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189 ROBERTO COLACICCHI Istituto di Geologia e Paleontologia dell'Università - Roma GEOLOGIA DELLA MARSICA ORIENTALE Lo studio della stratigrafia ed il rilevamento geologico della Marsica orientale hanno portato a localizzare il mar- gine orientale della piattaforma carbonatica centro-appenninica. In questa zona infatti vengono a contatto le facies di mare sottile estese ad Occidente, con i sedimenti pelagici orientali. I terreni sedimentati sulla piattaforma sono costituiti da calcari micritici, ricchi di alghe e foraminiferi bentonici, deposti in un ambiente di acque torbide con pochissimo ricambio; questo ambiente mantiene costanti le sue caratteristiche dal Lias fino al Cretacico medio-superiore, varia sol- tanto la microfacies in rapporto all'evoluzione dei tempi geologici. La transizione all'ambiente pelagico mostra caratteri assai più mutevoli: nel Lias il passaggio è semplice, non esi- ste una facies bordiera particolare, il contatto fra i due tipi di sedimentazione avviene lungo una scarpata su cui si depo- sitano detriti della facies micritica trasportati da correnti di torbida ed intercalati entro le micriti a radiolari e spicole di spugna proprie dell'ambiente pelagico. Il limite tra le due facies è localizzato verso l'angolo NE della zona rilevata. Alla base del Dogger la facies pelagica migra verso SW fino a raggiungere l'allineamento dei fiumi Profluo e Sa- gittario; il limite prende così un andamento NW-SE che conserverà fino a tempi molto recenti. Dal Dogger all' Aptiano sull'orlo della piattaforma, fra questa e la scarpata, si sviluppa una facies organogena re- cifale con piccole bioerme disperse entro le bioclastiti, con micriti lagunari di infra e retroscogliera, con lenti oolitiche e, al tetto, livelli ad ellipsactinie. Il complesso è stato denominato Formazione della Terratta ed è uniformemente diffuso su tutta la zona delimitata dagli allineamenti alto Sangro-Giovenco e Profluo-Sagittario. Ad Est di quest'ultima linea, alla sedimentazione pelagica delle micriti a filaments del Dogger, e della << Maiolica >> titonico-neocomiana, si intercala un orizzonte detritico derivante dall'espansione verso Oriente della sedimentazione detritico-organogena corrispondente alla Terratta. Nel Cretacico medio la facies organogena bordiera arretra verso Occidente e viene sostituita da un ambiente più decisamente detritico che corrisponde alla parte alta della scarpata. Qui si sedimenta il << calcare cristallino >> la cui depo- sizione raggiunge il Maestrichtiano ed in qualche caso anche il Paleocene. Nella zona pelagica si trovano ancora calcari brecciati intercalati alla facies argillosa degli << scisti a fucoidi >> cui segue la << Scaglia >> che ricalca la sedimentazione pela- gica della << Maiolica >>. Verso la sommità del Cretacico hanno inizio movimenti tettonici che fanno variare il regime di sedimentazione precedente e continueranno poi a rendere instabile la regione durante tutto il Terziario. Al limite fra Cretacico e Paleocene la zona corrispondente alla piattaforma emerge, mentre quello che era il bordo orientale rimane depresso continuando in buona parte ad ospitare una sedimentazione marina. Durante tutto il Paleogene la piattaforma rimane emersa mentre la depressione orientale conserva ancora una se- dimentazione marina a carattere costiero, interrotta da numerose regressioni e trasgressioni che indicano un regime di estrema instabilità tettonica. Nel Miocene un'estesa trasgressione riporta il mare sulla piattaforma e sulle zone della depressione bordiera ri- maste emerse; la deposizione della formazione arenaceo-argillosa tortoniana chiude il ciclo sedimentario e l'emersione segue la dislocazione tettonica. Le caratteristiche tettoniche fondamentali della Marsica orientale sono date da una serie di strutture limitate ad Occidente da faglie dirette e ad Oriente da faglie inverse; in alcuni casi sono evidenti tracce di sovrascorrimento di entità non molto spinta ma sensibile, dato che provocano la elisione di alcuni termini stratigrafici. La struttura suddetta si in- quadra nella recente teoria delle traslazioni differenziali, nel senso che i cunei sovraspinti ed i fronti di accavallamento sono stati indotti dalla compressione esercitata dalle masse scollate ad Occidente ed avanzate dal Tirreno verso l'Adriatico. Questo lavoro si è svolto nell'ambito del programma che l'Istituto di Geologia di Roma, insieme con il Centro Studi dell'Italia centro-meridionale del C.N.R., va svolgendo da molti anni nell'Appennino centrale. Negli ultimi tempi allo svolgimento del programma si è associato anche l'Istituto di Geologia di Perugia con fondi forniti sempre dal C.N.R. Si ringraziano pertanto il Direttore del Centro Studi Prof. B. AccoRDI, ed il Comitato per le Scienze Geologiche e Mi- nerarie del C.N.R. Si ringrazia la Direzione del Parco Nazionale d'Abruzzo che durante tutto lo svolgimento del rilevamento ci ha gentilmente ospitato ed ha fatto di tutto per agevolarci il lavoro. Un caloroso ringraziamento vada inoltre ai colleghi dell'Istituto di Geologia di Roma, in particolare a DEVOTO, PAROTTO ed alla signorina FILIPPELLO che mi hanno dato una valida mano nell'esame delle sezioni stratigrafiche e nella risoluzione di alcuni scabrosi problemi micropaleontologici; ed infine ad ANTONIO PRATURLON che è stato un collaboratore fondamentale sia al rilevamento sia all'inquadramento della stratigrafia. GEOL. ROM., VI, 1967, pp. 189-316, 72 figg., carta tettonica e profili (fuori testo)

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ROBERTO COLACICCHI Istituto di Geologia e Paleontologia dell'Università - Roma

GEOLOGIA DELLA MARSICA ORIENTALE

Lo studio della stratigrafia ed il rilevamento geologico della Marsica orientale hanno portato a localizzare il mar­gine orientale della piattaforma carbonatica centro-appenninica. In questa zona infatti vengono a contatto le facies di mare sottile estese ad Occidente, con i sedimenti pelagici orientali. I terreni sedimentati sulla piattaforma sono costituiti da calcari micritici, ricchi di alghe e foraminiferi bentonici, deposti in un ambiente di acque torbide con pochissimo ricambio; questo ambiente mantiene costanti le sue caratteristiche dal Lias fino al Cretacico medio-superiore, varia sol­tanto la microfacies in rapporto all'evoluzione dei tempi geologici.

La transizione all'ambiente pelagico mostra caratteri assai più mutevoli: nel Lias il passaggio è semplice, non esi­ste una facies bordiera particolare, il contatto fra i due tipi di sedimentazione avviene lungo una scarpata su cui si depo­sitano detriti della facies micritica trasportati da correnti di torbida ed intercalati entro le micriti a radiolari e spicole di spugna proprie dell'ambiente pelagico. Il limite tra le due facies è localizzato verso l'angolo NE della zona rilevata.

Alla base del Dogger la facies pelagica migra verso SW fino a raggiungere l'allineamento dei fiumi Profluo e Sa­gittario; il limite prende così un andamento NW-SE che conserverà fino a tempi molto recenti.

Dal Dogger all' Aptiano sull'orlo della piattaforma, fra questa e la scarpata, si sviluppa una facies organogena re­cifale con piccole bioerme disperse entro le bioclastiti, con micriti lagunari di infra e retroscogliera, con lenti oolitiche e, al tetto, livelli ad ellipsactinie. Il complesso è stato denominato Formazione della Terratta ed è uniformemente diffuso su tutta la zona delimitata dagli allineamenti alto Sangro-Giovenco e Profluo-Sagittario. Ad Est di quest'ultima linea, alla sedimentazione pelagica delle micriti a filaments del Dogger, e della << Maiolica >> titonico-neocomiana, si intercala un orizzonte detritico derivante dall'espansione verso Oriente della sedimentazione detritico-organogena corrispondente alla Terratta.

Nel Cretacico medio la facies organogena bordiera arretra verso Occidente e viene sostituita da un ambiente più decisamente detritico che corrisponde alla parte alta della scarpata. Qui si sedimenta il << calcare cristallino >> la cui depo­sizione raggiunge il Maestrichtiano ed in qualche caso anche il Paleocene. Nella zona pelagica si trovano ancora calcari brecciati intercalati alla facies argillosa degli << scisti a fucoidi >> cui segue la << Scaglia >> che ricalca la sedimentazione pela­gica della << Maiolica >>.

Verso la sommità del Cretacico hanno inizio movimenti tettonici che fanno variare il regime di sedimentazione precedente e continueranno poi a rendere instabile la regione durante tutto il Terziario.

Al limite fra Cretacico e Paleocene la zona corrispondente alla piattaforma emerge, mentre quello che era il bordo orientale rimane depresso continuando in buona parte ad ospitare una sedimentazione marina.

Durante tutto il Paleogene la piattaforma rimane emersa mentre la depressione orientale conserva ancora una se­dimentazione marina a carattere costiero, interrotta da numerose regressioni e trasgressioni che indicano un regime di estrema instabilità tettonica.

Nel Miocene un'estesa trasgressione riporta il mare sulla piattaforma e sulle zone della depressione bordiera ri­maste emerse; la deposizione della formazione arenaceo-argillosa tortoniana chiude il ciclo sedimentario e l'emersione segue la dislocazione tettonica.

Le caratteristiche tettoniche fondamentali della Marsica orientale sono date da una serie di strutture limitate ad Occidente da faglie dirette e ad Oriente da faglie inverse; in alcuni casi sono evidenti tracce di sovrascorrimento di entità non molto spinta ma sensibile, dato che provocano la elisione di alcuni termini stratigrafici. La struttura suddetta si in­quadra nella recente teoria delle traslazioni differenziali, nel senso che i cunei sovraspinti ed i fronti di accavallamento sono stati indotti dalla compressione esercitata dalle masse scollate ad Occidente ed avanzate dal Tirreno verso l'Adriatico.

Questo lavoro si è svolto nell'ambito del programma che l'Istituto di Geologia di Roma, insieme con il Centro Studi dell'Italia centro-meridionale del C.N.R., va svolgendo da molti anni nell'Appennino centrale. Negli ultimi tempi allo svolgimento del programma si è associato anche l'Istituto di Geologia di Perugia con fondi forniti sempre dal C.N.R. Si ringraziano pertanto il Direttore del Centro Studi Prof. B. AccoRDI, ed il Comitato per le Scienze Geologiche e Mi­nerarie del C.N.R.

Si ringrazia la Direzione del Parco Nazionale d'Abruzzo che durante tutto lo svolgimento del rilevamento ci ha gentilmente ospitato ed ha fatto di tutto per agevolarci il lavoro.

Un caloroso ringraziamento vada inoltre ai colleghi dell'Istituto di Geologia di Roma, in particolare a DEVOTO, PAROTTO ed alla signorina FILIPPELLO che mi hanno dato una valida mano nell'esame delle sezioni stratigrafiche e nella risoluzione di alcuni scabrosi problemi micropaleontologici; ed infine ad ANTONIO PRATURLON che è stato un collaboratore fondamentale sia al rilevamento sia all'inquadramento della stratigrafia.

GEOL. ROM., VI, 1967, pp. 189-316, 72 figg., carta tettonica e profili (fuori testo)

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190 R. COLACICCHI

INDICE

INTRODUZIONE

8TRATIGRAFIA .

LE DOLOMIE BASALI

Ambiente di sedimentazione Altre dolomie . . . . .

LIAS MEDIO-SUPERIORE

FACIES DI PIATTAFORMA

Sezione di Monte Atessa Sezione di Monte Palombo Zona di Prato Rosso Sezione del Monte Marsicana Sezione della Serra Sparvera

Fossili ed Età . . . . . . . Caratteristiche della litofacies

La matrice micritica . . Origine della micrite . . Intraclasti, pellets, lumps Granuli rivestiti . Algal encrusting . Oolitic encrusting Sparite

Ambiente di sedimentazione Correlazioni ed affioramenti

FACIES DI TRANSIZIONE

Ambiente di sedimentazione Fossili ed età . . . . . . Correlazioni ed affioramenti

DoGGER - MALM - NEocoMIANO

FACIES DI PIATTAFORMA

Suddivisioni biostratigrafiche Cenozona a Thaumatoporella parvovesiculifera . Cenozona a Pfenderina salernitana Cenozona a Kurnubia palastiniensis Cenozona a Clypeina jurassica e Bankia striata Cenozona a Cuneolina camposauri

FACIES DI SOGLIA . . . . . .

Formazione della Terratta Limite inferiore . . . Fascia organogena inferiore Livelli lagunari ed oolitici Fascia organogena superiore .

Caratteri della litofacies . . Ambiente di sedimentazione Distribuzione . . .

FA ClES DI TRANSIZIONE

Micriti a Filaments Formazione della Terratta Formazione della Maiolica

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GEOLOGIA DELLA MARSICA ORIENTALE

CRETACICO MEDIO E SUPERIORE • . . . . . . . . . . .

FACIES DI PIATTAFORMA E TRANSIZIONE INTERNA Zona della Valle Roveto e della Vallelonga . Zona di Sperone e di Gioia dei Marsi Facies di transizione interna

Caratteri della litofacies . . . Ambiente di sedimentazione . .

F ACIES DI SOGLIA . . . . . . . . . Sezione del Monte Marsicana - Monte Ninna Sezione del Vallone !avana .. Sezione di Valle Cupa . . . . Zona della Montagna di Godi .

Caratteri della litofacies . . Ambiente di sedimentazione

F ACIES DI TRANSIZIONE

Livello ad orbitoline e marne a fucoidi Litofacies . . . • . .

La Scaglia ....... . Ambiente di sedimentazione

PALEOGENE .....

IL PALEOCENE Caratteri della litofacies • . Ambiente di sedimentazione

EOCENE Ambiente di sedimentazione

0LIGOCENE

NEOGENE .•.

IL MIOCENE INFERIORE-MEDIO Zona occidentale Zona centrale . Zona orientale

IL TORTONIANO IL MESSINIANO

QUATERNARIO . . . Brecce di Pendio . . . . Conglomerati fluviolacustri Morenico . . ....

TETTONICA ....... .

FASI PREMIOCENICHE . FASI RECENTI . . . .

Bordo Est del Fucino . . . . . . . . . . . . . Struttura del Morrone del Diavolo - Colle D'Arienzo Linea alto Sangro - Giovenco . . . . . . . . . . . Struttura M. Marsicano - M. Terratta - M. Miglio . . . . . . . . . . . . . . . . . . Linea Profiuo-Sagittario ed elemento tettonico del M. Godi - M. di Preccia - M. della Rovere Struttura della Rocca di Chiarano e della Serra Pantanella Struttura della Serra Sparvera - Monte Genzana Linea del Sangro . . . . . Struttura di Opi . . . . .

PROBLEMA DEL RACCORCIAMENTO ETÀ DELLA TETTONICA . . . . . . . . . . IPOTESI SU UN MECCANISMO DI DEFORMAZIONE

PALEOGEOGRAFIA

CoNcLUSIONI

ABSTRACT

BIBLIOGRAFIA

CARTA TETTONICA E PROFILI (fuori testo)

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192 R. COLACICCHI

INTRODUZIONE

Il limite orientale della Marsica viene individuato da ALMAGIÀ (1910) lungo una linea che partendo dal M. Sirente passa per Forca Caruso indi per l'ampia dorsale che divide le valli dell'alto Sangro -Giovenco da quella del Sagittario - Tasso; di qui per il M. Marsicano, M. Amaro, si dirige verso la Forca d'Acero (fig. l). Questo confine geografico, etnico ed in parte storico coincide in pratica anche con un limite geologico, in quanto proprio lungo la dorsale che culmina con il M. Marsicano, M. Terratta, M. Miglio si è sviluppata la facies di sco­gliera che ha separato, durante tutto il Mesozoico, il dominio della piattaforma con mare sottile, dal­l'ambiente pelagico di mare aperto e profondo.

Intorno a questo limite gfologico e nelle imme­diate vicinanze di esso, sia ad Oriente che ad Occi­dente, ho lavorato dal 1961 ad oggi alternando il rilevamento geologico di dettaglio, lo studio pre­ciso e minuzioso di potenti sezioni stratigrafiche, ed escursioni a raggio più ampio per cercare di cor­relare ed estendere i dati che man mano si acqui­sivano. Seguendo questo principio è stata studiata minuziosamente una vasta zona i cui limiti dal bordo orientale del Fucino seguono la alta valle del Sangro fino al lago di Barrea, indi per la dorsale di Chiarano ed il vallone omonimo risalgono verso Nord, sfiorano Rocca Pia, Pettorano sul Gizio e l'angolo SW della piana di Sulmona, per tornare poi verso il Fucino attraverso la valle del Sagitta­rio fino ad Anversa degli Abruzzi e poi Ortona dei Marsi.

Con minor dettaglio è stata presa in esame anche una regione più vasta, che in pratica dalla Valle Roveto giunge al Piano delle Cinque Miglia.

La zona indicata costituisce parte di uno dei massicci montuosi più imponenti dell'Appennino. Dalla Valle Roveto infatti fino al Piano delle Cin­que Miglia è tutto un susseguirsi di cime e dorsali che si mantengono sui 2000 metri e spesso li su­perano. Poche valli separano queste strutture: per una lunghezza di circa 40 Km ve ne sono soltanto due di una certa importanza: quella dell'alto San­gro - Giovenco e quella del Tasso - Sagittario che pure si mantengono a quote elevate. Queste, a decorso orientato NNW -SSE, suddividono la massa montuosa in tre dorsali principali che poi si sfran­giano in una serie innumerevole di contrafforti e quinte alternate.

Immediatamente a Sud della valle del Sangro, i massicci aspri della Camosciara - M. Petroso -

M. Meta, delle Gravare, e della Rocca Altiera, che si susseguono praticamente senza soluzione di conti­nuità, completano il quadro di questo paesaggio che, nonostante appartenga alla zona appenninica, può realmente essere considerato di alta montagna. È sintomatico il fatto che una buona parte di que­sto territorio sia stata costituita a Parco Nazio­nale per difendere l'ambiente geografico particolar­mente interessante per la flora, la fauna, gli aspetti paesaggistici e, come abbiamo potuto dimostrare, anche per l'interesse geologico. A questo proposito è assai sconfortante vedere come piano piano la così detta << civiltà >> si insinui nei boschi, costruendo strade e villaggi che in breve tempo alterano irri­mediabilmente l'ambiente naturale.

Gli studi geologici sulla Marsica orientale e sul limitrofo territorio Peligno sono stati sempre tra­scurati: il rilevamento geologico del F 0 Sora ha dato luogo solo a poche note di carattere generale o a qualche accenno inserito in studi a raggio più ampw.

Questo disinteresse per la regione marsicana fa meraviglia in quanto la geologia di tutta la zona, ed in particolare di quella prossima al confine Peligno, è estremamente interessante e ricca di quelle facies assai fossilifere che nell'aquilano hanno dato luogo ad una serie numerosissima di lavori. Evidentemente la natura aspra della regione e la scarsa accessibilità (è rimasta a lungo priva di strade carrozzabili) hanno ostacolato i ri­cercatori e li hanno dirottati verso zone più vicine e più facilmente raggiungibili e percorribili.

Anche in tempi più recenti, la ricerca geologica ha girato intorno alla regione senza soffermarvisi: sono infatti molto numerosi i lavori che parlano della Marsica en passant, con rapide osservazioni, utilizzate più che altro per correlazioni con regioni limitrofe studiate più in dettaglio, oppure per con­fronti di facies o di faune raccolte altrove. Altre pubblicazioni trattano problemi analoghi e si ri­feriscono a territori circostanti, per cui anche se l'elenco bibliografico riguardante la Marsica orien­tale è molto lungo, in pratica per lo studio det­tagliato è stato necessario partire da zero, soprat­tutto riguardo alla stratigrafia. Ci siamo trovati così su un terreno praticamente vergine ed è stato estremamente interessante notare che invece della presunta uniformità di facies accennata da alcuni Autori, si andavano scoprendo fenomeni e situa­zioni geologiche completamente nuove e quanto

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mai significative per la ricostruzione paleogeo­grafica dell'Appennino calcareo centrale.

Il limite orientale della Marsica e la fascia limi­trofa si possono considerare una zona chiave per l'interpretazione dei rapporti che intercorrono fra la piattaforma calcarea centro-appenninica e la facies più orientale a carattere pelagico; inoltre mi sembra l'unico punto in cui si possa ottenere qualche risultato positivo riguardo alle correlazioni fra il

faticoso. Sono stati ottenuti diversi risultati ma siamo lungi dal credere che tutto sia risolto. Il lavoro che qui presentiamo deve essere considerato come una serie di conclusioni in prima istanza sulla geologia della Marsica orientale. Restano ancora aperti molti problemi particolari, ma riteniamo che essi, pur non risolti, siano stati individuati ed impostati; ed il giungere alla loro soluzione sarà ormai solo questione di tempo.

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AGNONE

FIG. 1 - Localizzazione dell'area studiata: la linea tratteggiata indica i limiti della Marsica; la zona rilevata in dettaglio è indicata a tratteggio.

- Geographical position of investigated area: dotted line indicates Marsi ca region boundaries; stip­pled zone indicates the zone detailly mapped.

bacino mio-geosinclinalico umbro-marchigiano e la fossa molisano-sannitica.

Il lavoro che è stato eseguito in questi anni non può certamente dirsi completo e definitivo: una zona assai vasta da coprire con il rilevamento (circa sei tavolette); una strati grafia che ad ogni piè sospinto presentava problemi nuovi, che quasi sempre obbligavano a rimettere in discussione tutto ciò che si era faticosamente costruito fino a quel momento; la mancanza di riferimenti pre­cisi e la necessità quindi di costruire successioni base per poter procedere a confronti e correlazioni, tutto questo ha reso il lavoro quanto mai lento e

Al presente lavoro non viene allegata una carta geologica: la ragione di questa mancanza sta nel fatto che alla resa dei conti il lavoro di rilevamento, esteso per cinque anni, portato avanti lentamente e con continui ripensamenti, è risultato troppo poco omogeneo. Con il procedere degli studi stra­tigrafici, con l'approfondirsi delle conoscenze sulla paleogeografia e la tettonica, si venivano man mano mutando, raffinando e perfezionando i me­todi di rilevamento ed i criteri di suddivisione delle formazioni. Il risultato è stato che le tavolette rile­vate per prime non erano più confrontabili con quelle rilevate più recentemente, anche se la loro

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sostanza geologica era stata rielaborata ed inqua­drata nei nuovi schemi. La revisione completa, necessaria per dare unità al rilevamento, è stata effettuata per fornire al Servizio Geologico il ma­teriale base per la stampa del F0 Sora al 100.000. A questa scala si sono potuti unificare alcuni ter­mini ed avere quindi la omogeneità necessaria alla pubblicazione, mentre per poter fare altrettanto ad una scala più dettagliata sarebbe occorso troppo tempo. Abbiamo preferito pubblicare il lavoro senza carta geologica di dettaglio, corredandolo piuttosto di schemi che lo rendessero più comprensibile, e rimandando ad un futuro, speriamo prossimo, la revisione e la pubblicazione della carta.

Desidero ricordare qui in particolare il dottor ANTONIO PRATURLON che è stato dal 1963 in poi un fedele collaboratore ed amico. Egli si è dedicato

principalmente allo studio della biostratigrafia della zona che abbiamo rilevato insieme, dedicandosi in parti colar modo alle alghe calcaree; ed è giunto rapidamente ad una conoscenza così profonda delle varie associazioni che caratterizzavano i piani e gli orizzonti stratigrafici, da impostarvi tutta la strati­grafia. Questo metodo di lavoro si è rivelato estre­mamente utile in quanto spesso si aveva a che fare con facies calcaree monotone ed uniformi, conte­nenti soltanto alghe, e di difficilissima interpre­tazione. In quattro anni di lavoro comune ho avuto modo di conoscere bene anche il suo carattere generoso, disinteressato e sempre pronto allo scambio di idee ed alla discussione. Egli è stato per me un prezioso aiuto, e credo di dovere in buona parte a lui se con questo lavoro io sia giunto abbastanza avanti nella risoluzione dei problemi geologici della Marsica.

STRATI GRAFIA

Già in precedenti lavori da me, insieme con il collega PRATURLON, sono state segnalate alcune caratteristiche fondamentali della stratigrafia della Marsica: in particolare si è messo l'accento sul fatto che durante tutto il Mesozoico nella regione marsicana si aveva una estesa scarpata sottomarina collegante una piattaforma calcarea ad Occidente con un bacino pelagico ad Oriente. Per cui le ca­ratteristiche stratigrafiche della regione, legate a questa situazione ambientale, si presentano bipar­tite in una facies di piattaforma e una di scarpata, o talora addirittura tripartite quando sul margine della piattaforma si sviluppano un ambiente ed una sedimentazione particolari. In linea generale i due tipi di successioni stratigrafiche che vengono a contatto sono una facies neritica di mare sottile (facies di piattaforma COLACICCHI, 1966; facies carbonatica, CRESCENTI, 1966) ed una facies pelagica che è in sostanza la umbro-marchigiana. Questa ultima però non affiora mai allo stato puro, in quanto ai tipici termini pelagici umbri si intercalano de­triti di provenienza costiera che ne alterano la fisionomia. D'altra parte questa situazione è favo­revole ad uno studio di dettaglio, perché permette correlazioni ambientali e cronologiche tra le facies pelagiche e quelle di piattaforma.

Per il fatto che la Marsica orientale rappresen­tava durante il Mesozoico una zona bordiera, le caratteristiche della sedimentazione risentivano im­mediatamente di qualsiasi movimento tettonico in

quanto oscillazioni anche lievi del livello delle acque determinavano la nascita, la migrazione o la distruzione di scogliere e banchi organo geni; consentivano l'instaurarsi di facies lagunari, di brevi periodi di emersione, di ambienti agitati o molto calmi; davano origine a brevi lacune, ad epi­sodi fortemente detritici o a variazioni brusche della litofacies. L'ambiente bordiero della Mar­sica quindi si è mostrato il più sensibile a racco­gliere e documentare le varie fasi della storia del Mesozoico. Naturalmente per ottenere le infor­mazioni che si vogliono è indispensabile il ricono­scimento della facies in ogni punto, dalla piatta­forma interna fino al mare aperto, ed in ogni mo­mento della storia geologica della regione.

Le notizie stratigrafiche che si espongono sulla regione marsicana sono interamente frutto di os­servazioni di terreno, infatti nella regione o nelle immediate vicinanze non esiste alcuna trivellazione che possa dare notizie di terreni non affioranti in superficie. I pozzi profondi più vicini che portano qualche elemento litostratigrafico nuovo sono quello di Antrodoco (circa 40 Km a NW, MARTINIS & PIERI, 1964; FANCELLI, GHELARDONI & PAVAN, 1966), quello di Trevi (circa SO Km ad Ovest, DONDI, p APETTI & TEDESCHI, 1966; F ANCELLI, GHELARDONI & PAVAN, 1966) quello di Cupello (70 Km a NE, DoNDI, PAPETTI & TEDESCHI, 1966), ed il Foresta Umbra l sul Gargano (MAR-

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GEOLOGIA DELLA MARSICA ORIENTALE 195

TINIS & PIERI, 1964). Nei primi due e nell'ultimo sono state raggiunte delle rocce anidritiche appar­tenenti alla Formazione di Burano (MARTINIS & P IERI, 1964) mentre nel terzo la perforazione si è arrestata nei calcari liassici a Palaeodasycladus. Se consideriamo la posizione geografica dei tre pozzi che hanno toccato le anidriti di Burano, è abba­stanza logico concludere che questa formazione

dovrebbe essere presente anche nel sottosuolo della Marsica ma per il momento non possiamo dire di più in quanto notizie dirette mancano completa­mente. Lo stesso vale per i sedimenti che sovra­stano immediatamente le anidriti e che vengono at­tribuiti al Trias, ma più per analogia di litofacies che per una sicura determinazione dell'età in base a fossili.

LE DOLOMIE BASALI

Mentre a partire dai calcari a Palaeodasycladus del Lias medio-superiore sarà necessario suddivi­dere e trattare separatamente le varie facies, i li­velli dolomitici, che rappresentano il terreno più antico affiorante nella regione, conservano una loro unità (più apparente che sostanziale come vedre­mo) che ci consiglia o almeno ci permette di tra t­tarli insieme.

Questi livelli basali che sottostanno ai calcari a Palaeodasycladus sono costituiti da dolomie sac­caroidi, grigio-scure, con stratificazione ben evi­dente; a tratti si mostrano vacuolari, cariate, con le carie tappezzate da cristallini romboedrici: un aspetto quanto mai comune alle dolomie dell'Appennino e per questa ragione assai poco significativo. La grana della roccia è quasi sempre assai evidente, saccaroide; in sezione sottile i gra­nuli sono di dimensioni omogenee, i limiti fra i vari individui cristallini sono spesso irregolari, ad­dentellati; in qualche caso si riscontrano delle plaghe in cui la grana diminuisce fortemente fino ad arrivare alle dimensioni della micrite. Queste caratteristiche mostrano chiaramente che siamo da­vanti ad una ricristallizzazione completa e che si è formato un mosaico assai tipico nei suoi aspetti.

L'insieme delle dolomie si mostra sterile ed è naturale data la profonda ricristallizzazione cui è stato soggetto; pur tuttavia in alcune località sono stati rinvenuti dei piccoli nidi fossiliferi estrema­mente interessanti, sia dal punto di vista paleonto­logico e cronologico, sia perché in un caso sono conservate le tracce della originaria tessitura della roccia, il che ci permette di risalire, anche se dubi­tativamente, all'ambiente di sedimentazione.

Nei pressi di Villetta Barrea, sulla strada per Scanno, sono stati raccolti dei lamellibranchi assai mal conservati: l'esame microscopico della roccia ha rivelato la presenza di Aeolisaccus dunningtoni ELLIOTT ed una litofacies che presenta piaghe relitte micritiche, a pellets e lumps, che indicano

un ambiente di acque sottili piuttosto calme. Con­ferma a questa ipotesi si è avuta dallo studio dei fossili (effettuato dal collega SIRNA e pubblicato nel 1966) il quale ha potuto determinare le seguenti specie: Pteria gracilis MUNSTER, Aequipecten aequi­plicatus TERQUEM, A. acutiradiatus MUNSTER, Ento­lium calvum GOLDFUSS, Pleuromya cfr. tauromeni­tana SEGUENZA.

Queste specie confermano l'ambiente di mare sottile indicato dalla litofacies e permettono di at­tribuire la roccia che le contiene all'Hettangiano­Sinemuriano, escludendo così che le dolomie di Villetta Barrea possano appartenere al Trias come era stato proposto, sia pur dubitativamente, dal CASSETTI (1898 e 1899).

Un secondo affioramento di rocce dolomitiche si incontra alla Difesa di Anversa e si continua più a Sud alla base del versante occidentale della Serra Rufigno. Qui la roccia presenta caratteristiche estremamente simili a quelle descritte: la stessa granulosità, la stessa microlitofacies a mosaico di ricristallizzazione; unica differenza la presenza di noduli di selce a vari livelli. Questa selce mostra anche essa tracce evidenti di ricristallizzazione essendo i noduli costituiti per la maggior parte da calcedonio anziché da silice amorfa.

In questa zona non ho rinvenuto fossili, ma il CASSETTI nel 1900 ha trovato le seguenti forme : Palaeoniso pupoides GEMM., Phylloceras cylindricum sow., Lytoceras articulatum sow.

Anche questa associazione è caratteristica del Lias inferiore ed il CASSETTI, dal momento che i fossili provenivano da un punto piuttosto alto deUa sezione, indica come possibile la presenza di una roccia di età triassica alla base del costone della Difesa. Alcuni anni dopo (1938) anche BENEO

riproponeva una suddivisione delle dolomie della Difesa di Anversa in un orizzonte superiore da attribuire al Lias inferiore (sulla scorta del CAs-

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SETTI) ed una parte inferiore da considerare trias­sica in base al rinvenimento di una Diplopora.

Recentemente CRESCENTI mi ha comunicato a voce di aver rinvenuto esemplari di Diplopora alla base della montagna di Prezza che rappre­senta la continuazione verso Nord dello sperone della Difesa. E' probabile quindi che alla base della Difesa affiori effettivamente il Trias almeno per un certo tratto.

Nella zona rilevata in dettaglio oltre ai due af­fioramenti di Villetta Barrea e della Difesa - Serra Ru:figno ne esiste un terzo alla base del versante sud-occidentale della dorsale Monte Marsicano -Serra della Cappella - Monte Palombo (fig. 2); questo, che è sempre sottostante al tipico Lias a Palaeodasycladus, non ha fornito alcuna forma fossile e litologicamente è simile a quelli di Villetta Barrea. Data la relativa vicinanza tra i due affioramenti e gli spessori che risultano pres­sochè identici si ritiene di poter correlare le due fasce dolomitiche e di conseguenza attri­buire al Lias inferiore anche quelle del Monte Marsicano.

Sull'origine di queste dolomie si può dire assai poco : certamente esse non sono dolomie primarie dal momento che queste presentano ben altri caratteri e quindi deve trattarsi di un fenomeno di ricristallizzazione su larga scala, che ha interessato sedimenti normali e che si è arrestato ad un certo livello. In generale l'arresto della dolomitizzazione avviene in modo graduale: a Monte Palombo il passaggio è sottolineato da lingue o fiamme di do­lomie (della lunghezza anche di un chilometro), che si vanno ad intercalare entro la formazione micritica superiore; cioè qui si può osservare di­rettamente il progredire della dolomitizzazione entro i livelli micritici normali. Oltre alla ricristal­lizzazione deve essere intervenuto un notevole apporto di magnesio; le alghe calcaree infatti fis­sano una calcite con percentuali anche elevate di magnesio (high magnesium calcite degli Autori americani) e si spiega così una certa percentuale di Mg C03 contenuta nella micrite, ma questo non è certo sufficiente per spiegare il tenore medio di carbonato di magnesio delle dolomie che si aggira sul 40-45%. È evidente che sono interve­nute soluzioni percolanti che hanno arricchito di magnesio i sedimenti, ed una conferma indiretta di ciò si può avere dal fatto che la dolomitizzazione si estende maggiormente in corrispondenza delle faglie.

Ambiente di sedimentazione

Abbiamo accennato in precedenza che l'unità delle dolomie è più apparente che sostanziale; in­fatti, nonostante che la ricristallizzazione abbia obliterato la maggior parte dei caratteri litostrati­grafici, l'esame comparato delle biofacies presenti a Villetta Barrea ed alla Difesa ci permette di fare delle distinzioni ambientali. A Villetta Barrea si sono rinvenuti lamellibranchi, per lo più pettinidi, ed alcune piaghe relitte hanno mostrato una lito­facies a lumps e mi cri te: il tutto fa pensare ad una zona di mare sottile e calmo, neritico o addirittura lagunare. Alla Difesa sono state trovate delle am­moniti e dei noduli e liste di selce intercalati al calcare. Le ammoniti in genere sono tipiche di un ambiente pelagico o almeno legate con il mare aperto e, per quanto i noduli di selce non abbiano in pratica alcun valore nella determinazione del­l'ambiente, nella regione studiata ho potuto con­statare che essi compaiono soltanto nei terreni della facies di transizione o di quella pelagica, mentre sono completamente assenti sulla piatta­forma e nelle facies di scogliera.

Tenendo quindi nel dovuto conto tutti gli ele­menti indicati, si può concludere che a livello del Lias inferiore dovevano esistere già, nella Marsica orientale due ambienti distinti: uno neritico, di mare sottile, in corrispondenza di Villetta Barrea, ed un secondo nella zona della Difesa in cui si aveva un mare aperto o almeno una zona stretta­mente legata ad esso.

L'ipotesi è verosimile in quanto nei sedimenti immediatamente sovrastanti alle dolomie si potrà documentare questa bipartizione con maggiore si­curezza ed abbondanza di particolari, basandosi soprattutto sulle caratteristiche tessiturali delle litofacies.

Altre dolomie

Nella zona rilevata in dettaglio gli affioramenti delle dolomie basali si riducono ai tre che abbiamo menzionati ma nelle zone circostanti vi sono altri affioramenti di cui merita parlare anche se somma­riamente. Uno dei più vicini alla nostra area è quello assai vasto che si estende a Sud dell'alto Sangro, sulla cresta delle Camosciare, in Val Fon­dillo e si ritrova poi alla base della lunga dorsale che giunge fino alla Meta. La zona è assai poco conosciuta; alcune notizie compaiono in un lavoro di MANFREDINI (1963), successivamente PESCATORE (1963) ne ha parlato assai rapidamente, indi PARA-

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FIG. 2 - Versante meridionale del Monte Marsicana visto da Monte Amaro (da Sud): sono assai evidenti la frattura che ha rialzato la struttura ad Occidente, l'immersione orientale degli strati, ed il progressivo aumento del valore della inclinazione. A-A Faglia del Monte Marsicana (terminazione meridionale della linea alto San­gro - Giovenco): da una direzione prevalente NNW - SSE, nella parte sinistra della figura, essa prende un andamento pressoché E-W limitando a Sud la struttura. D- Dolomie infraliassiche; L- Lias a Palaeodasycladus; FT- Formazione della Terratta (Dogger-Neocomiano); CO- Calcare cristallino ad orbitoline (Cretaceo medio); MA- Formazione marnoso-arenacea (Tortoniano); 1- Monte Marsicana; 2- Monte Ninna; 3- Monte Forcone;

4- Monte Godi; 5- Ferraio di Scanno; 6- Val Ciavolara; 7- Strada Marsicana, circa al Km 52. - Southern si de of Monte Marsicana viewed from Monte Amaro (from South): fault uplifting the structure to the West, and progressive increase in Eastward dip of the beds, may be well nott·d. A-A Monte Marsicana fault (Southern end of the Upper Sangro - Giovenco line). In the left side of the picture it has NNW-SSE trend, then i t turns to an almost E-W trend an d cuts to the South the Mont~ Marsicana structure; D- Infralias Dolomites; L- Palaeodasycladus Limestones (Lias); FT- << Terratta Formatwn '> (Dogger- Lower Cretaceous); CO- <• Calcare cristallino >> (Middle Cretaceous); MA- << Marnoso-arenacea >> v'ormation (Upper Miocene).

