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PIAZZA SKANDERBEG. Per un nuovo ruolo dell'Albania nel bacino Mediterraneo”

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Rocco Ceo, Lara Locatelli, Gabriele Sergi, Donato Ziccardi

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Indice Premessa 4 Introduzione 5 1. Il Mediterraneo 6 2. Il nuovo assetto dei trasporti tra Mediterraneo e Asia 9 3. L’Albania 10 4. Tematiche progettuali 11

4.1 Sistema infrastrutture 12 4.2 Il policentrismo albanese (Durazzo-Tirana-Elbassan) 13 4.3 Il ripopolamento delle valli 13 4.4 Il nuovo porto di Durazzo 13 4.5 Ricerca e settore delle costruzioni 15

5. Analisi macroeconomica: coerenza regionale e analisi della popolazione 14 6. Casi studio 15

6.1 Cenni storici – Tirana 15 6.2 Il progetto 18

7. Il Nord Africa 19 8. Tematiche progettuali 20 8.1 Sistema infrastrutturale 20 8.2 Città di fondazione e città d’espansione 21 8.3 Flussi migratori 21 8.4 Sistema approvvigionamento idrico per l’agricoltura 22 8.5 Sistema sviluppo energetico (solare termodinamico) 23 9. Analisi macroeconomica: coerenza regionale e analisi popolazione 24 10. Caso studio 26

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11. Conclusioni 26 Appendice 27 Riferimenti bibliografici 29

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Premessa Certo che lo è (il capitalismo in crisi), il fatto è che il capitalismo è sempre stato in crisi. 1 Gli squilibri tra nord e sud del mondo, aggravati dall’odierna crisi e dalle scelte imperialiste delle multinazionali, sono legati a molteplici fattori che risultano concatenati tra loro e fanno emergere un quadro mondiale preoccupante, dove questo divario sembra destinato ad aumentare se non vi saranno cambiamenti nelle scelte politica economica globale. Il capitalismo è soggetto a crisi cicliche, basti pensare che negli ultimi centocinquanta anni ve ne siano state tre, prolungatesi nella forma di depressioni. La prima crisi economica del 1873-1895, che successivamente prese in nome di Grande depressione, iniziata da un dissesto agrario che provocò un conseguente smottamento del sistema industriale. La crisi del 1929 invece, sconvolse l’economia mondiale alla fine degli anni Venti, con gravi ripercussioni durante i primi anni del decennio successivo. L’inizio della crisi è associato al collasso del metodo azionario statunitense, in particolare del New York Stock Exchange (la borsa di Wall Street) avvenuto il 24 ottobre del 1929 (giovedì nero), a cui fece seguito il definitivo crollo dei prezzi dei titoli del 29 ottobre (martedì nero). La depressione ebbe effetti devastanti sia nei paesi industrializzati, sia in quelli esportatori di materie prime. La terza grande crisi, quella ora in atto, ha avuto inizio nei primi mesi del 2008 in tutto il mondo, come conseguenza di una crisi di natura finanziaria scoppiata nell’estate del 2007, con epicentro negli Stati Uniti e legata al collasso del sistema del credito privato e allacartolarizzazione del medesimo: la cosiddetta crisi dei mutui subprime2. Senza considerare l’origine fraudolenta della crisi recente, l’economia globale presenta già i primi sintomi di una possibile recessione generalizzata tra i grandi: gli alti prezzi delle materie prime, una crisi alimentare mondiale, un crescente fabbisogno energetico dei paesi in via di sviluppo, alti tassi d’inflazione così come una crisi, così come una crisi creditizia e una conseguente crisi di fiducia dei mercati borsistici. Una prima considerazione può essere legata alla natura delle prime due depressioni: le crisi del 1873-1895 e quella del 1929 trovano nella sovrapproduzione industriale e agraria il primo fattore scatenante.

                                                            1 Tra i principali esponenti del filone di ricerca post-keynesiano nell’ambito degli studi economici, Nicholas Kaldor ha fornito contributi importanti per la comprensione dei meccanismi inerenti sia alla formazione del capitale e alle modalità della sua distribuzione sia al funzionamento del sistema economico contemporaneo, dell’impresa, del ciclo economico e dello sviluppo. Questa è la risposta che Kaldor diede ad uno studente di Cambridge che gli chiese se il capitalismo fosse in crisi.

2 Causa scatenante della crisi dei mutui sub-prime (prestiti per l’acquisto della casa a persone che offrono scarse garanzie di rimborso) è stata la caduta dei prezzi delle abitazioni che, dopo aver raggiunto un picco nel 2006, hanno iniziato una rapida e brusca discesa. L’aumento dei tassi d’interesse e l’applicazione di clausole contrattuali differite rendono sempre più difficile per le famiglie il pagamento delle rate. Quando cominciano le insolvenze delle rate dei mutui la crisi esplode sgretolando il sistema che era stato costruito accumulando rischi su rischi. La crisi di liquidità diventa evidente nell’andamento dei tassi a breve termine che si riflettono sui mutui variabili ma anche sui nuovi prestiti a tasso fisso per le famiglie e le imprese.

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Tramite l’adozione di politiche ispirate alla teoria di Keynes3 si è permesso di contenere o prevenire, nei successivi anni del novecento, questo tipo di crisi, attraverso investimenti pubblici o incentivi ai consumi. Di tutt’altra natura è la crisi generatasi nel 2007, che ha portato alla luce problemi strutturali nel sistema capitalistico e non risolvibili tramite le teorie Keynesiane. Il sistema dei monopoli generalizzati, che conseguono la centralizzazione dei capitali nei paesi della triade (Stati Uniti, Europa occidentale e Giappone) ha visto l’affermarsi di un sistema di sviluppo incentrato sul lavoro povero, causando un conseguente squilibrio nell’economia mondiale, dividendo il mondo in due: i paesi produttori e i paesi consumatori. La crisi odierna ha causato una paralisi della domanda interna e dei sistemi produttivi locali, mostrando i problemi generati dai monopoli che puntano alla ricerca del lavoro a basso costo e allo slegamento dell’economia reale dalla finanza, a cui i vari governi hanno tentato di dare una risposta. Le varie soluzioni applicate non hanno dato, però, i miglioramenti sperati. In Europa le politiche determinate dalla Germania, nel tentativo di raggiungere una posizione di egemonia, stanno causando il collasso degli altri stati dell’Unione Europea. Se fino al decennio scorso alla continua crescita di popolazione mondiale, la produzione agricola cresceva più rapidamente, oggi è già in atto una preoccupante inversione di tendenza. Ad aggravare questa situazione, le multinazionali americane e la Cina, in grave crisi energetica, stanno effettuando nei paesi dell’Africa centrale forti investimenti sulla produzione dei biofuel. Questa pratica è fortemente negativa sul lungo termine, infatti la produzione di questi carburanti causa un forte impoverimento del terreno, non rendendolo più adeguato alla coltivazione. Questo fenomeno, applicato in paesi di forte povertà, in cui la sussistenza avveniva tramite la coltivazione di piccoli appezzamenti, causa nuovi ulteriori squilibri in queste popolazioni, che avendo dato i loro terreni alle multinazionali, migrano verso le città andando ad ingrossare le periferie già precarie delle megalopoli africane. Nella valutazione degli squilibri tra nord e sud del mondo, oltre ai fattori di sfruttamento del territorio e delle materie prime, si aggiunge oggi la disparità alimentare e di approvvigionamento delle acque. Gli investimenti effettuati ad esempio da Cina e Stati Uniti nel Sudan per la realizzazione di dighe per la produzione di energia elettrica, fanno temere per un possibile impoverimento delle acque del Nilo, che andrebbe a rendere sterile il letto del fiume dal confine egiziano alla sua foce. La somma di questi interventi irresponsabili e volti a garantire profitti verso i monopoli della triade e della Cina, sono anche la causa dell’avanzare dei deserti, con conseguente diminuzione di terreni agricoli e causa di conflitti interni al continente africano, con conseguente instabilità politica e socio-economica da cui i monopoli giovano.

Introduzione L’area d’interesse è il bacino del Mediterraneo e il progetto da noi elaborato prevede una serie di interventi su larga scala volti ad innescare nuovi sviluppi nel sistema del Mediterraneo, fuori dagli orientamenti economico-politici dettati da Germania, Stati uniti e Cina.

                                                            3 La teoria di Keynes, contenuta in General theory of employment, interest and money (1936), nega la visione tipica dell’economia classica, secondo la quale l’offerta di beni crea sempre la propria domanda, mette in discussione la tendenza del sistema concorrenziale alla piena occupazione dei fattori produttivi e sottolinea l’importanza che può avere la domanda come stimolo alla ripresa dell’attività e all’investimento, prevedendo la necessità dell’intervento dello Stato con la spesa pubblica per creare reddito e conseguente domanda di beni.

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Le ipotesi da noi sviluppate vogliono innescare una serie di processi socio-economici che, nell’arco di venticinque anni, si pongono l’obiettivo di riportare l’area del Mediterraneo al centro degli scambi commerciali mondiali. Nello specifico l’Albania assumerebbe un ruolo geostrategico di primo piano nel consolidamento della stabilità dell’area balcanica e gli stati del Nord Africa occuperebbero una posizione non più di sudditanza economica nei confronti dell’occidente. Nell’ambito dello sviluppo economico dell’Albania sarebbe necessario un incremento del settore delle costruzioni, orientato verso la modernizzazione delle infrastrutture e la messa in sicurezza del territorio, un investimento nel settore agroalimentare e nella meccanica di base a servizio della filiera agroalimentare. Gli stati del Nord Africa, visti non più come dipendenti dall’Occidente, ma come Paesi autonomi, potrebbero quindi sviluppare una filiera produttiva di semi lavorati nel campo della petrolchimica e in grado di essere essi stessi fornitori di energia elettrica tramite la tecnologia del solare termodinamico. Questi due settori si porrebbero come traino per l’economia interna, dando nuovi impulsi e finanze, con l’obiettivo di antropizzare una fascia distante dalla costa circa 450 km, andando così a creare un nuovo sistema agricolo efficiente e produttivo che, oltre a garantire il sostentamento locale, porrebbe argine all’avanzamento dei deserti. Il nostro lavoro, che nasce come una ricerca approfondita, e non solo come un progetto urbanistico, affonda le sue radici in un’iniziale analisi macroeconomica che ci ha permesso stabilire le quantità, le dimensioni e le velocità di possibile crescita nell’area in questione. Per verificare la fattibilità e la correttezza delle nostre tesi, sono state effettuate ricerche sui dati statistici e sulle relative storie economiche dei 5 stati, sviluppando, in prima fase, una coerenza regionale. In parallelo ad essa, sono emersi ulteriori temi che sono stati presi in considerazione come: l’acqua, la coltivazione e l’agricoltura in aree desertiche, il solare termodinamico, lo sviluppo delle infrastrutture e il problema dell’immigrazione. Rendendoci conto della vastità delle problematiche, spesso al di fuori delle nostre conoscenze accademiche, è stato fondamentale trovare la documentazione idonea e contattare esperti dei vari settori, con il fine di acquisire un approccio pratico e concreto alla questione. Essendo riusciti ad esaminare una serie di problematiche su cui impostare un lavoro progettuale, abbiamo selezionato le aree di intervento di maggiore interesse, per poter iniziare a lavorare ad una scala minore.

