una porzione extramaculare del saccu-lo, l’ampolla, la cresta ampollare, le cruresampollari e i dotti membranosi dei canali semicir-colari anteriore e laterale. Le arteriole entranonell’ampolla per mezzo di canali ossei distintirispetto a quelli delle fibre nervose. Le reti capil-lari della cresta ampollare e delle pareti dell’am-polla sono formate da diverse arteriole. La rami-

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Figura 5. Schema dei rami di maggiore importanza dell’AUI.Nel riquadro, capillari della stria vascolare.

Figura 6. L’arteria vestibolare anteriore (vista dall’alto) con isuoi rami per l’utricolo (Ua), per l’ampolla del canale semi-circolare superiore (SCCa), per l’ampolla del canale semicir-colare laterale (LCCa), e per le regioni non ampollari (crus)dei suddetti canali (SCACa e LCACa).

1. AICA; 2 AUI; 3. A. cocleare comune; 4. A. vestibolare ante-riore; 5. A. cocleare propriamente detta; 6. A. vestibolo-cocleare; 7. Rami cocleari; 8. Rami vestibolari.

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ficazione arteriolare stabilisce reti capillari tral’epitelio sensitivo e le fibre nervose vicine allalinea mediana di ciascuna cresta. Ogni canale èattraversato per la sua lunghezza da una o duearteriole che sostengono un sistema di capillaripoco connessi tra di loro.

Dopo aver emesso l’arteria vestibolare ante-riore, il tronco principale dell’arteria labirinticaprende il nome di arteria cocleare comune; essacontinua il proprio decorso attraverso il triangolovestibolo-cocleare e successivamente si divideper dare origine all’arteria cocleare maggiore eall’arteria vestibolo-cocleare. La prima è destina-ta a quasi tutta la coclea ad eccezione di partedel giro basale irrorato dalla seconda. Nel modio-lo i vasi si presentano tortuosi quasi a ricordare leformazioni glomerurali, immerse in abbondantetessuto lasso. Questi vasi, pur di discreto calibro,presentano una parete estremamente sottile,costituita dallo strato endoteliale cui si sovrappo-ne un sottile mantello connettivale e scarse cellu-le muscolari lisce.

L’arteria cocleare maggiore si mantiene adesaalla superficie inferiore del nervo cocleare, assu-me un decorso a spirale con la stessa direzionedei giri cocleari. Appena entra nel modiolo forni-sce numerose arterie primarie e secondarie(Figura 7).

Ulteriori arborizzazioni dell’arteria coclearedanno luogo a due serie di arteriole ad andamen-to radiale (arteriole radiali esterne e arterioleradiali interne); la prima serie fornisce la vascola-rizzazione alle strutture della parete esterna dellacoclea, l’altra fornisce la vascolarizzazione allaparete interna (Figura 8).

Le arteriole radiali esterne si avvolgono a spi-rale sulla scala vestibolare nella parte intracoclea-re e distribuiscono vasi alle pareti della scalavestibolare. All’entrata dell’apice del legamentospirale, questi vasi formano quattro reti capillari: 1. vasi a spirale localizzati nella regione del lega-

mento spirale che guarda verso la scala vesti-bolare (vasi della membrana del Reissner, vasidella scala vestibolare);

ANATOMIA DEL CIRCOLO POSTERIORE E CORRELAZIONI CON IL CIRCOLO ANTERIORE

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Figura 7. Schema della vascolarizzazione arteriosa e venosa della coclea.

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2. rete capillare della stria vascolare;3. vaso della prominenza spirale;4. vasi all’interno del legamento spirale sul lato

della scala timpanica della cresta basilare.Questi ultimi vasi posseggono le caratteristi-che morfologiche di capillari, ma funzionanocome venule di drenaggio.Sebbene la rete capillare della stria vascolare

sia una rete anastomotica tortuosa ad andamen-to spiraliforme, i suoi confini sono relativamentedritti e paralleli. La rete capillare è accolta all’inter-no dell’epitelio pluristratificato della stria vascola-re; infatti i capillari intraepiteliali sono avvolti daiprolungamenti discendenti delle cellule scure eda quelli ascendenti delle cellule intermedie ebasali dell’epitelio della stria vascolare. Di partico-lare interesse è la rete capillare intraepiteliale dellastria vascolare, in quanto la circolazione del san-gue in questo plesso consente un adeguato livel-lo di ossigenazione delle cellule della stria vasco-lare, permettendo il mantenimento dell’elevatopotenziale elettrico positivo endococleare.

Il vaso della prominenza spirale generalmentericeve un ramo da ciascuna arteriola radiale e,sebbene questo vaso abbia un andamento spira-le parallelo alla rete della stria vascolare, non cisono interconnessioni tra i due.

Le arteriole radiali interne dell’arteria coclearerimangono all’interno del modiolo, fornendo ramial ganglio spirale nel momento in cui decorronoalla base della coclea. Penetrano nella laminavestibolare della lamina spirale ossea dando origi-ne ai vasi del limbus e a quelli marginali. I vasi mar-ginali costituiscono due gruppi di arcate indipen-denti che fungono da canali sia arteriosi che veno-si: un gruppo forma i vasi della membrana basila-re, mentre l’altro comprende i vasi del bordo tim-panico. Occasionalmente un vaso attraversa unascala o del timpano o del vestibolo.

L’arteria vestibolo-cocleare decorre in prossi-mità del pavimento del condotto e raggiungel’orecchio interno circa a metà del lato medialedella confluenza tra vestibolo e giro basale dellacoclea. A questo punto, una sua divisione a T dàorigine all’arteria vestibolare posteriore (o inferio-re) che decorre dorsalmente attraverso la radicedella lamina spirale e il dotto reuniens, proprio aldi sopra dell’apertura del canale semicircolareposteriore (Figura 9), e al ramo cocleare (arteriacocleare basale) diretta verso il modiolo. L’arteria cocleare basale dà origine ai seguentirami:• arterie radiali della scala vestibolare ed arterie

radiali della lamina spirale;• arteria sacculare per la macula;• arteria per l’area della finestra rotonda;• arteria per la porzione ventrale del sacculo • branche arteriose lungo la parete mediale del-

vestibolo per l’apporto ematico al sacco endo-linfatico e per la regione mediale dell’utricolo;

• arteria che decorre sulla porzione postero-latera-le del pavimento del vestibolo per l’apporto ema-tico al cieco vestibolare della scala media.

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Figura 8. Struttura vascolare della coclea. La freccia indica l’AUInel punto di biforcazione nella vestibolare anteriore e nellacocleare comune. Tratto da: Ars B (ed.). Partition of the InnerEar. Kugler Publ. 1998.

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L’arteria vestibolare posteriore dà origine a:• un ramo per la cresta ampollare del canale

semicircolare posteriore;• un ramo per il braccio semplice del canale

semicircolare laterale;• un ramo per la crus comune e per la porzione

non ampollare dei canali semircolari superioree posteriore.

Il ramo cocleare dell’arteria vestibolo-coclearevascolarizza un quarto della parte basale dellacoclea e dell’adiacente modiolo, mentre il ramovestibolare posteriore si distribuisce alla maculadel sacculo, alla cresta ampollare e al canalemembranoso del canale posteriore e alle paretiposteriori dell’utricolo e del sacculo. Le ramifica-zioni arteriolari sono identiche a quelle dell’arteriavestibolare anteriore. Le arteriole entrano nello

stroma della macula insieme con le fibre nervosemielinizzate e stabiliscono un’estesa rete capilla-re al di sotto dell’area delle cellule ciliate.

La distribuzione dei vasi a livello del labirintoposteriore evidenzia i vasi di maggior calibro in cor-rispondenza della porzione più distale regioni neu-rosensoriali (macule dell’utricolo e del sacculo,ampolle dei canali semicircolari); in un piano supe-riore si trova una rete costituita da capillari a larghemaglie. Immediatamente sotto l’epitelio si trovainoltre una rete capillare a maglie strette che ricor-da nella sua architettura quella della stria vascola-re. I rapporti tra epitelio sensoriale e rete vasalesono molto intimi tanto da far pensare ad unapenetrazione diretta di vasi tra gli elementi epitelialistessi. Nella porzione extramaculare è evidenziabi-le una rete a maglie larghe ben diversa nell’aspet-to da quella propria della regione maculare.

Anche lungo la super-ficie dei canali semicirco-lari si trova un ricco ples-so vasale a maglie moltoirregolari (Figura 10), unitoa vasi di discreto calibroche decorrono lungo lasuperficie endostale delcanale osseo mediantetronchi di vario calibrosottesi da trabecole con-nettivali che attraversanolo spazio perilinfatico.

I capillari a livello dellevarie parti del vestibolo, inparticolare quelle caratte-rizzate dalla presenza dicellule scure, che circon-dano l’area sensorialeepiteliale, risultano inte-ressanti per le interazioniche contraggono con lecellule circostanti.

ANATOMIA DEL CIRCOLO POSTERIORE E CORRELAZIONI CON IL CIRCOLO ANTERIORE

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Figura 9. Schema dei rami di maggiore importanza dell’AUI.

L’arteria vestibolare posteriore (IVa) e la relativa vena (IVv) decorrono sulla parete media-le del vestibolo. Prima di giungere ad irrorare l’ampolla del canale semicircolare posterio-re (PCCa), l’Iva dà rami al sacculo (Sa), alla crus comune (CCa), alla porzione inferiore nonmaculare dell’utricolo (VUa), alla regione del cieco vestibolare (VCaea) ed alla superficievestibolare della scala media (VASMa).

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Questi capillari hanno un diametro approssima-tivamente di 8 nm e sono capillari continui conpochi periciti. Le cellule endoteliali, unite tra di loroda complessi giunzionali, presentano sulla superfi-cie luminale dei microvilli e molte vescicole di pino-citosi, suggerendo un attivo passaggio di materia-le. In prossimità di questi capillari si trovano mela-nofagi o loro processicitoplasmatici e mela-nociti; inoltre, è statadescritta anche la pre-senza di linfociti T iquali, attivati dalla pre-sentazione dell’antige-ne da parte dei mela-nofagi, fornirebbero unpossibile sistema disorveglianza immunita-ria per l’orecchio inter-no.

I periciti sembranosvolgere un ruoloimportante nella for-mazione della retevascolare e nella rego-

lazione del flusso sanguigno in molti organi. Unrecente studio ha dimostrato come l’infusione dipotassio e calcio a livello della parete lateraledella coclea risulti in un restringimento localizzatodei diametri capillari nel punto di localizzazionedei periciti.

VeneIl principale drenaggio venoso della coclea è

costituito dalle vene spirali anteriori e posteriori(Figura 11). La vena spirale anteriore riceve ramitributari dalla lamina spirale e dalla scala del vesti-bolo. La vena spirale posteriore raccoglie il san-gue venoso dalla scala del timpano, dalla pareteesterna della scala media e dal ganglio spirale. Cisono diversi shunt dalla vena spirale anteriore allaposteriore. Le due vene si uniscono vicino allabase della coclea formando la vena comunemodiolare.

L’utricolo, così come l’ampolla dei canalisuperiore e laterale, è drenato dalla vena vestibo-lare anteriore. La vena vestibolare posteriore rice-ve il sangue dal sacculo, dall’ampolla del canale

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Figura 10. La rete vascolare di ampolla e canale semicirco-lare laterale. Tratto da: Scuderi, Del Bo, Arch Ital Otol RinolLaringol, 1952.

Figura 11. La vascolarizzazione venosa dell’orecchio interno.

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posteriore e dalla base della coclea. La vena dellafinestra rotonda si unisce con le vene vestibolarianteriori e posteriori per formare la vena vestibo-lo-cocleare. Quest’ultima si unisce con la venacomune modiolare per diventare la vena cocleareinferiore, la quale attraversa il canale osseo diCotugno, ed è localizzata vicino all’acquedottococleare, per svuotarsi nel seno petroso inferiore.I dotti membranosi sono drenati dai canali cheformano la vena dell’acquedotto vestibolare;questi canali attraversano l’acquedotto vestibola-re o un canalicolo paravestibolare per immettersinel seno venoso laterale. La vena uditiva internaè un vaso che non sempre è presente; quando loè, raccoglie il sangue dal giro apicale e mediodella coclea e si immette nel seno petroso inferio-re attraverso il canale auditivo interno.

ASPETTI DI ANATOMO-FISIOLOGIADEL CIRCOLO COCLEO-VESTIBOLARE

Le arterie intracraniche possiedono una mem-brana interna elastica ben sviluppata, mentre latonaca media di queste arterie è più sottile diquella delle arterie extracraniche dello stesso cali-bro ed è priva di fibre elastiche. La tonaca mediadelle arterie intracraniche presenta soltanto cellu-le muscolari con numerose gap junction tra diloro per facilitare la propagazione degli impulsi dicontrazione. Una delle caratteristiche funzionidelle arterie intracraniche è l’autoregolazione delflusso sanguigno, che è definita come manteni-mento del flusso costante con variazioni nellapressione arteriosa media su un ampio rangefisiologico. Questo meccanismo protettivo fa affi-damento sul pH locale, sulla pCO2 e sull’innerva-zione autonoma delle arterie. Numerosi studihanno documentato come il flusso sanguignococleare sia sotto il controllo del sistema nervosoautonomo; in particolare, terminazioni nervose

del simpatico sono state dimostrate lungo l’arte-ria basilare, l’AICA e l’arteria cocleare maggiore.Studi su modelli animali hanno dimostrato comela stimolazione dei gangli del simpatico, del gan-glio stellato e della catena cervicale sia in grado dialterare il flusso sanguigno cocleare in situ. I vasiche forniscono sangue all’orecchio interno hannoautoregolazione, ma non quelli dei nervi perifericispinali. Le arterie uditive interne e i loro rami prin-cipali presentano le stesse caratteristiche ultra-strutturali delle arterie intracraniche ed è noto chequeste arterie sono innervate da fibre adrenergi-che e colinergiche. Quindi il flusso sanguignoattraverso l’arteria uditiva interna e i suoi ramiprincipali può essere soggetto ad autoregolazio-ne nella stessa maniera di quello che passa nellealtre arterie intracraniche.

Studi recenti in vitro hanno dimostrato la pre-senza di recettori alfa1-adrenergici a livello del-l’arteria cocleare maggiore, responsabili di unavasocostrizione norepinefrina-mediata. La rispo-sta vasodilatatoria sarebbe invece, almenosecondo quanto riscontrato in modelli animali,imputabile ad un’innervazione contenente CGRP,sostanza P o VIP.

Nell’arteria uditiva interna e nei suoi rami prin-cipali sono state trovate occasionalmente cellulemuscolari lisce nello spazio sottoendoteliale o trale membrane elastiche interne. Nei campioni dipazienti anziani, è stato osservata la presenza dimateriale elettrondenso nella membrana elasticainterna. Queste caratteristiche morfologiche sonocompatibili con cambiamenti regressivi associaticon l’età e non possono essere chiaramente dif-ferenziati con l’inizio dell’aterosclerosi, che ècaratterizzata da una tonaca intima dallo spesso-re frammentato ed irregolare con accumulo dicellule muscolari lisce e depositi di lipidi intracel-lulari ed extracellulari. Poiché l’aterosclerosi è unadelle principali cause di infarto miocardico e ditrombosi cerebrale, questi cambiamenti morfolo-

ANATOMIA DEL CIRCOLO POSTERIORE E CORRELAZIONI CON IL CIRCOLO ANTERIORE

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relazione ai disturbi dell’orecchio interno neglianziani.

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OMEOSTASI DEI FLUIDI LABIRINTICI EBARRIERA EMATO-LABIRINTICA

Il mantenimento dell’omeostasi idroelettroliti-ca dei liquidi labirintici, condizione necessaria peril corretto funzionamento dell’epitelio sensoriale,dipende da particolari meccanismi che garanti-scono differenti concentrazioni del potassio (K+)nell’endolinfa e del sodio (Na+) nella perilinfa(Figura 1). I processi coinvolti sono caratteristici

dell’orecchio interno, legati alla originale configu-razione di alcune cellule ben differenziate, pre-senti sia nel distretto cocleare che in quello labi-rintico posteriore. Per alcuni aspetti, vi sono ana-logie morfofunzionali con le cellule dei glomerulirenali e con i plessi corioidei del sistema nervosocentrale.

Si definisce come barriera emato-labirinticail meccanismo di trasporto selettivo di molecolee ioni che garantiscono il mantenimento dei

Capitolo 2

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LA BARRIERA EMATO-LABIRINTICAMarco Manfrin

Figura 1. Composizione ionica prevalente di endolinfa e perilinfa.

1:cellule ciliate interne; 2: cellule ciliate esterne.

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gradienti chimici di concentrazione a livello ema-tico, perilinfatico ed endolinfatico (1,2). La fun-zione della barriera è facilitata dalla presenza digiunzioni cellulari serrate, dalla scarsità di vesci-cole pinocitotiche a livello delle cellule endotelia-li e dalla formazione di un sottile strato, caricatonegativamente, sulla superficie delle celluleendoteliali a livello dei capillari (3,4).

La selettività funzionale della barriera emato-labirintica condiziona il passaggio solo di alcunemolecole e non quello di altre; si sviluppa duran-te la vita embrionaria e può modificarsi nel corsodella vita per opera di svariati meccanismi pato-genetici (farmaci, rumore, alterazioni del metabo-lismo) (5,6).

Infine, i liquidi labirintici possiedono un ruolofisiologico duplice: • il primo è quello di concorrere ad attivare le cel-

lule ciliate cocleo-vestibolari mediante la tra-smissione del segnale meccanico;

• il secondo è quello di partecipare al fenomenodella trasduzione meccano-elettrica, vale a direalla trasformazione dello stimolo meccanico insegnale elettrico (potenziali d’azione) lungo lavia afferente.

LA PERILINFA

Lo spazio compreso tra il labirinto membrano-so e la capsula otica è occupato dalla perilinfa,liquido extracellulare il cui catione principale è ilNa+ (140 mM) e l’anione è il Cl- (120 mM).

Vi sono alcune differenze tra la perilinfa dellascala vestibolare rispetto a quella della scala tim-panica, in cui proteine, glucosio e K+ presentanoconcentrazioni inferiori.

Si ammette che l’origine della perilinfa possaessere duplice: da una parte, il plasma ne sareb-be il precursore tramite una rete capillare moltodiffusa nel rivestimento della scala vestibolare;

dall’altra, il liquido cefalo-rachidiano che comuni-ca tramite l’acquedotto cocleare con il giro basa-le della scala timpanica.

È stata ipotizzata anche una secrezione attivadi perilinfa da parte delle strutture vascoloepitelialidel legamento spirale, dove Na+/K+-ATPAasi eanidrasi carbonica sono molto attive.

L’ENDOLINFA

Gli spazi contenuti all’interno del labirintomembranoso (canale cocleare, dotto reuniente,sacculo, dotto sacculare, utricolo, dotto utricola-re, dotto endolinfatico, canali semicircolari) sonooccupati dal liquido endolinfatico che si caratte-rizza per:– elevata concentrazione di K+: diversa nelle dif-

ferenti specie animali di mammiferi, ha un valo-re medio di circa 150 mmol/l;

– bassa concentrazione di Na+, pari a circa 1mmol/l.Si differenzia da queste sedi il sacco endolin-

fatico, dotato di caratteristiche diverse per ciòche concerne la composizione elettrolitica. • Le caratteristiche chimiche giustificano la pre-

senza di potenziali endolinfatici di riposo che,analogamente alle concentrazioni ioniche, nonsono uniformi nelle diverse parti dell’orecchiointerno. Infatti, la concentrazione endolinfaticadi K+ diminuisce dalla base verso l’apice dellacoclea; il potenziale endolinfatico di riposo èmaggiore nella coclea rispetto al labirintoposteriore. Tutto ciò esprime meccanismimetabolici diversi nelle differenti sottosedi dellabirinto membranoso.

• Anche le concentrazioni di altri ioni o di altresostanze è diversa nei comparti endolinfa/peri-linfa/sangue: infatti, nell’endolinfa vi è unaminor concentrazione di calcio e magnesio, diproteine e di glucosio rispetto agli altri due.

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L’endolinfa, inoltre, si dimostra relativamenteiperosmolare rispetto alla perilinfa e al sangue,anche in questo caso secondo un gradiente diosmolarità che va dalla base, ove è maggiore,all’apice, seguendo lo stesso comportamento delgradiente elettrochimico.

La regolazione dell’equilibrio acido-base del-l’endolinfa, che garantisce un pH di 7,4 del tuttosimile alla perilinfa e al sangue, è dovuto all’azio-ne di meccanismi diversi rispetto a quelli coinvol-ti nel gradiente elettrico e osmolare.

Viene unanimamente riconosciuta come una“zona franca”, a sé stante dal punto di vistametabolico, il sacco endolinfatico in cui i rappor-ti tra le concentrazioni del K+ e del Na+ sonoinvertiti rispetto agli altri spazi endolinfatici e incui vi è una concentrazione molto elevata di pro-teine.

LA CORTILINFA E IL LIQUIDOSOTTOTECTORIALE

A livello cocleare, è possibile individuare duealtri tipi di liquido (cortilinfa e linfa sottotectoriale)che si trovano a livello extracellulare. • La cortilinfa si trova nell’organo del Corti (galle-

ria) e ha una composizione chimica simile allaperilinfa.

• La linfa sottotectoriale si posiziona sotto lamembrana tectoria e al di sopra dello stratocuticolare delle cellule ciliate e ha composizio-ne del tutto simile all’endolinfa.

LA MICROCIRCOLAZIONEDELL’ORECCHIO INTERNO

Le fini diramazioni distali infralabirintiche deidiversi rami dell’arteria uditiva interna, si com-pendiano in diverse reti di arteriole, quali l’arte-

ria modiolare spirale nella coclea e le arterioledelle creste ampollari e delle macule nel labirin-to posteriore.

Dall’arteria modiolare spirale, che decorrenel modiolo della coclea, si dipartono arterioleesterne destinate alle strutture della pareteesterna del canale cocleare (o della scala vesti-bolare), e arteriole interne destinate ad irrorare ilganglio spirale e le strutture neurosensorialidella lamina spirale.

Da un punto di vista strutturale, le arterioleradiali esterne mostrano all’inizio del loro tragittouna parete fine e fenestrata, del tutto simile aquella dei glomeruli renali (7), per poi divenirespessa per la comparsa di uno strato continuo dicellule muscolari lisce. In maniera del tutto carat-teristica, formano due “circuiti”: uno, definito“metabolico” o “di lusso”, che è costituito da trereti capillari longitudinali dirette verso gli spaziinterstiziali; l’altro, derivativo o “di corto circuito”,che porta il sangue direttamente, tramite lemetarteriole, alle venule.

Le reti capillari principali comprendono:rete capillare soprastriatale (della membrana di

Reissner), in rapporto per tutta la sua lunghezzaall’inserzione della membrana di Reissner;– rete capillare della stria vascolare, in stretto

contatto con le cellule marginali ed intermedie;– rete capillare della prominenza spirale;– rete capillare del legamento spirale, in stretto

contatto con le celle basali della stria vasco-lare.Le arteriole radiali interne, a loro volta, danno

origine a quattro reti capillari:– rete capillare del ganglio spirale;– rete capillare del limbus, che sembra essere

l’unica rete in rapporto diretto con l’endolinfa;– rete capillare spirale interna o dello strato tim-

panico, che coinvolgerebbe l’organo del Corti;– rete capillare della membrana basilare (o spirale

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esterna), situata sulla faccia inferiore dellamembrana basilare, al centro della zona arcua-ta, subito al di sotto del tunnel del Corti.

Analogamente ai capillari cerebrali, i capillaricocleari hanno un rivestimento endoteliale conti-nuo, formato da cellule unite in maniera serratada giunzioni molto chiuse. Solo nel modiolo icapillari presentano un rivestimento fenestrato,anche se sono avvolti da uno strato di celluleconnettivali unite da giunzioni serrate; in analogiaai plessi corioidei, si definisce questa regione delmodiolo come plesso cocleare.

• Le arteriole destinate alle aree sensoriali dellabirinto posteriore non presentano una distri-buzione anatomica caratteristica. Esse pene-trano nel tessuto di sostegno maculare inassociazione stretta alle fibre nervose mieli-nizzate e si distribuiscono in una rete capilla-re posta al di sotto della zona cigliata del neu-roepitelio.

• Analogamente, anche l’irrorazione delle areerecettoriali ampollari non mostra una caratteri-stica distribuzione se non quella di arterioleche si portano, con gli elementi nervosi, all’am-polla dei canali semicircolari e qui si distribui-scono in una rete capillare molto lassa.

• Il drenaggio venoso dell’orecchio interno ègarantito dalla vena dell’acquedotto cocleareche raccoglie il sangue proveniente dalla venamodiolare comune (formata dalla confluenzadella vena spirale anteriore e posteriore) edalla vena vestibolococleare (formata dallaconfluenza della vena vestibolare anteriore,della vena vestibolare posteriore e dalla venadella finestra rotonda). Una parte del drenag-gio venoso dei canali semicircolari si convo-glia nella vena dell’acquedotto vestibolareche si dirige verso il sacco endolinfatico esbocca direttamente nel seno laterale.

LA PRODUZIONE DI ENDOLINFA ELA BARRIERA EMATO-LABIRINTICA

Il precursore dell’endolinfa è, quasi certamen-te, la perilinfa e non il plasma. L’asserzione nasceda osservazioni sperimentali ottenute dall’analisidella cinetica di ioni veicolati nell’endolinfa datraccianti radioattivi, somministrati per via perilin-fatica e per via ematica (Figura 2). Il trasportodegli ioni nei due compartimenti avviene per mec-canismo attivo, poiché l’equilibrio elettrochimicoviene mantenuto costante nonostante la dispari-tà di concentrazione del K+ e del Na+.

Il trasporto del K+ nell’endolinfa, attraverso gliepiteli, è un meccanismo attivo ad alto dispendioenergetico che garantisce il potenziale endolinfa-tico (endococleare ed endolabirintico), il cui valo-re finale è dato dalla somma algebrica di duepotenziali:– uno di + 120 mV generato dal trasporto attivo

del K+ contro il gradiente elettrochimico, gene-rato dalla Na+/K+-ATPasi localizzata prevalen-temente nelle cellule marginali della striavascolare della coclea e dalle cellule scureperimaculari del labirinto posteriore;

– l’altro di - 40 mV dovuto al trasporto passivodel K+ che tende a fuoriuscire dall’endolinfa, incui gioca un ruolo determinante la permeabili-tà dell’organo del Corti alla diffusione passivadello ione.Nella coclea, l’attività della Na+/K+-ATPasi

decresce dalla base all’apice, parallelamente algradiente elettrochimico.

La Na+/K+-ATPasi rende ragione dell’ingressodel K+ dalla perilinfa nelle cellule marginali o scuree della fuoriuscita del Na+ dalle cellule alla perilin-fa; esistono poi altri due meccanismi responsabilirispettivamente del passaggio del K+ dalla cellulaall’endolinfa e del Na+ dalla cellula alla perilinfa edell’accoppiamento del movimento di ioni Na+ eK+ con il Cl- (Figura 3).

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LA BARRIERA EMATO-LABIRINTICA

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Figura 2. Correlazioni tra i liquidi dell'orecchio interno, il liquido cefalo-rachidiano e il sangue implicati nella genesi di endolinfa e peri-linfa. Mod. da: Sterkers, J Fr Otorhinolaryngol Audiophonol Chir Maxillofac 1984.

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Figura 3. Meccanismo di formazione dell'endolinfa a livello cocleare.

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Si rende concreto, quindi, un aspetto di diver-sità anatomo-funzionale all’interno delle singolesottosedi del labirinto membranoso: alcune partisono coinvolte nella produzione dell’endolinfa(stria vascolare, regione perimaculare e parteprossima alla cresta ampollare di ciascun canale);altre che sono interessate dal riassorbimento del-l’endolinfa (sacco endolinfatico) e altre che, infine,sembrano essere inerti dal punto di vista del-l’omeostasi dei liquidi dell’orecchio interno (brac-cio non ampollare dei canali semicircolari, buonaparte dell’utricolo e del sacculo) (Figura 4).

Nell’ambito del sistema di barriera emato-labi-rintica occorre tenere distinti due compatimenti:la barriera emato-perilinfatica e quella emato-endolinfatica. Tutte le informazioni riguardanti idue sistemi sono ampiamente ottenute da prove

sperimentali e per analogie comportamentali coni dati relativi alla barriera emato-encefalica.

La lentezza del passaggio di alcune sostanze trail plasma e la perilinfa ha fatto ipotizzare la presen-za di un sistema di barriera che ha sede nei capilla-ri perilinfatici, dotati di un rivestimento endotelialecontinuo, mantenuto da giunzioni cellulari moltoserrate e con scarsezza di vescicole pinocitotiche.• La configurazione capillare giustifica le caratte-

ristiche principali della barriera emato-perilinfa-tica, che sono:

1. – impermeabilità alle macromolecole; 1. – selettività nel trasporto degli elettroliti e di

molecole idrosolubili in funzione del loropeso molecolare;

1. – presenza di un trasporto facilitato per il D-glucosio.

LA BARRIERA EMATO-LABIRINTICA

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Figura 4. Composizione ionica di endolinfa, perilinfa e nel sacco endolinfatico.

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In ordine progressivo di maggior permeabilitàalle diverse sostanze (ioni, molecole), si può sta-bilire un scala di priorità nel passaggio tra sanguee perilinfa così schematizzata:

Na+ = K+ = Cl- = D-glucosio > urea > L-gluco-sio = mannitolo = saccarosio.

La barriera emato-endolinfatica, più cheun’entità specifica anatomica, rappresenta unmeccanismo funzionale che permette il manteni-mento dell’omeostasi dell’endolinfa (analoga-mente ad una barriera emato-perilinfatica) e neimpedisce l’ingresso di macromolecole. Tale pro-prietà si acquisisce durante la vita embrionaria ela funzione di selettività nel passaggio di moleco-le all’endolinfa è meno efficace nei neonati chenegli adulti (8).

Le strutture anatomiche sede di regolazionedella concentrazione del K+ nell’endolinfa si iden-tificano nella composizione cellulare della mem-brana di Reissner, della stria vascolare, dell’orga-no del Corti e nelle “dark cells” variamente distri-buite nel labirinto posteriore.• La membrana del Reissner è formata da due

tipi di cellule: uno, di natura mesoteliale, sitrova sul versante perilinfatico della membranaed è caricata negativamente con conseguentecapacità di blocco all’ingresso nell’endolinfa dianioni come il Cl-; l’altro, di natura epiteliale,dotato di giunzioni intercellulari serrate, si con-traddistingue per la presenza di canali attivatidallo stiramento della membrana.

• La stria vascolare costituisce l’elemento cardi-ne nella produzione finale dell’endolinfa per lapresenza di giunzioni cellulari serrate tra le cel-lule marginali e le cellule basali, stabilendo cosìun perfetto controllo nell’isolamento dei com-parti endolinfatico e perilinfatico. I meccanismidi trasporto del K+ sono stati ben identificati neimodelli sperimentali e si identificano fonda-mentalmente nella presenza di canali di tra-sporto codificati geneticamente (KCNJ10,

SLC12A2, KCNE1, KCNQ1) (9-12). Il potenzia-le endococleare sarebbe generato dalle celluleintermedie della stria vascolare tramite i canalidel K+ di tipo KCNJ10.

• Il turnover del K+ si completa con la messa inevidenza di giunzioni comunicanti intercellulari,particolarmente evidenti a livello cocleare.Queste “gap junctions” formano dei veri e pro-pri canali intercellulari consentendo la diffusio-ne di piccole molecole (<1000 Da), di sostan-ze nutitrizie, di messaggeri chimici e di ioni.Sono formate da due emicanali uniti (connes-soni), costituiti da proteine (connessine) deter-minate geneticamente. Il K+ viene rilasciato dalpolo basolaterale delle cellule ciliate, dopoesservi penetrato in risposta alla corrente didepolarizzazione cellulare per l’accoppiamentomeccano-elettrico; viene captato da celluleextrasensoriali, come quelle localizzate nelsolco esterno, ma può anche essere traspor-tato attraverso la rete delle “gap junctions” aglispazi perilinfatici del lembo spirale e del lega-mento spirale. Il raggiungimento degli spaziendolinfatici avverrebbe, quindi, tramite la reteconnettiva e le giunzioni comunicanti, sia attra-verso il legamento spirale e la stria vascolare,sia attraverso le cellule interdentali del lembospirale.

LA REGOLAZIONEDEI TRASPORTI IDROELETTROLITICINELL’ORECCHIO INTERNO

Alcuni meccanismi di carattere endocrinologi-co sono in grado di intervenire nel controllo del-l’omeostasi idrosalina dei liquidi dell’orecchiointerno. L’enzima Na+/K+-ATPasi, fondamentalenella secrezione dell’endolinfa, viene attivato daimineralcorticoidi, i cui recettori sono molto rap-presentati nelle cellule marginali.

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Il secondo sistema implicato nel determinare ilvolume e l’osmolarità dell’endolinfa è il sistemaADH/Adenilciclasi/AQP-2 grazie al quale, inseguito a variazioni dell’osmolarità plasmatica oad una variazione di volume di essa, l’ormoneantidiuretico è in grado di attivare l’adenilciclasiche, a sua volta, attiva la codificazione delleacquaporine (2 soprattutto), consentendo l’as-

sorbimento di acqua secondo un gradienteosmotico (13,14).

Numerose sono le segnalazioni sperimenta-li relative ad altri mediatori implicati nella regola-zione dei liquidi dell’orecchio interno; tra que-ste, le prostaglandine, il fattore natriuretico, il fattore attivante le piastrine, gli estrogeni (17β-estradiolo).

LA BARRIERA EMATO-LABIRINTICA

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DISTURBI VESTIBOLARI:L’IPOTESI VASCOLARE

Un fenomeno ischemico o emorragico che siverifica nell’ambito del distretto vascolareVertebro-Basilare (V-B) può essere responsabiledi un’ampia gamma di quadri clinici, nei quali lavertigine rappresenta indubbiamente un sinto-mo estremamente frequente. In effetti unabuona parte delle sindromi vertiginose causateda un danno a carico delle strutture vestibolaricentrali, così come molte manifestazioni vertigi-nose dovute ad una lesione della periferia labi-rintica, possono riconoscere un’eziologiavascolare.

Tuttavia le manifestazioni vertiginose possonoessere legate anche ad altri fattori patogenetici,per cui una precisa diagnosi eziologica assumeestrema importanza specialmente nell’ottica diuna corretta scelta terapeutica.

La vertigine vascolareLa definizione di “vertigine vascolare” è attual-

mente basata su criteri non ben definiti, spessonon supportati da una analisi documentata deimarkers tipici di questo particolare agente eziolo-gico, tanto che nella maggior parte dei casi essaappare più una ipotesi che una vera diagnosi dicertezza.

Di fronte ad una qualsiasi forma di patologiadell’organo stato-cinetico, si pone il problemaclinico di identificare con precisione il fattoreeziologico responsabile della sintomatologia ver-tiginosa, in particolar modo nell’ambito delleforme ad insorgenza acuta. Spesso il dilemma siriduce al dualismo tra origine vascolare e virale.Quest’ultima è supportata da numerosi studi chehanno dimostrato l’esistenza di DNA riconducibi-le al virus dell’Herpes simplex tipo 1 (HSV-1) e dialtri virus neurotropi nei gangli e nei nuclei vesti-bolari di soggetti affetti da labirintopatia acutaperiferica; è noto che, dopo un episodio di nevri-te vestibolare, possiamo assistere ad un recupe-ro funzionale che in alcuni casi può essere deltutto completo. Analogamente di notevoleimportanza sono i dati epidemiologici e anato-mo-patologici. Durante i periodi di epidemiainfluenzale è possibile notare un significativoincremento degli episodi di vertigine acuta, tantoche è stata dimostrato la presenza di infiltraticompatibili con un’infiammazione virale nelleossa temporali di pazienti deceduti, per altrimotivi, che avevano manifestato in tempi recentisituazioni cliniche compatibili con una nevritevestibolare.

Tuttavia, di fronte ad un paziente che presen-ta un episodio vertiginoso acuto, non possiamonon considerare l’ipotesi vascolare tenendo pre-

Capitolo 3

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FISIOLOGIA DEL MICROCIRCOLOE DELL’ENDOTELIO

Una nuova finestra sulla patologia vestibolareAugusto Pietro Casani

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sente i suoi risvolti, sia in chiave terapeutica cheprognostica. A tal proposito, in assenza di datiindicativi che possono emergere sia da indaginidi tipo otoneurologico che di imaging, rivestonoun ruolo importante da un lato i dati anamnesti-ci e. dall’altro, i dati clinici; di fronte a soggettiportatori di rilevanti fattori di rischio cardiova-scolari (CV) – diabete, ipertensione, con episodipregressi di infarto miocardio acuto o attaccoischemico transitorio, ecc. (Tabella 1) – nondobbiamo assolutamente trascurare l’attentaricerca del fattore causale della vertigine.Questa fase dell’approccio diagnostico alpaziente vertiginoso potrà permettere all’oto-neurologo non solo l’impostazione di una tera-pia specifica per la risoluzione del quadro clinicoattuale, ma anche di intervenire cercando di cor-reggere tutte le condizioni di rischio cosiddette“modificabili”, al fine di impedire il recidivaredella sintomatologia vertiginosa e di evitarel’evoluzione verso quadri clinici di tipo ischemi-co che potrebbero coinvolgere il SNC, special-mente nell’ambito del distretto V-B.

Accanto a questi elementi clinici, non dobbia-mo dimenticare tutta una serie di considerazionidi natura anatomo-fisiologica che rappresentanoelementi fondamentali per interpretare nella giu-sta ottica il ruolo dell’apporto vascolare alle strut-ture vestibolari periferiche e centrali: il SNC ha unpeso pari al 2% del peso corporeo totale ma rice-ve il 15% della gittata cardiaca, valutabile all’incir-ca in 750 ml/min. Per questi motivi, il SNC neces-sita di una grande quantità di metaboliti, in quan-to ossida esclusivamente glucosio attraverso ilciclo di Krebs, non potendo adottare modalitàenergetiche di tipo anaerobico. Una riduzione delflusso ematico cerebrale del 50-60% causa sin-tomi neurologici prodromici, mentre una suainterruzione per 8-10 secondi è generalmentesufficiente per indurre perdita di coscienza. Unalesione infartuale si produce quando il flussodecade sotto i 10-12 ml/100 grammi per minuto.

IL MECCANISMO DI AUTOREGOLAZIONEDEL FLUSSO EMATICO CEREBRALE

Il sistema circolatorio cerebrale assicura l’ap-porto di ossigeno e metaboliti attraverso una retevascolare terminale multi-anastomotica, la cuiregolazione è assicurata da diversi meccanismifisiologici che permettono di mantenere uncostante livello di perfusione. Gli elementi più rile-vanti per un corretto flusso ematico cerebralesono rappresentati dalla funzione cardiaca, inmodo direttamente proporzionale e all’opposto,in modo inversamente proporzionale, dalle resi-stenze vascolari periferiche. In particolare, a livel-lo del microcircolo cerebrale, il controllo delle resi-stenze vascolari è determinato da un meccani-smo di autoregolazione che dipende sia dai valo-ri pressori che dalla resistenza vasale al flusso, asua volta correlabile al valore di viscosità ematicain rapporto al diametro del vaso stesso (Figura 1).

Tabella 1. Dati clinici rilevanti per il rischio cardiovasco-lare.

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FATTORI DI RISCHIO DOCUMENTATI E MODIFICABILIPER LA PATOLOGIA CEREBROVASCOLARE

• Ipertensione Arteriosa• Malattie cardiache (Fibrillazione Atriale) • Diabete • Dislipidemia • Obesità • Iperomocistinemia • Ipetrofia Ventricolare • Stenosi Carotidea • Fumo • Alcol • Ridotta attività fisica

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L’autoregolazione cerebrale permette di mante-nere costante il flusso ematico al parenchima ence-falico anche in condizioni circolatorie generali piut-tosto precarie, nell’ambito di valori pressori com-presi tra 80 e 180 mmHg, in virtù di fenomeni divasodilatazione (quando la PA si riduce) o di vaso-costrizione (in presenza di elevati valori pressori).

Possiamo distinguere due principali compo-nenti – una statica e l’altra dinamica –dell’autore-golazione cerebrale.1. La componente statica, relativa agli aggiusta-

menti di flusso in risposta alle variazioni pro-gressive della pressione di perfusione, con-sente che il sistema si adatti ai nuovi valori diPA dopo una progressiva e graduale modifi-cazione (Figura 2).La componente dinamica dell’autoregolazio-

ne cerebrale permette invece una sua rapidamodificazione a seguito di brusche variazionidella PA.

Il meccanismo di autoregolazione si basa prin-cipalmente sui seguenti processi fisiopatologici:

• Il livello di contrazione della tonaca muscolaredelle arteriole e dei capillari (per azione del peri-cita): esso varia in modo inversamente propor-zionale ai livelli di PA garantendo un costantelivello di flusso ematico anche di fronte adampie variazioni pressorie.

• Le variazioni di p02 e pCO2: è ampiamentedimostrato che una riduzione dei valori di ossi-geno (e parallelamente un incremento dell’ani-dride carbonica) riduce il tono arteriolare.

• Un meccanismo di tipo chemorecettorale, i cuirecettori sono ben rappresentati sulla facciaventrale del ponte e del bulbo. Il tono arteriola-re può essere modulato in funzione delle varia-zioni del pH tissutale: in questo modo una aci-dosi comporta ad una riduzione del tono arte-riorale con incremento del flusso ematico.

• Esiste anche una componente neurogenica dicontrollo del tono arteriolare: il neurone puòmodulare la velocità di flusso ematico attraver-so la liberazione di tutta una serie di sostanzepeptidiche vasoattive (serotonina, dopamina,

FISIOLOGIA DEL MICROCIRCOLO E DELL’ENDOTELIO

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Figura 1. Schema dell’autoregolazione cerebrale.

Legenda: CBF, flusso ematico cerebrale (cerebral bloodflow); CVB, volume ematico cerebrale (cerebral bloodvolume); CPP, pressione di perfusione cerebtrale (cerebralperfusion pressure); CVR, resistenza vasale nel microcir-colo cerebrale (cerebrovascular resistance).

Figura 2. Curva Pressione/Flusso relativa alla circolazionecerebrale.

L’autoregolazione mantiene un flusso cerebrale costantenonostante le variazioni della PA entro un range compre-so tra 60 e 140 mmHg. Un abbassamento della PA oltreil limite inferiore riduce proporzionalmente il flusso,mentre un suo incremento al di là dei limiti superiori nedetermina un aumento.

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GABA, ecc.) che vanno ad interagire su speci-fici recettori presenti sulla pareti delle arteriolecon conseguenti variazioni del tono e quindidelle resistenza.

• Infine, il ruolo dell’ossido nitrico (NO): sintetiz-zato sia nelle cellule nervose che in quelle deivasi sanguigni a partire dalla L-Arginina attra-verso un processo enzimatico, ha ricevuto, deltutto recentemente, una particolare attenzione.Pur non essendo ancor ben chiaro il suo ruolo,l’NO esercita una potente azione vasodilatato-ria consentendo di mantenere costante il livel-lo di perfusione cerebrale, specie in condizionidi riposo (Figura 3). Sembra comunque che l’NO, più che svolge-

re un’azione diretta rappresenti un fattore di con-trollo neurogeno in qualità di mediatore finaledell’effetto vasodilatatore colinergico. Non vadimenticato tuttavia che l’NO presenta ancheun’azione ossidante in quanto genera radicaliliberi (ROS) che limitano il metabolismo energeti-

co. Infatti di fronte ad un fenomeno ischemico,all’inizio si verifica un incremento dell’azione dienzimi quali la NO-sintetasi a partenza dalle cel-lule vascolari, mentre, se l’ischemia si protrae, siassiste ad un incremento dell’NO in virtù di unaproduzione da parte delle cellule dell’infiamma-zione. Questo meccanismo riveste un ruolodeterminante anche nell’ambito della circolazio-ne dell’orecchio interno.

Anche il flusso ematico dell’orecchio internomostra gli stessi meccanismi di autoregolazione,indispensabili per il mantenimento di una correttaomeostasi dell’endolinfa.

FISIOPATOLOGIA DELLA CIRCOLAZIONEDELL’ORECCHIO INTERNO

L’apporto vascolare al labirinto e alle strutturevestibolari centrali è di competenza del circolovertebro-basilare, la cui portata di 200 ml/min cor-

NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare

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Figura 3. L’ossido nitrico è sintetizzato da L-arginina all’interno delle cellule endoteliali e dei periciti.

Legenda: NO, ossido nitrico; eNOS, isoenzima endoteliale della ossido nitrico sintetasi; nNOS, isoenzima neuronale della ossido nitri-co sintetasi; EC, cellule endoteliali; SMC, cellule del muscolo liscio; GTP, guanosin-trifosfato; cGMP, guanosin-monofosfato ciclico.

Attraverso recettori citoplasmatici ed enzimi catalizzatori fuoriesce dalla cellula per indurre vasodilatazione ed inibire l’adesione e lamigrazione nello spazio subendoteliale di piastrine e leucociti.

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risponde all’incirca al 20% del circolo anteriore.Per questo il distretto V-B, in rapporto alla quanti-tà di tessuto, ha maggiore necessità di metabolitie di un adeguato e costante livello di perfusione.Di conseguenza il distretto V-B possiede una par-ticolare sensibilità alle diminuzioni di flusso emati-co e, poiché questa area cerebrale comprende lamaggior parte delle strutture neurali coinvolte nelmantenimento dell’equilibrio, si capisce come lavertigine possa essere considerata il sintomo piùfrequente e precoce di insufficiente perfusioneematica nel territorio normalmente irrorato dal cir-colo posteriore o vertebro-basilare.

L’insufficienza vertebro-basilare (IVB)Generalmente un’ischemia nei territori irrora-

ti dall’arteria vertebrale, basilare e dalle cerebra-li posteriori viene definita “Insufficienza Vertebro-Basilare” (IVB), allo scopo di differenziarla daanaloghi fenomeni ischemici riguardanti ildistretto carotideo, le cui manifestazioni clinichee il cui approccio terapeutico sono estremamen-te diversi.

L’IVB riconosce numerosi meccanismi patoge-netici, spesso associati tra loro: aterosclerosi, mal-formazioni congenite o acquisite, insufficienzaemodinamica, compressione estrinseca, traumati-smi, dissecazione, vasculite. Tutti questi fenomenipossono generare un deficit di perfusione di areecerebrali diverse che può essere acuto o cronico.In quest’ultimo caso, interessando soprattutto ivasi di scambio, l’ischemia si instaura lentamentenel tempo realizzando un quadro di microangiopa-tia cerebrale. L’incidenza della patologia del distret-to V-B è indubbiamente superiore a quanto ripor-tato nelle casistiche più recenti, se consideriamoche le indagini autoptiche hanno permesso diriscontrare una patologia occlusiva della circolazio-ne V-B nel 5-25% dei casi e che tale percentualesaliva al 25-50% se il paziente aveva mostrato invita segni clinici di patologia cerebro-vascolare. Lamaggiore incidenza di lesioni ateromasiche inte-ressa l’ostio e il tratto pre-foraminale dell’arteriavertebrale, mentre rare sono le lesioni nel trattocervicale, ove possono prevalere fenomeni com-pressivi su base spondiloartrosica (Figura 4).

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Figura 4. Anatomia dei vasi cerebro-afferenti.

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Dobbiamo sottolineare inoltre un dato rilevan-te: nel distretto V-B esiste una elevata incidenzadi anomalie anatomiche. In particolare le duearterie vertebrali presentano una asimmetria dicalibro nel 50-80% della popolazione e addirittu-ra nel 20% dei soggetti l’arteria vertebrale èemodinamicamente insufficiente. Considerandoche sono necessari almeno 2 mm di calibro pergarantire un flusso sufficiente, la presenza, evi-denziabile al doppler o con angio-RM, di una

ipoplasia di questa arteria rappresenta un indica-tore certo di possibile sofferenza da ridotta per-fusione delle strutture vestibolari periferiche, cosìcome delle regioni tronco-cerebellari, special-mente se coesiste un fattore compressivo che, aquesto livello, è frequentemente legato ad unaspondilosi cervicale.

Le immagini angiografiche in figura 5 docu-mentano quadri fisiologici di circolazione verte-bro-basilare.

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Figura 5. Normale aspetto angiografico della circolazione vertebro-basilare.

A. Proiezione antero-posteriore B. Proiezione laterale

Si evidenzia l’area di lieve restringimento delle arterie vertebrali al momento della penetrazione intracranica attraverso il fora-me magno. Il primo ramo dell’arteria vertebrale è la PICA (arteria cerebellare postero-inferiore). AICA è l’arteria cerebellareantero-inferiore, generalmente di dimensioni minori della PICA. Dalla porzione posteriore dell’arteria basilare nascono nume-rosi piccoli vasi penetranti. Le frecce indicano le numerose piccole arterie che nascono dall’apice della arteria basilare evanno ad irrorare le regioni diencefaliche.

A B

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IVB DA DANNO ISCHEMICO

Da un punto di vista fisiopatologico si parla diischemia nel momento in cui il flusso ematico adun certo volume di tessuto risulta insufficiente aisuoi fabbisogni metabolici e, quando il difetto diirrorazione si protrae per oltre 5 minuti, gli organisensoriali specifici vanno incontro a degenerazio-ne. Il quadro clinico è quindi condizionato dalladurata e dalla sede colpita dall’evento ischemico.Se l’ischemia si prolunga ulteriormente si realizze-ranno delle sindromi infartuali (stroke o ictus)diverse a seconda dell’arteria coinvolta e del ter-ritorio leso. Si parla di attacco ischemico transito-rio (TIA) se la sintomatologia è completamentereversibile nell’arco di 24 ore in virtù di una risolu-zione parziale o totale del fenomeno di ipoperfu-sione tissutale. Tuttavia, se i TIA assumono uncarattere subentrante, il rischio imminente di stro-ke aumenta in modo significativo.

IVB CENTRALE E PERIFERICA. Un’insufficienzavascolare a carico del distretto V-B può provoca-re un danno sia a livello centrale, con interessa-mento di tronco e cervelletto, sia a livello periferi-co, con interessamento di coclea e vestibolo,dando quindi luogo ad un quadro sintomatologi-co ed obiettivo estremamente polimorfo.

Ne consegue che le strutture vestibolari peri-feriche e centrali possono essere interessate daun evento ischemico in modo permanente o tran-sitorio, secondario o ad un deficit di flusso subase emodinamica anche ad albero vascolareintegro, o per una ostruzione tromboembolica diun ramo arterioso più distale. In quest’ultimocaso entrano in gioco numerosi fattori patogene-tici, quali: aterosclerosi dei grossi vasi, malattiadelle arterie penetranti, traumatismi, malformazio-ni vascolari congenite o acquisite, compressioneestrinseca, dissecazione, fenomeni di vasculiteautoimmunitaria ecc. (Figura 6).

L’embolia può riconoscere tre punti di origine: • cardiaca: 90% dei casi a partire da fibrillazione

atriale, malformazioni cardiache, quali: pervietàdel forame ovale, lesioni valvolari;

• arteriosa: per distacco di un trombo da unasacca aneurismatica o per distacco da unaplacca ateromasica;

• venosa: rara, per lo più in soggetti con pervie-tà del dotto di Botallo. In una recente casistica, la frequenza del-

l’embolismo cardiaco come causa di ischemiaV-B è risultata estremamente elevata (37%),tanto che un’indagine ecocardiografica cosìcome il monitoraggio del ritmo cardiaco devonoessere considerati momenti diagnostici indi-spensabili nel paziente con fenomeni ischemiciche coinvolgono il distretto circolatorio cerebra-le posteriore.

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Figura 6. Modello schematico della cascata di eventi coinvoltinella trombogenesi.

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L’ostruzione vascolare può dipendere ancheda una trombosi in situ. La figura 7 mostra i sitipiù comuni di sviluppo di una lesione aterosclero-tica, nell’ambito del distretto V-B.

La stessa placca aterosclerotica, oltre chepromuovere un’occlusione trombotica in situ, conconseguente ischemia dei territori irrorati da quelramo arterioso, può rappresentare la sorgente diemboli che vanno ad ostruire rami più distali.

Caplan ha introdotto il concetto di malattia deipiccoli vasi penetranti: le piccole arterie che irro-rano il tronco e le regioni talamiche nascono dalle

arterie vertebrali, dalla basilare e dall’arteria cere-brale posteriore. Un focolaio aterosclerotico diqueste arterie può bloccare o estendersi finoall’origine delle arterie penetranti oppure puòindurre la formazione di microateromi al loro inter-no inducendo fenomeni ischemici di piccoledimensioni dei territori irrorati. In questi casi il fat-tore associato di maggiore importanza è l’iper-tensione che può determinare un ispessimentoiperialinotico di questi piccoli vasi favorendo ulte-riormente il difetto di perfusione.

Una causa importante, specie nei soggettigiovani, è rappresentata dalla dissecazione arte-riosa. Anche se talora ci può essere un fattorescatenante (es. un trauma), più spesso la disse-cazione avviene in modo spontaneo prevalente-mente a livello extracranico in corrispondenzadell’origine dell’arteria vertebrale o del suo pas-saggio attraverso la regione della VI vertebra cer-vicale o dell’atlante. Più rare sono le dissecazioniin ambito intracranico che coinvolgono nellamaggior parte dei casi la stessa arteria vertebra-le, meno spesso la basilare.In base al meccanismo interessato potremo quin-di avere:• Ipoperfusione dell’intero distretto V-B, per cui

vaste e diverse aree possono subire un dannoischemico da cui può derivare, tra l’altro, undanno vestibolare associato periferico e cen-trale.

• Ipoperfusione di aree di minori dimensioni perun coinvolgimento generalmente tromboem-bolico di rami arteriosi di minor calibro fino adun interessamento del microcircolo da cui deri-va una ischemia che coinvolge aree molto piùcircoscritte.

I più comuni pattern di occlusione vascolare nel-l’ambito dei distretti V-B, sono:• Occlusione di una piccola arteria penetrante:

ad es. un ramo della basilare che causa uninfarto lacunare della regione pontina ventrale.

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Figura 7. I siti di predilezione per la formazione di placche ate-rosclerotiche (a), dissecazione (d) ed embolismo (e).

Legenda: AICA, arteria cerebellare antero-inferiore; ASA,arteria spinale anteriore; BA, arteria basilare; ECVA, arteriavertebrale extracranica; ICVA; arteria vertebrale intracranica;PCA, arteria cerebrale posteriore; PICA, arteria cerebellarepostero-inferiore; SCA, arteria cerebellare superiore; ECVA,arteria vertebrale extracranica (extracranial vertebral artery).