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DISI (che ha rilevato la zona della Meta per la Carta Geologica d'Italia) ha effettuato una comu­nicazione alla Società Geologica Italiana ma il lavoro non è stato poi pubblicato. Secondo MAN­FREDINI le dolomie, almeno nella parte alta, avreb­bero un'età cretacica provata dal rinvenimento di una Requienia e da dati micropaleontologici non meglio precisati. Secondo PARADISI invece, esse sarebbero di età liassica inferiore analogamente a quelle di Villetta Barrea, in quanto poco lontano da S. Donato egli avrebbe rinvenuto alcuni lembi di calcare a Palaeodasycladus poggianti sulle dolomie e probabilmente trasgressivi. Questa conclusione mi sembra che si accordi di più con quanto osser­vato nella nostra zona ed anche con quanto affer­mato da PESCATORE, che nella Val di Canneto at­tribuisce le dolomie alla Formazione di Fonte Greca correlandole così con sedimenti del Trias­Infralias.

In realtà la zona della Camosciara-Monte Petroso-

Monti della Meta sembra rappresentare la conti­nuazione verso Meridione della zona da me stu­diata e ritengo molto probabile quindi che il li­vello basale delle dolomie si possa effettivamente correlare con quelle di Villetta Barrea.

Altre rocce dolomitiche per noi interessanti si rinvengono nella Val Roveto; esse affiorano alla base di formazioni di età medio-liassica e quindi si possono attribuire facilmente all'Infralias. Anche in Val Roveto è evidente il fenomeno della dolo­mitizzazione in corrispondenza di faglie; in par­ticolare, intorno alla grossa frattura longitudinale che corre alla base del versante orientale, vi è sempre una fascia dolomitizzata anche quando la faglia interessa rocce giurassiche o cretaciche. È quindi evidente anche qui che la dolomitizzazione è secondaria, ed è avvenuta ad opera di soluzioni percolanti che hanno trovato un più facile passag­gw m corrispondenza delle discontinuità della roccra.

IL LIAS MEDIO-SUPERIORE

I primi orizzonti che si possano datare ovunque con una certa sicurezza e eh:: mostrano caratteristi­che litologiche e tessiturali significative apparten­gono al Lias medio. A questo livello è già po~si­bile individuare una netta differenziazione in al­meno due facies, caratteristiche di due diversi am­bienti di sedimentazione; uno di piattaforma molto estesa, che occupa gran parte della regione in esa­me; un secondo di scarpata, che pur essendo limi­tato all'angolo NE ha un estremo interesse palco­geografico. Data la sostanziale differenza fra i due tipi di sedimentazione essr verranno esaminati separatamente.

FACIES DI PIATTAFORMA (l)

Sedimenti liassici in facies di piattaforma sono molto estesi nella Marsica orientale tanto che le caratteristiche stratigrafiche di questi terreni si sono potute esaminare su numerose sezioni. Sopra le dolomie che abbiamo già descritto i sedimenti conservano le loro caratteristiche litologiche e tessiturali dovute alla sedimentazione, e sono co­stituiti in grandi linee da una matrice micritica in-

(1) Per il significato specifico dci termini vedi CoLACICCHI 1966. Voglio solo ricordare qui che con questo termine si vuole tradurre la locuzione inglese shelf-lagoon nella sua accezione più vasta.

globante alghe calcaree, in particolare Dasyclada­ceae. Il contatto fra queste rocce e le dolomie in­feriori non corrisponde ad un orizzonte stratigra­fico, dal momento che la dolomitizzazione ha rag­giunto livelli diversi nelle diverse località (vedi Monte Palombo). Il passaggio fra i due tipi litolo­gici è sempre piuttosto graduale e sfumato; entro i primi strati calcareo-micritici si trovano con no­tevole frequenza cristalli di dolomite, mentre pic­coli livelli isolati e ben definiti si incontrano a varie altezze, almeno fino alla metà della formazione micritica. La scomparsa dei livelli dolomitici è quindi molto graduale e le alternanze suddette si prolungano per uno spessore notevole prima di cedere il posto definitivamente alla micrite algale.

Le rocce che seguono le dolomie o si inter­calano ad esse, sono costituite da micriti di colore nocciola, chiare, quasi bianche nella parte bassa, molto scure invece verso l'alto, sempre nettamente stratificate in banchi variabili da un metro a trenta centimetri. La micrite è estremamente fine (rientra nel tipo classico di FOLK, cioè con granuli inferiori a 4 micron), talora si presenta ricristallizzata, altre volte mostra delle zone vacuolari in cui è presente cemento di cavità dando origine ad una dismicrite. Le alghe calcaree sono rappresentate da Dasycla­dacee fra cui la Thaumatoporella parvovesiculifera (RAINERI) estesa per tutto l'intervallo dalle dolomie

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alla sommità del Lias ed il Palaeodasycladus medi­terraneus (PIA) che compare più in alto e che ri­mane presente anch'esso fino alla sommità. Que­st'ultima specie caratterizza la formazione per la sua abbondanza e diffusione e perché può essere facilmente individuabile ad occhio nudo, tanto che si usa, fra coloro che studiano la stratigrafia del­l' Appennino, parlare di calcari a Palaeodasycladus intendendo con questo il Lias non dolomitizzato. Questa denominazione del resto è stata codificata da SARTONI & CRESCENTI che hanno istituito una cenozona a Palaeodasycladus mediterraneus valida

FIG. 3 - Livelli fortemente arrossati (hard ground) prove­nienti dalla zona di passaggio tra la parte inferiore e quella superiore della zona a Palaeo­dasycladus (Lias). La roccia è costituita da una microbreccia con una gran quantità di mate­riale opaco rossastro, probabil­mente costituito da limonite. Le vene di calcite, ad anda­mento orizzontale, sono proba­bilmente autigene. Questa lito­facies indica una fase subcon­tinentale a forte ossidazione e percolazione da parte di acque meteoriche. Sezione di Monte Palombo. x 12.

- Highly reddened hard gro­und levels at the transition zone from Lower to Upper part of Palaeodasycladus Limestones (Lias). Rock is made up by a << microbreccia >> with a great deal of reddish opaque material probably costituted by limo­nite. Calcite veins with hori­zontal trend are probably authi­

leggero aspetto marnoso, pm spesso con una com­ponente dolomicritica. Questi livelli sono sparsi a varie altezze, hanno un andamento lentiforme molto irregolare che, salvo qualche caso particolare, rende impossibile qualsiasi correlazione a distanza. Il loro aspetto è simile ad hard-grounds (fig. 3) e sembrano indicare fasi di temporanea emersione oppure periodi in cui il fondo marino poteva tro­varsi scoperto durante la bassa marea. Potrebbe trattarsi anche di episodi di stasi della sedimenta­zione ma è un'ipotesi meno probabile, date le ca­ratteristiche che hanno i sedimenti. Ad ogni modo

genic. This lithofacies indicates a subcontinental phase with high oxidation, and percolation of meteoric water. Monte Palombo section. x 12.

per tutto l'Appennino centro-meridionale e natu­ralmente anche per la Marsica. Altre alghe sono rappresentate da Girvanelle ed alghe incro­stanti che costituiscono le stromatoliti e gli onkoidi.

Insieme alle alghe si rinvengono, nella matrice micritica, intraclasti più o meno arrotondati ma sempre con angoli ben smussati, pellets, lumps, che talvolta rappresentano una notevole percentuale nella composizione della roccia; a tratti si incontra qualche episodio oolitico. Molto frequenti, quasi quanto i talli di Palaeodasycladus, gli onkoidi costituiti da granuli di qualsiasi tipo rivestiti da uno spesso involucro opaco micritico (fig. 6). Piuttosto diffusi in tutta la formazione, ma poco notati fino ad ora, dei livelletti di materiale finis­simo, sterile, arrossato o giallastro, talora con un

la loro presenza è chiaramente connessa con la facies di minima profondità che viene testimoniata dalle dasicladacee e dalle caratteristiche tessiturali del sedimento.

Questa formazione è sempre ben riconoscibile all'osservazione macroscopica: nella parte media ed alta si presenta ben stratificata (carattere che i terreni successivi non avranno più) in banchi di spessore uniforme, frattura spesso concoide, co­lore nocciola carico su cui spiccano le alghe cal­caree e gli onkoidi come macchie più chiare. La parte inferiore è invece costituita da rocce con stratificazione meno regolare, dal colore più chiaro, meno ricche in dasicladacee ed onkoidi con intra­clasti e pellets più abbondanti. In questa parte con maggior frequenza si hanno episodi di ricristalliz-

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zazione della matrice micritica o di dolomitizzazione e sono meno frequenti o addirittura mancano del tutto i livelli arrossati di hard-grounds.

Circa a metà della zona a Palaeodasycladus si incontra una fascia di spessore estremamente varia­bile in cui è presente l' Orbitopsella praecursor ( GUMBEL); questa porzione della serie è stata indi­cata da SARTONI & CRESCENTI come sottozona ad Orbitopsella.

Alla sommità della formazione si rinviene sempre la caratteristica << facies a Lithiotis >> (ScARSELLA, 1961) costituita da numerosi banchi massicci con­tenenti un'abbondantissima fauna ad ostreidi e

pernidi, che sulle superfici di erosione hanno un caratteristico aspetto bilaminare (fig. 4), in as­sociazione con piccoli megalodontidi, gasteropodi e banchi di brachiopodi. Il nome di questa fascia è derivato da alcuni esemplari di Lithiotis proble­matica GUMBEL che sono stati rinvenuti in varie località e determinati da DE CASTRO (1962). Lo spessore è quanto mai variabile; va da pochi metri ad alcune decine, comunque costituisce sempre la parte sommitale del calcare a Palaeo­dasycladus.

Verso l'alto il passaggio ai calcari oolitici del Giurese medio è piuttosto brusco, netto e carat­terizzato dalla presenza di strati arrossati, hmd­grounds, livelli a marne grige o rossastre simili a quelli che si rinvengono nell'ambito della forma­zione, ma qui più potenti e più evidenti. Il tutto

lascia pensare ad una generale tendenza all' emer­sione o ad un arresto della subsidenza più marcato prima dell'avvento della facies oolitica.

I caratteri stratigrafici del Lias medio-superiore in facies di piattaforma sono stati esaminati su numerose sezioni stratigrafiche studiate in grande dettaglio; illustreremo qui sommariamente quelle principali e gli affioramenti che mostrano qualche interesse particolare, per dare un'idea delle varia­zioni locali e degli spessori che la formazione as­sume nelle varie zone.

Sezione del Monte Atessa - È situata nella parte occidentale della zona rilevata, lungo la strada

FIG. 4 - Facies a Lithiotis (Lias superiore). Lamellibran­chi dal caratteristico aspetto bilaminare entro una massa micritico-organogena. Questi li­velli stanno al tetto dei Calcari a Palaeodasycladus e indicano una facies di tipo lagunare con acque basse, salmastre.

Monte Palombo.

Lithiotis facies (Upper Lias). Pelecypods with typical bila­minar feature into a skeletal m1cnte matrix. These levels are characteristic of the top of Palaeodasycladus Limestones and indicate a lagoon facies, with shallow brackish water.

Monte Palombo.

Pescasseroli - Bisegna. La formazione liassica ha qui uno spessore visibile di circa 700 metri ma non è completa in quanto alla base non affiorano le dolomie e nei primi campioni è già presente il Palaeodasycladus mediterraneus, quindi manca la zona atipica con la sola Thaumatoporella. Tutta la parte inferiore di questa sezione, dalla base fino a metà circa, mostra una roccia di colore grigio chiaro con strati molto spessi (circa un metro in media) e con la litofacies costituita da una matrice micritica in cui sono frequenti placche ricristal­lizzate che la fanno classificare come una dismicrite. In molti campioni sono presenti grossi cristalli idiomorfi di calcite che devono la loro origine a fenomeni di ricristallizzazione. I granuli sono co­stitUiti più che altro da intraclasti non arrotondati ma ad angoli smussati, accompagnati da pellets e

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lumps; mancano o sono molto ridotte in questa parte, le alghe calcaree e gli onkoidi, frequenti in­vece i foraminiferi bentonici. Dall'aspetto generale della microfacies si ha l'impressione di trovarsi davanti ad un sedimento deposto a profondità leg­germente maggiore della media generale.

Frc. 6 - Onkoidi nella parte superiore deJla zona a Palaeo­dasycladus. E evidente l'invo­lucro laminare da cui sono stati avvolti i granuli; nell'on­koide in alto al centro sono vi­sibili, nella parte interna, delle camere da riferire probabil­mente a Nubecularia. Il cam­pione proviene dai livelli arros­sati e si può notare un velo di materiale ossidato che circonda

vari granuli. Monte Atessa. x 12.

Onkolites from the Upper part of Palaeodasycladus Li­mestones (Upper Lias). It is evident the laminar coating around the grains. The on­kolite at the centre top, shows some chambers inside, probably due to Nubecularia. This sam­ple comes from reddened levels and so a veil of oxidate materia! may be noted around the grains.

Monte Atessa. x 12.

Circa a metà della sezione si passa ad una roccia a colore più scuro (nocciola carico) con stratifica­zione più sottile (20 - 25 centimetri); il cambia­mento è brusco e per questo si nota maggiormente. Un piccolo livello arrossato dello spessore di 5 cm si incontra poco dopo la variazione della macro-

litofacies, esso ha una buona continuità laterale e, come vedremo, si ritroverà anche nelle altre sezioni alla stessa altezza. Nella parte superiore la micro­facies si arricchisce in alghe calcaree ed onkoidi, in qualche caso estremamente abbondanti; si in­contrano livelli oolitici (fig. 5), mentre gli oriz-

Frc. 5 - Facies oolitica della parte superiore della zona a Palaeodasycladus (Lias supe­riore). Gli ooliti non hanno un aspetto tipico; il nucleo è co­stituito da un pellet micritica e gli involucri concentrici sono opachi per la presenza di cal­ci te microcristallina intrappo­lata in notevole quantità entro la calcite fibroso-raggiata.

Monte Atessa. x 40.

Oolitic facies from the Up­per part of Palaeodasycladus Limestones (Upper Lias). Ooli­tes are not very typical: nu­cleus is constituted by a micritic pellet, and concentric layers are very opaque according to the presence of a great dea! of microcrystalline mud trapped into the fibrous calcite.

Monte Atessa. x 40.

zonti con plaghe ricristallizzate scompawno com­pletamente. Sono pure assenti i livelli con rombo­edri di calcite o dolomite, mentre la dolomicrite si associa alle intercalazioni rossastre e agli hard­grounds. Questi ultimi sono frequenti ma non hanno più quella continuità laterale propria dello

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strato che segue al cambiamento delle caratteristiche litologiche. In vicinanza degli hard-grounds anche gli onkoidi hanno un orlo rossastro (fig. 6) il che induce a pensare che in questa parte superiore si sia avuta una progressiva riduzione della profondità del bacino fino ad arrivare molto vicini al livello della bassa marea; da notare che gli strati arros­sati aumentano spostandosi verso Occidente e verso Nord.

Nella parte alta si incontra la facies a Lithiotis che in questa sezione è particolarmente sottile (solo pochi metri); il tetto presenta strati arrossati e li­velli dolomicritici indi si passa rapidamente a cal­cari oolitici ad entrochi che sono da riferire al Dog­ger. Lo spessore di questa parte superiore è di circa 360 metri.

Sezione di Monte Palombo - Questa sezione è poco più a Sud di quella dell'Atessa, sul versante occidentale del Monte Palombo. È più completa della precedente in quanto arriva quasi al limite con le dolomie infraliassiche ed è particolarmente interessante perché ci permette di verificare lo stato della dolomitizzazione nella parte inferiore della formazione. Dalla base, per una potenza di circa 350 metri, si incontrano dolomie e calcari dolomitizzati che però non appartengono alle do­lomie infraliassiche; infatti a vari livelli si vedono piaghe non dolomitizzate in cui sono stati rinvenuti resti di Thaumatoporella parvovesiculifera e Palaeo­dasycladus mediterraneus. Abbiamo quindi concluso che si tratta di una dolomitizzazione secondaria della roccia, estesa al Lias medio-superiore. Un controllo stratimetrico con la sezione di Monte Marsicana (che è più tipica e completa) ci ha con­fermato il fatto che il tetto della formazione dolo­mitica infraliassica sta circa l 00 metri più in basso della base della sezione di Monte Palombo.

Dalla base di questa sezione fino a 350 metri di spessore circa, è rappresentata quindi la zona <<ati­pica >> e parte della zona a Thaumatoporella par­vovesiculifera e Palaeodasycladus mediterraneus di SARTONI & CRESCENTI. Una intensa dolomitizza­zione ha in gran parte obliterato l'aspetto originario della roccia; essa è probabilmente connessa con una fratturazione particolarmente intensa nei pressi della sezione.

Il tetto della parte dolomitizzata è stato fissato convenzionalmente a 350 metri ma in realtà la scomparsa delle dolomie cristalline avviene in maniera molto graduale. La parte superiore è estre­mamente simile a quella dell'Atessa; si ha anche qui una suddivisione in due livelli di cui quello

inferiore a strati più grossi, chiaro, e con caratte­ristiche tessiturali e paleontologiche tali da farlo ritenere sedimentato in ambiente leggermente più profondo. Lo spessore di questa parte è di 305 metri lungo la sezione, ma nelle zone circostanti varia moltissimo a seconda del livello cui è arrivata la dolomitizzazione; in particolare si riduce a zero sul versante sud-orientale di Monte Palombo mentre è di circa 550 su quello nord-occidentale.

Anche in questa sezione il passaggio alla parte sommitale è segnato da un cambiamento di colore, un infittirsi della stratificazione e, pochi metri più in alto, da un livelletto arrossato dolomicritico piuttosto continuo e con uno spessore di 10 cm circa. La parte superiore, che ha qui uno sviluppo di circa 500 metri; è in tutto simile a quella del­l' Atessa per cui tralasciamo la descrizione. Da no­tare solo una microfauna molto ricca costituita da Orbitopsella praecursor GiiMBEL, Lituosepta re­coarensis CATI, Haurania amiji HENSON, Aeolisaccus dunningtoni ELLIOTT, Pseudocyclammina sp., ecc. Mol­to interessante la presenza di alcuni esemplari di Vidalina martana FARINACCI, fossile rinvenuto in genere in ambiente pelagico. Nella parte sommitale è presente la fascia a Lithiotis che in questo caso ha uno spessore maggiore aggirandosi sui 10 metri.

Zona di Prato Rosso - Circa due chilometri e mezzo ad Oriente del Monte Palombo, vicino al piccolo rifugio di Prato Rosso, a circa 80 - l 00 me­tri dal tetto della formazione liassica (la stima è difficile dato che la regione è assai boscosa), è stato rinvenuto un orizzonte dello spessore di 70 - 80 cm costituito da dolomicriti grige, finemente fogliet­tate, contenenti numerosi resti di piante superiori e alcuni molluschi che indicano chiaramente una facies lagunare paralica. Tra le piante sono state rinvenute conifere e cicadee, con le stesse formç presenti nei calcari grigi del Veneto, che del resto sono quanto mai simili ai nostri. L'insieme della flora, della fauna e delle caratteristiche tessi­turali indica un ambiente di acque quasi dolci, sta­gnanti o almeno a bassissima energia intorno a cui, su rive emerse, prosperavano piante superiori di vario tipo le cui fronde venivano fluitate nel ba­cino. Il giacimento è particolarmente interessante soprattutto se si correla con i numerosi livelli ar­rossati e di hard-grounds che si rinvengono, a varie altezze, lungo la parte superiore della serie liassica. Purtroppo il giacimento di Prato Rosso si perde per la fitta vegetazione e non è stato possibile rin­tracciarlo altrove.

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Sezione del Monte Marsicana - La potente pila di strati che affiora a reggipoggio sul versante sud­occidentale del Monte Marsicana (fig. 2) è co­stituita dalle dolomie infraliassiche seguite dai calcari a Palaeodasycladus e poi dall' oolitico; rap­presenta quindi la sezione più completa nei ri­guardi del Lias.

Il passaggio dalle dolomie alle micriti è più netto, gli strati saccaroidi si interrompono di colpo per lasciare il posto ad intramicriti chiare che recano sì tracce di dolomitizzazione anche intensa, ma ì'ù cui non è mai perduta completamente la tessitura originaria. La prima parte della serie non saccaroide è simile agli strati basali delle sezioni viste in precedenza, ma pur essendo pre­senti numerose alghe manca il Palaeodasycladus mediterraneus; affiora quindi in questo punto il corrispondente della zona << atipica >> di SARTONI & CRESCENTI sottostante a quella a Palaeodasycladus e caratterizzata dalla Thaumatoporella e da altre forme meno significative. Lo spessore di questa parte è di 270 metri. Con ogni probabilità la << zona atipica >> era presente anche al Monte Palombo ma qui la dolomitizzazione più intensa non ha permesso di giudicare con sicurezza se fossero veramente assenti determinate forme algali.

Verso l'alto la serie si presenta ancora bipartita come all'Atessa ed a Monte Palombo ; si hanno 250 - 300 metri di roccia più chiara con banchi più spessi ma le differenze sono assai meno mar­cate, ed anche nella parte inferiore si ha una no­tevole abbondanza di dasicladacee ed onkoidi. Il passaggio alla parte superiore non è sottolineato dal solito livello di hard-grounds ma coincide con la fine delle intercalazioni a romboedri di dolomite che vengono sostituite da dolomicriti; cambia come al solito il colore della roccia che si fa scuro, e compaiono (più alto) i soliti livelli di hard-ground associati alle dolomicriti. Lo spessore di questa parte è di 350 metri circa e verso la sommità la facies a Lithiotis occupa uno spessore di 40 - 50 me­tri. Alla base di quest'ultimo tratto si ha un'inter­calazione di 20 - 25 metri contenente l'Orbitopsella praecursor GUMBEL: da notare che questo livello è particolarmente sottile rispetto a quanto è stato osservato in altre zone (Serra del Prete, Monaco di Gioia, SARTONI & CRESCENTI 1959).

Sezione della Serra Sparvera - Questa sezione è ubicata più a NE delle altre ed ha un suo inte­resse particolare in quanto è molto spostata verso la zona ove il Lias assume una facies di transizione. Qui affiorano soltanto un centinaio di metri di rocce

liassiche e quindi siamo nella parte superiore della zona a Palaeodasycladus, ma la litofacies è assai in­teressante in quanto insieme alle micriti che domi­nano ovunque, si intercalano alcuni livelli sparitici. Tra i fossili, oltre alla solita associazione di alghe e foraminiferi bentonici, si rinvengono, specialmente in prossimità della facies a Lithiotis, alcuni coralli (in genere forme isolate) e qualche idrozoo. Queste forme, che appartengono ad un ambiente comple­tamente diverso da quello della piattaforma micri­tica, indicano chiaramente uno spostamento verso il bordo.

La fascia a Lithiotis assume qui un forte spes­sore (circa 30-40 metri) ma è meno tipica, le ostreidi sono meno frequenti e tutta la microfacies è più simile a quella tipica del calcare a Palaeodasycladus sottostante. Mancano inoltre i livelli arrossati, gli hard-grounds e le dolomicriti mentre, proprio al tetto del Lias, sono presenti livelli dolomitizzati ma con una evidente ricristallizzazione.

Fossili ed età

Abbiamo accennato durante la descrizione della sezione ad alcuni fossili che vi si rinvenivano: se si riuniscono tutte le segnalazioni si ha la se­guente associazione: Thaumatoporella parvovesi­culifera (RAINERI), Palaeodasycladus mediterraneus (PIA), P. mediterraneus var. elongatulus PRATURLON, Boueina hochstetteri liasica LE MAITRE, Cayeuxia piae FROLLO, Cayeuxia sp., Sestrosphaera sp., Ma­croporella sp., Lithiotis pmblematica GUMBEL, Or­bitopsella praecursor GUMBEL, Lituosepta recoarensis CATI, Haurania amiji HENSON, Pseudocyclammina sp., Vidalina martana FARINACCI. Nel giacimento di Prato Rosso si sono rinvenute le seguenti specie di piante: Otozamites sp., Sphenozamites cfr. lan­ceolatus (DE ZIGNO), Sphenozamites sp., Ptilozamites sp., Nilssonia sp., Brachyphyllum sp., Pagiophyllum cfr. rotzoanum (MASSALONGO), Pagiophyllum sp., Dactylethrophyllum sp., (la flora è tutt'ora in studio da parte del dott. PRATURLON). Dai pochi Autori che hanno rilevato la zona in epoca precedente sono state rinvenute: Terebratula rainieri SCHAUR., T. rotzoana CAT., Rhynchonella sp., Megalodus sp.

Come si vede dal magro elenco che abbiamo riportato, il calcare liassico è piuttosto povero di specie, in particolare di macrofossili, anche se gli individui sono assai abbondanti. Dall'associazione microfaunistica che abbiamo citato si può ricavare un'indicazione generica ma non si può certo scen­dere a dettagli molto fini. Le indicazioni più pre­cise sono date dalla Orbitopsella praecursor caratte-

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nst1ca del Domeriano, come è ormai ammesso dalla maggioranza degli stratigrafi, ma le altre forme indicano un'età liassica in generale o tutt'al più un Lias medio-superiore. Da notare che la maggior parte di queste datazioni è stata fatta per confronto con i calcari grigi del Veneto dei quali non si ha certo una stratigrafia di estremo dettaglio.

Di questo problema si sono occupati tutti gli Autori che hanno preso in esame la stratigrafia del Mesozoico inferiore appenninico. Le loro ar­gomentazioni sono completamente valide anche per la nostra zona quindi si rimanda a loro per la discussione della cronologia. Riassumendo le osser­vazioni fatte potremo riferire al Lias inferiore­medio la zona <<atipica>> (senza Palaeodasycladus) e al Lias medio e superiore la zona con il Palaeo­dasycladus, indicando come Domeriano la subzona ad Orbitopsella praecursor.

È probabile che la fine della sedimentazione dei calcari algali sia da porre al tetto del Lias; a questo punto si ha una netta variazione di facies che fa seguire ai calcari di piattaforma a matrice micritica un materiale che con il cemento spatico, la pre­senza di ooliti, coated grains e frammenti di orga­nismi di scogliera, indica un ambiente ad altissima energia. Anche l'età di questo passaggio rimane incerta dato che neppure i livelli basali della for­mazione oolitica presentano elementi significa­tivi. L'unica informazione abbastanza precisa si è avuta per via indiretta dallo studio della zona di transizione in cui si è potuta individuare la variazione di facies nei materiali deposti lungo la scarpata e correlarla con i livelli databili con suf­ficiente precisione. L'età è risultata al passaggio fra il Lias e Dogger; comunque maggiori dettagli saranno dati più avanti.

La flora del giacimento di Prato Rosso può essere correlata soltanto con quella dei calcari grigi del Veneto illustrata da DE ZIGNO (1856-68, 1873-85); fino ad oggi l'associazione floristica del Lias delle Alpi Venete rappresentava qualcosa di non correlabile con alcun altra flora; essa era stata considerata di età oolitica, contemporanea a quella di Scarborough nel Dogger inglese ma da os­servazioni più recenti (DAL PrAz, 1907; F ABIANI & TREVJSAN, 1929) è risultato chiaro che tutta

la serie dei calcari grigi deve attribuirsi al Lias e che l'orizzonte a fossili vegetali con tutta pro­babilità corrisponde alla base del Toarciano o alla parte più alta del Domeriano.

Tornando alla flora della Marsica, colpisce la presenza degli stessi generi (lo studio come si è detto è ancora in corso e per ora non è possibile

effettuare un confronto al livello delle specie), il notevole sviluppo percentuale delle cicadofite, l'ab­bondanza di individui appartenenti al genere Sphenozamites e Pagiophyllum, tutti caratteri co­muni alla flora del V e neto e solo a quella; ed in­fine l'estrema somiglianza morfologica delle forme stesse dei due giacimenti. Questa rassomiglianza così stretta autorizza anche una correlazione cro­nologica, e del resto la posizione del giacimento di Prato Rosso, alcune decine di metri sotto il tetto dei calcari a Palaeodasycladus (che come si è detto è databile Toarciano superiore - Aaleniano) fa ritenere estremamente probabile che la flora mar­sicana appartenga al Toarciano inferiore. Assai interessante inoltre l'indicazione di ambiente che questa flora dà e che sarà esaminata in seguito.

Caratteristiche della litofacies

Le caratteristiche della litofacies nelle rocce che abbiamo descritto sono piuttosto uniformi e sono tipiche per lo straordinario sviluppo della matrice micritica la quale solo in pochissimi casi cede il posto ad un cemento spatico macrocristallino. Entro la micrite si trovano imballati una grande quantità di granuli di varia origine che prenderemo man mano in esame.

La matrice micritica - Nei punt1 m cui sicura­mente non sono avvenuti fenomeni di ricristalliz­zazione la micrite ha un aspetto estremamente opaco ed, anche in sezione sottile, la sua traspa­renza è molto ridotta. Tutto questo indica una grana molto fine ed infatti, in condizioni normali di osservazione, essa non è risolubile al microsco­pio. Su sezioni estremamente assottigliate e con ingrandimenti molto forti è possibile riso !vere la grana che si aggira intorno ai 2 micron.

Insieme a questa parte finissima vi sono piaghe in cui i granuli sono più grandi (si aggirano sui 10 micron o più); si riscontra una specie di di­stribuzione bimodale delle granulometrie in cui i massimi stanno, come si è detto, intorno ai 2 mi­cron e ai 10-12 micron. Naturalmente data la estre­ma finezza non si è potuto eseguire un conteggio e costruire una curva, si tratta solo di osservazioni dirette, ma l'individuazione delle due diverse gra­nulometrie è assai precisa ed immediata.

I due tipi di micrite sono mescolati ma non completamente dispersi; a forti ingrandimenti la tessitura della roccia si risolve in piccoli grumi omogenei costituiti dall'uno o dall'altro tipo di granulo; spesso si nota una maggiore individua­lità dei grumi a granulometria più fine mentre il

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materiale di 10 micron sembra riempire gli spazi lasciati dai grumi di 2 micron.

Origine della micrite - È chiaro che i due tipi di micrite, differenziati per la granulometria de­vono avere un'origine separata; l'elemento a granu­lometria più fine, con ogni probabilità, può essere ricondotto ad una micrite algale. Se si osservano gli onkoidi o altre incrostazioni prodotte dalle algh(', si vede che nei filamenti algali è intrappo­lata una polvere micritica che ha circa le stesse di­mensioni. Si tratterebbe della algal micrite di WoLF e della algal dust di Wooo, cioè di materiale derivante dalla precipitazione della calcite causata dalle alghe calcaree. Ambedue gli Autori citati hanno trovato numerosi esempi di strutture algali che passavano lateralmente a micrite ed anche nelle nostre sezioni è possibile vedere fenomeni simili: ad esempio in alcuni casi gli onkoidi per­dono il tipico aspetto laminato e risultano costi­tuiti da mi cri te del tipo più fine; in questi casi è difficile delimitare il contorno dell'onkoide specie quando questo sia ci;:condato dal materiale di due mtcron.

Un secondo modo di origine del materiale fine potrebbe essere costituito dalla flocculazione di­retta della calcite per sovrasaturazione dell'ambiente; secondo FoLK questa origine è possibile e anzi sarebbe frequente negli ambienti pelagici, ma nu­merosi altri Autori (ad esempio PuRDY) negano la possibilità che una precipitazione diretta possa dare origine ad un materiale di questo genere. Nel caso che stiamo esaminando si aveva un am­biente di minima profondità ed una lama d'acqua assai estesa, quindi è possibile che in seguito al­l'evaporazione si sia giunti alla sovrasaturazione dell'ambiente con precipitazione diretta della cal­cite; mentre è altresì possibile che la grande quantità di calcare precipitato dalle alghe fosse sufficiente ad eliminare il surplus di carbonati concentrati dall'evaporazione. Per concludere ritengo assai probabile che la parte a granulometria più fine sia di origine algale ma non mi sentirei di escludere in modo assoluto l'intervento della precipitazione chimica.

La parte più grossolana può identificarsi con ciò che LEIGHTON & PENDEXTER chiamano mi­crite di 2° tipo o microclastite e cioè un materiale derivante dalla abrasione, spinta fino agli ultimi termini, dei detriti presenti sul fondo marino ed agitati dalle onde. La nostra zona era caratteriz­zata da acque di minima profondità e quindi tutti i moti ondosi potevano raggiungere facilmente il

fondo, movendo così il materiale e provocandone l'abrasione. Questo modo di origine è stato osser­vato in lagune attuali retrostanti a scogliere (MAT­THEWS, 1966) e l'aspetto del materiale descritto corrisponde perfettamente.

La diversa granulometria spiega anche la distri­buzione non omogenea, in quanto la micrite più fine tende ad aggrumarsi più facilmente dell'altra che quindi viene a circondare i grumi già formati.

Intraclasti, pellets, lumps - Essi sono estrema­mente frequenti nella formazione del calcare a Palaeodasycladus; gli intraclasti sono sempre mi­critici tutt'al più con traccia di ricristallizzazione e mostrano una gamma di arrotondamento e smus­samento quanto mai ampia. In tutte le sezioni esaminate non si sono incontrati mai intraclasti che si potessero classificare come provenienti da un ambiente di sedimentazione preesistente o di­verso da quello in cui giacciono, sono cioè assenti gli extraclasti. L'origine degli intraclasti va ricer­cata nell'azione erosiva che i movimenti dell'ac­qua, quando erano forti, esercitavano sulle micriti non completamente consolidate del fondo marino: si distaccavano blocchi che venivano deposti poco lontano (vedremo che il trasporto non avveniva su grandi distanze).

Per i pellets il punto di partenza è sempre dato dalla micrite più fine non consolidata (allo stato quasi colloidale): correnti o movimenti ritmici delle acque, anche deboli, frazionavano la massa gelatinosa in piccoli grumi che assumevano una loro individualità e, se non erano disgregati da movimenti più forti, si depositavano a costituire le facies pellettifere. È logico quindi constatare che i pellets sono sempre costituiti dalla micrite a granulometria più fine mentre nella formazione degli intraclasti interviene molto spesso anche la mi crociasti te.

Granuli rivestiti (coated grains) - Questo gruppo di granuli può essere suddiviso in due sezioni: a) rivestimento derivante da incrostazione algale (alga! encrusting); b) rivestimento dovuto a preci­pitazione chimica del carbonato (oolitic encrusting).

È bene qui puntualizzare il fatto che non esiste una netta suddivisione fra le due categorie e soprat­tutto non sono stati ancora trovati criteri sicuri per tentare di effettuare detta suddivisione. Pro­babilmente i due processi sono spesso legati in­sieme e quindi, mentre è possibile stabilire il tipo di incrostazione quando essa sia dovuta ad un unico processo, diventa praticamente impossibile

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operare una suddivisione quando ambedue abbiano agito contemporaneamente o quasi.

a) ALGAL ENCRUSTING - l granuli riferibili alle incrostazioni algali sono prevalenti e sono costi­tuiti per la maggior parte da onkoidi. Si tratta di frammenti di natura qualsiasi: talli di dasicladacee, foraminiferi, frammenti di molluschi o echinodermi o anche intraclasti, che mostrano un rivestimento micritico a volte molto spesso. In alcuni casi in questa crosta micritica non è riconoscibile alcuna struttura ma in altri si può osservare una sottilis­sima laminazione concentrica pressoché parallela che ripete, attenuandole sempre di più, le origi­narie irregolarità del frammento che fa da centro. In genere prevalgono gli elementi con le strutture conservate ove la micrite è più fine ed omogenea, mentre entro la microclastite, o quando vi sia un cemento spatico, oppure vistosi fenomeni di disso­luzione e ricementazione, lì prevalgono gli onkoidi

senza struttura.

Le lamine sono estremamente sottili, di lunghezza assai variabile, spesso terminano e sono rimpiaz­zate lateralmente da altre lamine. In alcuni casi il nucleo dell'onkoide è costituito da un intraclasto micritico in cui si possono riconoscere delle camere allungate assai simili a quelle del foraminifew in­crostante Nubecularia (fig. 6). Questi sono per­fettamente simili a quelli descritti da ELLIOTT per il Medio Oriente (1966).

È ormai ammesso da tutti gli Autori che gli onkoidi siano dovuti ad alghe incrostanti del gruppo delle mixofite e questo concorda perfettamente con l'ambiente in cui noi li troviamo: estremamente

favorevole alla vita algale. Nei livelli ad hard ground sono frequenti orizzonti fittamente laminati da attribuire con ogni probabilità a stromatoliti (fig. 7).

b) OéiLITIC ENCRUSTING - Di granuli che si pos­sano riferire ad incrostazioni chimiche abbiamo incontrato soltanto alcune ooliti, ed anche queste

hanno caratteri che ci fanno andare cauti sulla definizione della loro origine. I livelli oolitici sono molto rari, si incontrano soltanto nella parte su­periore della formazione e di solito non costitui­scono un livello ben definito, ma sono sparsi in piaghe lenticolari entro la massa micritica.

Le singole sferule hanno, per la maggior parte, un nucleo micritico costituito da un pellet, ed i cerchi concentrici, di solito pochi, sono anch'essi fortemente impastati di calcite microcristallina (fig. 5). I cristalli radiali, che normalmente in

FrG. 7 - Stromatoliti algali alternate a dolomicriti provenienti dalla parte superiore della zona a Palaeo­dasycladus (Lias medio-superiore). Monte Palombo. x 12. - Alga! stromatolites alternant with dolomicrites from the Upper part of the Palaeodasycladus zone (Middle-

Upper Lias). Monte Palombo. x 12.

luce polarizzata danno la caratteristica croce nera, sono invisibili in condizioni ordinarie perché na­scosti dalla micrite. La disposizione dei cristalli si rende visibile più facilmente nel cemento che borda l'oolite. Infatti, i cristallini di calcite spatica che sono cresciuti dal bordo verso il lume dei pori sono isoorientati con il materiale dell' oolite ed hanno l'asse ottico parallelo al raggio che li tocca. Questo orlo orientato è esclusivo delle ooliti e non si rinviene mai negli onkoidi algali.