1. Il Mediterraneo Per definire il concetto di Mediterraneo ci affidiamo alle parole di Fernand Braudel: Che cos’è il Mediterraneo? Molte cose allo stesso tempo. Non un paesaggio ma molteplici paesaggi. Non un mare ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma diverse civiltà sovrapposte. Viaggiare per il Mediterraneo è ritrovare il mondo romano nel Libano, la preistoria in Sardegna, le città greche in Sicilia, la presenza araba in Spagna, l’islam turco nella Jugoslavia. È immergersi nella profondità dei secoli, fino alle costruzioni megalitiche di Malta o alle piramidi dell’Egitto. È incontrare cose molto antiche, ancora vive, a fianco di altre ultramoderne: accanto a Venezia, apparentemente immobile, l’imponente agglomerato industriale di Mestre; la barca del pescatore, ancora oggi uguale a quella di Ulisse, accanto ai pescherecci con le reti a strascico che devastano i fondali o alle gigantesche petroliere. È al tempo stesso immergersi nell’arcaicità dei mondi insulari e sbigottirsi di fronte alla giovinezza di città assai antiche, aperte alle sollecitazioni della cultura e del profitto e che da secoli sorvegliano e divorano il mare.

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Tutto ciò perché il Mediterraneo è un crocevia antichissimo. Da millenni, tutto è confluito verso di esso, mescolandosi, arricchendo la sua storia. 4 Braudel cerca di dare un ritratto della civiltà mediterranea dalle origini al Novecento, offrendoci uno spaccato, in epoche e spazi diversi. Il Mediterraneo si contraddistingue, dunque, per essere un crocevia, un coacervo di visioni politiche spesso contraddittorie e incompatibili, di culture e di arti. Il Mediterraneo è stato la culla di tre grandi civiltà, quella cristiana, quella islamica e quella greca, e le società che si sono sviluppate nel corso dei secoli hanno potuto sviluppare la propria economia attraverso il trasporto delle merci nel Mediterraneo. Da sempre, infatti, Mediterraneo è stato sinonimo di ricchezza, tanto da attirare l’attenzione e le bramosie degli stati nordici, come l’Inghilterra e i Paesi Bassi. È sempre Braudel a spiegare il significato economico del Mediterraneo: è un insieme di vie marittime e terrestri collegate tra loro, e quindi di città che, dalla più modesta, alle medie, alle maggiori, si tengono tutte per mano. Strade e ancora strade, ovvero tutto un sistema di circolazione.5

Lo scenario economico si modifica prima con la scoperta dell’America nel 1492, quando il centro del mondo si sposta dal Mediterraneo all’oceano Atlantico, poi con la costruzione del Canale di Suez, terminato nel 1869, che ha effetto immediato e fondamentale sui commerci mondiali e gioca un ruolo importante nelle rotte e nelle comunicazioni verso l’oceano Indiano.

Riferendoci al Mediterraneo, parliamo dunque di una “regione” che nel corso dei millenni ha visto sorgere e tramontare imperi e civiltà, è stata teatro di feroci battaglie per il monopolio politico e commerciale, e che infine, prima con la scoperta della rotta atlantica e poi con l'apertura del canale di Suez, ha perso sempre più importanza nelle relazioni e nei commerci internazionali. In seguito alla Conferenza di Barcellona del 1995, il Mediterraneo torna a rappresentare un importante partner commerciale per l’Unione Europea assumendo una nuova centralità e rilevanza. La Dichiarazione di Barcellona, cui hanno preso parte i paesi dell’Unione Europea e dodici paesi mediterranei non comunitari, si è posta come obiettivo primario il raggiungimento di pace e stabilità nell’area, operando su tre livelli: politico, economico-finanziario e socio-culturale. Si delinea così il concetto di partenariato che opera in ambito multiculturale, nel rispetto dei valori e delle specificità di ogni paese, riconoscendo pari dignità ai partners. L’obiettivo economico della Dichiarazione di Barcellona6 è la creazione di una zona di prosperità condivisa nel Mediterraneo. Le riforme avrebbero dovuto permettere di instaurare una zona di libero scambio (teoricamente entro il 2010), con la progressiva eliminazione degli ostacoli doganali agli scambi commerciali dei prodotti manufatti. La Dichiarazione di Barcellona non è riuscita a raggiungere i risultati sperati, per ragioni che sono da addurre soprattutto al perdurare del conflitto israelo-palestinese, agli attentati dell’11 settembre e alla seconda intifada, ma conserva tuttavia la sua validità poiché costituisce il primo tentativo per affrontare l’instabilità e le diversità nel Mediterraneo in un’ottica a lungo termine. Nel 2004, con l’accordo di Agadir, siglato da Giordania, Tunisia Egitto e Marocco e diventato operativo nel 2007, si prevede la creazione di una zona di libero scambio tra le nazioni arabe del Mediterraneo. Nel luglio 2008, l’allora presidente francese Nicolas Sarkozy inaugura l’Unione per il Mediterraneo, un organismo internazionale che, ispirandosi all’Unione europea, si propone di raccogliere le nazioni che si affacciano sul Mediterraneo per sviluppare un piano comune volto a implementare la sicurezza della regione, lo sviluppo economico e lo scambio culturale tra le società civili dei paesi membri. L’Unione per il Mediterraneo delinea così una formazione internazionale la cui idea spaziale si appella a un chiaro principio

                                                            4 F. Braudel, Il Mediterraneo. Lo spazio e la storia. Gli uomini e la tradizione, Newton & Compton Editori, Roma, 2002 5 F. Braudel, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, 2010, Einaudi, Torino, 2010 6 http://europa.eu/legislation_summaries/external_relations/relations_with_third_countries/mediterranean_partner_countries/r15001_it.htm

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geopolitico: la convergenza di interessi e problemi che riguardano l’area marittima mediterranea, il Mediterraneo come luogo di sperimentazione di una politica di rilievo globale, data la sua centralità geografica e strategica negli equilibri, non solo economici, planetari. A questa nuova unione viene dunque affidato il compito di vigilare sulla sicurezza politica e militare dell’area mediterranea, di garantire crescita dell’integrazione economica e degli scambi, di consolidare un comune patrimonio storico e culturale. In fondo, come ammette lo stesso Braudel, Nel suo paesaggio fisico, come nel suo paesaggio umano, il Mediterraneo crocevia, il Mediterraneo eteroclito si presenta nei nostri pensieri come una immagine coerente, come un sistema dove tutto si mescola e si ricompone in un’unità originale. 7 È possibile affermare che tramite la valorizzazione degli scambi marittimi nel Mediterraneo e la riorganizzazione dei trasporti intercontinentali est-ovest e nord-sud si va a creare un sistema unico funzionante che equilibra gli scambi mondiali ridando al bacino del Mediterraneo un ruolo determinante. In ogni caso, il Mediterraneo esiste come realtà umana, sociale e storica: una realtà che impone in maniera sempre più pressante interventi coraggiosi e proiettati verso il futuro lontano. 8

                                                            7 F. Braudel, Il Mediterraneo. Lo spazio e la storia. Gli uomini e la tradizione, Newton & Compton Editori, Roma, 2002 8 R. Prodi, Conferenza Europa e Mediterraneo: passiamo ai fatti, Università Cattolica di Lovanio, 26 novembre 2002

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2. Il nuovo assetto dei trasporti tra Mediterraneo e Asia Il ruolo del Mediterraneo, nell’articolato e complesso sistema dei flussi di traffico a scala mondiale, è in continua evoluzione. Dalla rivoluzione industriale fino agli anni ‘70 del 900, il Mediterraneo è stato a lungo relegato in una posizione periferica rispetto ai sistemi portuali-commerciali dei paesi nord europei. Oggi la sempre più forte concentrazione dei centri produttivi nell’area dell’estremo oriente e il conseguente spostamento dei traffici marittimi internazionali hanno progressivamente condotto le rotte nord atlantiche ad una fase di stagnazione, mentre si è assistito ad uno sviluppo delle rotte del Pacifico e di quelle lungo l’asse Asia-Europa. Il Mediterraneo è divenuto di conseguenza un passaggio “obbligato” per circa il 15% del totale mondiale del traffico merci. Negli ultimi anni, la forte crescita dei principali paesi emergenti dell’Asia, del Medio Oriente, del Nord Africa, dell’Africa sub-sahariana e dell’est Europa sta determinando una sempre maggiore importanza dei traffici passanti per il Mediterraneo e dei traffici inter-mediterranei. Quindi esso deve essere considerato come una cerniera tra quattro macro aree: il Mediterraneo settentrionale che include l’Unione Europea; il Mediterraneo meridionale che include il nord Africa; il Mediterraneo orientale che include Istraele, Libano, Siria e Turchia; il Mediterraneo adriatico che include Albania, Bosnia Erzegovina, Montenegro e Croazia. A dimostrazione dell’importanza dei traffici inter-mediterranei, il progetto “Autostrade del Mare”, che mira al trasferimento del traffico merci dalla strada al vettore marittimo, grazie all’impiego di navi ro-ro, ha fatto registrare il miglior tasso di crescita rispetto ad altre modalità di trasporto. Considerando il Mediterraneo un bacino produttivo e di scambio merci fra gli stati che si affacciano su esso, l’Italia dovrebbe assumere un ruolo baricentrico attraverso il porto hub di Gioia Tauro, diventando una piattaforma logistica dalla quale poter offrire un know how di alta qualità. In questa ottica di sviluppo del commercio marittimo, i porti feeder dell’area adriatica assumerebbero una grande rilevanza per il traffico merci verso il Mar Nero, attraverso il Corridoio VIII e gli altri corridoi ovest-est (Trieste-Costanza, Igoumenitsa-Istanbul) e, incrociando il corridoio Atene-Riga, consentirebbero la distribuzione delle merci nell’est Europa fino al Mar Baltico. Mentre i porti dell’area africana, attraverso l’asse longitudinale Agadir-Ras Gharib, consentirebbero lo scambio di merci nel nord Africa e, incrociando la transahariana e gli altri assi nord-sud, assicurerebbero gli scambi tra il bacino del Mediterraneo e l’Africa sub sahariana. Al fine di connettere gli scambi tra il bacino del Mediterraneo e l’Asia e di coinvolgere gli stati dell’area più interna esclusi dal commercio marittimo, sono state individuate cinque traverse intercontinentali che hanno come punto finale città poste in una posizione strategica o città di nuova fondazione: 1. Riga-città di nuova fondazione; 2. Calais-Ulaanbaatar; 3. Lisbona-Vladivostock; 4. El Jadida-Pechino; 5. Agadir-Shangai. Le stesse sono tagliate da secanti che permettono le relazioni nord-sud. È possibile affermare che tramite la valorizzazione degli scambi marittimi nel Mediterraneo e la riorganizzazione dei trasporti intercontinentali est-ovest e nord-sud si va a creare un sistema unico funzionante che equilibra gli scambi mondiali ridando al bacino del Mediterraneo un ruolo determinante