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• Stenosi od occlusione di un ramo arterioso cir-confenziale: ad es. PICA (arteria cerebellarepostero-inferiore) o AICA (arteria cerebellareantero-inferiore).

• Stenosi o occlusione di una grande arteriaprossimale con ischemia distale su base emo-dinamica: ad es. una stenosi della vertebralealla sua origine che causa vertigine acuta,atassia e disartria.

• Occlusione su base embolica di un ramo pros-simale per danno locale: ad es. un infarto occi-pitale secondario ad una placca ateroscleroti-ca ulcerata nell’arteria vertebrale.

• Occlusione su base embolica ad origine car-diogena: ad es. un infarto cerebellare conse-guente ad un’embolia secondaria a fibrillazioneatriale.

SINDROMI VERTIGINOSEDA IVB CENTRALE E PERIFERICA

Nell’area vertebro-basilare l’insufficienza circo-latoria si esprime più precocemente a carico deidistretti irrorati dall’arteria uditiva interna, poiché illabirinto ha scarse capacità di adattamento epossiede una vascolarizzazione di tipo terminale.

Per questo motivo, l’insufficienza circolatoriadel distretto V-B rappresenta una causa comunedi vertigine, soprattutto in soggetti di età superio-re ai 50 anni; e l’elevata incidenza di questo sin-tomo, nell’ambito dei sintomi iniziali di IVB, con-ferma l’importanza dei disturbi del circolo poste-riore nella genesi di molte sindromi vertiginose.Tuttavia risulta molto spesso difficile interpretare eaccertare l’eziologia vascolare di un isolato episo-dio vertiginoso, quando esso non sia associatoad altri sintomi di natura neurologica. In effettisolo la contemporanea presenza di due o piùsegni/sintomi è considerata sufficiente persospettare l’origine vascolare del problema.

La sintomatologia vertiginosa che ne derivapuò essere presente in forma isolata: in questocaso risulta generalmente di breve durata (3-5minuti) a carattere rotatorio e tendenzialmentericorrente, in quanto indotta da ipoperfusioneperiferica, o associata ad altri sintomi neurologicie quindi verosimilmente legata ad un interessa-mento delle strutture vestibolari centrali. Inoltrequesti sintomi (Tabella 2) sono più indicativi diuna sede di lesione che di una eziologia.

Tra le forme centrali assume notevole impor-tanza la sindrome di Wallemberg o Sindromelaterale del bulbo, causata da una ostruzionedella PICA o, più frequentemente, dell’arteria ver-tebrale (Figura 8).

Questa sindrome si caratterizza per l’insor-genza di vertigine rotatoria di lunga durata (da 12ore fino a qualche giorno) con lateropulsione,nistagmo unidirezionale orizzontale rotatorio,parestesie periorali, sindrome di Horner e disar-tria. Nel suddetto quadro clinico, la sintomatolo-gia vertiginosa è indistinguibile da quella di unanevrite vestibolare, per cui, di fronte ad unpaziente con un quadro clinico caratterizzato daintensa vertigine rotatoria e nistagmo spontaneo

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Tabella 2. Sintomi di Insufficienza Vertebro-Basilare.

• Vertigine• Disturbi visivi (diplopia, deficit del campo visivo,

allucinazioni, cecità)• Turbe dell’equilibrio, atassia• Disturbi della sensibilità e motilità facciale• Drop Attacks• Segni cerebellari (incoordinazione)• Cefalea• Confusione mentale• Perdita di conoscenza• Disartria• Ipoacusia e acufeni

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unidirezionale, è fondamentale ricercare la pre-senza dei segni neurologici (in particolare altera-zioni della sensibilità facciale, segni di deficit degliultimi nervi cranici, sindrome di Horner), specie seil paziente ha un’età superiore ai 50 anni ed èportatore di fattori di rischio CV.

Nel caso di una ostruzione dell’AICA, si sviluppauna sindrome infartuale nella quale la sintomatolo-gia vertiginosa può essere dovuta sia ad un dannoischemico delle strutture tronco-cerebellari, che adun interessamento periferico audio-vestibolare,visto che l’arteria uditiva interna deriva per lo piùdall’AICA. Più raramente un quadro clinico similepuò essere la conseguenza di un infarto cerebella-re isolato, specialmente del territorio irrorato dallaPICA, da cui l’importanza di ricercare segni compa-tibili con una lesione di questo distretto.

Pertanto, di fronte ad un soggetto che presen-ta il quadro clinico della grande vertigine perifericain assenza di evidenti segni neurologici, si poneimmediato il quesito riguardante l’eziopatogenesidel disturbo. In realtà, inquadrare una labirintopatiaacuta periferica nell’ambito di una forma vascolarerisulta molto spesso estremamente complesso,

tanto che si ritiene che queste ultime siano menofrequenti rispetto alle forme di origine ad esempiovirale. La presenza di fattori di rischio CV, l’anam-nesi positiva per pregressi episodi ostruttivi su basevascolare in altri distretti, l’età superiore ai 50 anni,rappresentano elementi clinici che possono farsupporre l’eziologia vascolare del danno labirinticoacuto monolaterale. Tuttavia è comunemente rite-nuto che l’ischemia labirintica, rispetto alla forme dinevrite vestibolare, rappresenti una causa menocomune di sintomi vestibolari od uditivi isolati.

Qualora la vertigine abbia un carattere menoviolento e più ricorrente, ci possono essere diaiuto gli aspetti temporali, di durata, del quadroclinico, che possono rappresentare una chiave dilettura importante anche nella diagnosi differen-ziale. Vertigini episodiche di breve durata (3-5minuti) e con rapida risoluzione in pazienti confattori di rischio CV o con patologie cardiovasco-lari in atto, hanno generalmente un’eziologiavascolare; al contrario, come abbiamo già sotto-lineato, vertigini di durata maggiore e con gra-duale risoluzione hanno minori possibilità diavere un’origine ischemica. Questa osservazione

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Figura 8. L’area colorata in rosa mostra la porzione cerebrale (porzione laterale del tegmento del midollo allungato) colpita da ische-mia nella sindrome di Wallemberg.

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deriva da studi chehanno documentato chequesto tipo di vertiginepuò precedere in un ele-vato numero di casi lacomparsa di uno stroke.Infatti nel 25% deipazienti con una ostru-zione dell’arteria basilarerilevata alla valutazioneautoptica, la vertiginericorrente episodica rap-presentava il sintomoiniziale ed unico. Nel70% dei soggetti chehanno poi sviluppato TIAdel distretto V-B, la verti-gine ricorrente era il sin-tomo prevalente. In que-sti soggetti era spesso presente una ridottarisposta del labirinto alle prove caloriche, a con-ferma dell’interessamento anche periferico deldeficit di perfusione.

Tuttavia, in presenza di vertigine isolata èestremamente difficile stabilire l’eziologia vascola-re; in altri termini, esistono forme monosintomati-che di IVB? In effetti, di fronte ad un deficit vesti-bolare monolaterale associato ad ipoacusiaimprovvisa ispilaterale, non è possibile escluderea priori un’origine vascolare legata nel caso spe-cifico ad un’ostruzione dell’arteria uditiva interna.

Anche quando non vi sono manifestazioni udi-tive associate, come non considerare un’originevascolare della vertigine? Il labirinto posteriore èirrorato dall’arteria vestibolare anteriore, vaso dipiccolo calibro privo di circoli collaterali e dalramo vestibolare dell’arteria cocleo-vestibolare.

Le due arterie citate derivano dall’arteria uditi-va interna (AUI), il cui calibro non supera il decimodi millimetro. L’AUI – che nasce nell’80% dei casidall’arteria cerebellare antero-inferiore e nel

restante 20% direttamente dall’arteria basilare –si divide nella arteria vestibolare anteriore (AVA),che irrora l’utricolo, la parte superiore del saccu-lo e i canali semicircolari anteriore e laterale, enella cocleare comune, che a sua volta si dividenell’arteria cocleare principale e nella arteria vesti-bolo-cocleare. Quest’ultima attraverso il ramovestibolare posteriore irrora la parte inferiore delsacculo (che comprende la macula) e il canalesemicircolare posteriore (Figura 9).

L’AUI è un’arteria terminale di piccolo calibrocon scarsi collaterali, caratteristica che giustifica laparticolare suscettibilità delle strutture cocleo-vestibolari all’ischemia. Questa particolare preca-rietà fisiologica è ancora maggiore per i distretti dicompetenza dell’AVA a causa della maggiore esi-guità del calibro arterioso e per la totale assenza dicollaterali; per questo motivo si capisce comeun’alterazione vascolare dell’orecchio interno indu-ca più facilmente fenomeni vertiginosi piuttostoche patologie uditive. Questa peculiare condizionevascolare della porzione vestibolare dell’orecchio

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Figura 9. La vascolarizzazione dell’orecchio interno.

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interno comporta evidenti conseguenze clinicheche portano anche a sottolineare il ruolo dei distur-bi di circolo nella genesi di molte sindromi vertigi-nose. Sulla base di indiscutibili osservazioni anato-mo-patologiche è possibile giustificare la cosiddet-ta sindrome di Lindsay-Hemenway (o sindromedell’arteria vestibolare anteriore): in questo caso siverifica un danno a carico dell’orecchio interno subase vascolare in virtù di una ostruzione selettivadell’arteria vestibolare anteriore. Il quadro clinico sicaratterizza pertanto per un episodio acuto di ver-tigine acuta periferica seguito (indotto dalla lesioneischemica del canale semicircolare laterale e del-l’utricolo) da crisi vertiginose posizionali parossisti-che posizionali. L’utricolo degenerato libera unagrande quantità di materiale otolitico che si depo-sita nel canale semicircolare posteriore che risultatuttora funzionante, in quanto irrorato, insieme alsacculo, non dall’arteria vestibolare anteriore mada rami dell’arteria vestibolo cocleare (Figura 10).

IL MICROCIRCOLOCOCLEO-VESTIBOLARE

Partendo da questi presupposti che induconoa non sottovalutare il ruolo dei problemi circolato-ri nella genesi di disturbi vestibolari, spesso vienedimenticato che tutto l’apporto vascolare ai varidistretti corporei viene finalizzato dal microcircolo.

Il microcircolo rappresenta la parte del sistemavascolare che porta a compimento il trasporto deimetaboliti ematici (ossigeno e glucosio) dai gros-si vasi fino al tessuto cerebrale, ma la sua funzio-nalità è indubbiamente la più difficile da indagare,almeno in vivo.

La struttura della sua parete vascolare ed inparticolare le caratteristiche dell’endotelio rappre-sentano elementi di fondamentale importanzanell’autoregolazione del flusso ematico locale; inaltri termini l’endotelio non è un semplice rivesti-

mento delle strutture vasali ma svolge tutta unaserie di funzioni che lo hanno fatto definire “orga-no” o “laboratorio” endoteliale (Figura 11).

L’endotelio riveste la superficie luminale dellaparete vasale fino a livello dei capillari, che sonocostituiti da solo endotelio. Esso si presentacome un singolo strato di cellule che riveste lasuperficie luminale della parete vasale che ècostituita da cellule muscolari lisce, fibroblasti e

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Figura 11. La struttura dell’unità microcircolatoria: arteria, ana-stomosi arteriolo-venulare, letto capillare e vena.

Figura 10 Schema della sindrome di Lindasy-Hemenway.

L’ostruzione dell’arteria vestibolare anteriore (AVA) causauna lesione ischemica del canale semicircolare anteriore(CSA), laterale (CSL) e dell’utricolo, mentre il canale poste-riore (CSP) viene risparmiato.

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fibre collagene ed elastiche (Figura 12).Per dare un’idea quantitativa dell’importanza

di questa struttura basti pensare che la massaglobale delle cellule endoteliali corrisponderebbea 250 grammi in una persona di 70 kg con unasuperficie piana di 1200 m2.

Il capillare è formato quindi da uno strato dicellule endoteliali allungate secondo l’asse longi-tudinale del vaso. Le cellule sono unite tra loro dauna sostanza cementante di tipo reticolare.L’endotelio poggia su una membrana basale conl’interposizione di fibre collagene (Figura 13).

La membrana basale in alcuni punti si sdoppiaper avvolgere una cellula contrattile detta pericita(Figura 14) o miocita dotata di attività muscolaretale da garantire un minimo grado di tonicità dellaparete.

Il pericita è una vera e propria cellula musco-lare che si trova in uno stato di contrazione toni-ca e possiede una capacità contrattile spontaneae ciclica che realizza una continua alternanza travasodilatazione e vasocostrizione con un’azioneconseguente di stimolo al flusso definita “flow-motion”. Questo meccanismo induce le ritmichevariazioni pressorie che costituiscono la principa-

le fonte di energia cinetica necessaria per supe-rare l’attrito viscoso che si sviluppa tra capillare esangue, favorendone lo scorrimento. Inoltre ilpericita sembra possa interferire nel controllodella replicazione delle cellule endoteliali tantoche la scomparsa del pericita, come avviene nellamicroangiopatia diabetica, può determinare unagrave disfunzione della membrana basale. Pericitidotati di attività contrattile sono stati dimostrati

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Figura 13. Schema di cellula endoteliale di un capillare circon-dato da periciti. Attraverso i pori endoteliali avviene lo scambiotra lume vascolare e tessuto circostante, in presenza di mem-brana basale integra.

Figura 14. Immagine al microscopio elettronico a scansione diun pericita (in colore fucsia) che circonda un’arteriola.

Figura 12. Le cellule endoteliali presentano il nucleo colorato diblu. Le giunzioni intercellulari appaiono come linee scure (colo-razione con nitrato d’argento).

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nei vasi del ligamento spirale cocleare ipotizzan-do quindi un ruolo importante nella regolazionedel flusso microcircolatorio dell’orecchio interno.

L’endotelio cerebrale presenta aspetti peculia-ri che sono alla base della cosiddetta barrieraemato-encefalica. La mancanza di fenestrazioni ela presenza di giunzioni serrate tra le cellule limitafortemente il trasporto passivo tra sangue eregione subendoteliale; il passaggio dei metabo-liti viene a questo livello regolato da un meccani-smo di trasporto attivo che comporta una rilevan-te spesa energetica ma che assicura una per-meabilità selettiva al microcircolo cerebrale.

I capillari sono in grado quindi di regolare ilflusso in funzione del reale fabbisogno di metabo-liti ed ossigeno da parte dei tessuti.

L’entità del flusso viene regolata dalla tunicamuscolare del canale (o anastomosi) di Sucquet-Hoyer, dalle meta-arteriole e dagli sfinteri pre-capillari che indirizzano il flusso ematico sullabase della necessità attuale. Il sangue passadirettamente dalle arteriole alle venule tramite ilcanale di Sucquet-Hoyer, mantenendo una fisio-logica irrorazione di tutti i distretti. Questo flussoviene tuttavia deviato quando uno specificodistretto richiede un maggior apporto nutritivo: ilcanale di Sucquet-Hoyer si restringe, gli sfinteripre-capillari si aprono e il sangue arterioso arrivain quantità superiore nei capillari di quel distretto.Il flusso sanguigno sarà più lento tanto più si avvi-cina alla parete vasale e risulta quasi immobile

quando si trova a contatto con lo stato endotelia-le. È a questo livello che assume un ruolo di asso-luto rilievo la superficie interna del capillare. Essaè ricoperta da un rivestimento molecolare defini-to film endoteliale in cui sono presenti monomeridi fibrina e sostanze atrombogene. Queste duecomponenti sono costantemente in rinnovamen-to grazie ad un perfetto e costante equilibrio traformazione di fibrina e fibrinolisi.

Questo film non deve essere consideratoun’interfaccia passiva, ma esso svolge diversefunzioni: • garantisce la coesione delle cellule endoteliali;• influenza la permeabilità capillare;• influenza la viscosità ematica;• interviene nei processi di coagulazione e di flogosi.

Tra queste sostanze di fondamentale impor-tanza sono i glicosaminoglicani (GAGs), la cuicaratteristica fondamentale è quella di possederecariche elettriche negative (gruppi SO4-) che pro-teggono la superficie endoteliale dall’adesione dileucociti e piastrine (Figura 15).

L’integrità di questa barriera assicura, in condi-zioni fisiologiche, una risposta endoteliale equilibra-ta attraverso un meccanismo di “signaling” chepotremmo definire come una mediazione esercita-ta dall’organo endoteliale relativa a tutti i segnalipressori, chimici ed enzimatici del flusso sanguigno.

Le funzioni dell’endotelio (Figura 16) sono rap-presentate da:• Attività di barriera diretta verso le cellule del

sangue, composti macromolecolari, particellelibere e nei confronti del trasferimento di sub-strati metabolici.

• Regolazione dell’emostasi attraverso un equili-brio tra fattori Pro-emostatici (che sottraggonoal circolo fattori attivati della coagulazione) eAntitrombotici (GAGs) ad azione anticoagulan-te. I primi localizzano il processo emocoagula-

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Figura 15. Immagine di glicocalice arterioso a diversi ingrandi-menti.

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Figura 16. In condizioni normali il glicocalice impedisce l’adesione degli elementi corpuscolati alla superficie endoteliale (A); nelloschema (B) sono indicate le altre funzioni espletate dall’endotelio.

tivo sulla superficie endoteliale e sottraggonoal circolo fattori attivati della coagulazione. Isecondi coinvolgono sia molecole simil-epari-niche (GAGs, in particolare eparansolfato) dellasuperficie interna dei capillari e della matriceextracellulare subendoteliale (eparansolfato,dermatansolfato e condroitinsolfato) che latrombomodulina, tutte sostanza ad attivitàanticoagulante. Un ulteriore fondamentale ele-mento di tromboresistenza è fornito dalla cari-ca elettrica negativa dell’endotelio, garantitadalla solfatazione dei GAGs, che respinge lepiastrine e altri elementi cellulari del sangue,impedendone l’adesione alla parete vasale.

• Sintesi di costituenti della matrice extracellula-re (collageno tipo IV e V, laminina, elastina,mucopolisaccaridi, fibronectina ecc.): si trattadi sostanze presenti nella membrana basaleche hanno un ruolo fondamentale per l’adesio-ne tra le cellule endoteliali, tra cellule endotelialie substrato nonché tra le stesse proteine dellamatrice. Esse favoriscono il rimodellamentotissutale durante l’embriogenesi, della cicatriz-zazione delle ferite e nella rimozione di detriticircolanti.

• Regolazione del tono vascolare che avviene invirtù di appositi meccanocettori endoteliali cheinducono la produzione di endotelina (potente

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vasocostrittore), e di EDRF (EndotheliumRelaxing Factor) ad azione vasodilatatoria.L’endotelio regola dinamicamente il tonovascolare agendo sui periciti attraverso un’in-tereferenza sul rapporto tra produzione di NOx(ossido nitrico) e la rimozione di ROS (radicaliliberi di ossigeno). In condizioni patologichetale rapporto (NOx/ROS) diviene negativo.

• Angiogenesi. La formazione di nuovi vasi èlegata alla capacità di sintetizzare i componen-ti della matrice extracellulare che fa da impal-catura per la crescita del nuovo endotelio.Questo processo viene modulato da fattoriagonisti e antagonisti specifici (EGF, FGF,ECGF, IFN, TNF). Piccole lesioni endotelialivengono invece riparate per migrazione dellecellule endoteliali adiacenti.

• Interazione con i meccanismi che regolano laflogosi e l’immunità. I leucociti interagiscononormalmente con la parete vascolare durante ilcontinuo rapporto sangue/tessuti e durante lagenesi della risposta flogistica ed immunitaria.In condizioni di flogosi dell’endotelio (anche subase immunitaria) i leucociti aderiscono allaparete provocando lesioni che vanno dall’au-mento della permeabilità alla morte cellulare

con esposizione del subendotelio.Nell’ambito delle diverse funzioni endoteliali, il gli-

cocalice di GAGs riveste il ruolo predominante inquanto esso riesce a modulare la risposta dellaparete vasale con un meccanismo detto “signaling”.

Il film endoteliale ha uno spessore variabile daun minimo di 0.5 mm dei capillari ai 4.5 mm del-lacarotide e i GAGs più rappresentati sono eparina/eparansolfato, dermatansolfato e condroi-tinsolfato. Il Dermatansolfato in particolare inattivala trombina tramite il Cofattore Eparinico II chepossiede potente azione antitrombotica. Il glicoca-lice contiene anche Glicoproteine (Selectine edIntegrine) che lo legano alla cellule endoteliali.

In ogni distretto il glicocalice di GAGs regolal’equilibrio dinamico tra gli stimoli meccanici (es.pressori), chimici (es. glicemia) e biologici (es.ormoni) del flusso controllando in ultima analisi larisposta vascolare comportandosi come un veroe proprio sensore endoteliale (Figura 17).

Il glicocalice di GAGs è indubbiamente il primobersaglio degli insulti derivanti da alcune condi-zioni patologiche quali ipertensione, diabete, iper-lipemia, iperviscosità, stasi e, in generale, tutte lecondizioni che rientrano nei fattori di rischio CV(Figura 18).

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Figura 17. Il glicocalice di GAGs modula la risposta endoteliale in condizioni fisiologiche, in particolare proteggendo la parete vasco-lare dall’adesione di leucociti e piastrine per la presenza di cariche elettriche negative di superficie (gruppi SO4- dei GAGs). A. Glicocalice fisiologico. B. Glicocalice patologico.

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Queste condizioni patologiche determinanoun’alterazione della composizione del glicocaliceprevalentemente – e più precocemente – a livellodei piccoli vasi, in quanto la struttura più resisten-te delle arterie (laddove il glicocalice ha uno spes-sore maggiore) rende il processo di danneggia-mento più lungo (Figura 19).

La funzione protettiva è presente ovunque visia una superficie endoteliale. Tuttavia il suo

ruolo sarà più rilevante laddove il glicocalice con-trolla direttamente gli scambi dei fluidi, quindi alivello del microcircolo. Nei vasi di maggior cali-bro il principale ruolo del glicocalice è quello diproteggere l’endotelio dall’adesione piastrinica eleucocitaria: quindi, in ultima analisi, dall’atero-sclerosi vasale.

Pertanto, sotto la spinta dei fattori di rischioCV, la degradazione fino alla rimozione dei GAGsdella faccia endoluminale può innescare l’attiva-zione della flogosi endoteliale nell’ambito nonsolo dei vasi cerebrali di maggior calibro, maanche nel microcircolo, compreso quello cocleo-vestibolare (Figura 20).

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Figura 19. Immagine schematica di un glicocalice intatto (asinistra) e danneggiato (a destra).

Figura 20. Schema della reazione endoteliale al danno meccanico, chimico e biologico.

Figura 18. Schema delle funzioni protettive del glicocalice edeffetti patogenetici della disfunzione endotelale a livello di circo-lazione arteriosa e microvascolare.

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Figura 21. Modello di attivazione di meccanismi pro-trombogeni di adesività piastrinica e leucocitaria, in presenza di danno endote-liale e conseguente degradazione dei GAGs di parete.

Legenda: ALCAM, Activated Leukocytes Cell Adhesion Molecule; ICAM-1, Intercellular Adhesion Molecule-1; VCAM-1, VascularCell Adhesion Molecole-1; IL-1β, interleuchina 1β; TNF, tumor necrosis factor; IFN-γ, interferone-γ.(a) In condizioni normali le cellule endoteliali esprimono sia ICAM-1 sia VCAM-1 (in misura minore).(b) A seguito di uno stimolo infiammatorio si verifica una upregolation di ICAM-1 e VCAM-1 che comporta una migrazione trans-cellulare o pericellulare dei leucociti (freccia nera) e un signaling intracellulare nelle cellule endoteliali (freccia bianca). (c) Le giunzioni (in verde) tra le cellule endoteliali dei vasi cerebrali sono più dense e le stesse cellule esprimono ALCAM. (d) Durante il processo infiammatorio, la produzione di ICAM-1 e ALCAM è aumentata. ICAM-1 e ALCAM legano i rispettivi ligan-di (LFA-1 e CD6) presenti sui linfociti, che possono così migrare fino a livello sub-endoteliale.

La perdita dei GAGs determina la flogosi endo-teliale esponendo direttamente le cellule endotelia-li al flusso ematico, da cui deriva (anche in virtù del-l’esposizione di proteine come Selectine eIntegrine) l’adesione delle piastrine, il rilascio di fat-tori trombogenetici e la riduzione dell’attività fibrino-litica. L’adesione viene poi esaltata dalla presenza dimolecole quali VCAM-1 (Vascular Cell AdhesionMolecole-1, prodotte sia da leucociti che fibrobla-sti), ICAM-1 (Intercellular Adhesion Molecule-1,prodotti dalle cellule endoteliali) e ALCAM(Activated Leukocites Cell Adhesion Molecule)(Figura 21). Queste ultime sono esclusivamente pre-

senti nell’endotelio cerebrale, laddove interagisconocon le integrine a livello della superficie cellulare.

In tutto questo processo si verifica una signifi-cativa perdita delle cariche negative che caratte-rizzano la superficie dell’endotelio e che impedi-scono l’adesione degli elementi cellulari del san-gue circolante sull’endotelio stesso: questo feno-meno permette il rolling dei leucociti sulle paretivasali con adesione all’endotelio anche in ragionedella brusca riduzione dei valori pressori tra areaarteriolare e venulare, indotta dall’incrementodella permeabilità vasale (Figura 22).

Si vengono così a determinare le condizioni

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favorevoli ad un evento trombotico e all’alterazio-ne della permeabilità vasale, entrambi possibiliresponsabili di un fenomeno ischemico (Figura23). In particolare l’adesione di leucociti piastrinepromuove la cascata di citochine, l’espressionegenica di fattori di crescita (ad es. VEGF, TGH,HGF) e il rilascio di fattori pro-trombotici. La con-comitante alterazione della permeabilità vasaleprovoca una riduzione del passaggio di ossigeno

ai tessuti da cui derivano fenomeni di sofferenzaischemica cellulare che causa l’alterazione dellabilancia NOx/ROS.Il modello di risposta al danno

Il danno endoteliale e la degradazione dellostrato di GAGs ha conseguenze tissutali e conse-guenze emoreologiche (Figura 24). Conseguenze Tissutali:• Iperpermeabilità di parete ed infiltrati leucocitari da

cui deriva una diminuzione della perfusione di O2.• Diminuzione dell’attività contrattile e prolifera-

zione dei periciti per produzione di VEGF(Vascular Endothelial Growth Factor) conispessimento della membrana basale.

• Degradazione della matrice extracellulare peraumento di metalloproteasi (MMP) che siaccumula negli spazi extracellulari.

Conseguenze Emoreologiche: • Adesione di piastrine e leucociti e formazione

di aggregati prodromici di fenomeni micro-trombotici

• Rilascio di fattori protrombotici (Tissue Factor) eriduzione di fattori inibenti l’attività della trombina

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Figura 23. Un grave danno ipossico dell’endotelio provocal’esposizione dello spazio suendoteliale (apertura ovale eviden-ziata dalle frecce) che mostra lamelle elastiche (EL), detriti difibre collagene (CO). Si evidenziano anche piastrine (TH) e pro-paggini della cellula endoteliale (E).

Figura 22. Fasi del danno endoteliale da rimozione del glicocalice di parete.

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a causa del depauperamento di dermatansolfa-to sulla superficie endoteliale che funge da atti-vatore del cofattore eparinico II.

• Ridotta attività fibrinolitica e iperviscosità conconseguenti disordini emoreologici.

• Ridotto flusso ematico (stasi) per inibizione allaproduzione di NOx e prevalenza dei radicaliliberi di ossigeno (Alterazione della bilanciaNOx/ROS). I ROS, sostanze ossidanti definiteanche comunemente radicali liberi, sono grup-pi di molecole prodotte a partire dall’ossigenomolecolare e sono caratterizzati dalla presenzadi elettroni spaiati altamente reattivi in grado didanneggiare le strutture cellulari e la strutturadi GAGs che protegge il lume endoteliale. Lapresenza di un elevato livello di ROS, comeaccade in corso di vasculopatia, provocanumerose conseguenze patologiche, tra cui:apoptosi, proteolisi incontrollata, azione muta-gena sul DNA e perossidazione lipidica.

Le conseguenze di un danno endoteliale sifanno inoltre risentire a livello sistemico: ovunqueil danno si sia verificato, esso provoca uno statodi ipercoagulabilità che contribuisce ulteriormen-te all’insorgenza di un danno ischemico cerebra-le. La lesione endoteliale determina una riduzionelocale delle capacità antitrombotica, da cui derivaun accumulo di piastrine e leucociti. Una buonaparte di questi elementi cellulari passa in circolofavorendo globalmente una condizione di iper-coagulabilità che aumenta il rischio ischemicospecie nei casi in cui esiste un maggior rischio didisfunzione endoteliale sistemica, come accadenei soggetti anziani, negli ipertesi, diabetici ecomunque con fattori di rischio CV (Figura 25).

Il glicocalice di GAGs sulla parete vasale èoggi considerato una barriera fra la condizionevascolare fisiologica e quella patologica, tantoche l’integrazione dei GAGs di parete ripristina iltono vascolare attraverso la correzione della

bilancia NOx/ROS che risulta invertita a favore deiROS nei processi di danno endoteliale.

Lo schema di risposta al danno su base flogi-stica endoteliale apre a nuove soluzioni terapeu-tiche che integrano i classici schemi terapeuticiorientati alla correzione dei fattori di rischio CV ealle singole disfunzioni tissutali (ad es. ischemia)ed emoreologiche (ad es. trombosi), ponendo lareintegrazione dei GAGs di parete (glicocalice)come barriera ai processi flogistici endoteliali chesostengono la disfunzione endoteliale e i proces-si ischemici e trombotici connessi, caratterizzaticome qualsiasi processo infiammatorio dallacapacità di autoalimentarsi al di là della correzio-ne dei fattori di rischio CV che li hanno innesca-ti. In questo senso, il glicocalice oggi è conside-rato come una vera e propria barriera che divide

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Figura 24. Conseguenze dell’alterazione endoteliale. 1.Processi infiammatori da adesione piastrinica e leucocitaria. 2.Formazione di microtrombi per alterazione dell’attività fibrinoli-tica e rilascio di fattori protrombotici. 3. Alterazione della perfu-sione capillare.

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uno stato vascolare fisiologico da uno patologi-co. La reintegrazione dei GAGs di parete puòessere pertanto considerata una tappa fonda-mentale per ristabilire un effetto barriera ai pro-cessi flogistici che sostengono la disfunzioneendoteliale e i processi ischemici/trombotici adessa connessi. Questi eventi hanno peraltro lacapacità di autoalimentarsi anche laddove si siaprovveduto alla correzione dei fattori di rischioCV che li hanno innescati. Pertanto la ricostru-zione della barriera anionica (con le relative cari-che negative) permette di ottenere una funzioneantiinfiammatoria inibendo l’adesione dei leuco-citi, consente di ripristinare l’attività antitromboti-ca di parete attraverso l’inibizione dell’adesionepiastrinica ed infine induce la normalizzazione deltono vascolare che viene alterato nei processi didanno endoteliale a causa dell’alterazione dellabilancia NOx/ROS.

Numerose sono le conferme sperimentalirelative al ruolo dei GAGs nei fenomeni di stressossidativo: è stato dimostrata la capacità del gli-cocalice di mobilizzare dalla matrice endotelialealcuni enzimi quali la mieloperossidasi, prodotti

dai processi flogistici dell’endotelio che riduconola biodisponibilità di NO. È stata inoltre docu-mentata una correlazione diretta tra l’iperfibrino-gemia e disfunzione endoteliale in soggetti sotto-posti ad endoarteriectomia per patologia ische-mica CV. L’ipotesi della ricostituzione del glicoca-lice come target terapeutico nelle patologieischemiche CV viene confermata anche dalriscontro che il Cofattore Eparinico II legandosi alsuo precursore, il dermatansolfato, in corrispon-denza dei lesioni vasali quali la rottura di unaplacca ateromasica induce il rallentamento finoal blocco del processo aterotrombotico.

I fenomeni descritti comportano in ultima anali-si un insulto ischemico di una porzione variabile ditessuto cerebrale da cui deriva la perdita distret-tuale dei meccanismi di autoregolazione. Tuttavia ilflusso ematico privilegia le aree laddove questimeccanismi sono mantenuti, realizzandosi unfenomeno di furto vascolare a carico dei distrettiischemici il cui deficit di perfusione si aggrava ulte-riormente. In questa fase se la noxa patogenaviene rimossa si può verificare una fenomeno diriperfusione con ripristino dell’autoregolazione e

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Figura 25. In presenza di un danno endoteliale (A), piastrine e leucociti si accumulano nel sito di lesione; numerosi elementi cellulari atti-vati possono passare nel circolo sistemico favorendo una condizione di maggiore trombogenecità del sangue. Se l’endotelio è normale(B), il sangue appare molto meno trombogenico prevenendo una interazione patologica tra le cellule circolanti e l’endotelio stesso.

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regressione della sofferenza neuronale. In molticasi la riperfusione (la cui realizzazione dipendedall’entità e dalla durata dell’evento ischemico) siinstaura piuttosto rapidamente non permettendoquindi l’insorgere di sintomi clinicamente evidenti.

I fattori di rischio cardiovascolaree i biomarkers

Da quanto è stato finora esposto è possibileaffermare che l’attivazione della flogosi endotelia-le sia nei vasi cerebrali di maggior calibro che alivello del microcircolo è strettamente correlabilecon i fattori di rischio CV. Pertanto lo studio dellaloro presenza nel soggetto con patologia vertigi-nosa rappresenta un momento di fondamentaleimportanza non solo ai fini diagnostici ma soprat-tutto in termini di approccio terapeutico.

Analogamente l’individuazione di biomarkersspecifici indicativi sia del rischio vascolare generi-co che, più specificatamente, di flogosi endotelia-le può essere l’elemento chiave al fine di poteripotizzare un fattore eziologico specifico nellagenesi di molti disturbi vertiginosi.

Accanto ai ben noti fattori di rischio (età, iper-tensione, fumo, diabete, iperlipemia) dobbiamoanche prendere in considerazione la presenza dipatologia cardiaca, in particolare i disturbi delritmo (fibrillazione atriale) e alcune patologie con-genite (pervietà del forame ovale) che determina-no un rilevante rischio trombo-embolico a caricodei distretti V-B.

Negli ultimi decenni abbiamo assistito allaintroduzione di un sempre maggior numero di fat-tori di rischio misurabili con metodi di laboratorio,la cui effettiva validità ai fini della prevenzione pri-maria e secondaria della patologia cerebro-vascolare su base prevalentemente ateroscleroti-ca necessita in molti casi di una validazione clini-ca (Tabella 3).

Per valutare gli specifici fattori di rischio ci affi-diamo alla valutazione di biomarkers. Per bio-

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• Età• Sesso• Storia familiare positiva per malattie cardiovascolari• Ipertensione arteriosa sistemica• Abitudine al fumo• Dislipemia• Inattività fisica• Obesità• Diabete• Stati prolungati di stress psico-fisico e/o

particolari tipologie psicologiche• Condizioni economiche disagiate• Stato ormonale estrogenico

Tabella 3. I fattori di rischio cardiovascolari.

CLASSICI FATTORI DI RISCHIO (BEN DIMOSTRATI)

• Omocisteinemia• Fibrinogenemia• Lipoproteina(a)• Microalbuminuria• Enzima γ-glutamil transferasi (γ-GT)• Angiotensina II• Uricemia• Marcatori della funzione coagulativa e

fibrinolitica (come: d-Dimero e fattore V Leiden)• Marcatori di infiammazione, come: proteina C reattiva

(CRP), molecole di adesione (VCAMs) e citochinepro-infiammatorie (come: IL-6 e TNF)

• Agenti infettivi (Citomegalovirus, Herpes simplex virus,Chlamydia pneumoniae, Helicobacter pylori)

NUOVI FATTORI DI RISCHIO(RECENTEMENTE PROPOSTI)

marker si intende qualsiasi caratteristica che sipossa oggettivamente misurare e quantificarecome un indicatore di un processo normale opatologico o anche di una risposta farmacologi-ca ad un intervento terapeutico. Pertanto il termi-ne biomarker può essere riferito sia ad un’inda-

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gine di laboratorio, sia ad un test funzionale (ades. la misurazione della PA) che a tecniche diimaging (ad es. Doppler dei vasi cerebro afferen-ti). Nella pratica clinica, più biomarkers vengonoutilizzati insieme: sorge allora il problema di sta-bilire se essi siano complementari o se inveceaggiungano indipendentemente informazionediagnostica e prognostica, migliorando in talmodo il controllo terapeutico del paziente. Perquesto motivo si tende a privilegiare un modellodi rischio globale (Multi-Marker) che comprendeun insieme di biomarcatori, il cui valore globalepuò rappresentare una corretta stima per la pre-dizione di rischio CV.

Entrando nel dettaglio dei biomarkers indicati-vi di rischio CV, questo è un gruppo molto etero-geneo che comprende elementi rilevanti non soloai fini diagnostici, ma anche ai fini di prevenzioneprimaria e secondaria delle malattie circolatorie ingenere.

Nonostante il gran numero di “nuovi” bio-markers suggeriti, lo studio del profilo lipidicorappresenta l’indicatore raccomandato anchedalle recenti linee guida per una valutazioneroutinaria del rischio CV. La riduzione del valoreematico delle lipoproteine a bassa densità (LDL)(Figura 26) comporta una marcata riduzionedell’incidenza di eventi clinici correlati a malattiedelle arterie coronariche e cerebrali.

Anche la proteina C reattiva (CRP) rappresen-ta a questo scopo un buon marker di rischio CV;la sua azione sembra riconducibile all’attivazionedel complemento. Possiamo allora ipotizzare cheCRP, marker dei processi arteriopatici su baseinfiammatoria, possa rappresentare, assieme aivalori ematici dei lipidi, un buon indicatore nellepatologie a carico dei piccoli vasi anche a livellococleo-vestibolare. Su queste basi, LDL, valori diPA ed emoglobina glicosilata sono considerativalidi marker di rischio CV dall’Agenzia Europeadel farmaco.

In particolare l’ipertensione arteriosa è asso-ciata ad una più elevata mortalità e morbilità pereventi cerebro-vascolari in virtù di modificazionidella capacità di autoregolazione del flusso ema-tico cerebrale (sia per variazioni dell’attività auto-nomica che per modificazioni strutturali dei vasicerebrali che vanno incontro ad un ipertofiaendoluminale ed ispessimento delle arteriole). Perquesto viene consigliato un trattamento della PAse questa supera almeno in due valutazioni ese-guite a distanza di tempo i valori di 160 (per lasistolica) e 95 per la diastolica.

L’ematocrito è un importante indicatore dellaviscosità ematica e anche del contenuto di ossi-geno nel sangue ed è noto che un incremento dipatologico di questo parametro può indurre unariduzione del flusso ematico cerebrale.

Anche il diabete rappresenta un rilevante fat-tore di danno circolatorio a livello dell’orecchiointerno: in rocche petrose di soggetti diabetici

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Figura 26. Diagramma della struttura e dei componenti del-l’aggregato lipoproeteico di una lipoproteina a bassa densità(LDL).

L'involucro esterno di una LDL è composto da apolipopro-teine (APO)-B (principale componente proteica deputata altrasporto di colesterolo ai tessuti, che funge da ligando peri recettori delle LDL situati in numerose cellule dell'organi-smo) e da due tipi di molecole lipidiche: fosfolipidi e cole-sterolo non esterificato, nello strato tra involucro proteicoesterno e core, il nucelo interno costituito da trigliceridi ecolesterolo esterificato.

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insulino-dipendenti, è stata ritrovata una marcataatrofia della stria vascolare, una riduzione dellecellule ciliate esterne ed un ispessimento delleparete vasali delle arteriole della membrana basi-lare e della stria vascolare.

Recentemente molto interesse ha destato ilpossibile ruolo dell’aumento dell’omocisteina nelplasma nella patogenesi dei disturbi CV.L’omocisteina è un prodotto intermedio nelmetabolismo della metionina, amminoacido sulfi-drilico essenziale derivato dalle proteine alimen-tari. Studi epidemiologici hanno dimostrato cheun aumento dell’omocisteina plasmatica convalori superiori a 12 micromoli/litro sono associa-ti ad un aumento del rischio di malattia cerebra-le vascolare di circa due volte e mezzo rispetto aicontrolli. Il danno vascolare da iperomocisteine-mia è riconducibile ad una azione lesiva direttasull’endotelio e un incremento dell’adesività pia-strinica. È stata dimostrata anche un’azione suifattori di coagulazione riconducibile ad una ridu-zione dell’attività dell’antitrombina III, attivazionedel fattore VII, ossidazione delle LDL ecc. Ilrischio di ictus è di circa 2.5 volte maggiore inpresenza di iperomocisteinemia.

Accanto a questi markers ormai ben noti vene sono altri che possono dare indicazioniriguardanti la flogosi endoteliale e la vulnerabilitàdella placca ateromasica, attraverso la quantifi-cazione serica dei valori delle molecole di ade-sione (ICAM-1, VCAM-1, Selectine).

Un loro valore ematico elevato sarebberiscontrabile in pazienti con patologia ateroscle-rotica dei vasi cerebro-afferenti e nelle patologiedel microcircolo. Analogamente sono stati stu-diati anche markers recettoriali quali il TNF 1-2,che vengono correlati in modo significativo conla dimensione delle placche ateromasiche a livel-lo carotideo. Nella lista dei markers di vulnerabi-lità va menzionata la lipoproteina-a. Sulla basedell’osservazione che la sua più piccola forma

isomorfa, l’apoproteina-a viene scissa da alcunemetalloproteasi il cui ruolo nell’aterogenesi è bendocumentato, si è dimostrata una forte associa-zione tra elevati livelli di frammenti di apoprotei-na-a e destabilizzazione della placca ateroscle-rotica. La fosfolipasi A2 lipoproteina associata(LP-PLA2) è stata recentemente approvata dallaFDA come utile biomarker predittivo per il rischiodi stroke.

Tuttavia, in generale, tutti questi fattori presen-tano comuni caratteristiche fisiopatologiche datoche sono strettamente associati e correlati ai pro-cessi fisiopatologici di formazione ed evoluzionedella placca aterosclerotica. L’attenta analisi diquesto processo permette quindi di discuterli inmodo unitario.

Come abbiamo già rilevato, infiammazione etrombosi rappresentano i due momenti chiavenella genesi del processo aterosclerotico: essoinizia come una lesione endoteliale localizzataladdove risultano maggiori le forze tangenzialidovute al flusso e alla pressione del sangue circo-lante (shear stress). La conseguente alterazionedella funzionalità endoteliale si caratterizza perl’espressione di molecole di adesione sulla super-ficie delle cellule endoteliali (VCAM), molecole chepossono passare nel torrente ematico e misuratenel siero del paziente. Per questo le VCAM (e altremolecole di adesione, quali la P-selectina, l’inter-leuchina-6, ecc.) potrebbero essere utilizzate permonitorare la progressione della lesione endote-liale e per evidenziare lesioni subcliniche. Nellasede del danno le LDL possono passare la bar-riera endoteliale per essere ossidate attraverso unprocesso che prevede l’intervento di monociti elinfociti T (Figura 27).

Nella migrazione dei leucociti sono implicatemolecole come selectine e citochine (cosiddettechemoattractant), mentre i macrofagi, una voltaraggiunta l’intima vasale, possono imbibirsi dilipidi per poi replicarsi favoriti da alcuni fattori di

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crescita, tra cui l’interleuchina-3. I linfociti T ela-borano citochine infiammatorie come il g interfe-rone e il fattore di necrosi tumorale (TNF).L’evoluzione della lesione ateromatosa fa sì chesi verifichi un incremento delle cellule muscolarilisce (stimolate tra gli altri dal fattore di crescitapiastrinico, PDGF) così come la deposizione diuna notevole quantità di matrice extracellularecome le metalloproteasi della matrice (MMPs) el’inibizione della sintesi di collagene. Ciò com-porta una progressiva riduzione dello spessoredel cappuccio fibroso della placca che può sco-prire il core lipidico che, a sua volta, essendoricco di fattore tissutale, predispone all’aggrega-zione piastrinica e alla successiva trombosi dellaplacca. Anche l’accumulo di cellule T e macrofa-gi comporta, attraverso la produzione di citochi-ne pro-infiammatorie, l’ulcerazione della placcada cui possono derivare microemboli (Figura 28).

Attualmente molte delle sostanze sopra men-zionate sono misurate solo in laboratori specializ-zati, per cui non hanno un ruolo importante nellapratica clinica.

La trombosi vasale che segue generalmente larottura del cappuccio fibroso di una placca atero-

masica instabile rappresenta l’evento principaleper l’instaurarsi di un episodio acuto cerebrale subase aterosclerotica trombo-embolica. La valuta-zione di alcuni markers di attivazione del sistemacoagulativo/fibrinolitico (fibrinogeno, D-dimero,fattore V Leiden, fattore VII, fattore vonWillebrand) potrebbe pertanto essere utile per lavalutazione del rischio in pazienti con patologia

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Figura 27. Schema della migrazione dei leucociti dal sangue alla parete arteriosa con successiva liberazione di sostanze citotossi-che e radicali liberi dell’ossigeno (ROS).

Figura 28. Evoluzione del processo aterosclerotico: dalla plac-ca all’evento cerebrovascolare acuto.

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CV, dato che un aumento di tali indici potrebbeindicare la progressione della trombosi vasale.

Il D-dimero, prodotto di degradazione della fibri-na, ha dimostrato di possedere un elevato livello dicorrelazione con i valori plasmatici di CRP, tantoche può effettivamente essere considerato ancheun marker di infiammazione oltre che di trombosi.

Elevati livelli di D-Dimero, associati ad alti livelliserici di indici di flogosi (CRP) potrebbero indica-re l’esistenza di una marcata instabilità della plac-ca ateromasica predittiva di elevato rischio abreve di fenomeni ischemici acuti.

Il fattore vonWillebrand è una glicoproteinache si trova nel plasma, nelle piastrine e nell’en-dotelio vascolare e rappresenta il principaledeterminante dell’adesione delle piastrine all’en-dotelio danneggiato (Figura 29). Pertanto unincremento dei livelli plasmatici potrebbe essereun indice di rischio trombotico.

La microalbuminuria (specie nei pazienti iper-tesi e/o diabetici) sembra essere correlata ad unacondizione di elevato rischio CV, con un mecca-nismo ancora sconosciuto. Un recente studio haposto in relazione, nell’anziano, la presenza dimicroalbuminuria con patologia dei piccoli vasicerebrali, indipendentemente dall’esistenza dialtri biomarkers specifici.

Anche l’emicrania può essere inserita nelnovero dei biomarkers indicativi di rischio CV.Sono oramai ben noti i rapporti tra la patologiavestibolare e i disturbi di tipo emicranico tantoche la diagnosi di Vertigine Emicranica rappre-senta un’entità clinica ben definita con un razio-nale terapeutico ben delineato. Pur non essendoancora del tutto conosciuto l’intimo meccanismoalla base del processo emicranico, la presenza dialterazioni geniche che comportano anomalie deicanali del calcio rappresenta la causa di alcuneforme emicraniche (emicrania basilare, emicraniaemiplegica familiare); in effetti un anomalo funzio-namento dei canali del calcio rende estremamen-

te instabile l’attività della cellula neurosensoriale epuò indurre disturbi della composizione ionica deiliquidi dell’orecchio interno provocando così gliattacchi vertiginoso ricorrenti tipici della vertigineemicranica. Tuttavia l’emicrania può indurre pato-logie a carico del sistema dell’equilibrio ancheattraverso un meccanismo puramente vascolareischemico tanto che la International HeadacheSociety inserisce tra le complicanze dell’emicra-nia la possibile insorgenza di episodi infartuali deldistretto V-B. A titolo di esempio, è ampiamentedocumentato che il torcicollo parossistico dell’in-fanzia è riconducibile ad un’aura senza cefaleaper ischemia del tegmento mesencefalico. Anchel’emicrania basilare si caratterizza per sintomi chesono chiaramente la conseguenza di un fattoreischemico che coinvolge il distretto vertebro-basilare. Infine sono numerose le evidenze clini-che e sperimentali che indicano la maggiore inci-denza di patologia vestibolare periferica (vertigineparossistica posizionale, malattia di Meniere,cocleo-labirintopatia acuta improvvisa) in sogget-ti emicranici in virtù di un danno subischemicoricorrente da vasospasmo dell’orecchio internoda cui potrebbero derivare fenomeni di danno acarico del microcircolo con le relative conseguen-ze sul piano clinico.

Infine la recente esplosione delle procedure diindagine di tipo genetico ha raggiunto anche ilsettore della patologia CV facendo prevedere la

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Figura 29. Meccanismo d’azione del fattore vonWillebrand(vWF).

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futura disponibilità di test indicativi non solo dimalattia CV ma anche di indagini tese ad ottimiz-zare il trattamento farmacologico attraverso unaterapia personalizzata. L’analisi a livello del geno-ma comprende molte procedure che consentonol’identificazione di possibili geni (geni candidati) lacui alterata funzione potrebbe essere responsabi-le di particolari forme di malattie cerebro-vascola-ri, come anche l’analisi di polimorfismi (mutazionigeniche) che sono associati ad un aumento delrischio CV. Tuttavia l’utilità clinica dell’analisi dipossibili geni candidati è limitata dal fatto che i piùfrequenti disturbi cerebrovascolari riconosconoun’eziologia multifattoriale; fattori ambientali ecomportamentali interagiscono in maniera dina-mica con la funzione di vari geni nel determinare imeccanismi che portano all’instaurarsi dellamalattia. Pertanto di fronte al processo ateroscle-rotico bisogna utilizzare un approccio genomicopiuttosto che un’analisi genetica basata su unsingolo locus genico. L’intento sarà quello di defi-nire un profilo associato ad un maggior rischio dipatologia CV attraverso l’analisi della funzioneconcomitante di più geni (gene clustering,expression patterns, proteonic fingerprint).

Le analisi genetiche sono utilizzate solo inricerche di fisiopatologia e ancora non hanno unriscontro nella pratica clinica. Solo a scopoesemplificativo riportiamo l’osservazione che lemutazioni geniche MTHRF C677T e A1298C(ubiquitarie nei paesi occidentali con una preva-lenza del 27-41%) comportano alterazioni enzi-matiche da cui deriva un incremento dei valoriplasmatici di omocisteina da cui deriva un’altera-zione della funzione endoteliale. In ambito audio-logico tali mutazioni sono state poste in relazio-ne con l’insorgenza di ipoacusia improvvisa. Inun recente studio è stato infatti sottolineato ilruolo dell’associazione tra fattori pro tromboticiacquisiti e ereditari nella genesi del danno delmicrocircolo cocleare. Pertanto, accanto alle

classiche indagini sierologiche, lo studio dell’as-setto genotipico relativo alla funzione piastrinica,protrombinica e del fattore V Leiden, potrebbefar identificare pazienti a potenziale rischio di svi-luppare patologie audiologiche e vestibolari diorigine ischemica.

MICROCIRCOLO EPATOLOGIA VESTIBOLARE

A livello cocleo-vestibolare le strutture recetto-riali sono immerse in un fluido linfatico diviso indue aree, denominate perilinfa ed endolinfa, inequilibrio emostatico fra loro e con il network dicapillari terminali del microcircolo cocleo-vestibo-lare realizzando un peculiare doppio equilibrioemostatico.

Il dato saliente dell’equilibrio perilinfa-endolinfache assicura le funzioni di trasmissione deisegnali cocleo-vestibolari è rappresentato dalpotenziale sodio-potassio, laddove la perilinfa è ilserbatoio di sodio (150-180 mM) e l’endolinfaquello di potassio (150-180 mM) (Figure 30, 31).

Tale potenziale è funzione della pressione diperfusione sanguigna e l’orecchio interno dimo-stra, in esperimenti condotti in vivo, ampiecapacità di regolazione autonoma in grado diripristinare il potenziale Na+/K+ in meno di unminuto (compenso fisiologico), dopo avereindotto una variazione repentina della pressionedi perfusione.

Tali capacità di autoregolazione sono larga-mente superiori a quelle riscontrabili nella micro-circolazione cerebrale. Un esempio di questo tipodi struttura è rappresentato dalla stria vasculareche garantisce il potenziale endococleare e lacomposizione ionica dell’endolinfa (Figura 32).

La stria vascolare è ricca di strutture microva-scolari. A contatto con lo spazio endolinfatico sitrova uno strato di cellule marginali, caratterizza-

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te da legami intercellulari molto stretti e da nume-rosi mitocondri (Figura 33).

Subito sotto vi sono capillari e le cellule inter-medie. A contatto con il ligamento spirale si tro-vano numerosi strati di cellule basali piatte. Tra lostrato di cellule intermedie e quelle basali si tro-vano delle giunzioni molto aderenti (tight jun-ctions) che si ritiene possono rappresentare unavera e propria barriera al movimento ionico attra-verso gli spazi interstiziali. Inoltre questi stretticontatti tra cellule basali ed intermedie sono così

aderenti da far pensare che queste cellule formi-no quasi una struttura sinciziale permettendoaddirittura lo scambio di sostanze intracellulari.Questa barriera viene considerata un vero e pro-prio sbarramento tra i liquidi dell’orecchio inter-no e le strutture vascolari. È stato dimostratoche un incremento della pressione dell’orecchiointerno (derivato dall’incremento dei valori pres-sori sia endolinfatici che perilinfatici) comporta

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Figura 32. La striscia vascolare.

Figura 30. Composizione ionica dei liquidi dell’orecchio interno.

Figura 31. I potenziali endococleari.

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una riduzione del flusso ematico cocleare piùevidente al livello del microcircolo e dei capillari,allo stesso modo con cui un incremento dellapressione del liquido cerebro-spinale riduce laperfusione cerebrale.