Le facies oolitiche sono in genere cementate da calcite spatica ma talvolta entro il cemento è pre­sente una notevole quantità di calcite microcri­stallina che lo rende opaco. Rari, ma pur presenti, i cast 1n cui le ooliti sono imballate dalla matrice micritica.

Sparite - La calcite spatica è estremamente rara e si riscontra soltanto in pochissimi livelli della formazione; in genere ove essa è presente, il sedi-

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mento mostra una classazione spinta e talvolta estremamente sviluppata. Nella maggior parte dei casi è costituita da cemento di cavità.

Con una certa frequenza si incontra anche un mosaico derivante da ingrossamento di cristalli originari per ricristallizzazione: questi fenomeni sono evidenti soprattutto nei fossili che talora pre­

sentano il guscio sostituito da mosaico di accre­scimento per tutto il suo spessore, mentre le cavità originarie sono ancora ripiene di micrite, pellets o di cemento di cavità. Fenomeni di questo tipo si possono incontrare spesso anche nelle facies mi­critiche ove interessano gli steli di Palaeodasycladus

!asciandone soltanto un orlo che adombra la forma esterna. Nelle zone ove vi sono frammenti di cri­noidi questo processo dà origine ad una crescita

sintassiale di un grosso cristallo che ingloba il frammento di crinoide il quale si rende riconosci­bile perché è meno chiaro, e contiene più impurezze del cristallo circostante.

Ambiente di sedimentazione

La facies di piattaforma è caratterizzata da un bassofondo estremamente esteso posto a profon­dità molto ridotta: a questa conclusione si arriva tenendo presente le forme algali incrostanti. Tutti gli Autori che si sono occupati dell'argo­mento (GINSBURG 1955-1960, LoGAN, REZHAK & GrNSBURG 1964, KuTEK & RADWANSKI 1965 ed altri) sono concordi nell'ammettere che le strutture algali incrostanti sono di acque molto basse (in media non dovrebbero superare i 5 metri); molti addirittura riferiscono la formazione degli onkoidi e delle stromatoliti ad un ambiente intercotidale. Si sa che le mixofite non superano i 20 metri di profondità ma hanno la zona di maggiore attività intorno ai 2-4 metri; l'enorme abbondanza delle

alghe dasicladacee indica anch'essa condizioni bio­logiche ottimali e quindi una profondità dell'or­dine di pochi metri.

Da quanto esposto possiamo concludere che la nostra zona doveva avere profondità medie del­l'ordine di qualche metro; probabilmente nelle parti inferiori, ove sono più rare le dasicladacee e gli onkoidi, si aveva una profondità leggermente maggiore ma la differenza non può essere rile­vante dato che le alghe calcaree sono ugualmente presenti e la micrite è dominante.

La morfologia del fondo doveva essere poco articolata; però i rilievi, assai piccoli in valore as­soluto, risultavano molto importanti data la minima profondità dell'acqua. Certamente alcune parti del fondo erano al livello della bassa marea (vedi li­velli arrossati, ecc.), altre un poco più profonde (sedimentazione della micrite fine senza disturbi). Si può ragionevolmente supporre che il fondo fosse costituito da zone più alte in cui si avevano mag­giori attività delle alghe incrostanti ed altre più depresse in cui questi prodotti dell'incrostazione si accumulavano. Naturalmente le prime erano più spazzate dai movimenti delle acque mentre nelle seconde si avevano le facies più calme. Ad ogni modo queste zone dovevano avere dislivelli poco marcati ed inoltre dovevano alternarsi a distanza molto breve e forse periodicamente invertirsi di posizione, in quanto in tutti gli affioramenti che sono stati esaminati non si sono mai riscontrate differenze tali da poter giustificare un'attribuzione ad una zona depressa o elevata. Le dasicladacee, ad esempio, dovevano essere distribuite con grande uniformità su tutta la superficie della piattaforma.

L'estensione laterale di questa piattaforma era di almeno 100 Km in quanto dalla zona di transi­zione del Monte Circeo fino alla Marsica la facies rimane perfettamente identica e costante. Se si tiene conto poi dei movimenti traslativi in fase oro­genica si arriva ad una distanza che va maggiorata anche del 50%. Confrontando l'estensione con la profondità delle acque risulta immediatamente evidente l'enorme inerzia, riguardo agli scambi con il mare aperto, di questa massa così estesa; le onde infatti su fondali molto bassi giungono rapidamente a toccare il livello di base, si trasformano in fran­genti ed esauriscono rapidamente l'energia accu­mulata, oppure rimangono basse e non si trasmet­tono a distanza. Mancano le correnti persistenti: anche se vi sono venti di direzione costante l'at-

' trito con il fondo non permette all'acqua di muo-versi in grandi masse. Vi possono essere, anzi sono frequenti, movimenti assai violenti dovuti a tempeste, ma anche in questo caso l'attrito e la irregolarità morfologica del fondo frenano la massa d'acqua impedendo spostamenti notevoli (2).

(2) Per avere una idea immediata delle difficoltà di movimento si pensi ad una piattaforma di 100 metri di 1ia:netro su, cui ~sista un vel.o d'acqua di 5 millimetri, e c1 s1 rendera sub1to conto d1 come sia estremamente difficile con mezzi naturali rinnovare quest'acqua in un tempo relativamente breve.

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Gli unici movimenti che potevano portare un certo rinnovamento dell'acqua erano le maree e lo spostamento centripeto dovuto all'evaporazione. Le prime dovevano avere un'azione che, molto sensibile vicino alla costa, perdeva man mano in­tensità andando verso l'interno: infatti l'onda di marea che si produceva sull'orlo della pi<>.ttaforma diveniva ben presto un frangente c nel giro di qualche chilometro esauriva la sua energia. Il se­condo si deve far risalire alla forte evaporazione che si aveva su tutta la superficie della piattaforma; questo fenomeno produceva un richiamo continuo di acqua dalle zone oceaniche circostanti e quindi una corrente centripeta pressoché continua. Anche

questa era più attiva vicino ai bordi mentre ral­lentava e s1 esauriva man mano, andando verso

il centro.

Dovevano esistere naturalmente dei canali di marea in cui l'acqua assumeva una velocità mag­giore e questi spiegano quelle facies a sorting altis­simo ed a cemento spatico che si rinvengono a

vari livelli.

L'ambiente che abbiamo descritto porta come conseguenza, man mano che dai bordi ci si sposta verso l'interno della piattaforma, una diminuzione del plancton ed un aumento della torbidità delle acque a causa del fango micritico che rimane in sospen­sione e non viene allontanato. La vita animale è

fortemente ostacolata dalla mancanza di plancton e quindi vi si sviluppano solo dei foraminiferi bentonici, qualche brachiopodo (faune monotipiche ), alcuni ostracodi. In qualche luogo la piattaforma affiorava dando luogo ad isole, probabilmente molto piatte, su cui si sviluppava una flora continentale a pteridosperme e conifere; il giacimento di Prato Rosso rappresenta una zona adiacente ad alcuni di

questi isolotti e mostra un ambiente lagunare chiuso con acqua ferme, salmastre, in cui si depositava della dolomia primaria e vivevano molluschi esclu­sivi di ambienti ipoalini. In una conca siffatta veni­vano fluitate le fronde delle piante che crescevano sulle zone emerse circostanti.

La flora submarina è invece rigogliosissima; l'ambiente che abbiamo descritto rappresenta un optimum di vita per le alghe (in particolare per le dasicladacee) e di qui l'enorme quantità di resti che vi si incontrano. Esse talora tappezzano com­pletamente il fondo marino, come si può vedere da campioni costituiti da alghe per il 60-70%, ma non si comportano mai come organismi co-

struttori att1v1; dopo esaurito il loro ciclo di vita cadono sul fondo e restano imballate nella micrite oppure vengono incrostate da altre alghe calcaree a formare gli onkoidi.

Nonostante le caratteristiche accennate l'ambiente non deve essere ritenuto asfittico; evidentemente i moti ondosi, facilmente passanti a frangenti, e l'attività delle alghe, producevano un'ossigenazione sufficiente a permettere la vita ai foraminiferi ben­tonici ed a far sì che in nessun punto della forma­zione si rinvengano strati bituminosi (ad eccezione dei livelli a piante di Prato Rosso che rappresen­tano un caso del tutto unico c particolare).

Il clima nella regione considerata doveva essere

piuttosto caldo, nonostante che il Lias sia consi­derato in genere un periodo freddo: la flora di Prato Rosso contiene specie che attualmente hanno il loro habitat ai tropici e tanto il notevole svi­luppo delle dasicladacee quanto i vistosi fenomeni dovuti alle alghe incrostanti indicano un clima di tipo tropicale. Del resto si deve tener conto del fatto che la massa di acqua presente sopra la piat­taforma non aveva l'inerzia termica di una massa oceanica, poteva quindi riscaldarsi fortemente e non aveva alcun effetto stabilizzante sulla tempe­ratura dell'atmosfera.

Correlazioni ed affioramenti

Il Lias medio-superiore nella facies di piatta­forma è correlabile con la maggior parte degli affioramenti presenti nell'Italia centrale e meri­dionale; se si eccettua la zona del Gran Sasso, in cui le facies liassiche sono più vicine a quelle del bacino umbro-marchigiano, ed alcuni pochi af­fioramenti fra il limite orientale della Marsica e la pianura di Sulmona, in tutto il resto dell'Appen­nino centro-meridionale, fino alla Calabria, il Lias medio e superiore si presenta nella facies dei cal­cari a Palaeodasycladus, a meno che non sia com­pletamente dolomitizzato. La correlazione di età e di facies di questi termini è ormai accettata da tutti gli Autori e ritengo inutile dilungarsi ulterior­mente su un problema ormai risolto e i cui dati sono stati acquisiti.

Nella zona rilevata la formazione dei calcari a Palaeodasycladus affiora lungo tre fasce principali individuate da tre faglie. La zona più estesa si trova lungo il versante occidentale del Monte Marsicana, e attraverso la Serra della Cappella, Monte Palombo e l'Atessa giunge vicino a Bisegna;

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il versante è ongmato da una grossa frattura sub­verticale che segue la base del versante orientale nell'alta valle del Sangro e del Giovenco.

Una serie di fratture parallele alla principale contribuisce ad estendere ancora di più gli affiora­menti e talora ne isola piccoli lembi come succede a SE di Bisegna su ambedue i versanti del Colle Lantera.

Una seconda fascia si ha in corrispondenza del­l'allineamento Monte Mattone - Monte Godi -Montagna di Preccia; partendo da Sud la fascia ~ i.'0ppia in quanto ripetuta da una frattura che corre lungo la Val Rapino, ed il Lias affiora quindi sul versante orientale del Monte Mattone e del Colle di Mezzo. Le due strisce allungate in senso N-S si riuniscono in corrispondenza del Monte Godi proseguendo verso Nord in un'affioramento unitario fino alla base della Montagna di Preccia. A questi è strettamente collegato l'affioramento della Serra Sparvera dove, come abbiamo detto, le caratteristiche della stratigrafia mostrano un av­vicinamento verso la facies di transizione. Ulte­riori reperti di rocce liassiche in facies di piatta­forma si hanno vicino al Piano delle Cinque Miglia nel Vallone di Chiarano; anche in questo punto le caratteristiche della litobiofacies indicano che siamo abbastanza vicini alla zona di transizione.

FACIES DI TRANSIZIONE

Rocce liassiche in facies di transizione s1 m con­trano soltanto al limite nord-orientale della re­gione presa in esame, cioè fra Villalago e la conca di Sulmona. La presenza di faune di tipo pelagico o comunque diverse da quelle raccolte più ad Oc­cidente era già stata notata dal CASSETTI (1900) che aveva rinvenuto le ammoniti; successiva­mente altri Autori avevano notato l'intensa rasso­miglianza dei calcari fini della Serra di Rufigno e del Vallone Frevana con la <<Corniola>> delle zone umbro-marchigiane. Però nessuno aveva mai effettuato uno studio di dettaglio nè delle correla­zioni precise per tentare una localizzazione am­bientale ed un inquadramento della paleogeografia della regione.

La descrizione dettagliata della sezione di Serra Rufigno è già stata pubblicata (CoLACICCHI, 1967) e quindi rimando a questo lavoro per tutti i par­ticolari. In questa sede mi limiterò a riassumere le conclusioni principali che sono state raggiunte in quello studio.

Abbiamo già accennato che le dolomie presenti alla Serra Rufigno e alla Difesa presentano una facies particolare che le può far ritenere sedimen­tate in ambiente più pelagico; la successione non dolomitizzata ha inizio ad un livello stratigrafico più alto: non prima del Lias medio come vedremo nel capitolo dedicato alla cronologia. La facies che caratterizza questa zona è costituita da un'alter­nanza di micriti a radiolari e spicole di spugne con numerosi livelli detritici per la maggior parte gra­dati, chiaramente sedimentati da correnti di tor­bida. A questa successione che si estende per circa 300 metri fanno seguito alcuni livelli argillosi, sempre alternati con piccoli livelli detritici, per una cinquantina di metri, cui seguono marne grige ad ammoniti che raggiungono la base del Dogger.

Ma la porzione più interessante è quella basale: la micrite a radiolari risulta essere un sedimento a carattere pelagico o almeno con una decisa in­fluenza di un ambiente di mare aperto. I banchi detritici invece contengono elementi che pro­vengono tutti dalla facies di piattaforma. La gra­dazione e la tessitura degli strati detritici prova che il trasporto avveniva per correnti di torbida in cui il ruolo dell'argilla era tenuto dal fango calcareo microcristallino. Le torbide erano molto dense (al limite con fenomeni classificabili come colate di fango) ed avevano un potere di trasporto assai elevato. L'espansione delle torbide, nella zona in cui si sedimentava la micrite a radiolari e spicole, dava origine ad un Flysch totalmente calcareo ma perfettamente omologo a quello arenaceo-argilloso. I materiali detritici provenivano dalla piattaforma, infatti i granuli sono costituiti da frammenti di alghe calcaree, dasicladacee, onkoidi, foraminiferi bentonici e, nella parte più grossolana, intraclasti dati da frammenti della formazione dei calcari a Palaeodasycladus. Mancano elementi estranei tanto è vero che nei banchi detritici è stata rinvenuta la stessa fauna presente nella facies di piattaforma. Unici elementi diversi alcuni intraclasti costituiti da micrite a radiolari e spicole che evidentemente derivano dall'erosione di fondo esercitata dalle torbide.

La relazione tra la piattaforma e la scarpata ri­sulta assai stretta, c data la scarsa usura dei fram­menti algali ed il contenuto paleontologico uni­tario, si ritiene che il rimaneggiamento debba essere stato penecontemporaneo. Tra l'altro si è potuto stabilire, con sufficiente probabilità, che gli intra­clasti più grossi sono stati trasportati quando an­cora non erano completamente consolidati. Pur­troppo date le condizioni di esposizione non è pos-

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sibile seguire sul terreno i banchi detritici e con­trollare direttamente la direzione di provenienza dei materiali. Qualche indicazione si è potuta avere da un affioramento posto più a NE in cui la serie si presenta assai meno detritica, meno spessa e con i componenti clastici tutti proporzionalmente più fini. Da questo indizio e dal fatto che la piat­taforma si estendeva verso Sud e Sud-Ovest si può concludere con sicurezza che il movimento delle correnti di torbida ha avuto direzione da SW a NE.

Verso la parte sommitale di questa successione alterna cominciano a comparire granuli detritici appartenenti ad una facies di acque piuttosto agi­tate, cioè ooliti, frammenti di molluschi, di entro­chi, e qualche corallo; questi elementi, dapprima sporadici, aumentano man mano fino a rappre­sentare una percentuale notevole della parte detri­tica; nello stesso tempo cominciano ad indivi­duarsi delle piccole intercalazioni argillose che di­ventano sempre più consistenti fino a sostituire completamente la matrice micritica. Entro queste argille assai ricche di brachiopodi (fig. 8) si in­contrano ancora livelli detritici, però sottili e molto più distanziati che in precedenza. Si ha quindi una fase di stasi nella sedimentazione clastica ac­

compagnata probabilmente da un certo approfon­dimento, almeno in questa zona del bacino di sedi­

mentazione.

Le argille sono seguite da marne compatte, dure, entro le quali si rinvengono ancora livelli detritici ma questa volta i clasti sono rappresentati da ma­teriale proveniente da una facies di scogliera o di barriera in senso lato. Questo cambiamento nel detrito che arriva entro il bacino di sedimentazione si collega al cambiamento di facies dal calcare a Palaeodasycladus alla Formazione della Terratta. Le marne dure contengono molte ammoniti che sono state determinate ed hanno indicato un'età toarciano-aaleniana, per cui possiamo riferire a questo intervallo la variazione di facies che è av­venuta sulla piattaforma.

Il limite superiore della serie liassica di transi­

zione non è ben netto dal punto di vista della facies, infatti le marne ad ammoniti sfumano lentamente in calcari marnosi, indi in calcari micritici che ri­sultano appartenere agli orizzonti a filaments e come tali attribuibili al Dogger.

Come abbiamo già accennato esiste nella zona un'unica sezione stratigrafica esauriente e com­pleta ove affiori il Lias in questa facies, altrove le

condizioni di affioramento sono assai precarie; al Vallone Frevana, presso la sorgente del Fiume Gizio si è potuta soltanto constatare la sostanziale identità della matrice micritica a radiolari, una notevolissima diminuzione dei livelli detritici e delle dimensioni dei clasti, ed una corrispondente diminuzione degli spessori dell'unità litostratigrafica.

Ambiente di sedimentazione

La sedimentazione del flysch calcareo della Serra Rufigno è da localizzare nella parte bassa della scarpata che collegava il bordo della piattaforma con il bacino pelagico orientale. Le correnti di torbida avevano origine sull'orlo della piattaforma, probabilmente in seguito a frane sottomarine, e scorrendo sul piano inclinato giungevano ai piedi del pendio ove avevano la possibilità di espandersi depositando il materiale. Non possiamo fare ipo­

tesi precise sulla profondità del bacino ma è da

FIG. 8 - Marne a brachiopodi dai livelli del Lias superiore (Toarciano) in facies di transizione. I fossili (Rhynchonella cf. clesiana) hanno il guscio silicizzato e sono quindi messi in evidenza dall'erosione. Serra Rufigno, orizzonti argilloso-marnosi sottostanti ai

livelli ammonitiferi.

- Marls with Brachyopods from the marly levels of Upper Lias (Toarcian) in the transition facies. As the fossils (Rhynchonella cf. clesiana) have silicized shells, they appear in relief owing to weathering. Serra Rufigno: clayey-marly beds underlying ammoniti c

levels.

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ritenere che questa dovesse essere superiore al li­vello di base delle onde in quanto la litofacies delle micriti a radiolari non mostra tracce di moti ondosi. Qualche eccezione si ha per la parte alta in cui compaiono livelli a cemento spatico ma è probabile che si trattasse di correnti sottomarine in quanto il materiale detritico è notevolmente assortito. In corrispondenza della sedimentazione dei livelli argillosi non devono essere avvenuti notevoli cam­biamenti, eccetto un'aumentata torbidità delle acque a causa dell'argilla ed una diminuzione della ener­gia media d'ambiente, dovuta alla rarefazione del­rapporto turbiditico e probabilmente ad un'aumen­tata profondità.

Poco dopo, alla ripresa della sedimentazione de­tritica, si nota un cambiamento evidente: sull'orlo della piattaforma si è sviluppata una facies di bar­riera con caratteristiche proprie, per cui lungo la scarpata scivolano materiali detritico-organogeni ed oolitici invece che dasicladacee ed intraclasti micri­tici. Nello stesso tempo diminuisce la quantità di fango micritico disponibile e ciò impedisce la for­mazione di vere e proprie correnti di torbida, tanto che queste man mano saranno sostituite da frane piuttosto caotiche di materiali detritico-organogeni senza una matrice legante.

Fossili ed età

Faune che si possano ritenere tipiche dell'am­biente di transizione si incontrano soltanto alla sommità della serie liassica e cioè in corrispondenza dei livelli argillosi e marnosi. Nella parte inferiore gli elementi autigeni sono costituiti da radiolari e spicole di spugna i quali non danno nessuna indi­cazione cronologica; a questi si associano rarissimi esemplari di Vidalina martana FARINACCI e Spi­rillina liassica (JONES), interessanti per l'indicazione ambientale ma poco significativi per la cronologia. Gli elementi che dominano sono costituiti dalle forme bentoniche provenienti dalla piattaforma e l'elenco di queste ricalca quello che abbiamo dato per il calcare a Palaeodasycladus. Di notevole im­portanza il fatto che la Orbitopsella praecursor GUMBEL si rinvenga pochi metri sopra il contatto delle dolomie: in questa sede essa è rimaneggiata ma può fornire in ogni modo un termine al di sotto del quale non si può scendere.

I livelli argillosi della parte alta hanno fornito un'associazione di microfossili (vedi CoLACICCHI 1967) che non presenta forme con un preciso signi­ficato cronologico, ma tutte insieme indicano un generico Lias superiore in senso lato. È assai inte-

ressante però la constatazione che un'associazione simile è stata rinvenuta nel bacino umbro-marchi­giano, al passaggio fra la << Corniola >> ed il << Rosso Ammonitico >>, cioè verso la base del Lias superiore.

Le ammoniti provenienti dagli orizzonti marnosi che chiudono la sedimentazione liassica nella fa­cies di transizione individuano un intervallo di tempo che dalla zona a bifrons giunge fino alla zona ad opalinum : rappresentano cioè la parte superiore del Toarciano e quella inferiore dell' Aale­niano. Un intervallo abbastanza stretto, che rap­presenta l'indicazione cronologica più precisa che si possa avere nella zona di transizione.

Correlazioni ed affioramenti

Per i terreni liassici in facies di transizione la correlazione più immediata è possibile con la <<corniola>> della facies umbra (naturalmente per la parte autigena, cioè la micrite a radiolari). Le due formazioni hanno una litologia molto simile spe­cialmente se si prende in esame l'affioramento del Vallone Frevana in cui il materiale detritico è assai minore. L'età è la stessa come abbiamo potuto dimostrare con i fossili presenti alla base ( Orbi­topsella praecursor) ed al tetto (ammoniti). Per la parte superiore è possibile correlare le argille con quelle che si rinvengono costantemente fra la << Corniola >> ed il << Rosso Ammonitico >> e con cui hanno comune anche la fauna. Le marne ad am­moniti presentano le stesse forme fossili del << Rosso Ammonitico >> (Lias superiore) mentre la litologia è notevolmente diversa in quanto non vi è traccia di quelle facies calcaree nodulose che sono carat­teristiche della formazione umbra. Evidentemente la situazione ambientale era leggermente diversa anche se dal punto di vista cronologico e faunistico si ha una perfetta corrispondenza.

Le rocce liassiche in facies di transizione affio­rano lungo una fascia assai estesa che dal versante Ovest del Monte Cona (poco a NE di Frattura Vecchia) si allunga alla base della Serra Rufigno, indi volge a NE per raggiungere i dintorni di Bugnara. Questo è l'affioramento più esteso e vi compaiono tutti e tre gli orizzonti stratigrafici.

Un secondo affioramento completo si ha lungo il Vallone Frevana, presso la sorgente del fiume Gizio. Qui una grossa faglia rialza la serie liassica fino alle dolomie; l'affioramento non è molto esteso ma è completo ed assai interessante in quanto ci dà un'idea delle variazioni laterali della forma­zione. Altri piccoli affioramenti si rinvengono nei

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pressi d'Introdacqua; uno entro il Vallone dei Cutri e l'altro nel Vallone S. Antonio, ma si tratta di lembi estremamente limitati ed in cui compare solo la parte superiore: le marne grigie ad ammoniti.

Gli affioramenti che abbiamo descritto sono gli

umci per un vastiSSimo tratto; infatti tanto a Nord (fino al Gran Sasso), quanto verso Sud affiorano delle rocce liassiche ma la facies di transizione rimane coperta da sedimenti più recenti o dalle argille scagliose della fossa molisana.

DOGGER- MALM- NEOCOMIANO

La necessità di raggruppare in questo capitolo tutta la sedimentazione del Giurese medio - supe­riore e del Cretacico basale nasce dai caratteri stratigrafici che si incontrano a partire dal tetto del Lias; infatti sia nella facies di piattaforma, sia soprattutto in quelle di soglia, la sedimentazione mostra caratteri unitari o almeno uniformemente vari fino alla sommità del Neocomiano per cui non è possibile suddividere la serie al tetto del Giurese. Nella zona di transizione sono possibili delle par­tizioni più accurate, comunque a partire dal Tito­nico si incontra una formazione unitaria che rag­giunge il tetto del Neocomiano, per cui neanche in questo caso sarebbe possibile operare una sepa­razione del Giurese dal Cretacico.

L'eteropia di facies che abbiamo descritto a pro­posito del Lias si fa ancora più complessa nei periodi successivi: si giunge infatti ad una tripar­tizione degli ambienti di sedimentazione in quanto tra la piattaforma e la scarpata si inserisce una facies di soglia con caratteristiche recifali ( sensu lato), che ha, proprio nella zona esaminata, un enorme sviluppo sia in potenza che in estensione.

Naturalmente i passaggi laterali tra queste tre zone di sedimentazione son graduali e si possono definire quindi due fasce di transizione: una in­terna, l'altra esterna rispetto alla scogliera. N el caso particolare della regione da noi studiata i principali movimenti tettomci si sono impostati proprio lungo queste fasce di transizione interna ed esterna e le hanno in parte obliterate o coperte con placche spostate; in particolare per la tran­sizwne interna rimangono solo pochi indizi, sufficienti a stabilire la presenza di una tale facies, ma troppo ridotti per poter risalire alla sua originaria estensione e alla distribuzione areale.

FACIES DI PIATTAFORMA

Nella parte rilevata in dettaglio il Giurese in facies di piattaforma non è presente e così pure manca in tutta la fascia che dal Sangro raggiunge lo spartiacque della Val Roveto. Esso affiora però

lungo il versante orientale di questa valle e pD1 o,;:1

trova ancora più ad Occidente. Dato l'interesse notevole per la comparazione, descriveremo bre­vemente questa facies basandoci su dati già noti per la zona dei Lepini e dei Simbruini e su una sezione stratigrafica campionata nella Val Roveto e studiata insieme con il dott. P AROTTO (non pub­blicata).

La facies di piattaforma giurassica ricalca pari pari quella del Lias: tutte le caratteristiche am­bientali e sedimentologiche che abbiamo citato per il Lias valgono indifferentemente per il Dogger, Malm e Neocomiano. Le variazioni rispecchiano aspetti particolari che non infirmano la fondamen­tale unità della facies, in particolare si può notare una minore abbondanza delle alghe calcaree (è scomparso naturalmente il Palaeodasycladus), mentre si incontrano con maggior frequenza foraminiferi ben tonici; la litofacies è sempre dominata dalla sedimentazione del fango calcareo microcristal­lino e vi si incontrano alcuni episodi a carattere lagunare con dolomicriti fittamente laminate, talora testimoni di fasi continentali per la presenza di piante superiori (conifere della flora di Bassiano). Molto diffusi anche gli orizzonti dolomitici, o sotto forma di dolomicriti oppure con romboedri idio­morfi dispersi entro la matrice micritica.

A parte i livelli lagunari che rientrano perfet­tamente in un ambiente di piattaforma e si pos­sono incontrare a varie altezze nella serie, non vi sono variazioni litologiche tali da poter effettuare una suddivisione più accurata. N ella sezione della Val Roveto in particolare, accanto ai caratteri generali propri della facies di piattaforma, si in­contrano vari livelli di oospariti ed intraspariti che, pur essendo distribuiti in maniera assai irre­golare e quindi non utilizzabili per una suddivi­sione dettagliata della serie, pure hanno un loro interesse in quanto testimoniano la influenza in una zona piuttosto interna della piattaforma, del_:­l'ambiente recifale ad alta energia che nel mede­simo tempo è presente più ad Est.

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La connessione è suffragata da varie concomi­tanze troppo precise per poter essere casuali:

l) in corrispondenza dei livelli in tra ed oospa­ritici, e praticamente solo in questi, si rinvengono entrochi e trocholine, forme ambedue molto ab­bondanti nella facies di scogliera e legate in special modo alla zona immediatamente retrostante alla barriera.

2) Lungo il tratto in cui compaiono con mag­giore abbondanza i livelli a cemento spatico è stata rinvenuta la Protopeneroplis striata WEYNSCHENK; anche questa forma è frequente nelle facies di soglia e piuttosto rara nelle regioni più lont~me

dall'orlo della piattaforma. Essa è stata rinvenuta sui Monti Lepini ma in una facies con coralli ed altre forme di ambiente ad energia piuttosto elevata e risulta quindi connessa con la facies di transi­zione del margine tirreni co della piattaforma (Co­LACICCHI, 1966 b).

3) La maggior parte dei livelli sparitici si incontra all'altezza del Dogger superiore - l\!Ialm inferiore mentre più in alto tornano a prevalere le mi cri ti; questo periodo corrisponde ad una forte espansione della facies recifale ed è quindi assai verosimile che i materiali detritici della sco­gliera, insieme alle ooliti, possano essere stati tra­sportati occasionalmente fino nella zona corrispon­dente alla Valle Roveto, ad intercalarsi entro la sedimentazione micritica.

Per il periodo Malm superiore - Neocomiano la sezione della Valle Roveto mostra una litofacies conforme all'ambiente di piattaforma tipico; però, anche se più sporadica, l'influenza della facies orientale si fa sentire tanto che ad un certo punto sono stati rinvenuti alcuni tintinnidi ( Calpionellites neocomiensis ?). Infine, alla sommità del Ncoco­miano, non si troveranno i livelli argillosi ad orbi­toline, come nella zona lepino-simbruina, ma questi fossili saranno contenuti in calcari detritici simili a quelli che affiorano nella Marsica orientale.

Risulta ben chiaro quindi che la zona della Valle Roveto costituiva il limite estremo cui giungevano i materiali prodotti nella zona di scogliera.

Suddivisioni biostratigrafiche

Se è impossibile effettuare una suddivisione in base alla litofacies, è stata invece realizzata da parte di numerosi Autori (SARTONl & CRESCENTI, 1963; CATENACCI, DE CASTRO & SGROSSO, 1963; FARINACCI, 1964, per citare ~o lo i lavori principali) un'accurata suddivisione biostratigrafica in varie cc­nozone, in base ai foraminiferi ed alle alghe, dalla

base del Dogger fino all' Aptiano. Rimando quindi ai suddetti Autori per le caratteristiche della facies di piattaforma tipica ed esamino qui come si pre­sentano le varie cenozone nella sezione della Valle Roveto.

Cenozona a Thaumatoporella parvovesiculzfera (3) -Ha uno spessore di circa 600 metri ma non affiora tutta: infatti non è stato possibile individuarne il limite inferiore. Un confronto con altre serie comprendenti anche il Lias ci fa ritenere però che la sezione di S. Vincenzo abbia la base molto vi­cina al detto limite. Oltre alla Thaumatoporella si incontrano: Verneuilinidae, Textulariidae, Glomo­spira sp., Aeolisaccus cf. dunningtoni ELLIOTT, in­sieme ad ostracodi; radio li di echini di e Trocholina nei livelli più detritici. Queste forme sono pre­senti lungo tutti i 600 metri; ristrette nella parte superiore si incontrano poi la Selliporella donzellii SARTONI & CRESCENTI, qualche raro esemplare di Protopeneroplis striata WEYNSCHENK ed una forma di Bankia che probabilmente è da riferire ad una specie diversa dalla Bankia striata. La presenza delle Trocholine e della Protopeneroplis in questi livelli è esclusiva di questa sezione in quanto le due forme non compaiono nella facies tipica. L'età di questa cenozona è compresa, secondo SARTONI & CRESCENTI, fra il tetto dd Lias ed il Batoniano inferiore-medio. Nella nostra sezione non abbiamo trovato forme che ci permettessero di confermare o meno qu~sta determinazione.

Cenozona a Pfenderina salernitana - Ha uno spessore di un centinaio di metri e vi sono piut­tosto frequenti i livelli detritico-organogeni inter­calati a dolomie, in genere macrocristalline, di ori­gine s'2condaria. L'inizio della Cenozona è segnato dalla comparsa della Pfenderina salernitana SARTONI & CRESCENTI e la fine dalla comparsa della Macropo-

rella sellii CRESC. Ancora la Protopeneroplis striata WEYN. distingue la microfacies di questa sezione da quella tipica che è indicata dalle seguenti forme: Thaumatoporella parvovesiculifera (RAINERI), Cayeuxia sp., in associazione con Miliolidae, Trochamminidae, Verneuilinidae, ostracodi con guscio molto sottile, radioli di echinidi negli orizzonti intrasparitici e rari Aeolisaccus; verso la parte alta compare il genere Kurnubia. L'età di questa cenozona viene riferita al Batoniano superiore.

Cenozona a Kurnubia palastiniensis - Lo spessore è di 150 metri circa, piuttosto frequenti i livelli

(3) In realtà questa cenozona ha un valore molto relativo, in quanto è individuata da una forma che dal Lias inferiore si estende fino al Cretaceo superiore.

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detritici che però hanno i pori riempiti dalla ma­trice micritica. Questo intervallo è molto simile alla corrispondente facies tipica dei Lepini e Sim­bruini; caratterizzano la zona oltre alla Kurnubia palastiniensis HENSON, Macraparella sellii CRESC., Lab_vrinthina mirabilis WEYNSCHENK, Thaumata­parella parvavesiculzfera (RAINERr), Pjenderina sp., Cayeuxia sp.. L'età è riferita al Calloviano­Lusitaniano.

Cenazana a Clypeina jurassica e Bankia striata -Ha uno spessore di 50 metri circa ed è tipica per l'associazione delle due forme da cui ha preso il nome; l'età va riferita al Kimmeridgiano - Ti tonico inferiore.

Alla scomparsa delle due forme precedenti, nella facies tipica segue la cenozona a Salpinga­parella appenninica SART. & CRESC., ma nella sezione di S. Vincenzo non è stata trovata traccia di questa alga mentre è costantemente presente la Salpinga­parella annulata CAROZZI. A questa si associano: Thaumataparella parvavesiculifera (RAJNERI) e Cayeu­xia sp. che rimangono sempre presenti per circa 500 metri, fino all'inizio della cenozona succes­siva. Altre forme accompagnano le tre principali, ma non uniformemente distribuite: nella parte bassa si hanno Pianella pygmaea (GUMBEL), Macra­parella sp.; nella parte superiore Pianella grudii RADOICIC, Actinaparella padalica ALTH, Actinapo­rella maslovi PRATURLON. L'età del livello è data come Titonico supenore ed arriva alla chiusura del Malm.

Cenozana a Cunealina camposauri - Questo li­vello, dello spessore di circa 350 metri, è caratte­rizzato dalle associazioni di Cuneolina sp., Salpin­gaparella annulata CAROZZI e Munieria baconica DEECKE e termina con la comparsa delle Orbitoline. La sedimentazione è prevalentemente micritica, si ha un forte sviluppo delle alghe calcaree che sono numerose; sono state riconosciute le seguenti forme: Salpingaporella annulata CAROZZI, Diplopora jahnsoni PRATURLON; Munieria baconica DEECKE, Actinoparella podolica (ALTH), Pianella pygmaea (GUMBEL), Pianella sp., Cayeuxia sp.; fra i forami­niferi: Cuneolina laurentii SART. & CRESC. ed inoltre Milialidae, Textulariidae, Nummaloculina, Giorno­spira, Aeolisaccus. L'età di questa cenozona è da riferire al Neocomiano e comprende probabilmente anche l'Aptiano.

Per concludere, la stratigrafia del Giurassico me­dio - Cretacico basale della sezione di S. Vincenzo non si discosta molto dalla serie tipo della piatta­forma ma presenta, anche dal punto di vista bio-

stratigrafico, delle piccole variazioni che sottolineano la sua posizione al limite della facies di transizione interna.

Abbiamo detto, nell'introdurre questa facies, che essa non affiorava nella zona studiata in dettaglio. In realtà essa è presente in un affioramento limita­tissimo lungo la dorsale che dal Morrone del Dia­volo va verso Sperone; si tratta di mi cri ti chiare che per lungo tempo sono rimaste inclassificabili fin quando non vi sono stati rinvenuti rarissimi esemplari di Bankia striata. L'affioramento è poco definibile in quanto si tratta di un complesso di strati particolarmente privi di fossili ma, ripeto, deve essere assai limitato perché nelle immediate vicinanze si hanno terreni medio-cretacici chiara­mente databili. Di particolare interesse il fatto che sui calcari micritici a Bankia striata poggia in tra­sgressione il Miocene calcareo; vale a dire che in questa zona si è avuto uno smantellamento pre­mwcemco che è arrivato fino a scoprire il Dogger­Malm.

FACIES DI SOGLIA

Ad Oriente dell'allineamento N-S dato dall'alta valle del Sangro e da quella del Giovenco i terreni del Giurassico superiore e del Cretacico basale hanno una facies completamente diversa: si in­contrano materiali in prevalenza organogeni e detritico-organogeni che nel loro complesso si possono definire di facies recifale sensu lato con assoluta prevalenza di termini bioclastitici, oolitici e parzialmente biolititici, strettamente associati e mescolati fra di loro. Questa facies ha una durata assai notevole e si spinge fino a tutto il Neocomiano: pur nella varietà dei tipi litologici, essa conserva una sua unitarietà ed una persistenza dei caratteri fondamentali per cui è stata istituita la Formazione della Terratta (CoLACICCHI & PRATURLON, 1965).