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3. Albania

L’Albania è stata soggetta ad un isolamento secolare. Dopo la conquista ottomana nel XV secolo, l’indipendenza nel 1912 e il susseguirsi dei regimi totalitari fascista e socialista, il paese è stato caratterizzato da un sistema culturale ed economico che lo allontanò dall’Occidente e dell’Adriatico. Già nel 1917, con il proclama di Argirocastro, il governo italiano si impegna a sostenere l’indipendenza dell’Albania ma anche a supportarla economicamente. Un impegno che prende corpo nel 1925 con la costituzione della Società per lo Sviluppo Economico dell’Albania (S.V.E.A.) che garantisce oltre al sostegno finanziario, l’impiego di imprese e mano d’opera italiana per creare infrastrutture nel paese. L’Albania in questo momento è formata da una costellazione di città, poco collegate tra loro con un sistema infrastrutturale scarsamente sviluppato: ponti in legno e strade sterrate, lunghe e difficili da percorrere, e porti non attrezzati per lo sbarco delle merci. Nel decennio 1925-1935, la S.V.E.A. sviluppa un programma di opere pubbliche molto complesso ed esteso a tutto il territorio albanese: la costruzione di attrezzature pubbliche per garantire la stabilità politica e la realizzazione di infrastrutture per collegare le principali città in modo da favorire lo spostamento delle merci e lo sviluppo dell’industria estrattiva. Fondamentale è la costruzione del porto di Durazzo che costituisce una delle infrastrutture più imponenti. Per la realizzazione delle opere vengono chiamate imprese italiane e di altri paesi che hanno il merito di importare una tecnologia moderna basata sull’uso del cemento, tecnica ancora scarsamente usata in Albania. Nel 1939, l’Albania è unificata al Regno d’Italia e vi rimane fino al settembre del 1943 quando il controllo viene assunto dall’esercito tedesco. Il 20 aprile è stipulata la Convenzione Economica-Doganale-Valutaria, con la quale viene sancita l’unione doganale tra i due paesi e l’estensione anche all’Albania di tutti i trattati commerciali, i divieti e gli accordi vigenti in Italia nonché la copertura del franco albanese con la lira italiana. Sono istituiti due nuovi Enti per gestire il programma di sviluppo, uno in Italia e uno in Albania: presso il Ministero degli Esteri Italiano è istituito il Sottosegretariato agli Affari Albanesi e a Tirana la Luogotenenza Generale del Re. Sempre a Tirana è organizzato l’Ufficio Centrale per l’Edilizia e l’Urbanistica, della cui direzione è incaricato l’architetto fiorentino Gherardo Bosio, al quale sono affidati i compiti di predisporre, sotto direttive unitarie, i piani regolatori delle città albanesi, sia nel caso di città di nuova fondazione e sia nel caso di piani di rinnovo; la previsione e il controllo di tutte le infrastrutture e gli impianti, dalla ferrovia alle industrie. In Albania, quindi, attraverso la predisposizione contemporanea dei piani delle principali città, si cerca di attuare quella politica nazionale, che è uno dei cardini dell’urbanistica fascista. La così detta teoria della città corporativa si fonda sulla formazione di un “piano nazionale” che avrebbe consentito di stabilire preliminarmente, nel quadro dell’interesse generale, le funzioni da assegnare ad ogni singola città. La città sarebbe quindi divenuta corporativa in quanto espressione del carattere corporativo del regime fascista, lontano dall’anarchismo liberale, lontano dall’oppressivo collettivismo. Perché entro i limiti assegnati dall’alto, ogni città avrebbe poi conservato l’individualità del suo quadro formale, l’originalità del suo volto. In questo quadro, il piano industriale acquista una valenza prioritaria. Diversi sono i settori di intervento. Primo tra questi è lo sfruttamento delle risorse estrattive, in particolare del petrolio e del cromo, con l’intento di procurare materie prime a sostegno dell’industria pesante italiana. Di conseguenza assume valore di urgenza il programma infrastrutturale già avviato nel primo periodo dalla S.V.E.A. e successivamente passato alla gestione della S.O.F.I.N.E.S., che nel 1936 le subentra.

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È avviato un programma di valorizzazione agricola che riprende il modello già applicato in Etiopia. Esso prevede la divisione dell’area in due zone da destinare alle famiglie italiane (900 abitanti) e per la maggior parte ad albanesi (2000 abitanti). Il villaggio sarebbe stato organizzato secondo un modello cooperativistico con la gestione centralizzata di tutti i mezzi meccanici. Il progetto rimane incompiuto. Il vasto programma di sviluppo italiano, determinante per aver fornito al paese una base minima di infrastrutture e servizi, subisce un colpo d’arresto a causa dello scoppio della guerra nel 1940. Successivamente si instaura un regime comunista con a capo il partigiano Enver Hoxha e l’Albania diventa parte integrante del blocco orientale socialista. Di questo periodo è il piano quinquennale di sviluppo ed industrializzazione del territorio; i progressi sono ovunque sensibili: sul piano economico, nella produzione di energia elettrica, nella valorizzazione delle risorse minerarie e petrolifere, nelle opere idrauliche, nelle infrastrutture di comunicazione, ma anche nei servizi, nella sanità e nella scuola. Il principale distretto di intervento è quello di Durazzo e Tirana, in cui vengono localizzate le maggiori industrie meccaniche, chimiche e alimentari. Il tracciato viario realizza una connessione lineare lungo la quale si concentrano iniziative residenziali e produttive in gran parte spontanee. Nel 1950, il dittatore, schierandosi con la Cina e uscendo dalla sfera d’influenza dell’URSS, porta il paese ad un isolazionismo, sia economico che culturale, causando la caduta del regine nel 1985. Negli anni 90’, l’instabilità della zona balcanica, legata a numerosi conflitti, e la crescente corruzione hanno aggravano la situazione socio-economica. In questo periodo, infatti, si assiste ad una consistente migrazione della popolazione albanese dalle campagne alle città o al di fuori dei confini nazionali. Il processo di abbandono delle campagne è ulteriormente viziato dagli ingenti capitali esteri riapparsi nel paese dopo la caduta del regime, investiti per via della bassa pressione fiscale e finalizzati a sostenere un terziario fittizio. Essi hanno acuito il divario sociale nella popolazione e hanno incentivato un accentramento della popolazione nei poli principali, in cui non era ancora possibile avviare attività realmente produttive. Attualmente la situazione sta moderatamente cambiando, ma senza ancora mostrare netti segni di miglioramento, a causa delle recente crisi internazionale. L’Albania ha come principale partner l’Italia, e sta tentando di creare opportunità per l’insediarsi di attività produttive patrocinate da quest’ultimo.

4. Tematiche progettuali Le varie tematiche emerse nel nostro progetto sono parti di un sistema e quindi strettamente legate le une alle altre; riteniamo infatti che le strutture siano inscindibili dalle sovrastrutture, nell’ambito di un programma urbanistico su così vasta scala. Tuttavia per comodità e semplificazione nell’esposizione procederemo evidenziando le singole tematiche per punti, ma è da tenere presente che nessuna di queste scelte è sostenibile se non all’interno di progetto complessivo. 4.1. Sistema infrastrutture

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Il sistema infrastrutturale albanese è frutto degli interventi messi in atto durante il periodo della dominazione italiana attraverso vari fondi amministrati dalla SVEA9. Dopo un periodo di studio circa i provvedimenti più urgenti da adottare, la SVEA progetta ed esegue, a partire dal 1927, importanti realizzazioni nel campo delle opere pubbliche. L’operato della SVEA il merito di aver apportato all’Albania i mezzi per la creazione della prima base indispensabile per ulteriori sviluppi di progresso. Durante gli anni di attività sul territorio albanese, la SVEA riesce a creare: oltre 270 km di nuove strade anche nelle zone montane; 1500 km di viabilità stradale sistemando strade pre-esistenti; un centinaio di ponti di lunghezza media e grande. La costruzione e la sistemazione di opere, in maggior parte, si è concentrata nella zona centrale dell’Albania, quindi a Tirana, e a Durazzo con il porto. A seguito del forte isolazionismo durante il periodo della dittatura di Hoxha sia la rete stradale sia quella ferroviaria hanno risentito di un forte degrado e abbandono. La rete ferroviaria realizzata dal fascismo è oggi inutilizzabile e non elettrificata per molte tratte. La rete stradale invece negli ultimi anni è stata interessata da interventi di migliorie e ammodernamenti; tuttavia gli interventi che vengono oggi realizzati sono solo per la connessione tra i centri più importanti, tralasciando gran parte della rete, soprattutto la parte del sistema stradale vallivo e di connessione ai centri minori. Nell’ottica del nostro intervento in Albania, volto anche a riconsolidare i centri più piccoli e quelli distribuiti nelle valli, con l’obiettivo di invertire la tendenza degli ultimi anni dell’inurbamento della popolazione che ha portato all’abbandono dell’agricoltura, il nostro progetto prevede la risistemazione dell’assetto stradale partendo dalla viabilità secondaria, in modo da riallacciare e agevolare gli spostamenti e riequilibrare la tendenza insediativa. Il progetto prevede la realizzazione di una dorsale principale nord-sud che attraversa il paese lungo la costa, diventando una parte della transbalcanica che parte da Trieste e arriva a Igoumenitsa. Lungo questa dorsale prevediamo delle secanti che percorrono il paese in senso longitudinale proiettandosi verso l’est Europa e attraversando le valli. Queste traverse avrebbero lo scopo principale di riallacciare le valli al nucleo del paese e, superando le montagne a est, di garantire l’accessibilità verso i paesi confinanti. In questa logica la trasversa più importante per gli scambi commerciali è quella che, a partire da Durazzo, collegando Tirana e Elbasan, muove verso la Macedonia: il corridoio europeo VIII che collega il Mar Adriatico al Mar Nero. Il corridoio VIII risulterebbe vitale per l’Albania: andrebbe a intercettare sia l’asse che, partendo da Atene e passando per Skopje, punta verso l’alto est Europa, sia il corridoio adriatico baltico, che nella nostra ipotesi sarebbe rafforzato anche da una via su gomma rappresentata dalla transbalcanica. La seconda fase prevede l’ammodernamento della rete ferroviaria: prima la sistemazione dei tratti già funzionanti rendendoli elettrificati, poi ripristinando e ampliando la rete ferroviaria Durazzo-Tirana-Elbasan fino al confine con la Macedonia. Questa ferrovia potrebbe anche avere la funzione di metropolitana urbana, permettendo la connessione tra i tre poli nell’arco di un’ora. Oltre a questi interventi sulla tratta verso la Macedonia, si prevedono anche i necessari ammodernamenti sulla tratta nord-sud, da Skoder a Girocastro fino alla Grecia. 4.2 Il policentrismo albanese (Durazzo-Tirana-Elbasan)                                                             9 La SVEA (Società per lo Sviluppo Economico dell’Albania), costituita nel 1925, ha lo scopo di creare opere di civilità e progresso in Albania attraverso l’emissione di un prestito per i lavori pubblici. Tra le opere urgenti risultavano: strade, opere per lo sviluppo agricolo, prosciugamento di paludi, creazione di una banca di emissione, attività di ricerca per scoprire ricchezze minerarie.