Anche a questo livello è possibile ipotizzareche possa verificarsi una patologia del microcir-colo basata sul modello precedentementedescritto da cui deriva una sofferenza dellestrutture neurosensoriali vestibolari ma anchedelle vie vestibolari centrali. La teoria di Rispostaal Danno endoteliale su base flogistica che spie-ga i processi aterosclerotici e aterotrombotici apartire dai distretti microcircolatori, è stata direcente confermata anche a livello della circola-zione cerebrale, con l’individuazione di mediato-ri flogistici a livello dei micro- e macro-vasi inpazienti con cerebrovasculopatie rispetto apazienti sani. L’adesione dei leucociti è conside-rata cruciale nella patogenesi, lasciando specu-lare sul valore di terapie anti-adesive e anti-flogi-

stiche vascolari.Pertanto possiamo ipotizzare che l’origine di

molti disturbi vestibolari in soggetti con fattori dirischio CV possa riconoscere lo start-up nella flo-gosi che può innescarsi a livello vascolare, sottola spinta dei fattori di rischio cardiovascolari etrombotici. D’altro canto sono ben conosciute ledisfunzioni dell’equilibrio e dell’udito associate afenomeni autoimmunitari. In questi casi si realizzaun danno endoteliale e microcircolatorio su baseflogistica immuno-mediata da cui deriva unalesione ischemica. In questi casi si realizza unavasculite ovvero un processo infiammatorio dellaparete vasale con alterazioni del flusso e dell’inte-grità dei vasi (Figura 34).

Esistono numerose evidenze di dannococleo-vestibolare in pazienti con questo tipo dipatologia. L’arterite a cellule giganti è la piùcomune forma di vasculite dell’anziano che inte-ressa i vasi di medio e grosso calibro. Esiste unaelevata incidenza di VPP in questi pazienti: 20%contro il 2% della popolazione generale e poichèle manifestazioni cliniche della GCA sono causa-te da fenomeni ischemici si può ipotizzare unacausa vascolare alla base della VPP.

Nella crioglobulinemia mista essenziale,vasculite che interessa i piccoli vasi, è estrema-mente frequente sia un danno neurosensorialeall’orecchio interno, sia un danno a livello del-le strutture vestibolari con un’alta incidenza di VPP.

Un altro quadro clinico raro ma estremamen-te interessante è rappresentato dalla sindromedi Susac (Figura 35). Si tratta di una patologiapiuttosto rara causata da una encefalopatiasubacuta multifocale associata a sintomi audio-vestibolari e oculari dovuta a fenomeni di micro-angiopatia da vasculite anche se non si hannoalterazioni sierologiche tipiche.

Altri sintomi associati sono la cefalea, distur-bi della memoria comportamentali e cognitivi e

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Figura 33. Ultrastruttura della stria vascolare.

Legenda: BC, cellule basali; CAP, vasi capillari; IC, celluleintermedie; MC, cellule marginali.

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l’atassia. La sintomatologia si caratterizza, oltreche a sintomi oculari (alterazioni segmentali delcampo visivo per ostruzione su base vasculiticadi rami dell’arteria centrale della retina, da unaipoacusia bilaterale neurosensoriale a rapidaprogressione o improvvisa e da vertigini edinstabilità con segni sia periferici (per ripetutimicroinfarti del labirinto) che centrali. In questosoggetti la RM mostra aree iperintense in T2 dif-fuse sia a livello sopra che sotto-tentoriale indot-te da microinfarti per trombosi indotta da vascu-

lite dei piccoli vasi (infiltrati perivascolari ma nonnecrosi fibrinoide). Questo quadro di imaging,associato ad anomalie evidenti alla fluoro angio-grafia, permettono la diagnosi.

Pur essendo una patologia piuttosto rara lasindrome di Susac offre numerosi spunti fisiopa-tologici che ci inducono a confermare l’effettivaesistenza di una patologia vestibolare su baseischemica per danno specifica del microcircolocentrale e periferico

Anche dal punto di vista sperimentale possiamoevidenziare il ruolo fondamentale dell’endotelionella normale funzionalità delle strutture deputate almantenimento dell’equilibrio. Le cavie con sindro-me di Alport, patologia presente anche nell’uomo ecaratterizzata da alterazioni dell’omeostasi labirinti-ca, mostrano un innalzamento dei livelli di MMP 2-9 (proteasi di degradazione della matrice endotelia-le) tipici del rimodellamento vasale osservabile nellaaterosclerosi che segue la flogosi endoteliale.

Un altro studio sperimentale ha dimostratoche il flusso ematico dell’orecchio interno si ridu-ce in corso di esposizione al rumore, tanto chenelle cavie esposte al rumore si è riscontrato un

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Figura 35. Aspetto tipico della risonanza magnetica nei pazien-ti con sindrome di Susac: aree iperintense in T2 diffuse sia alivello corticale che a livello sottocorticale, esito dei microinfar-ti per trombosi indotta da vasculite dei piccoli vasi.

Figura 34. La flogosi (autoimmune) della parete dei vasi provoca i danni endoteliali descritti nel modello di risposta al danno provocan-do una riduzione del flusso ematico già presente in virtù della riduzione del lume vascolare a causa dell’ispessimento della parete.

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aumento del VEGF, espressione del processo flo-gistico endoteliale.

Queste evidenze sperimentali possono dareun ulteriore spinta all’affermazione del fatto chemolti danni dell’orecchio interno sia dovuti altrauma acustico che a sindromi metaboliche, siesprimono attraverso una flogosi endoteliale.

Una volta documentato sperimentalmente, cli-nicamente e anatomo-patologicamente chemolte forme vertiginose possono essere di origi-ne vascolare, come possiamo essere certi che inun determinato paziente l’origine del disturbo ver-tiginoso sia di origine vascolare?

A questo punto visto che la valutazione otoneu-rologica non dà informazioni di tipo eziopatogene-tico e che gli esami strumentali hanno un significa-to limitato, il ruolo delle indagini emato-chimichediviene essenziale nella diagnosi di vertigine vasco-lare, anche alla luce delle evidenze relative almodello endoteliale di risposta al danno.

Sulla base delle evidenze diagnostiche vascola-ri sono state intraprese numerose indagini volte a

valutare la correlazione fra i fattori di rischio CV e idisturbi cocleo-vestibolari con risultati che confer-mano l’ipotesi del coinvolgimento dell’emostasiemato-labirintica nei processi aterotrombotici allabase dei disturbi cocleo-vestibolari di originevascolare. Un nostro lavoro ha cercato di studiareil ruolo del D-dimero (parametro emato-chimicoriconducibile ad uno stato di ipercoagulabilità) nellapatologia vertiginosa acuta. È stato effettuato unconfronto tra un gruppo di 45 pazienti con disfun-zione vestibolare periferica (APV) e un gruppo dicontrollo di 25 pazienti affetti da Sindrome diMenière. Sono stati misurati, in sede di diagnosi edopo sei settimane di wash out farmacologico, ilivelli di D-dimero, riscontrando un aumento deglistessi nel 51,1% dei pazienti (> 300 ng/ml) rispet-to al 16% del gruppo di controllo. Il campionemostrava inoltre livelli elevati di fibrinogeno (> 400mg/dl) nel 17,7% dei casi e di lipoproteina a (> 30mg/dl) nel 42,2%. Un incremento del D-dimero èespressione di un’alterazione del sistema emosta-tico (Figura 36).

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Figura 36. Le alterazioni di alcuni biomarkers emato-chimici (D-dimero, fibrinogeno lipoproteine) danno una indicazione eziopato-genetica, nella diagnostica della vertigine vascolare (Da: Casani et al, Otol Neurotol 2009).

A. Il livello ematico delle lipoproteine (a) si abbassa durante la fase acuta di una forma vertiginosa periferica, mentre si innal-zano gli indici generici di flogosi (CRP, fibronogeno, citochine ecc.)B. Aumento dei livelli di fibrinogeno, D-dimero, lipoproteine, leucociti nei pz con APV, sia nella fase acuta che nel periodo difollowup, rispetto a pz con malattia di Menière.

Legenda: APV, patologia vertiginosa acuta.

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È stato altresì dimostrato che il livello ematicodelle lipoproteine si abbassa durante la faseacuta di una forma vertiginosa periferica (NevriteVestibolare) mentre si innalzano gli indici genericidi flogosi (CRP, Fibrinogeno, Citochine ecc.).

In letteratura sono riportati altri studi cheparlano di una possibile correlazione traaumentati livelli serici di fibrinogeno e ipoacusiaimprovvisa, ma non è stata dimostrata unasignificativa differenza per lipidi ematici trapazienti con ipoacusia improvvisa e pazienticon infarto miocardio.

In una recente pubblicazione è stata riportatauna correlazione statisticamente significativa tral’iperlipemia e l’ipertensione e la presenza di ver-tigini di origine vestibolare, mentre l’associazionecon il diabete appare meno significativa.

Riconoscere l’origine vascolare di un quadroclinico caratterizzato da sintomi audiovestibolaririsulta comunque una sfida piuttosto complessa.La sfida appare ancor più complessa quando citroviamo di fronte ad una vertigine isolata. Comeabbiamo già ampiamente discusso la causa piùcomune di IVB è rappresentata dall’aterosclerosi

di uno o più vasi del distretto V-B. cause menocomuni sono rappresentate dalla sindrome dafurto della succlavia, dissezione arteriosa, trom-boangioite obliterante, policitemia o disturbi dellacoagulazione, il tutto favorito da meccanismicompressivi indotti ad esempio da osteofitidurante i movimenti di iperestensione ed estremarotazione del collo (Figura 37).

L’importanza dello studio dei fattori di rischioCV nella diagnosi di vertigine vascolare è statarecentemente sottolineata da uno studio retro-spettivo eseguito su un elevato numero di pazien-ti sottoposti ad angio-RM, suddivisi in base allanormalità delle arterie vertebrali od ad una loroanomalia (ipoplasia o stenosi). Di questi pazientivennero analizzati i fattori di rischio per stroke(età, sesso, pregresso TIA, ipertensione, diabete,iperlipemia, fumo) e, a seguito di analisi statistica,venne evidenziata una correlazione tra la presen-za di vertigine episodica isolata e almeno 3 fatto-ri di rischio nel gruppo dei soggetti con anomaliadelle arterie vertebrali. La comparsa della vertigi-ne potrebbe essere legata a transitori episodiischemici delle strutture vestibolari periferiche o

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Figura 37. Schema riassuntivo dei fattori di rischio per l’insorgenza di una vertigine su base vascolare.

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centrali, durante la rotazione od estensione delcollo che va a comprimere l’arteria vertebrale ste-notica in pazienti con anomalie bilaterali.

Questa correlazione induce a prendere in con-siderazione l’utilità di una valutazione neuroradio-logica dell’albero vascolare V-B in soggetti affettida vertigine isolata (specie se posizionale) o dadizziness di origine ignota, se sono presenti alme-no tre fattori di rischio CV.

Abbiamo visto come in tutti i distretti dell’orec-chio interno un danno microcircolatorio possa giu-stificare una sintomatologia cocleo-vestibolare.Accertata l’impossibilità di una diagnosi di vertiginevascolare su base puramente strumentale, la dia-gnosi si avvale attualmente di elementi clinico-

anamnestici.Nell’ambito dei dati clinico-anamnestici, al

di là dei comuni fattori di rischio, è importantevalutare attentamente in questi pazienti i fatto-ri di rischio CV, specie quelli evidenziabili congli esami ematochimici, con particolare atten-zione all’assetto lipidico all’omocisteina eanche al D-dimero, fibrinogeno e alla proteinaC reattiva.

Se abbiamo delle indicazioni che ci fanno ipo-tizzare un danno dell’endotelio possiamo interve-nire in maniera sicuramente efficace con unaterapia a base di farmaci con attività anti-atero-trombotica (farmaci di parete) tra cui Suledexiderappresenta quello di maggior rilievo.

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INTRODUZIONE

Un difetto di vascolarizzazione nelle strutturedell’orecchio interno è ritenuto responsabile dinumerosi quadri clinici che differiscono a secon-da delle modalità d’insorgenza (deficit acuto ocronico) e delle diverse sedi coinvolte.

La distribuzione distrettuale della circolazionearteriosa nell’orecchio interno rappresenta ilrazionale interpretativo di sintomi e segni clinici,con rare eccezioni.

Vi sono dei limiti nello stabilire la genesi vasco-lare di un disturbo cocleo-vestibolare, poiché lestrutture recettoriali sono avvolte da uno spessoinvolucro osseo che ne impedisce l’osservazionediretta o indiretta, anche se in qualche caso l’in-dagine intensitometrica consente la diagnosi diemorragia intralabirintica (1) o, in caso di “stroke”con sintomi uditivi, consente di identificare lasede dell’alterato flusso ematico (2). La compar-sa di disturbi cocleovestibolari in soggetti definibili“a rischio vascolare” per presenza di fattori gene-rali specifici rappresenta, a tutt’oggi, il criterio cli-nico maggiormente in uso (3-6).

Gli effetti dell’occlusione arteriosa sull’orec-chio interno sono tanto maggiori quanto più vici-no al meato acustico interno si trova il punto dicompressione (7), dato supportato anche dalfatto che, pur considerando l’arteria uditiva inter-

na un ramo terminale dell’arteria cerebellare ante-roinferiore (AICA), sono state descritte molte ana-stomosi tra l’AICA stessa e alcuni rami pontinidell’arteria basilare (8) in grado di sopperire alflusso ematico cocleo-vestibolare per occlusionipiù prossimali dell’AICA.

PREMESSE ANATOMICHE

Per quanto vengano descritte varianti anatomi-che nell’irrorazione arteriosa delle diverse areerecettoriali cocleovestibolari, il dato più comune èquello schematizzato nel diagramma in Figura 1.

Lo schema riportato giustifica la semeioticacocleo-vestibolare sia attraverso la valutazione dieventuali segni spontanei o rivelati, sia attraversol’analisi strumentale delle singole aree recettoriali.

CLINICA DEL DEFICIT LABIRINTICO ACUTO

L’esordio improvviso e acuto di un deficit vascola-re dell’orecchio interno in genere è monolaterale epuò riguardare tutto l’orecchio interno o solo partedi esso. Può essere di natura emorragica o infar-tuale e, in questo caso, può essere sostenuta dacompressioni estrinseche dell’arteria o per pato-logia intrinseca, come quella tromboembolica.

Capitolo 4

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LA SEMEIOTICA DEL DEFICIT LABIRINTICO SU BASE VASCOLARE

Marco Manfrin

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Figura 1. Semeiotica cocleo-vestibolare.

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La premessa anatomica, tuttavia, indica chel’emergenza dell’arteria uditiva interna si pone adangolo retto rispetto al decorso dell’AICA, in talmodo garantendone una sorta di protezione dal-l’ingresso di materiale embolico, ma esponendo-la invece più facilmente, alle lesioni intimali chepossono verificarsi per aumenti pressori endoar-teriosi improvvisi (punto di turbolenza): tale aspet-to rende più frequente il meccanismo tromboticorispetto a quello embolico. Si tratta di una situa-zione clinica d’emergenza/urgenza che richiedeun’attenta valutazione semeiologica fisica e,spesso, un ausilio radiodiagnostico.

In caso di perdita improvvisa della funzionecocleo-vestibolare, l’indagine RMN è in grado disvelare anomalie in circa il 35% dei casi (9), di cuisolo l’1,1% a carico dell’orecchio interno, il 6,5%nel condotto uditivo interno/angolo ponto-cere-bellare, il 3,4% a carico delle vie uditive localizza-te nel tronco dell’encefalo e il 22% con positivitàindiretta per evidenza di lesioni microangiopati-che diffuse nell’encefalo (Figura 2).

Il sintomo più frequente di carattere vestibola-re è la vertigine o, meglio, la grande crisi vertigi-

nosa (10), anche se è possibile la comparsa diun’instabilità improvvisa, ai limiti dell’atassia.Acufeni e ipoacusia, sino all’anacusia, corrispon-dono al danno cocleare con le caratteristicheproprie delle ipoacusie, parziali o panfrequenziali,a sede recettoriale. Per definizione, si definiscecome ipoacusia improvvisa la perdita di almeno20 dB, di tipo neurosensoriale, che si sviluppa inun periodo di tempo che va da qualche minuto aore (Figura 3) (11).

In tabella 1 è riportato un quadro sinottico deidati della semeiotica relativa al deficit acuto subase vascolare cocleo-vestibolare.• Nella perdita improvvisa della funzione cocleo-

vestibolare monolaterale, il Nistagmo (Ny)spontaneo e le deviazioni segmentario-tonichecorrispondono alla sindrome deficitaria acutaperiferica di tipo armonico con sintomi e segniche permangono, con una certa intensità, peralmeno 48-72 ore. La successiva attivazionedei meccanismi rapidi di compenso e quelli piùtardivi di adattamento consentono il recuperodelle funzioni oculomotorie e vestibolospinali,anche se nel complesso vi può essere una

LA SEMEIOTICA DEL DEFICIT LABIRINTICO SU BASE VASCOLARE

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Figura 2. Immagine coronale RMN T1-pesata di emorragia intra-labirintica sinistra: il segnale iperintenso (freccia) è legato alla pre-senza di sangue all’interno del labirinto membranoso (9). Figura 3. Quadro audiometrico di ipoacusia improvvisa sinistra.

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concomitante o preesistente sofferenza subase vascolare delle strutture neurologicheche rendono inefficace o parziale il compenso.

• Nella forma da interessamento dell’arteria udi-tiva interna è possibile che si possa apprezza-re la variazione d’intensità e frequenza del Nyspontaneo secondaria alla modificazione dellaposizione del corpo del paziente (Ny monodi-rezionale ma con rinforzo apogeotropo e inibi-zione geotropa) per l’impossibilità di contrasta-re le interazioni otolito-canalari del lato sano daparte del labirinto lesionato “in toto”. Tale varia-zione, invece, può non essere presente nelleforme da interessamento dell’arteria vestibola-re anteriore, in cui il Ny spontaneo è del tuttosimile alla forma precedente, ma tende a nonmostrare variazioni posizionali di intensità e fre-quenza, in quanto viene conservata la funzioneotolitica sacculare del lato patologico. Questospiega anche perché il recupero, in questi casi,sia più rapido con conseguente minore durata

di vertigine e Ny. La conservazione della fun-zione del canale semicircolare superiore rendepossibile la comparsa, più o meno tardiva, diuna vertigine parossistica posizionale da labi-rintolitiasi interessante il lato colpito (sindromedi Lindsay-Hemenway) (12).

• Il quadro clinico da interessamento dell’arteriacocleo-vestibolare appare più complesso inquanto più sfumato. Può non essere riferita unavertigine acuta, ma una sensazione di instabili-tà improvvisa; il Ny spontaneo, quando presen-te, è di tipo verticale-rotatorio verso il basso perla prevalenza delle afferenze toniche del canalesemicircolare superiore controlaterale, in uncontesto dove è conservata l’afferenza di tuttigli altri canali semicircolari di entrambi i lati. Ildato più caratteristico è l’assenza dei VEMPs euna curva audiometria in caduta sulle frequen-ze acute, in genere con una discesa che iniziadalla frequenza 4 kHz (zona di arrivo della circo-lazione arteriosa terminale del ramo cocleare

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Tabella 1. Dati della semeiotica relativa al deficit acuto su base vascolare.

Arteria Territorio Semeiotica canalare Semeiotica otolitica Semeiotica cocleare

Uditiva interna Orecchio interno Ny spontaneoorizzontale-rotatorio,persistente, staziona-rio monodirezionale,pluriposizionale direttoverso il lato sano

Ocular tilt reactionverso il lato lesoVerticale visiva sog-gettiva inclinataverso il lato lesoVEMPs assenti

Anacusia, acufeni

Vestibolareanteriore osuperiore

UtricoloCSLCSS

Idem OTR sfumataVVS patologicaVEMPs presenti

Normoacusia

Vestibolococleare SacculoCSIGiro basale dellacoclea

Ny spontaneoverticale-rotatorioverso il basso

OTR sfumataVVS normaleVEMPs assenti

Ipoacusianeurosensoriale indiscesa sugli acuti,acufeni

Cocleare propria Giro intermedioGiro apicale dellacoclea

Assente Normale Ipoacusianeurosensoriale insalita sui gravi e suimedi, acufeni

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della vestibolococleare e della cocleare propria-mente detta). La reflettività del canale semicir-colare laterale è conservata perfettamente(Figura 4).Gli eventi acuti nel territorio dell’arteria coclea-

re propriamente detta generano un’ipoacusiaimprovvisa che interessa le frequenze gravi emedie, a simulare un andamento comunementeattribuito all’idrope endolinfatica. La differenza trale due forme riguarda la diversa suscettibilità dellecellule ciliate: mentre l’idrope endolinfatica agiscepreferenzialmente su quelle esterne, dando origi-ne ad un’ipoacusia neurosensoriale che nonsupera i 60 dB, in caso di ischemia quelle mag-giormente coinvolte sono le cellule ciliate interne,con un tracciato audiometrico che supera i 60 dBper le frequenze interessate (13,14). Un’altracaratteristica differenziale è quella della fluttuazio-ne (ricorrenza) dell’ipoacusia nelle forme su baseidropica.

DIAGNOSI DIFFERENZIALE

1. L’evento clinico più comune da distinguere èla perdita improvvisa della funzione cocleo-vesti-

bolare da causa infettiva (virale) (15-17). In assen-za di altre indicazioni, la neurite dell’VIII nervo cra-nico si differenzia per:– Criteri epidemiologici: in genere, si tratta di

soggetti relativamente più giovani, anche in etàinfantile, senza evidenti fattori di rischio vasco-lare; si tratta di casi non sporadici, ma con uncerto andamento epidemico nell’ambito di unapopolazione.

– Criteri eziologici: nella forma più frequente, l’in-fezione da herpes simplex è quella con mag-giore evidenza di dati laboratoristici. Seguequella da herpes zoster che spesso si manife-sta con la classica eruzione vescicolosa nellaregione concomeatale (zona di Ramsay-Huntche corrisponde all’innervazione sensitiva dellacute dell’orecchio esterno di pertinenza delnervo facciale dopo l’anastomosi extracranicacon il nervo vago). Sovente è coinvolto ancheil VII nervo cranico nella sua componentemotoria (paralisi, paresi). In termini di frequen-za, seguono poi le forme dovute a myxovirus,paramyxovirus e al virus della parotite. Altreforme infettive sono più rare: merita di esseresegnalata la neuropatia cocleo-vestibolare nelcontesto della sindrome di Lyme, malattia

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Figura 4. Schema della vascolarizzazione arteriosa e venosa della coclea.

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sistemica da Borrelia burgdorferi che può inte-ressare anche il sistema nervoso sotto forma dimeningoradicolonevrite (periferica o a carico dipiù nervi cranici).

– Criteri clinici: nella forma comune, la neuriteda virus interessa più frequentemente il ramovestibolare dell’VIII nervo cranico e, di questo,la branca superiore, per l’esclusività delle ana-stomosi tra questa parte e il nervo facciale nelcui ganglio genicolato si indovano i virus erpe-tici a provenienza delle superfici mucocutaneefacciali. Si tratta, quindi, di una neurite parzia-le con un quadro del tutto simile a quello dainteressamento dell’arteria vestibolare anterio-re. Anche in questo caso è possibile l’insor-genza tardiva di una vertigine parossisticaposizionale da labirintolitiasi del CSP ipsilate-rale al lato sede della neurite.

– Criteri audiologici: la perdita uditiva improvvisada causa infettiva si caratterizza per una mag-giore importanza del danno che in genere è digrado elevato/profondo (oltre i 90 dB) conamputazione del tacciato a livello delle fre-quenze medie e acute e presenza di residuiuditivi dai 250 ai 1000 Hz.

– Criteri terapeutici: è nota l’efficacia di una tera-pia antinfiammatoria steroidea in associazionea farmaci antivirali nell’accelerare la guarigionee favorire il compenso naturale in caso di neu-rite vestibolare (18), schema terapeutico ineffi-cace in caso di natura vascolare dell’eventoacuto.

2. La diagnosi differenziale, in secondo luogo,deve essere posta con un primo attacco dimalattia di Menière, in cui la durata della crisi ver-tiginosa è inferiore (da parecchi minuti a qualcheora) e l’ipoacusia da idrope cocleare colpisce lefrequenze gravi-medie, difficilmente superando i60 dB. La ricorrenza degli episodi nel prosieguodella malattia toglie ogni possibile dubbio dia-gnostico.

3. Un’ipoacusia improvvisa associata a vertigine,della durata di parecchi giorni, può essere soste-nuta da un infarto isolato nel territorio irroratodall’AICA a livello del tegmen pontino inferolatera-le (19), senza necessariamente associarsi ad altrisintomi di carattere neurologico da interessamen-to del tronco encefalico e del cervelletto. Se l’areainfartuale è maggiore, si possono associare para-lisi facciale, atassia, disartria, ipoestesia agli arti,diplopia e sindrome di Horner (sindrome diWallemberg).4. Una crisi vertiginosa acuta importante, senzasintomi o segni uditivi, può essere data anche daun’emorragia del lobo cerebellare, in genere nelterritorio del ramo mediale della PICA. La seme-iotica nistagmica consente agevolmente di diffe-renziare un evento vascolare acuto a carico delcervelletto in quanto, pur manifestandosi con unNy orizzontale-rotatorio verso il lato sano inmaniera del tutto analoga a quello della perditaimprovvisa della funzione vestibolare, si caratte-rizza per:– mancata sostituzione saccadica nel movimen-

to rapido del capo verso il lato leso, sotto fis-sazione visiva (test di Halmagyi negativo); neldanno labirintico il test è positivo (saccadicisostituitivi generati da una struttura neurologi-ca integra);

– indifferenza alla stimolazione simultanea freddadei due labirinti; nella forma periferica, il Nyspontaneo subisce una riduzione in ampiezzae frequenza, sino all’inversione nella direzione.

CLINICA DEL DEFICITLABIRINTICO CRONICO

Non esiste un quadro clinico patognomonicodi un deficit vascolare cronico a carico dell’orec-chio interno. Le modalità di espressione sul pianosemeiologico sono aspecifiche e possono essere

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Tabella 2. Caratteristiche semeiologiche cocleovestibolari del deficit vascolare cronico.

condivise con altre alterazioni che riconosconomeccanismi eziopatogenetici diversi da quellovascolare.

Le esigenze metaboliche differenti nellediverse sedi dell’orecchio interno, espressionedi un “costo” energetico non omogeneo, spie-gano una parziale partizione del danno vascola-re cronico a livello recettoriale; in ordine decre-scente, la maggiore sensibilità all’ischemia cro-nica riguarda il giro basale della coclea, il saccoendolinfatico, i giri intermedio e apicale, i canalisemicircolari e, infine, il sistema otolitico. Inoltre,il danno graduale si manifesta a livello coclearesoprattutto a carico delle cellule ciliate esterne,mentre a livello di quello vestibolare a caricodelle cellule ciliate di tipo 1. Uniforme è la sensi-bilità degli elementi di sostegno in entrambi icomparti.

Sul piano clinico, le modalità di combinazionesono diverse e condizionate, specialmente perl’analisi dei riflessi vestibolari, dal concomitanteinteressamento delle strutture tronco-cerebellari,così come per la funzione uditiva, dalla maggioreo minore partecipazione delle vie retrococleariall’espressione sintomatica (acufeni, ipoacusia).

La comorbidità, oltre alle malattie sistemichea coinvolgimento vascolare, associata ad un’al-terazione permanente del flusso ematicococleo-vestibolare annovera anche l’ipoacusiada rumore (20-23), la presbiacusia (24) e l’idro-pe endolinfatica (25,26).

In tabella 2 sono riassunte le caratteristichesemeiologiche cocleovestibolari del deficit vasco-lare cronico.• Indubbiamente, una riduzione cronica del-

l’apporto vascolare alle aree recettoriali com-porta una generica riduzione delle funzioniriflesse vestibolo-oculomotorie e vestibolo-spinali, per quanto di entità variabile e spes-so non tale da evocare movimenti ocularisostituivi di tipo nei movimenti di rotazionedel capo sotto fissazione (test di Halmagyi).Se il difetto è generalizzato, non vi è asimme-tria svelabile con l’head shaking test: even-tuali risposte nistagmiche devono essereattribuite ad una concomitante disfunzionetronco-cerebellare. La prevalenza della labi-rintolitiasi in soggetti “vascolari” si attesta sul2-11% dei casi: si tratta di forme secondariedel tutto simili e sovrapponibili alle forme idio-patiche.

• Sul versante cocleare, il pattern audiometricopiù frequente, seppur aspecifico, è quello diun’ipoacusia neurosensoriale con maggiorcoinvolgimento delle frequenze acute, nelrispetto della compromissione prevalente alivello del giro basale, e in genere non ecce-dente i 60 dB (cellule ciliate esterne). Il deficitcronico dell’AUI può presentarsi con un qua-dro di ipoacusia percettiva “in discesa” asso-ciata a instabilità e iporeflettività vestibolare(Figura 5).

LA SEMEIOTICA DEL DEFICIT LABIRINTICO SU BASE VASCOLARE

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Sede Sintomi Semeiotica fisica Semeiotica strumentale

Coclea Ipoacusia (bilaterale)Acufeni (+/-)

Negativa Ipoacusia neurosensoriale(< 60 dB) con morfologiavariabile (piatta, in discesa,in salita); recruitment (+/-)

Labirinto Posteriore Instabilità Negativa NyPP da CSP o CSL

Iporeflettività bilateraleVEMPs (+/-)

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Se l’entità dell’ipoacusia supera tale limite, èevidente il contributo di altri fattori patogenetici

che possono interessare la coclea (cellule ciliateinterne) ma anche le vie nervose retro cocleari.

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Figura 5. Ipoacusia neurosensoriale bilaterale “in discesa” come da deficit cronico di vascolarizzazione cocleare.

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L’UDITO CENTRALE

“Sento ma non capisco le parole, specialmen-te se parlano più persone contemporaneamen-te”. Può essere sufficiente questo riferimentoanamnestico per far sorgere il sospetto diagnosti-co di avere individuato una sordità centrale, par-ticolare quadro patologico conseguente ad unalesione delle vie uditive nervose centrali poste a

valle della zona nucleare bulbo-protuberenzialeed estese fino alle aree uditive corticali.

In realtà, come ci avverte Jack Katz, non tuttigli studiosi concordano su cosa si debba inten-dere anatomicamente per “udito centrale”.Secondo Duane e poi Pickles il sistema nervosouditivo centrale inizierebbe nel tronco encefalicoladdove finiscono i fasci dell’VIII nervo cranico(n.c.) (Figura 1).

Capitolo 5

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LA SORDITÀ CENTRALETRA GESTALT E WORKING MEMORY

Aldo Messina

Figura 1. A. Anatomia del tronco encefalico. B. Sezione sagittale del tronco encefalico, con i principali nuclei dei nervi cranici.

Legenda: 3. Nucleo n. oculomotore; 4. Nucleo n. trocleare; 5. Nucleo n. trigemino; 6. Nucleo n. abducente; 7. Nucleo n. faciale; 8.Nucleo n. vestibolo-cocleare; 9 Nucleo n. glossofaringeo; 10 Nucleo n. vago; 11 Nucleo n. accessorio; 12 Nucleo n. ipoglosso.

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Douglas Noffsinger et al. invece, ritengonoche i nuclei cocleari, essendo funzionali al siste-ma nervoso periferico, non svolgano alcun ruoloche possa essere identificato come di tipo cen-trale. I nuclei precedono la decussatio delle vienervose e pertanto non sono in grado di svolge-re alcuna analisi comparativa delle informazioniprovenienti dai due lati, funzione che rappresen-ta il ruolo più importante svolto dal sistema uditi-vo centrale.

Sistema uditivo centrale:cenni di anatomofisiologia

Dal punto di vista anatomofisiologico, ricordia-mo che il nervo acustico (che ovviamente è bila-terale) raggiunge il tronco encefalico nella giun-zione tra ponte e midollo allungato, lateralmenteal nervo vestibolare (Figura 2). In questa sede ilsuono viene già esaminato nei parametri di inten-sità, durata e frequenza.

1. Il ramo uditivo dell’VIII n.c. si divide in un ramoascendente rivolto al nucleo cocleare antero-ventrale (dotato di tonotopia e capace di ana-lisi in frequenza) ed uno posteriore indirizzatoai nuclei cocleari postero-ventrale (in grado dicodificazione in frequenza) e dorsale (analisiqualitativa del suono). Qui i suoi neuroni diprimo ordine, a livello dei tre nuclei cocleari(dorsale e ventrali: anteriore e posteriore),entrano in sinapsi con i deutoneuroni, dandoluogo ad un primo relais di rinforzo del mes-saggio nervoso.

• Dal nucleo cocleare antero-ventrale origina lastria acustica ventrale che proietta verso lasostanza reticolare, il complesso olivare supe-riore e il lemnisco laterale. Dal nucleo posterio-re originano la stria intermedia che va al lemni-sco controlaterale e al collicolo inferiore e lastria dorsale che proietta al complesso olivaresuperiore, al lemnisco laterale e al collicolo

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Figura 2. A. Emergenza dei rami vestibolare e cocleare (acustico) dell’VIII nervo cranico, alla giunzione tra ponte e midollo allunga-to del tronco encefalico. B. Rapporti anatomici del nervo vestibolo-cocleare con le strutture di orecchio medio e orecchio interno.

Legenda: 1. Nervo vestibolare; 2. Nervo cocleare; 3. Nervo intermedio-faciale/Nervo faciale; 4. Ganglio genicolato; 5. Cordatimpanica; 6. Coclea; 7. Canali semicircolari, 8. Martello; 9. Membrana del timpano; 10. Condotto uditivo.

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inferiore controlaterale. Quindi è nella partecaudale del tronco encefalico che le vie uditiveattraversano la linea mediana, configurandosicome “crociate”. Di conseguenza eventualideficit uditivi determinati da una lesione in que-sta precisa sede si evidenziano per lo più bila-teralmente.

2. Il secondo relais avviene nel complesso oliva-re superiore, del quale fa parte il complessomediano del corpo trapezoide dove è eviden-te l’organizzazione tonotopica: anteromedial-mente cellule sensibili alle frequenze acute,dorsolateralmente le cellule deputate ai tonigravi. Sempre a livello olivare avviene la loca-lizzazione sonora (vedi oltre) relativamente alparametro di analisi interaurale di tempo delsuono.

• Le vie uditive quindi si incrociano quasi imme-diatamente a livello del tronco cerebrale.Sussistono però anche dei fasci che, senzaincrociare la via mediana, salgono verso le areecorticali, ma questo contingente è minimo eapparentemente poco importante.

• Da questo momento le fibre nervose, riunitenel lemnisco laterale, attraversano il comples-so olivare superiore, mantenendo la distinzioneoperata a livello dei nuclei cocleari. A questolivello il sistema uditivo è in grado di effettuareuna comparazione delle informazioni che pro-vengono dai due lati, prevalentemente finaliz-zata a consentire la localizzazione del suononello spazio. Le notevoli integrazioni con lasostanza reticolare fanno ritenere che semprein questa sede si attivino eventuali reazioni diallarme.

3. Successivamente lo stimolo nervoso fa relaisa livello dei collicoli inferiori, struttura dotata dielevata sensibilità alla discriminazione in fre-quenza e alle differenze interaurali temporali.La parte postero-laterale svolge funzionidipendenti dalla condizione di veglia. Dal col-

licolo le fibre si dirigono ai corpi genicolatimediali. La porzione parvicellulare del corpogenicolato mediale è l’unica a ricevere infor-mazioni collicolari; la magnicellulare è invececonnessa al talamo posteriore e quindi almondo della sensazione.

4. Successivamente le fibre raggiungono le areeuditive corticali, passando per la capsulainterna. Dette aree sono localizzate nella zonasuperiore del lobo temporale e nel pavimentodel solco laterale, nei due giri traversi, area 41di Brodmann, uditiva corticale primaria.Individuata anche un’area 42, secondaria eassociativa. L’area 41 mantiene la tonotopiacocleare (giri basali per le frequenze alte e giriapicali per le frequenze basse), mentre l’area42 presenta tonotopicità invertita.Una rappresentazione schematica delle vie

sensoriali acustiche è riportata in figura 3.

PERCEZIONE E INTERPRETAZIONEDEI SEGNALI ACUSTICI

Le aree corticali uditive del lobo temporale(area 41 e 42 di Brodmann) consentono l’identi-ficazione temporale sonora e la memorizzazionedei suoni. Le cellule in questa zona sono anchecapaci di sommazione binaurale e si osserva ladominanza delle afferenze che provengono dellavia uditiva prevalente. Oltre alle aree 41 e 42,probabilmente sono presenti altre aree uditivecorticali, essendo oggi accettata l’ipotesi secon-do la quale retina e coclea abbiano rappresen-tazioni multiple sulla corteccia cerebrale.

Non deve essere sottovalutato il ruolo svolto dalcorpo calloso come documentato da Pandya ecoll. nel 1971. Un deficit in questa sede non sem-pre determina una sordità, ma in questa evenienzal’ipoacusia non sempre si presenta controlateral-mente al lato leso, ma spesso omolateralmente.

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Inoltre i test vocali dicotici, allorquando ilsegnale indebolito sia presentato specificata-mente all’orecchio sinistro (sembra che il segna-le di sinistra venga sopraffatto dal segnale prove-niente da destra), determinerebbero risultatiimprevedibili. Ricordiamo che, secondo AlfredTomatis, la via uditiva di destra possiede mag-giori competenze e specializzazioni specie nel

controllo canoro: l’autore ha evidenziato come,“mascherando” l’orecchio destro, molti cantantiperdano la capacità di controllo vocale.

LA LOCALIZZAZIONE SONORA. Complessa la fun-zione di identificazione di lateralità del suono.Come è noto, l’animale razionale è provvisto didue vie di ingresso dello stimolo sonoro (destro e

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Figura 3. Rappresentazione schematica delle vie uditive.

Legenda: 1. Organo del Corti; 2. Ganglio del Corti; 3: Nervo cocleare; 4. Nucleo cocleare dorsale; 5. Nucleo cocleare ventra-le; 6. Corpo restiforme; 7. Complesso olivare superiore; 8. Fibre del lemnisco laterale, 9. nucleo del lemnisco laterale; 10.tubercoli qudrigemini inferiori; 11. Corpi genicolati mediali; 12. Area acustica primaria; 13 e 14. Aree acustiche associative.

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sinistro) proprio per consentire l’identificazione diprovenienza di lato destro e sinistro. Non essen-do l’uomo (come nessun animale) dotato di padi-glioni auricolari sulla volta cranica e sul mento,l’identificazione del suono quale proveniente dal-l’alto o dal basso è determinata solo ed esclusi-vamente dall’apprendimento, dall’esperienza deisuoni e di conseguenza è funzione acquisitacompletamente intorno al dodicesimo mese divita. Udendo il rumore di un elicottero, ad esem-pio, alziamo la testa perché identifichiamo quelrumore che non può che provenire dall’alto e cer-tamente non dal basso. Qualora l’esperienza nonci aiuti, saremo maggiormente predisposti a loca-lizzarlo come proveniente dall’alto più che dalbasso.

Ricordiamo brevemente che la localizzazionedi lateralità (destra/sinistra) del suono avviene condiversa modalità a seconda della sua frequenza.Considerando nell’adulto la testa con una dimen-sione di 34 cm, suoni con dimensioni superiori a34 cm la scavalcheranno ed i suoni che non rag-giungeranno tale dimensione, urtando la testa,verranno riflessi.

Per calcolare la lunghezza d’onda (λ) di unsuono, essendo λ = c/f (dove c’è la velocità delsuono, pari a 340 msec e f la frequenza del suonoin Hz), ne otterremo che i suoni di frequenza ele-vata risentiranno dell’effetto schermo della testa esaranno localizzati sull’analisi differenziale deiparametri differenza di intensità; suoni a frequen-za bassa avranno una dimensione tale da scaval-care l’ovoide cranico ma raggiungeranno diversa-mente l’orecchio destro e sinistro, nei parametrifase e tempo oltre che intensità (Figura 4). Va pre-cisato che nel lattante la minore circonferenza delcapo, rispetto a quella di un adulto, determinamaggiori difficoltà e tempi lunghi tanto che lalocalizzazione di lateralità sarà completa intorno al5°-6° mese.

La localizzazione sonora intesa come analisidella differenza di fase, tempo e di intensità pre-vede, oltre ad una normale funzione delle areecorticali il contemporaneo coinvolgimento delnucleo olivare superiore (analisi temporale) e delcollicolo inferiore (analisi d’intensità).

LA PERCEZIONE UDITIVA VERBALE. Le aree uditivesono topograficamente diverse da quelle verbali.

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Figura 4. Localizzazione della sorgente sonora.

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Questo avvalora l’osservazione che l’analisi fre-quenziale della parola non è sufficiente a consen-tirci di riconoscere e identificare il suono linguisti-co. Per questa ultima funzione vengono coinvolte,oltre alle aree uditive, anche le aree associative.Né si può omettere il ruolo della prevalenza (erro-neamente detta “dominanza”) emisferica nell’ana-lisi sonora. Il lobo temporale destro consentel’analisi acustica di intensità, durata e timbro; ilsinistro identifica il suono verbale. Il riconoscimen-to dell’intonazione del suono, quale caratteristicaemozionale, è demandato sempre alle aree corti-cali, parietali e all’opercolo temporale di destra.

Esistono meccanismi di controllo a feedbackdella sensazione sonora, compito svolto dalle vieacustiche centrali discendenti.

Alcune vie dal cortex raggiungono il corpo geni-colato e, tramite relais con i nuclei motori dei nervicranici del tronco encefalico, attiverebbero molterisposte mimiche riflesse allo stimolo sonoro.

Ricordiamo inoltre le vie tetto-bulbari e quelletetto-spinali a partenza dal collicolo inferiore chedeterminano le risposte di orientamento visivo,della testa, del collo e degli arti allo stimoloimprovviso. In questo contesto si inserisconol’anastomosi acustico facciale, responsabile delriflesso stapediale (solo marginalmente da consi-derare riflesso da difesa), e il fascio olivo-coclea-re a funzione poco nota.

L’analisi spettrale della parola non è esaustivaper comprendere quale analisi il sistema uditivocentrale operi sul messaggio verbale. Nel lin-guaggio parlato, infatti, i suoni si “influenzano” avicenda e diventano indistinguibili nella loro anali-si in frequenza pura. Non è chiaro come il nostroapparato uditivo centrale riesce ad identificare eanalizzare il segnale linguistico caratterizzato daquesta continua variazione in frequenza. Come siriconoscono le “diverse forme” di un suono? Adesempio la “b” di bici non è in analisi spettarleidentica alla “b” di bob. Come si identificano

come uguali parole dette da oratori diversi e quin-di con diversi toni di voce? Inoltre nel linguaggioparlato molti suoni sono sovrapposti o omessi,tuttavia il cervello riesce ad identificarli.

Per rispondere a queste domande si supponeche il SNC operi non esaminando le singole fre-quenze che compongono il messaggio verbalema basandosi su particolari suoi elementi deno-minati indicatori acustici. Nella vocale, ad esem-pio, l’indicatore è costituto dalle prime due for-manti (vedi oltre).

Per consentire adeguate performance di ascol-to del messaggio verbale nelle condizioni di ascol-to più difficili (ambienti con rumore di fondo osovraffollati), il nostro Sistema Nervoso CentraleUditivo è dotato di un numero di fibre nervoseascendenti superiore a quelle necessarie per per-cepire la parola in condizioni di comodo ascolto(ridondanza intrinseca). A ciò si aggiunga che ilmessaggio verbale è associato ad un numero diinformazioni superiore a quelle effettivamentenecessarie per consentirne la comprensione(ridondanza estrinseca). Ad esempio, basta ascol-tare “mi sie... su… u... sed...” per comprendere ilmessaggio: “mi siedo su una sedia”. Ovviamente,questo automatismo si verifica solo in chi ha espe-rienza del messaggio; non, ad esempio, nei bam-bini piccoli o in chi non conosce la lingua. Inoltre, èmolto più facile identificare una parola nel contestodi un discorso che “da sola”. Questa premessa èfondamentale per comprendere il principio su cui sibasano le prove vocali, soprattutto le prove mono-sillabiche o con frasi distorte o accelerate.

LA SORDITÀ CENTRALE

Quadri cliniciLe sordità centrali raggruppano diversi qua-

dri clinici, quali la sordità corticale, clinicamentedescritta per la prima volta da Wernicke e

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Friedlander nel 1883, la sordità verbale,Kussmaul nel 1887 e l’amusia, descritta daBernard nel 1889.

Tratto comune ai diversi quadri è rappresenta-to dalla scarsa discriminazione e inattendibilitàalle risposte a stimoli uditivi, in presenza di undeficit uditivo tonale liminare, sempre meno con-clamato, man mano che la sede del danno sia piùalta, verso le aree corticali. Jerger e Harford(1960) confermano che la lesione uditiva centralenon determina evidenti deficit né all’audiometriatonale liminare né alle prove vocali standard.

La sordità centrale non si associa di per sé adisturbo dell’eloquio, a meno di contemporaneapresenza di afasia. Biboulet e Uziel (1992) classificano i quadri clinicipiù noti:• Sordità corticale. Prevalentemente transitoria,

si caratterizza per un deficit di discriminazionedegli stimoli sonori, in presenza di deficit uditi-vo. Si ritiene essere conseguenza di inibizionetransitoria dei corpi genicolati mediani dal latoleso.

• Agnosia uditiva. Incapacità ad identificare ericonoscere il suono verbale, musicale e rumo-ri familiari, conseguente a lesione cerebrale. Adifferenza della sordità corticale, non vi è ipoa-cusia. Si sospetta essere conseguenza di unalesione delle aree temporali bilateralmente.

• Sordità verbale. Si usa questo termine allor-quando la comprensione verbale è compro-messa in modo evidentemente più conclama-to rispetto alle altre funzioni uditive. Le parolevengono percepite come rumori, non identifi-cate come lingua originale. È conseguente aduna lesione dell’area cerebrale di Wernicke.

• Emianacusia. Dovuta a compromissionemonolaterale dell’area uditiva primaria, deter-mina un deficit della comprensione controla-terale al lato leso. Pertanto, se la sede è nellacorteccia temporale di destra, si determinerà

emianacusia sinistra e sarà presente ancheun disturbo del linguaggio. Qualora quest’ul-timo venisse recuperato persisterebbe l’emia-nacusia.

• Amusia. Forma di agnosia uditiva per i suonimusicali. In realtà il tema delle aree corticalideputate alla percezione musicale è moltocomplesso. Sappiamo che entrano in giocoentrambi gli emisferi, ma restano da definireancora le rispettive competenze che peraltropotrebbero essere differenti, a seconda che ilsoggetto esaminato sia musicofilo o profano.

Eziologia L’eziologia delle sordità centrali è prevalente-

mente di tipo vascolare, anche se sono descritticasi conseguenti a meningite, traumi, neoplasie,farmaci (litio), chirurgia e malattia demielinizzante.

La sordità centrale può essere conseguenza diuna vecchia patologia periferica, anche da tecno-patia o da farmaci ototossici, che determina unadegenerazione delle fibre uditive centrali, qualeconseguenza della mancata stimolazione nervosa;Musiek ha dimostrato come nel neurinoma dell’VIIIn.c, si determinino disturbi uditivi di tipo centrale.

Analogamente, le più recenti teorie sulla pato-genesi degli acufeni ipotizzano che il disturbo siaconseguenza della risposta del Sistema UditivoCentrale alla patologia periferica, una sorta di rior-ganizzazione plastica. L’ipotesi sembra essereconfermata dalla persistenza di acufeni doponeurectomia.

Hinchcliffe (1962) ha evidenziato che la pre-sbiacusia coinvolge sia il sistema uditivo periferi-co che quello centrale.

Relativamente all’ipotesi vascolare, dobbiamoevidenziare che il danno al microcircolo dell’orec-chio interno spesso non è indagato dal medico.Ad esempio, nella fisiopatologia e nel trattamentodelle complicanze del diabete mellito, relativa-mente ai danni endoteliali da microangiopatia,

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si fa per lo più riferimento al termine istangiopatia,a sostituire quello più generico di microangiopa-tia. Le alterazioni istangiche precedono i segni cli-nici della stasi venosa.

Il termine “microcircolazione” è stato recente-mente sostituito con quello di Unità Microcirco-latoria (Figura 5) costituita da un microcircoloarterioso afferente, un microcircolo venulare effe-rente e dalle anastomosi arterovenose. L’unitàpresenta dei Canali Preferenziali, dei ponti artero-venulari con funzione di corto circuito del flusso(sfinteri e cuscinetti) e si caratterizza per la pre-senza di una sostanza fondamentale del connet-tivo che influisce sulla permeabilità arteriolo capil-lare e presenta alcuni Glicososoaminoglicani(GAGs), proteine dell’interstizio perivascolare. IGAGs sono polisaccaridi presenti negli epiteli ditutti gli organi cavi, anche dell’intestino.

Principale responsabile della regolazione del-l’unità microcircolatoria è l’endotelio, organo,esteso in ognuno di noi per circa 1.200 metri

quadri, non più riconosciuto quale semplice“contenitore” ematico ed assunto al ruolo di“laboratorio endoteliale”. All’endotelio viene oggiriconosciuto un ruolo nell’angiogenesi, nella flo-gosi, nella sintesi di elementi della matrice extra-cellulare e nell’immunità. Questa spiega la pato-genesi di patologie quali la Panarterite Nodosa,la sindrome di Kawasaki, le vasculiti e le porpo-re. Il laboratorio endoteliale svolge la propriaazione sui sistemi di coagulazione, fibrinolisi e diinfiammazione. In condizioni normali l’endoteliosvolge contemporaneamente e riesce ad equili-brare la propria azione antitrombotica, dovutaalla sintesi d numerose molecole tra le quali lapotente prostaciclina e il monossido di azoto(NO) e quella trombotica, mediata prevalente-mente dal PAF (fattore attivante le piastrine,“Platelet”). Nei soggetti affetti da diabete, vascu-liti ed aterosclerosi, tale capacità di mediazionedell’endotelio risulta compromessa con conse-guente arteriopatia.

L’istangiopatia è una patologia caratterizzatada alterazioni a carico dei vasi sanguigni più pic-coli, arteriole e capillari, con conseguente malfun-zionamento del microcircolo e sofferenza tissuta-le che, nel tempo, si esprime con un deficit di fun-zione.

SintomatologiaLa sintomatologia della sordità centrale è bendescritta da Musiek:• Acufeni, spesso localizzati nella linea mediana

del capo.• Allucinazioni uditive e/o insolite sensazioni udi-

tive.• Estrema difficoltà a seguire il discorso in

ambiente riverberante o con rumore di fondo.• Difficoltà a seguire comandi uditivi complessi.• Difficoltà a localizzare il suono nello spazio.• Marcata diminuzione nell’apprezzamento della

musica.

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Figura 5. Unità microcircolatoria.

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L’anamnesi non ha perso il proprio valore(Figura 6). Si consideri che proprio questi sintomisono quelli riferiti dai pazienti al medico audiologoche è spesso il primo specialista ad essere con-sultato. Inoltre, poiché non sempre i disturbi cen-trali sono conseguenza di lesioni evidenti allaneuroradiologia (si pensi ai disturbi biochimici oalle lesioni minime), il ruolo del medico audiologoè di primaria importanza nella diagnostica deideficit centrali e nella eventuale prevenzione dellesue complicanze.

I quadri clinici di più frequente riscontro sonorappresentati a livello del tronco encefalico dallasclerosi multipla, dalle lesioni vascolari, dai tumo-ri e dagli stati comatosi. • Nella sclerosi multipla la sordità non è fre-

quente a meno di una localizzazione a livellodei nuclei cocleari, corpi trapezoidi o del lem-nisco laterale; viceversa, massima attenzioneva posta ai disturbi dell’equilibrio. Talvolta sievidenzia sordità improvvisa, spesso reversi-bile, con acufeni e vertigini. La malattia deveessere sospettata nei soggetti giovani. Sonodi ausilio diagnostico sia i potenziali evocatiche l’esame otoneurologico.

• Analogamente, le lesioni vascolari e neoplastichedeterminano sordità solo se localizzate a livellodei nuclei cocleari. I test clinici documentanodiplacusia, fatica uditiva. Anche in questo casorisulta utile la batteria diagnostica otoneurologica.

• I potenziali evocati sono anche utilizzati perseguire le diverse fasi dello stato comatoso.

• Nelle patologie cortico-sottocorticali è ancorapiù rara la sordità (se sussiste è bilaterale). Sidocumenta sordità verbale e difficoltà nell’ese-cuzione dei test verbali; i test dicotici sonopatologici controlateralmente; non sempreindicativi i potenziali evocati uditivi precoci.

• Documentata l’alterazione dei potenziali evo-cati cognitivi in quadri clinici di demenza, auti-smo e schizofrenia.

• Grimes e coll. (1985) hanno proposto di utiliz-zare i test d’ascolto dicotico quale indice dellaprogressione della malattia di Alzheimer, allor-quando coinvolga il lobo temporale.

Esami diagnosticiQuali sono i test clinici di ausilio diagnostico?VALUTAZIONE AUDIOMETRICA TONALE E VOCALE. Non

è completamente vero che i test tonali non sonoutili a svelare deficit centrali. Basti pensare al testMLD (Masking Level Difference). La metodica pre-vede l’invio in cuffia, bilateralmente, di due fre-quenze gravi cui si aggiunge, sempre bilateralmen-te, un rumore di minima intensità tale da masche-rare i precedenti. Il fine è quello di evidenziare undisturbo nella percezione della differenza di fase.

Sempre con l’audiometro è possibile eseguirei test di adattamento, di percezione di loudness edi durata e studiare il pitch e i battimenti.

Relativamente alla ricerca audiometrica delladiploacusia (distorsione della percezione della fre-quenza sonora), Ghosh (1990) ha descritto uncaso di diploacusia presente controlateralmentealla sede della lesione che è stata dimostrata neltalamo posteriore.

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Figura 6. Anamnesi.

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Potremmo eseguire test di facilitazione checonsistono nel dimostrare un miglioramento dellacapacità uditiva dopo presentazione di uno sti-molo test. Tale fenomeno normalmente presentenon potrà essere dimostrato in condizione di sor-dità centrale.

Anche il fenomeno della sommazione tempora-le e relativa funzione di integrazione tempo/intensi-tà evidenziabile con l’audiometria pulsata a tonibrevi (quanti ricordano l’audiometria automatica?)risulta alterato in presenza di una sordità centrale.

ALTRI TEST. Utile al prosieguo della nostra trat-tazione menzionare i test tonali (mono- e binaura-li) per svelare lesioni di tipo centrale.

Il test d’integrazione binaurale (Chocholle) sibasa sull’osservazione che la soglia differenzialed’intensità aumenta di circa 1,5 dB, se si presen-ta controlateralmente un tono costante e di fre-quenza identica al tono test (5 dB sopra la soglia);viceversa, diminuisce di circa 0,7 dB se controla-teralmente si somministra un tono di differentefrequenza. L’assenza di variazioni è indice di defi-cit d’integrazione binaurale.

Il test di reazione valuta invece l’intervallo ditempo tra stimolazione sonora e risposta volonta-ria di riconoscimento (test monoaurale diChocholle).