Formazione della Terratta ( 4)

Limite inferiore - Il passaggio dalla sedimenta­zione micritica a quella oolitico-organogeno-de-

(4) Si riportano i punti fondamentali della descri­zione originaria: la formazione comprende tutta la fa­cies detritico-organogena, recifale, oolitica ed a piccole costruzioni coralligene; poggia sui calcari liassici a Pa­laeodasycladus mediterraneus, in particolare sui livelli superiori della fascia a Lithiotis problematica ed ostreidi, e termina verso l'alto quando la facies da detritico­organogena diventa più schiettamente calcareo-detritica; questo passaggio corrisponde alla comparsa dei livelli ad orbitoline. Lo spessore è estremamente variabile da circa 2.000 metri lungo la sezione tipo, in cui sono rappresentati tutti i vari membri, a 600-700 metri al limite Sud del Monte Marsicana ove mancano tanto

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tnt1ca avviene in genere in maniera assai brusca; al Monte Atessa e a Monte Marsicano il passaggio è segnato da orizzonti arrossati, hard-grounds, strati fortemente ossidati; al Monte Palombo si ha un livello continuo di materiale fortemente arrossato dello spessore di una decina di centimetri, a Serra di Cavallo Morto il passaggio è più complesso, si hanno livelli rossi e verdi alternati per uno spes­sore di una decina di metri e talora si notano anche Ql.:l'Lmnti brecciati cementati dal materiale ossidato.

Questi fenomeni che si osservano costantemente al passaggio dal Lias alla Formazione della Ter­ratta hanno fatto sorgere il dubbio che il brusco cambiamento di facies potesse essere stato prece­duto da un'emersione. L'ipotesi si inquadre­rebbe bene con la presenza, nella parte alta del Lias , della facies a Lithiotis che ha uno spiccato carattere lagunare e con l'episodio continentale­lagunare che si è rinvenuto nei pressi di Prato Rosso. Purtuttavia le osservazioni eseguite al pas­saggio Lias-Dogger, nella facies di transizione, in­dicano come improbabile una vasta emersione a carattere regionale; sia per l'esiguo intervallo di tempo a disposizione sia per il carattere estrema­mente calmo e tranquillo della sedimentazione, con stasi pressoché assoluta dell'apporto detritico dalla piattaforma. Questi caratteri anzi farebbero rite­nere più probabile un leggero abbassamento del fondo marino, almeno sull'orlo della piattaforma, in modo che l'azione delle onde risultasse meno efficace.

La necessità di conciliare questi due dati op­posti ci fa ritenere probabile che più che una vera e propria regressione vi sia stato un arresto della subsidenza od un leggero sollevamento del fondo che si è portato al livello della bassa marea, mentre alcune zone già da prima più elevate venivano ad emergere. Con ogni probabilità questo movimento era più accentuato nella parte interna della piatta­forma mentre verso il bordo era meno sentito o addirittura si invertiva, producendo leggere de-

la prima fascia organogena quanto il membro oolitico. L'età della formazione va dalla base del Dogger

al tetto del Neocomiano; come sezione tipo si è scelta quella che da Terraegna (fra Pescasseroli e Bisegna) sale al valico del Carapale indi corre lungo la Serra del Ca­rapale, poi scende fino allo sbocco del Vallone della '!'er­ratta. Le caratteristiche paleontologiche della formazwne sono date da: chetetidi, esacoralli ed ellipsactinie asso­ciati a Protopeneroplis striata, Trocholina, Bankia striata, Clypeina jurassica, Pianella pygmaea, Lithocodium ag­gregatum. Per le sue caratteristiche cronologiche la For­mazione della Terratta corrisponde all'intervallo fra la zona a Thaumatoporella parvovesicubfera ed il tetto della zona a Cuneolina camposaurii.

pressioni marginali che frenavano i detriti prove­nienti dalle zone più sollevate.

La presenza di una lacuna quindi, fra la facies a Lithiotis e la Formazione della Terratta, è pos­sibile, anche se paleontologicamente non è dimo­strabile. In ogni modo si tratta di un'emersione assai breve e si può escludere che cr sia stata ero­sione dei termini già sedimentati.

Fascia organogena inferiore - Immediatamente sopra i livelli arrossati la matrice micritica scompare e la roccia viene ad essere cementata da calcite spatica sotto forma di cemento di cavità; i primi strati sono costituiti da oospariti e biospariti ad entrochi variamente associate. Questo inizio della sedimentazione è comune a tutte le sezioni esaminate.

Dai livelli oolitici ad entrochi si passa gradual­mente a calcari bioclastici in cui la percentuale di materiale organogeno aumenta sempre, mentre diminuisce lo stato di frammentazione dei singoli fossili fino ad arrivare alt'orizwnte denominato <<fascia organogena inferiore >>. Questa non è costi­tuita da scogliere in senso classico, ma piuttosto da una fortissima concentrazione di materiale orga­nogeno vario, poco elaborato, che costituisce la totalità dei sedimenti. Le bioerme sono sparse qua e là entro il sedimento descritto, piccole (non superano la decina di metri), e senza una loro forma tipica. Molto probabilmente esse, raggiunta una dimensione critica, venivano smantellate ed eliminate andando così ad accrescere il mate­riale organogeno circostante. L'ambiente può essere assimilato a quello che viene definito <<barriera a patch reefs >> (fig. 9).

Nella zona di S. Sebastiano le colonie coralline in posizione di crescita sono molto più numerose e danno origine ad una costruzione di tipo sco­gliera dell'ordine di grandezza del centinaio di metri. Questa fascia organogena inferiore ha il suo massimo sviluppo lungo la linea Bisegna -Scanno, in corrispondenza della sezione tipo della Formazione, ove assume uno spessore di circa 300 me­tri. Più a Sud e verso Nord si assottiglia e sparisce; al Monte Marsicano è completamente assente ed il suo posto è tenuto da bioclastiti ad entrochi associate ad oospariti.

Nell'enorme abbondanza di materiale organogeno mancano purtroppo le forme significative per poter effettuare una precisa stratigrafia della fascia; fra i macrofossili sono stati determinati: Solenopora sp., Petrophiton tenue YABE, Milleporidium sp., Blastochaetetes capilliformis (MICHELIN), Bauneia multitabulata (DENINGER) (fig. 10), Chaetetopsis

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crinita NEUMAYR (fig. 11). L'età indicata da queste forme è un generico Dogger - Malm e quindi non è di grande aiuto; da segnalare infine la pre­senza di ammoniti, rinvenute alla Montagna di Godi e nella zona del Campitello, sotto forma di impronte incomplete ed ind'.:terminabili, e ai Monti Preziosi come embrioni (fig. 12), e di un paio di rostri di belemniti i quali testimoniano la rela­zione dell'ambiente di questa facies organogena inferiore con il mare aperto. Fra i microfossili sono interessanti la Protopeneroplis striata e la Trocholina; queste due forme si estendono dalla metà del Dogger fino al Malm medio. Nella fascia organogena manca evidentemente il Dogger basale che è da ritenere corrisponda agli strati oolitici ad entrochi incontrati immediatamente sopra il cambiamento di facies. Il termine superiore non deve prolungarsi oltre il Malm medio in quanto nei livelli immediatamente superiori sarà reperi­bile la cenozona a Clypeina jurassica e Bankia striata che caratterizza il Malm superiore.

Livelli lagunari ed oolitici - N ella zona della

Montagna Grande, in corrispondenza della sezione

tipo, sopra la fascia organogena inferiore si incon­

trano livelli lagunari e livelli oolitici per spessori molto forti: gli ultimi patch ree fs nei pressi di Bisegna sono seguiti da una sedimentazione più calma sempre detritico-organogena ma in cui ricompare di tanto in tanto una matrice micritica al posto del cemento spatico. A tratti si incontrano anche sottili livelli di micrite bianca, farinosa, estrema­mente porosa, come se non avesse subito cementa-

Frc. 9 - Formazione della Terratta: fascia organogena in­feriore (Dogger). Piccole co­struzioni coralline in posto << emergono >> dalla massa de­tritico-organogena che più fa­cilmente diviene preda del­l'erosione. Valico del Carapale, zona delle Ciminiere; nei pressi del h se­zione tipo della Formazione

della Terratta.

Terratta Formation: Lower skeletal zone (Dogger). Small coral framebuildings, in their growth position, stand out among the skeletal detrital ma­teria!, which is more easily attached bv erosion. Carapale Pass, zone of the << Ciminiere >>; near the type section of the << Terratta For-

mation >>.

Frc. 10- Bauneia multitabulata (oENINGER). Formazione della Terratta: fascia organogena inferiore (Dogger). Parti di una colonia messa in evidenza dall'erosione. È ben distinguibile la struttura zonare che è invece molto meno evidente in sezione sottile.

Monte La Ciocca. x 1/2 circa.

- Bauneia multitabulata (DENINGER) from Lower ske­letal zone (Dogger) of << Terratta Formation >>. The zona! structure, not clearly distinguishable in thin sections, may be noted here.

Monte La Ciocca. x 1/2 about.

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FIG. 11 - Chaetetopsis aff. crinita NEUMAYR. Formazione della Terratta: fascia organogena inferiore (Dogger). Sezione radiale parallela alla direzione di accrescimento; si notano sottili setti trasversali poco numerosi e disposti in serie più o

meno parallele. Monte La Ciocca. x 15.

- Chaetetopsis aff. crinita NEUMAYR from Lower skeletal zone (Dogger) of the « Terratta Formation >>. Radiai section, parallel to the growth direction. Note thin transversal tabulae which are loose and arranged in approximately parallel

zones. Monte La Ciocca. x 15.

FIG. 12 - Formazione della Terratta (Malm): intrasparru­dite fossilifera. I granuli ed i fossili sono rivestiti da incrosta­zioni calciti che; si notano in alto Bankia striata ( CAROZZI), in basso a sinistra frammenti di coralli ed un embrione di am­monite. Quest'ultimo non mo­stra l'incrostazione calcitica e pertanto proviene da un am­biente diverso da quello degli altri granuli. Monti Preziosi (ad Est di Bi­

segna). x 10.

- Fossiliferous intrasparrudite from << Terratta Formation >>

(Malm). Fossils and grains are coated by calciti c crusts; note, at the top, Bankia striata (cA­ROZZI), at the bottom left, Coral fragments and an Ammonite embryo. The latter does not show any calcitic coating so it comes from an environment which is not the same of the other grains. Monti Preziosi (East of Bise­

gna). x 10.

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zione; a questi si associano livelli arrossati, hard grounds e veli bauxitici giallo-rossastri. La litologia indica chiaramente che questi strati appartengono ad una sedimentazione calma, con acque estrema­mente basse e con il fondo che spesso rimaneva scoperto, si tratta quindi di una facies lagunare interna alla scogliera o laterale ad essa. Questi livelli, specialmente quelli micritici, hanno fornito microfaune a Clypeina jurassica FAVRE (fig. 13), Pianella pygmaea ( GUMBEL), P. grudii RADOICIC,

Kurnubia wellingsi (HENSON), K. palastiniensis HEN­

SON, Bankia striata (cARozzr) (fig. 14), Salpingo­porella annulata CAROZZI. L'associazione si inqua­dra nel Malm superiore (in corrispondenza della cenozona a Clypeina jurassica e Bankia striata) e ci permette quindi di avere un punto fermo nella cronologia della Formazione della Terratta, che per il resto non presenta forme troppo indica­tive. La presenza delle numerose dasicladacee

FIG. 14 - Formazione della Terratta (Malm). Bankia striata (CAROZZI) rivestita da una evidente copertura calcitica. Questo rivestimento è estremamente comune in tutta la formazione e probabilmente dovuto ad incro­stazione algale.

Vallone Costantino (ad Est di Bisegna). x 12.

- << Terratta Formation >> (Malm). Bankia striata (cA­ROZZI) with a remarkable calcite coating probably due to alga] encrusting. Coating is extremely common al! t hrough the formation.

Vallone Costantino (East of Bisegna). x 12.

FIG. 13 - Formazione della Terratta, livelli lagunari (Malm). Micriti a Clypeina jurassica FAVRE. La litofacies indica una zona di sedimentazione di ac­que basse, assai calme, legate all'ambiente di infrascogliera; la Clypeina conferma la nota­zione ambientale. Questi li­velli sono accompagnati da oriz­zonti bauxitici e da mìcrìtì a Bankia. Vallone Costantino (ad Est di

Bisegna). x 40.

- LagoGt>. t~'1~h from << Ter­ratta Formation >> (Malm): mi­crites with Clypeina jurassica FAVRE. The lithofaàç-s is re­ferable to an area of very quiet sedimentation, in shallow wa­ters, linked with back reef environment. Such an inter­pretation is confirmed by the presence of Clypeina. Among lagoon levels there are some beds rich in bauxite and mi­crites with Bankia. Vallone Costantino (East of

Bisegna). x 40.

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conferma l'ipotesi della sedimentazione in ambiente calmo ed a piccola profondità.

Come si è già accennato questi livelli sono pre­senti in corrispondenza della sezione tipo: da questa si estendono verso SE e NNW per alcuni chilometri, poi scompaiono; ad ogni modo la loca­lizzazione dell'orizzonte è sempre piuttosto difficile in quanto esso dà origine ad un pendio meno inclinato su cui si accumula una notevole massa di detriti che maschera la roccia in posto.

l'i'1 tteropia laterale di facies con i livelli lagunari ed in parte sovrastante ad essi, si sviluppa una facies oolitica piuttosto singolare costituita da

FrG. 15 - Formazione della Terratta, livelli oolitici (Malm). Calcare oolitico non perfetta­mente tipico; i nuclei sono co­stituiti, per la maggior parte, da pellets, la calcite degli invo­lucri concentrici è più chiara. È evidente un corallo in alto a sinistra ed alcuni ooliti rotti e rigenerati.

Valico del Carapale. x 10.

- Oolithic levels of << Terratta Formation >> (Malm). Oiilitic limestone, not perfectly typical. Dark pellets constitute the nu­clei while light calcite appears on the concentric rings. Note a Coral at the top left and some oiilites broken then coated a-gain. Carapale Pass. x 10.

un'alternanza ritmica ripetuta infinite volte di tre termini litologici:

l) oosparite bianca di tipo classico (fig. 15);

2) oosparite grigia costituita da ooliti irregolari, schiacciate, ricementate, mai comunque sferiche o regolari;

3) micrite (microclastite) bianca, friabile ed estre­mamente porosa.

Lo spessore di ciascun tripletto di strati varia da qualche decimetro ad un metro al massimo.

Entro la micrite bianca sono stati rinvenuti esemplari di Bankia striata che ci hanno permesso la correlazione laterale fra l'oolitico ed i livelli fini lagunari. Le ooliti rotte del livello grigio mo­strano una copertura esterna che non ha la struttura a prismi radiali caratteristica delle zone più in­terne dei granuli e potrebbe, per alcuni caratteri,

essere considerata come un prodotto di incrostazione da alghe calcaree. È praticamente impossibile de­terminare con sicurezza se si tratti di una copertura dovuta esclusivamente a precipitazione chimica oppure ad attività algale, dato che anche alcuni tipi di alghe gelatinose precipitano il carbonato di calcio in aghetti isorientati radialmente alle superfici della massa incrostata. Ad ogni modo ritengo che sia da accettare l'ipotesi dell'incrosta­zione algale limitata alla copertura esterna mentre sembra impossibile non considerare il nuden una oolite tipica spezzata.

La sedimentazione di questi tre tipi litologici

è stata assai veloce, infatti nella sezione tipo essi hanno uno spessore che si avvicina al migliaio di metri (fig. 17); si tratta però di un fenomeno ab­bastanza ristretto dato che l'estensione laterale in senso NW-SE (nell'altro senso è impossibile qualsiasi precisazione) non supera i 6-7 chilometri e gli strati terminano a lente in maniera piuttosto brusca, sostituiti dal materiale detritico-organogeno che forma la sedimentazione di fondo della Formazione della Terratta.

Fascia organogena superiore - In corrispondenza della sezione tipo, la fascia organogena superiore ha inizio bruscamente sopra gli ultimi livelli ooli­tici grigi. Le ellipsactinie che la caratterizzano si incontrano subito ed in grande abbondanza, as­sociate ad altri idrozoi, chetetidi, solenoporacee ed assai frequenti nerinee. Mancano, o almeno sono

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estremamente scarsi, i coralli; questa mancanza, insieme alla presenza delle ellip~actinie permette di distinguere facilmente ed immediatamente i due livelli organogeni.

Le caratteristiche litostratigrafiche sono simili a quelle di tutta la formazione e sono date da calcare organogeno a frammenti poco elaborati. Non vi si possono individuare bioerme differenziate dal seàimento circostante, ma nella massa omogenea c non stratificata, si incontrano le ellipsactinic in colonie che raggiungono le dimensioni di alcuni decimetri, associate a tutti gli altri organismi. Il sedimento è tenuto insieme da cemento spatico depositatosi nelle cavità intcrgranulari e questo, insieme alle altre caratteristiche della bio e litofacies, contribuisce ad indicare che ci troviamo di nuovo in una zona ad energia piuttosto elevata simile a quella de t livello organogeno inferiore: cioè in una avanscogliera. In questo caso però non siamo affatto sicuri che la scogliera esistesse veramente più ad Occidente della facies ad ellipsactinie.

La continuità laterale degli orizzonti in esame è assai maggiore che negli altri casi. Le ellipsactinie costituiscono la parte sommitale della Formazione della Terratta e si estendono lungo tutta la zona ove essa affiora: eventuali hiatus nella continuità vanno probabilmente attribuiti alla presenza di faglie o anche a fenomeni erosivi che hanno interes­sato la formazione prima della trasgressione mio­cenica (ad esempio sulla sponda occidentale del lago di Scanno).

Nei casi in cui mancano la fascia organogena inferiore ed i livelli lagunari ed oolitici, gli orizzonti ad ellipsactinie poggiano sui calcari oolitici ad entrochi della base della formazione ed hanno un'età leggermente più antica degli altri che sovrastano la sezione tipo. Evidentemente, data la loro persi­stenza nel tempo (secondo recenti studi qu-::sti fossili si possono rinvenire dal Titonico all'Albiano, GRUBICH 1957 a e b - 1961), le ellipsactinic hanno cominciato il loro sviluppo non appena vi sono state le condizioni ambientali favorevoli e quindi in tempi diversi in zone diverse. Per questa ragione risulta oltremodo difficile attribuire a questa fascia organogena una posizione stratigrafica ben de­finita. Fra le ellipsactinie sono state determinate le specie: Ellipsactinia ellipsoidea STEINMANN, E. africana CANAVARI, E. caprense CANAVARI, ma è probabile che ve ne siano anche delle altre; tutte quante hanno una distribuzione che va dal Malm al Cretacico medio. Tra le nerinee, che sono assai diffuse, abbiamo determinato: Ptygmatis pseudo­bruntrutana GEMMELLARO, Nerinea cfr. defrancei DE-

Fie. 16 -Formazione della Terratta: livello organogeno superiore (Malm superiore-Neocomiano). Nerinea cf. defrancei DESHAYES proveniente dagli strati ad Ellipsactinie di Monte Rotondo (Scanno). Questo fossile indica gene-

ricamente il 1\!Ialm superiore e il Neocomiano.

- Upper skeletal leve! of << Terratta Formation >> (Up­per Malm-Neocomian). Nerinea cf. defrancei DESHAYES

from the Ellipsactinie beds of Monte Rotondo (Scanno). This fossi! indicates the Upper Malm and Neocomian

in generai.

SHAYES (fig. 16) che indicano un'età alto giurassica o cretacica inferiore. Fra le microfaune si sono incontrate: Teutloporella socialis PRATURLON, Li­thocodium aggregatum ELLIOTT, Cymopolia aff. ana­diomenea ELLIOTT. Anche questa flora algale indica un Giurassico superiore senza escludere un Cre­tacico basale. Per avere un'idea più precisa sul­l' estensione cronologica del livello ci siamo dovuti basare sull'età degli orizzonti inferiori e superiori.

Al Monte Marsicana, ove la Formazione della Terratta ha uno spessore molto minore, in quanto mancano sia la fascia organogena inferiore sia i livelli lagunari ed oolitici, le ellipsactinie seguono di poco la scomparsa dell'associazione a Protope­neroplis striata e Trocholina, mentre al di sopra

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FIG. 17 - Montagna Grande. Uno dei contrafforti che dallo spartiacque principale (a destra) si spinge ad Orientt'. La spessa pila di materiali stratificati è costituita dai livelli oolitici bianchi e grigi alternati a mi cri ti. Il contrafforte costituisce uno dei lati di un cir.co glaciale; in basso a sinistra si notano ac­

cumuli morenici. Una piccola faglia normale a direzione meridiana, visibile sulla sinistra, rialza d1 qualche metro il contrafforte.

Montagna Grande. A spur which from the main watershed (to the right) is directed Eastward. \Vhite and grey oiilitic levels alternating with micrites make up the thick pile of bedded materials. T~e. spur constitutes one of th~ sidcs of a glacial circus: n?tc a t the bottom left some morainic deposits. A

small fault uphftmg few meters the spur IS VIsible to the left. Its direct10n is :"J-S.

c;') t'l'l a t-< a c;') ......

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222 R. COLACICCHI

s1 mcontra un rapido passaggio a calcari detritici con orbitoline e frammenti di rudiste. Questi ultimi livelli, sia per le orbitoline sia per la presenza di qualche Rotalipora primitiva, debbono attri­buirsi al passaggio Albiano - Cenomaniano. Da questi dati risulterebbe che le ellipsactinie hanno iniziato il loro sviluppo nel Malm superiore ed hanno persistito fino ad un Aptiano - Albiano. In un campione proveniente dal Monte del Cam­pitello entro i calcari ad ellipsactinie sono stati rinvenuti alcuni tintinnidi con forme assimilabili alla Calpionella alpina LORENZ; Calpionella el-

liptica CADISCH, Tintinnopsella carpathica MURG. e FIL. (fig. 18); queste forme sono riferibili alla base del Neocomiano o al tetto del Titanico ma sono molto interessanti soprattutto in quanto indicano una stretta relazione fra l'ambiente di sedimentazione delle ellipsactinie e quello della << Maiolica >>.

Nella zona del Monte Terratta la fascia organo­gena superiore ha alla base i livelli a Clypeina Ju­rassica e Bankia striata mentre al tetto sono state rinvenute faune ricchissime a Salpingoporella di­narica RADOICIC, indi, poco più in alto, una fauna a cuneoline primitive non più recente dell'Albiano. Tenendo conto che fra i livelli a Clypeina Jurassica e Bankia striata e le ellipsactinie esiste tutta la potente pila di strati dell'oolitico grigio, il quale contiene la Bankia e non più la Clypeina, l'inter­vallo di tempo entro cui viene ad essere compresa

la fascia organogena superiore in questo punto, si estende dal tetto del Malm alla sommità del Barremiano e forse alla parte inferiore dell' Aptiano. Lo sfasamento cronologico nella comparsa delle ellipsactinie si spiega dato il loro spiccato carattere di fossili di facies: nella zona del Monte Terratta il persistere a lungo della facies dell'oolitico grigio ne ha ritardato la comparsa che era già avvenuta in altre zone.

L'orizzonte delle ellipsactinie costituisce in molti punti il tetto della formazione; questo specialmente nelle zone o ve gli spessori totali sono minori;

FIG. 18 - Formazione della Terratta: parte superiore (Neo­comiano). Facies ad intraclasti e bioclasti con piaghe di ma­trice micritica entro le quali si notano Tintinni di riferibili a: Tintinnopsella cf. carpathica MURG & FIL. e Calpionella sp. Questi fossili si trovano chia­ramente fuori ambiente e sono interessanti in quanto dimo­strano la connessione tra la facies di soglia e quella pelagica. Monte del Campitello. x 50.

- Upper zone of << Terratta Formation >> (Neocomian). In­traclast, bioclast and patches of micritic matrix with Tintinnids referable to: Tintinnopsella cf. carpathica MURG. & FIL. and Calpionella sp. These fossils are clearly far off their natura! environment; they show the connection between the thres­hold facies and the pelagic one. Monte del Campitello. x 50.

nella parte centrale invece, dopo la scomparsa delle ellipsactinie, si ha il persistere di una facies detritico-organogena con caratteri tipici della Ter­ratta, contenente nerinee, molluschi, solenoporacee, il cui spessore si aggira su qualche decina di metri, e poi si passa alla facies più tipicamente detritica caratterizzata dalle orbitoline.

Nella zona che dal Monte Ninna - Monte For­cone si estende fino alla valle del Sangro, si ha una repentina riduzione di spessore, fino a poco più di 200 metri, spessore troppo esiguo, data la facies, per poter essere paragonato con quelli che si riscontrano più a Nord. La spiegazione di questo fatto è certamente legata ai fenomeni di emersione e di lacune stratigrafiche che si riscontrano a Sud del Sangro nel gruppo dei monti della Meta (co­municazione del dott. PARADISI alla Società Geo­logica Italiana non pubblicata); qui, infatti, i calcari

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GEOWGIA DELLA MARSICA ORIENTALE 223

ad ellipsactinie sono estremamente ridotti di spes­sore, giacciono, tramite delle brecce, sulle dolomie infraliassiche e sono seguite dal Maestrichtiano trasgressivo. Durante tutto il Giurassico e per buona parte del Cretacico la zona dei monti della Meta risulta essere estremamente instabile con movimenti verticali assai accentuati e lacune molto estese. Evidentemente questa situazione si faceva risentire anche più a Nord e giungeva ad interessare anche se in maniera molto blanda le pendici me­ridionali della zona Monte Ninna - Monte Forcone.

ln loco non si è potuta riconoscere traccia di

FIG. 19 - Formazione della Terratta: fascia intermedia (Dogger-Malm). lncrostazioni calcitiche algali su granuli di vario tipo. La natura algale della copertura è messa in evi­denza dall'andamento micro­mammellonare (in basso) delle lamine incrostanti e dalla loro scarsa continuità laterale. Il cemento è costituito da calcite spatica sotto forma di mosaico di cavità. Il grosso granulo sulla destra è costituito da una sezione di alga in cui gli spazi vuoti sono stati sostituiti da mosaico di cavità. Monti Preziosi (ad Est di Bi­

segna). x 40.

- Middle zone of << Terratta Formation >> (Malm). Calcitic algal coating on different grains. The micromammellonar dispo­sition of the encrusting laminae (bottom) and their lateral di­scontinuity give evidence far an algal origin of coating. The cement is a drusy mosaic of sparry calcite. The big grain

litologia dominante può definirsi una biosparrudite; solo nella fascia organogena inferiore si passa tal­volta a biolitite quando si incontrano coralli e che­tetidi che formano piccole costruzioni recifali. Una funzione molto importante ha anche il pro­cesso di precipitazione diretta della calcite che dà origine sia ad ooliti vere e proprie sia, più di fre­quente, ad una copertura oolitica di spessore esiguo che incrosta i granuli smussandone le asperità. È proprio questo tipo di skeletal coated grain che è il più frequente a tutti i livelli della formazione. La presenza di una crosta oolitica intorno ai gra-

to the right is a section of an alga m which the voids bave been filled by drusy mosaic. Monti Preziosi (East of Bisegna). x 40.

questa emersione o di prolungate esposizioni ma la zona è poco accessibile e per di più coperta da bosco, quindi i livelli brecciati o gli hard grounds potevano sfuggire assai facilmente.

Caratteri della litofacies

La litofacies della Formazione della Terratta è tutta improntata all'ambiente di alta energia che la caratterizza, per cui l'aspetto più frequente che essa mostra è costituito da granuli, sempre ben sciacquati (i residui di micrite sono molto rari, salvo casi particolari delle facies lagunari), con sorting molto variabile ed in genere non eccessi­vamente arrotondati, tenuti insieme dalla calcite spatica. All'origine dei granuli contribuisce in massima parte l'attività organogena, tanto che la

nuli simula un marcato arrotondamento che in realtà non esiste, infatti i granuli, all'interno, sono angolosi e conservano ancora le tracce della frat­tura; la struttura, e talora la forma dei fossili, sono riconoscibili piuttosto facilmente. Si ha l'impres­sione che la costruzione recifale ed i gusci dei vari organismi siano stati rotti, spezzati, ma che questa elaborazione sia durata piuttosto poco tanto da la­sciar frammenti articolati ed in molti casi ricono­scibili. Questo tipo di elaborazione rende conto anche del sorting estremamente variabile e spesso assai scarso che si riscontra nella formazione. Solo ove è più sviluppata la copertura oolitica il sorting in genere è maggiore e ciò si spiega dato che le facies oolitiche, secondo quanto comunemente am­messo, hanno origine in zone ove le acque sono continuamente agitate.

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Oltre alla copertura derivante chiaramente da processi di precipitazione è piuttosto frequente un altro tipo di coating che deve essere messo in rela­zione con attività di incrostazione operata da alghe. Questo secondo tipo differisce dal primo in quanto le lamine calcitiche si presentano ondulate, variano notevolmente di spessore ed in genere si assotti­gliano inflettendosi leggermente verso l'interno del granulo mentre si ispessiscono nelle parti convesse, u'arTda origine ad una struttura che può dirsi micro­mammellonare (fig. 19); i prismi calcitici che co­stituiscono le lamine sono orientati normalmente alla superficie incrostata; questo particolare anda­mento delle lamine è molto frequente e tipico nelle alghe incrostanti ma non compare nelle ooliti per cui si è ritenuto che, nonostante la disposizione raggiata dei microprismi calcitici, si trattasse di incrostazioni algali. È interessante notare che buona parte di questi granuli hanno il nucleo costituito da un intraclasto micritico ed in molti casi, prima della copertura calcitica cristallina, si possono no­tare numerose lamine micritiche tipiche degli onkoidi. Risulta quindi che l'attività incrostante delle alghe è abbastanza diffusa anche se non ha più quella prevalenza assoluta che aveva nelle facies di piattaforma, specialmente nel Lias.

I granuli che abbiamo descritto, escluse natural­mente le fasi lagunari, sono cementati da calcite spatica e solo raramente si incontrano facies micri­tiche. Ad ogni modo nella litofacies normale della Terratta la calcite microcristallina non forma mai la matrice fondamentale della roccia; essa si incontra talora come parziale riempimento di gusci (ed allora dà origine a strutture geopete ), talora sotto forma di piccoli pellets anch'essi cementati dalla calcite spatica; oppure, con una certa fre­quenza, si incontra a formare un involucro intorno a dei granuli che poi all'esterno hanno una coper­tura di tipo algale o più raramente oolitico. In questi casi è assai verosimile che la micrite rappre­senti essa stessa un prodotto dell'attività vegetativa della alghe (WoLF, 1965). ·

Il cemento calcitico macrocristallino che unisce i granuli si presenta nella maggior parte dei casi sotto forma di mosaico di cavità precipitato nei pori intergranulari; in alcuni casi, specialmente in corrispondenza di cavità piuttosto grandi, la calcite a partire dalla superficie dei granuli presenta una struttura fibroso-raggiata a cristalli estremamente sottili, irresolubile al microscopio; questi si orga­nizzano in ventagli che si allargano progressiva­mente allontanandosi dalla parete della cavità e dando una estinzione ondulata all'incirca parallela

ai raggi del ventaglio. Nel punto mediano della ca­vità vengono a contatto due o più serie di ventagli secondo una linea abbastanza netta generalmente ondulata. Talora si delimitano piccole zone cen­trali in cui è presente il normale mosaico di cavità a grossi individui cristallini (fig. 20). La differenza fra le due zone è subito visibile in luce parallela in quanto la calcite fibroso-raggiata si presenta tor­bida e di color marrone chiaro (simile al legno) mentre quella a grossi cristalli si presenta limJ?ida ed incolora e con i contatti fra i vari individui cristallini netti e ben visibili; il limite fra le due zone è piuttosto ben marcato.

A nicols incrociati si vede chiaramente che al­cuni cristalli grossi della parte centrale sono cre­sciuti sul prolungamento di un ventaglio di calcite fibroso-raggiata e spesso isorientati. Il passaggio fra le due zone è graduale ed insensibile il che fa pensare che il cemento cristallino si sia formato in un'unica generazione, e che particolari condizioni chimico-fisiche abbiano fatto precipitare la calcite in forma fibroso-raggiata per lungo tratto prima di dare origine agli individui cristallini grossi ed unitari.

Sempre nella litofacies a cemento spatico è piut­tosto frequente il fenomeno della ricristallizzazione con accrescimento degli individui cristallini (crystal growth di BATHURST, 1961); in questo caso la cal­cite spatica occupa i pori con grossi cristalli di forma irregolare che giungono fino alla parete dei granuli, mentre talora il fenomeno ha agito selettivamente entro la massa e si possono osservare delle sezioni di macrofossili (gasteropodi ad esempio) in cui la calcite del guscio è stata completamente ricristalliz­zata in grossi individui, mentre entro la cavità vi è il mosaico da drusa ancora perfettamente conservato.

Qualora nella massa dei clasti vi siano granuli formati da un unico individuo cristallino (ad esem­pio articoli di crinoidi o radioli di echinidi) è assai frequente l'orlo sintassiale dovuto sempre al feno­meno dell'accrescimento per ricristallizzazione; in questi casi il granulo viene inglobato da un grosso

individuo cristallino isorientato costituito da cal­

cite limpida, entro cm spreca l'entroco o il radiolo che sono sempre torbidi e poco trasparenti. Se entrochi e radioli sono molto abbondanti nel sedimento si passa ad un mosaico di cristalli molto grossi ciascuno isorientato rispetto ad un radiolo od entroco, che inglobano tutti gli altri granuli presenti e costituiscono tutta la compagine della roccra.

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GEOLOGIA DELLA MARSICA ORIENTALE 225

Il fenomeno della ricristallizzazione in genere si ferma a questo, in quanto nella Terratta non si sono incontrate litofacies in cui sia andata com­pletamente obliterata la struttura originaria del sedimento.

La matrice micritica è assai abbondante nelle facies lagunari (fig. 13) ove talora costituisce tutta la compagine della roccia e, come abbiamo consta­tato in altri casi, si tratta di micrite microclastica, dai granuli piuttosto grossi ed assai irregolari.

Frc. 20 - Formazione del­la Terratta: parte intermedia (Malm). Intrasparite con sottili orli di incrostazioni algali; fra i granuli si notano: intraclasti, frammenti di Bankia e alghe. La calcite che fa da cemento ha un accrescimento in strutture fìbroso-raggiate, dai granuli ver­so il centro della cavità. In basso si nota, al centro, una parte rimasta vuota e riempita da calcite macrocristallina sotto forma di normale mosaico di cavità; sulla destra le due serie di calcite fibroso-raggiata ven­gono a contatto secondo una linea ben evidente. Fenomeni analoghi si possono notare in tutte le altre cavità intergra­nulari. Monti Preziosi (ad Est di Bi­segna). x 10. Nicols incrociati.

- Middle zone of << Terratta Formation >> (Malm). lntra­sparite where intraclasts have thin edges of alga! coating; among the grains are distingui­shable: intraclasts, fragments of Bankia an d Algae. Growth of cementing calcite proceeds as a radial-fìbrous structure

congetture si può stabilire una correlazione late­rale, in quanto mancano sezioni normali alla fascia di sedimentazione le quali possano mostrare le relazioni laterali fra i vari ambienti ed il loro spo­stamento nel tempo. Così sarà possibile solo ipo­tizzare la posizione della fascia organogena supe­riore e dcll'oolitico grigio rispetto alla scogliera, se pure questa esisteva.

La sedimentazione della Formazione della Ter­ratta è il risultato dell'influenza del mare aperto

from the grains to the center of the cavity. Note, at the bottom middle, a void filled by drusy mosaic macro­crystalline calcite. To the right the two series of radial-fìbrous calcite join each-other in the middle, along a well remarkablc line. Similar phenomena may be noted in ali the other cavities among the grains.

Monti Preziosi (East of Bisegna). x 10. Crossed nicols.

Non è quindi un sedimento da flocculazione ma soltanto dovuto alla deposizione del materiale fine prodotto dall'abrasione dei detriti nella zona dei frangenti.

Ambiente di sedimentazione

La ricostruzione dell'ambiente di sedimentazione della Formazione della Terratta, da un lato è facile date le caratteristiche tipiche del sedimento, dall'altro presenta delle difficoltà per quanto riguarda l'estensio­ne in direzione E-W. Gli affioramenti della formazione si hanno lungo una fascia stretta e lunga diretta N-S c all'incirca parallela a quella che doveva essere la costa. Per questa ragione è possibile in­dividuare gli ambienti dei vari livelli, ma solo per

sul bordo della piattaforma; tutto il materiale detri­tico, micritico, organogeno a cemento spatico che forma il sottofondo di questa formazione è relativo ad un ambiente neritico ad energia molto elevata, a forte ossigenazione ed attivo ricambio con acque oceaniche. Un fondale quindi basso (ma non certo paragonabile a qudlo della piattaforma), dalla mor­fologia molto accidentata, spazzato da correnti ed investito dai frangenti delle onde provenienti dalla zona aperta. Si tratta del limite esterno della piat­taforma micritica che viene a contatto con il mare aperto e per questo perde le caratteristiche di zona calma e fangosa per acquistarne delle nuove.