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Attualmente la popolazione albanese (circa tre milioni di abitanti) è concentrata per oltre la metà nell’area compresa le città di Durazzo, Tirana e Elbasan (circa 100 kmq) Dopo la caduta del regime, si è assistito a un fenomeno di forte inurbamento con il risultato di aver accresciuto notevolmente la popolazione dei tre centri e un consequenziale abbandono delle aree rurali. Le distanze tra le tre città sono relativamente brevi e con l’ammodernamento delle infrastrutture, verrebbero garantiti alla popolazione di quest’area facili spostamenti nell’arco di una giornata. Nel nostro progetto prevediamo lo sviluppo di specifiche attività per ogni polo. Ogni polo, grazie alle nuove connessioni, farebbe parte di un sistema policentrico di scambi e attività. La capitale (Tirana) andrebbe a ricoprire le funzioni amministrative e legate a un terziario avanzato indirizzato verso la logistica. Elbasan, ripristinato il polo industriale dismesso, ricoprirebbe l’avamposto della filiera meccanica e di semilavorati dei materiali minerali provenienti dalle vicine valli. Durazzo, con il nuovo porto, ricoprirebbe il principale polo di scambio dell’Albania, oltre a ospitare attività legate alla produzione di sale e acqua cultura e prime lavorazioni per le merci in transito. Il nostro obiettivo è, dunque, quello di stabilizzare gli insediamenti che appartengono all’anello Durazzo-Tirana-Elbasan, mettendoli al servizio della periferia attraverso un’organizzazione su ferro e gomma. 4.3 Il ripopolamento delle valli La forte tendenza di inurbamento della popolazione albanese, caratteristica degli ultimi decenni, ha creato forti squilibri demografici nel paese. Questo inurbamento ha causato un progressivo abbandono delle valli e, conseguentemente, delle attività agricole. Invertendo la tendenza, riportando quindi attività economiche e condizioni più favorevoli per la mobilità, ci potrebbe essere un nuovo riequilibrio della distribuzione della popolazione albanese, in favore delle zone rurali. Questo processo, oltre a portare investimenti e attività legate alla salvaguardia del suolo con interventi di consolidamento e di prevenzione del terreno, potrebbe garantire il ritorno di attività legate all’agricoltura e alla filiera agroalimentare. 4.4 Il nuovo porto di Durazzo Il nuovo porto di Durazzo, sito a 6 km a nord dell’attuale, sul sedime dell’antico Porto Romano, diventerebbe il terminale del corridoio VIII sul Mar Adriatico, mentre il porto esistente rimarrebbe come terminal passeggeri. Il nuovo porto entrerebbe a far parte del sistema delle Autostrade del Mare, innestandosi sul corridoio Adriatico-Baltico. Il porto, che occuperà una superficie di circa due milioni di metri quadrati, sarà dotato di un retro porto sufficiente ad ospitare aree per le prime lavorazioni, lo stoccaggio e il deposito temporaneo. Prevediamo, inoltre, la realizzazione di un canale navigabile che colleghi il nuovo porto commerciale all’area della produzione del sale e, tramite la realizzazione di un nuovo ramo ferroviario, il collegamento con la linea ferroviaria nazionale. 4.5 Ricerca e settore delle costruzioni

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Dal 2005 il governo albanese ha dato vita a un programma per lo sviluppo e la creazione di cementifici e attività legate al campo delle costruzioni. A oggi, dei dieci cementifici previsti, ne sono stati realizzati sei di nuova generazione. Obiettivo del programma di governo è la piena autosufficienza, nell’ambito del cemento, dell’Albania, che fino a qualche anno fa dipendeva interamente dall’Italia. Nell’ambito dello sviluppo economico dell’Albania sarebbe necessario un incremento del settore delle costruzioni orientato verso la modernizzazione delle infrastrutture e la messa in sicurezza del territorio. Sempre nel campo delle costruzioni, un ambito di possibile sviluppo potrebbe essere quello legato al restauro del moderno. Questo campo di ricerca, in realtà, potrebbe garantire nuovi sbocchi legati al riutilizzo di edifici anche di minor valore storico, sviluppando il know how necessario per le applicazioni edili nel campo della riconversione di edifici abbandonati o del ripristino. Lo sviluppo di tecnologie e di nuove procedure per l’approccio a edifici recuperare dovrebbe essere compiuto dalle nuove facoltà di ingegneria, architettura e restauro di Tirana. Questo avverrebbe in prossimità e in collaborazione con piccole e medie aziende delle costruzioni già presenti sul territorio albanese e potrebbe dare nuovi impulsi all’economia albanese. Il nuovo indirizzo da dare al settore delle costruzioni potrebbe essere facilmente esportato, andando a toccare temi fortemente attuali: dalla tutela del suolo alla limitazione dell’uso di terreno per le nuove costruzioni, puntando sul riutilizzo e ripristino di vecchi edifici.

5. Analisi macroeconomica: coerenza regionale e analisi della popolazione

Il progetto descritto è stato valutato nella sua fattibilità attraverso l’analisi della situazione economica, attuale e in serie storica, di alcune grandezze economiche principali: popolazione, reddito procapite, occupazione e produttività del lavoro. Il caso albanese presenta numerose problematiche nell’analisi dei dati, soprattutto nel ricostruire una serie storica: infatti, a causa dell’isolazionismo del periodo comunista, disponiamo di dati carenti per il periodo precedente agli anni Novanta. Come già accennato nelle pagine precedenti, la situazione dell’Albania al termine della dittatura era profondamente drammatica: le scelte politiche di Hoxha avevano bloccato sul nascere le iniziative messe in atto nel quinquennio ‘45-‘50 dall’Unione Sovietica, che aveva stanziato fondi e messo a disposizione tecnici per l’industrializzazione. I primi dati degli anni ‘90 mostrano un paese prevalentemente agricolo, con una percentuale della popolazione attiva impiegata nel primo settore pari all’80%, nel terziario pari al 15% (soprattutto funzionari statali) e 5% nell’industria. Insieme a questo dato iniziale è doveroso analizzare i dati relativi alla demografia per poter delineare un quadro coerente della situazione attuale in cui si trova l’Albania. Nel ventennio dal ‘70 al ‘90 la tendenza della popolazione è in crescita con un tasso del 2,4% annuo, ma è dagli inizi degli anni ‘90 che il dato inizia a essere rilevante: a causa delle forti migrazioni, soprattutto verso l’Italia, condizionate dallo stato di povertà e dalle tensioni nell’area balcanica, il tasso mostra un’inversione di tendenza con il -0,4% nel decennio 1990-2000 e il -0,5% 2000-2010.

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A questo punto diventa interessante confrontare questo dato con gli occupati nei vari settori: dal 2000 al 2010 il settore agricolo crolla vertiginosamente dal 77% degli occupati al 40% a fronte di una leggera crescita dell’industria, che arriva ad attestarsi al 20%, e un’esponenziale crescita del terziario che raggiunge il 40%. Questi fattori, uniti alla crescita vertiginosa della popolazione urbana nelle tre città principali di Tirana, Durazzo e Elbasan, sono sintomo dell’abbandono delle campagne a favore della crescita delle periferie urbane, che vanno così ad aumentare la fascia dei disoccupati, non riassorbibili dal piccolissimo settore industriale o dal settore terziario, gonfiato da investimenti stranieri spesso riconducibili ad agevolazioni fiscali, tramite lo spostamento delle sedi legali. La causa di questi fenomeni è data dal fatto che il piccolo stato albanese, 3.000.000 di abitanti, si è ritrovato nel periodo post comunista ad attirare forti investimenti dall’estero, però legati a fenomeni di speculazione sia finanziaria che edilizia. Forse è proprio per questo motivo che nel 2005 il governo ha messo in cantiere la realizzazione di una serie di cementifici per arrivare all’indipendenza dal materiale da costruzione, di cui oggi è necessaria l’importazione. Al fine di bloccare questo fenomeno di speculazione edilizia, la crescita del settore edilizio andrebbe reindirizzata, attraverso il mercato alternativo, verso la tutela del suolo la modernizzazione delle infrastrutture e il recupero del patrimonio edilizio abbandonato. I progetti di ammodernamento delle infrastrutture e di recupero del costruito potrebbero riportare la popolazione nei territori rurali non più scollegati dal resto del paese, dove poter riavviare le attività nel settore agroalimentare. Elbasan, recuperando la sua vocazione industriale, potrebbe diventare il nuovo polo dove insediare le prime industrie di meccanica, insieme al recupero di attività legate alla prima lavorazione dei prodotti minerari di cui l’Albania è ricca. Attraverso questi interventi si porrebbero le basi per il riequilibrio del settore agricolo e si arginerebbe contemporaneamente il fenomeno dell’inurbamento. Tuttavia, assumendo le teorie di Samir Amin, il settore industriale non potrebbe mai, in particolare nella fase iniziale, riassorbire i lavoratori che hanno abbandonato il settore agricolo; si dovrebbe procedere con una lenta diminuzione degli impiegati nella filiera agroalimentare e contemporaneamente meccanizzarla per una produzione agricola più moderna e non solo legata alla sussistenza. Proseguendo con il programma delle attività, il terziario dovrebbe essere canalizzato verso la fornitura di servizi di logistica attraverso il porto di Durazzo, che dovrebbe assumere il ruolo di terminale del Corridoio VIII. In questa logica si potrebbero anche sviluppare attività legate alle prime lavorazioni, non solo della nuova filiera agricola, ma anche delle merci di passaggio attraverso il corridoio VIII o attraverso la trans balcanica. L’attuazione di questi programmi potrebbe garantire una crescita a 25 anni del PIL pro capite fino alla soglia dei 15.000 dollari anno, contro i 3.000 dollari attuali. Per quanto riguarda la popolazione si potrebbe considerare una crescita allineata a quella dei paesi dell’unione Europea intorno allo 0,1% annuo, con tassi di fecondità di due figli per famiglia.

6. Casi studio 6.1 Cenni storici – Tirana

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La forma della città è spesso espressione della forma di governo esistente, infatti, vi è uno stretto rapporto tra la sua costruzione fisica e la costruzione di una società. Così è anche per Tirana. Le strutture urbane e i suoi edifici raccontano la storia delle vicende politiche che l’hanno attraversata. La città musulmana fondata nel 1614 con la costruzione della moschea di Sulejman Pasha, ha subito un’espansione spontanea, priva di pianificazione, e solo dopo la sua trasformazione in città capitale del Regno d’Albania, fu ridisegnata dal governo fascista perché lo rappresentasse. Il periodo di intensa collaborazione tra l’Albania e l’Italia, dal 1923 al 1943, può essere suddiviso in due fasi, sia sotto il profilo storico sia urbanistico e architettonico. La prima dal 1920 al 1939, è il periodo che va dalla dichiarazione di Tirana capitale alla caduta della monarchia, caratterizzato dalla presenza sulla scena politica albanese di Re Zog e dall’intensa collaborazione tra il Regno d’Italia e il Regno d’Albania. La seconda fase, dal 1939 al 1943, è il periodo dell’unificazione dell’Albania con il Regno d’Italia e quindi del governo fascista. Il 20 gennaio 1920, il Congresso di Lushnjë dichiara Tirana capitale dell’Albania. La scelta ebbe, probabilmente, ragioni geopolitiche, non essendo né la città più grande né quella più significativa sotto il profilo storico. Con l’unificazione dello Stato era importante che la posizione della nuova capitale fosse il più possibile al centro del territorio della nazione per favorire i rapporti tra le diverse regioni, del sud e del nord, ed il territorio di Tirana era particolarmente adatto per consentire lo sviluppo di una città moderna: era pianeggiante, racchiuso tra due fiumi, il Tirana e il Lana, protetto dal monte Dajti, con un clima mite, e non troppo lontano dal mare e dal porto di Durazzo. Era facilmente accessibile attraverso le strade che provenivano da Elbasan, Dibra, Durazzo, Scutari e Kavala che arrivavano fino al suo centro. Prima dell’intervento italiano, Tirana aveva non più di 15000 abitanti e una struttura tipica delle città islamiche. Il luogo dove fu costruita la moschea di Sulejman Pasha è il crocevia delle strade che dal resto del territorio giungevano a Tirana e strutturavano il centro della città. Aveva ancora un aspetto rurale, con strade sterrate, edilizia bassa isolata costruita con materiali poveri, un sūq fatto di strutture precarie e moschee di piccole dimensioni. Il primo piano regolatore di Tirana redatto per costruire la capitale della nuova nazione albanese ebbe una gestazione piuttosto lunga: dal 1923 al 1929. Su incarico del Ministero degli Esteri Italiano e sotto il controllo di Re Zog I, il progetto fu redatto dall’architetto romano Armando Brasini, ila quale elaborò per Tirana diverse ipotesi, anche se nessuna realizzata. Fu comunque un contributo importante perché le sue idee gettarono le basi per tutti i piani successivi. Quello di Brasini è il progetto di una Tirana monumentale e romana basato sull’idea di una nuova città, che si doveva strutturare intorno alla piazza dei Ministeri e lungo un asse urbano, con orientamento nord-sud, che separava la nuova città da quella esistente, caratterizzato da edifici pubblici, sul quale si imponeva il palazzo presidenziale. La piazza dei Ministeri si configurava come una grande piazza circolare, conformata dagli edifici ministeriali. Da questo spazio si irradiavano gli assi della struttura urbana circostante, che al contorno formavano isolati trapezoidali e un sistema di strade anulari. L’idea del grande boulevard e, soprattutto, l’impostazione di una città conformata secondo una concezione monumentale dello spazio pubblico sono i principi su cui si fondarono le scelte contenute nei piani successivi. Nel 1926 fu elaborato un primo piano di struttura per l’intera città esistente firmato da Eshref Frashërei, Castellani e G. Weiss. Rispetto a quella immaginata da Brasini è una città meno scenografica, che si definisce in continuità con il sistema di relazioni spaziali esistenti. Il piano propone una struttura policentrica e gerarchica, organizzata attraverso una sequenza di piazze e assi che riconnettono i vecchi spazi ai nuovi. Vengono progettate nuove strade, ampliate quelle esistenti e aperte quelle a cul-de-sac in modo da collegare tra loro i tracciati e creare una maglia continua. È una griglia che rompe la struttura urbana esistente imponendo un modello regolare, fatto di isolati e spazi formalizzati. Nel complesso si tratta di un modello che, nonostante gli elementi di continuità con l’esistente, determina una rottura radicale con il passato e imprime alla città una nuova organizzazione urbana e sociale. Nel 1928 è redatto il primo schema di piano che si estende all’intera città. Il piano del 1926 viene ripreso quasi integralmente ed il perno dell’intera composizione urbana rimane il centro di Tirana, la piazza dei