Test temporo-direzionali (Bosatra e Russolo):con le prove di udito direzionale (in cuffia, test diMatzker e in campo libero, test di Nordlund) perl’esame della zona bassa del tronco, di ordinetemporale (identifica l’ordine di successione deglistimoli) per lo studio delle zone alte collicolo- esottotalamiche, di discriminazione dei patternuditivi, per lesioni corticali e sottocorticale.

Test impedenzometrici. Per alcuni anni, si èutilizzato lo studio dei parametri dinamici (latenza,ampiezza, velocità di contrazione iniziale) delriflesso stapediale impedenzometrico, alla ricercadi lesioni della zona bulbo-protuberenziale.

Otoemissioni acustiche. Forniscono poche

indicazioni sul deficit centrale; Collet sta valutan-do l’ipotesi che le otoemissioni possano esseremesse n relazione alla funzionalità delle viediscendenti.

Utile lo studio dei potenziali evocati uditivi,soprattutto per lo studio delle lesioni retrococlea-ri e troncoencefaliche. L’impiego dell’ABR, meto-dica audiologica maggiormente obiettiva, ha clini-camente limitato l’uso delle tecniche di audiome-tria vocale, che mantengono però l’utilità di dimo-strare una carenza di funzione più che una sededi lesione.

SIGNIFICATO DEL DEFICITDI RIDONDANZA INTRINSECA

L’audiologia deve riconoscere all’audiometriavocale un ruolo fondamentale nell’identificazionedei diversi aspetti della sordità centrale. Pertanto,se è vero che oggi molti test non vengono piùeseguiti, appare utile conoscere i principi neurofi-siologici sui quali si fondano.

Si è già fatto cenno precedentemente al con-cetto di ridondanza intrinseca (neurologica) edestrinseca (verbale). Un disturbo delle vie uditivecentrali determina una ridotta funzionalità delle vienervose uditive e pertanto risulta deficitario ilmeccanismo della ridondanza intrinseca.

Lo stimolo (tono puro) utilizzato in audiometriatonale liminare, per la sua carenza di armoniche,per essere percepito impegna un ridotto numerodi fibre nervose uditive centrali: non è quindi suf-ficiente a mettere in crisi, in “difficoltà”, a saturarela capacità delle numerose fibre che compongo-no le vie uditive centrali.

Nella ricerca di un danno centrale pertantoricoprono un ruolo prevalente i test di audiometriavocale che, diversamente dai test con toni puri,essendo costituiti da suoni più complessi, sonopiù idonei a dimostrare il deficit di ridondanza

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intrinseca e quindi il disturbo di conduzione dellevie uditive centrali.

Uno stimolo sonoro complesso, quale lavoce, ancor di più se presentata in condizioni diascolto difficili, come un ambiente rumoroso (ocomunque con messaggio competitivo), peressere percepito impegna un maggior numero difibre nervose uditive. Un primo e più noto esem-pio è dato dalle prove monosillabiche di Bocca,che hanno la funzione di ridurre la ridondanzaestrinseca del messaggio verbale (monosillabi-che). I test vocali possono essere somministratidopo avere valutato le capacità cognitive deisoggetti.

Agli inizi della mia esperienza audiologica,nell’esecuzione del test vocale, notai che allasomministrazione della parola “gelsi” il pazientespesso riferiva “geusi”. Ed io, che non capivo,assegnavo la risposta errata. In un secondomomento, ho intuito che il paziente riferiva in dia-letto siciliano (“geusi”) ciò che sentiva in italiano(“gelsi”). Probabilmente; in quel caso il deficit“centrale” era il mio!Le innumerevoli prove vocali possono essereclassificate a seconda della sede del deficit che sivuole evidenziare: 1. del tronco encefalico: intrassiali o extrassiali;2. delle vie uditive centrali, intese, secondo la

classificazione che abbiamo ritenuto più vali-da, a valle dei nuclei cocleari.Le prove con frasi accelerate hanno dimostra-

to maggiore sensibilità per evidenziare disturbi deltronco encefalico più caudale e a livello dellasostanza nucleo-reticolare, in quanto in tale sedeavviene la codifica del parametro temporale. Lefrasi filtrate evidenziano maggiormente disturbicorticali. Non sempre c’è corrispondenza esattaper tale impostazione topografica.

Quello che è certo è che un deficit centralepuò determinare sordità monolaterale (omolate-rale) se topograficamente si colloca al di sotto

dell’incrocio delle vie uditive. Nelle lesioni corticaliil deficit è ovviamente sempre controlaterale allasede di lesione.

Per evidenziare lesioni al di sopra dell’incrociodelle vie si utilizzano prove vocali binaurali.Attendibili le prove di competizione dicotica confrasi sintetiche (SSI) di Jerger e Speaks, con ulte-riore competizione ipsilaterale (ICM) o controlate-rale (CCM).

Attualmente, queste prove (vittime dei DRG!)sono state soppiantate dalle metodiche elettrofi-siologiche, e in particolare dai potenziali evocati altronco encefalico (BAEPs). Inoltre, con l’avventodella diagnostica per immagini, nel “dubbio” sipreferisce una metodica più obiettiva e rapida.

L’Audiometria Musicale (Carrè, Biboulet eUziel) si fonda sull’importanza della percezionemusicale nei suoi parametri di altezza, ritmo,durata, sonorità, timbro e di memoria melodica.

PERCEZIONE UDITIVA EATTENZIONE SELETTIVA

Come ha evidenziato Oskar Schindler, lacapacità uditiva, fenomeno per il quale lo stimolofisico acustico è trasformato in impulso elettrico-nervoso, è cosa ben diversa dalla percezione udi-tiva, vero presupposto alla comunicazione umanache, secondo l’autore, è condizionata da unascelta di informazioni uditive fra le moltissimemediate dalla coclea. Mentre la standardizzazio-ne della capacità uditiva è da tempo di usocomune grazie all’audiometria tonale liminare, lostesso non possiamo affermare per la percezioneuditiva che, oltre a non obbedire a leggi fisichema a principi psicoacustici, risulta condizionata(Schindler, 1980):• coordinazione uditivo-motoria e sensorio-

motoria;• separazione figura sfondo;

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• costanza timbrica,• separazione silenzio/sonorità;• separazione sonorità continue/interrotte.

Particolare rilievo occorre dare al concetto difigura/sfondo. In realtà, in audiometria vocale uti-lizzando il test noto come “speech in noise”,rumore e parole presentate ipsilateralmente, nonsi fa altro che studiare l’attenzione selettiva delsoggetto che è l’espressione della sua capacitàdi separare la figura (parola) dallo sfondo (rumo-re). Anche l’effetto “cocktail party” (megliodescritto in seguito) è conseguenza dell’attenzio-ne selettiva (figura/sfondo).

L’analisi della parola si basa sulla identificazio-ne, sul riconoscimento operato dal nostro siste-ma nervoso uditivo centrale, di alcune formanti(principali punti di risonanza ove il picco d’energiaacustica è maggiore) contenute nel messaggioverbale.

Ad esempio, una vocale possiede in generedue-tre formanti. Le consonanti “J” e “W” posse-dendo anche tratti acustici rispettivamente della“i” e della “u” sono per questo dette semivocali.

Su questo principio si basa la realizzazionedegli MP3 musicali (Motion Picture Expert Group-1/2 Audio Layer 3), sistema di compressioneaudio in grado di ridurre drasticamente la quanti-tà di dati richiesti per memorizzare un suono,consentendo comunque all’ascoltatore una per-cezione fedele del file originale non compresso.

Forma e figura possono essere consideratiomologhi, essendo la forma quell’aspetto dell’in-formazione sensoriale cui si dà il valore di figurae che va distinta nettamente da ciò “che noninteressa”, definito come sfondo. Per raggiunge-re la separazione figura/sfondo occorre primaprocedere alla percezione della forma ed esserein grado di dare lo stesso valore, la stessa formaanche a costrutti funzionalmente omologhi mache si presentano ai nostri organi di senso inmodo diverso. Ad esempio, noi identifichiamo la

parola “bacio” indipendentemente dalla personache la pronuncia (ovviamente emettendo fre-quenze sonore differenti) e pertanto indipenden-temente dalle frequenze sonore che la compon-gono. Tale giudizio percettivo prende il nome di“costante di forma” ed è un processo che non èspecifico del solo sistema uditivo. Lo studio delsistema visivo ci rende più semplice il concettodella costanza di forma. È semplice dimostrare,ad esempio, come un triangolo venga da noiidentificato come tale, indipendentemente dallesue dimensioni o dalla interposizione di altre figu-re. La nostra mente tende in realtà sempre a“completare” le immagini visive, dando importan-za ad alcune informazioni, spesso solo dei parti-colari e ricostruisce sulla base di questi “dettagli”l’intera figura. Analogamente a quanto fa lamente, nel caso della percezione uditiva, allor-quando acquisisce la percezione della parolabasandosi sull’identificazione delle formanti.

È il concetto della “buona forma” dimostratocon il triangolo di Kanizsa. Tutti riconosciamonella figura il triangolo bianco inserito tra i trequasi- cerchi rossi, anche se in realtà il triangolonon è disegnato (Figura 7).

Teoria delle affordanceed effetto “cocktail party”

Recenti studi (come quello di Rizzolatti eSinigaglia del 2006), al momento limitati alla per-cezione visiva, dimostrano che alcuni neuronivengono attivati selettivamente da specifici sti-moli tridimensionali, altri da oggetti sferici, altriancora da oggetti cubici. L’osservazione ben siconiuga con l’ipotesi di J. Gibson secondo laquale la percezione di un oggetto determina lanecessaria identificazione delle sue caratteristi-che, che ci consentono di interagire con lo stes-so: teoria delle affordance. Ogni oggetto o perso-na possiede più affordance ed il nostro apparatovisivo si attiva in funzione delle nostre finalità.

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Ad esempio, nel vedere entrare la nostrasegretaria, potremmo volere raggiungere la fina-lità di controllare il suo operato e in tal caso lesue mani costituiranno per noi l’affordance; sel’obiettivo che desideriamo è quello di conqui-starla, guardarle le mani non ci sembrerà utile el’affordance potrebbe essere rappresentata dagliocchi. Il che dimostra che l’apparato visivo(anche quello uditivo, come nell’effetto “cocktailparty”?) non è un semplice registratore di imma-gini ma possiede già una prima capacità discri-minativi: l ’organo di senso agli ordini del fare.

Tali principi possono essere estesi all’osserva-zione degli altri sistemi sensoriali.

Inoltre, come ha sottolineato in diverse comu-nicazioni Stefano Rigo, con il movimento sacca-dico rapido dei globi oculari, il nostro cervellosopprime la visione, al fine di evitare che perven-gano a livello corticale informazioni di immaginivisive “mosse”. Pertanto, durante il movimentosaccadico il nostro occhio “non vede” ma, altempo stesso, il cervello – in base alle informazio-

ni precedentemente ed involontariamente imma-gazzinate in memoria – “ricostruisce” la scenadandoci la sensazione di vedere come se fossepercepita in successione

Considerando che una saccade dura in media50-100 msec e la pausa di rifissazione non più di200-400 msec (poi c’è un’altra saccade), su 16ore di veglia “vediamo” realmente per 12 ore erestiamo al buio per 4 ore. Il nostro cervello peròimmediatamente ricostruisce le 4 ore di “buiosaccadico”, dandoci l’illusione della continuità.Ecco perché, afferma Rigo, gli arbitri che,seguendo con movimenti rapidi del capo e degliocchi la traiettoria (movimento) del pallone, attiva-no la soppressione visiva saccadica, ricostruisco-no una propria immagine della scena e, spesso,non riconoscono il fuori gioco.

Sempre nel caso della percezione visiva “rico-struita” abbiamo più volte noi stessi osservatoche, scrivendo un testo, anche rileggendolo, nonriconosciamo gli errori fatti. Dobbiamo farlo rileg-gere ad un amico o, se siamo dei professionisti,ai correttori di bozze.

Nel campo della percezione uditiva si assiste afenomeni analoghi.

Ne è ancora ulteriore esempio il citato effetto“cocktail Party” (descritto da Cherry nel 1953),utile per comprendere meglio il rapportofigura/sfondo che è anche segnale/rumore edespressione di attenzione selettiva e automatica.

Ci troviamo ad una festa, un cocktail party,laddove il vocio di centinaia di invitati produce unrumore di circa 80-90 dB (legge di Weber eFechner). La nostra attenzione relazionale si rivol-ge verso un partner con il quale desideriamo unapproccio ed al quale rivolgiamo la nostra atten-zione comunicativa. I nostri occhi e le relativefovee, si dirigono verso la sua figura nettamenteseparata dallo sfondo degli altri invitati che met-tiamo scarsamente a fuoco (separazionefigura/sfondo).

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Figura 7. Il triangolo di Kanizsa è un'illusione ottica descritta perla prima volta nel 1955 dallo psicologo italiano Gaetano Kanizsa.Nella figura “vediamo” il profilo illusorio di un triangolo equilate-ro non disegnato, perché la nostra mente tende a “completare” leimmagini, tenendo conto spesso solo dei particolari.

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Al contatto comunicativo riusciremo a perce-pire con chiarezza la sua voce (60-65 dB), pur nelrumore di fondo (80-90 dB) prodotto dagli altriinvitati del cocktail party. Al tempo stesso, se nelfrangente qualche altro ospite ci chiama pernome, la percezione dello specifico richiamo cat-tura la nostra attenzione e la distoglie, indipen-dentemente dalla nostra volontà, dalla conversa-zione nella quale eravamo impegnati. In realtà èvero che la nostra mente ha focalizzato l’attenzio-ne sul partner ma ha anche inconsciamentememorizzato le altre informazioni utili che costitui-scono la scena, consentendoci, ad esempio alrichiamo del nostro nome, di attivare un movi-mento saccadico rapido, noto come saccadicoguidato dalla memoria (MSG).

Per tornare al tema della sordità centrale,ricordiamo che l’attenzione selettiva alla base del-l’effetto “cocktail party” è compromessa in casodi disturbo delle vie uditive centrali. Ne è unesempio l’anziano che, come è noto, non parte-cipa attivamente dal punto di vista relazionale allefeste.

GLOBALITÀ DELLA PERCEZIONE,GESTALT E WORKING MEMORY

La globalità della percezione (fenomeno nonesclusivamente visivo o uditivo) è alla base dellateoria della Gestalt (dal tedesco “forma”), correntepsicologica riguardante la percezione e l’esperien-za che nacque e si sviluppò agli inizi del XX secoloin Germania (avendo come principali teorizzatoriVon Ehrenfels e Wertheimer), poi sviluppata daFritz Perls nel 1950 negli Stati Uniti. La Gestalt nonconsidera le componenti elementari della perce-zione ma l’intero, affermando che “l’insieme èsempre di più della somma delle singole compo-nenti” (molarismo epistemologico). La percezionenon sarebbe pertanto preceduta solo dalla sensa-

zione ma è influenzata dall’organizzazione delnostro pensiero, dalle passate esperienze, comedimostrano le esperienze sensoriali, visive e uditi-ve, che abbiamo proposto. La psicoterapia dellaGestalt si caratterizza per il valore positivo datoall’essere umano e alle sue risorse (Baiocchi). Perlselabora successivamente il concetto di campopercettivo proprio in funzione della relazione trafigura e sfondo: per valutare la “figura” (persona,oggetto, suono, esperienza) è necessario riferirlaad un contesto, lo sfondo (Baiocchi).

Elementi che influenzano la percezione uditiva

I vari modelli proposti per spiegare i meccani-smi dell’attenzione selettiva si differenziano per ilfatto che la selezione degli stimoli da elaborare èprecoce o tardiva.

I neurofisiologi nel tentativo di comprenderecosa determini le nostre capacità attentive,hanno formulato tre ipotesi :1. Teoria della capacità corticale, secondo la

quale il nostro cervello ha una propria possibi-lità di ricevere informazioni, saturando la qualeinsorge la disattenzione.

Questa teoria ha fatto a sua volta nascere trelinee di pensiero:• Teoria filtro di Broadbendt, 1958. Quando due

stimoli sono presentati contemporaneamente,essendo unico il canale di elaborazione, solouno (“figura”) dei due può superare il filtro sen-soriale, sulla base dei parametri intensità e fami-liarità o se presentato nell’orecchio dominante,mentre l’altro (“sfondo”), rimane immagazzinatonel buffer sensoriale (Working Memory - W.M.).Non spiega l’effetto cocktail party.

• Teoria del filtro attenuato di Treisman, 1960.Tutti gli stimoli superano il filtro e quelli pocoimportanti non vengono bloccati ma attenuatie questi comunque influenzano il processo diselezione.

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• Teoria della pertinenza di Norman, 1960. Tuttigli stimoli vengono esaminati ma, nella fasefinale, solo quelli pertinenti con ciò che stiamofacendo viene selezionato.

3. Teoria dell’interferenza strutturale: il sovracca-rico crea competizione tra processi cognitiviad identico meccanismo. È la struttura non lamente ad essere limitata.

4. Teoria mista tra le due precedenti.

Deutsch e Deutsch (1963) ipotizzano inveceche entrambe le informazioni, sia quella rilevante(“figura”) che quella irrilevante (“sfondo”), siano ela-borate completamente e che la differenza si trovinon nell’elaborazione del materiale, ma nel tipo dirisposta prodotta dal soggetto. In altre parole, il fil-tro si troverebbe non più a livello della ricezionedelle informazioni, ma a livello della risposta.

Che ne sarà delle informazioni alle quali nonprestiamo attenzione e che pertanto riteniamoirrilevanti?

Secondo Broadbent, 1958, tesi della selezio-ne precoce, esse vengono poco elaborate ;secondo Norman, 1968,tesi della selezione tardi-va, viceversa, vengono elaborate e memorizzate;secondo Johnston e Heinz, 1978, tesi della sele-zione multimodale, a seconda dei casi possono omeno arrivare alla codifica inconsapevole.

Relativamente allo stimolo uditivo l’elaborazio-ne è in gran parte inconscia, ma la velocità di ela-borazione è talmente elevata che gran parte deglistimoli vengono esclusi quando sono già ad unostadio avanzato di elaborazione e di minima con-sapevolezza. Ovviamente “passano” le informa-zioni più importanti e per lo più inconsapevolmen-te “cestiniamo” molte altre informazioni. Le infor-mazioni non coscienti probabilmente vengonoimmagazzinate a livello di memoria implicita chenon richiede il recupero conscio o intenzionaledell’esperienza, come documentato da Schacternel 1987, Eichenbaum, Mathews e Cohen nel

1989, Reber, Knowlton e Squire nel 1996.Diverso il concetto di memoria esplicita rivelata - illustrato da Schacter nel 1987 - quando la per-formance in un compito richiede il recupero con-scio delle precedenti esperienze.

Attivato il meccanismo dell’attenzione selettivanei confronti di uno stimolo sonoro, come quellodescritto nell’effetto cocktail party, questa potràessere distolta ed indirizzata verso un nuovo sti-molo se il nuovo input sonoro possiederà deter-minati caratteri d’intensità, durata e specifici con-tenuti emozionali e significati.

Anche la percezione timbrica (numero diarmoniche prodotte e qualità del suono), chenello schema proposto da Schindler (vedi para-grafo su percezione uditiva e attenzione selettiva)è elemento essenziale della percezione uditiva,sembra riconoscere un meccanismo gestaltico.

Riferendosi all’importanza del timbro nella per-cezione uditiva, A. Carré ha osservato che, propo-nendo a bambini con sordità preverbale, ad esem-pio, la frequenza “La 4” emessa da un pianoforte esuccessivamente la stessa nota emessa da un vio-lino, pur essendo i due suoni di identica frequenza(La 4), durata, intensità (misurata con fonometro),sia nelle condizioni di orecchio nudo che con pro-tesi e cuffie, il bambino talvolta percepiva, addirit-tura con fastidio, il violino ma non percepiva nean-che minimamente il suono del pianoforte. Se nedeve dedurre che il solo timbro può modificare lapercezione di un suono, ma soprattutto che ognu-no di noi costruisce un proprio modo di “udire”legato anche al timbro ottimale.

Per tornare all’ipotesi di Schindler dobbiamoesaminare un altro parametro utile alla percezio-ne uditiva: i rapporti tra suono e movimento.Quest’ultimo fenomeno richiama alle esperienzedi udito sacculare ed alle teorie del neurofisiologoTodd sull’importanza di quest’organo dell’orec-chio interno nel mediare i rapporti tra suono emovimento.

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La percezione uditiva, infine, risulterebbe“influenzata” da altre informazioni sensoriali: lacoordinazione sensorio-motoria e visuo-motoria(occhio-mano) e assume pertanto una connota-zione di globalità che, in modo figurato, ci inducead affermare che in un’orchestra apprezziamo lasinfonia e non le note o il singolo strumento (teo-ria gestaltica).

COMPONENTI PERCETTIVE EMNESTICHE DELL’ASCOLTO:MEMORIA E SORDITÀ CENTRALE

Musiek, come abbiamo già ricordato nel para-grafo relativo alla sintomatologia, individua qualesegno di sordità centrale la difficoltà ad seguirecomandi uditivi complessi. La programmazione dicomandi richiama il concetto neurofisiologico dimemoria.

In neuroscienze la memoria è definita come lacapacità del nostro Sistema Nervoso Centrale diimmagazzinare informazioni, dati. Le fasi princi-pali nell’elaborazione della memoria sono:• l’elaborazione delle informazioni ricevute;• l’immagazzinamento di queste;• il recupero delle informazioni immagazzinate.

Per la nostra trattazione è utile applicare laseguente classificazione dei vari tipi di memoria eidentificarne le sedi neurologiche coinvolte(Tabella 1).

In questa sede interessa evidenziare che laworking memory o memoria di lavoro, potrebbeentrare in campo prevalentemente nei meccani-smi di integrazione temporale. Si è detto che ilsistema uditivo possiede delle strutture in gradodi elaborare le componenti temporali dello stimo-lo e far sì che lo stimolo precedente venga imma-gazzinato, memorizzato, per un periodo sufficien-te a poterlo “lavorare” e sovrapporlo al successi-vo (Working Memory). Il fenomeno è analogo

(Gestalt) a quanto avviene nel sistema visivo, lad-

dove la memoria iconica consente di immagazzi-nare il dato per circa 250 millisecondi, principiosul quale, come è noto, si basa la cinematografia.

Si è già riferito che l’identificazione del mes-saggio verbale non deriva dall’analisi di tutte lecomponenti frequenziali della parola ma dall’iden-tificazione di alcune formanti (Gestalt) e pertantoanche l’ascolto diviene un fenomeno sensorialeglobale, gestaltico.

Dobbiamo distinguere l’atto dell’udire, cheimpegna l’orecchio interno, dall’atto del sentire,che coinvolge udito e corpo (specie sistema pro-priocettivo) ed infine dall’ascoltare, esperienzamultisensoriale che attiva tutto il sistema nervosocentrale, specialmente le vie corticali e i centri dimemoria.

L’’ascolto, la cui funzione deficitaria determinai sintomi della sordità centrale, è un fenomenoc:condizionato da:• l’integrazione di processi percettivi (Gestalt) e

mnestici (Working Memory);• la rappresentazione interna secondo il nostro

vissuto sonoro (memoria emozionale, identifi-cativa, sensitiva);

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Tabella 1. Vari tipi di memoria e relative sedi neurologiche.

AREE CEREBRALICOINVOLTEMEMORIA

Memoria Spaziale Ippocampo ParaippocampoSubiculum Cortex Aree Temporali Area 47Parietale Posteriore

Memoria Emozionale AmigdalaMemoria Identificativa IppocampoWorking Memory Ippocampo (memoria di lavoro) Corteccia PrefrontaleCapacità motorie Corpo striato

CervellettoSensoriale Diverse localizzazioni (visiva, uditiva, tattile) corticali

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• la rappresentazione motoria: gesto, postura,caratteri sovrasegmentari (ritmo, pausa, into-nazione), della parola (memoria motoria);

• l’integrazione tra processi percettivi e mnesticied il nostro vissuto sonoro.Pertanto, per consentirci l’ascolto (ma lo stes-

so vale per altre funzioni sensoriali) il nostro siste-ma nervoso centrale non può operare in modolineare di successione di eventi ma dovrà realiz-zare dei processi di feedback, dei circuiti riverbe-ranti; deve possedere, quindi, un buon equilibriotra passato e futuro.

In conclusione, fintantoché l’analisi del para-metro uditivo è di tipo fisico (analisi in frequenza ointensità) la percezione fa riferimento all’impiegodel solo recettore uditivo (analisi intramodale), maladdove si proceda a fenomeni di integrazione edi sintesi simultanea globale per interpretare lostimolo, occorre far riferimento a sistemi plurisen-soriali al confine tra percezione e conoscenza.

INTERPRETAZIONE GESTALTICADEGLI ACUFENI

L’applicazione della teoria gestaltica alla fisio-logia del sistema nervoso centrale uditivo puòaiutarci anche a comprendere meglio il fenomenodegli acufeni, conseguenza di una riorganizzazio-ne plastica conseguente ad un deficit uditivo peri-ferico più o meno documentabile con l’ausilio del-l’audiometria tonale liminare. Il danno coclearescatenerebbe l’invio di informazioni discontinuealle vie uditive centrali ed in particolare, alle vielemniscali. Gli studi di Norena e Eggerrmontriportati da Santarelli dimostrano come la riorga-nizzazione precoce dell’assetto neurale corticaleconseguente al disturbato input periferico, scate-ni una, diremmo noi, gestaltica “copertura”, rico-struzione dell’informazione, in tutto analoga aquella descritta nell’esperienza del triangolo di

Kanisza. In definitiva, le aree corticali uditive com-penserebbero il deficit immaginando un suonoche non c’è: l’acufene.

DEFICIT UDITIVO CENTRALE:PROSPETTIVE DI RICERCA E TERAPIA

Si è fatto cenno all’importanza che oggi rico-pre la medicina per immagini che ha quasi sop-piantato la ricerca clinica audiologica. In partico-lare grande importanza per l’analisi di fattori coin-volti nei processi neurologici si dà alla PET (tomo-grafia ad emissione di positroni), all’FMRI (visua-lizzazione funzionale per immagini con risonanzamagnetica nucleare) e alla MEG (magnetoencefa-lografia). La PET ci consente di individuare qualeparte del cervello si attivi per svolgere una certaazione, ma non ci fornisce alcuna informazionesu quanto l’area attivata sia importante per la fun-zione studiata. Recentemente si è utilizzata la sti-molazione magnetica transcranica ripetitiva, ecci-tando in modo prolungato un’area e determinan-do adattamento e ipofunzione.

Un rilevante contributo è dato dallo studio deglialgoritmi matematici di mappaggio topografico adalta densità spaziale degli ERP (potenziali eventicorrelati), nuovo traguardo della psicofisiologiacognitiva, che hanno permesso di raggiungerebuoni risultati in modo meno invasivo. L’aspettopiù attuale di questi studi è quello relativo alla pre-attenzione che precede lo stato di cognizione. Lostadio di pre-attenzione è un’attività involtaria,inconscia, che lascia una memoria sensoriale,working memory visuo-spaziale (distinta dalla wor-king memory fonologico/linguistica) e successiva-mente una memoria di fissazione (registrazione,immagazzinamento, recupero a distanza di tempo)in grado di influenzare lo stato decisionale.Pertanto la pre-attenzione e le aspettative influen-zano l’analisi degli stimoli sensoriali.

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Gli studi sulla pre-attenzione hanno permessoall’audiologia clinica di raggiungere nuovi traguar-di, come nel caso della Mismatch Negativity(MMN). Tale metodica, oggi di sempre più fre-quente riscontro, può essere applicata anche neineonati. Inviando un treno di impulsi cui si frap-pongono degli stimoli standard, si possono svi-luppare tracce di memoria. L’esame inizia con lastimolazione ripetuta (circa l’80-90% del numerototale dei suoni) di un suono e di un altro cheviene presentato meno frequentemente (10-20%del numero totale), per questo definito “deviante”.Gli stimoli sono proposti a treni d’impulsi delladurata di 5-10 minuti tanto da consentire alpaziente anche di muoversi liberamente. Si evocacosì una componente dei potenziali “evento cor-relati” che rappresenta una misura oggettiva deiprocessi cognitivi e che è probabilmente genera-ta a livello della corteccia uditiva primaria del lobotemporale.

La teoria della sordità centrale come condi-zionata dalla Working Memory, sembra essereconfermata dagli studi di Doris-Eva Bamiou et al.Il pax6 è un gene che codifica una trascrizioneregolare, che è essenziale per la morfogenesi delcervello. La mutazione eterozigote del gene pax6 è associata ad aniridia e anomalie della scissu-ra interemisferica cerebrale negli esseri umani.Gli autori descrivono il caso di un ragazzo di 12anni di età, con una mutazione del gene Pax6. Igenitori si mostravano preoccupati per la suecapacità uditive benché l’esame audiometricotonale liminare più volte eseguito non avesse evi-denziato alcuna patologia. Risultavano peròpatologici i test dicotici di audiometria vocalesuggestivi per patologia centrale. In particolare,però, le prove di lingua e di valutazione età cor-relati hanno rivelato una ridotta memoria verbaledi lavoro. I risultati dei test sono stati interpretaticome patognomonici di una ridotta memoria udi-tiva e sensoriale in linea con i risultati riportati in

adulti cui era stata riscontrata una mutazionePax 6. Questo è stato il primo studio sulla rela-zione della patologia centrale uditiva e verbalecon deficit della memoria di lavoro in un bambi-no con una mutazione.

Dal punto di vista terapeutico, se è ben evi-dente che la funzione dei recettori uditivi perife-rici può essere migliorata con sussidi chirurgicio protesici, analoga considerazione non puòesser fatta per i disturbi centrali, per i qualioccorre un intervento globale. Occorre limitare idanni affrontando la patologia di base che, riba-diamo, è prevalentemente di natura vascolare.Inoltre, è necessario migliorare la ridondanzaestrinseca, applicando un sussidio protesico diultima generazione e, per quanto possibile, laridondanza intrinseca con interventi riabilitativibasati proprio sui processi di memoria a brevee lungo termine.

La terapia medica trova indicazione nelleforme di origine vascolare (Guidetti). In particola-re utili farmaci antitrombotici (antagonisti vitaminaK, eparinoidi e antiaggreganti piastrinici) e farma-ci con azione sul SNC (nootropi e antivertiginosi,se sussiste questo sintomo).

La terapia rieducativa, trattandosi per lo piùdi persone adulte, è mirata prevalentemente alimitare i danni e a rispondere alle necessità dellapersona. Per far questo occorrerebbe assumeredall’esperienza del mondo della scuola il con-cetto di progetto educativo individualizzato e diprofilo dinamico funzionale. La diagnosi funzio-nale non si limita alla diagnosi clinica ma neces-sita di valutazione delle competenze della per-sona, predispone ad un progetto riabilitativoindividualizzato che valuti in itinere i risultati otte-nuti. Il progetto riabilitativo deve preliminarmen-te operare sulla working memory, sottoponendosequenze sonore secondo un ordine prestabili-to, migliorare l’attenzione selettiva, attivaresistemi di stimolazione multisensoriale.

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CONCLUSIONI:L’IMPORTANZA DEL TEMPO

I processi d’integrazione della nostra mente,deficitari nelle sordità centrali, sono basati sullasincronizzazione di attività neurali in regioni corti-cali separate. Se l’attività avviene in regioni cere-brali anatomicamente separate, ma entro lamedesima finestra temporale, è possibile che leattività vengano collegate dal nostro sistema cen-trale, sviluppando dei processi di memoria.Memoria “a breve termine” che, se non rinforzataentro un certo tempo, si perde e memoria “alungo termine” che determinata modificazioni fisi-

che del sistema nervoso, con sintesi di nuoveproteine e conseguente modificazione strutturali.L’apertura di un sistema di memoria rispettoall’altro dipende dal tempo e sempre il tempoinfluenza la permanenza o meno di un’informa-zione. Non è facile capire come il tempo operi ilcollegamento. So però che Aristotele nel DeMemoria affermava che “La memoria non è nésensazione né concetto ma la consapevolezza diqueste ultime quando interviene il tempo… cosic-ché solo gli animali che percepiscono il tempopossono ricordare”. Ed inizio a chiedermi come isoggetti con sofferenza centrale percepiscano iltempo.

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LA SORDITÀ CENTRALE TRA GESTALT E WORKING MEMORY

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PRINCIPI ATTIVI OTOTOSSICI E DISTURBIAUDIO-VESTIBOLARI

L’ototossicità è una possibile causa di disturbiaudio-vestibolari e dipende dall’effetto tossico didiversi farmaci e tossine a livello dell’orecchiointerno (in particolare delle cellule ciliate dellacoclea e del vestibolo) o del nervo acustico.

La recentissima riclassificazione dei farmaciototossici, pubblicata dalla Società Italiana diOtorinolaringologia e Chirurgia Cervico-Faccialenel 2010, comprende ben 635 farmaci distinti inbase al grado di ototossicità in 4 classi:• Ototossici – Farmaci in grado di indurre distur-

bi uditivi e vertigini.• Acufenogeni (non propriamente ototossici).• Vertiginogeni (non propriamente ototossici).• Farmaci associati a disturbi dell’udito (non oto-

tossici).Una sottoclassificazione (a,b,c,d,e) riguarda

invece la frequenza di reazioni avverse (ADr) regi-strate dal SSN.

Il danno ototossico è accompagnato princi-palmente da un corredo sintomatologico uditivo(acufeni, ipoacusia o iperacusia) a causa dellamaggiore sensibilità dell’organo del Corti, ma siosservano anche casi di vertigine.

I sintomi possono manifestarsi isolatamenteo in associazione e svilupparsi all’improvviso o

in tempi lunghi, risultando reversibili o meno.Nelle forme più gravi si può arrivare alla sorditàcompleta.

Si ipotizza che esista una predisposizionegenetica al danno ototossico ed esistono evidenti differenze di sensibilità tra le specieanimali. • Quest’ultimo aspetto è molto importante nella

valutazione degli effetti ototossici reali sull’uo-mo fatti a partire da modelli animali. Si è vistoad esempio che il cis-platino ha dosi pro-Kgototossiche simili fra cavia e uomo, mentre perla gentamicina il modello animale risulta esseremolto più resistente agli effetti ototossici diquello umano.Un altro aspetto da tenere in alta considera-

zione nella pratica clinica è l’eliminazione renale diquasi tutti i farmaci ototossici, che si traduce inun abbassamento della soglia di tossicità neisoggetti con insufficienza renale.• È utile ricordare in proposito che i tessuti del-

l’orecchio interno e quelli renali sono immuno-logicamente, biochimicamente e funzional-mente correlati, tanto da suggerire una possi-bile correlazione fra gli effetti sul trasporto disodio/potassio nel rene e quelli sulla omeosta-si ionica dell’orecchio interno da parte dei far-maci. In molti casi i danni sono progressivi neltempo.

Capitolo 6

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IL RISCHIO DELLA OTOTOSSICITÀFARMACOLOGICA

Giorgio Guidetti

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È logico che i soggetti con ipoacusia o dannilabirintici preesistenti o con possibili probleminell’eliminazione dei farmaci, come ad esem-pio gli anziani, non andrebbero trattati confarmaci potenzialmente ototossici se sonodisponibili altre molecole efficaci.

Anche la contemporanea abituale esposizio-ne al rumore va presa in considerazione poichérisulta ulteriormente peggiorativa, a causa dellamaggiore produzione di radicali liberi.

Importanza della valutazione preliminare delpaziente da trattare con farmaci a rischio

Prima di intraprendere una terapia con farma-ci potenzialmente ototossici è molto importantefare un esame audiometrico preliminare e ricerca-re i segni di un’eventuale vestibolopatia.

È inoltre fondamentale (criteri di riferimentodell’American Speech-Language-HearingAssociation - ASHA) il monitoraggio audiome-trico e l’applicazione di test specifici come le emissioni otoacustiche (TEOAEs e DPOAEs)che vengono considerate oggi l’esame goldstandard clinico per il controllo dell’ototos-sicità.

Questo tipo di esame consente in pochiminuti lo studio della funzione cocleare per lefrequenze acute e di evidenziare l’eventualeeffetto ototossico già nelle fasi precoci del trat-tamento, anche quando ancora non si è evi-denziato un deficit uditivo.

La disfunzione cocleare può variare da un leg-gero aumento della soglia uditiva, rilevabile solomediante l’audiometria, fino alla sordità. La perdi-ta uditiva può essere accompagnata da tinnitotransitorio o permanente.

Per stabilire una diagnosi di sordità farmaco-indotta è necessario riscontrare all’esame

audiometrico un aumento della soglia dei tonipuri maggiore di 15 dB in una o piu frequen-ze. Tuttavia, in assenza di audiogrammi effet-tuati prima e dopo il trattamento, è difficilesostenere una eziologia farmacologica.

Le contestazioni medico-legali per danni iatro-geni da ototossicità restano rare e si segnalanosolo casi gravi (quali la perdita uditiva grave coninteressamento di molte frequenze) con problemidi comunicazione, ma questo dato va letto in uncontesto epidemiologico di acufeni e ipoacusie inrapida evoluzione, anche in fasce di età nongeriatriche. • L’ipoacusia è uno dei disturbi sensoriali più

comuni, che colpisce ad esempio negli USA,più di 36 milioni di persone e prevale non solotra gli anziani, ma riguarda circa un terzo dellepopolazione 40-50enne (American Survey -NHANES). Inoltre negli adulti di 48 anni, l’inci-denza a 5 anni di sviluppare perdita di udito èdel 21%. L’improvvisa perdita d’udito neuro-sensoriale solitamente è unilaterale e puòessere associata a tinnito e vertigini. Nellamaggior parte dei casi l’origine non è definita evengono ipotizzate cause infettive, vascolari,immunitarie ed ototossiche.

• L’acufene colpisce circa il 10% della popola-zione almeno in un momento della vita. Essopuò essere temporaneo o di lunga durata.Approssimativamente il 5% degli adulti è colpi-to da acufene di tipo grave e persistente, tantoda condizionare lo stile di vita, e la sua preva-lenza aumenta con l’età.

Il meccanismo fisiopatologico dell’acufenenon è ancora stato completamente chiarito ele ipotesi più consistenti lo presentano comeil risultato di un’attività neurale aberrante inqualche sede lungo l’asse uditivo, mentre lecause scatenanti riguardano principalmente i

NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare

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traumi acustici, i fattori vascolari e infettivi, e leforme appunto di ototossicità.

• Ad eccezione del caso di alcune molecolecome gli aminoglicosidici, in genere il dannodella funzione cocleare si manifesta clinica-mente molto prima di quello vestibolare, anchese quest’ultimo è grave o bilaterale. I deficitvestibolari lenti e progressivi possono infattipassare inosservati, limitandosi a fugaci vertigi-ni o modesta instabilità, a causa dei meccani-smi centrali di adattamento e compenso.

• Una corretta bedside examination del pazien-te, alla ricerca dei segni specifici di disfunzionevestibolare quali il nistagmo spontaneo, diposizione o da head shaking o l’head trusttest, consente comunque di identificare l’insor-genza del danno.

L’individuazione di segni precoci di ototossi-cità permette l’attuazione di provvedimentiquali l’adeguamento della posologia, lasospensione o la sostituzione del farmaco.

IL CASO DELL'ACIDO ACETILSALICILICO

Fra i farmaci classificati come ototossici(Classe 1) vi è l’acido acetilsalicilico (ASA), in tuttele formulazioni e dosaggi (Figura 1). L’ASA è unadelle molecole di più frequente riscontro nellapratica clinica (vedi Appendice I – FarmaciVascolari) per l’impiego massiccio nella preven-zione cardiovascolare come antiaggregante pia-strinico, in reumatologia come FANS e nelle cefa-lee come antiemicranico.

Negli ultimi 20-30 anni, l’esteso impiego diquesta molecola nella popolazione generale, informa cronica (a vita) in campo cardiovascolare,sta portando alla luce aspetti della ototossicità diquesto farmaco, inattesi secondo l’esperienza

storica basata sull’impiego al bisogno e per breviperiodi dell’ASA come semplice antinfiammatorio,impieghi che ponevano l’accento solo sul sovra-dosaggio e su forme di ototossicità reversibili, raf-forzando l’ipotesi che a basso dosaggio il rischioper l’orecchio interno fosse pressoché nullo.

Sono ben conosciuti diversi effetti collateralidell’ASA come l’intolleranza gastrica, sino allapotenziale gastrolesività, l’accelerazione del ritmocardiaco, le difficoltà respiratorie, le reazioni cuta-nee, l’ipoacusia e gli acufeni (Figura 2).

In particolare l’ototossicità dei salicilati, asso-ciata ad ipoacusia ed acufeni, è nota in clini-ca da oltre un secolo, ma è sempre stataconsiderata reversibile e correlata al solosovradosaggio, per via dell’impiego prevalen-te nella popolazione generale per periodibrevi negli stati influenzali, ovvero in formacronica su nicchie di pazienti problematicicome in reumatologia.

IL RISCHIO DELLA OTOTOSSICITÀ FARMACOLOGICA

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Figura 1. Struttura molecolare dell'acido acetilsalicilico (ASA) oaspirina.

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IL RISCHIO DELLA OTOTOSSICITÀ FARMACOLOGICA

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Figura 3. Livelli di ipoacusia e acufene in funzione dei livelli di concentrazione plasmatica di ASA (Cazals, Prog Neurobiol 2000).

• Altri documentano però che tale azione protet-tiva non esiste e che, anzi, l’ASA è persino ingrado di esacerbare temporaneamente la per-dita uditiva da rumore e che ad alte dosi haun’azione pro-ossidativa e facilitante la mortecellulare (Vedi Capitolo 7 “Lo stress ossidativonel danno cocleare”).Un giudizio più chiaro e verosimilmente definiti-

vo emerge ora dall’indagine Health ProfessionalsFollow-up Study pubblicata nel 2010 sull’AmericanJournal of Medicine. Si tratta di un monitoraggiocondotto dal Curhan e collaboratori per 20 anni

(baseline 1986) su 26.917 soggetti utilizzatori diFANS. Si è evidenziata una correlazione significati-va fra le abitudini d’impiego dell’ASA e altri FANSed il rischio di sviluppare ipoacusia rispetto allapopolazione generale, soprattutto nella fascia di età40-50 anni.

Il maggiore rischio di ipoacusia neurosenso-riale associato all’ASA ed agli altri FANS èdovuto in parte al dosaggio (Tabella 1) e inparte alla durata della terapia (Tabella 2), conun rischio maggiore nei soggetti fra i 40 ed i 60anni (Tabella 3).

A. Perdita neurosensoriale assoluta, come riportato dai 16 riferi-menti indicati nel box in alto. Per ottenere dati comparabili, leperdite sono state considerate, per quanto possibile, sulle fre-quenze medie. Linea continua: regressione lineare.

B. Intensità dell’acufene in relazione al livello plasmatico di sali-cilato per i sei studi citati nel box in alto. I punti isolati rappresen-tano i valori soggettivi più bassi alla comparsa dell’acufene. Perdue studi, i punti dell’acufene incipiente sono stati collocati a 10dB. I punti collegati rappresentano i valori medi di crescita delvolume (confrontato con il suono esterno: simboli pieni; scalasoggettiva: simboli aperti) in rapporto all’incremento del livelloplasmatico di salicilato.

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NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare

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Tabella 2. Rischio Relativo (IC 95%) di ipoacusia (adattatoper età e multivariato) associato alla durata dell’assunzionedell’analgesico (Curhan et al. Am J Med 2010).

Tabella 3. Stratificazione per età del Rischio Relativo (IC95%) di ipoacusia (adattato per età e multivariato*) associa-to ad uso di analgesici (Curhan et al. Am J Med 2010).

Duratadell’uso(anni)

Ca si Anni-Persona

RischioRelativo

adattato per età

RischioRe la t ivo

mult iva ria t o*

Aspirina

01-45-8>8

1.0421.122 687637

156.188108.17756.43148.282

1,01,35 (1,24-1,46) 1,34 (1,22-1,48) 1,26 (1,14-1,40)

1,01,28 (1,17-1,40) 1,30 (1,17-1,44) 1,17 (1,04-1.31)

FANS

01-4>4

2.409 721 358

284.706 59.774 24.600

1,01,30 (1,20-1,42)1,41 (1,26-1,57)

1,01,23 (1,12-1,34)1,33 (1,18-1,49)

Pa ra c e t a molo

01-4 >4

2.897 420 171

320.893 36.348 511.838

1,01,23 (1,11-1,36) 1,39 (1,19-1,62)

1,01,19 (1,07-1,32) 1,33 (1,14-1,56)

FANS = farmaci antinfiammatori non steroidei*Adattati per età, indice di massa corporea, alcool, att ività f isi-ca, folati, fumo, ipertensione, diabete, professione e razza.

Analgesico Età <50 anni Età 50-59 anni Età 60+ anni

Aspirina

Adattatoper età

Multivariato1,32 (1,02-1,691,33 (1,03-1,72)

1,36 (1,20-1,54) 1,33 (1,17-1,50)

1,03 (0,94-1,12) 1,02 (0,93-1,11)

FANS

Adattatoper età

Multivariato1,59 (1,14-2,23) 161 (1,15-2,26)

1,35 (1,15-1,58) 1,32 (1,13-1,55)

1,17 (1,04-1,31) 1,16 (1,03-1,30)

Paracetamolo

Adattatoper età

Multivariato1,91 (1,29-2,82) 1,99 (1,34-2,95)

1,37 (1,09-1,73) 1,38 (1,09-1,74)

1,17 (0,99-1,37) 1,16 (0,99-1,37)

FANS = farmaci antinfiammatori non steroidei *Adattati per età, indi-ce di massa corporea, alcool, attività fisica, folati, fumo, ipertensione,diabete, professione e razza.

I meccanismi della ototossicità dell’ASAI processi biochimici responsabili degli effetti

tossici dell’ASA sono ancora oggi materia diricerca. Tuttavia, varie alterazioni metabolichesono state individuate per i salicilati (Tabella 4).

Sono invece poche le indagini biochimichecondotte sino ad oggi specificamente per gli effet-ti ototossici come quella di Cazals del 2000. Neimodelli animali, la somministrazione acuta di altedosi di salicilato provoca un momentaneo deficituditivo, sino a 40-50 dB, con riduzione dei prodot-ti di distorsione (Distortion Product OtoacousticEmissions, DPOAE) nelle otoemissioni, con inte-ressamento soprattutto dell’amplificazione coclea-re. I DPOAE sono generati nella coclea in rispostaa determinate frequenze tonali e livelli di pressionesonora e sono un indice oggettivo del normale fun-zionamento delle cellule ciliate esterne.

La perdita temporanea della sensibilitàcocleare indotta dai salicilati parrebbe dipenderedunque da una disfunzione reversibile delle cellu-le ciliate esterne (Figura 4).

Tabella 1. Rischio Relativo (IC 95%) di ipoacusia (adattatoper età e multivariato) associato ad uso di analgesici(Curhan et al. Am J Med 2010).

Analgesici

Ca si Anni-Persona

RischioRelativo

adattato per età

RischioRelativo

multivariato*

Aspirina

<2/sett2+/sett

1.7691.711

213.831154.412

1,01,13 (1,06-1,21)

1,01,12 (1,04-1,20)

FANS

<2/sett2+/sett

2.852636

320.46748.612

1,01,38 (1,27-1,50)

1,01,21 (1,11-1,33)

Pa ra c e t a molo

<2/sett2+/sett

3.214274

347.36221.717

1,01,32 (1,17-1,50)

1,0 1m22 (1,07-1,39)

FANS = farmaci antinfiammatori non steroidei*Adattati per età, indice di massa corporea, alcool, att ività f isi-ca, folati, fumo, ipertensione, diabete, professione e razza.

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IL RISCHIO DELLA OTOTOSSICITÀ FARMACOLOGICA

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Tabella 4. Principali alterazioni metaboliche legate alla ototos-sicità.

• Inibizione della sintesi delle prostaglandine, della NADPHsintetasi, della fosfolipasi C, della colesterolesterasi e dellaATPasi.

• Interazione con antigeni e anticorpi.• Passaggio nelle membrane.• Uncoupling della fosforilazione ossidativa.• Iperglicemia.• Attivazione del heat shock transcription factor.• Interazione con i radicali liberi.

Figura 4. Sistema delle cellule ciliate esterne (OHC) e interne(IHC).

LEGENDA: SV: Stria Vascularis; BM: Membrana Basale; AN:Nervo Acustico (VIII n.c.)

In particolare pare interessata la capacità diquesta classe di molecole di legare competitiva-mente la prestina, che, come documentato dalgruppo di Zheng, Dallos e collaboratori, è il moto-re proteico che garantisce il movimento delle cel-lule ciliate.

La prestina è presente nelle hair cells di tutti imammiferi (Figura 5) e serve per amplificare leonde sonore.

Le persone che possiedono un gene mutatoper la formazione di questa proteina non riesco-no ad udire suoni ad alta frequenza ed è statascoperta una correlazione tra la mutazione diquesto gene e la capacità di orientarsi grazie asonar.

I cambiamenti conformazionali di questa pro-teina sono causati da spostamenti di anioni intra-cellulari indotti dalle variazioni del campo elettricodella membrana (Figura 6).

L’interferenza con la prestina produrrebbe:l’eliminazione reversibile della elettromoticità dellecellule ciliate esterne (OHC); la perdita tempora-nea dei DPOAE; la perdita temporanea dell’am-plificazione cellulare.

Figura 5. Grazie al biosonar (ecolocalizzazione) i delfini identi-ficano e stimano la distanza degli oggetti, utilizzano gli echi deisuoni emessi nell'ambiente, per l'orientamento e la ricerca delcibo.

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La somministrazione prolungata di elevatidosaggi di salicilati pare invece comportare: unaumento dell’ampiezza dei DPOAE; un aumentodella elettromotricità delle cellule ciliate esterne;un aumento della produzione di prestina.

Un recente studio sperimentale di Chen ecollaboratori ha chiarito meglio questo appa-rente paradosso in un articolo dal titolo “Troppodi una cosa buona: il trattamento a lungo termi-ne con i salicilati rafforza le funzioni delle cellu-

le ciliate esterne, ma altera l’attività neurale udi-tiva”.

È stato infatti osservato che: l’ampiezza deiDPOAE cala nelle prime 24h per poi aumentarenuovamente e stabilizzarsi; l’ampiezza dei CAP(Compound Action Potential) si riduce in modopermanente; l’ampiezza delle risposte evocateuditive tronco-encefaliche (ABR: AuditoryBrainstem Response) si riduce in modo perma-nente (Figura 7).

NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare

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Figura 6. La prestina è implicata nei meccanismi di attivazione delle cellule ciliate, a causa dei cambiamenti indotti nella proteina dallevariazioni del campo elettrico della membrana.

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La riduzione permanente dell’ampiezza deiCAP suggerisce che un trattamento a lungotermine con i salicilati possa danneggiare ilsoma e gli assoni dei neuroni del ganglio spi-rale della coclea.

L’applicazione di salicilati a colture cellulariorganotipiche cocleari immature e postnatali hainoltre documentato cambiamenti morfologicicellulari e dell’espressione dei geni coinvolti nel-l’apoptosi dopo 3, 6 e 12 ore dal trattamento.

In particolare sono evidenti danni nelle celluledel ganglio spirale, con una significativa e pro-gressiva riduzione della dimensione somatica delganglio, un’apoptosi capsasi-dipendente e uncambiamento dell’espressione della famiglia deiTumor Necrosis Factors (Figura 8).

Lo studio dell’attività tinnitogena dell’ASA nel-l’animale, mediante l’acoustic startle reflex, oalarm reflex con risposta motoria emozionalecondizionata ha consentito a Kizawa e collabora-tori di identificare ulteriori meccanismi di interazio-ne della molecola con la funzione uditiva.Secondo i risultati dello studio pubblicato daNeuroscience nel 2010, nell’animale da esperi-mento la lesione dei nuclei cocleari abolisce que-sto riflesso, mentre la stimolazione elettrica loevoca.

Nell’uomo questo riflesso pare collegato all’at-tività della sostanza reticolare tronco-encefalica ealle vie reticolo-spinali.

IL RISCHIO DELLA OTOTOSSICITÀ FARMACOLOGICA

103

Figura 7. Gli effetti permanenti del trattamento cronico con sali-cilato sugli ABR in un gruppo di ratti SD giovani adulti (n=6)(Mod. da Chen et al, Hear Res 2010).

A. Ampiezze ABR come funzione di un livello di stimolazione a12 kHz. B. Ampiezze ABR ad un livello di stimolazione di 100 dB (SPL)come funzione di frequenza

Figura 8. Media della dimensione somatica del ganglio spiraledei neuroni cocleari (± SEM) in controlli e colture di neuronigangliari trattate con 1, 3 e 5 mM di salicilati per 48 ore (Mod.da Wei et al, Neuroscience 2010).

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L’iniezione di dosi elevate di salicilato, comedimostrato nel 209 da Sun e collaboratori,induce un aumento della risposta acusticad’allarme nell’animale, per aumento della sen-sibilità del sistema uditivo centrale, presumibil-mente da inibizione della down-regulationGABA-mediata, che verosimilmente può esse-re il correlato comportamentale dell’iperacusiache spesso accompagna il tinnito e la perditad’udito.

Nello studio del 2010 di Kizawa e collabora-

tori sui ratti, due ore dopo l’iniezione di salicila-to (400 mg/kg) gli animali sono in grado diavvertire un acufene (risposta falso-positivo)equivalente a quello indotto da 60 dB SPL e 16kHz (Figura 9).

Poiché questa condizione è soppressa inmodo significativo dalla capsazepina, la sovra-regolazione uditiva centrale pare provocata inparticolare dall’attivazione del TRPV1 nella viauditiva del ratto, soprattutto nel ganglio spirale(Figura 10).

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Figura 9. Punteggio di “fuga attiva” (A) e falsi positivi (B) nei ratti trattati con salicilato (Mod. da Kizawa et al., Neuroscience 2010).

A. La percentuale di risposte corrette al suono (% punteggio di “fuga attiva”) misurato prima (giorno 0), durante (giorno 1-3), edopo le iniezioni di salina o di salicilato (400 mg/kg) (giorno 4). La percentuale di punteggio di “fuga attiva” è rimasta stabile (80%)in entrambi i gruppi durante il periodo sperimentale. B. Numero di risposte anormali durante i periodi asintomatici (falsi positivi). Le iniezioni di salicilato hanno indotto in maniera signi-ficativa un aumento del numero di falsi positivi al terzo giorno (giorno 3) (* P<0.005). È stata riscontrata una completa guarigionenel momento in cui è stato sospeso il trattamento al quarto giorno (giorno 4).