Sul basamento prosperava una vita assai ngo­gliosa, rappresentata da molluschi, crinoidi, echi­nidi, talora coralli, idrozoi, solenoporacee o ellip-

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sactinie. L'elaborazione dei gusci di questi organi­smi era assai attiva ed avveniva immediatamente; in alcune zone ove l'agitazione era particolare, pro­babilmente periodica e ritmica, si formavano ooliti che venivano poi disperse insieme agli altri detriti. Su questo che rappresenta il paesaggio generico dell'ambiente della Terratta si individuano zone con caratteri particolari che naturalmente dànno origine ad aspetti particolari della facies. La zona a chetetidi e coralli, che si può collocare sul ripiano direttamente affacciato verso il mare aperto, pre­senta costruzioni bioermali sparse, piccole, che venivano continuamente abbattute dall'urto delle onde; d'altra parte l'enorme quantità di materiale organogeno a disposizione impediva una lunga elaborazione dello stesso, dal momento che si aveva un seppellimento precoce. La microclastite che si produceva per abrasione veniva allontanata dai moti delle acque e lasciava i pori liberi per la suc­cessiva precipitazione della calcite macrocristallina. Dal momento che mancano gli affioramenti non si sa se a tergo (verso Occidente), esistesse una sco­gliera vera e propria od una barriera oolitica, oppure se l'ambiente descritto lasciava man mano il po­sto a sedimenti tipici di zone battute meno diretta­mente dalle onde.

I livelli lagunari e gli strati oolitici grigi sono le­gati invece ad un ambiente più calmo: evidentemente verso Est era sorto qualcosa che faceva da frangionde e lasciava a tergo una zona relativamente quieta. Al solito non sappiamo da che cosa fosse costituita questa barriera ma è probabile che si trattasse di un orlo recifale. Il livello delle acque qui doveva essere bassissimo tanto è vero che qua e là il fondo emergeva dando origine agli hard grounds ed ai veli bauxitici; data la sedimentazione della microclastite bianca, prodotta nella zona di abrasione dei sedimenti, la laguna doveva essere in comunicazione con la zona dei frangenti proba­bilmente a causa di soluzioni di continuità della barriera.

I banchi ad ellipsactinie ci riportano ad un ambiente strettamente legato al mare aperto. Sia­mo in condizioni simili a quelle della fascia orga­nogena inferiore, probabilmente con un mare più profondo e più spostato verso l'inizio della scarpata. Le ellipsactinie sostituiscono la scogliera che teo­ricamente dovrebbe essersi spostata ad Occidente, ma di ciò non si hanno le prove. Lo stabilirsi di questa facies rappresenta il primo passo di un ap­profondimento progressivo della zona che in breve tempo porterà dalla facies di soglia a quella di

scarpata con la sedimentazione detritica relativa agli strati ad orbitoline.

Distribuzione

I terreni appartenenti alla Formazione della Terratta formano tutta l'ossatura della dorsale che, dal Monte Marsicana, si snoda verso NNW attraverso Monte del Campitello, Serra della Ter­ratta, Monte Miglio, Monte Mezzana; questo rappresenta l'affioramento più vasto, più continuo ed in cui sono più evidenti tutte le varie partico­larità litologiche della formazione. Esso è dovuto ad una grossa faglia diretta che rialza ad Occidente la serie per un rigetto di alcune migliaia di metri.

Tutto l'affioramento ha un andamento amig­daloide, con la sua massima ampiezza in corrispon­denza dell'allineamemo Bisegna - lago di Scanno. Tale disposizione è dovuta, come abbiamo ac­cennato, sia ad un effettivo aumento di potenza della formazione che in questo punto raggiunge il suo massimo, circa 2.000 metri, sia ad alcune faglie dirette che ripetono qualche termine. Una idea piuttosto precisa ci è offerta dall'andamento della fascia ad ellipsactinie che in un primo tempo si allunga verso Nord poi bruscamente inclina a NW e si avvicina all'affioramento di rocce liassiche che si trova vicino a Monte Mezzana.

Una seconda fascia si trova più ad Oriente, dal Colle di Mezzo verso Colle Ferroio, Monte Godi, Serra Cavallo Morto, Montagna di Preccia. Qui il Giurassico affiora sopra il Lias a causa di una faglia inversa che lo ha rialzato verso Oriente. In questa seconda fascia gli spessori sono molto più ridotti e più uniformi e le caratteristiche litologiche leggermente diverse, in quanto proprio qui abbiamo i due affioramenti della strada di Scanno e del Vallone Iovana in cui cominciano a comparire sedimenti di tipo pelagico.

Più a Sud, nel gruppo della Meta, la Formazione della Terratta indica sempre il passaggio fra la piattaforma e l'ambiente pelagico però essa non è completa: poggia trasgressiva sulle dolomie del­l'Infralias, ha spessori estremamente ridotti, talora è coperta dal Maestrichtiano trasgressivo, ed in molti luoghi manca completamente. A parte le lacune dovute ad eventi paleogeografici particolari, la Formazione della Terratta segue tutto il bordo della piattaforma micritica centro-appenninica e si collega verso Nord con le zone fossilifere e le facies ad ellipsactinie dell'aquilano e, verso Sud, se ne ritrova traccia sul Matese ed al Monte Marzano (PESCATORE, 1965).

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FACIES DI TRANSIZIONE

Con il Giurassico medio la linea delle facies s1 modifica notevolmente rispetto alla posizione che aveva nel Lias, spostandosi verso Sud e verso Oc­cidente ed assumendo quell'andamento NNW-SSE che conserverà poi per tutto il resto del Mesozoico.

Ad Est di una linea che segue i corsi d'acqua Profluo e Sagittario i terreni del Giurassico medio e superiore e del Cretacico basale presentano la ormai nota facies di transizione con livelli detritici intercalati nella sedimentazione pelagica. Il limite che abbiamo citato (che è il risultato di una linea di facies a cui si è sovrapposta una linea tettonica), non è però così categorico come quello della linea alto Sangro-Giovenco esistente fra la facies di piatta­forma e que\h di soglia. Infatti ad Occidente della linea Profluo - Sagittario si sono incontrate tracce, per quanto sporadiche e minime, della facies pelagica entro i sedimenti detritico-organogeni.

Nella facies di transizione durante il periodo che va dal tetto del Lias alla base del Cretacico medio si sono deposte tre unità litostratigrafiche diverse per caratteri litologici, sedimentologici e paleonto­logici; queste sono:

l) micriti a filaments; 2) Formazione della Terratta s.I.; 3) << Maiolica >>.

Nella prima e nella terza unità prevalgono carat­teristiche pelagiche, mentre nella seconda (come del resto indica il nome) la componente detritica è più abbondante.

Prima di passare all'esame delle tre unità è bene sottolineare come questa più fitta suddivisione di uno stesso periodo sia una caratteristica costante dell'ambiente pelagico; sulla piattaforma e sulla soglia le facies hanno una persistenza assai maggiore come del resto abbiamo già osservato a proposito della facies di transizione liassica.

Micriti a filaments

La base di questo livello è visibile soltanto alla Serra Rufigno ed al Vallone Frevana dove poggia sulle marne ad ammoniti del Toarciano - Aaleniano. n sedimento pelagico fondamentale è costituito da micriti grigio-chiare, ricchissime in lamellibranchi a guscio fine (probabilmente posidonomie). Questi fossili solo raramente sono visibili per intero sulla superficie di strato: in genere si vedono le loro sezioni che si presentano come filamenti sottilissimi variamente ondulati, da cui il nome.

Entro i sedimenti a filaments si intercalano banchi detritici a granulometria molto variabile costituiti da materiale organogeno: prevalgono crinoidi, mol­luschi, coralli, idrozoi e talora anche coated grains ed ooliti; tutto questo materiale proviene chiara­mente dalla facies di soglia che abbiamo illustrato nel capitolo precedente.

Alla Serra Rufigno i banchi detritici sono assai spessi e numerosi, tanto che l'unità delle micriti a filaments ha una potenza complessiva molto su­periore a quella che si riscontra al Vallone Frevana, derivante chiaramente dall'importanza che hanno detti banchi. Questi in genere non sono gradati, sono poco regolari, lentiformi, talora terminano bruscamente; di rado i granuli sono imballati in matrice micritica, assai più spesso sono tenuti in­sieme da cemento spatico; talora piccoli livelli della potenza di pochi centimetri sono assai ben gradati e compresi in matrice micritica, hanno quindi l'aspetto di turbiditi.

L'alternanza dei due tipi litologici già descritti è estremamente simile a quella che abbiamo illu­strato per il Lias, sempre alla Serra Rufigno, e cer­tamente deve esistere un'origine comune alle due unità litostratigrafiche. La differenza fondamentale, cioè la mancanza quasi totale di banchi gradati entro i filaments, si spiega facilmente tenendo conto che nella zona di provenienza del materiale la mi­crite era scarsissima per cui non si potevano for­mare sospensioni acqua-fango e non potevano avere origine le torbide. Il materiale allora franava disordinatamente lungo la scarpata, non veniva distribuito in maniera uniforme e dava origine a banchi irregolari a forte lenticolarità e soprattutto non gradati. I piccoli livelli torbiditici derivano da quel poco di materiale che riusciva ad impastarsi con la micrite dell'ambiente pelagico formando così una sospensione, che però copriva un per­corso assai breve.

Al Vallone Frevana ed in tutta la zona più orien­tale l'unità delle micriti a filaments ha un aspetto diverso: i banchi detritici sono molto più sottili e più rari (di conseguenza la potenza complessiva è assai ridotta), hanno una granulometria molto più minuta, nello stesso tempo più uniforme. Sono inoltre più regolari, estesi in maniera con­tinua, non lenticolari e, molto spesso, il tutto è imballato nella micrite pelagica. Questo aspetto concorda con il fatto che spostandosi verso Oriente ci si allontana dalla zona di alimentazione e quindi entro i fanghi a Posidonomya giungeva soltanto il materiale più fine, ben classato e distribuito unifor-

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memente dalle correnti e dai movimenti basali delle

onde. La litofacies di questa unità non presenta carat­

teristiche particolari: la micrite è di tipo fine, al­ternata a qualche macula più grossolana ma piut­tosto rara; i filaments in genere rappresentano centri di attrazione per la precipitazione del cemento calcitico o per la crescita di orli sintassiali, quindi spesso si trovano inglobati entro grossi macrocri­stalli calcitici oppure presentano frange, isorientate con i prismi del filamento. I livelli detritici, spe­cialmente quelli più grossolani, mostrano un ce­mento di cavità oppure una ricristallizzazione con ingrossamento dei cristalli del cemento i cui indi­vidui talora inglobano più di un granulo. Quando nel detrito vi siano presenti frammenti di echinoidi o altri granuli monocristallini è di regola l'orlo sintassiale isoorientato; e quando il loro numero si aggiri sul 50% si arriva ad un mosaico sintassiale completo che facendo centro sui granuli ingloba tutti gli altri elementi.

L'età delle micriti a filaments si può ricavare solo per via indiretta in quanto fino ad ora non siamo riusciti a trovare fossili utili per una data­zione sicura, ed i filamenti indicano soltanto un generico Dogger per correlazione con quelli del bacino umbro.

Alla base abbiamo i livelli ad ammoniti: la forma rinvenuta più in alto (pochi metri sotto i livelli a filaments), è risultata essere una Cotteswoldia se­ganensis DE GREGORIO attribuita all' Aaleniano. Alla sommità si ha una facies esterna della Formazione della Terratta che non è molto ben databile ma, come vedremo in seguito, si può inquadrare in un Malm medio-superiore. Sulla scorta di questi dati l'orizzonte a filaments verrebbe a collocarsi nel Dogger, sfiorando verso l'alto il Malm inferiore, posizione identica a quella che gli stessi livelli hanno nel bacino umbro-marchigiano.

Si è accennato ai due affioramenti principali delle mi cri ti con filaments; la base di questo livello è visibile solo alla Serra Rufigno ed al Vallone Fre­vana, ma esso affiora ancora per aree assai vaste su tutto il versante occidentale del Monte Genzana e della Serra Rufigno lungo una fascia diretta verso Nord che costeggia il crinale della Difesa e giunge fino nei pressi di Bugnara.

Una piccola intercalazione di calcari a filaments è stata poi rinvenuta alla base della Montagna di Preccia sul versante orientale; dal momento che in quel punto il Giurassico è ancora in una facies detritico-organogena (anche se già più fine di quella normale), questo ritrovamento rappresenta uno dei

limiti più interni cui si è spinta la facies pelagica del Giurassico medio.

Formazione della Terratta

La sedimentazione delle micriti a filaments è interrotta verso l'alto da una cornice non stratificata di spessore molto variabile. Essa è sempre assai evidente in quanto forma un grosso gradino mor­fologico alla sommità dei pendii non eccessivamente inclinati e coperti di detriti che corrispondono al­l'affioramento delle micriti a filaments.

Il materiale che costituisce questa cornice è detritico-organogeno, in parte oolitico, con un'ela­borazione abbastanza spinta; esso è identico al materiale di fondo della Formazione della Terratta e, dalle relazioni di terreno, risulta in connessione laterale con esso per cui è stato senz'altro riferito alla medesima formazione.

La cornice calcarea che abbiamo descritto rap­presenta quindi un momento di massima espansione della facies della Terratta verso Oriente, per cui i materiali della estremità anteriore dell'avanscogliera si sono spinti decisamente entro il dominio pelagico. Lo spostamento della facies detritico-organogena deve essere stato piuttosto notevole in quanto la cornice si rinviene anche negli affioramenti più lontani, cioè al Vallone Frevana e nei pressi di Introdacqua. Da notare, a questo proposito, come dalla Serra Rufigno alla valle del Gizio gli spessori diminuiscano ma non eccessivamente, segno evi­dente che c'è stata una vera espansione verso Oriente dell'ambiente di sedimentazione e non soltanto un più energico trasporto di materiali.

Le caratteristiche di questa formazione sono assai costanti e praticamente identiche a quelle già de­scritte a proposito della facies di soglia; si rimanda quindi al capitolo precedente con l'avvertenza che qui si incontra soltanto quello che abbiamo chia­mato il << materiale di fondo >> della Formazione della Terratta e mancano invece le fasce organogene e la serie oolitica.

Fa eccezione la Serra Sparvera in cui manca la facies a filaments e l'intervallo corrispondente a questa e alla Terratta è formato da strati forte­mente dolomitizzati in cui è stato obliterato pra­ticamente tutto. Esaminando in dettaglio alcuni esigui livelli che si sono salvati dalla dolomitizza­zione, si sono rinvenute, proprio sopra gli ultimi strati della fascia a Lithiotis, delle litofacies a bio­sparruditi ed oospariti con abbondanza di coated grains che si riattaccano direttamente alla Terratta, ed in livelli più alti sono state riconosciute facies

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oosparitiche contenenti esemplari di Protopene­roplis striata. Evidentemente alla Serra Sparvera la dolomitizzazione ha obliterato la facies della Terratta e soltanto allivello della << Maiolica )) ricom­paiono rocce con caratteri originarii.

L'età di questa parte della Formazione della Terratta non si è potuta stabilire per mezzo di fossili in quanto non si sono rinvenute forme signi­ficative, ed il tentativo di procedere per via indiretta ci ha portato a correlare il nostro orizzonte con quello intermedio dei livelli lagunari ed oolitici della sezione tipo. Le micriti a Bankia e Clypeina e gli strati oolitici grigi rappresentano un ambiente protetto dall'impatto delle onde, quindi in quel momento la facies più esterna doveva essere lon­tana dalla posizione della sezione tipo e quindi molto avanzata verso il bacino pelagico; d'altra parte abbiamo visto che le due fasce organogene rappresentano l'avanscogliera, ed è assurdo pen­sare che una di queste zone potesse estendersi dalla Montagna Grande alla valle del Gizio (per circa 15 Km senza contare gli eventuali raccorciamcnti dovuti alla tettonica), in direzione normale all'an­damento della linea delle facies. Per cui la corre­lazione indicata mi sembra l'unica possibile e di conseguenza l'età del livello calcareo massiccio verrebbe ad essere compresa nel Malm medio­superiore (Fig. 70).

Da notare che entro i detriti organogeni non esi­ste traccia di ellipsactinie e, dal momento che l'am­biente era quanto mai favorevole al loro sviluppo, si potrebbe concludere che il ciclo di avanzamento della facies di avanscogliera verso il dominio pe­lagico, ed il successivo ritiro si sia completato prima del Titanico.

Dalle caratteristiche che abbiamo descritto e dalle relazioni visibili sul terreno, si giunge alla conclusione che la sedimentazione di questo li­vello non può essere avvenuta soltanto per una più attiva produzione di detriti sull'orlo della soglia; deve essere avvenuto un vero e proprio cambia­mento paleogeografico assai esteso causato proba­bilmente da un innalzamento del fondo del bacino pelagico che ha fatto avanzare tutta la barriera verso oriente.

Gli affioramenti di questo episodio detritico entro le facies più decisamente pelagiche si rinvengono come al solito ad Est della linea Profluo - Sagit­tario lungo tutto il versante occidentale del Monte Genzana. Dalla frana di Scanno fino alla Serra Rufigno è possibile seguire la cornice morfologica che rappresenta la Terratta e che corre a tre quarti del pendio verso l'alto, spostata talvolta e dislocata

da alcune faglie. Sul versante orientale il livello in esame rimane nascosto sui costoni boscosi, dove è individuabile solo a fatica, mentre diventa imme­diatamente visibile lungo le ripide pareti dei val­Ioni. Al Vallone di Cutri, al Vallone Lavozza -S. Antonio, al Vallone Frevana le cornici della Terratta emergono dai pendii detritici sottostanti c sono estremamente utili per ricostruire il gioco degli spostamenti causato dalla tettonica.

Formazione della Maiolica

La cornice calcareo-detritica della Terratta è seguita da una sedimentazione mi critica fine; la roccia bianca, finemente ~~uddivisa in strati sottili (pochi centimetri), contiene numerosi livelli selci­ferì in noduli e liste. L'analogia perfGtta delle lito­facies, c della biofacies, ci ha fatto attribuire questo orizzonte alla Formazione della << Maiolica )) umbro­marchigiana.

La sostituzione della scdimentazione micritica a quella detritica è graduale: le micriti bianche si intercalano ai banchi detritici che man mano si assottigliano fino a scomparire quasi completa­mente; una certa percentuale di materiale grosso­lano rimane però sempre presente, talora essa sarà minima, tal'altra diventerà più importante.

Uno studio dettagliato riguardante due serie stra­tigrafiche è già stato pubblicato (CoLACICCHI, 1964 ), ci limiteremo quindi in questa sede ai ca­ratteri generali comuni ai vari affioramenti.

La prima comparsa delle micriti fini e dei tin­tinnidi si ha con intcrcalazioni o fiamme entro strati fortemente detritici; successivamente la mi­critc prevale e si riscontra assai spesso a fare da cemento ai granuli degli strati ruditici. Alla Serra Sparvera la << Maiolica )) ha uno spessore di 180 me­tri circa, in altre località non è possibile misurarlo anche se affiora in tutta la sua potenza. Le caratte­ristiche litologiche sono comuni alla << maiolica )) umbra: una stratificazione piuttosto fitta con strati a superfici ben parallele, una notevole facilità al piegamcnto data la fitta suddivisione della massa, lo stesso tipo di fessurazione verticale degli strati quando siano stati piegati o comunque deformati.

Le suddivisioni della formazione sono state fatte soltanto su base micropaleontologica e si possono distinguere tre livelli: l'inferiore caratterizzato dal­l'associazione Crassicollaria sp. - Ca/pianella al­pina LORENZ; il mediano indicato come zona a Calpionellopsis thalmanni COLOM contenente inoltre Tintinnopsel/a carpathica MURGEANU e FILIPESCU, T. cadischiana COLOM, T. longa ( COLOM), Calpionellites

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neocomiensis COLO M; il livello superiore infine individuato da Calpionellites darderi COLOM estre­mamente abbondante e associato a Tintinnopsella carpathica MURG. e FIL., T. cadischiana COLOM,

T. longa COLOM; il Calpionellopsis thalmanni COLOM

diminuisce fortemente come numero di individui e scompare verso la metà di questo terzo livello.

La presenza delle faune a tintinnidi ci permette di avere un'indicazione cronologica assai precisa; la base, con la Crassicollaria e la Calpionella al­pina si deve riferire al Titanico superiore, mentre la parte sommitale è da attribuire all'Hauteriviano e forse anche alla base del Barremiano.

Fra le caratteristiche della litofacies è da notare che la micrite della <{ Maiolica >> di questa zona è in grandissima parte microclastica con granuli che si aggirano sui 15 micron. Anche in questo caso quindi siamo portati a concludere che questo materiale abbia avuto origine dalla abrasione dei detriti calcarei che venivano elaborati sul bordo della piattaforma; il materiale finissimo prodotto dall'a­brasione non poteva depositarsi in loco a causa del­l'alta energia dell'ambiente ed andava a sedimen­

tarsi al largo nelle zone calme.

Assai interessanti sono i rapporti che questa for­mazione ha con la <{ Terratta >>; in generale la <{ Maia­li ca >> è eteropica del livello organogeno superiore come dimostra l'età identica, ma più interessante è il fatto che attraverso due dorsali è possibile se­guire la progressiva sostituzione delta sedimenta­zione detritica a quella pelagica. Partendo dalla facies tipica della Terratta (abbiamo già accennato alla presenza di alcune Calpionelle entro i calcari ad ellipsactinie della zona del Campitello) il primo livelletto di <{ Maiolica >> si incontra sulla strada Villetta Barrea - Scanno fra il valico di Pantano e la cantoniera Mimola; è un unico straterello di

tre centimetri intercalato nel materiale detritico ma contiene alcune calpionelle ed un suo nodulo di selce. Questo punto è particolarmente interes­sante perché esso è situato ad Occidente della linea del Profluo che viene considerata come limite del cambiamento di facies e sarà molto utile per

stabilire l'entità di alcuni movimenti tettonici. Lungo il Vallone di Iovana, che è poco più ad Orien­te, si possono vedere delle lingue e fiamme di <{ Maiolica >> che si inseriscono in mezzo al mate­riale detritico ed organogeno della <{ Terratta >>.

Gli strati micritici sono piuttosto sottili, talvolta si vedono terminare a cuneo; la percentuale del materiale pelagico è assai varia ma non supera

nel complesso il 25-30% del totale. Alla Serra Sparvera (anch'essa spostata di poco verso Oriente), la sedimentazione pelagica prevale ma sono ancora molto frequenti livelli grossolani. La percentuale qui si inverte ed è la <{ Maiolica >> a rappresentare il 60% circa della sedimentazione. A Toppe Vurgo ed alla base occidentale della Rocca di Chiarano l'apporto detritico è enormemente diminuito; vi sono sempre i livelli detritici ma assolutamente secondari (vedi CoLACICCHI 1964 ), mentre è pos­sibile osservare sequenze, anche di una decina di metri, senza che questi compaiano. A monte Greco infine ed al lago Pantaniello la <{ Maiolica >> può dirsi totalmente pelagica; gli strati ùetritici rappre­sentano una rarità e sono sempre assai sottili con granulometria dell'ordine di grandezza di una siltite.

Questa sostituzione graduale delle due facies si è potuta osservare in dettaglio, ed è stata la ri­prova più sicura che le ipotesi fatte corrisponde­vano alla realtà.

L'ambiente di sedimentazione della <{ Maiolica >>

risulta ben chiaro dopo quanto detto sulle rela­zioni con la <{ Terratta >>; siamo lungo una scarpata in cui, all'estremità inferiore si ha il dominio della <{ Maiolica >>, a quella superiore il dominio della <{ Terratta >>. La sedimentazione pelagica si estende sulla scarpata nei momenti di calma mentre quella detritica discende verso il basso in corrispondenza delle tempeste o di periodi particolarmente agitati. Nelle posizioni intermedie la percentuale dei due materiali varia a seconda della posizione del punto considerato. La litofacies di queste formazioni è

perfettamente identica a quella della <{ Maiolica >>

umbra e quindi non ritengo sia il caso di parlarne ulteriormente.

Gli affioramenti della <{ Maiolica >>, dopo quelli che abbiamo già citati, si hanno in prevalenza nella zona del Monte Genzana; essi seguono fedel­mente (in alto) le cornici della <{ Terratta >> e sono immediatamente riconoscibili in quanto dànno origine a pareti non molto ripide coperte da un de­trito bianchissimo pulverulento in mezzo a cui si indovina l'allineamento degli strati estremamente

fratturati. Questo tipo di alterazione non si riscon­tra in nessun'altra formazione il che permette di individuare rapidamente le fasce di affioramento.

Gli spessori che, come abbiamo detto, si aggirano sui 200 metri alla Serra Sparvera, sembrano dimi­nuire leggermente andando verso Oriente: con ogni probabilità, ciò è dovuto al venir meno dell'apporto detritico della <{ Terratta >>.

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GEOLOGIA DELLA MARSICA ORIENTALE 231

CRETACICO MEDIO E SUPERIORE

La suddivisione delle facies che abbiamo visto essere caratteristica del Giurassico e del Cretacico basale, si rinviene anche nelle formazioni superiori con aspetti molto simili. Le differenze sono date più che altro da un certo spostamento delle zone di sedimentazione, per cui le facies omologhe non si succedono verticalmente nello stesso luogo; ciò non vale naturalmente per le zone estreme, in a~uanto sia sulla piattaforma che nella zona più spostata verso l'ambiente pelagico, la facies rimane piuttosto uniforme. È nella zona intermedia che si hanno le variazioni maggiori: alla Formazione della Terratta si sostituisce un ambiente più tipi­camente detritico che è da localizzare sulla parte alta della scarpata, mentre la facies organogena di soglia si sposta verso Occidente e si sovrappone a quegli esigui lembi giurassici presenti all'estremità occidentale della zona studiata in dettaglio.

Nella parte superiore del Cretacico si nota anche che le varie zone cominciano ad essere indipendenti fra di loro riguardo ai fenomeni generali (come variazioni del livello marino, movimenti tettonici ecc.) e questa indipendenza embrionale sarà poi spinta all'estremo limite durante il Paleogene. Per questo motivo sarà necessario richiamarsi più spesso e più direttamente alle singole sezioni rilevate in dettaglio, per poter dare un'idea chiara della sedi­mentazione nel Cretacico ed una base più sicura per la ricostruzione paleogeografica.

FACIES DI PIATTAFORMA E TRANSIZIO­NE INTERNA

La stratigrafia del Cretacico medio e superiore nella facies della piattaforma micritica è conosciuta piuttosto bene, non solo per i lavori a carattere generale riguardanti tutto l'Appennino (SARTONI & CRESCENTI, 1963, CATENACCI - DE CASTRO & SGRosso, 1963) ma anche perché questa facies costituisce l'ossatura dei Monti Lepini e Sim­bruini, ove lavori recenti dell'Istituto di Geologia di Roma ne hanno illustrato esaurientemente i caratteri bio e litostratigrafici (AccoRDI, 1963; FARINACCI & RADOICIC, 1964; DEVOTO 1964, etc.). Inoltre, fra la Val Roveto e la Valle del Sangro si rinvengono numerosi livelli bauxitici di età cretacica medio-superiore, studiati di recente (D' AR­GENIO, 1962 a e b ; 1963) insieme alla strati grafia delle rocce che li contengono. Nella zona più vi-

cina a noi PARADISI & SIRNA (1965) hanno pub­blicato il rilevamento eseguito negli anni prece­denti, effettuando una messa a punto definitiva della stratigrafia del Cretacico di questa zona. Tenendo conto della sezione della Val Roveto e di quelle rilevate intorno alla valle del Sangro e del Giovenco si ha a disposizione materiale suffi­ciente per poter inquadrare in maniera chiara il Cretacico nella facies di piattaforma. Occorre pre­cisare, prima di tutto, che dal tetto del N eocomiano non si ha più quella generale uniformità di sedi­mentazione che si era riscontrata per tutto il Me­sozoico sulla piattaforma. Una prima differenza si riscontra al livello dell' Aptiano - Albiano: nella zona dei Lepini - Simbruini questo presenta un livello argilloso ad orbitoline e caracee (FARINACCI & RADOICIC, 1964; SIRNA, 1963) passante local­

mente a livelli calcarei, mentre dal versante sinistro della Val Roveto verso Oriente mancano le argille, e le orbitoline sono contenute entro livelli calci­ruditici.

Zona della V alle Roveto e della V alle longa

Nella sezione di S. Vincenzo Valle Roveto gli strati che seguono ai livelli a Cuneolina camposaurii (già descritti nel capitolo precedente), sono costi­tuiti alla base dalla solita litofacies tipica della piattaforma: micriti con pellets ed alghe cui si intercalano livelli calciruditici ad orbitoline. Ben presto però si incontrano strati intrasparitici che vanno aumentando di spessore e di frequenza, indicando un progressivo aumento dell'energia del­l'ambiente. Questa variazione prelude ad una la­cuna stratigrafica dovuta ad emersione che si in­contra a circa 150 metri dalla fine della cenozona precedente. L'emersione è sottolineata da strati brecciati, rossi, gialli, talvolta dolomitizzati e va­cuolari, sempre molto ricchi di materiale ferruginoso e manganesifero. Questi strati rappresentano l'equi­valente laterale o immediatamente sottostante ai liveHi bauxitici che affiorano nelle vicinanze della sezione, e sono poi collegabili con quelli più po­tenti presenti fra la Vallelonga ed il Sangro. La correlazione con le bauxiti è sottolineata da un orizzonte a piccole requienie che si rinviene co­stantemente alla base dei depositi bauxitici sia nella Marsica che in altre regioni limitrofe, e che nella sezione di S. Vincenzo precede di poco gli strati arrossati.

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232 R. COLACICCHI

L'intervallo stratigrafico che abbiamo descritto è caratterizzato dalla Cuneolina pavonia parva HENSON e può quindi essere riferito alla omonima cenozona istituita da SARTONI & CRESCENTI (1962). In associazione sono state rinvenute altre cuneoline, Bacinella irregularis RADOICIC, Dictyoconus cf. ara­bicus HENSON., Nummoloculina sp., Miliolidae. Nella parte detritica sono frequenti idrozoi, esacoralli frammentari, molluschi, piccole requienie ed altri macrofossili che, pur non dando indicazioni utili per la cronologia, confermano la relativa vicinanza ad un ambiente ad alta energia e con facies orga­nogena elaborata dal moto ondoso. La cenozona a Cuneolina pavonia par'va di SARTONI & CRESCENTI ha un'età che comprende l'Albiano ed il Ceno­maniano, ma dato che i livelli ad orbitoline si trovano solo nella parte bassa dell'intervallo dc­scritto, è presumibile che gli strati brecciati rossi e gialli siano da riferire al Cenomaniano.

Sopra i livelli che testimoniano l'emersione sono stati rinvenuti calcari a pasta estremamente fine, talora esclusivamente micritici, tal'altra con intra­clasti; con la trasgressione riprendono quindi le ca­ratteristiche ambientali di piattaforma così fre­quenti lungo tutta la serie. In questi livelli basali è stata rinvenuta la Cisah•eolina fallax REICHEL: questa forma, insieme alla totale assenza delle prealveoline, ci fa datare la trasgressione al Ceno­maniano superiore.

Procedendo verso l'alto, la sezione evolve pre­sentando due alternanze di calcari detritici a rudiste e nerinee inserite entro livelli micritici simili a quelli incontrati al tetto della lacuna; al termine si in­contrano calcari a grana estremamente fine, con ostracodi dal guscio sottile, qualche alga calcarea ed alcune rotaline. Questi ultimi strati hanno l'aspetto di fanghi lagunari, probabilmente sal­mastri.

La fauna di questa parte della sezione è ancora caratterizzata dalla Cuneolina pavonia parva, ma sopra ai livelli a Cisalveolina fallax, che indicano il tetto del Cenomaniano, vi si associa la Dicyclina schlumbergeri MUNIER-CHALMAS indicando così la cenozona a Cuneolina pavonia parva c Dicyclina schlumbergeri assegnata da SARTONI & CRESCENTI al Turoniano - Senoniano. Dal momento che non compaiono i livelli a Spirolina, caratteristici della parte alta della cenozona, se ne deduce che la serie di S. Vincenzo Valle Roveto si arresta ad un generico Senoniano.

Abbiamo detto che in questa sezione l'intervallo della lacuna stratigrafica può ritenersi probabil-

mente compreso entro il Cenomaniano: mentre tutti gli Autori sono concordi nell'attribuire al Cenomaniano superiore la trasgressione, ci sono state numerose incertezze per quel che riguarda l'età del letto delle bauxiti e quindi l'entità della lacuna. In un primo tempo la datazione dei livelli basali è stata appoggiata agli strati a piccole re­quienie che regolarmente fanno da letto alle bauxiti; questi sono stati riferiti all'Albiano da D' ARGENIO (1963) in quanto appartenenti alla cenozona a Cuneolina pavonia parva (ma senza indicare le forme che permettevano questa attribuzione), e correlati quindi con quelli dei Monti d'Ocre stu­diati sempre dallo stesso Autore. P "'-R"'-DlSI & SIRNA (1965), con uno studio stratigrafico più accurato, hanno rinvenuto alla base d~i livelli bauxitici esemplari di Cisalveolina lehneri REICHEL, e, associati alle piccole requienic, esemplari di Caprina adversa n'ORBIGNY e Sauvagesia nicaisei (coQUAND), tutte forme caratt-:~ristiche del Cenomaniano e queste due ultime, fossili guida della parte media e supe­riore del piano. Per cui nella zona ad Est della Valelonga l'emersione relativa alle bauxiti ha avuto luogo tutta entro il Cenomaniano superiore. D' AR­GENIO in un lavoro successivo si è dichiarato d'ac­cordo con questa attribuzione.

Dopo i primi livelli della trasgressione cenoma­niana, nella zona della Vallelonga si ha una facies calcareo-detritica a rudiste che equivale a quella incontrata nella sezione di S. Vincenzo. Qui man­cano però sia i livelli micritici sia la facies lagunare ad ostracodi e rotaline. Le m1cro c macro­faune determinate (PARADISI & SIRNA, 1965), indicano un'età che dal Cenomaniano raggiunge il Senoniano, e l'associazione delle rudiste, costi­tuita per la maggior parte da radiolitidi, insieme con la litofacies dimostra chiaramente che siamo in ambiente più esterno, più spostato verso il mare aperto. Questa conclusione del resto è logica, e con­seguente con la posizione più orientale della zona.

All'altezza del Senoniano la serie è troncata dalla trasgressione miocenica.

Superando la dorsale che forma il lato destro della Vallelonga ci si porta nei pressi di Monte Turchia che confina con la valle del Sangro; sempre rife­rendosi a PARADISI & SIRNA e rimandando a questi per i dati di dettaglio, notiamo che in questa zona non affiora la parte sottostante ai livelli a piccole requienie, ma la trasgressione delle bauxiti è sempre inquadrata entro il Cenomaniano superiore; manca però quasi completamente la serie cenomaniano­senoniana ed i livelli a Cisalveolina fallax sono coperti dalla trasgressione miocenica. Al limite

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GEOLOGIA DELLA MARSICA ORIENTALE 233

orientale del Monte Turchia il Miocene trasgre­disce direttamente sui livelli a piccole requienie essendo state eliminate anche le bauxiti. Qua e là si conservano ridottissimi lembi della serie del Cretacico superiore ed in particolare è interessante un affioramento posto sulle blde occidentali del monte, in cui tra livelli a Cisalveolina jallax, pre­senti come al solito al tetto della bauxiti, ed il l\'liocene calcareo, esiste un piccolo lembo residuo calciruditico contenente Accordiella conica FARI­NACCI, Dicyclina schlumbergeri MUNIER-CHALMAS, Rl;.aJp;rlionina liburnica STACHE, Laffitteina marsi­cana FARINACCI. Mentre le prime due forme indi­cherebbero una età maestrichtiana, la Rhapydionina liburnica è considerata paleocenica, si resta quindi in dubbio fra i due periodi. S<condo FARINACCI (1965) la associazione sarebb~ da riportare al Mae­strichtiano mperiore, ed effettivamente in questo periodo si è avuta più ad Oriente una trasgressione piuttosto estesa a cui si potrebbe correlare questa di Monte Turchia. L'affioramento, anche se estre­mamente esiguo, ha la sua importanza in quanto testimonia una trasgressione maestrichtiana che non era mai stata documentata in questa zona.

Zona di Sperone e Gioia dei Marsi

Oltrepassata verso Oriente la valle del Sangro ed il Vallone S. Lucia si entra nella zona che è stata rilevata in dettaglio ed in cui il Cretacico superiore in facies di piattaforma presenta carat­teristiche molto simili a quelle già esposte. Un particolare che vale per tutta la zona sta nel fatto che qui mancano completamente le bauxiti in quanto la trasgressione miocenica poggia su terreni del Cenomaniano medio od anche più antichi. Pre­messo che le caratteristiche litologiche rispecchiano piuttosto fedelmente quanto abbiamo descritto in precedenza, prenderemo in esame alcune succes­sioni stratigrafiche per avere un'idea più chiara della situazione.

Entro il Vallone di S. Lucia è possibile studiare l'unica sezione in cui si giunga a sfiorare verso il basso la base del Neocomiano. Dal punto di vista litologico i terreni presentano gli stessi caratteri di quelli della Val Roveto specialmente nella parte più bassa: si tratta di termini prevalentemente micritici con frequenti livelli dolomicritici laminati, con tutta probabilità di origine primaria, ed altri orizzonti dolomitici in cui sono presenti caratte­ristici romboedri dovuti a ricristallizazzione. No­nostante che la dolomitizzazione abbia obliterato in molti casi la struttura originaria, nella parte

basale si sono potute individuare per pochi metri microfacies a Salpingoporella annulata CARozzr da cui se ne deduce l'appartenenza alla cenozona a Salpingoporella annulata e cioè al N eocomiano. Seguono orizzonti contenenti cuneoline primitive che si ritrovano fino alla sommità della sezwne senza che si passi a forme più evolute; questo secondo tratto rimane quindi entro la cenozona a Cuneolina camposaurii ma non raggiunge l' Aptiano.