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ministeri, il boulevard e il palazzo presidenziale. Le strade a lunga percorrenza provenienti da Elbasan, Durazzo, Dibra, Scutari e Kavala passano ancora tutte per il centro e non si prevedono strade di raccordo trasversali in grado di canalizzare il traffico di transito nella cintura esterna. La città non sembra avere confini o limiti ancora stabiliti, è un sistema aperto che si espande in tutte le direzioni. Nel 1929 fu elaborata la versione finale del piano regolatore. L’unica differenza sostanziale è il boulevard che diventa una struttura dalle dimensioni monumentali, lungo 4,5 chilometri, che taglia in due la città da nord a sud. La città è inscritta in un cerchio perfetto e lungo il perimetro sono individuati otto vertici, due determinati dall’intersezione del grande boulevard, gli altri da assi stradali e dal fiume Lana. Nello stesso periodo inizia la costruzione della piazza dei Ministeri, progettata da Florestano di Fausto: un’ellisse a due fuochi sulla cui direttrice sono collocati gli edifici ministeriali. La moschea di Et’hem Beu’s si affianca al Ministero dell’Economia e dell’Istruzione a formare una continuità con essi. È un disegno che gioca su equilibri geometrici, sulla proporzione degli edifici e sulla simmetria di composizione. Quello del 1929, venne attuato per circa un decennio. In vent’anni la città si era profondamente trasformata e arricchita di infrastrutture e servizi e questo grazie al consistente apporto finanziario dell’Italia operato attraverso la S.V.E.A. La sua estensione era quasi triplicata e i suoi abitanti passati da 15.000 a 35.000 unità. Le aree su cui si era concentrata l’edificazione erano localizzate lungo due direttrici: ad ovest era stata ampliata la consolare per Durazzo e lungo questa direttrice erano state collocate diverse fabbriche e costruito l’aeroporto; mentre a est, lungo la dorsale di Dibra, era stato costruito il grande complesso dell’ospedale civile, la scuola tecnica, l’istituto di biochimica e alcune caserme. Il vasto programma di sviluppo italiano fu frenato dallo scoppio della guerra nel 1940, così nei quattro anni di gestione del piano, dal 1939 al 1943, furono approntati numerosi progetti, molti dei quali rimasero sulla carta mentre molte opere, sebbene iniziate, rimasero incompiute. Si scelse di pianificare una città monocentrica con una struttura radiale e una maglia ad anelli concentrici, in cui prevaleva un atteggiamento rigoroso e funzionalista. Le strutture ereditate dovevano essere ripensate secondo una diversa visione. L’asse urbano fu ridimensionato e il centro della vita politica fu spostato dalla piazza del Parlamento alla piazza delle Adunate. In sostanza Gherardo Bosio, l’architetto incaricato, scelse di polarizzare fortemente le gerarchie urbane concentrando quelle rappresentative del regime lungo il boulevard nel tratto oltre il fiume Lana, il viale dell’Impero, dove si sarebbero sviluppati i nuovi quartieri residenziali. Come terminale del sistema, al posto del palazzo residenziale, fu collocata la piazza delle Adunate, nella quale avrebbe dominato la Casa del Fascio, anch’essa posta su un alto basamento, visibile lungo il viale. Il viale dell’Impero assunse, quindi, un carattere prevalentemente pubblico e al contempo politico con un forte richiamo metaforico, destinato a celebrare i valori dell’etica eroica. Lungo il suo percorso furono previsti gli edifici di rappresentanza e i comandi militari (il Comando delle Truppe, il Comando dell’aeronautica, il Comando della Milizia Forestale, e gli uffici dell’OPA) e a metà gli Uffici Luogotenenziali e la sede dell’INFAIL (Istituto Nazionale Fascista per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro). Nella piazza delle Adunate trovarono spazio, oltre alla Casa del Fascio, l’edificio dell’Opera Dopolavoro Albanese, la Casa della Gioventù del Littorio Albanese, e lo Stadio. La sede stradale del viale fu progettata con cinque carreggiate che consentivano la sosta laterale e ampi marciapiedi alberati ai bordi per il passeggio. Il rapporto tra il viale dell’Impero e i nuovi quartieri fu risolto con la formazione di due viali paralleli che correvano sui due lati e che quindi consentivano un’alternativa all’asse principale. È su questi fronti che furono previsti gli edifici residenziali. L’atteggiamento di Bosio di volersi distaccare dalle architetture preesistenti è evidente: non si cerca l’unità dello spazio ma un modo per definire la separazione tra le architetture di Florestano di Fausto e quelle nuove, come se fossero entità distinte. Complessivamente il piano fu dimensionato per 130.000 abitanti, con una densità di 130 ab/ettaro. In prevalenza si trattava di edilizia estensiva, fatta di case basse, una sorta di città giardino ordinata razionalmente all’interno di una maglia regolare. Con lo stesso criterio con cui si pensava alla città nuova si interveniva nella città esistente: tramite la sovrapposizione delle strutture, principio generale del regime che prevedeva il sovrapporsi a qualsiasi forma di preesistenza locale come espressione concreta di controllo e di

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dominio. La politica messa in atto con i diradamenti, le aperture e i collegamenti delle strade, di fatto cancellava e alterava profondamente i segni del tessuto storico preesistente, caratterizzato da strade chiuse che terminavano in corti dove si svolgevano le relazioni familiari. Si operò una classica suddivisione in quartieri di abitazioni signorili, quartieri per la classe media e per il ceto popolare e ancora in zone commerciali. Per quanto riguarda le infrastrutture: al boulevard fu affidato il ruolo di collegamento trasversale; le consolari preesistenti, provenienti da Durazzo, Valona, Elbasan e Dibra, che confluivano all’ingresso della città, furono invece convogliate in una circonvallazione in modo da smaltire e ridurre il traffico di attraversamento. Le stesse consolari entrano in città come veri e propri viali urbani con un’ampia sezione stradale e con alberature sui due lati. Alla circonvallazione esterna corrispondevano all’interno della città altre strutture urbane poste a cerchi concentrici con un passo regolare in modo da garantire una maglia urbana continua. Il piano dotava la città anche di un aeroporto, localizzato ad est, lungo la strada per Durazzo; mentre a sud/est, al di là della circonvallazione ma nello stesso quadrante dove si prevedeva di sviluppare i nuovi tessuti edilizi, era previsto l’arrivo della ferrovia e di conseguenza la stazione centrale. Nel 1943 gli italiani furono costretti ad andare via dall’Albania. Tutti i lavori cominciati furono sospesi. Anche la città costruita nel periodo socialista non ha potuto che continuare, per molti aspetti, l’impianto disegnato in precedenza: le grandi corti di edilizia residenziale hanno ripreso lo schema del piano di Bosio, anche se il linguaggio assunto fu quello consentito dal regime comunista. È con la caduta dei regimi che nuovamente Tirana si riapre al mondo esterno e recupera la sua vocazione di città aperta al nuovo. In quest’ottica si inquadra la politica urbana recente, che ha proiettato la città nuovamente nel contesto internazionale attraverso nuovi interventi urbani. 6.2 Progetto – Tirana I lasciti dei regimi totalitari sono alla base di ciò che oggi è Tirana. La struttura della città è ancora quella disegnata dagli architetti italiani. L’asse tracciato da Brasini continua a costituire il nucleo monumentale della città, oltre che l’unica arteria scorrevole. Lungo questo asse si allineano i monumenti dell’ultimo secolo della storia albanese, edifici fascisti si succedono ad altrettanti edifici comunisti. Tirana, città scelta come capitale per la sua posizione territoriale strategetica, attualmente non presenta un piano di accessibilità extraurbano ed urbano idoneo. L’analisi e la successiva soluzione viabilistica sono alla base del nostro progetto. La volontà è quella di riconnettere Tirana al territorio, tramite la riorganizzazione del sistema viario e ferroviario nazionale, e successivamente scendere di scala, focalizzandoci sull’accesibilità urbana. Le principali carenze viabilistiche extraurbane riguardano i collegamenti della capitale alle città circonstanti. Per ovviare a ciò abbiamo pianificato una sorta di anello su gomma e su ferro, che facilita e velocizza gli spostamenti tra Tirana, Durazzo, Progozhine ed Elbasan, coinvolgendo anche i centri più piccoli. Per quanto riguarda la viabilità urbana, essa è sostanzialmente costituita da una duplice circonvallazione tagliata da più secanti. Il primo raccordo anulare è ad alto scorrimento e permette un’accessibilità perimetrale alla città; il secondo, il più interno, connettendo le aree centrali, risulta essere caratterizzato da una viabilità locale. Le secanti sono tre: la prima da nord-ovest verso Durazzo a sud-est verso Elbasan; la seconda da nord-est verso Klos a sud-ovest verso Elbasan; la terza da est verso Linze a ovest verso Durazzo. In sintesi viene mantenuto il crocevia delle strade che dal resto del territorio giungono a Tirana. La differenza sostanziale è che esse, in corrispondeza del vero e proprio centro della città, diventano ipogee. Infatti il nostro obiettivo primario è quello di tutelare la realtà locale, garantendo un’accessibilità differenziata e privilegiata nel centro città. L’asse nord-sud viene concluso tramite la progettazione dell’area circostante la stazione. Quest’ultima, da stazione di testa, diventa passante, garantendo non solo il collegamento ferroviario tra Tirana e Durazzo, ma anche quello tra Tirana ed Elbasan e viene annessa alla

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stazione delle autolinee urbane ed extra-urbane, diventando un vero e proprio luogo di interscambio su ferro e su gomma. L’area di interesse progettuale, che corrisponde alla chiusura dell’asse monumentale a nord, presenta anche un polo universitario con all’interno facoltà scientifiche e umanistiche, residenze per studenti, un mercato coperto ed aree verdi. Resta fondamentale la connessione tra la nuova chiusura dell’asse e il suo inizio a sud, in corrispondenza del Politecnico di Tirana. Essa è garantita dalla completa pedonalizzazione dell’arteria viaria, ad eccezione della transitabilità residenziale e dal riassetto dei mezzi pubblici, che assicura un trasporto veloce e continuo. In conclusione, tramite la riorganizzazione viabilistica a scala macrourbanista e microurbanistica e la conseguente riqualificazione urbana, Tirana acquisisce un ruolo rilevante come ponte tra Occidente e Oriente, tra i Balcani e il Mediterraneo.