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L’aumento dell’attività TRPV1 nel ganglio spi-rale, con la relativa ipersensibilità neuronale, ècorrelabile alla diminuzione della cicloossige-nasi provocata dall’ASA.

L’inibizione della cicloossigenasi e l’alterazione delmetabolismio dell’acido arachidonico ad operadell’ASA è inoltre capace di attivare i recettori coclea-ri NMDA che non sono normalmente implicati nellatrasmissione del messaggio acustico, favorendoulteriormente la disreattività neuronale (Figura 11).

Esistono due tipi di cicloossigenasi: COX 1 eCOX 2 (Figura 12). L’ASA li inibisce entrambi.

La COX 1 è presente nelle piastrine e, venen-do acetilata, non può essere risintetizzata.

La COX 2 si trova principalmente nelle celluleendoteliali e, essendo queste ultime provviste dinucleo, la risintesi è possibile.

L’ASA inibisce la formazione di trombossanida parte della COX-1 mentre la sintesi di prosta-glandine e prostacicline si ristabilisce abbastanzarapidamente, spostando la bilancia tromboticaverso l’antiaggregazione piastrinica.

L’inibizione della COX1 è un effetto indesidera-to dell’ASA e di altri FANS e riduce la trasforma-zione dell’acido arachidonico in prostaglandine ela sintesi di trombossani (Figura 13).

Nell’apparato uditivo il metabolismo dell’aci-do arachidonico è sicuramente importante euna sua alterazione, come ad esempio nel trau-ma acustico, è in grado di provocare danni.L’espressione dei recettori COX-1 scende infattidopo esposizione a 70-90 dB SPL nella mag-gior parte delle cellule dell’organo del Corti,mentre aumentano nelle fibre nervose nella lami-na spirale ossea.

IL RISCHIO DELLA OTOTOSSICITÀ FARMACOLOGICA

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Figura 10. La superfamiglia dei Transient Receptor Potential (TRP) è implicata nei processi nocicettivi a livello periferico e centrale.

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Figura 11. Recettore NMDA, cicloossigenasi e acido arachidonico sono implicati nella disregolazione uditiva indotta dall'ASA.

A. Recettore NMDA: 1) Membrana cellulare, 2) canale bloccato dal Mg, 3) sito di legame del Mg che blocca il recettore, 4) compo-sti allucinogeni che legano il sito 5, 5) sito di legame per Zn2+, 6) sito di legame per agonisti ed antagonisti, 7) sito di glicosilazio-ne, 8) siti di legame del protone, 9) sito di legame della glicina, 10) sito di legame delle poliammine, 11) spazio extracellulare, 12)spazio intracellulare.B. Modello tridimensionale dell’enzima ciclossigenasi (COX o prostaglandina-endoperossido sintasi, (in alto ) e diagramma dellareazione catalizzata (in basso)C. L'aspirina blocca il legame dell'acido arachidonico nel sito attivo della cicloossigenasi, inibendo la trasmissione di stimoli dolo-rifici e la risposta infiammatoria.

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IL RISCHIO DELLA OTOTOSSICITÀ FARMACOLOGICA

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Figura 12. A. La scoperta dell’esistenza della ciclossigenasi indotta (COX2) isoforma della ciclossigenasi costitutiva (COX1) ha datoimpulso allo studio dei farmaci antinfiammatori, per la soppressione selettiva degli effetti collaterali indesiderati. B, C. COX 1 e COX2inibite dall’ASA.

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Contemporaneamente si reduce la 5-Lipossigenasi, parimenti inplicata nei processi ditrasformazione dell’acido arachidonico, soprattut-to nel terzo anello dell’organo del Corti, nel secon-do e nel terzo del ganglio spirale e in tutti quellidella stria vascularis (vedi Box “Ruolo della striavascolare nella fisiologia dei fluidi endolinfatici).

L’alterazione dei processi biochimici relativiall’acico arachidonico, alle prostaglandine e aitrombossani implica quindi naturalmenteanche un’interferenza sui meccanismi diregolazione vascolare.

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Figura 13. Molti farmaci antinfiammatori e antidolorifici inibiscono una delle vie dell’acido arachidonico, la cui metabolizzazione pro-duce mediatori infiammatori.

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IL RISCHIO DELLA OTOTOSSICITÀ FARMACOLOGICA

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Le prostaglandine (PGs) maggiormente prodot-te dalle strutture vascolari nell’orecchio internosono la PGI2, PGF2α, PGE2, PGI2α, che si ritro-vano nella perilinfa. Come documentato in unostudio del 1985 da Escoubet e collaboratori, l’inie-zione di 350 mg/kg di ASA per via intraperitonealereduce per 3 giorni la sintesi di PGs nella perilinfa.

La PGH2 viene trasformata enzimaticamentein tre prodotti:• il Trombossano A2, che si trova soprattutto

nelle piastrine, è piuttosto instabile e provocaaggregazione piastrinica e vasocostrizione;

• la Prostaciclina o PGI2, che si trova prevalen-temente nella parete dei vasi, ha effetti oppostia quelli del Trombossano A2, inibisce l’aggre-gazione piastrinica e agisce da vasodilatatore;

• le prostaglandine PGD2, PGE2, PGF2 , che si

riscontrano in varie zone dell’organismo e rap-presentano i metaboliti più stabili, esercitanodiverse azioni sul tono e sulla permeabilitàvascolare.

Nel ratto alti dosaggi di ASA sembrano poterprevenire la disintegrazione delle cellule ciliatevestibolari dopo trombosi selettiva dell’arteriacerebellare antero-inferiore, ma lo studio laserDoppler ha dimostrato che il flusso ematicococleare in realtà viene ridotto del 10-20% aseconda delle dosi iniettate e vi è un aumentosignificativo della soglia del CAP per le frequenzesuperiori ai 4KHz.

Verosimilmente entrano appunto in giocoanche in questo caso i meccanismi relativi alleprostaglandine.

RUOLO DELLA STRIA VASCOLARE NELLA FISIOLOGIA DEI FLUIDI ENDOLINFATICI

La stria vascolare è l’epitelio riccamente vascolarizzato cheriveste la parete laterale del dotto cocleare, delimitato sugli altridue lati dall’organo del Corti (che è immerso nell’endolinfa e,mediante le cellule ciliate, traduce gli stimoli sensoriali meccani-ci – suono – in segnali elettrici) e dalla membrana di Reissner.

Queste strutture concorrono in modo indipendente e coordi-nato all’omeostasi dell’endolinfa della scala media, che ha con-centrazione alta di K+ e potenziale positivo.

L’organizzazione cellulare della stria vascolare, con tre tipi dicellule in serie – basali, intermedie e marginali – potrebbe esse-re responsabile della genesi del potenziale endococleare.Probabilmente, il potenziale positivo all’interno della scalamedia è generato da un epitelio di cellule basali e intermedie chesi trovano al di sotto delle cellule marginali. È stato stabilito concertezza che la stria vascolare è responsabile della secrezione di K+ nell’endolinfa. Anche i trasportatori implicati nel tra-sporto di K+ sono stati per la maggior parte identificati e localizzati nelle diverse cellule che formano la stria vascolare. Lecellule marginali, che ricoprono il bordo del canale endolinfatico, giocano un ruolo chiave negli scambi ionici e nella for-mazione del potenziale dell’endolinfa. Il potassio secreto nell’endolinfa dalla stria vascolare entra nelle cellule ciliate attra-verso i canali meccano-sensitivi apicali dello ione K+, e lascia probabilmente le cellule ciliate esterne attraverso i canaliKCNQ4. Il potassio è poi riutilizzato nella stria vascolare attraverso le cellule di sostegno e i fibrociti del legamento spiraleper un altro giro di secrezione.

I progressi compiuti dalla ricerca sperimentale nella caratterizzazione molecolare dei sistemi di trasporto idroelettroliti-ci implicati nella fisiologia dei fluidi dell’orecchio interno hanno permesso di comprendere meglio alcune patologie, partico-larmente nel campo delle sordità genetiche e della malattia di Menière. In futuro, queste conoscenze dovrebbero permette-re lo sviluppo di nuovi approcci terapeutici a ipoacusia, vertigini e altre disfunzioni audio-vestibolari legate ad anomalie diquesti trasporti.

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Sia negli animali da esperimento che nell’uo-mo i recettori dei prostanoidi infatti sono distribui-ti in abbondanza nella coclea, nel legamento spi-rale, nella stria vasculari, nel ganglio spirale e nel-l’organo del Corti.

L’analisi al microscopio rivela una distribuzioneomogenea dei recettori COX-1 in quasi tutte lecellule dell’organo del Corti ad esclusione deipilastri. I recettori COX-2 sono presenti in tutti itipi di cellule della coclea, con una maggioredistribuzione nelle cellule di Hensen e in quelle diDeiters, che parrebbero avere anche un impor-tante ruolo metabolico, nonchè sulla lamina cuti-culare delle cellule ciliate esterne e sulla membra-na reticolare in genere. I recettori COX-1 e COX-2 sono rappresentati omogeanemente anche nelganglio spirale.

La coclea inoltre ha un’innervazione autono-ma, ristretta al modiolo, di tipo noradrenergico edun test in vivo su cavie trattate con salicilati adalto dosaggio ha dimostrato che l’ipoacusia rile-vata è correlata anche ad un aumento di norepi-

nefrina, epinefrina, dopamina e di alcuni metabo-liti come l’acido 5-hydroxyindole-3-acetico el’acido omovanilico nella perilinfa.

In conclusione: l’ASA somministrato ad altedosi, sia sperimentalmente sugli animali chenell’uomo, è in grado di provocare con varimeccanismi una sofferenze del sistema uditi-vo a più livelli, dall’organo del Corti sino aicentri di integrazione delle informazioni uditi-ve, generalmenre accompagnato da acufeni.

Più raramente è stata indagata la componen-te vestibolare ma i dati sperimentali ed il coinvol-gimento dei meccanismi circolatori suggerisco-no che un suo coinvolgimento è altamente pro-babile.

Il recente follow-up ventennale di pazienti conuso cronico di ASA ai dosaggi clinicamente piùattuali rivela che l’ototossicità è purtroppo irrever-sibile ed è più evidente nei soggetti al di sotto dei60 anni.

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IL DEFICIT UDITIVO NEUROSENSORIALE

Si considerano ipoacusie neurosensorialiimprovvise o acute (Sudden SensoriNeuralHearing Loss) quei quadri patologici caratterizza-ti da una perdita repentina della funzione uditiva,solitamente localizzata ad un solo orecchio e dal-l’evoluzione variabile. Infatti, la perdita uditiva simanifesta nel volgere di qualche secondo fino adalcune ore, o al massimo tre giorni.

L’inquadramento clinico si basa innanzituttosui dati anamnestici forniti dal paziente sulla com-parsa di una ipoacusia unilaterale manifestatasi

nel volgere di minuti o di poche ore, al massimotre giorni. L’ipoacusia può essere accompagnatada altri segni di sofferenza cocleo-vestibolare,associandosi spesso ad acufeni, fullness, vertigi-ne o instabilità.

All’origine del deficit uditivo neurosensoriale c’ègeneralmente un malfunzionamento della coclea,dovuto al danneggiamento delle cellule ciliate uditi-ve dell’organo di Corti, oppure un danno del nervouditivo o delle vie nervose centrali. Le cellule ciliatedanneggiate non sono in grado di trasformare ilsegnale acustico in impulsi nervosi. Più cellule sonodanneggiate, più grave sarà la sordità (Figura 1).

Capitolo 7

115

LO STRESS OSSIDATIVONEL DANNO COCLEARE

Giorgio Guidetti

Figura 1. A. L'attivazione delle cellule ciliate in scariche di potenziali d'azione è modulata da una serie di complessi meccanismi ioni-ci e neurosecretori. IHC: cellule ciliate interne; OHC: cellule ciliate esterne. B. Le cellule ciliate danneggiate non sono in grado di tra-sformare il segnale acustico in impulsi nervosi.

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Sulla base della entità della perdita uditiva, leipoacusie neurosensoriali si definiscono di gradolieve (perdita uditiva da 20 a 40 dB), medio (da 41a 70 dB), grave (da 71 a 90 dB), profondo (>90dB). L’entità del danno può delinearsi immediata-mente nella sua massima entità, oppure manife-starsi come un peggioramento progressivo.

L’evoluzione naturale della patologia è variabi-le, perché il deficit può rimanere inalterato oppu-re può verificarsi una remissione spontanea, par-ziale o (più raramente) completa.

La più frequente tra le ipoacusie neurosenso-riali ad evoluzione cronica è la presbiacusia,nella quale il deficit uditivo è dovuto all’invec-chiamento e progressiva diminuzione delle cel-lule uditive. Altre sordità neurosensoriali sono dinatura ereditaria, metabolica, vascolare, trau-matica, da stress per esposizione eccessiva arumori, infettiva o iatrogena da farmaci ototossi-ci. Cause possibili di ipoacusie neurosensorialida danno delle vie nervose sono la sclerosi mul-

tipla e la neurofibromatosi. Nel caso di una ipoa-cusia neurosensoriale puramente monolateraleva sempre escluso il neurinoma del nervo acu-stico, comunque a bassa prevalenza (circa 1ogni 100.000 abitanti).

L’ACUFENE

L’acufene o tinnito, caratterizzato dalla perce-zione di suono in assenza di stimoli esterni, èstato riscontrato in circa il 10% della popolazionealmeno in un momento della loro vita (Figura 2).Esso può essere temporaneo o di lunga durata;approssimativamente il 5% degli adulti è colpitoda acufene grave e persistente, tanto da condi-zionare lo stile di vita. Infatti, sebbene molti rie-scano ad adattarsi positivamente a questa situa-zione, altri vivono questa esperienza come unacondizione invalidante. La prevalenza del tinnitoaumenta con l’età.

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Figura 2. Nel 78% delle persone che soffrono di acufene l’intensità del “suono fantasma” è minore o uguale a 10dB, mentre nel44,5% dei casi è compreso tra 1 e 5 dB. Ma la reazione organica che un medesimo tipo di acufene produce tramite il sistema limbi-co e il sistema nervoso autonomo (fastidio o senso di allarme vs. adattamento) è strettamente soggettiva.

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Nonostante vi siano molte teorie che riguarda-no la fisiopatologia dell’acufene, il meccanismopreciso resta ancora da spiegare. La più consi-stente di queste è l’ipotesi che rappresenti il risul-tato di un’attività neurale aberrante in qualchesede lungo l’asse uditivo e di abnormi meccani-smi centrali di risposta a questa condizione, concoinvolgimento anche di network limbici ed emo-zionali. La terapia standard degli acufeni rimaneincerta, nonostante il gran numero di interventiterapeutici e studi che vengono proposti comeefficaci.

Recenti evidenze del coinvolgimento dei radi-cali liberi dell’ossigeno (ROS) nelle patologie del-l’orecchio interno e delle vie periferiche e centralipotrebbero suggerire un approccio terapeuticoall’acufene anche con agenti antiossidanti.

DANNO COCLEAREDA STRESS OSSIDATIVO

I ROS (Reacting Oxygen Species) o speciereattive dell’ossigeno sono radicali liberi che ven-gono prodotti dall’organismo in condizioni fisiolo-giche e patologiche. Normalmente la loro presen-za è controllata da meccanismi intercellulari attra-verso enzimi endogeni antiossidanti come laSuperossidodismutasi (SOD).

Uno squilibrio causato da sovrapproduzionedi ROS o deplezione di antiossidanti provocaun’azione citotossica sulle cellule.

Nell’orecchio interno è stata ampiamentedocumentata l’ipotesi che i processi di necrosi eapoptosi delle cellule ciliate nelle ipoacusie sianoROS-mediati.

Tale ipotesi si basa su prove sperimentali suanimali e prende origine da due considerazioni: • I ROS vengono prodotti soprattutto nelle cate-

ne mitocondriali che forniscono energia allecellule e le cellule ciliate (hair cells) della coclea

sono note per essere un sistema esigente peril consumo di energia e ossigeno.

• I ROS possono attivare i processi di necrosie/o apoptosi cellulare danneggiando la mem-brana lipidica, le proteine ed il DNA cellulare. Nei modelli animali sono stati descritti diversi

casi di danno cocleare, tra cui quello legato allaesposizione al rumore e ai farmaci ototossici (ades. aminoglicosidi e cisplatino).

Gli effetti degli aminoglicosidi (ad es. gentami-cina) nell’orecchio interno comprendono il bloccodei canali di: calcio, magnesio, potassio e sodio;inoltre gli aminoglicosidi permeano nell’endolinfainterferendo con i canali non selettivi delle celluleciliate (Figura 3).

Questi effetti provocano un aumento dei livelli dicalcio intracellulare e la produzione di livelli tossicidi ROS che conducono a diversi gradi di apoptosidelle hair cells, a seconda del tipo di esposizione,acuta o cronica, con bassi o elevati dosaggi.

Questi processi apoptotici possono perdurarefino a 4 settimane dopo la cessazione della som-ministrazione del farmaco.

Le indagini sullo stress ossidativo si sono con-centrate in particolare sul ruolo dei ROS nelleipoacusie reversibili, irreversibili ed in quellecroniche progressive, raccogliendo evidenzesempre più importanti del peso che la perossi-dazione lipidica e l’apoptosi cellulare sembranoavere nel danno funzionale delle strutture labirin-tiche.

Due markers dello stress ossidativo e dellaperossidazione lipidica cellulare, rispettivamente iconiugati glutatione-proteine e l’8-isoprostano,sono stati studiati in associazione al dannoprodotto in diverse aree dell’orecchio interno(perdita di hair cells), dopo esposizione a traumaacustico o in condizioni di deterioramento croni-co fisiologico. L’esposizione al rumore pareindurre stress ossidativo, riduzione del flussosanguigno cocleare, rigonfiamento neuronale,

LO STRESS OSSIDATIVO NEL DANNO COCLEARE

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necrosi e apoptosi cellulare nell’organo del Corti.I lipidi sono uno dei principali componenti dellemembrane biologiche; la perossidazione lipidicacomporta deterioramento ossidativo dei lipidi edanni per le proteine incorporate nelle membranecellulari.

La perossidazione lipidica è avviata dai radicaliOH, e una singola reazione iniziale è in grado diinnescare una reazione a catena che generamolteplici perossidi radicali.

Alcuni studi indicano come lo stress ossidati-vo aumenti considerevolmente con l’età, mentrele difese antiossidanti (AIF e SOD2) si abbassano.

L’area più sensibile allo stress ossidativo pareessere l’organo del Corti, con alterazioni anche

irreversibili, mentre la stria vascularis risulterebbepiù resistente con alterazioni spesso reversibili.

Uno studio pubblicato recentemente dallaScuola di Ferrara ha fornito la prima prova dellaproduzione di superossido, una specie reattivadell’ossigeno (ROS) in pazienti con ipoacusianeurosensoriale profonda (60-80 db). Ciorba ecollaboratori hanno studiato 142 pazienti ipoacu-sici (65 maschi e 77 femmine – età compresa fra2 mesi e 70 anni), dai quali sono stati raccolti 98campioni validi di perilinfa da pazienti sottopostiad inserimento di un impianto cocleare, osser-vando come controllo 7 campioni ottenuti dapazienti affetti da otosclerosi, con leakage spon-taneo post-stapedotomia (Figura 4).

NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare

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Figura 3. La gentamicina, come altri antibiotici aminoglicosidici, permeando nell’endolinfa, induce un aumento dei livelli di calciointracellulare e la produzione di livelli tossici di ROS, responsabili di diversi gradi di apoptosi delle cellule ciliate.

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lIn tutti i pazienti esaminati, a prescindere dal-l’età e dal grado di ipoacusia, si sono riscontratilivelli di superossido da 50 a 200 volte superiori aicampioni del gruppo di controllo (Tabella 1).

I ROS sembrano coinvolti anche nei casi diipoacusia genetica (es. Sindrome di Pendred),nella presbiacusia, nella Malattia di Menière e neltrauma acustico, in cui un ruolo essenziale par-rebbe svolto appunto dalla riduzione del flussosanguigno e dalla formazione di ROS nellacoclea, con uno sviluppo significativo a distanzadi 7-10 giorni dall’esposizione al rumore. In effet-ti parrebbe che gli antiossidanti (i cosiddetti“spazzini” dei radicali liberi), somministrati entrotre giorni dal trauma acustico, siano in grado diridurre la formazione di radicali liberi e l’apoptosidelle cellule sensoriali.

L’evento finale scatenante il danno cocleare èinfatti comunque sempre l’ipossia, con la relativasofferenza cellulare da stress ischemico/ossidativo,

LO STRESS OSSIDATIVO NEL DANNO COCLEARE

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Figura 4. Test eseguiti sui campioni validi di perilinfa ottenuti dall’orecchio interno dei soggetti inclusi nello studio. (Mod. da: Ciorbaet al. Acta Otolaryngol 2010).

LEGENDA: XA/XO (Xantina/Xantina-Ossidasi, sistema enzimaticogeneratore di ROS); SDS-PAGE = Sodium Dodecyl Sulphate -PolyAcrylamide Gel Electrophoresis (elettroforesi su gel di poliacrilammide in presenza di sodio dodecil solfato, tecnica analiticache permette l'analisi di estratti proteici).

Tabella 1. Produzione di radicali superossido misurati comelivello di citocromo-riduttasi nella perilinfa di orecchio internoumano. Mod. da: Ciorba et al. Acta Otolaryngol 2010

Età (anni) Superossido(μm/mg proteina)

0-10 15.87 + 7.96

11-30 60.67 + 27.92

>30 21.06 + 14.67

Controlli 0.36 � 0.13

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e pare dunque razionale una scelta terapeuticamirata sia alla riparazione del danno endotelialedel microcircolo dell’orecchio interno che alla ini-bizione dei radicali liberi per ridurre quanto piùpossibile il danno cellulare.

La terapia orale antiossidante in pazienti paretrovare indicazione come trattamento supple-mentare anche nell’acufene idiopatico in quantosembra ridurre il disagio soggettivo e l’intensitàdel tinnito.

Presso la Clinica Otorinolaringoiatrica diPadova, Savastano e collaboratori hanno con-dotto uno studio clinico, in cui sono stati esam-inati 31 pazienti con acufene unilaterale idiopati-co trattati con antiossidanti per 18 settimane. Sisono valutati i disturbi soggettivi con scala ana-logica visiva (VAS) ed il dosaggio dei ROS nelsiero 48 ore prima e dopo il trattamento medico.Il cocktail antiossidante impiegato prevedeva unmix di fosfolipidi e vitamine (Vit. C, Vit. E). Il trat-tamento ha mostrato un abbattimento dei livellidi ROS corrispondente ad un miglioramento deltinnito.

Attualmente sono in fase di studio numerosemolecole otoprotettive con attività antiossidanti.

L’Acido Alfa Lipoico (ALA) e la Superossidodismu-tasi (SOD) hanno già dimostrato efficacia clinicasullo stress ossidativo dei pazienti diabetici.

Studi sperimentali hanno dimostrato che undeficit di SOD amplifica il depauperamento fisio-logico delle hair cells e il danno alla coclea, che simostra particolarmente vulnerabile in queste con-dizioni.

Le strategie di up-regulation della SOD hannogià mostrato effetti positivi nel limitare il dannocellulare e la perdita uditiva in condizioni di dan-neggiamento cellulare da ischemia, trauma acu-stico e sostanze ototossiche.

La combinazione di enzimi sinergici nel neu-tralizzare lo stress ossidativo prodotto in seguitoad un trauma acustico potrebbe essere una stra-da molto promettente per ottenere risultati divalore clinico, come nel caso della superossidodi-smutasi insieme al Glutatione (GSH) catalizzatodall’acido alfa lipoico (ALA), dove l’enzima SODconverte i radicali dell’ossigeno (ROS) in idrogenoperossido (H2O2) e il glutatione converte quest’ul-timo in acqua disponibile per la cellula, neutraliz-zando così il potenziale patogenetico dello stressossidativo.

NEOS: Nuove Evidenze, Orientamenti e Strategie nella clinica dei disturbi audio-vestibolari di natura vascolare

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LA SCELTA DEL FARMACOPER I DISTURBI AUDIO-VESTIBOLARIDI NATURA VASCOLARE

Abbiamo a disposizione numerosi farma-ci per la terapia delle patologie vascolari (Ta-bella 1).

Ognuno di essi ha caratteristiche particolariche lo rendono più indicato per un tipo di ezio-patogenesi piuttosto che per altri e che lo pos-sono rendere controindicato in particolari condi-zioni fisio-patologiche (vedi Appendice I:Farmaci vascolari).

È dunque evidente che la scelta della mole-cola da suggerire rappresenta la fase finaledell’iter e deve prendere in particolare consi-derazione le caratteristiche generali delpaziente, anche perché spesso si tratta diterapie croniche, in cui quindi il rischio dieventi indesiderati è maggiore.

Le indicazioni delle linee guida SPREADNella scelta del farmaco occorre inoltre tene-

re presente che la sesta edizione delle LineeGuida SPREAD su TIA e ICTUS pubblicata nel2010, alla voce “TIA - Inquadramento Clinico-Diagnostico”, determina una svolta epocale nel-

l’appropriatezza della prevenzione secondariadel TIA, alla luce della nuova definizione propostadall’American Heart Association (AHA), basatasulle indicazioni dell’OMS (vedi Appendice II –Inquadramento Clinico-Diagnostico del TIA -SPREAD 2010).

Le Linee Guida SPREAD danno infatti leseguente raccomandazione:

Non è indicato considerare TIA, sulla basedella definizione dell’OMS (improvvisa com-parsa di segni e/o sintomi riferibili a deficitfocale cerebrale o visivo, attribuibile ad insuf-ficiente apporto di sangue, di durata inferiorealle 24 ore) la perdita di coscienza, le vertigi-ni, l’amnesia globale transitoria, i drop attack,l’astenia generalizzata, lo stato confusionale,e l’incontinenza sfinterica quando presentiisolatamente.

La nuova definizione AHA del TransientIschemic Attack (TIA). In base all’evidenza fornitadalle moderne tecniche di neuroimaging,l’AHA/ASA Scientific Statement 2009 ha propo-sto una nuova definizione di TIA: “Episodio didisfunzione neurologica causato da ischemiafocale dell’encefalo, midollo spinale o della retinasenza infarto acuto”.

Capitolo 8

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LE SCELTE TERAPEUTICHE

Giorgio Guidetti

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Tabella 1. I farmaci in uso più comunemente nelle patologie otoneurologiche di natura vascolare.

VASODILATATORIPapaverina Piricarbato

Ciclandelato Xantinolo nicotinato

Naftidrofurile Raubasina

ANTITROMBOTICIEparina sodica Acido acetilsalicilico (ASA) Warfarin

Eparina calcica Lisina acetilsalicilato Acenocumarolo

Bemiparina Dipiridamolo

Reviparina sodica Ticlopidina Lepirudina

Dalteparina sodica Tirofiban Antitrombina III

Nadroparina calcica Sulfinpirpazone

Parnaparina sodica Indobufene Streptochinasi

Picotamide Urochinasi

Sulodexide Eptifibatide Alteplasi

Eparansolfato Clopidogrel Reteplasi

Glicuronilglicosaminoglicano Abciximab

Mesoglicano Cloricromene Tenecteplase

Sulfomucopolisaccaride Iloprost Proteina C plasmatica

Pentosano polisolfato sodico Triflusal Drotrecogin

Danaparoid Epoprostenolo

Defibrotide

FARMACI AD AZIONE COMPLESSANicergolina Amlodipina Betaistina

Buflomedil Diltiazem cloridrato

Diidroergocriptina Felodipina Ginkgo biloba

Diidroergotossina Isradipina

Piribedil Lacidipina Vincamina

Lercanidipina cloridrato

Pentossifillina Nicardipina cloridrato Piracetam

Nifedipina

Nisoldipina Citicolina

Verapamil cloridrato

Nimodipina

Cinnarizina

Flunarizina

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Questo significa che le nuove Linee Guida nonpongono indicazione di prevenzione secondarialaddove non vi sia un vero TIA secondo la nuovadefinizione.

Poiché la sintomatologia audio-vestibolarenon è più vincolante per porre diagnosi di TIAquale primo episodio isolato, per l’audio-vesti-bologo si apre l’opportunità di essere il primoattore nella scelta consapevole della terapiacausale più adatta secondo il rapportorischio/beneficio, per i pazienti con disturbi oto-neurologici di origine vascolare, tenendo contooggi anche del potenziale ototossico dei farma-ci prescelti.

In questa ottica risultano particolarmente inte-ressanti i cosiddetti “farmaci di parete”.

I FARMACI DI PARETENELLA TERAPIA MEDICADELLE VERTIGINI DI NATURA VASCOLARE

La caratteristica emodinamica peculiare dellamicrocircolazione cerebrale è l’autoregolazionedel flusso che, in base a due principali compo-nenti (una statica e l’altra dinamica), si traducenel controllo delle resistenze vascolari intracra-niche.

Anche il flusso ematico dell’orecchio internomostra gli stessi meccanismi di autoregolazione,indispensabili per il mantenimento di una correttaomeostasi dell’endolinfa.

Un elemento fondamentale nell’autoregola-zione del microcircolo è rappresentato dallaparete vascolare e, in particolare, dall’endotelio,che si presenta come un singolo strato di cellu-le di rivestimento della superficie luminale dellaparete vasale, costituita da cellule muscolarilisce, fibroblasti e fibre collagene ed elastiche(Vedi Box “Il glicocalice endoteliale”).

I fattori di rischio vascolari sono in grado diprovocare una vertigine in quanto ipertensione,ipotensione, diabete, dislipidemia, basso shearstress di parete del flusso e processi aterotrom-botici conducono ad una scorretta rispostaendoteliale che, in ultima analisi, si traduce in unprocesso ischemico a carico delle strutturecocleo-vestibolari (Tabella 2).

I fattori di rischio vascolari provocano danni alivello della struttura del glicocalice, con conse-guente iperpermeabilità, perdita di produzione delmonossido d’azoto (NO) a livello endoteliale, con-testuale riduzione della vasodilatazione capillare eformazione di microtrombi (Figura 1, Tabella 3).

La produzione di NO è fondamentale perl’emodinamica dei distretti vascolari e la suaregolazione sembra essere legata alle proteineche fluttuano all’interno del glicocalice e tra-smettono alla parete i segnali meccanici (pres-sione), chimici (es. glicemia) e biologici (es. enzi-mi) che circolano nel flusso ematico, garantendouna fine modulazione che adegua, momentoper momento, la risposta vascolare alle esigen-ze metaboliche.

LE SCELTE TERAPEUTICHE

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Tabella 2. Effetti dei fattori di rischio aterosclerotici su costi-tuzione del glicocalice e funzionalità endoteliale (Mod. da:Noble et al, QJM 2008).

Aree di shear stress insufficiente• Stimolo del flusso insufficiente per la produzione di NO Iperglicemia• Azzeramento della risposta allo shear stress• Danno endotelialeDiabete• Danno endoteliale Iperlipidemia• Danno endoteliale • Riduzione della resistenza capillare • Adesione dei leucociti

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IL GLICOCALICE ENDOTELIALE

Il ruolo dell’endotelionon è relegabile a quello diinterfaccia passiva tra con-tenente (parete vasale) econtenuto (sangue), poichéle cellule endoteliali espli-cano molteplici e comples-se funzioni che giustificanola definizione di “organoendoteliale” o “laboratorioendoteliale” per questastruttura. L’endotelio, infat-ti, rende la superficie endo-luminale atrombogenica(non attiva la coagulazione;non consente l’adesionedelle piastrine); svolge atti-vità antitrombotica, fibrino-litica, antinfiammatoria,vasomotoria; modula laregolazione piastrinica e gliscambi sangue-tessuti nel microcircolo. L’endotelio riveste un ruolo centrale in processi biologici essenziali, quali aggre-gazione piastrinica, coagulazione, attivazione leucocitaria (quindi interazione con i meccanismi che regolano la flogosi),e microregolazione del flusso ematico. In condizioni di danno dell’endotelio, i leucociti aderiscono alla parete, provocan-do lesioni che vanno dall’aumento della permeabilità alla morte cellulare con esposizione del subendotelio.

Sistema capillare, tessuto pericapillare, arteriole e venule costituiscono il microcircolo. La maggior parte delle cellu-le endoteliali si trovano nei capillari, vasi formati da uno strato di cellule endoteliali allungate secondo l’asse longitudina-le del vaso, unite tra loro da una sostanza cementante di tipo reticolare. L’endotelio poggia su una membrana basale conl’interposizione di fibre collagene. La superficie endoluminale è tappezzata da un rivestimento molecolare a diretto con-tatto con le cellule endoteliali, definito film endoteliale, in cui sono presenti glicosaminoglicani (GAGs) – polisaccaridinaturali presenti nei vasi nel coat endoteliale, nelle membrane basali e nella sostanza interstiziale e che contribuisconoall’atrombogenicità dell’endotelio – e monomeri di fibrina in continuo rinnovamento, grazie ad un equilibrio costante trafibrino-formazione e fibrinolisi.

La capacità autoregolatoria del microcircolo è compromessa dai meccanismi di risposta al danno dell’endote-lio, sensibile (soprattutto nei distretti microcircolatori) agli stimoli ischemici di carattere aterotrombotico e/o emodina-mico che degradano lo strato di GAGs del glicocalice della parete vasale, con conseguenze tissutali ed emoreologiche.

La complessa organizzazione di elementi di emodinamica, di gradienti di concentrazione, elettrochimici e di pressio-ne oncotica, che caratterizza la circolazione nei capillari, è in funzione del reale bisogno di scambi gassosi e nutritivi trasangue e tessuti. Il flusso sanguigno è più lento, quanto più ci si avvicina alla parete vasale e risulta quasi immobile acontatto con lo strato endoteliale (flusso laminare). Il film endoteliale rappresenta dunque un’interfaccia tra la zona quasiimmobile del flusso sanguigno e l’endotelio.

Il glicocalice di GAGs riesce a modulare la risposta della parete vasale con un meccanismo detto “signaling”, con loscambio di informazioni flusso-parete. Si tratta di un elemento centrale nella stabilità fisiologica del microcircolo: tonovascolare, permeabilità e bilancia emostatica vengono regolati dai GAGs a seconda degli stimoli (ad es. pressori).

Un aspetto fondamentale del funzionamento del glicocalice di GAGs è rappresentato dalla carica negativa, cioè daigruppi solfato (SO4--), che respingono le piastrine e i leucociti e inibiscono l’adesione di questi mediatori infiammatori etrombogenici, garantendo le condizioni fisiologiche della parete vascolare.

Glicocalice: Struttura funzionale dell’endotelio

Il glicocalice di GAGs, nel lume endoteliale, è unarete organizzata a carica negativa che assicura:

• La permeabilità selettiva.• La barriera antitrombotica contro l'adesione

di leucociti e piastrine (microtrombi).• La funzione di signaling dei

segnalipressori/chimici/enzimatici che modu-la la risposta vascolare.

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Tabella 3. Alterazione del glicocalice di GAGs nel microcircolo cocleo-vestibolare)

LE SCELTE TERAPEUTICHE

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Figura 1. Effetti dei fattori aterosclerotici sul glicocalice endoteliale e le sue funzioni (Mod. da: Noble et al, QJM 2008).

Disfunzione endoteliale Area cocleo-vestibolare Meccanismo fisiopatologico Fisiopatologia vascolare

Iperpermeabilità Alterazione equilibrio Alterazione funzione Hair Cells Perdita funzione

perilinfa/endolinfa (Na+/K+) (Na+/K+ dipendente) Cocleo-Vestibolare

Infiammazione

Microcircolo Disfunzione endoteliale Disfunzione microcircolo

Cocleo-Vestibolare - Adesione leucociti - Iperpermeabilità

- Adesione piastrine - Microtrombi

-iProduzione NO - iTono vascolare

Trombogenesi

Microcircolo cerebrale Disfunzione endoteliale Disfunzione microcircolo

- Microtrombi(es. Arteria uditiva interna) - Ischemia

�Tono vascolare (� NO)Microcircolo

Cocleo-Vestibolare

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Un aspetto particolare è quello della ipotensio-ne, che può essere legata alla stasi, dunque adun problema del circolo venoso, che come l’iper-viscosità e l’iperlipemia creano alterazioni del gli-cocalice, delle cellule endoteliali e, a cascata, unaumento della adesione piastrinica e dei leucoci-ti alla parete vascolare, alterazioni di permeabilitàe microtrombi che hanno come esito finale il pro-cesso ischemico.

I farmaci di parete: anticoagulanti fisiologiciL’organismo possiede anticoagulanti fisiologici –le eparine e i glicosaminoglicani (GAGs) – chesono definiti “farmaci di parete” perché permet-tono di mantenere l’integrità dell’endotelio attra-verso un’azione che si esplica con: riduzione diadesione di piastrine e di leucociti al lume endo-teliale; inibizione dell’attivazione piastrinica; ini-bizione dell’accrescimento del trombo; lisi di untrombo già costituito; hanno inoltre un’attivitàpro-fibrinolitica (Tabella 4).

• Esistono due forme di eparina: le eparine adalto peso molecolare (eparina calcica –30.000 Dalton) ed eparine a basso pesomolecolare (EBPM) (3-6.000 Dalton). La diffe-renziazione in base al peso molecolare delleeparine si traduce in clinica nell’utilizzo delleEBPM per via iniettiva, come anticoagulanti infase acuta, e dei glicosaminoglicani (es.Sulodexide), per via iniettiva e/o orale, comeantitrombotici di parete.

La principale differenza nel meccanismod’azione fra anticoagulanti (EBPM) e anti-trombotici di parete (GAGs) consiste nelfatto che i primi inibiscono selettivamente ilFattore Xa, importante nella fase acuta diembolizzazione (distacco dalla paretevascolare) del trombo formato, mentre isecondi inibiscono anche gli altri fattori dellacascata coagulativa, fondamentali nella for-mazione del trombo sulla parete vascolaredanneggiata.

Le EBPM hanno il pentasaccaride, stretta-mente specifico per il fattore Xa, e un numeroinferiore a 13 di unità di saccaridiche.

Come riportato nell’ottava edizione delle lineeguida ACCP sulla terapia antitrombotica e trom-bolutica, tutti i GAGs a basso e medio pesomolecolare (3-9.000 Dalton), a differenza dellaEparina calcica, hanno un’attività limitata sulFattore IIa (antiaggregante), determinante per ilrischio emorragico delle eparine.

Tali caratteristiche rendono, da un punto divista pratico (sicurezza e maneggevolezza), leEBPM e gli Antitrombotici di Parete (es.Sulodexide) rispettivamente utili nelTromboembolismo Arterioso (TEA) e nel tratta-mento/prevenzione delle microtrombosi a caricodei sistemi microcircolatori.

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Tabella 4. Effetti dei fattori di rischio aterosclerotici su costi-tuzione del glicocalice e funzionalità endoteliale (Mod. da:Noble et al, QJM 2008).

FARMACI DI PARETE: EPARINE A BASSO PESOMOLECOLARE (EBPM) e GLICOSAMINOGLICANI (GAGs)

• Conferiscono atrombogenicità al lume vasale (ridottaadesione di piastrine e leucociti)

• Inibiscono la formazione del trombo (inibizione dell’atti-vazione piastrinica)

• Inibiscono l’accrescimento del trombo (inibizione delCof Eparinico II)

• Favoriscono la lisi di un trombo già costituito (attivitàanti-Xa)

• Stimolano la fibrinolisi (azione emoreologica su tPA ePAI)

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Nuove prospettive terapeutichedell’associazione GAGs/Eparina

Eparine e glicosaminoglicani giocano un ruolofondamentale nel mantenimento dell’integritàdella funzione endoteliale. L’associazioneGAGs/eparina inibisce la flogosi endoteliale el’adesione delle piastrine andando a rivestire il gli-cocalice e creando una barriera di cariche nega-tive che respingono i leucociti (ricchi di carichenegative) grazie ai gruppi SO4--.• Sulodexide è un’associazione tra eparina e gli-

cosaminoglicani.• È costituito per l’80% da eparina a basso e

medio peso molecolare (6-8.000 Dalton) e peril 20% da dermatansolfato (antitromboticofisiologico) (Vedi Box “Sulodexide: profilo far-macologico”).

• Presenta attività farmacologiche che sono daricondurre all’attività di entrambe le compo-nenti che lo costituiscono: eparina (80%) edermatansolfato (20%) (Figura 2).

• Alla frazione eparinica (80%) spetta l’azione anti-trombotica di parete che Sulodexide esplicamediante l’inibizione sui fattori IIIa e Xa, e l’inibi-zione dell’adesione piastrinica all’endotelio, attra-verso la ricostituzione del glicocalice di parete.

• Alla frazione dermatanica spetta un’azioneantitrombotica dovuta all’inibizione specificadel Cofattore II dell’eparina, determinante neldeposito di trombina al trombo in formazioneadeso alla parete endoluminale e importanteanche nel rilascio di un fattore pro-tromboticocome il Tissue Factor (TF).

• La componente dermatanica presenta ancheuna potente azione fibrinolitica perchéaumenta la liberazione dell’attivatore tissutaledel plasminogeno (tPA) e riduce la liberazionedell’inibitore del plasminogeno attivato (PAI),che insieme costituiscono la bilancia fibrinoli-tica fisiologica.

• L’azione più importante, evidenziata con gli studipiù recenti, riguarda l’inibizione dei processi

LE SCELTE TERAPEUTICHE

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Figura 2. Attività farmacologiche del Sulodexide riconducibili alle componenti: eparina (80%) e dermatansolfato (20%).

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infiammatori a carico della parete vascolare, chesono quasi sempre alla base dei processi ische-mici (iperpermeabilità e riduzione del tonovascolare) e trombotici (adesione piastrinica ecascata coagulativa).

• Un effetto indiretto, ma di fondamentale impor-tanza riguarda l’azione antiaggregante per lariduzione dell’aggregazione piastrinica mediatadai leucociti.

• Infine è da sottolineare che una delle primeazioni scoperte per questo farmaco di originebiologica riguarda l’attività di normalizzazionedei valori lipidici, per aumento della liberazionedelle lipoproteinlipasi, dal quale deriva l’unità dimisura ULS (Unità Lipasemiche Sistemiche).La figura 3 riassume l’attività antitrombotica

del Sulodexide, dovuta sia alla componente epa-rinica che dermatanica, e l’attività fibrinoliticadovuta alla componente dermatanica.

Una prova dell’azione antiflogistica di parete(ridotta adesione dei leucociti alla parete vasco-lare) del Sulodexide riguarda l’inibizione deivalori di proteina C-reattiva (PCR) in circolo,cioè di un marker specifico di rischio cardiova-scolare. Uno studio del 2005 nel ha valutato lacapacità del Sulodexide di inibire il valore diPCR, dimostrando una riduzione della sua pro-duzione e del suo deposito a livello dell’endote-lio. Analoga inibizione avviene per le frazioni dicomplemento che costituiscono il MAC, per cuisi riduce l’attivazione del complemento e il suodeposito a livello delle cellule endoteliali.Sulodexide si è dimostrato inoltre efficaceanche nella riduzione della percentuale di zonainfartuata suscettibile a riperfusione cardiaca,indicando un’altra possibile indicazione nellariduzione del rischio di riperfusione in seguitoad ischemia.

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Figura 3. Attività antitrombotica-profibrinolitica del Sulodexide.

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Altri studi recenti hanno inoltre dimostratoun’azione favorevole del Sulodexide nelle micro-angiopatie diabetiche, per la capacità di ridurre laproteinuria, riconosciuta a livello internazionale(Società di Diabetologia e Ipertensione) comeimportantissimo biomarker del rischio cardiova-scolare per tutti i letti vascolari e non più solo perquello renale. La proteinuria rappresenta la quan-tità di albumina che passa dal microcircolo alleurine ed è un indice affidabile della permeabilitàendoteliale. Nei soggetti microalbuminurici (30-300 μg/dl) e macro-albuminurici (>300 μg/dl) l’ec-cesso di albumina che passa nelle urine indicauna iperpermeabilità microcircolatoria.

Per i soggetti diabetici e/o ipertesi l’aumentodella proteinuria è un marker del danno endotelia-le su tutti i letti vascolari, compreso quello sovra-ortico cerebrale, che muove il Rischio CV di even-

ti acuti, TIA ed Ictus compresi da 2 a 8 (odd ratio)rispetto ai pazienti ipertesi e/o diabetici con nor-moalbuminuria.

Da un punto di vista farmacocinetico,Sulodexide presenta due picchi ematici, segnoche viene captato da organi di deposito comel’endotelio e viene lentamente rilasciato. Presentainfatti un volume di distribuzione di 71 lt, elevatoquindi, tipico dei farmaci che vengono accumula-ti negli organi di deposito; l’escrezione è preva-lentemente urinaria. Da sottolineare inoltre lascarsità degli effetti collaterali soprattutto in termi-ni di un basso rischio di sanguinamento.

Sulodexide ha dunque la capacità di salva-guardia dell’endotelio e del glicocalice che lorendono particolarmente utile nella terapia cau-sale nei disturbi audio-vestibolari di originevascolare.

LE SCELTE TERAPEUTICHE

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Figura 4. Protocollo diagnostico-terapeutico realizzato in base ai risultati dello studio VascVert (Mod. da: Guidetti, Otolaringol2005).

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LE SCELTE TERAPEUTICHE

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PROPOSTE CONCLUSIVE

Considerando che i disturbi vascolari oto-neurologici possono sottendere meccanismipatogenetici diversi e che i i fattori di rischiocardiovascolari rappresentano un buon markerper la loro identificazione (studio VascVert), èpossibile oggi proporre una flow-chart di orien-tamento terapeutico (Figura 4; vedi“Introduzione. La vertigine vascolare: razionalediagnostico e terapeutico”) che preveda:

L’identificazione di una verosimile eziolo-gia vascolare qualora siano state esclusealtre cause, siano stati identificati almeno 3fattori di rischio e vi sia almeno 1 esamestrumentale vascolare (TC, RM, esameDoppler) positivo.

La scelta di un farmaco antiaggregante (es.ASA/ticlopidina) prevalentemente nel caso diinteressamento trombotico di un vaso cerebra-le maggiore, con relativa sintomatologia e,comunque, possibilmente solo nel caso di unaprevenzione secondaria, cioè successiva ad unchiaro episodio identificabile come TIA.

La scelta di un farmaco di parete negli altricasi di interessamento trombotico e/o emoreo-logico del microcircolo dell’orecchio interno ocerebrale (Small Vessel Disease), salvo partico-lari meccanismi patogenetici evidenziati cherichiedano specifici trattamenti.

Evitare possibilmente l’uso di ASA in pre-venzione primaria qualora i sintomi preponde-ranti evidenzino una sofferenza a carico dellabirinto e della funzione uditiva.

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APPENDICE

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ACIDO ACETILSALICILICO (ASA) A BASSE DOSIIndicazioni terapeutiche Prevenzione della trombosi coronarica dopo infarto del miocardio, in pazienti con angina pectoris instabile, angina stabile cronica ed in pazienti con fattori di rischio multipli (iperten-sione arteriosa, ipercolesterolemia, obesità, diabete mellito e familiarità per cardiopatia ischemica). Profilassi degli eventi ischemici occlusivi in pazienti con attacchi ischemici transi-tori (TIA) e dopo ictus cerebrale. Prevenzione della riocclusione dei by-pass aorto-coronarici, e nell’angioplastica coronarica percutaneatransluminale (PTCA).Prevenzione della trombosi durante circolazione extracorporea, nei pazienti in emodialisi e nella sindrome di Kawasaki.Posologia e modo di somministrazione Se non diversamente prescritto, si raccomanda la posologia di 1 compressa (in genere 100 mg) al giorno, in un’unica somministrazione. È consigliabile ingerire il farmaco con un’ab-bondante quantità di liquido (½ - 1 bicchiere di acqua), preferibilmente dopo i pasti. Controindicazioni Ipersensibilità all’acido acetilsalicilico, ai salicilati e agli altri componenti del prodotto, tendenza accertata alle emorragie, gastropatie (es.: ulcere gastriche e/o duodenali), asma, insuf-ficienza renale. Ultimi 3 mesi di gravidanza. Non va utilizzato nei bambini e nei ragazzi di età inferiore a 16 anni, in corso di affezioni virali, come ad esempio varicella o influenza, a causa del rischio di sindrome di Reye.Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso Va usata con cautela e sotto controllo medico nei pazienti sottoposti a terapia concomitante con anticoagulanti (ad es. derivati cumarinici o eparina); nei pazienti con carenza di gluco-sio-6 fosfato deidrogenasi; nei pazienti asmatici o quelli sensibili ai salicilati, ad altri farmaci antiinfiammatori/antireumatici o ad altre sostanze allergeniche; nei pazienti con disturbigastrici o duodenali cronici o ricorrenti o con funzionalità renale compromessa. Tenere il medicinale fuori dalla portata dei bambini.Interazioni La somministrazione, soprattutto se protratta, può intensificare i seguenti effetti: l’azione degli anticoagulanti (ad es.: derivati cumarinici ed eparina); il rischio di emorragia gastrointe-stinale in caso di trattamento concomitante con corticosteroidi; gli effetti desiderati ed indesiderati di tutti gli analgesici ed antireumatici non steroidei; l’azione dei farmaci ipoglicemiz-zanti (sulfaniluree); gli effetti avversi del metotrexate. Precauzione deve essere osservata per sostanze quali spironolattone, furosemide e antigottosi uricosurici, la cui attività viene inve-ce ridotta dall’acido acetilsalicilico. Pertanto, salvo diversa prescrizione medica, non deve essere utilizzato contemporaneamente ai preparati suddetti.Gravidanza e allattamento L’impiego in gravidanza per lunghi periodi deve avvenire soltanto dietro prescrizione medica, poiché l’acido acetilsalicilico può provocare fenomeni emorragici nel feto e nella madre,ritardi di parto e, nel nascituro, precoce chiusura del dotto di Botallo. Durante gli ultimi tre mesi ed in particolare nelle ultime settimane di gravidanza, sarebbe comunque opportunoevitare l’uso di acido acetilsalicilico. In caso di uso regolare di dosaggi elevati durante l’allattamento, si deve prendere in considerazione la possibilità di uno svezzamento precoce.Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchine Nessuno.Effetti indesiderati Disturbi gastrointestinali, per lo più in pazienti sensibili. In pazienti predisposti ed in casi sporadici possono verificarsi episodi emorragici gastrointestinali. In casi rari possono verifi-carsi reazioni di ipersensibilità (dispnea, disturbi otovestibolari (ronzii), reazioni cutanee) e, rarissimamente, riduzione del numero delle piastrine (trombocitopenia) e ritardo di parto.Sovradosaggio Alle normali dosi terapeutiche l’intossicazione è estremamente rara e si verifica quasi sempre dopo sovradosaggio accidentale. Nelle intossicazioni più lievi compaiono senso di verti-gine e tinnito. Nelle intossicazioni di grado medio, i sintomi locali d’intossicazione come nausea, vomito, disturbi gastrici, vertigini e tinnito risultano più evidenti (questi sintomi nonsono causati da irritazione locale dello stomaco, ma dovuti a disfunzioni del sistema nervoso centrale). A sovradosaggi più elevati si osservano stati confusionali, torpore, collassi, con-vulsioni, depressione respiratoria, anuria e, occasionalmente, emorragie. L’iniziale iperventilazione centrale provoca un aumento della espirazione di CO2 con aumento del pH sangui-gno; in seguito all’escrezione compensatoria di bicarbonati, l’urina diventa alcalina; in questo modo la riserva alcalina viene ridotta provocando alcalosi respiratoria. I sintomi clinicisono rappresentati da iperpnea grave e dispnea senza cianosi, accompagnata da sudorazione profusa. Quando l’intossicazione progredisce, la crescente paralisi respiratoria provoca aci-dosi respiratoria. Il disaccoppiamento della fosforilazione ossidativa con aumento della produzione di CO2 può, infine, provocare acidosi metabolica. Trattamento dei sovradosaggi In caso di sovradosaggio acuto, provvedere a lavanda gastrica; l’assorbimento è spesso ritardato in seguito a pilorospasmo e conseguentemente la lavanda gastrica è comunque unprovvedimento indicato anche qualche tempo dopo l’ingestione. Nei bambini e per casi di media gravità si è dimostrata molto efficace una dose di 100 ml di una sospensione di car-bone animale (20 g/100 ml) in una soluzione di sorbitolo al 70%. Monitoraggio costante dell’equilibrio acido-base e del bilancio elettrolitico. In base alla situazione metabolica, infon-dere bicarbonato di sodio o citrato di sodio, o una soluzione di lattato di sodio. Ciò corregge la condizione acido-base, aumenta la riserva alcalina e favorisce l’escrezione di acido salicilico aumentando il pH urinario. Avvertenza - In seguito ad un’eccessiva assunzione di sostanze alcaline, si può verificare arresto respiratorio. Per combattere la disidratazione e favorire l’escrezione di salicilati, si devo-no somministrare dei liquidi. Vitamina K, possibilmente sedativi.Terapie particolari - Terapia diuretica, tampone tris, emodialisi, ventilazione controllata con rilassamento muscolare artificiale.PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE Proprietà farmacodinamiche L’inibizione della aggregazione piastrinica rappresenta un aspetto decisivo dell’intervento farmacologico per la profilassi ed il trattamento delle patologie cardiovascolari causate da pro-cessi tromboembolici. L’acido acetilsalicilico inibisce l’aggregazione delle piastrine mediante blocco dell’attività ciclo-ossigenasica della PGG/H sintetasi piastrinica, enzima che cata-lizza la conversione dell’acido arachidonico in trombossano A2 (TXA2). A livello molecolare il meccanismo d’azione è rappresentato dal processo irreversibile di acetilazione dell’ossi-drile dell’aminoacido serina in posizione 529 della catena polipeptidica dell’enzima. La risultante inibizione del TXA2 è permanente poiché le piastrine, anucleate, non hanno la possi-bilità di nuova sintesi proteica. Le basse dosi di acido acetilsalicilico sono in grado di modificare in modo permanente la risposta agli stimoli aggreganti delle piastrine circolanti neivasi sanguigni mesenterici pre-epatici, prima che il principio attivo venga in larga parte idrolizzato dalle esterasi presenti a livello dei mitocondri e del reticolo sarcoplasmatico epatico.La produzione extra-piastrinica di eicosanoidi (es. la sintesi vascolare della prostaciclina - antagonista fisiologico del TXA2 - e la produzione di PGE2 da parte della mucosa gastrica),risulta risparmiata dalla diversa velocità di ripristino dell’attività ciclo-ossigenasica di questi tipi cellulari (entro poche ore, in funzione della sintesi de novo dell’enzima) rispetto allepiastrine, nelle quali la sintesi dell’enzima è funzione del turnover piastrinico. Proprietà farmacocinetiche L’acido acetilsalicilico viene degradato ad opera di esterasi aspecifiche presenti in molti tessuti. L’emivita plasmatica è di circa 15 minuti.