A questo punto la serie è troncata dalla trasgres­sione miocenica; spostandosi però lateralmente si può notare che essa continua ancora per alcunj

metri costituiti da un orizzonte fittamente stratifi­cato ed estremamente ricco di resti di Salpingo­porella dinarica RADOICIC (5) e, sopra a questo, qualche metro di strati arrossati, brecciati, talora dolomitici o marnosi, estremamente simili a quelli che nella zona della Vallelonga, de11\1oate Turchia e della Val Roveto si trovano in eteropia laterale con le bauxiti. In questi livelli arrossati non si è trovata fauna che desse indicazioni attendibili per la datazione. Il loro spessore, come ho detto, è di qualche metro e verso l'alto sono coperti dalla trasgressione miocenica. Altre sezioni, estrema­mente ridotte, dato che gli affioramenti sono scarsi o coperti da suolo e detrito, sono state campionate al Km 28,8 della S.S. Marsicana, al bivio di Spe­rone, al Serrone ed al Colle Biferno; in tutte queste località la trasgressione miocenica copre, come nel Vallone S. Lucia, gli strati arrossati e dolomitiz­zati alla cui base è sempre presente il livello a Salpingoporella dinarica.

Dal momento che questa alga è caratteristica del­l'intervallo Barremiano - Aptiano e tutt'al più si spinge fino all'Albiano, come è stato riscontrato nella facies di transizione, dove per altro potrebbe essere rimaneggiata ( CoLACICCHI, 1964 ), è pos­sibile che i livelli arrossati, che si incontrano sia nel Vallone S. Lucia sia più a NE, non siano da correlare con quelli della zona Monte Turchio -Vallelonga - Val Roveto, ma rappresentino un fenomeno analogo, dal punto di vista sedimento­logico, avvenuto alla sommità dell' Aptiano.

A riprova di questa ipotesi non sono mai stati incontrati nella nostra zona gli strati a piccole requienie che sono associati alle bauxiti (ed ai li­velli arrossati correlabili con esse) dai Monti d'Ocre, attraverso la Marsi ca fino al Matese; n è è stato possibile, nonostante ricerche particolarmente det­tagliate, trovare traccia della Cisalveolina lenheri e

(5) Nella zona marsicana della facies di piattaforma questo è un livello repere che si può attribuire alla parte media dell'Aptiano.

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234 R. COLACICCHI

di altre forme che potessero far riportare al Ceno­maniano medio-superiore i livelli arrossati posti a NE della valle del Sangro e del Vallone di S. Lu­cia. Del resto in quest'area non esistono sacche bauxitiche di dimensioni paragonabili a quelle della Vallelonga in quanto tutto si riduce a pochi metri di strati arrossati con qualche piccola lente (pochi centimetri) di materiale più rosso di tipo bauxitico. È estremamente probabile quindi che gui ci sia stata, al livello dell' Aptiano superiore, una emersione con formazione di brecce, livelli dolomitici, hard grounds ed una generale ossi dazio ne ; ma non siamo in grado di precisare l'estensione di questa lacuna poiché in nessun punto è stato pos­sibile rintracciare gli strati che seguivano diretta­mente a questa fase regrcssiva, e d'altra parte sembra poco probabile che l'emersione possa essersi prolungata fino al Miocene.

Facies di transizione interlla

La distribuzione della facies di piattaforma nel Cretacico superiore mostra alcune differenze, leg­gere ma assai indicative, rispetto a quella dei pe­riodi precedenti; infatti, nella parte meridionale della zona studiata, essa si estende verso Oriente fino alla linea alto Sangro - Giovenco, come av­viene per i terreni del Giurassico e del Neoco­miano; ma, spostandosi verso Nord, la facies mostra una netta variazione con passaggio ad un ambiente di alta energia e con caratteri tipici della transizione interna. Il contatto fra queste due zone si ha lungo una linea diretta NW -SE che si distacca dalla San­gro-Giovenco all'altezza di Aschi, corre lungo la dorsale di Monte Testana - Monte Tricella, passa al limite Nord del Pisco Muratore e giunge nella conca del Fucino tra San Benedetto dei Marsi e Venere (linea che noi denomineremo Aschi -Venere). A Nord di quest'allineamento, oltre il Colle Biferno, sotto alla trasgressione miocenica non compaiono più gli orizzonti arrossati né i banchi a Salpingoporella dinarica RADOICIC, vi sono ancora alcune rare salpingoporelle associate a cuneo­line primitive, ma questi microfossili sono rivestiti di calcite, usurati, frammentari e quindi con ogni probabilità rimaneggiati. Compaiono invece assai abbondanti i macrofossili, soprattutto molluschi, sono molto frequenti le nerinee fra cui sono state determinate le seguenti specie: Nerinea (Ptygmatis) prej/eurianii DELPEY, Aptixiella dayi BLANCHENHORN,

Aptixiella schicki FRAAS. Queste forme sono consi­derate tipiche dell'Aptiano in tutto il bacino medi-

terraneo e ci dimostrano quindi che gli strati In­contrati sono equivalenti a quelli con Salpingopo­rella dinarica e che il cambiamento della facies è imputabile ad una vera e propria eteropia laterale; e inoltre che l'erosione pre-miocenica è giunta agli stessi livelli cui si era arrestata nella zona imme­diatamente a Sud-Ovest della linea Aschi-Venere.

È da tener presente qui che tutta questa regione è particolarmente ostile ad uno studio di dettaglio, in quanto completamente coperta di detriti, ed i luoghi ove affiorano gli strati in posto ed in suc­cessione regolare sono estremamente rari; per questa ragione è stato impossibile studiare in dettaglio sezioni misurate, e l'esposizione della stratigrafia procede, per forza di cose, in modo episodico e largamente descrittivo. Siamo stati costretti infatti a fare uno studio che potremmo chiamare con larga approssimazione statistico, in.t~'1>'1>en.do e correlando dati raccolti in località diverse e con connessioni presumibili ma non dimostrabili.

Se ci si sposta verso Nord, nella zona delle Vi­cenne, sotto i livelli a Nerinea si trovano strati con caratteri tessiturali di ambiente ad energia ancora più alta, ed alcuni livelli a rudiste primitive del tipo precaprinidi riferibili ad un'età aptiana. In questa zona si rinvengono inoltre calcari micritici a grossi onkoidi sferoidali, cm s1 associano livelli con ooliti spezzate ed incrostate di nuovo, molto simili agli strati oolitici grigi della Formazione della Terratta.

Al Monte Parasano i livelli a nerinee sono se­guiti da termini, sempre cretacici, in cui si notano con evidenza maggiore i caratteri dovuti alla vi­cinanza di un ambiente di scogliera; infatti, oltre al fatto che la litofacies è nettamente organogeno­detritica con cemento calcitico spatico, compaiono esacoralli ed altri macrofossili tra cui ancora ru­diste primitive: alcuni mostrano un guscio spesso, vacuolare, a setti bifidi e risultano appartenere al gruppo delle caprinidi con forme che non sono più antiche del Cenomaniano; l'attribuzione con­corda con la microfauna, costituita dalle associazioni della zona ad orbitolinidi, Dictyoconus, Coskinolipsis, Orbitolinopsis, Orbitolina; nelle se­zioni stratigrafiche della Val Roveto e della Valle­longa questa associazione segue gli strati a Salpin­goporella dinarica e precede di poco le bauxiti o i livelli arrossati equivalenti, confermando così la sua età cenomaniana. Da questo si può concludere che nella parte più settentrionale dell'area in esame l'erosione pre-miocenica si è arrestata a livelli leggermente più alti di quelli che aveva raggiunto in corrispondenza del Vallone di S. Lucia.

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GEOLOGIA DELLA MARSICA ORIENTALE 23.'i

Il fatto che l'erosione pre-miocenica si sia spinta più in basso nella zona centrale, in corrispondenza del suddetto vallone, autorizza a pensare che questa regione si sia sollevata di più, formando, tra il Creta ed il Miocene, una dorsale allineata E-W oppure WNW-ESE. La direzione e la posizione di questa dorsale si allineano con quella di una dorsale eoce­nica separante due bacini posti, l'uno a Nord l'altro a Sud, lungo la linea Profluo-Sagittario. Ciò potrebbe autorizzare a collegare le due strutture e ad at­tribuire così all'Eocene la dorsale sollevata sulla 't'-;~<.V.?.~'0rma emersa.

L'affioramento più orientale nella facies di tran­sizione interna è costituito da una lunga striscia molto stretta che affiora alla base del versante oc­cidentale del Monte Palombo. Essa rappresenta una lama impigliata nella grande faglia che borda ad Occidente la struttura Marsicana - Terratta -Miglio e per questo è completamente fratturata; dai campioni che siamo riusciti a raccogliere integri si è potuta osservare una litofacies simile a quella del Monte Parasano, con molti fossili interi e fram­menti poco elaborati; sono però più frequenti i coralli il che farebbe pensare che l'affioramento appartenga ad una zona più vicina al corpo della scogliera (fig. 21).

L'età di questo calcare è stata determinata in quanto sono state riconosciute la Cuneolina laurentii

associata ad altre cuneoline più evolute, ad orbi­toline ed a frammenti con strutture di rudiste pri­mitive; dovremmo perciò trovarci all'altezza della parte alta della cenozona a Cuneolina camposaurii e quindi nella parte superiore dell' Aptiano, o ad­dirittura alla base dell'Albiano.

La posizione di questo affioramento, ad Oriente della linea alto Sangro - Giovenco, cioè ove ci saremmo aspettati di trovare la scogliera vera e propria oppure l'avanscogliera, fa sorgere notevoli difficoltà sulla interpretazione paleogeografìca della zona ma, come si è detto, si tratta di una lama

FrG. 21 - Cretaceo medio in facies di transizione interna; si nota un corallo e grossi bioclasti in cui la struttura è in parte conservata, in parte sostituita da ventagli di calcite fibroso­raggiata. Il campione proviene dalla zona di Campomizzo, dalle lame rialzate dalla grande fa­glia alto Sangro-Giovenco.

Nicols incrociati, x. 10.

- Middle Cretaceous: inner transition facies. Note a Co­ral and some big bioclast in which tbe structure is partly preserved, partly substituted by fibrous-radial calcite fans. Tbc sample comes from tbe Cam­pomizzo zone, from the limy slabs ejected by tbc Alto San­gro-Giovenco fault.

Crossed nicols, x 10.

rialzata da una grande faglia la quale giace a fronte di una linea di raccorciamento, per cui è da rite­nere che l'apparente anomalia sia dovuta esclusi­vamente a cause tettoniche.

Caratteri della litofacies

La litofacies dei terreni che vanno dal Barre­miano fino alla trasgressione miocenica si può dividere in due tipi fondamentali: uno caratteriz­zato dalla calcite microcristallina ed un secondo in cui prevalgono elementi detritico-organogeni, spesso legati dal cemento spatico. La litofacies mi­critica prevale nelle parti inferiori della porzione di serie presa in esame, e ricalca in pratica quelle giurassiche e neocomiane che abbiamo esaminato

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236 R. COLACICCHI

nel capitolo precedente; le differenze sono mmrme e riteniamo quindi inutile ripetere la descrizione di questi orizzonti.

Interesse particolare hanno i livelli arrossati che si incontrano subito dopo gli strati a Salpingo­porella dinarica: si tratta di materiali micritici molto fini contenenti alcuni pellets di dimensioni assai ridotte e qualche lump chiaramente dovuto all'aggregazione dei pellets. Il tutto è fittamente straterellato in dimensioni macroscopiche, ma anche in sezione sottile si riscontr:2no laminazioni dovute ad alternar:ze di pellets e micritc oppure determi­nati da una leggera variazione di grana nella mi-

contrano tre livelli prevalentemente micritici inter­calati a due detritico-organogeni; nei primi la litofacies è spesso rappresentata da microclastite pura, in alcuni campioni si nota una forte abbon­danza di romboedri di dolomite testimonianti una ricristallizzazione. Il cemento spatico in queste fasi è praticamente assente, si incontra soltanto all'interno dei gusci di ostracodi come mosaico di cavità o talora in alcune facies a pellets e lumps associate ad alveoline primitive che, dato il sorting molto spinto e la mancanza di micrite nei pori, mostrano essersi depositate in presenza di correnti persistenti ma non molto forti..

Frc. 22 - Cretaceo medio in facies di transizione interna. Frammento di gastcropodo (ri­conoscibile per la presenza del­la columella al centro) con il guscio attaccato dalle alghe ca­rianti che ne hanno finemente perforato tutto lo spessore. La cavità interna è riempita di cal­cite spatica, sotto forma di mosaico di cavità, precipitata anche nello spessore della co­lumella, mettendo così in evi­denza un'azione di dissoluzione che ha interessato parte del gu­scio stesso. Il sedimento cir­costante è costituito da micrite in cui sono riconoscibili cu­neoline e miliolidi. Zona di

Campomizzo. x 12.

- Inner transition facies (Mid­dle Cretaceous). Fragment of a Gastropod shell, recognizable from the columella in the mid­dle, attached by boring algae and finely perforated through al! its thickness. The inner cavity is filled by drusy mosaic sparry calcite: this has also replaced the columella and so

evidences a dissolution process which affected part of the shell itself. The surrounding sediment consists m micrite in which Cuneolinas and Miliolids are recognizable. Campomizzo zone. x 12.

crite stessa. Il colore rossastro che predomina è in generale diffuso entro la micrite e non si riesce a determinarne la origine; in alcuni punti più forte­mente colorati sono visibili sottili orli rosso mattone attorno ai pellets ed ai lumps e talora anche mi­crofratture e cavità originarie della roccia riempite da materiale opaco di colore marrone-rossiccio costituito con ogni probabilità da bauxite oppure limonite.

Sia questa facies sia quelle laminate viste in pre­cedenza hanno tutte una percentuale di dolomite assai variabile ma sempre notevole e derivante dal­l'ambiente particolare della sedimentazione.

I livelli sovrastanti alle bauxiti (che compaiono soltanto in Val Roveto e Vallelonga), mostrano una litofacies più variata: come si è accennato si in-

Le intercalazioni detritiche sono costituite da frammenti organogeni (in cui prevalgono le strut­ture delle rudiste) generalmente arrotondati o al­meno assai smussati. È difficile riscontrare orga­nismi interi: in generale si tratta di grossi gusci, ridotti in frammenti irregolari. Contrariamente a quanto si verificava in altri casi precedenti, anche in questi episodi detritici la micrite è molto abbondante, in qualche caso addirittura prevalente, ed il ce­mento spatico è riscontrabile soltanto ove i granuli più grossi ed irregolari danno origine a pori di dimensioni maggiori.

N ella zona che corrisponde alla facies di transi­zione interna, la litofacies passa nettamente da de­tritico-organogena ad organogena. Una gran parte degli organismi sono interi oppure hanno subit

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GEOLOGIA DELLA MARSICA ORIENTALE 237

un'usura relativa: essi sono riconoscibili dalla struttura e spesso anche dalla forma; sono frequenti le alghe carianti insieme alle incrostanti-carianti. Le prime distruggono quasi completamente gusci di molluschi lasciando dei fantasmi appena deli­neati (fig. 22); le altre incrostano frammenti di gusci calcarei o qualsiasi altro granulo detritico dando origine a forme tipo onkoidi. Si sono rin­venute in questa zona alcune facies pellettifere cementate da calcite macrocristallina, sotto forma di cemento di cavità, precipitata nei pori interpel­Ìe't:ta'ù.

FIG. 23 - Cretaceo medio in facies di transizione. Il grande onkoide presenta un nucleo ricristallizzato in cui sono ri­maste le tracce dell'azione di alghe carianti. In basso e a destra sono visibili tracce del nucleo sfuggite alla ricristalliz­zazione, che presentano anche esse cariature. La formazione dell'involucro laminare esterno è avvenuta dopo la cariatura e prima della ricristallizzazione. Zona di Campomizzo. x 10.

- Transition facies (Middle Cretaceous). The large onko­lite shows a recrystallized core, bearing up to now traces of alga! boring. Note, at bottom right, traces of the nucleus which escaped recrystallization; also that shows boring action. The outer laminar coating was formed after boring and before recrystallization.

Campomizzo zone. x 10.

La matrice del sedimento è rappresentata con maggior frequenza da micrite a grana fine, spesso inferiore ai 4 micron. La calcite spatica si rinviene all'interno delle cavità dei gusci o delle alghe cal­caree sotto forma di cemento di cavità e nello stesso tempo sostituisce le strutture del guscio sotto forma di mosaico di accrescimento dei granuli (grain growth mosaic di BATHURST, 1961). Singolari alcuni onkoidi in cui nella parte centrale ricristal­lizzata sono rimaste tracce di tubuli micritici do­vuti ad alghe carianti che avevano attaccato il gra­nulo in precedenza (fig. 23).

Lo spessore delle pareti dei gusci è talora costi­tuito da calcite spatica con struttura molto netta di mosaico di cavità; questo dimostra che in fase diagenetica si sono avute dissoluzioni del guscio e successiva riprecipitazione della calcite nello spazio vuoto (fig. 24). Si può notare tra l'altro

che la dissoluzione ha interessato soltanto lo spes­sore del guscio senza toccare la calcite macrocri­stallina o la micrite che riempivano le cavità in­terne. Questi fenomeni di soluzione sono del resto molto frequenti nell'ambiente di soglia, certamente in relazione con la forte porosità di tutta la massa detritica.

Ambiente di sedimentazione

La Val Roveto, la zona della Vallelonga, l'area ad Ovest della linea alto Sangro - Giovenco e a

SW della Aschi - Venere, fino al Cenomaniano superiore ricalcano perfettamente le caratteristiche ambientali già viste nel N eocomiano: mare sottile, ambiente ad energia molto bassa, assenza di cor­renti forti e persistenti, pochissimi scambi con il mare aperto che si trovava più ad Oriente. Un ambiente adattissimo alla vita delle alghe dasicla­dacee, che rappresentano la componente principale delle associazioni micropaleontologiche, dei forami­niferi bentonici e degli ostracodi che, di tanto in tanto, compaiono piuttosto numerosi.

Questo ambiente evolve piano piano verso una facies ad energia leggermente più alta in cui il fondo veniva raggiunto di frequente dalle azioni di onde piuttosto forti e da correnti persistenti. Ciò prelude ad un'emersione che si verificherà nel Cenomaniano superiore.

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238 R. COLACICCHI

Dell'ambiente relativo alla fase continentale sr sa molto poco: unica traccia di sedimenti subaerei è costituita dalle bauxiti, ma dato il brevissimo periodo in cui è stata localizzata l'emersione ceno­maniana, esse non possono certamente essersi for­mate per alterazione del materiale in posto; deri­vano quindi dall'accumulo di materiali provenienti dalle zone circostanti già emerse da lungo tempo. La zona di accumulo delle bauxiti va vista quindi come una depressione in cui si scaricavano, forse ancora in fase submarina o lagunare, i prodotti di dissoluzione ed ossidazione delle zone circo-

stanti. I pollini e resti di insetti citati da D' AR­GENIO & DE CUNZIO (1963) provengono dalle argille superiori e quindi non si riferiscono all'am­biente di deposizione delle bauxiti stesse, ed inoltre potrebbero anche essi essere fluitati.

La sedimentazione che segue alla trasgressione cenomaniana, e che è reperibile solo in Val Roveto e Vallelonga, mostra una graduale variazione di ambiente fra le due località citate. Nella Vallelonga la facies è organogeno-detritica e vi prevalgono quelle forme che preferiscono zone a forti correnti e a scambi attivi con il mare aperto (radiolitidi): evidentemente dopo la trasgressione cenomaniana si ha un ulteriore spostamento verso Occidente della zona di soglia, oppure una frammentazione della piattaforma in tante unità minori che non

riescono a determinare una facies tipica come m precedenza (CoLACICCHI, 1966), ma solo una dif­ferenziazione meno spinta fra bordi e centro di ciascuna unità strutturale mmore.

Questa seconda ipotesi è più documentabile m quanto la zona di attivo sviluppo dei banchi a rudiste non si limita solamente a spostarsi di un po' verso Occidente ma si rinviene anche nella regione lepino-simbruina.

La sezione della Val Roveto rappre~eD.ta la ?arte interna di una di queste unità strutturali minori, e qui infatti la sedimentazione normale è micritica,

Frc. 24 - Cretaceo medio in facies di transizione interna. Una Nerinea è riconoscibile dalla forma dell'anfratto che è riem­pito di micrite, mentre il gu­scio ha subito una dissoluzione, indi è stato sostituito da calcite, sotto forma di mosaico di ca­vità. La dissoluzione non ha minimamente interessato la mi­crite che riempiva l'anfratto. In basso è riconoscibile una struttura geopeta.

Zona di Campomizzo. x 15

- Inner transition facies (Mid­dle Cretaceous). A Nerinea is recognizable from the shape of the chamber, filled by mi­crite, while the shell has been dissolved and substituted by drusy mosaic. The chamber filling micrite was absolutely unaffected by this dissolution. Note at the bottom a geopetal structure.

Campomizzo Zone. x 15

l'ambiente ha un'energia piuttosto bassa, però gli scambi con il mare aperto e quindi l'apporto di plancton non sono completamente aboliti; vi pro­sperano rudiste ed altri molluschi che sarebbero incompatibili in una facies di piattaforma micri­tica. Di tanto in tanto a causa di cambiamenti della profondità del fondo marino o per il susse­guirsi di periodi particolarmente agitati, i detriti che si formano ai bordi raggiungono il centro della zona e si hanno le intercalazioni che abbiamo no­tato nella parte superiore del Cretacico.

L'ambiente indicato si riferisce a termini che non vanno più alti del Turoniano superiore - Seno­niano basale, in quanto l'erosione pre-miocenica ha eliminato tutti gli eventuali terreni che si sono depositati in seguito. Unica eccezione è data dal

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piccolissimo affioramento maestrichtiano trasgres­sivo sul Monte Turchio, il quale per la litofacies micritica e la presenza di forme bentoniche si può ritenere sedimentato anch'esso in ambiente a bassa energta.

Nella regione posta a Nord della linea Aschi -Venere, le caratteristiche fondamentali della litofa­cies e della biofacies indicano una influenza assai evi­dente della zona organogena orientale. Dalla litofacies si deduce che siamo nella zona retrostante alla sco­gliera in cui si mescolano sedimenti di soglia e di piattaforma; l'ambiente è riparato dall'azione diretta del mare aperto, ma ne subisce ugualmente l'influenza sia a causa di soluzioni di continuità nella barriera, sia per il continuo apporto di acque oceaniche che ne superano il bordo. La micrite, in parte prodotta dall'abrasione dei detriti, in parte proveniente direttamente dalla piattaforma, tende a depositarsi ma non è così abbondante da intor­bidare le acque al punto da impedire la vita ani­male. L'ambiente è anzi molto adatto alla vita: vi sono infatti gasteropodi, lamellibranchi, echi­nodermi, qualche brachiopodo e, dall'Albiano in poi, le rudiste. Naturalmente la sedimentazione è molto variabile, legata da una parte all'espansione della scogliera e dall'altra ai movimenti verticali del livello marino. È molto importante precisare che non vi è alcun apporto da parte di terre emerse, e quindi a tergo della laguna interna verso SW si estendeva la piattaforma totalmente sommersa (co­me del resto risulta chiaro dalle successioni strati­grafiche descritte).

Questa facies è stata indicata come facies di transizione interna in un precedente lavoro (Co­LACICCHI 1966) e solo in questo punto è osserva­bile in tutti i suoi particolari, perché negli altri luoghi essa risulta eliminata da raccorciamenti tettonici o comunque assente.

FACIES DI SOGLIA

In corrispondenza della dorsale Marsicano -Terratta - Miglio, sopra ai livelli ad ellipsactinie e, dove esiste, sopra all'orizzonte a Salpingoporella dinarica RADOICIC, la facies ha un cambiamento assai brusco: il materiale organogeno integro o poco usurato scompare e viene sostituito da granuli detritici fortemente elaborati, smussati, arrotondati di cui non è più possibile riconoscere la forma e spesso neanche la struttura. È chiaro che tutti questi granuli hanno un'origine organica in quanto non ci sono argomenti per ammettere apporti conti-

FIG. 25 - Facies detritica del << Calcare cristallino l)

(Cretacico superiore). Bioclastite micritica: al centro un grosso frammento con struttura di rudista ben con­servata. I granuli più piccoli sono molto usurati, forte­mente appressati e mostrano fenomeni di soluzione per pressione; la matrice è mic1·itica ma oltremodo scarsa, data la estrema esiguità dei pori.

Sezione di Iovana. x 15.

- Detrital facies of the «Calcare cristallino l) (Upper Cretaceous). Mi cri tic bioclastite: in the middle a large fragment with a well preserved Rudista structure. The smaller grains are much more worn out, strictly ap­proached to one another, and show evidence of pres­sure-solution. Micrite matrix is extremely rare owing to the lack of pores.

lovana section. x 15.

nentali, ma la loro elaborazione è talmente spinta che si rendono irriconoscibili specialmente nella fase a granulometria più fine.

La sedimentazione di soglia del Cretacico medio e superiore è tutta costituita da questa litofacies, con una netta evoluzione in senso avanscogliera­scarpata rispetto alla Formazione della Terratta. La facies recifale e quella oolitica, proprie della parte più alta della barriera, hanno subito uno spo­stamento verso Occidente ma non compaiono in alcun luogo e con ogni probabilità sono state elise da un raccorciamento tettonico.

Questo calcare detritico è ben conosciuto nella letteratura dell'Appennino centro-meridionale e viene indicato convenzionalmente con il nome di << Calcare cristallino >>, oppure << Calcare pseudosac-

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240 R. COLACICCHI

caro i de >> (PESCATORE, 1965) o << Calcare granulare >>;

esso è stato anche indicato come Formazione di Rocca Altiera (PESCATORE, idem), ma con elementi troppo scarsi per poter ritenere valida l'istitu­zione (6).

Ove è possibile riconoscere l'origine dei granuli si nota che la maggior parte di essi, a partire da un certo livello, è data da frammenti di rudiste (fìg. 25). Talora queste formano il 90% del mate­riale presente o almeno di quello riconoscibile. Nella parte bassa sono estremamente diffuse le or­bitoline, ed in pratica l'inizio della sedimentazione del calcare granulare coincide con la comparsa di questi microfossili; esse individuano una zona il cui spessore oltrepassa, in certi casi, il centinaio di metri. La granulometria del materiale è piut­tosto omogenea in ciascun piccolo intorno, ma in complesso subisce una variazione graduale per cui negli affioramenti più occidentali (Monte Marsi­cana, zona di Valle Orsara) si incontrano termini ruditici anche grossolani più simili alla facies della Terratta; spostandosi verso Oriente, questi ven­gono sostituiti da termini via via più fini, arenitici o, nella zona della Montagna di Preccia e al Monte Genzana, addirittura siltitici. Questa variazione di grana interessa tutta la formazione e dimostra chiaramente la provenienza occidentale o sud­occidentale dei detriti. Il materiale legante è co­stituito in genere da micrite salvo che nelle parti più grossolane in cui il cemento spatico è piuttosto frequente.

Come è facile immaginare, in una facies di questo genere sono estremamente frequenti rimaneggia­menti e mescolanze di fossili e di tipi di facies. Ciò ha fatto sorgere dubbi sulla continuità di se­dimentazione, sia riguardo al passaggio con i ter­reni inferiori, sia della formazione nel suo com­plesso; dubbi nati dal fatto che nella zona a Sud del Sangro (Monti della Meta) il Calcare Cristallino è trasgressivo su termini molto più antichi quali il Lias o addirittura le dolomie infraliassiche.

I rapporti con la Formazione della Terratta sono visibili con una buona esposizione soltanto a Pizzo Cerreto (ad Est del Monte Terratta) e al Monte Ninna. Nel primo caso, nei livelli sommitali della zona ad ellipsactinie, si rinvengono numerose cuneoline, indi seguono strati micritici ricchissimi di Salpingoporella dinarica e poi subito il detritico ad orbitoline. Dato che la Salpingoporella dinarica

(6) In realtà questi termini sono stati usati per il Maestrichtiano, ma la analogia di litofacies è perfetta e quindi possono valere anche per il sedimento più antico.

è di età aptiano-albiana e che nei livelli ad orbito­line sovrastanti si sono rinvenuti alcuni esemplari di foraminiferi planctonici da riferire a Ticinella e Planomalina, sembra logico affermare che la seriL è continua e non esiste alcuno hiatus alla base del << Calcare Cristallino >>.

Al Monte Ninna gli ultimi esemplari di ellip­sactinie sono seguiti, con un brusco passaggio, dalla facies detritica con orbitoline. Nei -c-arriplDni che seguono immediatamente sono stati rinvenuti esemplari di forme planctoniche ma molto mal­conci, essi possono essere assimilati a Ticinella e Planomalina ma la determinazione è piuttosto dub­bia; nei campioni successivi compaiono rotalipore.

Dato che le ellipsactinie raggiungono la sommità dell' Aptiano, se la determinazione delle due forme albiane fosse esatta avremmo una serie che potrebbe essere considerata continua. A questo risultato ci portano anche numerosi campioni sparsi, raccolti sui costoni che dal Monte Ninna e dal Monte Forcone discendono verso il Coppo del Ferraio e la Val Ciavolara; sono state rinvenute ticinelle, planomaline e rotalipore primitive, questa volta ben visibili e determinabili (per quanto possa es­sere sicura la classificazione effettuata in sezione sottile); a queste sono associate alcune orbitoline la cui camera embrionale si presenta di forma globulare: pur non potendole determinare con pre­cisione si possono riferire al gruppo I o II di HoFKER e quindi dovrebbero individuare l'Albiano superiore.

Dai dati esposti sembrerebbe accertato che anche nella zona del M. Marsicana il calcare detritico ad orbitoline è in continuità di sedimentazione sulla parte sommitale della zona ad ellipsactinie. D'altra parte sul terreno non è possibile individuare nes­suno di quei caratteri che normalmente accompa­gnano una trasgressione, neanche dove il passag­gio dalla litofacies della Formazione della Terratta a quelle detritiche è estremamente brusco e facil­mente osservabile.

Se teniamo conto del significato ambientale della facies, risulta chiaro che la sostituzione della sedi­mentazione organogena a quella detritica, è col­legata con un arretramento verso Occidente del bordo della piattaforma e con un generale appro­fondimento che porta alla situazione di scarpata. Anche dal punto di vista dell'evoluzione delle facies quindi, ritengo si possa escludere che nella zona in esame fra il calcare ddritico ad orbitoline ed il sottostante orizzonte ad ellipsactinie, ci sia una emersione od una lacuna.

Il problema della continuità della Formazione del << Calcare Cristallino >> lungo tutto il suo spes-

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GEOLOGIA DELLA MARSlCA ORIENTALE 241

sore è assai più complesso: st tratta di stabilire detta continuità in una serie in cui il materiale è per la maggior parte rimaneggiato, mancano fossili caratteristici dei singoli piani e, quando si trovano, non si può essere mai sicuri che si tratti di forme non riprese. Entro la massa detritica esistono pic­coli livelli micritici con fauna planctonica, e talora queste forme sono sparse anche in mezzo ai fram­menti ruditici, ma questi microfossili sono spesso chiaramente rimaneggiati. È praticamente impos­,:rb:r1r<: q-a:mùi stabilire l'età da un campione isolato. Nelle sezioni stratigrafiche però, tenendo conto

FIG. 26 - << Calcare cristallino >>

(Maestrichtiano ). Orbitoides cf. media (n'ARCHIAC): il fossile è perfettamente conservato men­tre i granuli sono assai elaborati ed in gran parte ricristallizzati.

Valle Orsara. x 12.

- << Calcare cristallino >> (Maes­trichtian). Orbitoides cf. media (n' ARCHIAC) : the fossi l is perfect­ly preserved while other grains are much reworked and parti­ally recrystallized.

Orsara valley. x 12.

della prima comparsa di ctascuna forma cronolo­gicamente significativa, si arriva a mettere insieme delle successioni su cui si può fare un certo affida­mento, sia per la datazione, sia per stabilire l'even­tuale continuità o meno della serie.

Sono state studiate in dettaglio alcune sezioni di cui si riportano in sintesi i caratteri:

Sezione del Monte Marsicana - Monte Ninna -Si tratta della parte superiore della sezione Monte Marsicano già citata per il Lias e per la Terratta. Abbiamo già parlato del passaggio dalle ellipsactinie al << Cristallino >>; tutta la zona che contiene orbi­toline e che ha uno spessore di 200 metri circa, è caratterizzata dalla prevalenza delle forme a pro­loculo globulare e quindi appartenenti al gruppo primo o secondo di HoFKER. I planctonici sono

estremamente rari e sono rappresentati da rotali­pore accompagnate in basso da ticinelle e poi da globotruncane primitive sino a forme assimilabili alla Globotruncana gr. !apparenti. Alla luce di questi pochissimi dati l'età del livello ad orbitolinidi do­vrebbe partire dall'Albiano e, attraverso il Ceno­maniano, giungere al Coniaciano. Campioni isolati raccolti in zone vicine al percorso della sezione han­no confermato quanto abbiamo detto, mostrando sempre associazioni a ticinelle, planomaline, rota­lipore alla base e rotalipore e globotruncane verso la sommità.

Agli strati ad orbitoline segue, con un'improv­visa variazione della fauna, il livello ad orbitoidi; la facies rimane identica, le orbitoline scompaiono quasi completamente e quelle poche che si incon­trano sono in frammenti molto malconci; gli orbi­toidi prendono il posto delle orbitoline e si pre­

sentano in genere integri, freschi, tanto da giusti­ficare l'ipotesi che siano autigeni. Sono presenti:

Orbitoides media (n' ARCHIAC) (fig. 26) e Ompha­locyclus macropora LAMARCK; di tanto in tanto nella zona ove la micrite è più abbondante si rinvengono i planctonici tra cui è stato possibile riconoscere: Globotruncana convexa e G. !apparenti !apparenti (BROTZEN). Fra le altre forme riconoscibili figurano frammenti di Archaeolithothamnium sp. Lo spessore di questo livello ad orbitoidi è molto esiguo: si ag-

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242 R. COLACICCHI

gira intorno alla trentina di metri e verso l'alto è seguito dall'Eocene trasgressivo. Dai macrofora­miniferi determinati risulta chiaro che l'età del << Cristallino >> deve essere attribuita al Campaniano - Maestrichtiano mentre la Globotruncana convexa, e la G. !apparenti /apparenti sono chiaramente ri­maneggiate.

Se teniamo presente che entro il Cristallino ad orbitoline non si erano rinvenute forme più giovani del Coniaciano salta agli occhi la mancanza del Santoniano; ma dato il carattere della serie, la sua facies estremamente detritica ed i fenomeni di rimaneggiamento che sono frequentissimi, non è possibile dire se questa lacuna esista veramente oppure sia simufata da un insieme di fossili rima­neggiati. A favore della effettiva esistenza della lacuna, corrispondente ad una parte del Senoniano, starebbe la posizione della sezione Marsicana -Ninna, piuttosto vicina alla linea del Sangro: a Sud di questa infatti il Mesozoico è molto lacunoso ed il << Calcare Cristallino >> ad orbitoidi trasgredisce su terreni più antichi fino alle dolomie infraliassiche. Questa situazione del resto si rinviene anche a Nord del Sangro lungo tutta la Montagna di Godi.

Occorre qui precisare che esiste una fondamentale differenza tra la trasgressione dei Monti della Meta e la nostra sezione: laggiù ed anche al Monte Godi, si rinvengono potenti livelli di brecce alla base del Maestrichtiano, mentre invece lungo la sezione Marsicana - Ninna non si osserva nessun parti­colare litologico che possa far presumere una tra­sgressione. Date le caratteristiche della facies e l'ambiente di sedimentazione, è molto probabile che non si tratti qui di una lacuna dovuta ad emer­sione, ma piuttosto di erosione sul fondo marino; oppure che i sedimenti già deposti siano franati e scivolati lungo la scarpata determinando lo hiatus.

Sezione del Vallone Iovana- Una seconda sezione è stata studiata lungo il Vallone di Iovana, subito ad Est di Scanno. Qui l'influenza dell'ambiente pelagico che si trovava ad Oriente è più sensibile, e ciò si traduce in una generale diminuzione della grana e dello spessore della formazione, ed in un aumento di frequenza delle forme planctoniche. Non è stato possibile studiare le relazioni con la Formazione della Terratta a causa di alcuni di­sturbi tettonici localizzati proprio al passaggio; al di sotto di questi accidenti compare, come si è già accennato, il calcare organogeno-detritico con numerose intercalazioni di micriti fini contenenti tintinnidi vari.

FIG. 27 - <<Calcare cristallino>> (Maestrichtiano). Bio­micrite con Siderolites calcitrapoides (LAMARCK). I granuli sono costituiti da bioclasti con assortimento variabile. Notare la forte variazione delle dimensioni, ed un ac­cenno a gradazione dal centro verso l'alto. Entro la mi­crite, in basso a destra, è riconoscibile una Globotruncana mal conservata.

Sezione lovana. x 12.

- <<Calcare cristallino >> (Maestrichtian). Biomicrite with Siderolites calcitrapoides (LAMARCK). The grains are made up of bioclasts with a variable sorting. Note the remarkable variation of sizes, and a rough graded bedding from middle to top. In the micrite, at the bottom right, a strongly damaged Globotruncana is hardly recognizable.

lovana section. x 12.

La sezione studiata ha inizio con orizzonti detri­tici tipici della facies del << Calcare Cristallino >> ma con granulometria in media piuttosto fine ed un notevole assortimento ed arrotondamento dei gra­nuli; a questi si intercalano livelli mi critici con forme pelagiche: la commistione delle faune è assai frequente e le forme pelagiche si rinvengono anche entro la micrite che fa da matrice ai detriti calcarei.

Nei livelli basali della sezione sono state rinvenute: orbitoline, alcuni esemplari di Cuneolina pavonia parva, alghe calcaree del gruppo delle corallinacee e due forme pelagiche, Ticinella roberti ed Hed­bergella cretacea: questa associazione si può ascri­vere ad un Albiano alto. Negli strati che seguono

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si può assistere ad una lenta evoluzione delle forme ed alla sostituzione di fossili più antichi con specie più recenti ma con continui rimaneggiamenti do­vuti alla particolare dinamica della facies.