7. Il nord Africa Dalla fine della seconda guerra mondiale in poi, il Nord Africa si è scoperto essere un paese dalle ricche risorse naturali. La Libia, nel giro di un ventennio, è passata dall’essere lo “scatolone di sabbia” all’essere un’oasi petrolifera. Da un punto di vista politico, invece, dall’imperialismo mussoliniano formale si è passati all’imperialismo occidentale di fatto, dove gli stati occidentali hanno appoggiato regimi che permettessero accordi vantaggiosi, per la propria nazione, per la compravendita di petrolio. Negli ultimi tre anni il nord Africa è stato attraversato da importanti e profonde trasformazioni. Trascurando in questo capitolo le differenze e le peculiarità delle singole realtà (si veda l’appendice), i paesi arabi sono accomunati da problematiche politiche e socio-economiche simili: longevità dei regimi, autoritarismo, forti restrizioni alle libertà individuali, pressione demografica, elevata disoccupazione, povertà diffusa. I cambiamenti in atto sollevano una serie di interrogativi, sia sugli sviluppi politici interni dei paesi in questione sia sulla ridefinizione degli equilibri e dei giochi regionali. Parallelamente, tali cambiamenti richiedono una nuova riflessione sui possibili scenari per l’area. La vittoria dei partiti di ispirazione islamica è stato il primo importante risultato della Primavera Araba e, allo stesso tempo, l’elemento che accomuna tutti i paesi – dalla Tunisia al Marocco all’Egitto – in cui si sono svolte delle consultazioni elettorali. Se istanze di cambiamento e di apertura politica emergono in molti paesi della regione mediterranea, resta ancora da vedere in quale direzione evolveranno i processi in atto in campo politico ed economico. A tre anni dallo scoppio delle prime rivolte, il quadro dei paesi del Nord Africa si presenta variegato e composito. La Tunisia dopo le elezioni di ottobre 2011 sembra avere imboccato la strada del cambiamento sotto la guida del partito islamico Ennahda, sebbene non manchino difficoltà e tensioni interne soprattutto con le forze salafiste. In Egitto il processo di transizione sotto la guida dei militari ha portato alle elezioni nel giugno 2012 in cui l’esponente dei Fratelli Musulmani, Mohamed Morsi, è diventato il primo presidente democraticamente eletto, rimasto in carica per circa un anno e destituito il 3 luglio 2013. La situazione politica del paese è lontana dall’essere stabilizzata, le tensioni tra forze politiche permangono molto forti, soprattutto sui contenuti della nuova Costituzione. Ancora più difficile e incerta è la situazione in Libia, nonostante il recente insediamento del nuovo governo.

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Se la produzione energetica ha ripreso quasi a pieno regime, il paese non è ancora pacificato – esistono ancora fazioni di ribelli armate – e si trova ad affrontare un processo di ricostruzione che deve iniziare dalla creazione di nuove istituzioni. I vecchi regimi avevano lasciato una situazione economica complessivamente non brillante, ma relativamente stabile. Le riforme economiche erano state compiute, anche se i benefici non avevano riguardato la maggioranza più povera di quei Paesi. La crescita economica è comunque stata modesta negli ultimi trent’anni. Il peso del Nord Africa rimane scarso rispetto all’incremento globale. A parità di potere d’acquisto, si è addirittura ridotto, arrivando solo all’1,37% del PIL mondiale nel 2011. Al contrario, la crescita della popolazione è stata relativamente sostenuta (la popolazione del Nord Africa nel 2011 è pari al 2,4% circa di quella mondiale), rendendo nel tempo sempre più difficile la crescita del reddito pro capite. La forbice tra demografia e sviluppo economico insufficiente è una delle cause primarie dell’esplosione delle rivolte. Altri effetti della crisi politica sulle variabili macroeconomiche riguardano le finanze pubbliche e il tasso di disoccupazione. Le prime nei paesi del Nord Africa sono in media più virtuose di quelle dei vicini della sponda nord del Mediterraneo, ma le politiche espansive adottate per fronteggiare la crisi stanno facendo crescere ovunque il peso del deficit sul PIL, che da livelli molto bassi sta salendo velocemente. Infine, con il rallentamento dell’attività economica, è aumentato il tasso di disoccupazione, in particolare in Egitto e Tunisia.

8. Tematiche progettuali Le varie tematiche emerse nel nostro progetto sono parti di un sistema e quindi strettamente legate le une alle altre; riteniamo infatti che le strutture siano inscindibili dalle sovrastrutture, nell’ambito di un programma urbanistico su così vasta scala. Tuttavia per comodità e semplificazione nell’esposizione procederemo evidenziando le singole tematiche per punti, ma è da tenere presente che nessuna di queste scelte è sostenibile se non all’interno di progetto complessivo. 8.1. Sistema infrastrutture La fascia costiera del nord Africa attualmente risulta essere l’area più densamente popolata dei Paesi da noi considerati, con eccezione dell’Egitto dove la contrazione si sviluppa lungo l’asse del Nilo. Partendo da questo dato e dalla volontà di creare un “argine” all’avanzamento dei deserti, abbiamo pensato di sfruttare un’opera infrastrutturale, un ponte, in fase di progettazione e sovvenzionato dall’Arabia Saudita, che dovrebbe connettere l’Arabia Saudita all’Egitto passando per la penisola del Sinai. Da questo punto di partenza abbiamo pensato di sviluppare un asse stradale che attraversi tutti e cinque gli stati per 5000 km ad una distanza di circa 450 km dalla costa, in modo da garantire facili trasferimenti costa-asse, sul quale si potranno innestare i nuovi centri abitativi per antropizzare l’area.

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Questo sistema stradale vede come testa la città portuale marocchina di Rabat, sull’oceano atlantico, e dall’altro capo, tramite il ponte verso l’Arabia Saudita, si raccorderebbe con gli assi stradali che si diramano verso la Turchia passando per Siria e verso l’Iran attraverso l’Iraq. Quindi questo asse andrebbe a creare nuovi assetti nei trasporti e nelle comunicazioni a livello mondiale riconnettendo l’area del Medio Oriente e dell’Eurasia all’Oceano Atlantico, dando nuove opportunità di autonomia e di sviluppo per gli stati interessati da questi interventi. Inoltre questo asse potrebbe diventare secante, quindi punto di snodo, delle vie per il centro Africa: il sistema si costituisce di un’asse orizzontale e un’insieme di assi perpendicolari di connessione con i principali centri costieri, e in alcuni punti questi assi verticali potrebbero continuare diventando secanti, per procedere verso gli stati sub sahariani. Questo sistema di infrastrutture andrebbe cosi a riconnettere e a fungere da cerniera tra il Maghreb e il Mashrek e i paesi centro africani con quelli del nord africa garantendo poi uno sbocco verso il Mediterraneo, o lungo l’asse verso il medio oriente o l’Oceano Atlantico. 8.2 Città di fondazione e città d’espansione Al fine di antropizzare l’area in questione e considerando l’idea progettuale relativa all’asse stradale di 5000 km, si è posta la necessità di intercettare i principali centri già abitati e ipotizzare la fondazione di nuovi nuclei urbani lungo l’asse. Nelle ipotesi progettuali abbiamo quindi pensato di innescare un fenomeno opposto a quello dell’inurbamento, tipico delle realtà in via di sviluppo. Infatti spesso avviene la movimentazione, con relativo abbandono, dai territori rurali verso la città alla ricerca di ricchezza e lavoro. Questi centri, di espansione e di nuova fondazione, hanno la funzione importantissima di diventare i luoghi di insediamento delle nuove attività produttive legate ad una prima lavorazione del petrolchimico (presenza della maggior parte dei pozzi di estrazione di gas e petrolio) e alla produzione di energia elettrica tramite centrali termodinamiche, diventando essi stessi dei poli agricoli e di concentrazione demografica. Saranno in grado di: - attrarre le popolazioni emigranti dai paesi meridionali e dal sud degli stessi, facendo diminuire, allo stesso tempo, la densità sulla fascia costiera, maggiormente congestionata; - catalizzare quelle politiche di intervento volte a creare le condizioni per un nuovo assetto economico, creandoopportunità economiche e possibilità di sviluppo per la popolazione. Il solare termodinamico permetterebbe, a questi stati, non solo di diventare paesi esportatori di energia elettrica, ma garantirebbero anche il fabbisogno energetico necessario per il pompaggio dell’acqua per le coltivazioni, l’abbattimento dei costi della desalinizzazione e la richiesta energetica della nuova filiera produttiva. I nuovi nuclei, posti lungo l’asse est-ovest, andrebbero a costituire un sistema abitativo distribuito, con distanze percorribili nell’arco di un giorno, al fine di garantire mobilità e scambi di individui e prodotti e una prima filiera produttiva. L’introduzione di tecniche moderne di coltivazione, unite alla realizzazione di infrastrutture per l’approvvigionamento dell’acqua, permetterebbe un rapido sviluppo della coltivazione di sussistenza, dando luogo a modificazioni climatiche che favorirebbero uno sviluppo di un’agricoltura produttiva in queste aree. 8.3 Flussi migratori Un altro punto rilevante nell’ambito della progettazione di una nuova fascia urbanizzata riguarda i flussi migratori.