I - FARMACI VASCOLARI

NEOS

APPENDICE

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Dati preclinici di sicurezza Livelli di salicilati nel plasma superiori a 200 mg/l possono provocare tinnito, senso di vertigini e cefalea. Livelli plasmatici di salicilati di 300-400 mg/l possono dar luogo a nausea evomito. Intossicazioni medio-gravi (iperventilazione centrale, alcalosi respiratoria ed acidosi metabolica) possono essere probabili per concentrazioni che superano i 400-500 mg/l.Tuttavia, la concentrazione plasmatica di salicilati consente una valutazione del grado d’intossicazione solo se è stata assunta un’unica dose tossica ed è noto il momento dell’ingestio-ne. Nel sovradosaggio cronico, la concentrazione plasmatica misurata spesso è scarsamente correlata con il grado di gravità clinica della intossicazione.IncompatibilitàNon note.

BETAISTINAIndicazioni terapeutiche Stati patologici sostenuti da deficit microcircolatorio a livello del labirinto: vertigini, sindrome di Menière e stati vertiginosi ad essa correlati. Posologia e modo di somministrazione 8-48 mg/die, preferibilmente ai pasti. Controindicazioni Ipersensibilità individuale accertata verso il farmaco. Ulcera peptica in fase attiva. Feocromocitoma. Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso Non somministrare in età pediatrica. In pazienti con anamnesi di ulcera peptica, al fine di non indurre esacerbazione della forma patologica e in soggetti affetti da asma bronchiale, vasomministrato sotto controllo medico. InterazioniNon somministrare contemporaneamente ad antistaminici. Gravidanza ed allattamento Nelle donne in stato di gravidanza il prodotto deve essere somministrato soltanto in caso di effettiva necessità e sotto il diretto controllo medico. Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchine L’impiego nell’arco della giornata non risulta interferire sullo stato di vigilanza del soggetto. Effetti indesiderati Occasionalmente nausea, cefalea e manifestazioni idiosincrasiche. Sovradosaggio In caso di eventuale sovradosaggio si consiglia lavanda gastrica e dovranno essere attuate le misure generali del caso. Non esiste uno specifico antidoto per betaistina dicloridrato. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE Proprietà farmacodinamicheBetaistina dicloridrato è un prodotto di sintesi originale attivo a livello di microcircolazione d’organo che contribuisce a ristabilire il flusso microcircolatorio. Tale azione è stata eviden-ziata anche a livello del labirinto. Non sono state per altro evidenziate: alterazioni della permeabilità capillare, né modificazioni della pressione arteriosa, né influenze sulla muscolaturaliscia e sulla secrezione acida gastrica. Betaistina dicloridrato è un farmaco istamino simile, che agisce quindi come l’istamina sugli sfinteri precapillari aumentando il flusso microcir-colatorio precapillare. Studi sugli animali hanno dimostrato che la betaistina dicloridrato agisce in maniera qualitativamente simile all’istamina, però, diversamente da questa è sommi-nistrabile per via orale ed è scevra degli effetti collaterali dell’istamina. Proprietà farmacocinetiche Nell’uomo il prodotto è assorbito rapidamente per somministrazione orale e raggiunge il picco ematico entro la terza ora. La maggior parte della dose somministrata per via orale èescreta con le urine in forma di metabolita: acido 2-piridil acetico e l’eliminazione è pressoché completa nelle 24 ore. Dati preclinici di sicurezza Le prove di tossicità acuta e cronica hanno dimostrato che il farmaco è ben tollerato; la DL50 nel ratto è 2,67 g/kg. Inoltre, la betaistina dicloridrato non è teratogena né fetotossica. Incompatibilità Non sono note incompatibilità chimico-fisiche di betaistina verso altri composti.

BUFLOMEDILIndicazioni terapeutiche Manifestazioni di insufficienza cerebrovascolare: vertigine, tinnito, deterioramento mentale, alterazioni della personalità, labilità di memoria e della capacità di concentrazione, disorien-tamento spazio-temporale, sequele della apoplessia cerebrale e degli interventi di neurochirurgia. Insufficienza circolatoria arteriosa degli arti, sindrome e malattia di Raynaud, morbodi Buerger, eritrocianosi, claudicazione intermittente.Posologia e modo di somministrazione La posologia consigliata è 300-600 mg al giorno in dosi suddivise. Controindicazioni Se ne sconsiglia la somministrazione nei casi di nota o sospetta idiosincrasia al farmaco.Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso Il prodotto può causare sonnolenza e vertigini, si consiglia pertanto prudenza nello svolgere attività che richiedono integrità del grado di vigilanza (guida di autoveicoli, ecc.). Il farma-co non presenta rischi di assuefazione o di farmaco-dipendenza.Interazioni Non si conoscono finora interazioni con altri farmaci.Gravidanza e allattamentoL’uso è sconsigliato durante i primi tre mesi di gravidanza e durante l’allattamento.Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchine Si consiglia prudenza nello svolgere attività che richiedono integrità del grado di vigilanza (guida di autoveicoli, ecc.)Effetti indesiderati Il prodotto è di norma ben tollerato sia per trattamenti brevi che prolungati. Occasionalmente si sono riscontrati disturbi gastrointestinali (gastralgie, pirosi e nausea), cefalea, vertigini,sonnolenza, insonnia, vampate di rossore e prurito. Sono stati segnalati, a seguito dell’uso del prodotto, alcuni casi di tachicardia, fibrillazione atriale, aumento della creatininemia,aumento del flusso mestruale, ipertensione, aumento della diuresi, epistassi, psoriasi.Sovradosaggio L’iperdosaggio si manifesta con tachicardia e ipotensione. Interventi d’urgenza: Misure di sostegno. In caso di eccitazione cerebrale si consiglia l’uso di benzodiazepine.PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE Proprietà farmacodinamiche Le esperienze farmacologiche hanno dimostrato che il buflomedil cloridrato aumenta il flusso ematico senza provocare variazioni delle costanti emodinamiche, quali la pressione arte-

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NEOS

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riosa. Meccanismi d’azione: Si ritiene che il buflomedil cloridrato esplichi differenti azioni: - calcio antagonista simile a livello delle fibrocellule muscolari lisce presenti negli sfinteriarteriolari precapillari che impedisce perciò lo spasmo delle arteriole e dei vasi periferici più piccoli - inibizione dell’aggregazione piastrinica indotta da collagene, ADP, adrenalina,migliorando il flusso ematico a livello microcircolatorio - migliora la deformabilità della membrana eritrocitaria quando questa tende ad irrigidirsi in condizioni di acidosi tissutale -

riduce il consumo dell’O2 tissutale senza che si instaurino fenomeni di ipossia o anossia cellulare e senza influenzare negativamente il meccanismo di respirazione cellulare - inibi-sce l’attivazione alfa adrenergica ostacolando la contrazione delle fibrocellule della muscolatura liscia arteriolare causata dalla noradrenalina. Il Buflomedil inoltre non modifica le costan-ti emodinamiche nè la pressione arteriosa nè i parametri ematologici e non interferisce con il metabolismo dei glucidi, lipidi e protidi. I lavori clinici internazionali hanno dimostratol’efficacia del buflomedil cloridrato nelle affezioni vascolari periferiche su base arteriosclerotica, nelle arteriti, nella tromboangioite obliterante, nella sindrome di Raynaud, nei sintomidi insufficienza vascolare periferica, claudicatio intermittens, crampi e dolori diurni e notturni, freddo agli arti, ulcere cutanee e disturbi trofici della cute. È stato inoltre dimostrato unaumento del flusso ematico cerebrale con riduzione della sintomatologia in pazienti trattati con buflomedil cloridrato.Proprietà farmacocineticheLa somministrazione per via orale di 100 mg di buflomedil cloridrato marcato con C14 ha rilevato che il 55.60% del farmaco è escreto per via urinaria ed il 30% per via fecale entro 48ore. La somministrazione per via endovenosa di 50 mg di buflomedil cloridrato marcato con C14 ha rilevato che il 62,5% del farmaco è eliminato per via renale ed il 13,5% per via feca-le entro 24 ore dopo la somministrazione.Dati preclinici di sicurezza Le esperienze condotte in femmine gravide di varie specie animali, a differenti dosi di farmaco, hanno dimostrato che il buflomedil cloridrato non provoca effetti embriotossici o terato-geni. Le prove tossicologiche su topi e su ratti di sesso maschile e femminile hanno dimostrato una buona tollerabilità del farmaco sia in relazione alla tossicità acuta, che subacuta, abreve ed a lungo termine. La DL50 nel topo per via intraperitoneale è stata pari a circa 74 mg/kg, nel ratto per via orale circa 600 mg/kg e nel coniglio per via endovenosa circa 25mg/kg.Incompatibilità Non sono note finora incompatibilità con altri farmaci.

CLOPIDOGRELIndicazioni terapeutiche Clopidogrel è indicato nella prevenzione di eventi di origine aterotrombotica in:

Pazienti affetti da infarto miocardico (da pochi giorni fino a meno di 35), ictus ischemico (da 7 giorni fino a meno di 6 mesi) o arteriopatia obliterante periferica comprovata Pazienti affetti da sindrome coronarica acuta: - sindrome coronarica acuta senza innalzamento del tratto ST (angina instabile o infarto miocardico senza onde Q), inclusi pazienti sot-

toposti a posizionamento di stent in seguito a intervento coronarico percutaneo, in associazione con acido acetilsalicilico (ASA). - sindrome coronarica acuta con innalzamento deltratto ST in associazione con ASA nei pazienti in terapia farmacologica candidati alla terapia trombolitica. Posologia e modo di somministrazione Negli adulti ed anziani Clopidogrel va somministrato in dose giornaliera singola di 75 mg durante o lontano dai pasti. Nei pazienti affetti da sindrome coronarica acuta: - sindrome coronarica acuta senza innalzamento del tratto ST (angina instabile o infarto miocardico senza onde Q): il trattamento con clopidogrel deve essere iniziato con una singo-la dose di carico di 300 mg e quindi continuato con 75 mg una volta al giorno (in associazione ad acido acetilsalicilico (ASA) 75 mg-325 mg al giorno). Dato che dosi superiori di ASAsono state correlate con un più alto rischio di sanguinamento, si consiglia che la dose di ASA non sia superiore a 100 mg. La durata ottimale del trattamento non è stata formalmentestabilita. I dati degli studi clinici sostengono l’uso fino a 12 mesi e il beneficio massimo è stato osservato a 3 mesi. - infarto miocardico acuto con innalzamento del tratto ST: clopidogrel deve essere somministrato in dose singola giornaliera di 75 mg iniziando con una dose di carico in associazio-ne ad ASA, con o senza trombolitici. Nei pazienti di età superiore ai 75 anni clopidogrel deve essere iniziato senza dose di carico. La terapia combinata deve essere iniziata il prima possibile dal momento della comparsadei sintomi e continuata per almeno 4 settimane. Il beneficio dell’associazione di clopidogrel con ASA oltre le quattro settimane non è stato studiato in questo contestoNon c’è esperienza sull’uso nei bambini.Controindicazioni Ipersensibilità al principio attivo o ad uno qualsiasi degli eccipienti del medicinale, insufficienza epatica grave, sanguinamento patologico in atto come ad es. in presenza di ulcera pep-tica, o di emorragia intracranica, allattamento Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso A causa del rischio di sanguinamento e di effetti indesiderati di tipo ematologico, l’esecuzione di un esame emocromocitometrico e/o di altri esami appropriati, deve subito essere presain considerazione ogni volta si presentino sintomi clinici che suggeriscono sanguinamento durante il trattamento. Così come per altri farmaci antiaggreganti piastrinici, clopidogrel deveessere usato con cautela nei pazienti che possono essere a rischio di aumentato sanguinamento in seguito a trauma, chirurgia o altre condizioni patologiche e nei pazienti in trattamen-to con ASA, farmaci antinfiammatori non steroidei compresi gli inibitori della COX-2, eparina o inibitori della glicoproteina IIb/IIIa. I pazienti devono essere accuratamente seguiti perindividuare ogni segno di sanguinamento, compreso il sanguinamento occulto, in particolare durante le prime settimane di trattamento e/o dopo procedure cardiache invasive o inter-venti chirurgici. La somministrazione contemporanea di clopidogrel e warfarin non è consigliata dato che può determinare l’aumento dell’intensità dei sanguinamenti. Se un paziente deve sottoporsi adintervento chirurgico elettivo per il quale un’attività antiaggregante piastrinica non è necessaria, occorre interrompere l’uso di clopidogrel 7 giorni prima dell’intervento. Clopidogrel prolunga il tempo di sanguinamento e va usato con cautela in pazienti che presentino lesioni a tendenza emorragica (particolarmente gastrointestinali e intraoculari). Ipazienti devono essere avvertiti che l’uso di clopidogrel (da solo o in associazione con ASA) potrebbe prolungare un eventuale sanguinamento e che devono informare il medico di ogniemorragia anomala (localizzazione o durata) che si possa manifestare.Prima di essere sottoposti ad eventuale intervento chirurgico e prima di assumere un nuovo farmaco i pazienti devono avvisare il medico ed il dentista che sono in trattamento con clo-pidogrel. Molto raramente, in seguito all’uso di clopidogrel, talvolta dopo una breve esposizione, è stata segnalata porpora trombotica trombocitopenica (PTT). Questa è caratterizzata da trombocitopenia e anemia emolitica microangiopatica associata o a problemi neurologici, disfunzione renale o a febbre. La PTT è una condizione potenzial-mente fatale che richiede un trattamento immediato compresa la plasmaferesi. Per la mancanza di dati, clopidogrel non può essere consigliato nell’ictus ischemico acuto (verificatosi dameno di 7 giorni). L’esperienza terapeutica con clopidogrel è limitata in pazienti con insufficienza renale. Clopidogrel deve quindi essere usato con cautela in questi pazienti. L’esperienzaterapeutica con clopidogrel è limitata in pazienti con moderata disfunzione epatica che possono avere una diatesi emorragica. Clopidogrel deve quindi essere usato con cautela in que-sti pazienti. I pazienti con rari problemi ereditari di intolleranza al galattosio, con deficit di Lapp-lattasi o malassorbimento di glucosio-galattosio non devono assumere il medicinale.Interazioni Warfarin: la somministrazione contemporanea di clopidogrel e warfarin non è consigliata dato che può determinare l’aumento dell’intensità dei sanguinamenti. Inibitori della glicoproteina IIb/IIIa: clopidogrel deve essere usato con cautela nei pazienti che possono essere a rischio di aumentato sanguinamento in seguito a trauma, chirurgia oaltre condizioni patologiche e che ricevono in concomitanza inibitori della glicoproteina IIb/IIIa. Acido acetilsalicilico (ASA): ASA non modifica l’inibizione, mediata da clopidogrel, dell’aggregazione piastrinica ADP-indotta; clopidogrel però potenzia l’effetto di ASA sull’aggregazio-ne piastrinica indotta dal collagene. Tuttavia, la somministrazione contemporanea di 500 mg di ASA due volte die per un giorno, non ha ulteriormente prolungato in modo significativoil tempo di sanguinamento indotto da clopidogrel. Tra clopidogrel e acido acetilsalicilico è possibile un’interazione farmacodinamica, con un aumento del rischio di sanguinamento.Quindi l’uso concomitante deve essere effettuato con cautela. Tuttavia, clopidogrel e ASA sono stati somministrati insieme per periodi fino a 1 anno. Eparina: in uno studio clinico condotto su soggetti sani, in seguito a somministrazione di clopidogrel non si è resa necessaria nessuna modifica della dose di eparina nè è stato altera-

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to l’effetto dell’eparina sulla coagulazione. La somministrazione contemporanea di eparina non ha avuto alcun effetto sull’inibizione dell’aggregazione piastrinica indotta da clopidogrel.Tra clopidogrel e eparina è possibile un’interazione farmacodinamica, con un aumento del rischio di sanguinamento. Quindi l’uso concomitante deve essere effettuato con cautela. Trombolitici: la sicurezza della somministrazione contemporanea di clopidogrel, farmaci trombolitici fibrino o non-fibrino specifici ed eparine è stata studiata in pazienti con infarto mio-cardico acuto. L’incidenza di sanguinamento clinicamente significativo era simile a quella osservata quando farmaci trombolitici ed eparina erano somministrati insieme con ASA. Farmaci Antinfiammatori Non Steroidei (FANS): in uno studio clinico condotto su volontari sani, la somministrazione contemporanea di clopidogrel e naproxene ha determinato unaumento del sanguinamento gastrointestinale occulto. Tuttavia per la mancanza di studi di interazione con altri FANS, attualmente non risulta chiaro se esiste un aumento di rischio disanguinamento gastrointestinale con tutti i FANS. Di conseguenza, la somministrazione contemporanea di FANS compresi gli inibitori della COX-2 e clopidogrel va eseguita con cau-tela. Altre terapie concomitanti: parecchi altri studi clinici sono stati condotti con clopidogrel ed altre terapie concomitanti per studiare potenziali interazioni di tipo farmacodinamico e far-macocinetico. Non si sono osservate interazioni farmacodinamiche di rilievo quando clopidogrel veniva somministrato con atenololo o nifedipina da soli o in associazione. Inoltre, l’at-tività farmacodinamica di clopidogrel non era influenzata in modo significativo dalla somministrazione contemporanea di fenobarbital, cimetidina o estrogeni. La farmacocinetica delladigossina e della teofillina non era modificata dalla somministrazione contemporanea di clopidogrel. Gli antiacidi non alteravano l’assorbimento di clopidogrel. I dati provenienti da studisu microsomi epatici umani hanno evidenziato che il metabolita carbossilico acido di clopidogrel potrebbe inibire l’attività del Citocromo P450 2C9. Ciò potrebbe potenzialmente por-tare ad un aumento dei livelli plasmatici di farmaci quali la fenitoina, la tolbutamide e i FANS, che sono metabolizzati dal Citocromo P450 2C9.I dati dello studio CAPRIE indicano che fenitoina e tolbutamide possono essere somministrati contemporaneamente a clopidogrel con sicurezza. Oltre alle informazioni descritte soprasulle specifiche interazioni con farmaci, non sono stati condotti studi di interazione con clopidogrel e alcuni farmaci comunemente somministrati ai pazienti affetti da patologia atero-trombotica. Tuttavia, i pazienti inclusi negli studi clinici con clopidogrel hanno ricevuto diverse terapie concomitanti inclusi diuretici, beta bloccanti, ACE inibitori, calcio antagonisti,ipocolesterolemizzanti, vasodilatatori coronarici, antidiabetici (inclusa insulina), antiepilettici, terapia ormonale sostitutiva e antagonisti della glicoproteina IIb/IIIa senza evidenza di inte-razioni negative clinicamente significative.Gravidanza e allattamento Poichè non sono disponibili dati clinici relativi all’esposizione a clopidogrel in gravidanza, come misura precauzionale è preferibile non usare clopidogrel durante la gravidanza. Gli studisu animali non indicano effetti dannosi diretti o indiretti su gravidanza, sviluppo embrionale/fetale, parto o sviluppo post-natale. Studi su ratti hanno dimostrato che clopidogrel e/o isuoi metaboliti vengono escreti nel latte. Non è noto se questo medicinale sia escreto nel latte umano.Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchine Clopidogrel non altera o altera in modo trascurabile la capacità di guidare veicoli o di usare macchinari.Effetti indesiderati Esperienza relativa agli studi clinici. La sicurezza di clopidogrel è stata valutata in più di 42.000 pazienti, di cui oltre 9.000 trattati per 1 anno o più. Gli effetti avversi clinicamente rile-vanti osservati negli studi CAPRIE, CURE, CLARITY e COMMIT sono discussi di seguito. Nello studio CAPRIE clopidogrel alla dose di 75 mg/die, confrontato con ASA 325 mg/die, si è dimostrato ben tollerato. La tollerabilità globale di clopidogrel in questo studio è risul-tata simile a quella di ASA indipendentemente dall’età, sesso e razza dei pazienti. Disturbi emorragici - Nello studio CAPRIE tanto nei pazienti trattati con clopidogrel che in quelli trattati con ASA, l’incidenza complessiva di ogni tipo di sanguinamento è stata del 9,3%.L’incidenza dei casi gravi è stata 1,4% per clopidogrel e 1,6% per ASA. Nei pazienti trattati con clopidogrel il sanguinamento gastrointestinale si è verificato con una percentuale di2,0% e ha richiesto l’ospedalizzazione nello 0,7%. Nei pazienti trattati con ASA le percentuali corrispondenti sono state rispettivamente 2,7% e 1,1%. L’incidenza degli altri sanguina-menti è stata più alta nei pazienti trattati con clopidogrel in confronto ad ASA (7,3% vs. 6,5%). Tuttavia, l’incidenza degli eventi gravi è stata simile in entrambi i gruppi di trattamento(0,6% vs. 0,4%). Gli eventi più frequentemente riportati in entrambi i gruppi di trattamento sono stati: porpora/ecchimosi/ematoma e epistassi. Altri eventi riportati meno frequentemen-te sono stati ematoma, ematuria e sanguinamento oculare (soprattutto congiuntivale). L’incidenza di sanguinamento intracranico è stata dello 0,4% per clopidogrel in confronto allo0,5% per ASA. Nello studio CURE la somministrazione di clopidogrel + ASA in confronto con placebo + ASA non è stata associata ad un aumento statisticamente significativo di san-guinamenti che abbiano messo in pericolo la vita (incidenza del 2,2% vs. 1,8%) o sanguinamenti fatali (0,2% vs. 0,2%), ma il rischio di sanguinamenti maggiori, minori o di altro tipoè stato significativamente superiore con clopidogrel + ASA: sanguinamenti maggiori che non abbiano messo in pericolo la vita (1,6% clopidogrel + ASA vs 1,0% placebo + ASA) prin-cipalmente gastrointestinali e al sito di accesso arterioso, e sanguinamenti minori (5,1% clopidogrel + ASA vs 2,4% placebo + ASA). L’incidenza di emorragia intracranica è stata dello0,1% in entrambi i gruppi. L’incidenza di sanguinamenti maggiori per clopidogrel + ASA è risultata correlata al dosaggio di ASA (<100 mg: 2,6%; 100-200 mg: 3,5%; >200 mg: 4,9%)così come quella per placebo + ASA (<100 mg: 2,0%; 100-200 mg: 2,3%; >200 mg: 4,0%). Il rischio di sanguinamento (con rischio per la vita, maggiore, minore o di altro tipo) dimi-nuiva durante lo svolgimento dello studio: 0-1 mese [clopidogrel: 599/6259 (9,6%); placebo: 413/6303 (6,6%)], 1.3 mesi [clopidogrel: 276/6123 (4,5%); placebo: 144/6168 (2,3%)],3.6 mesi [clopidogrel: 228/6037 (3,8%); placebo: 99/6048 (1,6%)], 6.9 mesi [clopidogrel: 162/5005 (3,2%); placebo: 74/4972 (1,5%)], 9.12 mesi [clopidogrel: 73/3841 (1,9%); pla-cebo: 40/3844 (1,0%)]. Non si è verificato eccesso di sanguinamenti maggiori nei 7 giorni successivi ad intervento di bypass coronarico nei pazienti che hanno interrotto la terapia perpiù di 5 giorni prima dell’intervento (4,4% clopidogrel + ASA vs. 5,3% placebo + ASA). Nei pazienti invece che sono rimasti in terapia nei 5 giorni precedenti l’intervento di bypass,l’incidenza è stata del 9,6% per clopidogrel + ASA e del 6,3% per placebo + ASA. Nello studio CLARITY, si è verificato un aumento complessivo di sanguinamenti nel gruppo trattato con clopidogrel + ASA (17,4%) rispetto al gruppo placebo + ASA (12,9%). L’incidenzadi sanguinamenti maggiori è risultata simile nei gruppi (1,3% verso 1,1% per il gruppo clopidogrel + ASA ed il gruppo placebo + ASA, rispettivamente). Questo risultato è stato coe-rente nei sottogruppi di pazienti definiti sulla base delle caratteristiche al basale e per tipo di terapia fibrinolitica o eparinica. L’incidenza di sanguinamenti fatali (0,8% verso 0,6% rispet-tivamente nei gruppi clopidogrel + ASA e placebo + ASA) e di emorragie intracraniche (0,5% verso 0,7% rispettivamente nei gruppi clopidogrel + ASA e placebo + ASA) è risultatabassa e simile nei due gruppi. Nello studio COMMIT, il tasso complessivo di sanguinamenti maggiori non cerebrali o di sanguinamenti cerebrali è risultato basso e simile nei due grup-pi (0,6% verso 0,5% rispettivamente nei gruppi clopidogrel + ASA e placebo + ASA). Disturbi ematologici - Nello studio CAPRIE neutropenia grave (<0,45x109/l) è stata osservata in 4 pazienti (0,04 %) trattati con clopidogrel e in 2 pazienti (0,02 %) trattati con ASA. Indue dei 9.599 pazienti trattati con clopidogrel e in nessuno dei 9.586 pazienti trattati con ASA la conta dei neutrofili è risultata uguale a zero. Un caso di anemia aplastica si è verifica-to nel gruppo trattato con clopidogrel. L’incidenza di trombocitopenia grave (<80x109/l) è stata dello 0,2% in clopidogrel e dello 0,1% in ASA. Negli studi CURE e CLARITY, il numerodi pazienti con trombocitopenia o neutropenia è stato simile nei due gruppi. Altre reazioni avverse da farmaco clinicamente rilevanti osservate negli studi CAPRIE, CURE, CLARITY e COMMIT con un’incidenza >0,1% così come tutte le reazioni avverse serie e rile-vanti sono elencate di seguito in accordo alla classificazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. La loro frequenza è definita utilizzando le seguenti convenzioni: comune (>1/100,<1/10); non comune (>1/1.000, <1/100); raro (>1/10.000, <1/1.000). All’interno di ciascuna classe di frequenza, gli effetti indesiderati sono riportati in ordine decrescente di gravità. Alterazioni del sistema nervoso centrale e periferico: - non comune: cefalea, capogiro e parestesia - raro: vertigine. Alterazioni dell’apparato gastrointestinale: - comune: diarrea, dolo-re addominale, dispepsia - non comune: ulcera gastica e ulcera duodenale, gastrite, vomito, nausea, costipazione, flatulenza. Alterazioni delle piastrine, emorragici e della coagulazio-ne: - non comune: aumento del tempo di sanguinamento e diminuzione delle piastrine Alterazioni della cute e degli annessi - non comune: rash e prurito. Alterazioni dei globuli bian-chi e del sistema reticolo-endoteliale: - non comune: leucopenia, diminuzione dei neutrofili ed eosinofilia Esperienza post-marketing Il sanguinamento è la reazione più comunementesegnalata nell’esperienza post-marketing ed è stato segnalato principalmente durante il primo mese di trattamento. Sanguinamento: sono stati segnalati alcuni casi ad esito fatale (inparticolare emorragia intracranica, gastrointestinale e retroperitoneale); sono stati segnalati casi gravi di sanguinamento cutaneo (porpora), muscoloscheletrico (emartro, ematoma), del-l’occhio (congiuntivale, oculare, retinico), epistassi, sanguinamento del tratto respiratorio (emottisi, emorragia polmonare), ematuria e emorragia di ferita chirurgica; casi di emorragiagrave sono stati segnalati in pazienti che assumevano clopidogrel in concomitanza ad acido acetilsalicilico o clopidogrel con acido acetilsalicilico ed eparina. Oltre all’esperienza relativa agli studi clinici, sono state segnalate in maniera spontanea le seguenti reazioni avverse. Nell’ambito della classificazione sistemica organica (classificazio-ne MedDRA), sono state classificate in gruppi in base alla frequenza. “Molto raro” corrisponde a <1/10.000. All’interno di ciascuna classe di frequenza, gli effetti indesiderati sono ripor-tati in ordine decrescente di gravità. Alterazioni del sangue e del sistema linfatico: - molto raro: porpora trombotica trombocitopenica (PTT) (1/200.000 pazienti esposti), trombocito-penia grave (conta piastrinica 30 x 109 /l), agranulocitosi, granulocitopenia, anemia aplastica/pancitopenia, anemia. Alterazioni del sistema immunitario: - molto raro: reazioni anafi-lattoidi, malattia da siero. Disturbi psichiatrici: - molto raro: confusione, allucinazioni. Alterazioni del sistema nervoso: - molto raro: alterazioni del gusto. Alterazioni del sistema

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vascolare: - molto raro: vasculite, ipotensione Alterazioni dell’apparato respiratorio, del torace e del mediastino: - molto raro: broncospasmo, polmonite interstiziale. Alterazioni del-l’apparato gastrointestinale: - molto raro: pancreatite, colite (compresa colite ulcerativa o linfocitica), stomatite. Alterazioni del sistema epatobiliare: - molto raro: insufficienza epati-ca acuta, epatite. Alterazioni della cute e del tessuto sottocutaneo: - molto raro: angioedema, dermatite bollosa (eritema multiforme, sindrome di Stevens Johnson, necrolisi epidermi-ca tossica), rash eritematoso, orticaria, eczema e lichen planus. Alterazioni dell’apparato muscoloscheletrico, tessuto connettivo e tessuto osseo: - molto raro: artralgia, artrite, mial-gia Alterazioni renali e delle vie urinarie: - molto raro: glomerulonefrite. Disordini generali e alterazioni del sito di somministrazione: - molto raro: febbre Indagini diagnostiche:- molto raro: test di funzionalità epatica anormale, aumento della creatininemia.Sovradosaggio Il sovradosaggio di clopidogrel può portare ad un prolungamento del tempo di sanguinamento e a conseguenti complicazioni emorragiche. Nel caso in cui si osservino dei sanguina-menti, si dovrà prendere in considerazione una appropriata terapia. Non sono noti antidoti all’attività farmacologica di clopidogrel. Quando fosse richiesta una rapida correzione del pro-lungamento del tempo di sanguinamento, una trasfusione di piastrine può invertire gli effetti di clopidogrel.PROPRIETÀ FARMACOLOGICHEProprietà farmacodinamiche Categoria farmacoterapeutica: antiaggreganti piastrinici, esclusa l’eparina, Codice ATC: B01AC/04. Clopidogrel inibisce selettivamente il legame dell’adenosina-difosfato (ADP) al suo recet-tore piastrinico, e di conseguenza inibisce l’attivazione del complesso GPIIb-IIIa mediata dall’ADP, pertanto l’aggregazione piastrinica risulta inibita. È necessaria la biotrasformazione di clo-pidogrel per indurre inibizione dell’aggregazione piastrinica. Clopidogrel inibisce anche l’aggregazione piastrinica indotta da altri agonisti bloccando l’amplificazione dell’attivazione piastri-nica esercitata dal rilascio di ADP. Clopidogrel agisce modificando irreversibilmente il recettore piastrinico per l’ADP. Di conseguenza, le piastrine esposte a clopidogrel sono influenzate peril resto della loro vita ed il recupero della funzione piastrinica normale avviene ad una velocità proporzionale al ricambio piastrinico. Dosi ripetute di 75 mg al giorno hanno prodotto unanotevole inibizione dell’aggregazione piastrinica ADP-indotta già dal primo giorno; l’inibizione è aumentata progressivamente fino a stabilizzarsi tra il terzo ed il settimo giorno. In questacondizione di “steady-state” il livello medio di inibizione osservato con una dose di 75 mg al giorno era compreso tra 40-60%. L’aggregazione piastrinica ed il tempo di sanguinamento sonotornati gradualmente ai valori di base in genere entro 5 giorni dall’interruzione del trattamento. La sicurezza e l’efficacia di clopidogrel sono state valutate in 4 studi in doppio-cieco che hannocoinvolto più di 80.000 pazienti: lo studio CAPRIE, di confronto tra clopidogrel e ASA, e gli studi CURE, CLARITY e COMMIT di confronto tra clopidogrel e placebo, entrambi somministra-ti in associazione con ASA ed altre terapie standard. Infarto miocardico recente (IM), ictus recente o arteriopatia obliterante periferica documentata Lo studio CAPRIE è stato condotto su19.185 pazienti con aterotrombosi manifestatasi con recente infarto miocardico ( 35 giorni), recente ictus ischemico (tra 7 giorni e 6 mesi), o arteriopatia obliterante periferica comprovata(AOP). I pazienti sono stati randomizzati al trattamento con clopidogrel 75 mg/die oppure con ASA 325 mg/die, e osservati per un periodo da l a 3 anni. Nel sottogruppo con infarto mio-cardico la maggior parte dei pazienti è stata trattata con ASA per i primissimi giorni seguenti l’infarto miocardico acuto. Clopidogrel ha ridotto significativamente l’incidenza di nuovi eventiischemici (“end point” combinato di infarto miocardico, ictus ischemico e morte vascolare) rispetto ad ASA. Nell’analisi “intention to treat”, 939 eventi sono stati osservati nel gruppo clo-pidogrel e 1.020 eventi con ASA, (riduzione del rischio relativo (RRR) 8,7%, [IC 95%: da 0,2 a 16,4 ]; p = 0,045), che corrisponde, per ogni 1.000 pazienti trattati per 2 anni, a 10 ulterioripazienti [IC: da 0 a 20] ai quali sono stati evitati nuovi eventi ischemici. L’analisi della mortalità totale quale endpoint secondario non ha mostrato nessuna differenza significativa tra clopi-dogrel (5,8%) e ASA (6,0%). Nell’analisi dei sottogruppi eseguita per patologia qualificante (infarto miocardico, ictus ischemico ed arteriopatia obliterante periferica) il beneficio è apparsoessere più consistente (raggiungendo la significatività statistica a p = 0,003) nei pazienti arruolati per arteriopatia obliterante periferica (in special modo per quelli con precedenti di infartomiocardico) (RRR = 23,7%; IC: da 8,9 a 36,2) e meno consistente (non significativamente diverso da ASA) nei pazienti con ictus (RRR = 7,3%; IC: da - 5,7 a 18,7). Nei pazienti arruolatinello studio sulla sola base di un recente infarto miocardico, clopidogrel è stato numericamente inferiore, ma non statisticamente diverso da ASA (RRR = - 4,0%; IC: da - 22,5 a 11,7). Inoltreuna analisi dei sottogruppi per età ha indicato che il beneficio di clopidogrel nei pazienti oltre 75 anni è stato inferiore a quello osservato nei pazienti di età 75 anni. Dato che lo studioCAPRIE non è stato dimensionato per valutare l’efficacia nei singoli sottogruppi, non risulta chiaro se le differenze nella riduzione del rischio relativo per le varie patologie qualificanti sianoreali oppure siano dovute al caso. Sindrome coronarica acuta Lo studio CURE è stato condotto su 12.562 pazienti con sindrome coronarica acuta senza innalzamento del tratto ST (anginainstabile o infarto miocardico senza onde Q), che avevano presentato l’inizio del loro più recente episodio di dolore toracico o sintomi coerenti con ischemia nelle 24 ore precedenti. I pazien-ti dovevano presentare o modificazioni ECG compatibili con nuova ischemia o elevazione degli enzimi cardiaci o della troponina I o T almeno 2 volte il limite superiore della norma. I pazien-ti sono stati randomizzati al trattamento con clopidogrel (dose di carico 300 mg seguita da 75 mg/die, N=”6”259) o con placebo (N=”6”303), entrambi somministrati in associazione conASA (75.325 mg una volta al giorno) e altre terapie standard. I pazienti sono stati trattati fino ad un anno.Nello studio CURE, 823 pazienti (6,6%) hanno ricevuto una terapia concomitante di antagonisti dei recettori GPIIb/IIIa. Eparina è stata somministrata in più del 90% dei pazienti e larelativa percentuale di sanguinamento tra clopidogrel e placebo non è stata significativamente influenzata dalla terapia concomitante con eparina. Il numero di pazienti che ha manife-stato l’endpoint primario (morte cardiovascolare, infarto miocardico, o ictus) è stato di 582 (9,3%) nel gruppo trattato con clopidogrel e di 719 (11,4%) nel gruppo trattato con place-bo, con una riduzione del rischio relativo del 20% (IC 95% da 10% a 28%; p=0,00009) per il gruppo clopidogrel (17% di riduzione del rischio relativo quando i pazienti sono stati trat-tati in modo conservativo, 29% quando sono stati sottoposti a PTCA con o senza stent e 10% quando sono stati sottoposti a CABG) Sono stati prevenuti nuovi eventi cardiovascolari(endpoint primario) con una riduzione del rischio relativo del 22% (IC: da 8,6 a 33,4), 32% (IC: da 12,8 a 46,4), 4% (IC: da -26,9 a 26,7), 6% (IC: da -33,5 a 34,3) e 14% (IC: da -31,6 a 44,2), durante gli intervalli dello studio 0-1, 1.3, 3.6, 6.9 e 9.12 mesi, rispettivamente. Pertanto, oltre a 3 mesi di trattamento, il beneficio osservato nel gruppo clopidogrel + ASAnon era ulteriormente aumentato mentre il rischio di emorragia persisteva. L’uso di clopidogrel nel CURE era associato con una diminuzione della necessità di un trattamento trombo-litico (RRR = 43,3%; IC: da 24,3% a 57,5%) e inibitori di GPIIb/IIIa (RRR = 18,2%; IC: 6,5%, 28,3%). Il numero di pazienti cha ha manifestato l’endpoint co-primario (morte cardiova-scolare, infarto miocardico, ictus o ischemia refrattaria) è stato di 1.035 (16,5%) nel gruppo trattato con clopidogrel e di 1.187 (18,8%) nel gruppo trattato con placebo, con una ridu-zione del rischio relativo del 14% (IC 95% da 6% a 21%, p=0,0005) per il gruppo trattato con clopidogrel. Questo beneficio è stato principalmente determinato da una riduzione stati-sticamente significativa dell’incidenza dell’infarto miocardico [287 (4,6%) nel gruppo trattato con clopidogrel e 363 (5,8%) nel gruppo trattato con placebo]. Non si è osservato nessuneffetto sulla percentuale di riospedalizzazione per angina instabile. I risultati ottenuti nelle popolazioni con caratteristiche differenti (per es. angina instabile o infarto miocardico senzaonde Q, livelli di rischio basso o alto, diabete, necessità di rivascolarizzazione, età, sesso, ecc.) si sono rivelati coerenti con i risultati dell’analisi primaria. In particolare, in un’analisi aposteriori in 2.172 pazienti (17% della popolazione totale dello studio CURE) che erano stati sottoposti a posizionamento di stent (Stent-CURE), i dati hanno mostrato una significati-va RRR del 26,2% a favore di clopidogrel rispetto a placebo per l’endpoint co-primario (morte cardiovascolare, infarto miocardico, ictus) ed una significativa RRR del 23,9% per il secon-do endpoint co-primario (morte cardiovascolare, infarto miocardico, ictus o ischemia refrattaria). Inoltre, il profilo di sicurezza di clopidogrel in questo sottogruppo di pazienti non haevidenziato particolari problemi. Pertanto, i risultati ottenuti da questo sottogruppo sono in linea con i risultati complessivi dello studio. Il beneficio osservato con clopidogrel si è dimo-strato indipendente dall’utilizzo di altre terapie cardiovascolari in acuto e a lungo termine (come eparina/EBPM, antagonisti della glicoproteina IIb/IIIa, farmaci ipolipemizzanti, beta bloc-canti, e ACE inibitori). L’efficacia di clopidogrel è risultata indipendente dalla dose di ASA (75.325 mg una volta al giorno). Nei pazienti con IM con innalzamento del tratto ST, la sicu-rezza e l’efficacia di clopidogrel sono state valutate in 2 studi, CLARITY e COMMIT, randomizzati, in doppio-cieco,controllati con placebo. Lo studio CLARITY ha arruolato 3.491 pazien-ti che si presentavano entro 12 ore dall’esordio di un IM con innalzamento del tratto ST ed erano candidati alla terapia trombolitica. I pazienti hanno ricevuto clopidogrel (dose di cari-co di 300 mg, seguita da 75 mg/die, n=1752) oppure placebo (n=1739), entrambi in associazione con ASA (dose di carico da 150 a 325 mg, seguita da 75.162 mg/die), un farmacofibrinolitico e, laddove necessario, eparina. I pazienti sono stati osservati per 30 giorni. L’endpoint primario era rappresentato dalla comparsa di uno dei seguenti eventi: occlusione del-l’arteria correlata all’infarto, riscontrabile all’angiografia pre-dimissione, oppure la morte, oppure una recidiva di IM prima dela coronarografia. Per i pazienti che non sono stati sotto-posti a coronarografia, l’endpoint primario era rappresentato da morte o recidiva di IM entro il giorno 8 oppure entro la dimissione dall’ospedale. La popolazione dei pazienti includevail 19,7% di donne e il 29,2% di pazienti di età ≥ 65 anni. Globalmente il 99,7% dei pazienti hanno ricevuto fibrinolitici (fibrino specifici : 68,7%, non fibrino specifici: 31,1%), l’89,5%eparina, il 78,7% beta bloccanti, il 54,7% ACE inibitori e il 63% statine. L’incidenza dell’endpoint primario è stata del quindici percento (15,0%) nei pazienti del gruppo trattato con clo-pidogrel e del 21,7% nei pazienti del gruppo placebo, con una riduzione assoluta del 6,7% ed una riduzione del rischio del 36 % a favore di clopidogrel (95% CI: 24, 47%; p<0,001),principalmente correlata ad una riduzione delle occlusioni delle arterie correlate all’infarto. Tale beneficio è stato coerente in tutti i sottogruppi prespecificati inclusi i sottogruppi per etàe sesso, localizzazione dell’infarto e tipo di fibrinolitico o eparina utilizzati. Lo studio COMMIT con disegno fattoriale 2x2 ha arruolato 45.852 pazienti che si presentavano entro le 24ore dall’inizio dei sintomi di sospetto IM, con il supporto di anomalie all’ECG (ad es. innalzamento del tratto ST, abbassamento del tratto ST oppure blocco di branca sinistro). I pazien-ti hanno ricevuto clopidogrel (75 mg/die, n=”2”2,961) oppure placebo (n=”2”2,891), in associazione con ASA (162 mg/die), per 28 giorni o fino alla dimissione dall’ospedale. Gliendpoints co-primari erano morte da qualsiasi causa e la prima comparsa di re-infarto, ictus o morte. La popolazione ha incluso il 27,8% di donne, il 58,4% di pazienti di età ≥ 60 anni

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(26% ≥ 70 anni) e il 54,5% di pazienti ha ricevuto fibrinolitici. Clopidogrel ha ridotto in modo significativo del 7% (p = 0,029) il rischio relativo di morte da qualsiasi causa, e del 9%(p = 0,002) il rischio relativo della combinazione di re-infarto, ictus o morte, con una riduzione assoluta dello 0,5% e dello 0,9%, rispettivamente. Tale beneficio è stato coerente peretà, sesso e utilizzo o meno di fibrinolitici ed è stato osservato già nelle prime 24 ore.Proprietà farmacocinetiche Dopo dosi orali ripetute di 75 mg/die, clopidogrel viene rapidamente assorbito. Tuttavia, le concentrazioni plasmatiche del farmaco come tale sono molto basse e al di sotto del limitequantificabile (0,00025 mg/l) oltre le due ore dopo la somministrazione. L’assorbimento è almeno del 50% sulla base dell’escrezione urinaria dei metaboliti di clopidogrel. Clopidogrelè metabolizzato principalmente dal fegato ed il suo maggior metabolita, inattivo, è il derivato carbossilico acido che rappresenta circa 1’85% del prodotto circolante nel plasma. Il piccoplasmatico di questo metabolita (circa 3 mg/l dopo dosi orali ripetute di 75 mg) si manifesta circa un’ora dopo la somministrazione. Clopidogrel è un profarmaco. Il metabolita attivo, un derivato tiolico, è formato dall’ossidazione di clopidogrel in 2.oxo-clopidogrel e successiva idrolisi. Il passaggio ossidativo è regolatoprincipalmente dagli isoenzimi 2B6 e 3A4 del Citocromo P450 e in misura inferiore dagli isoenzimi 1A1, 1A2 e 2C19. Il metabolita tiolico attivo che è stato isolato in vitro, si lega rapida-mente ed irreversibilmente ai recettori piastrinici, con conseguente inibizione dell’aggregazione piastrinica. Questo metabolita non è stato rilevato nel plasma. La cinetica del principale meta-bolita circolante è lineare (le concentrazioni plasmatiche aumentano in proporzione alla dose) nell’intervallo di dosi 50-150 mg di clopidogrel. In vitro, clopidogrel ed il suo principale meta-bolita si legano in modo reversibile alle proteine plasmatiche umane (98% e 94%, rispettivamente). Il legame non è saturabile in vitro entro un ampio intervallo di concentrazioni. Nell’uomodopo una dose orale di clopidogrel marcato con 14C, circa il 50% viene escreto nelle urine e circa il 46% nelle feci entro 120 ore dalla somministrazione. L’emivita di eliminazione del prin-cipale metabolita circolante è di otto ore sia dopo somministrazione di dose singola che ripetuta. Dopo dosi giornaliere ripetute di 75 mg/die di clopidogrel i livelli plasmatici del principa-le metabolita circolante sono più bassi in soggetti con grave disfunzione renale (clearance della creatinina da 5 a 15 ml/min) rispetto a soggetti con moderata disfunzione (clearance dellacreatinina da 30 a 60 ml/min) e ai livelli plasmatici osservati in altri studi condotti in volontari sani. Sebbene l’inibizione dell’aggregazione piastrinica indotta da ADP fosse più bassa (25%)di quella osservata in soggetti sani, il prolungamento del tempo di sanguinamento era simile a quello osservato in soggetti sani che avevano ricevuto 75 mg/die di clopidogrel. In aggiuntala tollerabilità clinica è stata buona in tutti i pazienti. La farmacocinetica e la farmacodinamica di clopidogrel sono state valutate in uno studio di dose singola e ripetuta sia in soggetti saniche in pazienti con cirrosi (classe Child-Pugh A o B). La dose giornaliera di 75 mg per 10 giorni di clopidogrel è risultata sicura e ben tollerata. Il Cmax di clopidogrel nei pazienti cirrotici,tanto dopo dose singola che allo steady state, è stato di molte volte più elevato rispetto a quello nei soggetti normali. Tuttavia, sia i livelli plasmatici del principale metabolita circolante sial’effetto di clopidogrel sulla aggregazione piastrinica indotta da ADP e sul tempo di sanguinamento sono risultati paragonabili in questi gruppi.Dati preclinici di sicurezza Nel corso di studi non-clinici condotti nel ratto e nel babbuino, la modificazione dei parametri epatici è stato l’effetto più frequentemente osservato. Ciò si è verificato per dosi superio-ri di almeno 25 volte alla dose clinica corrispondente, di 75 mg/die, somministrata nell’uomo, ed era conseguenza di un effetto sugli enzimi metabolici epatici. Nessun effetto di clopi-dogrel sugli enzimi metabolici epatici è stato osservato nell’uomo alle dosi terapeutiche. A dosi molto elevate, è stata riportata nel ratto e nel babbuino una scarsa tollerabilità gastrica(gastriti, erosioni gastriche e/o vomito). Non è stato osservato alcun effetto carcinogenico in seguito a somministrazione di clopidogrel nel topo per 78 settimane e nel ratto per 104 set-timane fino alla dose di 77 mg/kg/die (il che rappresenta almeno 25 volte l’esposizione che si verifica alla dose clinica di 75 mg/die nell’uomo). Clopidogrel saggiato in una serie distudi di genotossicità in vitro e in vivo, non ha mostrato alcuna attività genotossica. Clopidogrel non ha mostrato alcun effetto sulla fertilità in ratti maschi e femmine e non ha mostra-to alcun effetto teratogeno né nel ratto né nel coniglio. Quando somministrato in ratti che allattavano clopidogrel ha causato un leggero ritardo nello sviluppo della prole. Studi farmacocinetici specifici condotti con clopidogrel marcato hanno permesso di osservare che il composto principale e i suoi metaboliti sono escreti nel latte. Conseguentementenon può essere escluso un effetto diretto (lieve tossicità) o indiretto (scarsa palatabilità).Incompatibilità Non pertinente.

DIPIRIDAMOLOIndicazioni terapeutiche Insufficienza coronarica accompagnata o no da crisi anginose; coronaropatie; cuore senile e profilassi dell’infarto del miocardio; cardiopatie, come coadiuvante della terapia digitalica.Patologia, a livello cardiaco, cerebrale e renale da aumentata aggregabilità piastrinica. Posologia e modo di somministrazione Insufficienza coronarica accompagnata o no da crisi anginose; coronaropatie Dose iniziale: 150-300 mg al dì, per via orale. Dose di mantenimento: 75-150 mg al dì Cuore senile e profilassi dell’infarto del miocardio: 2 cicli annuali di 6 settimane con 75 mg al dì, per via orale. Cardiopatie, come coadiuvante della terapia digitalica: 50-75 mg al dì, per via orale, per almeno 4 settimane. Patologia a livello cardiaco, cerebrale e renale, da aumentata aggregabilità piastrinica: 300-400 mg al dì in dosi refratte. Controindicazioni Ipersensibilità individuale accertata nei confronti del prodotto. Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso Dosi eccessive possono provocare vasodilatazione periferica. Usare con cautela in pazienti ipotesi. In pazienti con insufficienza coronarica grave, la somministrazione rapida endovenosa di alte dosi di dipiridamolo (0,5 mg o più per kg di peso corporeo in 4 minuti), può causare feno-meni ischemici coronarici e aritmie ipercinetiche. Tali effetti possono essere risolti con una iniezione endovenosa lenta (10 minuti) di aminofillina. Le compresse rivestite devono essere ingerite a stomaco vuoto, un’ora prima dei pasti. Tenere il medicinale fuori dalla portata dei bambini Interazioni La somministrazione contemporanea di preparati teofillinici può ridurre l’effetto terapeutico.Gravidanza ed allattamento Non presenta alcuna particolare controindicazione in gravidanza. Comunque, come per tutti gli altri farmaci, si consiglia cautela, particolarmente nei primi tre mesi di gestazione. Non è stata accertata una sicurezza assoluta di impiego in allattamento. Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchineDurante la terapia non esistono controindicazioni alla guida ed all’uso di macchinari che richiedono particolare attenzione. Effetti indesideratiScarsi e transitori possono occasionalmente verificarsi cefalee, vertigini, nausea, lievi disturbi gastroenterici, eruzioni cutanee. Solo nel caso che le reazioni secondarie siano persisten-ti e non tollerate nel paziente si prospetta l’opportunità della interruzione del trattamento. Sovradosaggio Non sono noti incidenti da sovradosaggio con dipiridamolo. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE Proprietà farmacodinamiche Il dipiridamolo è dotato di una spiccata attività antiaggregante piastrinica, e quindi antitrombotica, da attribuirsi da una parte all’azione inibente la fosfodiesterasi piastrinica e dall’altra

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all’azione stimolante la produzione di prostaciclina (PGI2 ) da parte dell’endotelio vasale. Il dipiridamolo, alle dosi terapeutiche consigliate, determina un aumento del flusso coronarico e contemporaneamente migliora l’ossigenazione ed il metabolismo della cellula miocar-dica senza praticamente influire sulla pressione arteriosa e sulla frequenza cardiaca. Il preparato, inoltre, favorisce la formazione di un efficiente circolo collaterale intercoronarico. Il trattamento con dipiridamolo migliora dunque le condizioni di lavoro e di rendimento del cuore specie nei pazienti con irrorazione coronarica insufficiente. Proprietà farmacocineticheIl dipiridamolo viene eliminato dall’organismo dopo biotrasformazione epatica in monoglucuronide, che è soggetto, quasi esclusivamente, ad escrezione per via biliare e fecale in pre-senza di un parziale circolo enteroepatico. Solo minime quantità vengono eliminate per via renale. Dati preclinici di sicurezza Le prove di tossicità acuta, subacuta e cronica del dipiridamolo eseguite sui più comuni animali da esperimento quali ratto, cane e coniglio per ambedue le vie di somministrazioneorale ed endovenosa, seppure saggiate a concentrazioni del farmaco assai superiori a quelle consigliate per l’uso terapeutico, non hanno evidenziato effetti tossici importanti. La DL50, valutata a seguito di somministrazione del farmaco per la via orale nei ratti, è risultata superiore a 6000 mg/kg. La DL50, valutata a seguito di somministrazione del farmaco per la via endovenosa nel cane, è risultata: 60 mg/kg nel maschio; 82,5 mg/kg nella femmina. Il dipiridamolo non ha effetti teratogeni, né influenza negativamente la fertilità e lo sviluppo fetale, né sono stati evidenziati fenomeni di carcinogenesi. Incompatibilità Per particolarità fisico-chimiche, le fiale possono essere diluite solo con soluzione glucosate o clorurosodiche.