Scartando le forme più incerte e tenendo conto soprattutto della prima comparsa delle forme si­gnificative, si riesce anche qui ad ottenere una fauna di fondo piuttosto omogenea che evolve lentamente e con continuità. Per questo ritengo che possa indicare realmente, o almeno con buona approssimazione, la cronologia della serie. Così <Nre t1òne11e seguono Planomalina buxtorfi e le rotalipore primitive che testimoniano la presenza del Cenomaniano, indi (associate sempre a Tici-

FIG. 28 - Vet'1."<.';'.ice orientale del Monte Genzana, cima di quota 1964. Sul versante Est del cocuzzolo (a destra) è stata campionata la sezione di Valle Cupa; le cornici subito sopra al bosco sono costituite da <1 Calcare cristallino >>, quelle vi­cino alla sommità rappresen­tano la base della trasgressione miocenica; tra queste due la sezione si sviluppa con livelli alterni in cui prevalgono le micriti a planctonici oppure il

calcare detritico. - Eastern slope of Monte Gen­zana, summit at q. 1964. On the eastern slope (to the right) the Valle Cupa section has been sampled. The projecting ledges, just above the wood, are made of <1 Calcare cristal­lino >>, the ones near the top, represent the basis of the Mio­cenic transgression. Between the two groups of ledges, the section is constituted by levels where the micrite with planc­tonics or the detrital limestone

alternatively prevail.

nella, orbitoline e talora qualche esemplare di Sal­pingoporella dinarica, contenuta negli intraclasti) si incontrano globotruncane del tipo stephani. Se­guono orizzonti ruditici molto grossolani con fre­quentissime orbitoline, bioclasti costituiti da fram­menti di rudiste e qualche intradasto micritico contenente la Salpingoporella dinarica evidente­mente rimaneggiata. Nel successivo livello micri­tico si rinviene la Globotruncana renzi che indica l'avvenuto passaggio al Turoniano. I piani succes­sivi sono indicati dalla Globotruncana convexa, dalla Globotruncana !apparenti tricarinata e dalla Globotruncana cretacea; ed infine la comparsa degli orbitoidi, del Siderolites calcitrapoides (fig. 27) e della Globotruncana contusa ci porta al Maestrich­tiano. Sui calcari ad orbitoidi poggia il Miocene trasgressivo.

Ripetiamo che abbiamo considerato e citato le forme alla loro prima comparsa perché esse si rinvengono poi costantemente nei livelli superiori, tanto che lo studio di uno o di pochi campioni non permette assolutamente di definire l'età del livello di provenienza. L'esame in serie però mo­stra chiaramente che non ci sono hiatus nella successione dei fossili indicatori della cronologia c che quindi in questo punto la sedimentazione del << Calcare cristallino >> deve essere avvenuta con continuità, almeno fino al Maestrichtiano.

Se confrontiamo gli spessori dei vari piani in­dividuati vediamo che essi variano enormemente: ciò è connesso con il maggiore o minore apporto

detritico che proveniva dalla piattaforma e che, data la facies e l'ambiente, era assai irregolare.

Nella zona di soglia il<< Calcare cristallino>> è sem­pre troncato dalla trasgressione miocenica all'altezza del Maestrichtiano o anche più in basso, ma nella zona di Monte Genzana, sopra la << Scaglia >> turo­niano-senoniana riprende la sedimentazione detri­tica che raggiunge la base dell'Eocene Le ca­

ratteristiche di questa parte superiore del <c Calcare cristallino >> sono state studiate nella sezione strati­

grafica di Valle Cupa.

Sezione di Valle Cupa - È situata sul versante NE del Monte Genzana entro la testata della Valle Cupa e termina sul cocuzzolo di quota 1964 (fig. 28); lo spessore campionato è di circa 200 metri. In questa sezione sono più frequenti le

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244 R. COLACICCHI

forme planctoniche dato che siamo spostati verso NE e si parte praticamente dalla << Scaglia >>, ma in sostanza il tipo di sedimentazione è simile a quello della sezione del Vallone di lovana. Anche qui sono frequentissime le forme rimaneggiate e l'indi­cazione cronologica si può avere soltanto dalla prima comparsa delle forme significative.

La base della sezione è attribuibile al Maestrich­tiano inferiore o Campaniano data la presenza di alcune gumbeline, Heterohelix, Globotruncana bolli, G. marginata e frammenti di Orbitoides e G. !app. tricarinata (fig. 29). Queste forme sono natural­mente accompagnate da specie più antiche rima­neggiate quali varie globotruncane antiche o addi-

rittura rotalipore. A ctrca 50 metri dalla base della

sezione la comparsa simultanea della Globotrun­

cana stuarti e G. contusa ci fanno riferire i relativi

campioni al Maestrichtiano medio-superiore. In­sieme a questi, negli strati detritici, sono presenti

orbitoidi, Siderolites calcitrapoides e frammenti di

Melobesie; questa associazione continua per un lungo tratto, poi la comparsa delle prime globo­rotalie, associate a Ventilabrella e ad una probabile Pellatispira (poco oltre la metà della sezione), in­dica il passaggio al Paleocene. Entro gli strati paleo­cenici si trovano, specialmente negli orizzonti de­tritici, Ethelia alba e frammenti di discocycline e nummuliti molto piccoli. L'età paleocenica viene confermata, salendo nella sezione, dalla comparsa delle daviesine.

Nella parte sommitale la presenza dell'Eocene è accertata solo negli ultimi metri: insieme alle forme paleoceniche si rinvengono qui grandi disco­cycline, Disticoplax, grosse nummuliti, alcuni esem­plari che possono essere riferiti ad Operculina ed Assilina; inoltre globorotalie ad affinità eocenica. Nonostante l'incertezza dovuta all'enorme quantità di fauna rimaneggiata ed al fatto che quasi sempre le forme significative sono frammentarie, si ri­tiene che la presenza dell'Eocene sia giJ.!.<>.tjJicata dalle forme che abbiamo rinvenuto negli ultimi metri. La sezione termina con la trasgressione mio­cenica che ha deposto una bioclastite a briozoi.

Anche la parte superiore del<< Calcare cristallino>>,

FIG. 29 - Parte superiore del << Calcare cristallino>> (Campa­niano-Maestrichtiano ). Biomi­crite con abbondanti forme planctoniche associate a detriti fini. Sono riconoscibili: Glo­botruncane del gruppo !appa­renti e Globotruncana !appa­renti tricarinata ( QUEREAU). Sezione di Valle Cupa. x 40.

- Upper part of the <<Calcare cristallino >> (Campanian-Maes­trichtian). Biomicrite with plenty of planctonic forams associateci with fine debris. Globotruncana gr. !apparenti and Globotruncana !apparenti tricarinata ( QUEREAU) are reco­gnizable.

Valle Cupa section. x 40.

dal Maestrichtiano all'Eocene, va quindi consi­derata sedimentata con continuità, almeno al M. Genzana, ed i fenomeni di rimaneggiamento, fre­quentissimi, vanno imputati alla caratteristica del­l'ambiente simile a quella della parte sottostante (fig. 30 e 31 ). Pur mostrando una grandissima affini­tà con la sedimentazione del Vallone lovana la sezio­ne di Valle Cupa se ne distacca perché presenta una variazione continua da un ambiente pelagico ad una litofacies detritica ed infine ad associazioni nettamente organogene e costiere di mare molto sottile (7). È invece singolare che nella zona del Monte Genzana, che mostra le caratteristiche più

(7) A rigor di termini solo la facies della parte centrale appartiene alla formazione del cristallino ma essa è molto estesa tanto da costituire più dei tre quarti di tutta la sezione.

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FIG. 30 - Versante Est del Monte Genzana: aspetto di una superficie di strato del << Calcare cristallino >> fortemente carsificata. Il reticolo di solchi ha andamento pressochè ortogonale e coincide con direzioni preferenziali di frattura dovute agli sforzi tettonici.

- Eastern slope of Monte Genzana: a view of a <<Calcare cristallino>> bed surface. The rock is strongly karstified, the network of furrows shows an ortogonal pat· tern, related to weaker breakage lines, due to tectonic stresses.

FIG. 31 - Versante Est del Monte Genzana. Banco ruditico fortemente lenticolare. Lo strato si assottiglia verso Est confermando la provenienza occidentale del ma-teriale detritico. L'età è riferibile al passaggio Cretacico-Paleocene. . .

- Eastern slope of Monte Genzana. Ruditic highly lenticular bank, which lenses out to the East, proving that the detrital matenai was coming from the West. The age of the bed is near the Cretaceous-Paleocene boundary.

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246 R. COLACICCHI

decisamente pelagiche di tutta la regione studiata, durante il Maestrichtiano vi sia un netto passaggio a sedimenti detritici che precedono l'emersione. Infatti sia nella zona di piattaforma, sia sulla so­glia, il Cretacico superiore, quando esiste, è tra­sgressivo: è evidente quindi che la zona del Monte Genzana è stata soggetta ad un sollevamento che ha avuto inizio alla base del Maestrichtiano e che ha continuato in seguito, con un moto più veloce della trasgressione, fino a quando la regione non è emersa.

Dall'esame delle tre sezioni risulta evidente che la sedimentazione del << Calcare cristallino )) deve considerarsi continua nella zona centrale e setten­trionale, mentre a Sud, sulla dorsale del Marsicano, è probabile che vi sia una lacuna in corrispondenza del Senoniano.

Zona della Montagna di Godi. Qui il Cretaceo è limitato al Maestrichtiano che giace trasgressivo su terreni molto vari. La facies è totalmente detri­tica: in alcuni punti si incontra una vera e propria breccia di trasgressione poligenica ad elementi grossolani sottolineata alla base da livelli arrossati e dolomitizzati, in altri casi si ha una calcirudite bianca a cemento spatico probabilmente dovuto a ricristallizzazione. L'attribuzione al Maestrich­tiano è stata possibile grazie alla presenza degli or­bitoidi, riconoscibili senza molte difficoltà anche sul terreno.

Questo materiale si appoggia sulle dolomie infra­liassiche all'estremità meridionale, nei pressi del Monte Mattone; spostandosi verso Nord trasgre­disce sui calcari a Palaeodasycladus, poi sulla For­mazione della Terratta, indi su terreni sempre più giovani finché, sulla vetta del Monte Godi, la serie può considerarsi continua.

La giacitura è estremamente frammentaria; si tratta di pochi metri di sedimenti, spostati da una fitta serie di fratture lungo le quali si sono impostate numerosissime doline, per cui è praticamente im­possibile seguire i limiti degli affioramenti del << Cristallino )).

Da quanto esposto si deduce che la Montagna di Godi era in parte emersa, e la trasgressione maestrichtiana l'ha percorsa da Nord a Sud appog­giandosi sui vari termini portati a giorno dalla erosione.

Caratteri della litofacies

La litofacies del << Calcare cristallino )) è estrema­mente caratteristica ed inconfondibile sia in sezione che all'osservazione macroscopica. Si tratta di detriti

molto elaborati, deposti fuori dall'ambiente in cui avveniva l'elaborazione: la matrice inglobante è infatti micritica. Gli elementi sono bioclasti molto arrotondati, tanto da risultare difficilmente ricono­scibili; in pratica si possono identificare solo i frammenti di quei gusci che presentano strutture microscopiche ben precise (fig. 25). Il sorting è generalmente molto spinto, in particolare nei li­velli più fini; l'arrotondamento varia molto: è no­tevole alle granulometrie medie mentre diminuisce nella parte più fine e nelle parti più grossolane, che con ogni probabilità erano più vicine alla zona di produzione dei detriti. Della grana in generale abbiamo già parlato; molto uniforme in piccoli intorni, diventa sempre più fine verso Oriente. I granuli sono talora impacchettati piuttosto stret­tamente, con porosità originaria scarsa e di conse­guenza scarsa percentuale di matrice micritica; in questi casi si hanno anche fenomeni di soluzione per pressione con granuli molto appressati e contatti addentellati o concavo-convessi. In altri casi la percentuale dei granuli è molto scarsa rispetto alla micrite, e la calcarenite sembra essere mud sup­ported.

Oltre ai bioclasti sono presenti gli intraclasti, in generale costituiti da micrite identica a quella che fa da matrice e con forma poco regolare, mentre le dimensioni sono sempre conformi a quelle dei bioclasti; i pellets sono estremamente rari e quando si rinvengono sono più che altro aggregati in lumps.

La micrite che imballa i granuli ha una grana molto irregolare; a volte sembra di tipo microcla­stico, in altri punti è più densa, più opaca, con gli elementi molto al di sotto dei 4 micron. Evidente­mente è costituita da due parti: una proveniente dall'abrasione dei granuli (microclastite), l'altra probabilmente autigena, da flocculazione. I fora­miniferi planctonici sono uniformemente distri­buiti nell'uno o nell'altro tipo.

La calcite spatica non compare mai come ce­mento di cavità, ma talora si rinviene prodotta dalla ricristallizzazione, sotto forma di orli sintassiali in­torno ai frammenti monocristallini di echinodermi, oppure in mosaico di ricristallizzazione che ha obli­terato in tutto o in parte le strutture dei granuli e la mi cri te che faceva da matrice; spesso rimane però il fantasma del granulo con il contorno deli­neato da sottili linee opache (fig. 32).

Alla litofacies che abbiamo descritto si alternano piccoli livelli totalmente micritici ricchi in piane­tonici. La variazione fra un tipo e l'altro di sedimen­tazione talora è graduale, talora si presenta come un passaggio molto brusco, ma non siamo riusciti a

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GEOLOGIA DELLA MARSI CA ORIENTALE 247

trovare in sezione sottile, né sul terreno, tracce di gradazione altro che rudimentali, né altri feno­meni che potessero far pensare ad un trasporto per correnti di torbida. La cosa è piuttosto strana in quanto il fango calcareo microcristallino era molto abbondante e quindi avrebbero potuto avere origine mescolanze ad alta densità capaci di traspor­tare detriti anche molto lontano.

Nella parte sommitale della sezione di Valle Cupa la litofacies cambia, le caratteristiche tipicamente detritiche del << Calcare cristallino >> vengono meno e 'ii. !}:Issa ad una facies organogeno-detritica. La va-

FIG. 32 - Formazione del <<Calcare cristallino >> (Cretacico superiore). Calcirudite con ricri­stallizzazione molto spinta. Sia la matrice che i bioclasti sono stati sostituiti dal mosaico di ricristallizzazione; sono ancora riconoscibili i contorni che de­limitano i fantasmi dei granuli. Qualche granulo sporadico è stato risparmiato.

Sezione di Iovana. x 10.

- << Calcare cristallino >> For­mation (Upper Cretaceous). Highly recrystallized calciru­dite. Both the matrix and the bioclasts have been substituted by the recrystallization mosaic: outlined by gray boundaries, << ghosts >> of grains are stili recognizable. Occasionally so­me grain escaped recrystalli­zation.

Iovana section. x 10.

riazione più importante sta nel fatto che qui una grande percentuale di fossili è completamente in­tegra, specialmente i macroforaminiferi. Gli altri caratteri rimangono uguali, ma quello a cui abbiamo accennato indica che la fase di elaborazione dei detriti si è ridotta e siamo quindi molto più vicini alla zona di origine del materiale organogeno.

Ambiente di sedimentazione

Tutta la formazione del << Calcare cristallino >> è da riferire ad un ambiente di scarpata, cioè al pen­dio che collega l'orlo della piattaforma con il ba­cino pelagico. Abbiamo visto che questa facies si sostituisce bruscamente a quella di avanscogliera dei calcari ad ellipsactinie. Questa variazione deve essere interpretata come il risultato di uno sposta-

mento verso Occidente della zona recifale che ha portato la sedimentazione del materiale detritico nel luogo occupato in precedenza dalle scogliere. Lo spostamento è avvenuto circa al limite fra il Barremiano e l' Aptiano.

Al margine opposto della scarpata, verso l'am­biente pelagico, i detriti si andavano a mescolare con le micriti a planctonici dando origine alla facies di transizione. Esaminando l'ambiente di sedimentazione del << Calcare cristallino >>, si pone il problema del luogo di origine dei detriti che costi­tuiscono la roccia. Data la provenienza occidentale

del materiale bioclastico, ad Ovest doveva esistere una zona di scogliera o almeno un'attività organo­gena molto sviluppata. Dall'Albiano in poi i detriti sono costituiti per la maggior parte da frammenti di rudiste mentre sul bordo della piattaforma si tro­vano poche tracce di questi fossili o di altri; dal momento che i bioclasti devono pur venire da Occidente abbiamo concluso che la facies recifale deve essere stata elisa da un accavallamento tet­tonico che si è impostato proprio lungo la linea del cambiamento di facies (vedi capitolo <<problema del raccorciamento >>).

Nella zona del Monte Genzana, in corrispondenza della sezione di Valle Cupa, assistiamo, dal Mae­strichtiano all'Eocene inferiore, ad un cambiamento graduale della sedimentazione; da una facies pe­lagica si passa via via ad ambienti collegati sempre

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248 R. COLACICCHI

pm strettamente con la zona di produzione dei detriti, finché si arriva ad una costa non molto alta ma con mare piuttosto calmo; poco più tardi si avrà l'emersione completa.

FACIES DI TRANSIZIONE

Ad Oriente della linea Profluo - Sagittario il Cretacico medio-superiore ha una facies che risente fortemente dell'influenz:1 dell'ambiente p~lagico

orientale. Qui la serie può essere suddivisa in due termini principali: un livello ad orbitoline e << Scisti a fucoidi >>, ed un secor.do costituito dalla << Scaglia >>.

È già stata pubblicata la sezione ddla Rocca di Chiarano (CoLACICCHI, 1964) per cui rimanderemo a questa per maggiori dettagli, !imitandoci qui ad uno sguardo sintetico ed a notizie su altre zone.

Livello ad orbitoline e marne a fucoidi

Alla Rocca di Chiarano sopra alla << Maio­lica >> riprende il sopravvcnto la facies detritica che continua per un lungo tratto. Entro il mate­riale clastico calcareo però sono continuamente presenti livelli talora sottilissimi, talora relativa­mente spessi, di sedimenti pdagici ricchi di forami­niferi planctonici; sono stati individuati alla Rocca di Chiarano due orizzonti marnosi a fucoidi, un livello argilloso contenente una microfauna albiana, micriti grige a selce nera completamente sterili, ma che dall'aspetto della litofacies sono riferibili ad un ambiente di mare aperto, piccoli livellctti micritici a Planomalina buxtorfi. Tutti questi ele­menti stanno intercalati entro materiale talora finemente stratificato, talora grossolano e massic­cio, e talora infine costituito da ammassi lentiformi di brecce di grosse dimensioni entro le quali si rinvengono fossili a carattere neritico tra cui prin­cipalmente le orbitoline, tanto abbondanti da for­mare faune monogeniche. L'orizzonte ad orbitoline è molto esteso in alttzza tanto che raggiunge i 200 metri. Distribuiti con una certa irregolarità, ma presenti quasi ovunque, livelli selcifcri costituiti da liste, noduli, talora ammassi sferoidali delle di­mensioni di una ventina di centimetri; verso la sommità si incontrano orizzonti con macrofaune a rudiste, nerinee ed esacoralli completamente sili­cizzati; sono particolarmente evidenti perché l'ero­sione asportando il calcare mette in evidenza tutti i caratteri morfologici dei vari fossili.

È stato facile determinare l'età di questi livelli data la grande ricchezza di fauna; al contatto con

la << Maiolica >> sono presenti ellipsactinie, esacoralli e stromatopore, tutti frammentari ed evidente­mente rimaneggiati, provenienti dalla zona oc­cidentale. A questi seguono la Salpingoporella dinarica in una associazione assai ricca di individui, l'Orbitolina lenticularis riferibile al gruppo primo o secondo di HoFKER; il tutto indica chiaramente il passaggio Aptiano-Albiano. Seguono le marne a fucoidi e le argille con microfaune nettamente albiane ( Ticinella roberti, Gyroidina nitida, Gaudryi­nella mendrisiensis, Hedbergella sp., ecc.); più in alto si trova ancora la Salpingoporella dinarica che in questo punto amplia la sua distribuzione fino all'Albiano, a meno di rimamggiamenti, (Co­LACICCHI, 1964 ). Con la Planomalina buxtorfi ce­nomaniana si rinvengono le orbitoline del gruppo terzo e quarto di HoFKER: le macrofaune silicizzate contengono, fra l'altro, la Nerinea olisiponensis e concordano con un'età cenomaniana. Un livello piuttosto singolare è stato rinvenuto sopra le marne a fuco idi e quindi certamente nell'Albiano medio o superiore: si tratta di uno strato mi critico contenente una fauna a tintinnidi, ricca, omogenea e perfettamente conservata, molto simile a quella della zona a Calpionellites darderi della << Maiolica >>.

Spiegare la presenza di tale associazione in questo punto non è semplice: per prima cosa si può esclu­dere che la posizione anomala sia dovuta a feno­meni tcttomc1; i caratteri litostratigrafici dello strato porterc bbero a concludere che si tratta di una sedimcntazione autigena: i tintinnidi sono contenuti entro la pasta della roccia e non vi sono intraclasti per cui, se si tratta di un rimaneggia­mento, i fossili devono essere stati isolati singolar­mente e trasportati; la cosa sembra alquanto in­verosimile dato il loro stato di conservnzione e sopr~ttutto considerando che la zona di sedimen­tazione è riferibile alla parte media o bassa della scarpata. Qui in genere il rimaneggiamento è le­gato a frane di detriti provenienti dal bordo della piattaforma e quindi da Ovest; ora da quanto sap­piamo, ed abbiamo esposto, affioramenti di << Maio­lica >> anche submarini ad Occidente della Rocca di Chiarano, non ci sarebbero dovuti essere durante l'Albiano, cd è da p~nsare che i tintinnidi isolati entro una frana di detrito sarebbero dovuti essere eliminati ben presto. D'altra parte la possibilità che le specie menzionate possano essere sopra­vissute fino all'Albiano superiore viene esclusa da numerosi micropalcontologi di cui è stato richiesto il parere, il problema si interna quindi in un vicolo cieco da cui è difficile uscire.

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GEOLOGIA DELLA MARSJCA ORIENTALE 249

L'unica ipotesi che siamo riusciti a formulare è che in un punto, situato fra la Rocca di Chiarano ed il Monte Godi, sia stato portato allo scoperto sul fondo marino, durante l'Albiano, un affiora­mento di << Maiolica >> con la micrite non ancora consolidata, questa sarebbe stata erosa ed avrebbe dato origine ad una torbida che teneva in sospen­sione i tintinni di; la torbida sarebbe scorsa lungo la scarpata fino alla zona corrispondente alla Rocca di Chiarano e si sarebbe qui depositata ricostruendo, per così dire, lo strato originario e simulandone la "LVItfrrm:1tà che sul terreno si osserva. Ci rendiamo conto che questa ricostruzione è alquanto artificiosa, ma dopo aver ripreso in esame svariate volte il livello in oggetto non abbiamo potuto ricavare altri

FIG. 33 - << Scisti a fucoidi >>

sulla strada che unisce Frattura con il Piano delle Cinque Mi­gli:1. Livelli marnosi con Chon­drites associati alle brecce ed agli orizzonti silicizzati. Da questi livelli provengono micro­faune albiane.

x 1/2 circa.

- << Scisti a Fucoidi >> along the road from Frattura to Piano delle Cinque Miglia. Marly levels with Chondrites associateci to the breccias and the silicized levels. These beds bave yelded Albian microfaunas.

x 1/2 about.

dati che ci mettessero in grado di dare una migliore spiegazione, e d'altra parte da vari Autori sono stati segnalati fenomeni di rimaneggiamento di tintin­nidi, isolati per mancata consolidazione o disfa ci­mento del fango calcareo che li inglobava (LEH­MANN 1964). Anche nelle nostre serie del resto si rinvengono calpionelle nel << Calcare cristallino >>

associate a rotalipore o globotruncane; in questi casi il rimaneggiamento è chiaro, quello che scon­certa alla Rocca di Chiarano è lo strato micritico, in tutto simile alla << Maiolica >>, continuo lateral­mente e con fauna unitaria: ad ogni modo mi sem­bra che sia giocoforza accettare il rimaneggiamento.

La continuità della sedimentazione di questa sezione è stata già discussa ( COLACICCHI, 1964) e si è concluso affermativamente; non esiste alcuna prova che ci siano lacune di sedimentazione, mentre le varie associazioni neritiche e pelagiche sono con-

formi, ben correlate fra di loro e, nonostante i fe­nomeni di rimaneggiamento, esiste sempre una successione regolare.

Se ci si sposta verso Nord nella zona del Monte Genzana le caratteristiche della serie barremiano­cenomaniana cambiano leggermente: in generale mentre si riduce lo spessore e diminuiscono le in­tercalazioni detritiche, aumentano la componente argillosa e gli strati di marne con fucoidi (fig. 33). È qui impossibile trovare una sezione ben esposta studiabile in dettaglio, proprio a causa della compo­nente argillosa che crea sui versanti dei ripiani con detriti o vegetazione, per cui la successione è stata ricostruita da affioramenti parziali situati quasi tutti sulla dorsale del Monte Genzana. Subito a

contatto con la << Maiolica >> si rinviene un banco di qualche metro di calcare detritico con frammenti di idrozoi, esacoralli ed altre forme neritiche, evi­dentemente equivalente al livello n. 8 della Rocca di Chiarano. A questo succede una facies spesso argillosa con intercalazioni di marne contenenti fuco­idi, microfaune simili a quelle citate per la sezione di Chiarano e rare orbitoline. Questo livello è im­permeabile e dà luogo ad una serie di sorgenti che punteggiano il versante orientale del Monte Genzana, dalla zona di Toppe Vurgo fino a NE di Monte Rognone; per cui gli affioramenti princi­pali si hanno sempre in vicinanza di queste sorgenti.

Lungo il taglio della nuova strada che collega Frattura con il Piano delle Cinque Miglia, è visi­bile il termine successivo costituito da qualche me­tro di marnomicriti a selce nera seguite da brecce a cemento calcareo-marnoso; queste contengono

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250 R. COLACICCHI

una grande quantità di orbitoline e formano un orizzonte di spessore molto variabile ma lateral­mente continuo. Al tetto di questo banco si ritro­vano livelli silicizzati come nella sezione di Chia­rano, ma qui il fenomeno è più esteso e continuo lateralmente, con una silicizzazione assai spinta. Sono sempre presenti rudiste, nerinee, coralli ma è anche molto frequente la silicizzazione delle or­bitoline che risultano particolarmente evidenti. Al di sopra di questi livelli silicizzati si passa rapida­mente alla << Scaglia>>.

Come si è accennato nella introduzione, in questa zona più settentrionale la serie aptiano-cenomaniana si presenta con caratteristiche più pelagiche; è evidente soprattutto l'aumento della componente argillosa nel sedimento, che dà origine a sorgenti e ripiani morfologici mentre a Chiarano si trat­tava di livelli di pochi centimetri.

Litofacies - Le litofacies di questi orizzonti con caratteri in parte pelagici, in parte costieri, sono piuttosto complesse o meglio sono costituite da tanti tipi separati che è difficile riunire in schemi comuni. Un unico carattere, comune a tutta la por­zione di serie che abbiamo descritto, é la premi­nenza della matrice micritica anche nelle parti più grossolane. I livelli più decisamente pelagici sono tutti costituiti dalla calcite microcristallina che per la sua grana superiore ai 4 micron va con­siderata microclastite. In queste facies sono talora visibili degli orizzonti a pellets, molto minuti, che probabilmente sono legati con gli episodi detritici in quanto sono più frequenti in vicinanza di essi. Facies a pellets sono frequenti negli strati detritici di grana media o fine, anzi in questi si può dire che tutta la matrice sia costituita da pellets minu­tissimi che sfumano in una micrite omogenea.

I granuli sono costituiti oltre che da pellets, da bioclasti ed intraclasti. I bioclasti presentano una gradazione da dimensioni notevoli, buon arroton­damento e struttura riconoscibile, verso facies fini, estremamente usurate in cui non è possibile pre­cisare l'origine. Gli intraclasti sono meno frequenti ed in genere provengono dallo stesso bacino di sedimentazione, spesso sono deformati dal contatto con un bioclasto o si adattano reciprocamente fra loro dimostrando di essere stati strappati in stato di incompleta consolidazione. In qualche caso i banchi detritici mostrano una rudimentale grada­zione e terminano in alto con facies pellettifere ; non sono stati rinvenuti però strati che si potes­sero considerare sedimentati da correnti di torbida.

Le facies a grosse brecce con la loro disposizione lenticolare dànno chiaramente l'idea di uno scivo­lamento caotico di materiale molto grossolano lungo la scarpata sottomarina. I livelli silicizzati superiori mostrano che la sostituzione in silice non è completa ed omogenea in tutto lo strato, ma predilige selettivamente i gusci dei fossili che per questa ragione diventano particolarmente evidenti sulla roccia sottoposta agli agenti atmosferici; la sostituzione ha conservato le strutture estew&. ;s,

modo perfetto, ma non altrettanto si può dire per le parti interne. Nelle cavità dei gusci delle rudiste e delle nerinee si trovano spesso cristalli di quarzo con habitus cristallino tipico (prisma pseudoesago­nale con piramide), mentre in alcune orbitoline sezionate risulta che la struttura è completamente scomparsa. Questo fenomeno così imponente di silicizzazione può essere messo in relazione da un lato con la facies del bacino umbro-marchigiano, in cui talora gli << Scisti a fucoidi >> sono costituiti quasi totalmente da strati selciosi, e dall'altro con la zona a Sud del Sangro, nella parte meridionale della Meta, dove è presente una successione di diaspri che parte dall' Aptiano e raggiunge il Turoniano.

La Scaglia

La facies di Scaglia segue direttamente i livelli silicizzati cenomaniani, il passaggio è sfumato, la sostituzione della sedimentazione avviene gra­dualmente per alternanze in cui la micrite aumenta di spessore e di frequenza; alcune sottili intercala­zioni di << Scaglia >> si rinvengono anche sotto i li­velli silicizzati. Non è il caso di dilungarsi su que­sta facies sia perché è assai conosciuta nella zona umbro-marchigiana, sia perché è stata già illustrata nella sezione della Rocca di Chiarano, sia infine perché il suo aspetto e la sua litologia sono estre­mamente simili a quelli della sottostante << maiolica >>. Basterà qui ricordare che si possono individuare due zone: una a Rotalipora, caratterizzata dall' ap­penninica e G. helvetica, e una seconda con Globo­truncana del gruppo !apparenti. L'età della << Sca­glia >> è da attribuire in basso al Cenomaniano e alla sommità essa, nella zona della Rocca di Chia­rano, si arresta al Coniaciano in quanto è coperta dalla trasgressione miocenica, mentre a Monte Genzana, sopra alla << Scaglia>> senoniana, s1 nn­viene il << Calcare cristallino >> che giunge fino al termine del Cretacico (come abbiamo già detto in altra parte).

Lo spessore della << Scaglia >> è di una trentina di metri a Chiarano, mentre aumenta leggermente nella zona di Monte Genzana.

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GEOLOGIA DELLA MARSICA ORIENTALE 251

Ambiente di sedimentazione

Come nei casi visti in precedenza l'ambiente di deposizione dei livelli ad orbitoline e << Scisti a fucoici >> e della << Scaglia >> deve riportarsi alla parte bassa o media della scarpata: nei livelli inferiori, dal Barremiano-Aptiano fino al Ceno­maniano l'ambiente risulta molto variabile, men­tre dal Ccnomaniano superiore alla fine del Tu­roniano si ha uno stabilizzarsi delle condizioni am'o'rentaìi in corrispondenza della sedimentazione della << Scaglia >>.

Con tutta probabilità la parte inferiore corri­sponde ad uno spostamento verso Oriente dell'orlo della piattaforma e delle sue facies neritiche. Il grosso banco di 30 metri di spessore con cui ha inizio il Cretacico medio, è certamente sedimentato piuttosto vicino alla zona di provenienza del ma­teriale. Al tetto del grosso banco si rinvengono degli strati a carattere lagunare finemente fogliettati ed assolutamente sterili per cui si conferma l'ipotesi che deve esserci stata una variazione assai rapida rispetto alla sottostante << Maiolica >>. Anche gli strati argillosi c quelli marnosi a fucoidi sono in­tercalati in mezzo ad orizzonti brecciati e quindi indicano periodi di stasi nell'apporto detritico, ma sono brevi momenti dopo di che riprendono le frane del materiale detritico. Un altro periodo di pausa è rappresentato dall'orizzonte a selci nere che per una ventina di metri di spessore indica un ambiente assolutamente calmo, con sedimentazione di micrite pura e di selce con giacitura primaria. Anche questo è un episodio breve e dovuto forse al costituirsi di una zona riparata dalle onde e dalle correnti, infatti esso non è continuo in tutta la regione e rappresenta quindi condizioni ambien­tali locali. A cavallo di questo episodio a bassa energia ambientale, si hanno tra l'altro i livelli brecciati che derivano da frane, o colate caotiche di materiali detritici lungo la scarpata, spinti dalle onde o da improvvisi movimenti tettonici. Questi detriti non hanno la possibilità di espandersi in quanto non si formano torbide e quindi dànno origine ad ammassi lenticolari, caotici, lateralmente discontinui.

Confrontando la zona della Rocca di Chiarano con quella di Monte Genzana si vede chiaramente una variazione ambientale in senso pelagico verso N or d; evidentemente l'orlo della piattaforma era spostato più ad Occidente e la zona in esame era dominata dalle influenze pelagiche. Anche qui naturalmente arrivano le brecce, ma formano strati meno spessi e non sono così lenticolari e caotiche

Frc. 34 - Prato Piano: sulla strada Villetta Barrea -Scanno. Affioramento di « Scaglia >> turoniapo-coniaciana sul versante destro del torrente Proftuo. E evidente la fitta stratificazione, carattere tipico della formazione. Nella parte alta la << Scaglia >> è coperta dalle marne ad

orbuline dell'Elveziano.

- Prato Piano: along the road from Villetta Barrea to Scanno. An outcrop of Turonian-Coniacian << Scaglia >> on the right slope of Proftuo stream. It is evident the thin bedding, typical of this formation. In the upper part the << Scaglia >> is covered by the Orbulina marls

of Elvezian age.

come a Chiarano. Particolare attenzione destano i livelli a macrofaune silicizzate: data la perfetta conservazione degli esemplari si può escludere che provengano da molto lontano; quindi al tetto dei livelli ad orbitoline, prima della fase di << Scaglia >>,

si è avuto un vero e proprio ambiente neritico con crescita di organismi coloniali quali i coralli, asso­ciati a molluschi ed altre forme. Se ne deduce una progressiva avanzata verso Est del bordo della scarpata che avviene con sussulti improvvisi se­guiti da momenti di stasi e che culmina quando la facies di avanscogliera del Cenomaniano oltrepassa la linea del Profluo-Sagittario, spostandosi in cor­rispondenza della Rocca di Chiarano. Tutto questo corrisponde con il periodo in cui sulla piattaforma si ha una generale emersione relativa alle bauxiti

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252 R. COLACICCHI

ed al Marsicana si riscontrano lacune nella serie; le correlazioni sono quindi piuttosto soddisfacenti.

Con la facies della << Scaglia >> si ritorna ad un ambiente calmo, ad energia molto bassa, interrotto di tanto in tanto dall'arrivo di materiali detritici; si potrebbe dire un ambiente più profondo, al di sotto del livello di base delle onde, salvo i casi di forti tempeste che si possono ritenere respon­.sabjJj ddJe intercalazioni ruditico-arenitiche calcaree. Dopo la deposizione della << Scaglia >> l'ambiente evolve ancora in senso costiero con la sedimenta­zione del << Calcare cristallino >>; anche in questo caso la sostituzione è graduale.

Da notare che la facies del << Calcare cristallino >> si rinviene al Monte Genzana mentre più a sud (Prato Piano) (fig. 34) la <<Scaglia>> è coperta in trasgressione dal Miocene marnoso. Non si sa se l'emersione sia avvenuta nel Maestrichtiano stesso oppure se l'erosione pre-miocenica abbia eliminato complet?tmente il << Calcare cristallino >>, ma dato

che in tutta la zona al Maestrichtiano corrisponde un periodo di trasgressione sembra più accettabile la seconda ipotesi.

Le notevoli variazioni ambientali caratteristiche della facies di transizione dipendono dal fatto che la regione risulta estremamente sensibile a tutti quei fenomeni che in altri ambienti produrrebbero mutamenti di entità trascurabile; le cause fonda­mentali di questo comportamento sono due:

l) variazione della velocità di subsidenza che poteva produrre in breve tempo l'avanzata o il ritiro della facies neri ti ca;

2) movimenti tettonici che durante questo pe­riodo cominciavano a farsi sentire, e che dovevano avere una ripercussione diretta sull'ambiente che stiamo esaminando.

Naturalmente l'interazione delle due cause com­plica le cose, per cui non è possibile isolare gli effetti dell'una da quelli dell'altra.

PALEOGENE

Per i sedimenti posteriori al Maestrichtiano la suddivisione areale in tre facies che abbiamo adot­tato fino ad ora non può più essere seguita: i ter­reni paleogenici infatti hanno una distribuzione estremamente frammentaria con facies variabili anche in affioramenti vicinissimi, quindi non sono riconducibili ad uno schema unitario generale c la descrizione sarà necessariamente meno organica, più episodica.

Per prima cosa occorre notare che il Paleogene è completamente assente nell'area occidentale, oltre la linea alto Sangro - Giovenco; quella zona do­veva essere emersa per tutto questo periodo. Se­dimenti paleogenici si rinvengono in corrispondenza della facies di scarpata e di transizione del Meso­zoico superiore. La fascia bordiera, che dal Lias in poi ha mostrato una tendenza generale all'ab­bassamento, ha conservato questo carattere anche dopo il Cretacico, permettendo così una sedimenta­zwne, benchè frammentaria, dei termini paleo­gemcl marini.