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Il fenomeno della migrazione rappresenta un grave problema e, causando un progressivo abbandono delle terre, ha un ruolo determinante per l’avanzamento dei deserti. La migrazione in Africa può avvenire all’interno, dal centro al nord, o all’esterno, dal nord all’Europa attraverso il Mediterraneo e alla base di entrambi vi è un fattore economico legato alla mancanza di lavoro e alla ricerca di una “terra promessa”, in cui sono riposte le speranze per una vita migliore. Tra i due fenomeni, il primo è il più consistente ed è legato alla forte instabilità politica dei paesi centro africani: le continue guerre, spesso di carattere civile, sono legate all’alternarsi di poteri in vari ambiti, tra cui l’etnico, il religioso e il militare. Le politiche fin oggi attuate dall’Europa conseguono accordi finalizzati al blocco dei flussi migratori in modo repressivo, senza ipotizzare soluzioni alternative, e spesso si propongono come veri e proprie azioni di ricatto monetario. Considerando tutto ciò, la nostra proposta progettuale potrebbe diventare una vera e propria soluzione alternativa, atta a favorire la ricollocazione della popolazione destinata alla migrazione in aree urbanizzate, in cui poter effettivamente avere una vita migliore. 8.4 Sistema approvvigionamento idrico per l’agricoltura Un limite allo sviluppo dell’agricoltura e alla conseguente antropizzazione dell’asse è da rilevare certamente nel clima desertico e nell’assenza di acqua superficiale. In molte zone aride e semi-aride le falde acquifere fossili sono l'unica fonte disponibile di acqua. Tuttavia, in quanto riserve di acqua non rinnovabile, l'estrazione di queste risorse, nei modi a cui si è fato ricorso finora, è quasi sempre poco sostenibile. L’estrazione di acque fossili non rinnovabili è più significativa in Nord Africa e Medio Oriente: in Libia, Algeria e Arabia Saudita rappresenta, infatti, la principale fonte di acqua10. Esempio significativo è il Great Man Made River in Libia, un complesso di condotte sotterranee che si sviluppa per circa 3.500 km, convoglia l’acqua del sottosuolo (un bacino sotterraneo di 35.000 km cubi situato sotto il deserto del Sahara) desertico fino al golfo di Sirte e fornisce 6.500.000 metri cubi di acqua al giorno alle città di Tripoli, Bengasi e Sirte. Secondo alcune stime la falda acquifera del Sahara si esaurirà nell’arco di 60-100 anni11 se continuerà questo uso indiscriminato e non razionale delle acque. I paesi della penisola arabica stanno iniziando a vagliare le alternative, con la consapevolezza che lo sfruttamento delle falde freatiche fossili non è sostenibile a lungo termine. Una soluzione al problema posto dall’assenza di corsi d’acqua superficiali e dalla scarsità di precipitazione è proposta dal Sahara Forest Project12: un progetto che abbina due tecnologie: i sistemi a concentrazione solare (Csp) e le serre ad acqua marina. I primi consentono di produrre grandi quantità di elettricità a basso costo, utilizzando solo la parte di energia proveniente direttamente dal sole. Le cosiddette seawater greenhouse (serra ad acqua marina), sviluppate dall'ingegnere Charlie Paton13, usano invece il raffreddamento da evaporazione e in buona sostanza sfruttano l'acqua di mare per creare un sistema di raffreddamento basato su un processo di evaporazione e condensazione, indotto appunto da speciali collettori solari. Il prototipo di serra ad acqua marina può produrre fino a 100 litri di acqua fresca per ogni metro quadro di serra, sufficiente per irrigare la serra e una zona circostante più ampia.

                                                            10 Global Water Security – an engineering perspective, The Royal Academy of Engineering, Londra 2010 11 Stephen Lonergan, professore di geografia all’University of Victoria, Canada. 12 www.saharaforestproject.com 13 Fourth World Conference on the Future of Science Food and Water for Life – Venice, 24-27 settembre 2008

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La nostra proposta progettuale prevede anche l’adozione di sistemi d’irrigazione a goccia che garantiscono una regolamentazione dell’uso dell’acqua ed evitano grandi dispersioni, assumendo come modello Israele che con intelligenza ha modificato le tecniche agronomiche alzando il livello qualitativo in modo eccezionale. Elemento rilevante per favorire modifiche al microclima, in modo da garantire le condizioni necessarie per l’agricoltura, è la creazione di barriere verdi che possano proteggere le aree coltivate dai forti venti sahariani e che possano creare condizioni favorevoli di umidità e ombra. 8.5 Sistema sviluppo energetico (solare termodinamico) La fonte di energia più importante della Terra è costituita dai deserti della fascia subtropicale. Il progetto Desertec pone tecnologia e deserti a servizio della sicurezza energetica, idrica e climatica. A tale scopo è proposta una cooperazione tra Europa, Medio Oriente e nord Africa (EU-MENA) per la costruzione di centrali solari termodinamiche ed eoliche nei deserti della regione MENA. Questi impianti sono in grado di coprire il fabbisogno crescente di desalinizzazione dell’acqua marina e di produzione di elettricità in tali paesi e inoltre di generare corrente pulita che può essere trasportata in Europa mediante cavi a corrente continua ad alta tensione (HVDC High Voltage Direct Current), con perdite complessive limitate al 10-15%. La potenzialità di tale sistema consentirebbe di rendere il più possibile autonomi Paesi come Marocco, Tunisia, Algeria, Libia ed Egitto, capaci quindi di avviare ulteriori meccanismi di sviluppo. Mentre, per paesi come l’Australia, la Cina, l’India e gli Stati Uniti, la realizzazione del progetto DESERTEC sarebbe, per ovvie considerazioni geopolitiche, considerevolmente più semplice. Tutte le tecnologie per la sua realizzazione sono già disponibili e, in parte, già operative da decenni. Dati satellitari telerilevati e diversi studi del DLR (Agenzia Spaziale Tedesca) confermano l’abbondante disponibilità di energia solare. Le condizioni dell’approvvigionamento energetico e la situazione climatica impongono la necessità di sviluppare senza indugi questo progetto, per la cui realizzazione non mancano che la volontà politica e le necessarie condizioni al contorno. La Trans-Mediterranean Renewable Energy Cooperation (TREC) è stata fondata nel 2003 dal Club di Roma, l’Hamburger Klimaschutz-Fonds e il Centro Nazionale Giordano per la Ricerca sull’Energia (NERC): una rete internazionale di circa 60 membri, tra scienziati, politici ed esperti nel settore delle energie rinnovabili e nel loro sviluppo. TREC ha sviluppato e investigato, congiuntamente al DLR, il progetto DESERTEC e il suo attuale compito è di tradurre in pratica questo progetto unitamente a rappresentanti della politica, dell’industria e del mondo finanziario (per il rafforzamento di queste attività è attualmente in corso la creazione della Fondazione DESERTEC). La tecnologia solare più efficiente per la produzione di energia è quella termodinamica a concentrazione (Concentrating Solar Thermal Power, CSP). In tale tecnologia è previsto l’uso di specchi per concentrare la luce solare e creare così del calore, utilizzato per produrre il vapore necessario per il funzionamento delle turbine e dei generatori. Le quantità di calore in eccesso rispetto alla domanda possono essere immagazzinate in serbatoi di sali fusi e

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utilizzate per azionare le turbine nelle ore notturne o in corrispondenza di un picco della domanda. Per garantire la continuità del servizio in caso di cielo coperto è possibile alimentare le turbine anche con combustibili fossili o derivati dalle biomasse, senza bisogno, quindi, di costosi impianti di backup. Inoltre, il calore residuo del processo di generazione di energia può essere utilizzato (in cogenerazione) per desalinizzare l’acqua marina e produrre termico di raffreddamento – sottoprodotti preziosi per il benessere delle popolazioni locali. Le centrali a concentrazione sono da preferire a quelle più costose fotovoltaiche per una serie di motivi: le prime, a differenza delle seconde, sono in grado di produrre energia nell’arco di tutte le 24 ore e risultano più economiche. Infatti, l’immissione nella rete europea di corrente fotovoltaica fluttuante dai paesi del MENA richiederebbe sistemi di pompaggio in Europa per l’immagazzinamento e quindi una maggiore quantità di linee elettriche a fronte di un numero minore di ore giornaliere d’uso; mediante l’uso di corrente continua ad alta tensione (HVDC), è possibile limitare le perdite di potenza legate alla trasmissione a circa 3% per 1000 km. Ciò significa che le centrali solari nei deserti dell’area MENA sarebbero più economiche e più produttive di quelle eventualmente costruite nell’Europa meridionale: sia per il raddoppio dell’energia prodotta e sia per l’abbassamento delle perdite di trasmissione e delle fluttuazioni stagionali dell’insolazione, sensibilmente minori. Le tecnologie necessarie per realizzare lo scenario DESERTEC sono già sviluppate e alcune di esse sono già impiegate da decenni. Le linee di trasmissione HVDC fino a 3 GW di capacità sono già state realizzate da ABB e Siemens da diversi anni. In occasione del “World Energy Dialogue 2006” di Hannover, rappresentanti delle due compagnie hanno confermato che la costruzione delle linee previste dal progetto è, da un punto di vista tecnico, perfettamente fattibile. Grazie alla più intensa insolazione, è possibile, nei paesi del MENA, produrre energia già oggi in maniera ancora più vantaggiosa. Poiché i prezzi delle materie prime necessarie per la costruzione delle centrali solari crescono attualmente in misura inferiore a quello dei combustibili fossili, esse potrebbero diventare competitive prima del previsto. Attualmente, le capacità produttive dei paesi da noi presi in considerazione sono limitate e questo particolare sistema di sviluppo energetico potrebbe dare la spinta idonea ad un nuovo sviluppo, finalizzato principalmente al benessere delle popolazioni locali.

9. Analisi macroeconomica e scelte politiche

Il progetto descritto è stato valutato nella sua fattibilità attraverso un’analisi della situazione economica attuale e in serie storica di alcune grandezze economiche principali: popolazione, reddito procapite, occupazione e produttività del lavoro. Dall’analisi della popolazione si evince che dal decennio ’80-’90, in tutti e cinque gli stati della fascia nord africana, la tendenza sia di un tasso d’incremento in diminuzione: si è passati da un 2,6% nel decennio ’60-’70 a un tasso del 1,48% nel decennio 2000-2010. Ovviamente siamo in un contesto di paesi arretrati, quindi caratterizzati da tassi d’incremento della popolazione alti (rispetto a quelli dell’Europa vicini allo 0%) e reddito procapite basso. Ciononostante i paesi della fascia nord africana mostrano, dai dati analizzati, una situazione in via di trasformazione con un reddito pro-capite al 2000 maggiore di 1.000 $, quindi non più paesi sottosviluppati, e tassi di crescita della popolazione in diminuzione.