EPARINA A BASSO PESO MOLECOLAREIndicazioni terapeutiche Profilassi delle trombosi venose profonde (TVP) in chirurgia generale ed in chirurgia ortopedica.- Trattamento delle patologie venose ad eziologia trombotica.Posologia e modo di somministrazione va somministrato per via sottocutanea. Nella profilassi delle trombosi venose profonde (TVP) in chirurgia generale ed in chirurgia ortopedica lo schema posologico da seguire è ilseguente:In chirurgia generale:Una iniezione per via sottocutanea di 0,3 ml (3.200 U.I. aXa) 2 ore prima dell’intervento.Successivamente ogni 24 ore per almeno 7 giorni.Non sono necessari controlli emocoagulativi. Nei pazienti ad alto rischio tromboembolico ed in chirurgia ortopedica:Una iniezione per via sottocutanea di 0,4 ml (4.250 U.I. aXa) 12 oreprima e 12 ore dopo l’intervento, quindi una iniezione quotidiana nei successivi giorni del decorso post-operatorio. La durata del trattamento è di almeno 10 giorni. Nella terapia delletrombosi venose profonde (TVP), il trattamento sottocutaneo può essere preceduto da 3-5 giorni di terapia per via endovenosa in infusione lenta. Trombosi Venosa Profonda:Due inie-zioni/die per via sottocutanea di 0,6 ml (6.400 U.I. aXa): la terapia va protratta per almeno 7-10 giorni. Questa terapia può essere preceduta da 3-5 giorni di terapia con 12.800 U.I. aXaper via endovenosa in infusione lenta. Dopo la fase acuta, la terapia può essere protratta con 0,6 ml (6.400 U.I. aXa) per via s.c./die, oppure con 0,4 ml (4.250 U.I. aXa) per via s.c./dieper altri 10-20 giorni. Sindrome post-flebitica, insufficienza venosa cronica:Una iniezione per via sottocutanea di 0,6 ml (6.400 U.I. aXa), di 0,4 ml (4.250 U.I. aXa), oppure di 0,3 ml(3.200 U.I. aXa), ogni 24 ore, a seconda della gravità. Il trattamento va protratto per almeno 30 giorni. Tromboflebite acuta superficiale, varicoflebite:Una iniezione per via sottocutaneadi 0,6 ml (6.400 U.I. aXa), di 0,4 ml (4.250 U.I. aXa), oppure di 0,3 ml (3.200 U.I. aXa), ogni 24 ore, a seconda della gravità. Il trattamento va protratto per almeno 20 giorni. Tecnica di iniezione. L’iniezione deve essere praticata nel tessuto sottocutaneo dei quadranti supero-esterni dei glutei, alternando il lato destro ed il lato sinistro, o nella cintura addo-minale anterolaterale e posterolaterale. L’ago deve essere introdotto interamente, perpendicolarmente e non tangenzialmente, nello spessore di una plica cutanea realizzata tra il pollicee l’indice dell’operatore. La plica deve essere mantenuta per tutta la durata dell’iniezione.Controindicazioni Generalmente controindicato in gravidanza e nell’allattamento. Anamnesi positiva per trombocitopenia con eparina. Manifestazioni o tendenze emorragiche legate a disturbi dell’emo-stasi, ad eccezione delle coagulopatie da consumo non legate all’eparina. Lesioni organiche a rischio di sanguinamento (ulcera peptica, retinopatie, sindrome emorragica). Endocarditeinfettiva acuta (ad eccezione di quelle relative a protesi meccaniche). Accidenti cerebrovascolari emorragici. Allergia al farmaco. Nefropatie e pancreopatie gravi, ipertensione arteriosagrave, traumi cranioencefalici gravi, periodo post-operatorio. Periodo di attività terapeutica delle antivitamine K. Controindicazioni relative: associazione con ticlopidina, con salicilati oFANS, con antiaggreganti piastrinici (dipiridamolo, sulfinpirazone, ecc.).Speciali avvertenze e precauzioni per l’usoNon va somministrato per via intramuscolare. Monitoraggio biologico: praticare una conta piastrinica prima del trattamento e di seguito due volte la settimana; se si prevede un tratta-mento prolungato, questo schema di monitoraggio deve essere rispettato almeno per il primo mese; in seguito il monitoraggio potrà essere più distanziato. In caso di precedenti di trom-bocitopenia conseguenti a trattamento con un’altra eparina, è indispensabile porre particolare attenzione allo stato clinico e deve essere effettuata giornalmente la conta piastrinica. Incaso di insorgenza di trombocitopenia con eparina classica, cioè non frazionata, la sostituzione con un’eparina a basso peso molecolare è una possibile soluzione. In questo caso ènecessaria una sorveglianza quotidiana del numero delle piastrine ed il trattamento dovrà essere interrotto appena possibile; infatti sono state riportate osservazioni del mantenimentodella trombocitopenia iniziale anche con eparina a basso peso molecolare. Il test di aggregazione piastrinica in vitro hanno un valore solo orientativo. Si consiglia di prendere contattocon una equipe specializzata. Trattamento: da usare con precauzione in caso di insufficienza epatica, insufficienza renale, ipertensione arteriosa, anamnesi di ulcera gastrointestinale odi tutte le altre lesioni organiche suscettibili di sanguinamento, o di malattie vascolari della corioretina. Da usare con precauzione nel periodo post-operatorio a seguito di chirurgia cere-brale o del midollo spinale. Le eparine a basso peso molecolare differiscono, per il metodo impiegato nella produzione, nel peso molecolare e nella attività specifica. Si raccomandapertanto di non passare da un marchio all’altro durante il trattamento. Tenere il medicinale fuori della portata dei bambini.InterazioniAssociazioni sconsigliate:- Acido acetilsalicilico ed altri salicilati (per via generale). Aumento del rischio di emorragia (inibizione della funzione piastrinica ed aggressione della mucosa gastroduodenale da sali-cilati). Utilizzare altre sostanze per un effetto antalgico od antipiretico.- FANS (per via generale). Aumento del rischio emorragico (inibizione della funzione piastrinica ed aggressione della mucosa gastroduodenale da farmaci antinfiammatori non steroi-dei). Se non è possibile evitare l’associazione, istituire un’attenta sorveglianza clinica e biologica.- Ticlopidina. Aumento del rischio emorragico (inibizione della funzione piastrinica da ticlopidina). È sconsigliata l’associazione a forti dosi di eparina. L’associazione a basse dosi dieparina (eparinoterapia preventiva) richiede un’attenta sorveglianza clinica e biologica. - Antiaggreganti piastrinici (dipiridamolo, sulfinpirazone, ecc.). Aumento del rischio emorragico (inibizione della funzione piastrinica). Associazioni che necessitano di precauzioni d’uso: - Anticoagulanti orali. Potenziamento dell’azione anticoagulante.L’eparina falsa il dosaggio del tasso di protrombina. Al momento della sostituzione dell’eparina con gli anticoagulanti orali: a) rinforzare la sorveglianza clinica; b) per controllare l’effettodegli anticoagulanti orali effettuare il prelievo prima della somministrazione di eparina, nel caso questa sia discontinua o, di preferenza, utilizzare un reattivo non sensibile all’eparina.- Glucocorticoidi (per via generale). Aggravamento del rischio emorragico proprio della terapia con glucocorticoidi (mucosa gastrica, fragilità vascolare), a dosi elevate o in trattamen-to prolungato (superiore a dieci giorni). L’associazione deve essere giustificata; potenziare la sorveglianza clinica.- Destrano (per via parenterale). Aumento del rischio emorragico (inibizione della funzione piastrinica). Adattare la posologia dell’eparina in modo da non superare una ipocoagulabili-tà superiore a 1,5 volte il valore di riferimento, durante l’associazione e dopo la sospensione di destrano. In caso di somministrazione contemporanea di acido ascorbico, antistamini-ci, digitale, penicillina e.v., tetracicline o fenotiazine si può avere una inibizione dell’attività del farmaco.Gravidanza e allattamento Il rischio di effetti dannosi a carico del feto e/o del lattante a seguito di assunzione/somministrazione di eparina non è escluso, pertanto l’uso in gravidanza e/o nell’allattamento è da

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riservare, a giudizio del medico, ai casi di assoluta necessità.Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchine L’uso clinico protratto anche per molti mesi non ha mai influenzato lo stato di vigilanza in tal senso.Effetti indesiderati Manifestazioni emorragiche di entità limitata e prevalentemente legate a preesistenti fattori di rischio, quali lesioni organiche con tendenza emorragica, oppure ad effetti iatrogeni (vedi“Controindicazioni” e “Interazioni con altri medicinali e altre forme di interazione”). Rari casi di trombocitopenia, a volte gravi. Rari casi di necrosi cutanea, generalmente localizzata nelpunto di iniezione, osservati sia con le eparine classiche che con quelle a basso peso molecolare. Questi fenomeni sono preceduti dalla comparsa di porpora o di placche eritematose,infiltrate e doloranti, con o senza sintomi generali.In questi casi è necessario sospendere immediatamente il trattamento. Eccezionalmente lievi ematomi nel punto di iniezione. Rare manifestazioni di allergia cutanea o generale. Aumentodelle transaminasi.Sovradosaggio La particolare confezione in cui viene presentato il prodotto rende improbabile il sovradosaggio; tuttavia nel caso esso si verifichi accidentalmente, possono manifestarsi effetti legatiall’attività anticoagulante (sanguinamento), normalmente non presenti alle dosi terapeutiche. Questi effetti possono essere neutralizzati mediante la somministrazione e.v. di solfato diprotamina.PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE Proprietà farmacodinamiche Gruppo farmacoterapeutico: Antitrombotici eparinici - Classe ATC B01AB07. Meccanismo d’azione/effetti farmacodinamici: è un farmaco antitrombotico dotato di azione rapida e pro-lungata, attivo nella terapia della malattia tromboembolica., diversamente dall’eparina, possiede la proprietà di dissociare l’attività antitrombotica da quella anticoagulante. Infatti il rap-porto fra l’attività antitrombotica, misurata dal dosaggio del fattore X attivato, e l’attività anticoagulante, rappresentata dai valori di aPTT e TT, risulta, sempre nei confronti dell’eparina,superiore a 4; tale rapporto può essere considerato indice terapeutico o di sicurezza. A differenza dell’eparina, non possiede attività pro-aggregante piastrinica.Proprietà farmacocinetiche dopo somministrazione sottocutanea, presenta il picco plasmatico di massima attività anti-Xa mediamente alla 3a ora ed una emivita plasmatica di circa 6 ore; l’attività anti-Xa persistenel plasma circa 20 ore dopo unica somministrazione, tali caratteristiche rendono possibile la monosomministrazione giornaliera. Si distribuisce prevalentemente nel sangue, ove eser-cita la propria azione, ed è probabilmente soggetto al fenomeno della scomparsa per uptake endoteliale e/o transendoteliale come l’eparina. Ha un metabolismo epatico e renale e vieneescreto per via urinaria.Dati preclinici di sicurezza È praticamente priva di tossicità acuta e cronica, di attività mutagena e non interferisce, in modelli sperimentali, con la funzione riproduttiva e lo sviluppo embrionale.Incompatibilità Le sostanze di uso comune incompatibili, per esempio le associazioni estemporanee per fleboclisi, sono: vitamina K, vitamine del complesso B, idrocortisone, jaluronidasi, gluconatodi Ca, sali di ammonio quaternari, cloramfenicolo, tetraciclina e tutti gli aminoglicosidi.

FLUNARIZINAIndicazioni terapeutiche Trattamento profilattico dell’emicrania con frequenti e gravi attacchi limitatamente ai pazienti che non hanno risposto ad altre terapie e/o nei quali tali terapie siano state causa di gravieffetti collaterali.Posologia e modo di somministrazione Terapia di attacco: nei pazienti di età inferiore a 65 anni, il trattamento va iniziato alla dose di 10 mg al giorno da assumere al momento di coricarsi; nei pazienti di età superiore a 65anni tale dosaggio va ridotto a 5 mg. Se durante tale fase del trattamento compaiono depressione, segni extrapiramidali o altri gravi effetti collaterali, il trattamento deve essere interrot-to. Se dopo due mesi non si osservano significativi miglioramenti, i pazienti debbono essere considerati refrattari alla terapia e la somministrazione del farmaco deve essere interrotta.Terapia di mantenimento: se il paziente risponde in maniera soddisfacente e se si ritiene necessaria una terapia di mantenimento, la dose giornaliera deve essere ridotta e somministra-ta a giorni alterni ovvero per 5 giorni consecutivi con interruzione di due giorni ogni settimana. Anche se il trattamento profilattico risulta efficace e ben tollerato esso deve essere inter-rotto dopo sei mesi e può essere ripreso solo in caso di recidiva.Controindicazioni Il prodotto è controindicato in pazienti con affezioni depressive in atto o pregresse, con preesistenti sintomi di malattia di Parkinson o altri disturbi extrapiramidali. (vedere Effetti indesiderati).Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso Nei casi in cui l’astenia aumenta progressivamente, la terapia deve essere interrotta. Si raccomanda di non superare le dosi consigliate.I pazienti debbono essere controllati ad intervalli regolari, specie durante la terapia di mantenimento, per ricercare i primi segni extrapiramidali o depressivi in modo da interromperetempestivamente il trattamento. Tale controllo deve essere particolarmente attento nei pazienti anziani. L’eventuale perdita di efficacia del farmaco durante la fase di mantenimento richie-de la sospensione della terapia (per la durata del trattamento vedere Posologia e modo di somministrazione). Vedere anche Effetti indesiderati.Interazioni La concomitante assunzione di ipnotici o di ansiolitici e altri psicofarmaci, può causare una eccessiva sedazione. Per lo stesso motivo è sconsigliabile assumere bevande alcoolichedurante la terapia.Gravidanza e allattamentoGravidanza: Non essendone stata stabilita la sicurezza d’impiego, si sconsiglia l’uso della flunarizina in gravidanza. Allattamento: Non essendo disponibili dati sull’escrezione della flu-narizina nel latte materno, si sconsiglia l’uso del farmaco durante l’allattamento.Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchine Il prodotto, specie nella fase iniziale della terapia, può dar luogo a sonnolenza; estrema cautela deve essere adottata durante operazioni che richiedono una perfetta integrità dello statodi vigilanza (guida di autoveicoli, macchinari pericolosi ecc.).Effetti indesiderati I più comuni effetti collaterali sono la sonnolenza e/o astenia (20%), che sono di norma transitori, aumento di peso e/o aumento dell’appetito (11%). Nel trattamento a lungo terminesono stati segnalati i seguenti gravi effetti collaterali: - depressione, per la quale sono risultate maggiormente a rischio le donne con precedenti di malattia depressiva (vedereControindicazioni). - sintomi extrapiramidali, quali bradicinesia, rigidità, acatisia, discinesie orofacciali, tremori, per i quali risultano particolarmente a rischio i soggetti anziani. Conminore frequenza sono stati segnalati nausea, gastralgia, insonnia, ansietà, galattorrea, secchezza delle fauci, dolori muscolari ed eruzioni cutanee.Sovradosaggio Sulla base delle caratteristiche farmacologiche del farmaco, in caso di sovradosaggio è probabile la comparsa di sedazione e astenia.Nei casi segnalati di sovradosaggio acuto (fino a 600 mg in una sola assunzione) sono stati osservati sedazione, agitazione e tachicardia. In caso di intossicazione acuta non esiste unantidoto specifico; possono essere impiegati la somministrazione di carbone attivo, la lavanda gastrica e l’induzione del vomito, nonchè terapie sintomatiche di supporto.PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE Proprietà farmacodinamiche Categoria farmacoterapeutica: Altri farmaci del sistema nervoso, preparati antivertigine, codice ATC: N07CA03 La flunarizina è un derivato bifluorurato della cinnarizina con proprietàantistaminiche e depressive sul SNC. La flunarizina è un calcioantagonista della classe IV del WHO; essa non ha effetti sulla contrattilità e sulla conduzione cardiaca. La flunarizina pos-siede inoltre un’azione di tipo neurolettico che potrebbe essere la causa di certi effetti collaterali sul sistema nervoso centrale.

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Proprietà farmacocinetiche In volontari sani, in seguito ad assunzione orale di una dose singola di flunarizina il picco plasmatico viene raggiunto dopo 2.4 ore.Durante il trattamento cronico, per somministrazione di una dose giornaliera di 10 mg, le concentrazioni plasmatiche aumentano gradualmente, fino al raggiungimento dellaconcentrazione stazionaria intorno alla 5ª - 6ª settimana di assunzione del farmaco: allo steady-state i livelli plasmatici restano pressochè costanti in un range compreso fra39 e 115 ng/ml. I parametri farmacocinetici della flunarizina sono caratterizzati da un ampio volume di distribuzione (volume apparente di distribuzione = 43,2 l/kg in volon-tari sani) e dall’elevata distribuzione tissutale. Infatti dai risultati delle sperimentazioni animali, è emerso che le concentrazioni del farmaco in vari tessuti sono molto più ele-vate dei corrispondenti livelli plasmatici, soprattutto nel tessuto adiposo e nei muscoli scheletrici. Circa lo 0,8% di flunarizina è presente nel plasma allo stato libero, poichèsi lega per il 90% alle proteine plasmatiche e per il 9% agli eritrociti. Soltanto un’aliquota trascurabile del farmaco è escreta immodificata con le urine. Dopo un esteso meta-bolismo epatico (dealchilazione - N-ossidativa, idrossilazione aromatica e glucoronidazione), la flunarizina ed i suoi metaboliti sono escreti con le feci attraverso la bile.Nell’uomo l’emivita di eliminazione terminale media è di circa 18 gg.Dati preclinici di sicurezza Tossicità Per somministrazione acuta DL50 topo Swiss, per os: 815 mg/kg DL50 topo Swiss, per ip: 174 mg/kg DL50 ratto S.D., per os: 312 mg/kg DL50 ratto S.D., per ip:353 mg/kg Per somministrazione prolungata Ratto S.D., per os (18 mesi) diminuzione di peso a 80 mg/kg/die Cane Beagle, per os (12 mesi) nessuna alterazione a 20mg/kg/die Tossicità fetale Assente (ratte S.D., coniglie N.Z.). La flunarizina non presenta analogia chimica con composti riconosciuti come cancerogeni e cocancerogeni; nelleprove di somministrazione prolungata (ratto e cane) non si sono avute manifestazioni istologiche o rilevate attività biochimiche sospette.Incompatibilità Non sono state segnalate incompatibilità con altri farmaci.

INDOBUFENEIndicazioni terapeuticheTrattamento antiaggregante nelle condizioni patologiche in cui la iperattività o l’attivazione piastrinica possono avere un ruolo determinante nella patogenesi del trombo, comeper esempio: vasculopatie ischemiche cardiache e cerebrali, arteriopatie periferiche su base aterosclerotica, trombosi venose, dislipidemie e diabete.Prevenzione dell’attivazione della trombogenesi durante la circolazione extracorporea (emodialisi).Posologia e modo di somministrazione La posologia giornaliera è generalmente compresa tra 200 e 400 mg sia per via orale che parenterale in due somministrazioni. La dose minore (200 mg/die) è particolarmen-te indicata per i trattamenti a lungo termine. Nel trattamento di pazienti anziani la posologia deve essere attentamente stabilita dal medico che dovrà valutare una eventualeriduzione dei dosaggi sopraindicati. Nei pazienti anziani oltre i 65 anni, la dose consigliata è compresa tra 100 e 200 mg/die. Nel trattamento per via orale è consigliata l’as-sunzione del farmaco dopo i pasti. Nella prevenzione della trombogenesi durante la circolazione extracorporea (emodialisi) la dose di indobufene dipende dalle condizioni delpaziente; a giudizio del medico possono essere somministrati 100 mg per os (o per via parenterale) prima di ogni seduta dialitica. Il prodotto iniettabile può essere sommi-nistrato sia per via endovenosa che intramuscolare.Controindicazioni Malattie emorragiche congenite od acquisite, ulcera o qualunque altra lesione in atto dell’apparato gastro- enterico.Ipersensibilità individuale accertata nei confronti del prodotto o di altri prodotti appartenenti alla stessa classe chimica.Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso Lesioni pregresse dell’apparato gastroenterico così come la contemporanea somministrazione di altri farmaci antiaggreganti o analgesici-antiinfiammatori non steroidei richie-dono molta cautela nell’uso del prodotto.In pazientidiabetici in trattamento con ipoglicemizzanti orali è opportuno un più frequente controllo dei valori di glicemia.Nei soggetti con insufficienza renale è opportuna una riduzione delle dosi in rapporto al grado di funzionalità renale.A titolo indicativo si suggerisce il seguente schema: CLEARANCE DELLA CREATININA: > 80 ml/min : 100-200 mg due volte al giorno; 40-80 ml/min : 100 mg/die - 100 mgdue volte al giorno; < 40 ml/min : 100 mg a giorni alterni - 100 mg/die.La somministrazione dei farmaci nel paziente anziano richiede cautela anche in considerazione della progressiva riduzione della funzionalità renale con l’età.La posologia consigliata per pazienti anziani (oltre i 65 anni) tiene conto di questo fattore. Tenere fuori dalla portata dei bambini.Nell’eventuale comparsa di disturbi gastrici (ad esempio pirosi, dolore epigastrico) si consiglia la riduzione della dose o l’interruzione temporanea del trattamento.Nel trattamento per via orale è consigliata l’assunzione del farmaco dopo i pasti.Interazioni Nel corso della sperimentazione clinica non sono stati segnalati segni o sintomi che possano fare sospettare interazioni con altri farmaci e altre interazioni, anche nel corsodi trattamenti prolungati a 6 e 12 mesi.Gravidanza e allattamento Anche se la sperimentazione nell’animale non ha evidenziato danni fetali si sconsiglia l’uso del farmaco in gravidanza accertata o presunta e durante l’allattamento.Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchine Non sono note interferenze sulla capacità di guida e sull’uso di macchine.Effetti indesiderati In corso di trattamento sono stati segnalati casi di disturbi gastrici, meteorismo, stipsi, reazioni allergiche cutanee, sanguinamento gengivale, epistassi e, raramente, casi di san-guinamento gastro- intestinale con melena, ulcera peptica ed ematuria. L’eventuale comparsa di reazioni allergiche quali eruzioni orticarioidi, esige l’interruzione del trattamento.SovradosaggioIn caso di reazione tossica da iperdosaggio, gli interventi di emergenza dovranno essere rivolti a contrastare i sintomi che si possono presentare.PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE Proprietà farmacodinamicheL’indobufene ha un effetto antiaggregante piastrinico dovuto a inibizione della reazione di liberazione di costituenti piastrinici (ADP, serotonina, fattore piastrinico 4, beta-trom-boglobulina, ecc.). Ricerche in animali da esperimento (cavia, ratto, coniglio) e nell’uomo hanno dimostrato che indobufene non interferisce con i parametri plasmatici dellaemocoagulazione ed il prolungamento del tempo di sanguinamento è modesto e rapidamente reversibile con la sospensione del trattamento. Esperimenti condotti in babbui-ni geneticamente predisposti alla trombosi hanno dimostrato che l’indobufene normalizza la funzionalità piastrinica alterata. Per quanto riguarda il meccanismo d’azione ricer-che in vitro e in vivo hanno documentato che indobufene interviene sulla funzionalità piastrinica agendo sul metabolismo dell’acido arachidonico. Esperimenti nell’uomo hannodimostrato che il farmaco a dosi terapeutiche agisce selettivamente sulla ciclossigenasi piastrinica bloccando la sintesi di trombossano senza alterare i livelli ematici di pro-staciclina. Dopo somministrazione orale o parenterale il farmaco manifesta prontamente la sua azione antiaggregante che raggiunge i valori massimi dopo 2.4 ore e si man-tiene fino a 12.24 ore, secondo le dosi e le tecniche utilizzate.Proprietà farmacocinetiche Indobufene è rapidamente assorbito per via orale ed i livelli plasmatici massimi si osservano dopo circa 2 ore dalla somministrazione. L’emivita del composto è di circa 8 ore con un volume apparente di distribuzione di 15 litri. L’indobufene è legato per il 99% alle proteine plasmatiche e l’eliminazione avvie-ne prevalentemente per via renale (75%) sotto forma di prodotto coniugato (glucorunato) e in piccola parte come composto inalterato. one fisiologica salina.Incompatibilità Non sono stati evidenziati casi d’incompatibilità.

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NICERGOLINAIndicazioni terapeutiche Turbe metabolico-vascolari cerebrali acute e croniche da arteriosclerosi, trombosi ed embolia cerebrale, ischemia cerebrale transitoria.Posologia e modo di somministrazione 60 mg al giorno in due somministrazioni per via orale ad intervalli regolari; le compresse solubili vanno assunte dopo essere state disciolte in mezzo bicchiere d’acqua. Controindicazioni Ipersensibilità alla nicergolina. Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso In generale alle dosi terapeutiche non modifica la pressione arteriosa: nei soggetti ipertesi può indurre graduale diminuzione dei valori pressori.In pazienti iperuricemici o con anamnesi di gotta e/o in trattamento con farmaci che possono interferire con il metabolismo e l’escrezione dell’acido urico, il farmaco va somministratocon cautela. Tenere fuori dalla portata dei bambini.InterazioniLa nicergolina può potenziare l’effetto dei farmaci antiipertensivi.Gravidanza e allattamento Benché negli studi tossicologici la nicergolina non abbia dimostrato alcuna attività teratogena, nelle donne in stato di gravidanza il prodotto deve essere somministrato in caso di effet-tiva necessità e sotto il diretto controllo del Medico. Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchine Non sono note interferenze sulla capacità di guida e sull’uso di macchine.Effetti indesiderati In rari casi sono stati rilevati effetti collaterali clinicamente non gravi, quali ipotensione e vertigini, disturbi gastrici, senso di calore, rossore cutaneo, sonnolenza, insonnia.SovradosaggioNon sono stati descritti in letteratura casi di sovradosaggio.PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE Proprietà farmacodinamiche La nicergolina ha dimostrato di migliorare le condizioni metabolico-emodinamiche del distretto cerebrale. La nicergolina è dotata inoltre di attività antiaggregante piastrinica e svolgefavorevoli effetti emoreologici.Proprietà farmacocinetiche Quando somministrata per via orale la nicergolina è rapidamente assorbita. L’eliminazione, sotto forma di metaboliti, avviene principalmente per via urinaria e solo in minima quantitàcon le feci. Dati preclinici di sicurezza Le prove tossicologiche in varie specie animali hanno dimostrato che la nicergolina risulta dotata di ottima tollerabilità (DL50 per os: 726 mg/kg nel topo, 2872 mg/kg nel ratto). Lanicergolina inoltre è priva di tossicità embriofetale e di effetto teratogeno. Incompatibilità Non sono stati evidenziati casi di incompatibilità.

NIMODIPINAIndicazioni terapeutiche Prevenzione e terapia di deficit neurologici ischemici anche correlati a vasospasmo cerebrale. Posologia e modo di somministrazione Salvo diversa prescrizione medica, la dose giornaliera raccomandata è di 30 mg x 3 volte. In caso di gravi alterazioni della funzionalità renale ed epatica, eventuali effetti collaterali, come l’abbassamento della pressione arteriosa, possono essere più pronunciati; in questi casi,se necessario, la dose dovrebbe essere ridotta. Nella profilassi e nel trattamento dei deficit neurologici ischemici conseguenti a vasospasmo cerebrale indotto da emorragia subaracnoidea, terminata la terapia parenterale, si racco-manda di proseguire la somministrazione di nimodipina per via orale per circa 7 giorni.Va assunto lontano dai pasti.L’intervallo tra le singole somministrazioni non dovrebbe essere inferiore alle 4 ore. Controindicazioni Non deve essere somministrato in gravidanza o durante l’allattamento e nei casi di ipersensibilità individuale accertata verso il medicamento. Il farmaco non deve, inoltre, essere somministrato a pazienti con funzionalità epatica gravemente compromessa (ad esempio cirrosi epatica). Una precedente terapia cronica con fenobarbital, fenitoina o carbamazepina riduce in maniera marcata la biodisponibilità della nimodipina somministrata per os. Pertanto, la terapia con-comitante con questi farmaci e nimodipina per via orale non è raccomandata. Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso In pazienti molto anziani affetti da più patologie, in pazienti con funzionalità cardiovascolare o renale gravemente compromessa (filtrazione glomerulare < 20 ml/min), la necessità di untrattamento dovrebbe essere considerata con cautela ed il paziente regolarmente controllato. Deve essere utilizzato con cautela nei pazienti gravemente ipotesi (pressione arteriosa sistolica < 100 mmHg). Tenere il medicinale fuori dalla portata dei bambini. Interazioni In pazienti ipertesi sotto trattamento con preparati antiipertensivi, può diminuire i valori pressori. Per questo motivo, all’inizio della terapia, il medico curante dovrebbe decidere in meri-to ad un eventuale aggiustamento della terapia antiipertensiva concomitante. La somministrazione contemporanea di cimetidina o acido valproico può condurre ad un aumento della concentrazione plasmatica di nimodipina. Non sono attualmente disponibili dati relativi all’impiego contemporaneo di nimodipina e neurolettici od antidepressivi. Esperienze con il calcio-antagonista nifedipina lasciano ritenere che la rifampicina acceleri il metabolismo della nifedipina attraverso un processo di induzione enzimatica. Non devequindi essere usato contemporaneamente a rifampicina, in quanto l’associazione potrebbe comportare un mancato raggiungimento dei livelli plasmatici terapeutici di nimodipina. Il succo di pompelmo inibisce il metabolismo ossidativo delle diidropiridine. L’assunzione contemporanea di succo di pompelmo e nimodipina non è quindi raccomandata, perché puòaumentare la concentrazione plasmatica di quest’ultima. In uno studio sulla scimmia la simultanea somministrazione endovenosa del farmaco anti-HIV zidovudina e di nimodipina in bolo ha indotto un incremento significativo della AUC perla zidovudina con una significativa riduzione del suo volume di distribuzione e della clearance. Gravidanza ed allattamento Non deve essere somministrato in gravidanza o durante l’allattamento. Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchine In linea di principio la capacità di guidare e di impiego di macchinari può essere compromessa in relazione alla possibile comparsa di vertigini.

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Effetti indesiderati Prevalentemente all’inizio del trattamento, si possono verificare le seguenti manifestazioni concomitanti: cefalea, disturbi gastrointestinali, nausea, vertigini, astenia, arrossamento cuta-neo, edema periferico, senso di calore; tachicardia ed ipotensione (specialmente qualora i valori pressori iniziali risultino elevati); quest’ultima condizione dovrebbe essere tenuta pre-sente da parte del medico curante in relazione alle terapie concomitanti. In pochi pazienti possono comparire sintomi di iperattività del sistema nervoso centrale, quali insonnia, aumento dell’agitazione motoria, eccitazione, aggressività, sudorazione. In casiisolati possono comparire ipercinesia, depressione, trombocitopenia. In pochi casi, in pazienti trattati in seguito ad emorragia subaracnoidea, si è verificato ileo paralitico. In rari casi si possono verificare, durante il trattamento di pazienti con pronta risposta terapeutica, dolori in sede toracica. SovradosaggioSintomi da intossicazione che devono essere considerati a seguito di sovradosaggio acuto sono: arrossamento del viso, cefalea; marcata ipotensione, tachicardia o bradicardia; distur-bi gastrointestinali e nausea. Trattamento: sospendere immediatamente la somministrazione del farmaco. Quale misura di emergenza potrebbe essere considerata la lavanda gastrica con aggiunta di carbone vegetale. In caso di ipotensione grave dovrebbe essere somministrata dopamina onoradrenalina per via endovenosa. Diversamente la terapia deve essere diretta ad eliminare i sintomi principali, in quanto non si conosce alcun antidoto specifico. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE Proprietà farmacodinamiche La nimodipina protegge i neuroni e stabilizza la loro funzione, promuove il flusso ematico cerebrale ed aumenta la tolleranza all’ischemia attraverso interazioni con i recettori neurona-li e cerebrovascolari legati ai canali del calcio. Altri studi hanno dimostrato che ciò non conduce a fenomeni di furto. È stato dimostrato clinicamente che la nimodipina migliora i disturbi della memoria e della concentrazione nei pazienti con funzione cerebrale compromessa. Altri tipici sintomi vengono anche favorevolmente influenzati come è stato dimostrato mediante la valutazione dell’impressione clinica globale, la valutazione dei disturbi individuali,l’osservazione del comportamento e le prove psicometriche. Proprietà farmacocinetiche Il principio attivo nimodipina, somministrato per via orale, è praticamente assorbito in modo completo. La sostanza attiva immodificata ed i suoi primi metaboliti, dopo il primo passaggio, sono rilevati nel plasma già 10-15 minuti dopo l’assunzione della compressa. A seguito di somministrazione di dosi orali multiple (3 x 30 mg/die), le concentrazioni plasmatiche di picco (Cmax) risultano nell’anziano pari a 7,3-43,2 ng/ml e vengono raggiunte dopo0,6-1,6 h (tmax). Singole dosi di 30 mg e 60 mg in soggetti giovani raggiungono rispettivamente delle concentrazioni plasmatiche di picco medie pari a 16 ± 8 ng/ml e 31 ± 12 ng/ml. La concentrazione plasmatica di picco e l’area sotto la curva della concentrazione/tempo aumentano proporzionalmente alla dose fino alla massima dose studiata (90 mg). Concentrazioni plasmatiche medie allo stato stazionario di 17,6-26,6 ng/ml, si raggiungono dopo infusione e.v. continua di 0,03 ng/kg/h. Dopo bolo e.v. le concentrazioni plasmatichedi nimodipina declinano in maniera bifasica con emivita di 5-10 minuti e circa 60 minuti. Il volume di distribuzione calcolato (Vss nel modello a due compartimenti) per la sommini-strazione e.v. risulta di 0,9-1,6 l/kg di peso corporeo. La clearance sistemica totale è di 0,6-1,9 l/h/kg. La nimodipina si lega alle proteine plasmatiche per il 97-99%. Nell’animale da esperimento trattato con nimodipina marcata 14 C la radioattività supera la barriera placentare. È verosimile una distribuzione analoga anche nella donna per quanto manchino evidenze sperimentali in questo senso. Nel ratto, la nimodipina e/o i suoi metaboliti compaiono nel latte ad una concentrazione molto più alta che nel plasma materno. Nella donna, il farmaco immodificato compare nel lattea concentrazioni dello stesso ordine di grandezza che nel plasma materno. Dopo somministrazione orale ed endovenosa la nimodipina può essere dosata nel fluido cerebrospinale a concentrazioni pari a circa lo 0,5% di quelle rilevate nel plasma. Queste corrispondono circa alle concentrazioni di principio attivo libero nel plasma. Il metabolismo della nimodipina avviene principalmente mediante deidrogenazione dell’anello diidropiridinico e rottura ossidativa dell’estere, la quale rappresenta con l’idrossilazionedei gruppi metilici 2 e 6 e la glucuronidazione, le ulteriori importanti tappe metaboliche. I tre metaboliti primari che compaiono nel plasma possiedono un’attività residua terapeuticamente non significativa o nulla. Sono sconosciuti gli effetti di induzione ed inibizione sugli enzimi epatici. Nell’uomo i metaboliti vengono escreti per circa il 50% attraverso l’emuntorio renale, e per il 30% con la bile. Le cinetiche di eliminazione sono lineari. L’emivita della nimodipina si colloca tra 1,1 e 1,7 ore. L’emivita terminale di 5-10 ore non è rilevante al fine di stabilire l’intervallo tra i dosaggi. A seguito del rilevante metabolismo di primo passaggio (circa 85-95%), la biodisponibilità assoluta risulta del 5-15%. Dati preclinici di sicurezzaLa nimodipina è un calcio antagonista appartenente al gruppo delle 1,4-diidropiridine. Grazie alla sua elevata lipofilia la nimodipina supera facilmente la barriera encefalica. Negli studi sull’animale la nimodipina si lega con elevata affinità e selettività ai canali del Ca++ ditipo L bloccando, in questo modo, l’afflusso intracellulare del calcio attraverso la membrana. Negli stati patologici associati ad un aumento dell’afflusso intracitoplasmatico del calcio nelle cellule nervose, ad esempio in corso di ischemia cerebrale, si ritiene che la nimodipinamigliori la stabilità e la capacità funzionale di questi elementi cellulari. Il blocco selettivo dei canali del calcio in alcune aree encefaliche, come l’ippocampo e la corteccia, può forse spiegare l’effetto positivo della nimodipina sull’apprendimento e sui defi-cit mnemonici osservati in diversi modelli animali. Lo stesso meccanismo molecolare è probabilmente alla base dell’effetto vasodilatatorio a livello cerebrale e di promozione del flus-so ematico della nimodipina osservato negli animali e nell’uomo. I sintomi di avvelenamento acuto dopo somministrazione orale sono stati osservati soltanto nel topo e nel ratto e sono rappresentati da lieve cianosi, grave riduzione della motilità e dispnea. Dopo somministrazione e.v., questi segni di avvelenamento associati a convulsioni tonico-cloniche, sono stati osservati in tutte le specie studiate. Gli studi condotti nel cane alla dose orale di 10 mg/kg per un periodo di 13 settimane, hanno indotto calo del peso corporeo, diminuzione di ematocrito, emoglobina ed eritrociti; incre-mento della frequenza cardiaca ed alterazioni della pressione arteriosa. La tollerabilità sistemica della nimodipina è stata studiata nel cane in uno studio della durata di un anno con dosaggi fino a 6,25 mg/kg/die. Dosi fino a 2,5 mg/kg sono state ben tollerate; 6,25 mg/kg hanno indotto delle modeste anche se transitorie alterazioni elettrocardiografiche come risultato di modificazioni del flussoematico miocardico senza la comparsa di modificazioni istopatologiche a carico del cuore o di altri organi. Dosaggi orali fino a circa 90 mg/kg/die per due anni sono stati ben tollerati dal topo. Tossicologia della riproduzione Dosaggi fino a 30 mg/kg/die non hanno modificato la fertilità del ratto maschio e femmina né quella delle successive generazioni. La somministrazione di 10 mg/kg/die a ratte gravide non ha messo in evidenza effetti dannosi mentre dosaggi di 30 mg/kg/die e più hanno inibito la crescita inducendo un ridotto pesofetale e, a 100 mg/kg/die, hanno indotto un incremento delle morti embrionali intrauterine. Gli studi di embriotossicità condotti nel coniglio con dosaggi orali fino a 10 mg/kg/die non hanno messo in evidenza alcun effetto teratogeno od embriotossico. Al fine di valutare lo sviluppo perinatale e post-natale sono stati condotti degli studi nel ratto con dosi fino a 30 mg/kg/die. In uno studio con 10 mg/kg/die e più si è osservato un incremento sia della mortalità perinatale che post-natale ed un ritardato sviluppo fisico. Tali risultati non sono stati confermatiin studi successivi. Non sono disponibili dati nella donna sull’uso in corso di gravidanza ed allattamento. In uno studio a vita sul ratto trattato per 2 anni con dosaggi fino 1800 parti per milione (circa 90 mg/kg/die) nel mangime non si è evidenziato alcun potenziale oncogenico. Analoghi risultati sono stati ottenuti nel topo trattato per 21 mesi in uno studio a lungo termine con 500 mg/kg/die per os. La nimodipina è stata validata in numerosi studi di mutagenesi che non hanno messo in evidenza effetti mutageni di rilievo di induzione genica e di mutazioni cromosomiche. Incompatibilità Nessuna nota.

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PENTOSSIFILLINAIndicazioni terapeutiche Disturbi dell’irrorazione periferica su base aterosclerotica (claudicatio intermittens, dolori a riposo), diabetica (angiopatia diabetica) e flogistica (endoangioite obliterante). Disturbi trofici (sin-drome post-trombotica, ulcus cruris, gangrena e congelamenti) ed angioneuropatie (acrocianosi e morbo di Raynaud). Sequele da alterata irrorazione cerebrale, oculare ed auricolare.Posologia e modo di somministrazione In genere la posologia è di 600-1200 mg/die. Le compresse vanno ingerite dopo i pasti e senza masticare. La somministrazione regolare ed il trattamento protratto sono determinantiper il successo terapeutico. Controindicazioni Ipersensibilità individuale accertata verso il prodotto.Infarto miocardico recente.Emorragie gravi. Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso La posologia va opportunamente adeguata nei pazienti ipotesi o con labilità circolatoria ed in caso di compromissione della funzionalità renale (ad esempio: con clearance delle crea-tinina < 10 ml/minuto la posologia va ridotta del 50-70%). Se durante il trattamento si manifesta emorragia della retina, la somministrazione va sospesa.Interazioni In corso di trattamento è necessario adeguare la posologia degli eventuali farmaci antiipertensivi somministrati contemporaneamente allo scopo di evitare sinergismo d’azione. Nei dia-betici è opportuno tenere presente la possibilità, sebbene rara, di ridurre il fabbisogno insulinico o la posologia degli ipoglicemizzanti orali durante la terapia.Gravidanza e allattamento Sebbene in esperimenti su animali non sia stata evidenziata alcuna indicazione di possibili effetti teratogeni del preparato, tuttavia, come per tutti i farmaci, si raccomanda di non usaredurante la gravidanza. Nelle donne in età fertile un’eventuale gravidanza deve essere sempre esclusa prima dell’inizio del trattamento e durante il trattamento stesso deve essere assicu-rata un’efficace copertura anticoncezionale. Nelle pazienti che allattano occorre decidere se rinunciare a nutrire al seno il lattante ed iniziare il trattamento o, viceversa, proseguire l’al-lattamento evitando la somministrazione del medicinale. Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchineNon sono state segnalate interferenze sulla capacità di guidare veicoli e usare macchinari.Effetti indesiderati Possono manifestarsi disturbi gastroenterici (oppressione gastrica, nausea, vomito, diarrea), cefalea o vertigini che in genere scompaiono con la riduzione della posologia; in singolicasi, tuttavia, potrebbe rendersi necessario sospendere il trattamento. Eccezionalmente sono state osservate reazioni di ipersensibilità, quali manifestazioni cutanee (prurito, esantema,orticaria) od edema angioneurotico, comunque rapidamente reversibili con la sospensione del trattamento. Molto raramente e soprattutto dopo dosi elevate di pentossifillina, sono statisegnalati flush cutaneo, tachicardia, angina pectoris ed ipotensione, che hanno richiesto la riduzione della posologia o la sospensione del trattamento. Pur non essendo stato dimostra-to un rapporto causale con l’impiego della pentossifillina, sono stati segnalati casi molto rari di emorragia (cutanea o delle mucose) in pazienti trattati con la specialità con e senza anti-coagulanti od antiaggreganti piastrinici. Sono stati segnalati anche rari casi di trombocitopenia.Sovradosaggio In caso di intossicazione possono comparire vampate di calore, perdita di coscienza, vomito a tipo fondo di caffè, areflessia e convulsioni tonico-cloniche. Oltre a misure generali peril trattamento dell’intossicazione deve essere dedicata particolare attenzione al controllo dei valori pressori. In caso di forte diminuzione della pressione arteriosa occorre infondere pla-sma-expander (attenzione ai segni di edema). Tenere libere le vie respiratorie.Diazepam in caso di convulsioni.PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE Proprietà farmacodinamiche La pentossifillina è caratterizzata dalla capacità di modificare le proprietà reologiche del sangue; normalizza infatti le condizioni di perfusione riducendo la viscosità ematica e ripristi-nando la dinamica degli scambi metabolici a livello della microcircolazione. La sua azione si esplica mediante l’aumento della flessibilità dei globuli rossi, l’inibizione dell’aggregazio-ne piastrinica, il miglioramento dell’attività fibrinolitica e l’inibizione dell’attivazione leucocitaria.Proprietà farmacocinetiche Dopo somministrazione giornaliera di 2 compresse da 600 mg si sono osservati livelli ematici, allo steady-state, di 65 ng/ml per la pentossifillina e di 239 ng/ml per il metabolita M1. Ilmetabolita M1, [1-(5-idrossiesil)-3,7 dimetilxantina] è terapeuticamente attivo ed ha profilo d’azione sovrapponibile a quello della pentossifillina; il suo picco ematico supera di oltre 2,5volte quello della molecola immodificata. I livelli ematici di pentossifillina e del metabolita attivo M1 sono risultati terapeuticamente attivi per 8-12 ore. La somministrazione di più compres-se nell’arco della giornata, non determina accumulo tissutale del farmaco, poiché l’eliminazione renale dei metaboliti pentossifillinici aumenta proporzionalmente alla dose somministrata. Dati preclinici di sicurezza La DL50 (mg/kg) della pentossifillina per os è di 1.385 nel topo, di 1.772 nel ratto e superiore a 320 nel cane. I controlli ematochimici, effettuati dopo trattamento protratto per 1 annocon dosi di 100,320 e 1000 mg/kg/die nel ratto e di 100,320 e 400 mg/kg/die nel cane, non dimostrano alcuna deviazione dalla norma. Solo con le dosi più alte (320 e 400 mg/kg/die)nel cane si osservano alterazioni del comportamento (incoordinazione, salivazione e modificazione del temperamento). Incompatibilità Non sono note incompatibilità chimico-fisiche.

PIRACETAMIndicazioni terapeutiche Sindromi mentali da insufficienza cerebrale; disturbi del rendimento mentale dell’anziano. A dosaggi più elevati: sindrome psicoorganica senile; trattamento dei disturbi da disassuefa-zione degli alcoolisti.Posologia e modo di somministrazione2400 - 6000 mg al di per os o per via endovenosa.In caso di grave compromissione cerebrale il dosaggio può essere raddoppiato. Per la elevata biodisponibilità della sostanza gli effetti terapeutici del piracetam somministrato per viaorale e per via parenterale sono sovrapponibili. Per tale motivo, nei pazienti in terapia protratta e con eventuali problemi di somministrazione endovenosa, può essere consigliata l’as-sunzione per via orale.La durata e la posologia devono comunque essere adattate dal medico curante a seconda dei casi.Controindicazioni Ipersensibilità individuale accertata verso il farmaco.Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso In presenza di insufficienza renale il prodotto va somministrato con cautela a dosaggi ridotti.Interazioni Non sono note interazioni con altri farmaci di comune impiego.Gravidanza e allattamento Il prodotto non è controindicato durante la gravidanza e l’allattamento.

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Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchine Il piracetam non interferisce sulla capacità di guidare e sull’uso di macchine.Effetti indesiderati In taluni rari casi nei quali si dovesse osservare un eccesso di reattività del paziente all’azione del prodotto, sarà sufficiente una riduzione della posologia.Sovradosaggio Non sono noti casi di sovradosaggio. Nel dubbio si consiglia la sospensione del trattamento.PROPRIETÀ FARMACOLOGICHEProprietà farmacodinamichePiracetam è un farmaco ad azione elettiva a livello telencefalico.Esso agisce sulle cellule nervose determinando importanti modificazioni metaboliche, soprattutto a livello dell’acido adenosintrifosforico i cui tassi di produzione e di utilizzazione risul-tano considerevolmente aumentati per azione del farmaco.Tale aumento porta ad un migliorato metabolismo cerebrale nel suo complesso (sintesi dei fosfolipidi, delle proteine, ecc.) con conseguente miglioramento delle condizioni circolato-rie e di ossigenazione locali. L’attività di Piracetam è stata saggiata con successo nel bambino in età scolare nel trattamento di varie situazioni comportamentali alterate in grado diinfluenzare il comportamento scolastico.Proprietà farmacocinetiche Il piracetam è rapidamente assorbito per via orale con picco ematico dopo 1 ora circa dalla somministrazione. Il piracetam è eliminato in forma non metabolizzata specialmente per viaurinaria. Soltanto l’1-2% si ritrova nelle feci. Il tempo di emivita nell’uomo è di 4 ore e 30 minuti.Dati preclinici di sicurezzaLe prove cliniche non hanno potuto mettere in evidenza effetti tossici anche a posologie elevate.DL50 per os è > 10 g/kg in diverse specie animali.Tossicità cronica: molti g/kg/die somministrati per os per molti mesi sono privi di effetti tossici in diverse specie animali.Incompatibilità Non sono state evidenziate fino ad oggi incompatibilità fisico-chimiche con altri farmaci.

SULFINPIRAZONEIndicazioni terapeuticheStati tromboembolici legati ad un alterato comportamento dei parametri piastrinici che danno luogo al trombosi venosa ricorrente, tromboembolia nei pazienti portatori di protesi car-diache o vascolari, trombosi a livello degli shunts artero-venosi, trombosi coronarica (infarto miocardico), trombosi cerebrale. Posologia e modo di somministrazione In genere sono sufficienti 600-800 mg di sulfinpirazone suddivisi, a giudizio del Medico nelle 24 ore. In caso di infarto miocardico, il trattamento non dovrebbe essere iniziato prima di2 settimane dall’evento acuto. Si dovrebbe iniziare con un dosaggio di 200 mg al giorno da aumentare gradualmente a 800 mg al giorno (dosaggio di mantenimento) nel corso di una settimana. Dovrebbe essere assunto preferibilmente durante i pasti o con un po’ di latte. È consigliabile mantenere un appropriato apporto di fluidi, specialmente durante i primi giorni di tratta-mento, e in aggiunta, se necessario, si deve prescrivere un agente alcalinizzante delle urine. Controindicazioni Attacchi acuti di gotta (il trattamento non dovrebbe essere iniziato durante un attacco acuto di gotta). Ulcera gastroduodenale (in atto o anamnestica). Ipersensibilità già nota al sulfin-pirazone o ad altri derivati pirazolici (fenilbutazone, ecc.). Il sulfinpirazone è controindicato in pazienti nei quali attacchi di asma, orticaria, o rinite acuta vengono precipitati dall’acidoacetilsalicilico o da altri farmaci con attività inibente la sintesi delle prostaglandine. Lesioni parenchimali gravi del fegato o dei reni (anche all’anamnesi). Porfiria. Discrasie ematiche(anche all’anamnesi). Diatesi emorragica (per es. disturbi nella coagulazione del sangue). Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso Il trattamento dovrebbe essere iniziato aumentando con cautela il dosaggio in pazienti con gastrite cronica, livelli plasmatici elevati di acido urico e/o nefrolitiasi o coliche renali, in attoo all’anamnesi, in pazienti in trattamento contemporaneo con diuretici, o anche nei casi in cui il trattamento viene ripreso dopo una interruzione. Come in tutti i casi di terapia a lungo termine con uricosurici, i test sulla funzionalità renale dovrebbero essere fatti regolarmente, specialmente se il paziente ha una preesistente insuf-ficienza renale. Dal momento che può causare ritenzione di sali e acqua, è richiesta cautela per quei pazienti con conclamata o latente insufficienza cardiaca. Nei casi in cui si verificano reazioni allergiche della cute, dovrebbe essere sospeso. Come per tutti i derivati del pirazolone, i pazienti dovrebbero essere tenuti sotto stretta sorveglianza medica, e si raccomanda che un esame emocromocitometrico venga fatto regolar-mente, interrompendo il trattamento in caso di riduzione degli elementi cellulari ematici. Essendo un potente agente uricosurico, specialmente all’inizio del trattamento, può portare a calcolosi urinaria e a coliche renali; quindi è consigliabile un adeguato apporto di fluidi el’alcalinizzazione dell’urina con bicarbonato di sodio. Il sulfinpirazone, in soggetti con iperuricemia o gotta, può, specie all’inizio della terapia precipitare un attacco acuto di artrite. Dal momento che il sulfinpirazone può potenziare l’effet-to degli anticoagulanti orali, il dosaggio di questi deve essere riaggiustato, in base al tempo di protrombina, quando si incomincia o si interrompe il trattamento. A questo scopo, il tempo di protrombina dovrebbe essere controllato ogni giorno per alcuni giorni. Tenere fuori dalla portata dei bambini. Interazioni Interazioni farmacocinetiche -Anticoagulanti orali (specialmente i derivati della cumarina come l’acenocumarolo od il warfarin): l’inibizione degli enzimi microsomiali epatici ritarda il metabolismo degli anticoagu-lanti e potenzia il loro effetto, e come risultato può aumentare il rischio di emorragia. -Sulfonilurea (per es. tolbutamide): lo spiazzamento della sulfonilurea dai legami con le proteine plasmatiche, come l’inibizione degli enzimi microsomiali epatici, ritarda il loro meta-bolismo, prolungando così le loro concentrazioni plasmatiche, con il risultato che il loro effetto ipocalcemico può essere potenziato. -Antidiabetici orali: intensifica l’azione degli antidiabetici orali. Tale possibilità va tenuta presente in modo da adattare la posologia alle necessità del paziente (sulla base dei controlli della glicemia). -Sulfonamidi: lo spiazzamento delle sulfonamidi dai loro legami con le proteine plasmatiche può portare ad un aumento delle loro concentrazioni plasmatiche. -Penicilline (per es. penicillina G): l’inibizione della secrezione tubulare può aumentare le concentrazioni plasmatiche delle penicilline. -Teofillina: l’attivazione degli enzimi microsomiali epatici e la conseguente accelerazione del metabolismo, diminuisce la concentrazione plasmatica della teofillina. -Fenitoina: lo spiazzamento della fenitoina dai legami con le proteine plasmatiche e l’inibizione degli enzimi microsomiali epatici rallenta il metabolismo della fenitoina, prolungandocosì la sua emivita aumentandone la concentrazione plasmatica. Interazioni farmacodinamiche -Salicilati: a causa dell’antagonismo tra salicilati e sulfinpirazone, l’effetto uricosurico di quest’ultimo è diminuito; questa diminuzione può portare a ritenzione di acido urico e ad esa-cerbazione della gotta. Il sulfinpirazone può anche inibire la secrezione tubulare dei salicilati, e di conseguenza la loro concentrazione nel plasma può aumentare. -Sostanze che agiscono sull’emostasi: tali sostanze, per es. farmaci antireumatici non steroidei, possono esercitare un effetto sinergico sul sistema di coagulazione del sangue e cosìaumentare il rischio di emorragia.