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Abbiamo quindi ipotizzato un ulteriore rallentamento della crescita della popolazione fino a un tasso di 0,6% nei prossimi venticinque anni e, contemporaneamente, abbiamo previsto, mettendo in atto le politiche economiche previste dal progetto, il raggiungimento di un reddito procapite di 10.000 $, pari ad un terzo di quello della Germania. Una situazione di maggiore benessere e di crescita, garantita da investimenti nell’ambito del solare termodinamico e dall’introduzione di filiere di prima lavorazione nel campo petrolchimico e dell’agricoltura, genererebbe, se garantita da governi stabili e al di fuori di logiche di servilismo nei confronti delle potenze mondiali, anche una crescita dell’occupazione tramite scelte politiche appropriate nel mercato del lavoro. Questo consentirebbe di portare l’occupazione al 45% contro il 30% attuale, con una crescita di quindici punti percentuali nel venticinquennio, e di conseguenza, con la crescita del PIL, si porterebbe la produttività del lavoro dai 6.000$ del 2000 a 23.000$ nel 2038. Nella successiva fase abbiamo individuato tre fasce di densità abitative nei cinque stati nordafricani. La prima fascia corrisponde con l’area costiera, più densamente abitata, con una densità media al 2008 di 150 ab/km² paragonabile con la densità della regione Toscana (164 ab/km²) o quella della regione Friuli-Venezia Giulia (155 ab/km²), questo dato, inserito nella serie storica, ha mostrato un graduale e costante aumento della popolazione in questa area, che andrebbe così a raggiungere indici di densità abitativa elevati. Da questa analisi abbiamo ipotizzato un’inversione di tendenza che porterebbe a una crescita più elevata nella seconda fascia, coincidente con il nostro asse di progetto, e una ridistribuzione del prodotto interno lordo procapite adeguandolo a quello della prima fascia. La terza fascia, invece, rappresenta l’area del pieno deserto, nell’esempio dell’Algeria, con una popolazione intorno a 1.500.000 abitanti e prodotto interno lordo procapite sotto la soglia di 1.000$; qui ipotizziamo il raggiungimento di una soglia pari ai 5.000$. Abbiamo effettuato delle stime per il calcolo del flusso di immigrati annui dall’Africa verso l’Europa. Dall’analisi dei dati è emerso che il flusso è costituito da circa 5.000.000 di persone all’anno. Dato l’elevato numero di persone emigranti in un anno, abbiamo valutato che il nostro intervento non può essere in realtà risolutivo per il problema delle migrazioni verso l’Europa; tuttavia il nostro progetto sarà in grado di intercettare una quota di questo flusso al fine di consentire una più rapida antropizzazione dell’area di progetto. L’ipotesi è che questo sistema, una volta avviato, in seguito al venticinquennio, potrebbe produrre effetti postivi sempre maggiori, tramite la progressiva antropizzazione della seconda fascia, diventando autonomamente punto attrattivo per la popolazione e gli investimenti. Procedendo con l’analisi abbiamo quindi potuto quantificare la crescita della popolazione nella seconda fascia in …. da suddividere in 20 centri più grandi da 300.000 persone e una decina di centri minori, di nuova fondazione da 20.000 abitanti. Questa valutazione ha consentito di individuare venti centri esistenti, disposti lungo l’asse, di popolazione variabile tra i 10.000 e i 100.000 abitanti in cui effettuare un programma di espansione urbanistica fino al 2038. L’individuazione dei centri, una volta individuate le quantità, è stata determinata da tre fattori principali: 1. dall’esistenza delle oasi o dalla presenza di acqua nel sottosuolo; 2. dalla vicinanza con le città costiere più rilevanti (che dovrebbero garantire nella prima fase di attuazione del programma il sistema di rifornimenti e punto di appoggio per la popolazione); 3. dalla distanza tra essi che non deve essere superiore ai 300 Km (in modo da garantire spostamenti giornalieri) Queste stime sono state elaborate nell’ottica di consentire uno sviluppo omogeneo e distribuito dei Paesi del nord Africa, consentendo a questi stati di potersi porre nell’ambito mondiale in una nuova ottica di sviluppo,

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volta a riequilibrare gli squilibri imposti dal neoliberismo, che vede nei paesi poveri una risorsa da sfruttare a favore di profitti elevati per le multinazionali.

10. Caso studio Per il caso studio del Nord Arica abbiamo solo recentemente individuato un’area collocata tra i centri di Ghardaia e Ourgla, a media distanza, e posta sull’asse, dove insediare una nuova città di fondazione. Questo centro dovrebbe funzionare da laboratorio a cielo aperto, dove mettere in pratica le ipotesi legate all’antropizzazione di un’area desertica attraverso l’agricoltura e al solare termodinamico.

11. Conclusioni Il lavoro di analisi sul Nord Africa e sull’Albania, l’individuazione delle problematiche e le conseguenti soluzioni alternative evidenziate, ci permettono di basare le nostre ipotesi di intervento su una fattibilità concreta. Nell’ottica di riequilibrare le dinamiche economiche tra il sud e il nord del mondo, i nostri ragionamenti si sono focalizzati sui bisogni socio-economici, ipotizzando dei nuovi rapporti volti a riequilibrare gli assetti geopolitici dell’area del Mediterraneo tramite una spinta produttiva proveniente dall’introduzione di tecnologie innovative e il riequilibrio della popolazione nelle aree rurali (Albania) o desertiche (Nord africa). Un ulteriore obiettivo è il miglioramento dello standard qualitativo delle popolazioni, che avranno a disposizione condizioni economiche idonee allo sviluppo basate su: un nuovo sistema energetico (il solare termodinamico), un nuovo sistema di approvvigionamento idrico e nuove possibilità di produzione agricola e industriale (filiere di prima lavorazione). Conseguenza ultima, ma non meno importante, l’abitabilità delle aree desertiche, attualmente non utilizzate, e il blocco del loro avanzamento e l’arresto dell’inurbamento delle popolazioni. La fascia urbanizzata, oltre alle migliorie elencate, consente la connessione tra gli stati selezionati, il relativo scambio di prodotti e lo sviluppo individuale e autonomo di ogni centro urbanizzato. In una visione globale, si pone come un nuovo asse commerciale contraddistinto da infrastrutture, che lungo la direttrice Est-Ovest, connette l’oceano Atlantico e i Paesi del Medio Oriente e, lungo la direttrice Nord-Sud, connette l’Africa centrale e il Mediterraneo, intercettandone gli scambi. Quindi le città sulla fascia da urbanizzare sono state individuate in base alla loro posizione nevralgica e alla loro potenzialità.

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Appendice Analisi storica e socio-economica dell’Algeria Priorità dello Stato algerino, in seguito all’indipendenza del 1962, furono il riassetto del settore agricolo, con il programma della totale conversione (si ridussero progressivamente le colture coloniali e quelle aviate all’esportazione e si incrementarono quelle alimentary destinate al consumo interno), e la creazione di un’industria nazionale. Inizialmente si favorì l'industria pesante, a cui seguì un periodo in cui vennero creati grandi impianti, per poi passare al sostegno delle piccole e medie imprese. Ben dotata di riserve minerarie (petrolio e gas naturale, soprattutto) l'Algeria risentì del crollo del prezzo del petrolio e del gas naturale sui mercati mondiali e per il Paese si aprì una fase di acuta recessione, che portò a un vertiginoso aumento del debito estero. Alla difficile situazione economica si aggiunse la grave crisi politica, innescata dall'affermarsi del fondamentalismo islamico. A partire dalla seconda metà degli anni Ottanta del sec. XX, l'Algeria abbandonò progressivamente i principi dell'economia socialista cui si era ispirata fin dall'indipendenza e diede avvio a un processo di liberalizzazione economica che favorì le privatizzazioni e gli investimenti stranieri anche nel settore degli idrocarburi. Il 2001 segnò l'avvio della crescita economica. Agricoltura Nel corso degli anni Ottanta sono stati incrementati gli investimenti in agricoltura per rivitalizzare il territorio rurale: in particolare, i piani definitivi puntano a recuperare spazi e produttività, anche se resta ancora necessario il ricorso all’import alimentare, a causa anche di una popolazione in continua crescita. Il settore agricolo non riesce, infatti, a soddisfare la domanda interna di alimenti e quindi circa il 45% del fabbisogno alimentare viene garantito dalle importazioni. Nonostante la limitata superficie agricola utile (il 3,1% del territorio, concentrato nella fertile zona costiera dell’Atlas tellien), in agricoltura è impegnato il 24% della popolazione attiva e il settore contribuisce al prodotto nazionale per il 10% (dati 2004). La struttura agricola algerina si costituisce di:

componente commerciale: vite, olive, agrumi, primizie orticole e piante tipiche dell’area mediterranea;

componente tradizionale (per il mercato interno): frumento, orzo, cereali, datteri e fichi. Per il 2015 sono all’esame piani di desalinizzazione e pompaggio delle acque reflue dell’irrigazione (acque non rinnovabili) nelle zone del settore settentrionale per arrestare la desertificazione delle aree del Maghreb. È stata progettata, inoltre, la centrale di desalinizzazione di Hamma per 200 metri cubi di acqua potabile al giorno, la più grande in Africa.

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Settore energetico Nonostante l’Algeria resti un Paese in via di sviluppo, le entrate derivanti dal settore energetico di questo period hanno fatto crescere drasticamente la sua economia, come, allo stesso modo, ne fecero rallentare la crescita in seguito al crollo dei prezzi petroliferi negli anni ‘80. Il settore degli idrocarburi contribuisce per il 52% alle entrate dello Stato, in particolare, costituisce il 25% del PIL ed il 95% degli introiti derivanti dalle esportazioni. Al dato positivo relativo alle risorse energetiche va aggiunto il dato negativo della mancata diversificazione del sistema economico; facendo infatti leva su un unico settore, quello degli idrocarburi, l’economia algerina è esposta ad un doppio rischio:

dipendenza dalle congiunture internazionali che sempre più spesso coinvolgono questo settore, il quale se pure regolato da leggi economiche, è spesso condizionato dalla politica dei vari Paesi;

rinuncia alla politica di diversificazione del settore e a quella socio – occupazionale che con il tempo potrebbero costituire fattore di instabilità. Industria Negli anni ‘70 l’Algeria si era orientate verso una industrializzazione pesante, di rigida pianificazione, con l’obiettivo di affrancarsi dai vecchi partner coloniali conservandone però i legami commerciali, con il risultato di trascurare i rapporti politico – economici con i Paesi limitrofi. Gli anni Ottanta segnano un cambiamento di tale orientamento con il prevalere di una politica più pragmatica e liberista anche sul piano internazionale. Nel complesso l'industria rappresenta il 61% del PIL ed è fortemente guidata dal settore degli idrocarburi e dall’estrazione dei minerali; le principali attività sono la raffinazione del petrolio, la liquefazione del gas naturale e la lavorazione dei fosfati e dei minerali del ferro. Storicamente, il settore industriale è stato gestito da aziende di proprietà dello Stato. Negli ultimi anni si è sviluppato un duplice processo di diversificazione produttiva e privatizzazione, in particolar modo con l’intento di attirare investimenti stranieri, anche se il peso dello Stato rimane determinante. Tra i comparti industriali che meritano attenzione vi sono quello chimico, farmaceutico, delle costruzioni, elettrico‐elettronico, della cantieristica ed automobilistico. Servizi Il settore turistico contribuisce a circa l’ 1% del PIL e non è comparabile a quello dei vicini Marocco e Tunisia. Il settore bancario e finanziario algerino ha risentito fortemente del peso dello Stato nel controllo del comparto industriale e delle principali aziende fornitrici di servizi. Negli ultimi anni il processo di liberalizzazione e privatizzazione ha portato a qualche miglioramento, soprattutto nel settore bancario mentre quello finanziario rimane limitato ed è caratterizzato soprattutto dall’emissione di titoli di Stato. Il mercato assicurativo rimane largamente influenzato dal settore pubblico.

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Riferimenti bibliografici Amin S., Teologie della liberazione, Edizioni Punto Rosso, Milano, 2001 Amin S., Il mondo arabo nella storia e oggi, Edizioni Punto Rosso, Milano, 2012 Braudel F., Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, 2010, Einaudi, Torino, 2010 Braudel F., Il Mediterraneo. Lo spazio e la storia. Gli uomini e la tradizione, Newton & Compton Editori, Roma, 2002 Canesi M., L’altra globalizzazione. Una nuova offerta produttiva nell’area del Mediterraneo, Franco Angeli, Milano, 2004 Canesi M., Le macchine utensili e il Made in Italy, Franco Angeli, Milano, 2012 Gatti F., Bilal. Viaggiare, lavorare, morire da clandestini, Rizzoli Editore, Milano, 2008 Keynes J. M., Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta (1936), a cura di Terenzio Cozzi, UTET, Torino, 2006. Conseguenze economiche della Primavera Araba. La prospettiva italiana dal punto di vista dell’interscambio commerciale e degli investimenti in Nord Africa. Rapporto ISPI per il Ministero degli Affari Esteri, dicembre 2012 Global Water Security – an engineering perspective, The Royal Academy of Engineering, Londra, 2010 Fourth World Conference on the Future of Science, Food and Water for Life – Venezia, 24-27 settembre 2008 World Bank Data Bank www.saharaforestproject.com

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www.europa.eu/legislation_summaries/external_relations/relations_with_third_countries/mediterranean_partner_countries/r15001_it.htm  

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