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Gravidanza ed allattamento L’esperienza finora acquisita con l’uso dell’Enturen in gravidanza non è sufficiente a garantire la sicurezza d’impiego. L’uso dovrebbe quindi essere evitato durante la gravidanza salvo i casi in cui non esista una alternativa più sicura. Non è noto se il principio attivo e/o i suoi metaboliti passino nel lattematerno. Per ragioni di sicurezza le madri che allattano dovrebbero evitare di assumere il farmaco. Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchine Nessuno noto. Effetti indesiderati Tratto gastrointestinale: frequentemente disturbi lievi e transitori del tratto gastrointestinale, come nausea, vomito, diarrea, dolore epigastrico; in casi isolati sanguinamento gastrointe-stinale e ulcere. Apparato urogenitale: raramente insufficienza renale acuta (per lo più reversibile), specialmente in caso di dosaggi iniziali alti; in casi isolati ritenzione idrosalina. Cute: raramente reazioni allergiche (per es. esantema da farmaco, orticaria, eruzioni cutanee, che impongono l’interruzione del trattamento). Sangue: in casi isolati leucopenia, anemia, trombocitopenia, agranulocitosi, anemia aplastica. Fegato : in casi isolati: disfunzione epatica (incremento delle transaminasi e della fosfatasi alcalina), ittero ed epatite. Sovradosaggio Non esiste un antidoto specifico. Sintomi: nausea, vomito, dolori addominali, diarrea, ipotensione, aritmie cardiache, iperventilazione, disordini respiratori, riduzione dello stato di coscienza, coma, attacchi epilettici,oliguria o anuria, insufficienza renale acuta, coliche renali, ittero. Trattamento: rimozione e/o inattivazione del farmaco: induzione di vomito e/o lavanda gastrica; carbone attivo; catartico salino, se si pensa che sia il caso. Una diuresi forzata non è di alcuna utilità. Trattamento della sintomatologia specifica -Prestare attenzione alle funzioni vitali del paziente (livello di coscienza, funzionalità cardiovascolare, respiratoria, epatica e renale); se necessario fornire misure di supporto. -Per combattere l’insufficienza respiratoria: intubazione endotracheale e ventilazione artificiale. -Per combattere l’acidosi metabolica: bicarbonato di sodio in dosi appropriate. -In caso di insufficienza renale prolungata: emodialisi. -Nel caso di colica renale acuta dovuta ad escrezione elevata di acido urico o di cristallizzazione di urati intraluminale nei tubuli distali e nei dotti collettori, la solubilità dell’acido uricopuò essere migliorata alcalinizzando l’urina (fino ad un pH 7 o superiore) somministrando bicarbonato di sodio e/o un inibitore dell’anidrasi carbonica come l’acetazolamide, e sommi-nistrando fluidi e un potente diuretico, per es. furosemide o mannitolo, per aumentare il volume delle urine. -Per rimuovere il sulfinpirazone assorbito e i suoi metaboliti, si può ricorrere all’emoperfusione, anche se non sono ancora disponibili dati sulla sua efficacia. -Tenere presente la possibilità di emorragia gastrointestinale; prendere appropriate misure per una precoce diagnosi di tali emorragie, in modo da poter fornire adeguato trattamento sece ne fosse la necessità. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE Proprietà farmacodinamiche Il sulfinpirazone inibisce il riassorbimento tubulare dell’acido urico, la cui escrezione renale viene quindi aumentata. L’effetto uricosurico del sulfinpirazone, somministrato per via orale si prolunga fino a 10 ore. Non possiede significative proprietà antinfiammatorie o analgesiche. Il sulfinpirazone influenza le interazioni fra le piastrine del sangue ed i vasi sanguigni in diversi modi: riduce l’adesività e l’aggregazione delle piastrine in vari modelli in vivo, ex vivo,e in vitro ed inibisce la reazione di rilascio delle piastrine in certe malattie vascolari (per es. arteriosclerosi). Probabilmente è importante in questo contesto la capacità del sulfinpirazone di interferire con la sintesi delle prostaglandine da parte delle piastrine. Nell’uomo, l’inibizione dell’aggregazio-ne piastrinica permane oltre il periodo di circolazione del sulfinpirazone nel plasma; questa attività prolungata può essere ascritta al metabolita del sulfinpirazone escreto lentamente. In certe malattie vascolari e difetti reumatici delle valvole cardiache (stenosi mitralica) il sulfinpirazone allunga, riportandolo alla normalità, il tempo di sopravvivenza delle piastrine. Proprietà farmacocinetiche Dopo la somministrazione orale, la sostanza attiva è assorbita rapidamente e quasi completamente (> 85%). In seguito ad una singola dose orale di 400 mg di sulfinpirazone, dopo 1-2 ore si verificano dei picchi plasmatici di 26-42 mg/ml. Il sulfinpirazone ha un’emivita di 2-4 ore. In seguito a somministrazioni ripetute di sulfinpirazone, a dosi di 400 mg 2 volte al giorno per 23 giorni, si è osservata una significativa diminuzione dei valori AUC e un aumento dellaclearance del farmaco a paragone di valori osservati dopo una dose singola. Dopo una dose multipla di 400 mg 2 volte al giorno, la concentrazione media dello stato stazionario delsulfinpirazone è di 5,1 mg/ml, che corrisponde solo alla metà del valore calcolato dopo una dose singola (9,6 mg/ml). La ragione di questo sta in un aumento della clearance totale causata dal fatto che il farmaco induce il suo proprio metabolismo. Il sulfinpirazone è metabolizzato per riduzione a solfuro e per ossidazione a solfone e a composti ossidrilati. Il metabolita solfuro inibisce l’aggregazione delle piastrine in vitro circa 12 volte più efficacemente dello stesso sulfinpirazone. A paragone col sulfinpirazone, le concentrazioni del meta-bolita solfuro sono basse. I picchi delle concentrazioni di solfuro sono raggiunti dopo circa 19 ore dalla somministrazione di una singola dose di sulfinpirazone, e l’emivita di elimina-zione del metabolita solfuro dal plasma ammonta a più di 12 ore. Il sulfinpirazone induce il metabolismo degli enzimi microsomiali del fegato. Il volume di distribuzione del sulfinpirazone dopo somministrazione orale è di 20 ± 5,7 litri o 0,35 litri/kg. Il sulfinpirazone viene legato alle proteine plasmatiche fino al 98,8%. La quantità di sulfinpirazone escreto con le urine e le feci è equivalente a circa il 95% della dose assunta. Della porzione escreta nelle urine, circa il 40% è inalterato, il rimanente con-siste in metaboliti non coniugati o glicuronizzati. Nei pazienti anziani non avvengono cambiamenti significativi nella farmacocinetica del sulfinpirazone. L’insufficienza renale non porta ad accumulo del sulfinpirazone nel plasma. In pazienti con una clearance di creatinina <10 ml/min, le concentrazioni plasmatiche del sulfinpirazone nondifferiscono significativamente da quelle dei soggetti sani. Dati preclinici di sicurezza I risultati degli esperimenti sugli animali indicano che non è mutageno, né carcinogeno o teratogeno. Incompatibilità Nessuna nota.

SULODEXIDEIndicazioni terapeutiche Ulcere venose croniche.Posologia e modo di somministrazione Orientativamente si consiglia di iniziare la terapia con le fiale e, dopo 15-20 giorni, proseguire con le capsule per 30-40 giorni. Il ciclo terapeutico completo va ripetuto almeno duevolte l’anno. A giudizio del medico, la posologia può essere variata in quantità e frequenza.Controindicazioni Ipersensibilità al principio attivo o ad uno qualsiasi degli eccipienti, verso l’eparina e gli eparinoidi. Diatesi e malattie emorragiche.Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso non presenta particolari precauzioni d’uso. Comunque, nei casi in cui sia anche in atto un trattamento con anticoagulanti, è consigliabile controllare periodicamente i parametri emo-coagulativi. Tenere fuori dalla portata dei bambini.

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Interazioni Essendo Sulodexide una molecola eparino-simile può aumentare gli effetti anticoagulanti dell’eparina stessa e degli anticoagulanti orali se somministrato contemporaneamente.Gravidanza e allattamento Per motivi cautelativi, se ne sconsiglia l’uso in gravidanza, anche se gli studi di tossicità fetale non hanno messo in evidenza effetti embrio-feto-tossici.Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinenon influisce o influisce in modo trascurabile sulla capacità di guidare veicoli o di usare macchinari.Effetti indesiderati Segnalati occasionalmente: disturbi dell’apparato gastroenterico con nausea, vomito ed epigastralgie, dolore, bruciore ed ematoma in sede di iniezione. Inoltre, in rari casi, si può averesensibilizzazione con manifestazioni cutanee o in sedi diverse.Sovradosaggio L’incidente emorragico è l’unico effetto ottenibile da un sovradosaggio. In caso di emorragia occorre iniettare, come si usa nelle “emorragie epariniche”, solfato di Protamina all’1% (3ml i.v. = 30 mg).PROPRIETÀ FARMACOLOGICHEProprietà farmacodinamiche Categoria farmacoterapeutica: Sulodexide è classificato tra i farmaci antitrombotici eparinici - Codice ATC: B01AB11.Meccanismo d’azione: Numerosi studi clinici condotti somministrando il prodotto per via parenterale ed orale, dimostrano che l’attività antitrombotica del Sulodexide è dovuta all’inibi-zione dose-dipendente di alcuni fattori coagulativi tra cui, in primo luogo, il fattore X attivato, mentre l’interferenza con la trombina, restando a livelli poco significativi, evita in generele conseguenze di una azione anticoagulante. L’azione antitrombotica è sostenuta anche dall’inibizione della adesività piastrinica e dall’attivazione del sistema fibrinolitico circolante e diparete. Il Sulodexide, inoltre, normalizza i parametri viscosimetrici che di solito si ritrovano alterati in pazienti con patologie vascolari a rischio trombotico: tale attività si esercita prin-cipalmente mediante la riduzione dei valori di fibrinogeno. Il profilo farmacologico sin qui descritto per Sulodexide, è completato dalla normalizzazione dei valori lipidici alterati, otte-nuta mediante attivazione della lipoproteinlipasi. Effetti farmacodinamici: studi volti ad evidenziare eventuali altri effetti, oltre a quelli sopra descritti, che sono alla base dell’efficacia tera-peutica, hanno permesso di confermare che la somministrazione non mostra effetti anticoagulanti.Proprietà farmacocinetiche Sulodexide presenta un assorbimento attraverso la barriera gastrointestinale dimostrabile in base agli effetti farmacodinamici dopo somministrazione per via orale, intraduodenale, intrai-leale e rettale nel ratto di Sulodexide marcato con fluoresceina. Sono state dimostrate le correlazioni dose-effetto e dose-tempo nel ratto e nel coniglio previa somministrazione per le vie sopraelencate.La sostanza marcata si accumula inizialmente nelle cellule dell’intestino per poi essere liberata dal polo sierico nel circolo sistemico.La concentrazione della sostanza radioattiva aumenta nel tempo significativamente a livello di cervello, rene, cuore, fegato, polmone, testicolo, plasma.

Prove farmacologiche eseguite nell’uomo con somministrazioni i.m. e i.v. hanno dimostrato relazioni lineari dose-effetto.Il metabolismo è risultato principalmente epatico e l’escrezione principalmente urinaria. L’assorbimento dopo somministrazione orale nell’uomo, studiato con il prodotto marcato, ha evi-denziato che un primo picco ematico si determina alle 2 ore ed un secondo picco tra la quarta e la sesta ora, dopo di che il farmaco non è più determinabile nel plasma e ricompareverso la dodicesima ora, rimanendo quindi costante fin verso la quarantottesima ora. Questo costante valore ematico riscontrato dopo la dodicesima ora è probabilmente dovuto al lentorilascio del farmaco da parte degli organi di captazione ed in particolare dell’endotelio dei vasi. Escrezione urinaria: utilizzando il prodotto marcato, si è registrata una escrezione urina-ria media del 55,23% della radioattività somministrata, nell’arco delle prime 96 ore. Tale eliminazione mostra un picco attorno alle 12 ore, con un valore medio urinario, nell’intervallo0-24 ore, del 17,6% della dose somministrata; un secondo picco attorno alla 36ma ora, con eliminazione urinaria tra le 24.48 ore del 22% della dose; un terzo picco attorno alla 78maora con un’eliminazione di circa il 14,9% nel periodo 48.96 ore. Dopo 96 ore non è più rilevabile la radioattività nei campioni raccolti. Escrezione fecale: la radioattività totale recuperata nelle feci è del 23% nelle prime 48 ore, dopo di che non è piùrilevabile la sostanza marcata. b) caratteristiche di particolare interesse per il paziente L’attività terapeutica è stata sempre valutata in pazienti affetti da patologie vascolari con rischiotrombotico, sia sul versante arterioso che venoso. Il farmaco ha dimostrato particolare efficacia in pazienti anziani ed in pazienti diabetici.Dati preclinici di sicurezza- Tossicità acuta: somministrato nel topo e nel ratto, non provoca alcuna sintomatologia tossica sino alle dosi di 240 mg/kg per os; la DL50 nel topo è di >9000 mg/kg/os e 1980mg/kg/i.p.; nel ratto la DL50 è sempre >9000 mg/kg/os e 2385 mg/kg/i.p.. - Tossicità subacuta: somministrato per 21 giorni os alla dose di 10 mg/kg nel cane, non ha dato luogo a fenomeni di intolleranza, a variazioni dei parametri ematochimici ed a modi-ficazioni anatomo-patologiche dei principali organi. - Tossicità cronica: somministrato per os per 180 giorni alla dose di 20 mg/kg nel ratto e nel cane, non ha presentato al termine del trattamento alcuna variazione di rilievo del quadroematologico, dei parametri urinari e fecali e dei parametri istologici a carico dei principali organi.- Tossicità fetale: alle prove di tossicità fetale nel ratto e nel coniglio (25 mg/kg per os) è risultato privo di effetti embrio-feto-tossici. - Mutagenesi: risulta sprovvisto di attività mutagena nei seguenti test: Ames; sintesi riparativa non programmata di DNA in linfociti umani (UDS); non disgiunzione in Aspergillus; cros-sing over in Aspergillus; soppressori di metionina in Aspergillus.Incompatibilità Sulodexide, essendo un polisaccaride acido, se somministrato in associazioni estemporanee può reagire complessandosi con tutte le sostanze basiche.Le sostanze in uso comune incompatibili nelle associazioni estemporanee per fleboclisi, sono: vitamina K, vitamine del complesso B, idrocortisone, jaluronidasi, gluconato di calcio,sali di ammonio quaternario, cloramfenicolo, tetracicline, streptomicina.

TICLOPIDINAIndicazioni terapeuticheLa ticlopidina è indicata nella prevenzione secondaria di eventi ischemici occlusivi cerebro e cardiovascolari in pazienti a rischio trombotico (arteriopatia obliterante periferica, pregres-so infarto del miocardio, pregressi attacchi ischemici transitori ricorrenti, ictus cerebrale ischemico, angina instabile). In pazienti con pregresso infarto miocardico e con pregressi attacchi ischemici transitori l’uso della ticlopidina dovrebbe essere riservato a quei pazienti che non tollerano l’acido ace-tilsalicilico (ASA) o nei quali l’ASA è risultato inefficace. La ticlopidina è inoltre indicata: nella prevenzione della riocclusione dei by-pass aorto-coronarici, nella circolazione extra-corporea, nella emodialisi e nella trombosi della vena centra-le della retina. Condizioni d’impiego: i Medici sono invitati ad usare il prodotto solo nei casi relativi alla patologia sopra indicata eseguendo i controlli indicati nelle “Speciali avvertenze e precauzio-ni per l’uso” e rispettando attentamente le controindicazioni. Posologia e modo di somministrazione La posologia consigliata per la terapia a lungo termine è di 1 o 2 compresse al giorno, da assumersi durante i pasti. Controindicazioni Ipersensibilità verso la ticlopidina o verso gli eccipienti. Il farmaco è controindicato nei soggetti che presentino od abbiano presentato leucopenia, piastrinopenia od agranulocitosi. Diatesi emorragiche (pregresse o in atto) ed emopatie che comportano un allungamento del tempo di sanguinamento. Lesioni organiche suscettibili di sanguinamento (ulcere dell’apparato gastrointestinale, varici esofagee, ecc.). Accidenti vascolari cerebrali emorragici in fase acuta.

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Epatopatie gravi. In qualche caso è stata segnalata durante il trattamento con ticlopidina, la comparsa di leucopenia od agranulocitosi, talvolta anche ad esito irreversibile; pertanto il farmaco deve esse-re impiegato solo nei casi in cui esso è insostituibile. Va categoricamente escluso l’impiego della ticlopidina nella prevenzione primaria nei soggetti clinicamente sani. Deve essere evi-tata l’associazione con altri farmaci potenzialmente mielotossici. Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso È necessario prima di iniziare la terapia ed ogni 15 giorni durante i primi tre mesi di trattamento, effettuare un controllo quindicinale della crasi ematica, con particolare riguardo allaconta dei globuli bianchi e delle piastrine. Prima di un intervento chirurgico di elezione sospendere il trattamento per una settimana (tranne nei casi in cui non sia espressamente richiesta una attività antitrombotica) in conside-razione del rischio emorragico indotto dal farmaco: dopo la sospensione della terapia è consigliabile valutare l’eventuale persistenza dell’effetto sull’emostasi (tempo di sanguinamen-to) prima di procedere all’intervento. In caso di estrazione dentaria, informare il Medico del trattamento in corso. Poiché la ticlopidina induce un allungamento del tempo di sanguinamento, la sua associazione con antinfiammatori non steroidei (ac. acetilsalicilico, ecc.), con anticoagulanti (epari-na, anti-vitamina K, ecc.), con altri antiaggreganti piastrinici deve essere evitata. Qualora durante il trattamento insorgano faringite, ulcerazioni della mucosa buccale, angina, febbre, sanguinamenti od ematomi, deve essere immediatamente sospesa l’assunzione delfarmaco ed informato il Medico curante; l’eventuale ripresa della terapia è subordinata all’esito di un controllo urgente della crasi ematica e alla valutazione clinica. Tenere fuori dalla portata dei bambiniInterazioni L’ associazione con antinfiammatori non steroidei (acido acetilsalicilico, ecc.), con anticoagulanti (eparina, anti-vitamina K, ecc.), con altri antiaggreganti piastrinici deve essere evitata. Deve essere evitata inoltre l’associazione con altri farmaci potenzialmente mielotossici. Gravidanza ed allattamento È sconsigliato l’uso del prodotto in gravidanza e durante l’allattamento. Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchine La sostanza non interferisce sulle capacità di guidare e sull’uso di macchine. Effetti indesiderati Sono stati osservati, in corso di trattamento con ticlopidina: -Manifestazioni emorragiche. -Turbe della crasi ematica: leucopenia, piastrinopenia, agranulocitosi, aplasia midollare (particolarmente gravi nei soggetti anziani). -Disturbi gastrointestinali (nausea, gastralgie, diarrea). -Aumento delle transaminasi e, raramente, ittero colestatico (è pertanto consigliabile eseguire durante il trattamento periodici controlli della funzionalità epatica). -Eruzioni cutanee su base allergica, reversibili con l’interruzione del trattamento. -Vertigini. -Porpora trombotica, trombocitopenica. SovradosaggioA tutt’oggi non sono stati segnalati casi di sovradosaggio del farmaco. In caso di assunzione accidentale di dosi elevate del prodotto è consigliabile la messa in atto delle misure tera-peutiche urgenti indicate per le intossicazioni accidentali. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHEProprietà farmacodinamiche La ticlopidina appartiene alla classe delle tienopiridine ed è dotata di peculiare attività antitrombotica, in quanto diminuisce l’adesività piastrinica, inibisce l’aggregazione piastrinica(indotta da ADP, collagene, trombina ed endoperossidi), stimola la disaggregazione piastrinica, diminuisce l’iperaggregabilità eritrocitaria indotta da protamina solfato, migliora la capa-cità degli eritrociti di modificare la propria forma (filtrabilità). Proprietà farmacocinetiche Dopo somministrazione di una dose unica di ticlopidina per via orale (250 o 500 mg) la massima concentrazione plasmatica del principio attivo è raggiunta alla 2a ora ed il farmacoviene quasi completamente eliminato dal torrente circolatorio otto ore dopo la somministrazione. Alle dosi terapeutiche l’inibizione dell’aggregazione piastrinica indotta dalla ticlopidina diviene significativa dopo 24-48 ore dall’inizio del trattamento; l’effetto massimo viene raggiun-to in 5ª - 6ª giornata e scompare 5-6 giorni dopo la sospensione della terapia. La somministrazione nell’animale da esperimento (ratto) di ticlopidina marcata con 14 C per via orale a dosi di 25 mg/kg ha evidenziato che il prodotto viene eliminato per circa il 70%attraverso la via biliare e per il 30% attraverso l’emuntorio renale. Dati preclinici di sicurezza La valutazione della tossicità della ticlopidina è stata eseguita sul ratto e sul topo. Le vie di somministrazione impiegate sono state quella orale e quella endovenosa per il ratto e quel-la orale e intraperitoneale per il topo. La DL50 nel ratto è stata rispettivamente 1400 ± 220 mg/kg per via orale e 60,6 ± 8,6 mg/kg per via venosa. La DL50 nel topo è risultata rispettiva-mente 630 ± 87 mg/kg per via orale e 123 ± 37 mg/kg per via intraperitoneale. nio biossido, polietilenglicole 8000. Incompatibilità Non sono note incompatibilità.

WARFARIN SODICOIndicazioni terapeutiche Profilassi e terapia dell’embolia polmonare, della trombosi venosa profonda, della tromboembolia arteriosa associata a fibrillazione atriale cronica, a protesi valvolari cardiache mecca-niche o biologiche, a trombosi murale intracardiaca, a infarto miocardico acuto. Profilassi del reinfarto.Posologia e modo di somministrazione - Dose iniziale La dose deve essere individualizzata secondo la risposta del paziente al farmaco, come indicato dal monitoraggio giornaliero del tempo di protrombina (PT) ed espressosecondo il Rapporto Internazionale Normalizzato (INR). Una dose di carico elevata può aumentare il rischio di emorragia e di altre complicazioni, non offre una protezione più rapida contro la formazione dei trombi e non viene quindi racco-mandata. Si raccomandano dosi iniziali basse nei pazienti anziani, debilitati o che possono avere un INR maggiore di quello previsto. Si raccomanda di iniziare la terapia usando dosi da 2.5 a 5 mg al giorno con aggiustamenti del dosaggio basati sulle determinazioni dell’INR. Dose di mantenimento La maggior partedei pazienti viene mantenuta a dosaggi da 2,5 a 10 mg al giorno con risultati soddisfacenti. La dose individuale e gli intervalli di somministrazione devono essere determinati in baseai valori di INR del paziente. La durata della terapia è individuale; in genere, la terapia anticoagulante deve essere continuata finché è superato il rischio di trombosi ed embolia. A scopoinformativo di seguito sono riportati i range terapeutici dell’INR raccomandati per ogni indicazione (vedere anche Nuova Guida alla Terapia con Anticoagulanti Orali della FederazioneCentri Sorveglianza Anticoagulanti 1997). Indicazioni Range terapeutici Durata (INR) Trattamento e prevenzione secondaria dell’embolia polmonare: In assenza di rischio tromboembo-lico persistente 2.3 3.6 mesi In presenza di condizioni trombofiliche o di episodi 2.3 da stabilire caso per caso recidivanti Trattamento e prevenzione secondaria della trombosi venosaprofonda: In assenza di rischio tromboembolico persistente 2.3 3.6 mesi In presenzadi condizioni trombofiliche o di episodi 2.3 da stabilire caso per caso recidivanti Prevenzione dellatrombosi venosa profonda 1.5.2.5 7.10 giorni Per pazienti ad alto rischio, ad esempio in chirurgia ortopedica, come seconda scelta in alternativa all’eparina a basso peso molecolare

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Tromboembolia arteriosa 3.4.5* indefinita Fibrillazione atriale cronica direcente insorgenza da sottoporre a cardioversione 2.3 almeno 2 sett. prima dopo cardioversione Protesi valvo-lari: almeno 3 sett. la meccaniche 3.4.5* indefinita biologiche 2.3 3 mesi Trombosi murale intracardiaca 2.3 fino a scomparsa della trombosi Infarto miocardico Prevenzione del rischiotromboembolico 2.3 3 mesi Prevenzione del reinfarto 3.4.5* almeno 3 anni Essendo a disposizione dati limitati, nei pazienti con valvole cardiache biologiche, si raccomanda la terapiacon warfarin (INR 2.3) per 12 settimane a partire dall’inserimento della valvola. Una terapia a più lungo termine deve essere presa in considerazione per i pazienti con fattori di rischioaggiuntivi, quali fibrillazione atriale o pregressa tromboembolia . * Salvo diversa indicazione medica, nella maggior parte dei pazienti, sembra che un INR maggiore di 4.0 non dia bene-fici terapeutici ulteriori e che sia associato ad un rischio di sanguinamento più elevato. In caso di INR maggiore di 5 il paziente deve immediatamente sospendere l’assunzione di war-farin e consultare un medico. Uso in pediatria Non sono disponibili informazioni sufficienti provenienti da studi clinici controllati sull’uso nei bambini. Uso negli anziani Sono racco-mandate dosi iniziali basse nei pazienti anziani e/o pazienti debilitati. Dato che intercorre un intervallo di circa 12.18 ore fra la somministrazione della dose iniziale ed il prolungamen-to terapeutico del tempo di protrombina e un ritardo di 36.72 ore per il raggiungimento dell’effetto anticoagulante globale, in situazioni di emergenza (es. embolia polmonare), sommi-nistrare inizialmente insieme eparina sodica .Controindicazioni Ipersensibilità al warfarin o ad ogni altro componente. L’effetto anticoagulante del farmaco è controindicato in qualunque condizione fisica, localizzata o generale, o in qualsiasi circo-stanza personale per cui il rischio di emorragia possa essere maggiore del beneficio clinico atteso, come nelle seguenti situazioni. Gravidanza: è controindicato nelle donne in gravi-danza o che potrebbero iniziare una gravidanza poiché il farmaco attraversa la barriera placentare e può causare emorragie fatali del feto in utero. Sono stati anche riportati casi di mal-formazioni congenite in bambini le cui madri erano state trattate con warfarin durante la gravidanza (vedere “Gravidanza e Allattamento”). Tendenze emorragiche e discrasie ematiche.Intervento chirurgico recente o previsto al: sistema nervoso centrale, occhio, chirurgia traumatica associata a grandi ferite esposte. Tendenze emorragiche associate ad ulcerazioni atti-ve o sanguinamento in atto da: tratto gastrointestinale, genito-urinario e respiratorio; emorragia cerebrovascolare; aneurisma cerebrale, aneurisma dissecante dell’aorta; pericardite, effu-sione pericardica; endocarditi batteriche. Minaccia d’aborto, eclampsia e preeclampsia. Strutture di laboratorio inadeguate. Pazienti anziani senza adeguato supporto, alcolismo, psico-si, o altre forme di mancanza di collaborazione da parte del paziente. Puntura lomabare ed altre procedure diagnostiche o terapeutiche che possono causare sanguinamento. Erba di SanGiovanni (Hypericum Perforatum): preparazioni a base di Hypericum perforatum non devono essere assunte in contemporanea con warfarin a causa del rischio di decremento dei livel-li plasmatici e di diminuzione dell’efficacia terapeutica di warfarin (vedere 4.5 Interazioni con altri medicinali e altre forme di interazione). Miscellanea: anestesia lombare o regionalemaggiore, ipertensione maligna, deficit di proteina C, poliartrite.Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso .Poiché il dosaggio deve essere attentamente individualizzato si veda la sezione “Posologia”. I rischi più gravi associati alla terapia anticoagulante con warfarin sodico sono emorragienei tessuti o organi e, meno frequentemente (0.1%), necrosi e/o cancrena cutanea e di altri tessuti. Il rischio di emorragia è correlato all’intensità e alla durata della terapia anticoagu-lante. In alcuni casi è stato riportato che emorragia e necrosi hanno provocato la morte o invalidità permanente. La necrosi sembra essere associata a trombosi locale e generalmenteappare pochi giorni dopo l’inizio della terapia anticoagulante. In casi di grave necrosi è stata necessaria la rimozione chirurgica o l’amputazione dei tessuti coinvolti, dell’arto, della mammella o del pene.Deve essere effettuata una diagnosi attenta per determinare se la necrosi possa essere causata da una patologia preesistente, non diagnosticata. Se si sospetta che warfarin sia la causadella necrosi, la terapia deve essere interrotta e si può prendere in considerazione una terapia anticoagulante con eparina. Sebbene siano stati provati vari trattamenti per la necrosi, nes-suno si è dimostrato uniformemente efficace.Questi ed altri rischi associati alla terapia anticoagulante devono essere valutati rispetto al rischio di trombosi o di embolizzazione in pazienti non trattati. Tenere sempre presente che iltrattamento di ciascun paziente è una questione altamente individualizzata. Molti fattori, quali assunzione di altri farmaci e di Vitamina K attraverso la dieta, possono avere un effetto. Ildosaggio deve essere controllato attraverso determinazioni periodiche del tempo di protrombina (PT)/ Rapporto Internazionale Normalizzato (INR) o altri test di coagulazione idonei. Ladeterminazione della coagulazione del sangue intero e del tempo di sanguinamento non sono misure efficaci per il controllo della terapia. L’eparina prolunga il tempo di protrombina. Prestare molta attenzione quando è somministrato a pazienti con fattori di predisposizione che possano aumentare il rischio di emorragia, necrosi e/o cancrena. La terapia anticoagu-lante può aumentare il rilascio di placche ateromatose emboliche e quindi innalzare il rischio di complicazioni dovute a microembolizzazione colesterinica, compresa la sindrome delledita porporine. Quando si presentano questi fenomeni, si consiglia di interrompere la terapia. Gli ateroemboli sistemici e i microemboli colesterinici si possono manifestare con unaserie di segni e sintomi fra cui: sindrome delle dita porporine, livedo reticularis, rash cutaneo, cancrena, dolore intenso e improvviso alle gambe, ai piedi o alle dita dei piedi; ulcere aipiedi; mialgia, cancrena del pene; dolore addominale, dolore alla schiena o al fianco; ematuria; insufficienza renale; ipertensione; ischemia cerebrale; infarto del midollo spinale; pan-creatite; sintomi che simulano poliarterite o ogni altra conseguenza della compromissione vascolare dovuta ad occlusione embolica. Gli organi viscerali più comunemente coinvolti sonoi reni, seguiti da pancreas, milza e fegato. Alcuni casi hanno portato fino a necrosi o morte. La sindrome delle dita porporine è una complicazione della terapia anticoagulante oralecaratterizzata da un colore scuro, violaceo o chiazzato delle dita dei piedi; generalmente si manifesta 3.10 settimane, o più, dopo l’inizio della terapia con warfarin o composti analoghi.Le caratteristiche primarie di questa sindrome sono: colore violaceo della superficie plantare e laterale delle dita dei piedi, tale colorazione si attenua con una moderata pressione, men-tre si intensifica con il sollevamento delle gambe; dolore e sensibilità delle dita; intensificazione e diminuzione della colorazione nel tempo. Benché venga riportato che la sindrome delledita porporine sia reversibile, ci sono stati casi che hanno portato a cancrena o necrosi, per i quali può essere stato necessario intervenire con asportazione chirurgica delle parti leseo anche con amputazione. Trombocitopeniaeparino-indotta: deve essere usato con cautela nei pazienti con trombocitopenia eparino-indotta e trombosi venosa profonda, in cui si sonoverificati casi di ischemia venosa agli arti, necrosi e cancrena, quando il trattamento con eparina è stato interrotto e la terapia con warfarin iniziata o continuata. In alcuni pazienti le con-seguenze hanno portato ad amputazione delle parti lese e/o a morte (Warkentin et al, 1997). Un forte innalzamento (>50 secondi) del tempo di tromboplastina parziale attivata (APTT)con un PT/INR nell’intervallo desiderato è stato identificato come un indice di aumentato rischio di emorragia postoperatoria. La decisione di somministrare farmaci anticoagulanti nelleseguenti situazioni deve essere presa valutando il rapporto rischio/beneficio della terapia anticoagulante. Moderata insufficienza epatica o renale. Malattie infettive o disturbi nella floraintestinale: dissenteria, terapia antibiotica. Trauma che può portare ad emorragie interne. Operazioni chirurgiche o traumi risultanti in ampie ferite esposte. Cateteri fissi. Ipertensionegrave o moderata. Deficit noto o sospetto di proteina C: deficienze ereditarie o acquisite di proteina C o del suo cofattore, proteina S, sono state associate a necrosi tessutale dopo som-ministrazione di warfarin. Non tutti i pazienti in queste condizioni sviluppano necrosi, così come si può avere necrosi in pazienti senza questi deficit. La resistenza ereditaria alla proteina C attivata è stata descritta in molti pazienti con disturbi tromboembolici venosi, ma non è stata ancora definita come fattore di rischio per la necro-si tessutale. Il rischio associato a queste condizioni, sia per trombosi ricorrente sia per reazioni avverse, è di difficile valutazione perché non sembra essere lo stesso per tutti.La decisione sulle analisi da effettuarsi e la terapia da intraprendere deve essere presa su base individuale. È stato riportato che una terapia anticoagulante concomitante con eparina per5.7 giorni, durante l’inizio della terapia, può minimizzare l’incidenza di necrosi tessutale. La terapia con warfarin deve essere sospesa quando c’è un sospetto che possa essere causa disviluppo di necrosi e si deve prendere in considerazione una terapia anticoagulante con eparina. Miscellanea: policitemia vera, vasculite e diabete grave. Sono state riportate lievi e gravireazioni allergiche, di ipersensibilità e anafilattoidi. In pazienti con resistenza al warfarin, acquisita o ereditaria, si sono avute risposte diminuite alla terapia.Altri pazienti hanno avuto una risposta terapeutica esagerata. Pazienti con insufficienza cardiaca congestizia possono mostrare un PT/INR maggiore del previsto, quindi sono necessa-ri più frequenti controlli di laboratorio e dosi ridotte. L’uso concomitante di anticoagulanti e streptochinasi o urachinasi non è consigliato e può essere pericoloso. L’erba di San Giovanni(hypericum perforatum) può diminuire l’effetto.Tenere fuori dalla portata dei bambini.Interazioni È essenziale che vengano effettuati controlli periodici del PT/INR o di altri adeguati test di coagulazione. Numerosi fattori esogeni ed endogeni, da soli o in combinazione, inclusi viag-

gi, variazioni delladieta, fattori ambientali, stato fisico e assunzione di altri medicinali, possono influenzare la risposta del paziente agli anticoagulanti.Solitamente è buona norma controllare la risposta del paziente con ulteriori determinazioni del PT/INR nel periodo immediatamente successivo alla dimissione dall’ospedale e ogni qual-volta vengano assunti, sospesi o presi irregolarmente altri medicinali.I medicinali possono interagire attraverso meccanismi farmacodinamici o farmacocinetici. I meccanismi farmacodinamici alla base dell’interazioni farmacologiche sono: sinergismo(disordini dell’emostasi, sintesi ridotta dei fattori della coagulazione); antagonismo competitivo (vitamina K); disfunzioni nel controllo fisiologico del metabolismo della vitamina K (resi-

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stenza ereditaria). I meccanismi farmacocinetici alla base dell’interazione farmacologiche sono prevalentemente dovuti a induzio e enzimatica, inibizione enzimatica e legame ridotto alleproteine plasmatiche. È importante notare che alcuni farmaci possono interagire con più di un meccanismo. Devono essere tenuti sotto controllo anche i pazienti che assumono medicinali per cui non è stata dimostrata alcuna interazione con i farmaci appartenenti alla famiglia delle cumarine.Pazienti a rischio: è un farmaco con indice terapeutico ristretto, e deve essere usato con cautela in pazienti anziani o debilitati o in ogni condizione o situazione fisica che aumenti ilrischio di emorragia.Gravidanza e allattamentoÈ controindicato in gravidanza.In donne esposte a warfarin durante il primo trimestre della gravidanza sono state riportate embriopatie caratterizzate da ipoplasia nasale con o senza epifisi appuntite (crondrodispla-sia puntata). Sono state riportate anche anomalie del sistema nervoso centrale fra cui displasia della linea mediana dorsale, caratterizzata da agenesi del corpo calloso; malformazionedi Dandy-Walker e atrofia cerebellare della linea mediana. È stata osservata displasia della linea mediana ventrale, caratterizzata da atrofia ottica e anormalità dell’occhio. L’esposizioneal warfarin durante il secondo e il terzo trimestre è stata associata a ritardo mentale, cecità, e altre anomalie del sistema nervoso centrale.Anche se raramente, con esposizione in utero al warfarin sono state riportate anomalie delle vie urinarie come monorene, asplenia, anenecefalia, spina bifida, paralisi dei nervi cranici,idrocefalo, difetti cardiaci e malattie cardiache congenite, polidattilia, deformità delle dita dei piedi, ernia diaframmatica, leucoma della cornea, palatoschisi, cheiloschisi, schizoencefa-lie, microencefalia. È noto che possono verificarsi aborto spontaneo e mortalità fetale, inoltre un più alto rischio di mortalità fetale è associato con l’uso di warfarin.Sono stati anche riportati neonati sottopeso e ritardi nella crescita. Le donne in età fertile, che sono candidate alla terapia anticoagulante, devono essere attentamente esaminate e deveessere effettuata una valutazione ragionevole delle indicazioni insieme alla paziente. Se una paziente inizia una gravidanza mentre sta prendendo questo farmaco, deve essere avvertitadel potenziale rischio per il feto e, alla luce di questi rischi, può essere considerata la possibilità di un’interruzione di gravidanza. È presente nel latte materno in forma non attiva.I bambini allattati al seno da madri trattate non hanno avuto cambiamenti nei tempi di protrombina (PT). Gli effetti sui neonati prematuri non sono stati valutati.Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchine NessunoEffetti indesiderati .Fra i potenziali effetti collaterali si includono: · Emorragia fatale o non fatale in qualsiasi tessuto od organo. Questa è una conseguenza dell’effetto anticoagulante.I segni, i sintomi e la gravità variano in relazione alla posizione, al grado e all’estensione del sanguinamento. Le complicazioni emorragiche si possono presentare come paralisi; parestesia; maldi testa, dolore al petto, all’addome, alle articolazione, dolore muscolare o di altro tipo; vertigini, fiato corto, difficoltà nel respirare o nell’ingoiare; gonfiore insolito; debolezza; ipotensione o shocknon spiegabile. Perciò in ogni paziente, in trattamento con anticoagulanti, con un disturbo per cui non ci sia una diagnosi ovvia, bisogna considerare la possibilità di un’emorragia.Il sanguinamento durante terapia anticoagulante non sempre è correlato con i valori di PT/INR (vedere “Sovradosaggio”). Il sanguinamento che avviene quando il PT/INR è all’interno

dell’intervallo terapeutico giustifica un’indagine diagnostica, poiché può mascherare una precedente lesione non sospettata, es. tumore, ulcera, ecc. · Necrosi cutanea o di altri tessuti (vedere “Speciali avvertenze e precauzioni d’uso”). · Effetti collaterali che si sono presentati raramente sono: ipersensibilità / reazioni allergiche, microembolizzazione colesterinica sistemica, sindrome della dita porporine, epatite, dannoepatico colestatico, ittero, innalzamento degli enzimi epatici, vasculite, edema, febbre, rash, dermatite, incluse eruzioni bollose, orticaria, dolore addominale inclusi crampi,flatulenza/meteorismo, faticabilità, letargia, malessere, astenia, nausea, vomito, diarrea, dolore, mal di testa, vertigini, alterazione del gusto, prurito, alopecia, intolleranza al freddo eparestesia con sensazione di freddo e brividi. Raramente, in seguito ad uso prolungato, sono stati riportati casi di calcificazione tracheale e tracheobronchiale di cui non è noto il signi-ficato clinico. Il priapismo è stato associato all’uso di anticoagulanti, comunque non è stata stabilita una connessione causale.SovradosaggioSegni e sintomi: sanguinamento anormale sospetto o manifesto (es. presenza di sangue nelle feci o nell’urina, ematuria, flusso mestruale eccessivo, melena, petecchie, predisposizio-ne ai lividi, o sanguinamento persistente da ferite superficiali) è un segno precoce di un’anticoagulazione ad un livello di non soddisfacente sicurezza. Trattamento: l’eccessiva anticoa-gulazione, con o senza sanguinamento, può essere controllata interrompendo la terapia e, se necessario, somministrando vitamina K1 per via parenterale od orale.Un uso siffatto della vitamina K1 riduce la risposta ad una seguente terapia.In seguito della rapida inversione di un PT/INR elevato, i pazienti possono tornare allo stato trombotico di prima del trattamento.La ripresa della somministrazione inverte l’effetto della vitamina K, e, con attenti aggiustamenti del dosaggio, si può raggiungere nuovamente un PT/INR terapeutico.Se è indicata un’anticoagulazione rapida, per la terapia di inizio può essere preferibile l’eparina. Se un piccolo sanguinamento progredisce verso uno più esteso, somministrare da 5 a 25 mg(raramente fino a 50 mg) di vitamina K1 per via parenterale.In situazioni di emergenza dovute a grave emorragia, i fattori della coagulazioni possono essere riportati ai livelli normali, somministrando da 200 a 500 ml di sangue fresco intero oplasma fresco congelato, oppure somministrando la preparazione commerciale a base del complesso del fattore IX. L’uso di questi emoderivati è associato a rischio di epatite e di altremalattie virali; inoltre il fattore IX è associato a un aumentato rischio di trombosi.Perciò queste preparazione devono essere usate solo in caso di sanguinamento esteso, dovuto ad un sovradosaggio, che metta in pericolo la vita del paziente. Le preparazioni a basedi fattore IX purificato non devono essere usate perché non aumentano i livelli di protrombina e dei fattore VII e X, che sono depressi, insieme al fattore IX, come risultato del trattamen-to. In caso di una cospicua perdita di sangue, si possono somministrare eritrociti ammassati. In pazienti anziani o con malattie cardiache, le trasfusioni di sangue o di plasma devonoessere attentamente monitorate per evitare che precipitino un’embolia polmonare.PROPRIETÀ ARMACOLOGICHE Proprietà farmacodinamiche Il warfarin sodico è il sale sodico della 3.(- acetonilbenzil)-4. idrossicumarina e appartiene al gruppo degli anticoagulanti indiretti di tipo dicumarolico. Gli anticoagulanti cumariniciagiscono inibendo la sintesi dei fattori della coagulazione vitamina K dipendenti, che comprendono i Fattori II, VII, IX e X e le proteine anticoagulanti C e S. Le emivite sono: Fattore II 60 ore; Fattore VII 4.6 ore; Fattore IX 24 ore; Fattore X 48.72 ore; Proteina C 8 ore e Proteina S 30 ore.

L’effetto risultante in vivo è una depressione sequenziale dell’attività dei Fattore VII, IX, X e II. La vitamina K è un fattore essenziale per la sintesi post-ribosomiale dei fattori della coa-gulazione vitamina K dipendenti.La vitamina K promuove la biosintesi di residui di acido g-carbossiglutammico, essenziali per l’attività biologica delle proteine.Si pensa che il warfarin interferisca con la sintesi dei fattori della coagulazione inibendo la rigenerazione dell’epossido della vitamina K1.Il grado di depressione dipende dal dosaggio somministrato.Dosi terapeutiche di warfarin diminuiscono la quantità totale della forma attiva di ciascun fattore della coagulazione vitamina K dipendente dal 30 al 50%. L’effetto anticoagulante gene-ralmente appare nelle 24 ore dopo la somministrazione del farmaco, ma l’effetto anticoagulante di picco può presentarsi anche dopo 72.96 ore.La durata di azione di una singola dose di warfarin racemico è di 2.5 giorni.Il farmaco non ha effetto diretto su trombosi stabilizzate, né reverte il danno ischemico; tuttavia, quando si è avuta una trombosi, l’obiettivo del trattamento anticoagulante è di preveni-re l’ulteriore estensione e le relative complicanze, che possono portare a conseguenze gravi, anche fatali.Proprietà farmacocinetiche Dopo somministrazione orale, l’assorbimento è sostanzialmente completo e si raggiungono le massime concentrazioni plasmatiche entro 1.9 ore.Approssimativamente il 97% si lega all’albumina presente nel plasma.Di solito induce ipoprotrombinemia entro 36.72 ore e la sua durata d’azione può persistere per 4.5 giorni, producendo in tal modo una curva di risposta regolare e di lunga durata. Finoal 92% della dose somministrata per via orale è ritrovata nelle urine, principalmente sotto forma di metaboliti.Dati preclinici di sicurezza DL50 (mg/kg): topo p.o.= 700; i.v.= 160 ratto p.o.= 8,7; i.v.= 25Incompatibilità Nessuna

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II. INQUADRAMENTOCLINICO-DIAGNOSTICODEL TIA (SPREAD 2010)

INQUADRAMENTO DIAGNOSTICO CLINICO

L’importanza della diagnosi patogenetica di TIA o ictus è strettamente connessa alla possibilità di fare prevenzione secondaria e stabilire la prognosi. La diagnosi integra dati clinici estrumentali.

RACCOMANDAZIONE (Grado C)Non è indicato considerare TIA, sulla base della definizione dell’OMS (improvvisa comparsa di segni e/o sintomi riferibili a deficit focale cerebrale o visivo, attribuibile ad insufficienteapporto di sangue, di durata inferiore alle 24 ore) la perdita di coscienza, le vertigini, l’amnesia globale transitoria, i drop attack, l’astenia generalizzata, lo stato confusionale, e l’incon-tinenza sfinterica quando presenti isolatamente.In base all’evidenza fornita dalle moderne tecniche di neuroimaging è stato proposta una nuova definizione di TIA (AHA, Stroke 2009; 40:2276-2293): “episodio di disfunzione neuro-logica causato da ischemia focale dell’encefalo, midollo spinale o della retina senza infarto acuto”.

RACCOMANDAZIONE (Grado C)Le diagnosi di TIA e di ictus sono diagnosi cliniche. In entrambi i casi una TC o una RM sono indicate per la diagnosi differenziale con altre patologie che possono mimare il TIA o l’ictus.L’emorragia subaracnoidea spontanea è dovuta nell’85% dei casi a rottura di un aneurisma arterioso.

RACCOMANDAZIONE (Grado C)Per una diagnosi differenziale tra ictus ischemico ed ictus emorragico, è indicato effettuare, nel più breve tempo possibile, una TC o una RM dell’encefalo, anche per le implicazioni terapeutiche.La trombosi dei seni può essere causa di infarti cerebrali venosi. La presentazione clinica della trombosi dei seni non è caratteristica e può simulare quella di altre patologie, fra cui l’ic-tus arterioso.

RACCOMANDAZIONE (Grado D)Il monitoraggio ECG delle 24 ore secondo Holter è indicato solo nei pazienti con TIA o ictus ischemico in cui si sospetti la presenza di aritmie accessuali potenziale causa di cardioem-bolia o qualora non sia emersa una causa definita di tali eventi.

RACCOMANDAZIONE (Grado D)L’ecocardiografia transtoracica è indicata solo in caso di sospetto clinico-anamnestico di malattia cardiaca.

RACCOMANDAZIONE (Grado D)Nel TIA o nell’ictus, in cui si sospetti un’origine cardioembolica, l’ecocardiografia transesofagea è indicata solo nei pazienti <45 anni e qualora non vi siano cause evidenti dell’eventoischemico, o evidenze strumentali di malattia dei vasi cerebrali, o fattori di rischio maggiori.La TC, esame di rapida esecuzione e di costi ridotti, è in grado di identificare la presenza di segni precoci di ischemia, che rispecchiano il territorio di distribuzione dell’arteria interes-sata dall’occlusione. La TC è inoltre in grado di evidenziare l’eventuale presenza di infarcimento emorragico della lesione ischemica, soprattutto in fase subacuta.

RACCOMANDAZIONE (Grado D)Nei pazienti anche con un solo TIA o ictus in anamnesi, la tomografia computerizzata cerebrale è indicata per documentare la presenza di una o più lesioni, la loro natura ischemica odemorragica, la tipologia, la sede, le dimensioni, e la sede, oltre alla congruità con la sintomatologia clinica.La RM con tecnica DWI è in grado di documentare il danno ischemico recente (“core”) già a distanza di pochi minuti dall’evento ischemico. La RM con tecnica PWI è utile nella valu-tazione della penombra ischemica. La RM convenzionale si utilizza per il monitoraggio della lesione ischemica, soprattutto nelle fasi subacuta e cronica.La leucoaraiosi non è un reperto specifico, anche se viene più frequentemente osservata in pazienti con fattori di rischio per malattie cerebrovascolari, in particolare l’ipertensione.La RM può evidenziare la presenza di infarti silenti che rappresentano un marker di rischio per ictus.Nei pazienti con pregressi TIA e/o ictus la RM presenta vantaggi rispetto alla TC, soprattutto nell’identificazione di lesioni di piccole dimensioni e localizzate in fossa cranica posteriore.L’angio-RM documenta con sufficiente accuratezza la pervietà o meno dei vasi intra ed extra cranici.L’esame angiografico trova maggiori indicazioni nei pazienti in età pediatrica o giovanile con ischemia cerebrale per la prevalenza in questi casi di una eziologia arteritica intracranicarispetto alla eziologia aterosclerotica epiaortica.Un infarto venoso deve essere sospettato in caso di una lesione ischemica che non ricopra un territorio di distribuzione arteriosa e che eventualmente presenti nel suo contesto mate-riale ematico, spesso associata a mancanza del classico segnale di vuoto a carico di un seno durale. In tali casi è indicata un’angio-RM venosa.Nei pazienti con pregressa emorragia intraparenchimale l’accumulo di emosiderina rimane un marcatore indelebile allaRM, in grado di documentare l’avvenuto sanguinamento, la suasede e la sua estensione.Lo studio angiografico nei pazienti con sospetta vasculite intracranica o con sospetta patologia non aterosclerotica di tronchi epiaortici (dissecazione, malformazioni vascolari, variantianatomiche) sembra consentire una migliore accuratezza diagnostica rispetto alle altre tecniche non invasive.

RACCOMANDAZIONE (Grado D)L’angiografia del circolo intracranico rappresenta il gold standard per lo studio della patologia aneurismatica cerebrale responsabile di emorragia sub-aracnoidea. È indicata in tutti ipazienti con emorragia sub-aracnoidea candidati a un intervento chirurgico od endovascolare.

RACCOMANDAZIONE (Grado D)L’EEG è indicato nei pazienti con presentazione a tipo TIA o ictus, quando si sospetti la natura epilettica del disturbo focale in esame.

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RACCOMANDAZIONE (Grado B)Lo studio eco-Doppler dei tronchi sovra-aortici è indicato nei soggetti con TIA o ictus recente per un migliore inquadramento eziopatogenetico.Lo studio di una stenosi carotidea ai fini della valutazione chirurgica o di terapia endovascolare deve essere affidata in prima istanza a metodiche non invasive (ecotomografia caroti-dea, angio-RM, angio-TC). Lo studio angiografico può essere indicato in caso di discordanza tra i risultati forniti dalle metodiche non invasive, quando esista il sospetto di una preva-lente patologia aterosclerotica a carico delle principali arterie intracraniche ed in particolare del circolo vertebro-basilare (esame velocitometrico Doppler transcranico, angio-RM), quan-do esami angio-RM o angio-TC risultino viziati da artefatti o siano di difficile esecuzione.

RACCOMANDAZIONE (Grado B)Lo studio eco-Doppler dei tronchi sovra-aortici è indicato nella valutazione della stenosi carotidea ai fini della scelta terapeutica in senso chirurgico quale indagine conclusiva e quin-di sostitutiva dell’angiografia, dopo averne verificato l’accuratezza, eventualmente completata con i dati di altre tecniche non invasive di neuroimmagine (angio-RM; angio-TC).

RACCOMANDAZIONE (Grado D)Lo studio eco-Doppler dei tronchi sovra-aortici è indicato nei pazienti che devono subire un intervento di chirurgia cardiovascolare maggiore quale studio preliminare per la valutazio-ne del rischio di eventi ischemici cerebrali in rapporto alla presenza di stenosi carotidee.

RACCOMANDAZIONE (Grado D)Lo studio eco-Doppler dei tronchi sovra-aortici è indicato nei pazienti operati di tromboendoarteriectomia carotidea entro i primi tre mesi dall’intervento, a nove mesi ed in seguitoannualmente, per la valutazione della recidiva di stenosi.

RACCOMANDAZIONE (Grado D)Lo studio eco-Doppler dei tronchi sovra-aortici in soggetti asintomatici è indicato:• quando vi sia un reperto di soffio sui vasi epiaortici di genesi non cardiaca;• in soggetti appartenenti a popolazioni con elevata probabilità di stenosi carotidea arteriopatici con claudicatio intermittens, coronaropatici documentati, soggetti di età superiore ai

65 anni con fattori di rischio aterotrombotico multipli).La stenosi arteriosclerotica delle arterie intracraniche è uno dei maggiori fattori di rischio e causali di ictus ischemico, anche nelle popolazioni occidentali. È possibile uno screeningultrasonografico con Doppler transcranico o con eco-color Doppler transcranico di tale condizione con sufficiente accuratezza almeno nella patologia del circolo anteriore.

RACCOMANDAZIONE (Grado D)Lo studio con Doppler transcranico è integrativo nei pazienti con TIA o ictus recente per la documentazione di stenosi dei vasi intracranici, di processi di ricanalizzazione, di circoli col-laterali intracranici, della riserva cerebrovascolare e di placche embolizzanti.

RACCOMANDAZIONE (Grado D)Lo studio con Doppler transcranico è integrativo nei pazienti candidati alla endoarteriectomia carotidea per la valutazione preoperatoria ed il monitoraggio intraoperatorio.

RACCOMANDAZIONE (Grado D)Lo studio con Doppler transcranico è indicato nei soggetti con sospetto shunt cardiaco destro-sinistro come sostitutivo dell’ecocardiografia transesofagea per l’identificazione di talecondizione.

RACCOMANDAZIONE (Grado B)Lo studio con Doppler transcranico è indicato nei soggetti con emorragia subaracnoidea per la valutazione di eventuali fenomeni di vasospasmo.

RACCOMANDAZIONE (Grado D)La coronarografia è indicata nei pazienti candidati all’endoarteriectomia carotidea con evidenza clinica o strumentale non invasiva di coronaropatia ad alto rischio.

RACCOMANDAZIONE (Grado D)Nei pazienti candidati ad endoarteriectomia carotidea con associata grave coronaropatia è indicato far precedere la rivascolarizzazione coronarica, pur potendo i due interventi ancheessere effettuati simultaneamente

NOTA - Metodologia delle Evidenze e del grado di raccomandazione seguito dalle Linee Guida SPREAD 2010Tipo di evidenza disponibile1++ metanalisi di alta qualità e senza disomogeneità statistica; revisioni sistematiche di RCT ciascuno con limiti fiduciali ristretti, RCT con limiti fiduciali molto ristretti e/o alfa e beta

molto piccoli;1+ metanalisi ben fatte senza disomogeneità statistica o con disomogeneità clinicamente non rilevanti, revisioni sistematiche di RCT, RCT con limiti fiduciali ristretti e/o alfa e beta piccoli; 2++ revisioni sistematiche di alta qualità di studi caso-controllo o coorte; studi caso-controllo o coorte di alta qualità con limiti fiduciali molto ristretti e/o alfa e beta molto piccoli;2+ studi caso-controllo o coorte di buona qualità con limiti fiduciali ristretti e/o alfa e beta piccoli; 3 studi non analitici (case reports, serie di casi) 4 opinione di esperti

Forza delle raccomandazioniA almeno una metanalisi, revisione sistematica, o RCT classificato di livello 1++ condotto direttamente sulla popolazione bersaglio; oppure revisione sistematica di RCT o un insieme

di evidenze costituito principalmente da studi classificati di livello 1+, consistenti tra loro, e applicabile direttamente alla popolazione bersaglio.B un insieme di evidenze che includa studi classificati di livello 2++, coerenti tra loro, e direttamente applicabili alla popolazione bersaglio; oppure evidenza estrapolata da studi clas-

sificati come 1++ o 1+.C un insieme di evidenze che includa studi classificati di livello 2+, coerenti tra loro e direttamente applicabili alla popolazione bersaglio; oppure evidenza estrapolata da studi classi-

ficati come 2++D evidenza di livello 3 o 4; oppure evidenza estrapolata da studi classificati come 2+; oppure evidenza da studi classificati come – (meno), indipendentemente dal livello.

Riferimenti bibiograficihttp://www.spread.it/files/SPREAD_6_2010_sintesi.pdf

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