IL PALEOCENE

Gli affioramenti riferibili a questo periodo sono scarsissimi ed hanno facies diverse da luogo a luogo. Sulla dorsale del Monte Marsicana, in Valle Orsara, nei pressi di Scanno ed alla Montagna di

Preccia, il Paleocene segue in continuità di sedi­mentazione sul <<Calcare cristallino>>. Le caratte­ristiche litologiche rimangono immutate; prevalgono i bioclasti, costituiti per la maggior parte da fram­menti di rudiste; nei punti ove la componente detritica diventa più sottile, e più abbondante in percentuale la micrite, sono state rinvenute le prime globorotalie (del gruppo compressa-ehrem­bergi), che ci hanno permesso di constatare la pre­senza del Paleocene; talora si incontrano facies organogene a coralli entro il materiale detritico (fig. 35). In tutti questi affioramenti i termini paleocenici hanno potenza minima (qualche me­tro) e sono coperti dalla trasgressione delle marne ad orbuline.

Sulla Montagna di Godi il Paleocene è estrema­mente difficile da localizzare; siamo riusciti a rin­venire esemplari di Ethelia alba associata a Glo­borotalia gr. compressa-ehrembergi in alcuni campioni isolati provenienti dai dintorni dello Stazzo di Godi e dalla Montagnola, ma non è possibile precisare l'estensione delle rocce appartenenti alla base del Cenozoico. Questa situazione è spiegabile, perché lungo la Montagna di Godi si sono avute ripetute emersioni, sia durante il Mesozoico, sia più tardi; in particolare la trasgressione maestrichtiana è stata seguita da una trasgressione paleocenica, da una eocenica ed infine da quella delle marne ad

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GEOLOGIA DELLA MARSICA ORIENTALE 253

orbuline. Ogni trasgressione ha rimaneggiato parte dei materiali della precedente e, almeno per le prime tre, ha deposto sedimenti dello stesso tipo. È estremamente difficile quindi riuscire a seguire la distribuzione areale dei terreni di ciascun periodo; o meglio, per ottenere qualche risultato positivo in questo senso, è necessario un rilievo di estremo dettaglio (complicato dalla morfologia a doline presente sulla dorsale, e dalla poca esat­tezza delle carte topografiche ), ed uno studio che

Frc. 35 - Paleocene in facies detritico-organogena. Sono evi­denti alcuni coralli entro la facies detritica a bioclasti im­mersi nella matrice mi critica; questa facies segue in conti­nuità di sedimcntazionc il << Cal­care cristallino >> cd in parte ne conserva l'aspetto litologico.

Valle Orsara. x 20.

Skelctal detrital facies of Paleocene. Some Corals are evident among the detrital facies with bioclasts, containcd in a micrite matrix. These levels overlie in conformity the << Cal­care cristallino >> and partly re­tain i ts facies.

Orsara Valley. x 20.

si prevede enormemente lungo e che francamente ci è apparso inutile affrontare.

Al Colle di Sant'Egidio, nei pressi del Lago di Scanno, il Paleocene ha una facies organogena co­stituita da calcare bianco, non stratificato, con una ricca microfacies ad alghe calcaree fra cui Ethelia alba (PFENDER), Solenomeris o'gormani DOUVILLÉ, Parachetetes sp., Microcodium sp., Karreria sp., Archaeolithothamnium sp.; vi si associano piccole discocicline, coralli coloniali, alveoline primitive, il tutto cementato da calcite spatica con residui di matrice micritica nelle cavità interne dei fossili o inserita in mezzo ai granuli di dimensioni minori. Questa facies è probabilmente trasgressiva sul << Calcare cristallino >>, ha uno spessore di qualche

metro ed è coperta dalle marne a planctonici della trasgressione elveziana.

Rocce paleoceniche con la stessa giacitura si rinvengono in piccolissimi affioramenti alla Monta­gna di Preccia ed in Valle Orsara, vicino a quelli già citati. Anche a Monte Godi, come abbiamo detto, il Paleoccne ha una facies che si avvicina molto a quella di Sant'Egidio per la presenza delle alghe calcaree.

Sul bordo nord-orientale del Fucino, nei pressi

di Venere, sopra i calcari maestrichtiani, affiorano pochi metri di micriti fittamente stratificate, con noduli di selce, in tutto simili alla << Scaglia >>; queste contengono una microfauna planctonica in cui sono state rinvenute globotruncane rimaneggiate e glo­borotalie nettamente paleoceniche. Sopra questi strati pelagici sono presenti, con un passaggio rapido, ma con tutta probabilità continuo, calcari ad alveoline di facies costiera associati a discoci­cline e nummuliti. Fra le forme determinate (8) vi sono: Alveolina ( Glomalveolina) pilula HOTTIN­GER, A. lepidula (scHWAGER), A. minutula REICHEL, A. aramaea HOTTINGER, A. pasticillata SCHWAGER,

(8) La determinazione è dovuta al dott. G. DEVOTO.

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FIG. 36 - Ah·eolina mouHmdensis REI<:ITEL associata a S'olcno/1/cris sp. Lin·lli palcoccnici ad alveolinc sovrastanti

alle micriti a globorotalic. Venere. x 10.

- AJvcolina Jl/01!s.wulensis HEICHEL associateli with Sole­nomeris sp. Palcoccnic levels with Ah-eolina ovcrlying

the micrites with Globorotalia. Vcncrc. x 10.

FrG. 37 - Ranilwthalia sp. nei calcari ad alveoline paleocenici. Questo genere non era mai stato segnalato nel Paleocene italiano. La litofacies è costi­tuita da una biosparite ad alveoline ed altri foraminiferi; la calcite cristallina mostra chia­re caratteristiche di cemento di cavità.

Venere. x 12.

- Ranikothalia sp. in the paleo­cenic limestones with Ah•eolina. This genus had never been mentioned previously in the italian Paleocene. The litho­facies consists in a biosparite with Alveolina or other forams; the crystalline calci te shows clear characters of drusy mosaic.

Venere. x 12.

A. cfr leupoldi HOTTINGER, A. moussoulensis HOTTIN­

GER (fig. 36); a queste si associano: Ranikotalia sp. (fig. 37), Orbitolites sp., Solenomeris o'gormani DOUVILLÉ, litotamni ed altre alghe. L'associazione delle alveoline, indica una età che non supera l'Ilerdiano.

L'affioramento di Venere è particolarmente in­teressante sia per l'episodio nettamente pelagico inserito alla base del Paleocene sopra il << Calcare cristallino >>, sia perché la serie continua verso l'alto con alveoline eoceniche in apparente conti­nuità di sedimentazione; è questo quindi uno dei pochi casi in cui il Paleocene è presente in tutto il suo spessore, che nel complesso si aggira sulla decina di metri.

Al Monte Genzana (sezione di Valle Cupa), al <<Calcare cristallino>> fa seguito un'alternanza di livelli micritici ed orizzonti detritici, con prevalenza di questi ultimi. La facies è identica a quella del sottostante << Cristallino >> ed è difficilissimo stabi­lire il punto in cui comincia il Paleocene; la fauna infatti è estremamente rimaneggiata fin dal Cre­tacico; vi si rinvengono rotalipore, globotruncane turoniane insieme agli orbitoidi e talora alle disco­cicline e nummuliti. Abbiamo scelto come elemento indicativo la comparsa delle prime globorotalie, delle piccole discocicline e di alcune daviesine che sono forme paleoceniche (fig. 38). Si rinvengono inoltre Laffitteina marsicana FARINACCI e vari fram­menti di alghe calcaree (le stesse che abbiamo visto negli affioramenti situati più a Sud). Il complesso

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di strati attribuibili al Paleocene ha uno spessore di una quarantina di metri, ma la serie è enorme­mente dilatata dall'accumulo di materiale detri­tico rimaneggiato. Questo fenomeno, che abbiamo già notato a proposito del Mesozoico nella facies di transizione, fa aumentare lo spessore dei sedi­menti anche di varie volte rispetto a quello spet­tante alla sedimentazione autigena. La serie sembra essere continua, ma l'affermazione si basa più che altro sulle caratteristiche ambientali di sedimenta-

FIG. 38 - Versante orientale del Monte Genzana. BiOJnicrite a Discocyclina, nummuliti e fora­miniferi planctonici; in corri­spondenza della freccia Globu­rotalia cf. aequa CUSH. & BERM. L'età è paleocenica. Sezione di Valle Cupa. x 16.

- Eastern side of Monte Gcn­zana. Biomicrite with Disco­cyclina, Nummulites and planc­tonic forams (Paleocene). The arrow indicates a Globorotalia cf. aequa CUSH. & BERM.

Valle Cupa section. x 16.

zwne, dato che i frequentissimi rimaneggiamenti impediscono di avere un quadro chiaro della bio­stratigrafia.

Caratteri della litofacies

Secondo i caratteri della litofacies si possono distinguere tre tipi litologici fondamentali, legati ai tre tipi di giacitura. Ove il Paleocene è in conti­nuità di sedimentazione sul << Calcare cristallino >>,

esso conserva la litofacies caratteristica del sedi­mento sottostante, si hanno solo variazioni granu­lometriche ed in genere si tratta di sedimenti più fini passanti talora a calcisiltiti; in questo caso gli elementi sono molto arrotondati ed affatto irrico­noscibili. Le caratteristiche di questa parte sono identiche a quelle del << Calcare cristallino >> quindi si rimanda ad esso per la descrizione in particolare.

Gli episodi trasgressivi mostrano invece una componente organogena molto abbondante, ben conservata, con forme riconoscibili ed in complesso un'elaborazione appena accennata; il sorting è as­sai scarso ed il cemento è costituito da calcite spa­tica sotto forma di frange periferiche, o depositata negli spazi più grandi in forma di mosaico di ca­vità.

Sono frequenti tracce di ricristallizzazione nei gusci, la cui struttura viene sostituita da mosaico

dovuto ad accrescimento; fenomeni di questo ge­nere si verificano soltanto nei gusci costituiti da prismi calcitici (molluschi), mentre non si hanno mai nei gusci microcristallini (alveoline).

La litofacies delle zone in cui il Paleocene si è deposto in ambiente pressoché pelagico ripete per­fettamente quella del Cretacico superiore su cm sta in continuità di sedimentazione.

Ambiente di sedimentazione

La sedimentazione paleocenica è inquadrabile per la maggior parte in un ambiente di mare sottile in aperta comunicazione con un ambiente pelagico; infatti, esclusi i sedimenti riferibili proprio ad una scogliera, in tutte le altre facies, anche se spicca­tamente detritiche, vi sono sempre i foraminiferi planctonici; inoltre, data l'abbondanza della mi-

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cri te che funge da legante, è da ritenere che l'energia dell'ambiente fosse piuttosto scarsa. Possiamo quindi localizzare questi sedimenti su di un fondale basso e particolarmente riparato dall'urto di onde e cor­renti, che conservava però ampie comunicazioni con il mare aperto.

Per i depositi rinvenuti al Monte Genzana siamo su un fondale alimentato da detriti provenienti dai quadranti sud-occidentali e con sedimentazione autigena data da micrite a planctonici: possiamo quindi localizzare il deposito nella parte media della scarpata.

Le facies organogene mostrano invece un'energia d'ambiente piuttosto elevata, ed appartengono quindi a zone con fondali bassi direttamente soggette al­l'azione delle onde e delle correnti. Dati i rapporti spaziali che intercorrono tra queste facies e quelle che prolungano la sedimentazione del << Calcare cristallino >>, è da ritenere che i bassi-fondi organo­geni costituissero delle piccole dorsali rilevate, che probabilmente fungevano da barriera e permet­tevano la sedimentazione della micrite entro i materiali detritici.

EOCENE

L'Eocene è trasgressivo e compare solo con i termini medio-superiori, escluso al Monte Gen­zana in cui segue in continuità al Maestrichtiano ed è limitato alla parte basale; le facies sono variabili e gli affioramenti estremamente frammentari. Esso è del tutto assente nella regione occidentale e com­pare principalmente intorno alla linea del Profluo -Sagittario. Neanche qui però si ha una continuità completa e gli affioramenti meridionali, che giun­gono fino alla Valle Orsara e a Monte Mattone, sono separati da quelli settentrionali (o almeno di­scontinui rispetto ad essi), che da Anversa degli Abruzzi si arrestano nei pressi di Villalago.

Una delle sezioni più indicative è quella di Opi (PIERONI 1965): qui, sopra una superficie erosa costituita dal calcare ad orbitoidi maestrichtiani, giace un conglomerato a ciottoli calcarei arroton­dati che costituisce la base della trasgressione. Segue una serie, spessa circa 15 metri, di calcari sottilmente stratificati con matrice m1cnt1ca e macroforaminiferi molto abbondanti; le forme più significative sono la Chapmanina gassinensis SIL­VESTRI e la Globorotalia centralis CUSHMAN & BERM., associate a numerose alveoline e nummu­liti; vi sono anche naturalmente foraminiferi rima­neggiati provenienti dal sottostante calcare mae­strichtiano. L'associazione paleontologica è rife-

ribile all'Eocene superiore e, dato lo spessore esi­guo e le caratteristiche della facies, si esclude che altri termini possano esserci sfuggiti. Verso l'alto il ciclo eocenico è chiuso dalla trasgressione cattiana.

Al Monte Mattone l'Eocene ha una facies pre­valentemente conglomeratica e poggia in discor­danza sul sottostante Mesozoico (gli affioramenti di Paleocene non sono stratificati e sono troppo esigui e frammentari per stabilire se siano o no in concordanza). Si verifica anche qu\ \';i,t\'.n\m'èl\te quello che avveniva per il Maestrichtiano; l'Eocene poggia su termini vari che vanno dalle dolomie infraliassiche al Paleocene. Al limite con le dolomie si riscontra spesso un potente crostone mangane­sifero.

L'esposizione migliore della serie eoceni ca si ha sul fianco meridionale del Monte Mattone (fig. 39); qui si alternano, in maniera assai irrego­lare, conglomerati e strati calciruditici a macrofo­raminiferi. I due termini sono fittamente intercalati: nel secondo prevalgono le alveoline, e sono presenti (ma di secondaria importanza) le nummuliti. I conglomerati sono poligenici, costituiti da tutti i tipi di roccia affioranti lungo la dorsale del Monte Mattone; entro la parte fine che forma il cemento, si rinvengono assai spesso alveoline e nummuliti. Questi livelli conglomeratici sono lentiformi, ta­lora terminano bruscamente e vengono sostituiti dalle calcareniti ad alveoline.

Sul fianco del M. Mattone l'Eocene immerge ad Ovest di una trentina di gradi; e la maggior parte di questa inclinazione dovrebbe essere originaria e dovuta a stratificazione di sponda; lo spessore è molto variabile, anche perché l'Eocene, coperto dalla trasgressione miocenica, ha subito un'erosione di entità non valutabile. Sulla vetta del Monte Mattone si riduce a pochi metri, sul fianco può raggiungere anche i 150, ma non è facile stabilirlo perché poggia su una superficie molto irregolare. Il grosso banco conglomeratico che spicca sul fianco del Monte Mattone in località Pietre Rosse è costituito tutto dalla breccia eocenica, sormontata da calcari ad alveoline.

Poco più a Sud, sul lato sud-occidentale delle alture di Colle S. Maria, Colle Santo Ianni, Rocca Tre Monti e Colle della Difesa (che formano la terminazione meridionale della struttura del Godi a Sud del Sangro), l'Eocene perde gran parte del suo carattere conglomeratico, ed è costituito da cal­ciruditi ad alveoline e nummuliti in tutto simili a quelle intercalate sul fianco del Monte Mattone. Mancando i conglomerati, lo spessore qui è molto più esiguo e si aggira sulla decina di metri.

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FIG. 39 - Versante meridionale del Monte Mattone, visto dal Colle S. }anni. Brecce eoceniche e calcari ad alveoline soprastanti ad alcuni lembi di Maestrichtiano e Paleocene, a loro volta trasgressivi sulle dolomie infraliassiche. Si notano residui di calcari liassici risparmiati dall'erosione. D- Dolomie in!raliassiche. L- Calcari a Palaeodasycladus (Lias). BMP- Brecce maestrichtiano-paleocemche trasgressive sulle suddette dolomie. BE-

Brecce eoceniche. CA- Calcareniti medioeoceniche con Alveolina. '1t l

Southern side of Monte Mattone, viewed from Colle S. }anni. Eocene breccia~ and Ah;eolina limestones overlying slabs of Maestrichti~m and Paleocene, which are in turn tramgrtSsive aver the dolcmites. It is possible to ~ee some small residue of Liassic lirr<stcr:Es spartd ty nosicn. D- Infraliassic dolomltes. L- Lias Palaeodasycladus limestones. BMP- lV1aestrichtian-Paleocene brecc~as transgressive over the above mentioned dolomites. BE- Eocenic breccias. CA- M1ddle Eocene Alveolina calcarenites.

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I sedimenti eocenici della Montagna di Godi sono molto estesi; essi coprono tutto il lato occi­dentale della struttura, sul franapoggio, fino alla zona dei Codacchi e, rialzati dalla faglia della Val Rapino, coprono la cresta sommitale del Colle Ferraio, trasgressivi in questo caso su terreni giu­rassiCI.

In Valle Orsara un piccolissimo lembetto di Eocene è conservato trasgressivo sul Paleocene: l'affioramento è costituito da calcari micritici rosei,

tità di materiali, ed è presumibile che il bacino fosse chiuso verso Nord e senza comunicazione con quello di Anversa, dato che tutta la zona cen­trale manca di sedimenti eocenici.

Nella zona settentrionale l'Eocene è ben visibile nei pressi di Anversa degli Abruzzi ed a Castro­valva, sul fronte della struttura Marsicana - Ter­ratta - Miglio. Ad Anversa l'Eocene a nummuliti e discocicline sta trasgressivo sul << Calcare cristal­lino )) paleocenico e probabilmente si tratta di un

FIG. 40 - Alveolina levantina HOTTINGER (Eocene inferiore, Cuisiano). Oltre all'individuo grande (microsferico), sono presenti due individui megasferici (in alto, disposti verticalmente). La litofacies è costituita da una biomicrite con una

certa percentuale di materiale detritico arenitico. Venere. x 7,5.

- Alveolina levantina HOTTINGER (Lower Eocene, Cuisian). Beside the large specimen (microspheric), some megas­pheric ones are present (in the upper part of the picture, vertically disposed). The lithofacies consists in a biomicrite

with some sandy detrital materia!. Venere. x 7,5.

con numerose forme planctoniche tra cui la Glo­borotalia centralis cusH & BERM., Antkenina ala­bamensis CUSHMAN e Globigerina venezuelana HED­

BERG, associate a piccole discocicline e rare num­muliti.

Questi affioramenti eocenici, della parte meridio­nale della zona studiata, continuano verso Sud oltre la linea del Sangro e sono in collegamento con quelli molto più estesi presenti sui Monti della Meta e nella zona orientale del bacino di Cassino. Evidentemente la zona di Monte Mattone rappre­sentava una costa, da cui si scaricava una forte quan-

Eocene medio, data la presenza di grandi nummu­liti. La stessa giacitura si ha a Castrovalva, alla sommità del Vallone di Serra Stucco ed a Colle Martino. Questo ultimo è l'affioramento più me­ridionale del bacino di Anversa, dopo di ché si passa a quelli della zona Sud (Valle Orsara e Monte Mattone).

La facies settentrionale non è mai conglomeratica, ma sempre calciruditica o calcarenitica con macra­foraminiferi molto abbondanti; qui non è possi­bile individuare la linea di costa, come avevamo fatto a Sud per il Monte Mattone, anzi dalla gia-

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FIG. 41- Trasgressione eoceni­ca: calcareniti ad alveoline pog­gianti su mi cri ti dell' Aptiano­Albiano. Da notare la superficie del calcare cretacico elaborata dall'erosione e le sottili inter­calazioni di materiale verdastro fine, che segnano la trasgressione.

Venere. x 2.

- Eoceni c transgression: calca­renites with Alveolina overlying micrites of Aptian-Albian age. Note the weathered surface of Cretaceous limestone, and at the contact, the thin beds of fine greenish materia!, which indicates the transgression.

Venere. x 2.

citura si vede bene che la discontinuità fra gli affioramenti di Castrovalva, Serra Stucco e Colle Martino è dovuta all'erosione pre-miocenica, in quanto i calcari a nummuliti sono conservati entro delle sacche lungo il contatto fra il << Calcare cristallino >> e le marne mioceniche; è quindi impossibile delimitare il bacino.

A questo stesso gruppo di affioramenti si deve collegare l'Eocene che affiora nei dintorni di V e­nere; qui, in apparente continuità di sedimenta­zione sul Paleocene, segue il calcare ad alveoline che contiene l' Alveolina le~1antina HOTTINGER rife­ribile al Cuisiano (fig. 40).

L'affioramento di Venere è importante per la particolare giacitura, che ricorda quella di Monte Mattone molto più in piccolo, cd è quindi più facilmente comprensibile. Su una sponda costi­tuita da calcare del Cretacico medio (Barremiano -Aptiano ), che formava probabilmente una falesia diretta NNE-SSW, si sono appoggiati terreni del Cretacico superiore, Paleocene ed Eocene, e poi, probabilmente, anche Oligocene e Miocene m continuità di sedimentazione l'uno sull'altro. Il pendio morfologico seziona l'appoggio trasversal­mente c si vede bene che la stratificazione, benché poco distinta, si rialza verso la falesia e vi si ap-

FIG. 42 Biosparite con Eorupertia sp. (Eocene). La facies biosparitica indica l'am­biente di scogliera, che carat­terizza questi sottili lembi lute­ziani trasgressivi sulla << Scaglia >>

turoniano-senoniana. Serra Pantanella. x 13.

Biosparite with Eorupertia sp. (Eocene). The biosparitic facics, indicating a reef environ­ment, is typical of these thin Lutctian slabs trasgressive on thc Turonian-Senonian << Sca­glia>>.

Serra Pantanella. x 13.

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FIG. 43 - Sponda destra del Vallone Anatuccio. L'Eocene (E), trasgressivo sulla <<Scaglia>> (S), è, a sua volta, coperto dal calcare ad Heterostegina del Miocene (M). Si nota che l'Eocene trasgredisce quasi su una superficie di strato, mentre il Miocene poggia su una superficie molto elaborata. Una piccola frattura ha diviso il blocco e lo ha spostato di 30 cm circa.

- Right side of Vallone Anatuccio. The Eocene (E) transgressive above the << Scaglia>> (S), underlies the Miocene Hete­rostegina limestone (M). Note that the Eocene is transgressive almost along a bed surface, while the Miocene lies on

a highly weathered surface. A small fault split the block and displaced it about 30 cm.

poggia, mentre allontanandosi da questa diviene rapidamente suborizzontale. A livello dell'Eocene il fenomeno è particolarmente evidente dato il forte contrasto che esiste fra le calcareniti eoceniche, ricchissime di alveoline, e la roccia cretacica co­stituita da micrite compatta, leggermente colorata in avana (fig. 41). Si è visto così che a ridosso della sponda i macroforaminiferi eocenici sono rappresentati esclusivamente da alveoline, mentre spostandoci verso il bacino appaiono anche le nummuliti; le discocicline si rinvengono più al largo.

Anche gli spessori aumentano vicino alla sponda, ma si mantengono sull'ordine di grandezza di qualche decina di metri. L'affioramento di V enere è troncato verso NE da una frattura che rialza il Cretacico, ma i terreni eocenici continuano verso

Nord e facendo un ampio arco si ricollegano con quelli di Anversa e con quelli del bacino di Sul­mona.

Ad Est della linea Profluo - Sagittario, l'Eocene si rinviene al Vallone Anatuccio, alla Serra Pan­tanella e al Monte Genzana; i primi due affiora­menti sono strettamente collegati ed hanno carat­teri simili. Si tratta di un sedimento costiero orga­nogeno a carattere pressoché recifale; contiene Ethelia alba (PFENDER), Solenomeris o'gormani nou­VILLÉ, Archaeolithothamnium johnsoni MASTRORILLI,

Eorupertia sp. (fig. 42), Alveolina sp. ed è riferibile ad un probabile Eocene inferiore. Questo orizzonte poggia in trasgressione suiia << Scaglia >> senoniana e lo spessore è limitato a poco più di un metro. Verso l'alto è seguito dal calcare ad Heterostegina anch'esso trasgressivo; sia l'appoggio sulla << Scaglia >>

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s1a il contatto con il Miocene sono perfettamente visibili alla base del Vallone Anatuccio (fig. 43).

Al Monte Genzana, lungo la sezione di Valle Cupa, gli ultimi livelli prima della trasgressione miocenica sono con ogni probabilità da riferirsi all'Eocene: sono stati rinvenuti infatti esemplari di Operculina cfr. thouini n'ORBIGNY, O. compia­nata (DEFRANCE) ed un esemplare riferibile ad

FIG. 44- Versante Est del Monte Genzana: livelli eoce­nici alla sommità della sezione di Valle Cupa. Intra­biomicrite con Operculina cf. thouini n'oRB. e Operculina cf. complanata (DEFR.). Queste forme indicano il passag­gio all'Eocene, e si rinvengono negli ultimi campioni, prima della trasgressione miocenica.

Sezione di Valle Cupa. x 14.

- Eastern slope of Monte Genzana: eoceni c levels on top of Valle Cupa section. lntrabiomicrite with Oper­culina cf. thouini D'ORB. and Operculina cf. complanata (DEFR.). These species indicate the passage to Eocene in the upper samples, preceding Miocene transgression.

Valle Cupa section. x 14.

Operculina canalijera n' ARCHIAC oppure ad Assi­lina prespira DOUVILLÉ (fig. 44). Tutte queste forme, anche le due più incerte indicano un Eocene inferiore. Negli strati micritici, entro la microfauna rimaneggiata, è stato possibile individuare alcuni esemplari di Globorotalia centralis cusH. & BERM. ;

anche in questo caso l'Eocene è rappresentato da pochi metri di serie e vi compare soltanto la parte inferiore, in continuità di sedimentazione sul Pa­leocene.

Ambiente di sedimentazione

Ricostruire l'ambiente di sedimentazione del­l'Eocene non è difficile, in quanto quasi tutti gli affioramenti mostrano una facies di mare sottile con una componente organogena molto sviluppata ove i macroforaminiferi non mancano mai. Si tratta quindi di zone costiere o appena coperte dalla trasgressione cuisiano-luteziana.

Nei pressi di Monte Mattone invece siamo deci­samente vicini ad una costa alta, da cui proveniva un apporto detritico oltremodo abbondante; questo si scaricava ai piedi di una falesia ripida dando ori­gine ad una stratificazione di sponda assai inclinata.

Anche a Venere la sedimentazione avveniva contro una falesia ma in questo caso non si è avuto lo sca­rico dei detriti.

Al Monte Genzana il piccolo livello eocenico è nettamente regressivo, ma l'ambiente di sedimen­tazione è simile a quello degli altri affioramenti: mare sottik, sedimentazionc organogcna, energia ambientale scarsa (salvo alcuni livelli molto sciac­quati).

La distribuzione degli affioramenti e soprattutto le loro caratteristiche portano a ritenere che il ba­cino eocenico meridionale fosse separato da quello settentrionale; l'elemento che li divideva doveva essere posto nei pressi di Scanno, grossolanamente orientato E-W. Seguendo però gli affioramenti più vasti della conca di Sulmona e della zona di Settefrati, si giunge alla conclusione che i due bacini erano in collegamento più ad Oriente ed a questa zona (tenendo conto del raccorciamento tettonico), vanno attribuiti l'Eocene della Serra Pantanella e del Monte Genzana.

Nella zona della Montagna di Godi, la particolare giacitura che abbiamo descritto indica che prima dell'Eocene medio deve essere avvenuta una fase tettonica piuttosto importante, responsabile della giacitura discordante. Se si eccettua la zona di Venere l'Eocene mostra alla sommità una regres­sione piuttosto spinta che elimina il mare da tutta la zona studiata in dettaglio.

OLIGOCENE

Sedimenti oligocenici sono rari ed estremamente dubbi nella zona rilevata. In un solo punto sono stati riconosciuti con certezza: ad Opi, ma qui è presente soltanto il Cattiano ed i terreni passano con continuità al Miocene basale. Negli altri pochi casi, anche per la mancanza di studi molto detta­gliati, si rimane sempre incerti sulla presenza o

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meno dei livelli oligocenici dato che le lepidoci­cline determinate (L. tournoueri LEM. & nouv., L. dilatata LEM. & DOUV., L. morgani LEM. & DOUV.) possono essere riferite anche al Miocene basale.

A Venere, ove la sedimentazione sembra conti­nua, sono state rinvenute lepidocicline, ma non è stato possibile stabilire se vi sia effettivamente

tutto l'Oligocene o soltanto la parte superiore al contatto con il Miocene. In conclusione sembra che nella zona studiata l'Oligocene manchi in gran parte e, dove esiste, sia rappresentato da ter­mini molto alti che passano con continuità e rapida­mente all' Aquitaniano. Perciò preferiamo descrivere gli eventuali livelli oligocenici insieme al Miocene.

NEO GENE

Questo periodo è rappresentato nella nostra zona soltanto dal Miocene, cui abbiamo convenuto di legare il Cattiano superiore, in quanto sedimenti pliocenici mancano totalmente, e si deve presumere che ormai la regione fosse già definitivamente emersa.

Dopo la regressione eocenica una lunga fase continentale interessa la Marsi ca orientale ( eccet­tuata la zona di Venere che, come si è detto, con­serva una sedimentazione probabilmente continua fino al Miocene). Durante questo periodo però, i sedimenti deposti nell'Eocene non devono essere stati erosi fortemente, e d'altra parte i movimenti tettonici devono aver avuto un carattere prevalente­mente epirogenetico, dal momento che la distribu­zione dei terreni trasgressivi cattiano - aquitaniani ricalca piuttosto fedelmente quella dell'Eocene. Tutto questo nella prima fase, perchè dopo una stasi o breve regressione, il mare si estende anche su quella zona che era rimasta emersa dal tetto del Cretacico in poi, fino a ristabilire il completo dominio marino al livello dell'Elveziano superiore, ed una totale uniformità di facies nel Tortoniano.

MIOCENE INFERIORE-MEDIO

Nel Miocene si possono individuare tre zone separate da un allineamento ormai classico per la Marsi ca orientale: la linea alto Sangro - Giovenco, e da un secondo che segue il Profluo ed il Vallone delle Masserie. La trasgressione avviene nelle zone suddette in tempi differenti e con modalità diverse: è necessario abbandonare la suddivisione in facies di piattaforma, di soglia e di transizione, in quanto le caratteristiche ambientali sono completamente cambiate.

Zona occidentale - Ad Occidente della linea alto Sangro - Giovenco la trasgressione presenta l'aspet­to tipico che ha in tutta la regione laziale-abruz­zese: su di un substrato di età varia, ma per lo più

costituito dal Cretacico, poggiano in concordanza angolare sedimenti costieri che vanno sotto il nome generico di << calcari a briozoi e litotamni >>; la su­perficie di contatto è difficilmente riconoscibile data la notevole somiglianza litologica dei due termini che vengono a contatto, anche perchè man­cano completamente paleosuoli, livelli terrosi o anche soltanto arrossati. Per individuarla è neces­sario esaminare molto minuziosamente gli strati, per cogliere il punto ove cominciano i briozoi e le anfistegine.

Lungo tutta la dorsale del Morrone del Diavolo e anche nella zona ad Est del Fucino, il primo livello trasgressivo è costituito da una biolitite grigia a briozoi dello spessore di pochi metri, a cui seguono livelli calciruditici o bioclastitici a briozoi e lito­tamni in cemento ora spatico, ora microcristallino. Seguono calcareniti più fini con litotamni e briozoi più rari, in frammenti, e contenenti anfistegine, eterostegine e rare globigerine ed or buline; il tutto per uno spessore di una quarantina di metri.

Da alcuni campioni provenienti dalla zona di Aschi e di Venere sono state determinate le seguenti alghe calcaree: Mesophyllum inaspectum (AIROLDI), Lithothamnium contrarium (coNTI), L. subtile (coN­TI), L. undu/atum CAPEDER, L. yabei CONTI, Litho­phyl/um prelichenoides LEMOINE, Lithoporella melo­besioides (FOSLIE). Dal momento che alcune di queste alghe hanno una distribuzione prevalente­mente langhiana, altre elveziana, si ritiene proba­bile che il calcare che le contiene sia da attribuire alla base dell'Elveziano.

Come si è già detto questa formazione è oltremodo conosciuta in tutto l'Appennino di facies laziale­abruzzese, ed è stata descritta sotto il nome di << For­mazione di Cusano >> da SELLI (1957).

Sopra al <<calcare a briozoi e litotamni >> si in­contra un sottile livello arenaceo, talora conglome­ratico, generalmente ricco in glauconite; in alcuni punti si possono vedere ciottoli del calcare sottostan­te incrostati di glauconite, crostoni ossidati che

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testimoniano una breve emersione o comunque uno hiatus nella sedimentazione. Seguono marne grigie a Cylindrites e microfauna planctonica, di età Elveziano alto-Tortoniano, le quali passano gra­dualmente alla formazione argilloso-arenacea che, come abbiamo detto, ristabilisce l'uniformità di facies di tutta la zona. Quest'ultima formazione sarà illustrata a parte.

Particolare interesse ha il livello glauconitico a fecal pellets che è uniformemente esteso nell' Ap­pennino centro-meridionale (ZALAFFI, 1963 ; DoNDI e PAPETTI, 1966), e sembra formare un orizzonte guida assai preciso in quanto le marne che lo se­guono immediatamente hanno sempre rivelato un'età medio elveziana. Questo livello si rinviene anche nella zona centrale ma solo in pochi punti e con caratteri diversi; però le marne che lo seguono conservano l'età elveziana e quindi, dove è presente, esso serve molto bene per le correlazioni.

L'ambiente di sedimentazione di tutta la prima parte del Miocene è decisamente costiero. La bio­litite a briozoi è costituita da piccole costruzioni recifali, proprie di acque basse, ossigenate, mosse e piuttosto limpide. La fase successiva a litotamni e briozoi è anch'essa di mare molto sottile. Nella zona delle Vicenne sono stati rinvenuti alcuni ba­lanidi, quindi doveva trattarsi addirittura di un am­biente intercotidale, in pieno accordo con la grande abbondanza delle corallinacee. Verso la sommità, ove si fanno più abbondanti i foraminiferi e la roccia diventa una vera e propria calcarenite detri­tico-organogena, il mare doveva essere leggermente più profondo (sempre rimanendo però nell'ordine di pochi metri), tant'è vero che le corallinacee sono in genere molto frammentarie.

Il livello glauconitico a fecal pellets indica una facies del tutto particolare; esso è preceduto da una breve fase continentale oppure da un arresto della subsidenza, ed il ritorno del mare ha dato origine ad un ambiente riducente ma non euxinico, abbastanza ossigenato cioè, perchè avesse origine la glauconite e non la pirite.

Questo ambiente non è legato meccanicamente alla trasgressione, perchè non compare in quelle precedenti, neanche quando esse hanno un anda­mento simile a quella miocenica, ma deve essere stato determinato da condizioni particolari, estese a tutto l'Appennino centro-meridionale, che si sono verificate ad un certo momento dell'Elveziano medio. Nella parte orientale infatti, il livello glauco­nitico si rinviene soltanto in quelle zone su cui il mare ha trasgredito nell'Elveziano medio ed ha deposto materiali in subconcordanza con gli strati

sottostanti. Non si sa quali siano le ragioni che hanno causato questo estesissimo ambiente riducente, si può soltanto notare che in genere esso corrisponde ad un fortissimo accumulo di organismi plancto­nici, fecal pellets, e resti di pesci.

Con la sedimentazione delle marne ad orbuline l'ambiente ritorna normale, esso però, nonostante la grande abbondanza di planctonici, non si può considerare pelagico, in quanto molte volte queste marne si intercalano a sedimenti organogeni neri­tici o addirittura sono trasgressive su rocce più antiche.

Zona centrale - Ad Oriente della linea dell'alto Sangro - Giovenco la sedimentazione miocenica presenta caratteri che la collegano a quanto è av­venuto in precedenza nella stessa zona. La prima fase trasgressiva si ha nel Cattiano superiore, se­guono poi altre fasi separate da una stasi o da leg­gere regressioni.

All'estremo Sud della zona, in corrispondenza della struttura di Opi, si ha una facies particolare che è stata illustrata in dettaglio da PIERONI (1965) e che riassumiamo brevemente. La trasgressione che poggia sull'Eocene superiore è avvenuta nel Cattiano, ed ha dato origine ad un deposito dello spessore di circa 35 metri, costituito da calcareniti a matrice prevalentemente micritica contenenti in grandissima quantità lepidocicline e litotamni glo­bulari: il cemento spatico compare talora ma è secondario. La fauna a macroforaminiferi indica per questo complesso un'età che dal Cattiano rag­giunge l' Aquitaniano, per la comparsa, verso la metà del livello, di Miogypsina e Miogypsinoides. A questi fanno seguito, con passaggio continuo ma abbastanza rapido, marne grigie scure, fetide, contenenti spicole di spugne silicee. Talora la roc­cia è costituita da un feltro di spicole con scarsissimo materiale legante; sono pure presenti radiolari, tubi di teredini. L'età di questo complesso, che ha uno spessore di una quarantina di metri, è ri­feribile probabimente al Langhiano. Verso l'alto le spongoliti terminano con un episodio conglo­meratico dello spessore di pochi metri cui segue un livelletto organogeno tipo panchina, indi marne a planctonici della base del Tortoniano.

È difficile stabilire se vi sia una lacuna nella sedimentazione al tetto delle spongoliti e se il conglo­merato rappresenti la trasgressione. Alla base non vi sono livelli ossidati; d'altra parte nel punto in cui i ciottoli basali del conglomerato sono appoggiati sulle spongoliti, queste mostrano una laminazione a conca e talora imballano il ciottolo stesso, portando

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così a concludere che non dovevano essere com­pletamente litificate al momento dell'arrivo del con­glomerato. Questo particolare farebbe escludere una emersione, d'altra parte manca il livello glau­conitico a fecal pellets e le marne che seguono il conglomerato hanno un'età Tortoniano basale. Il problema rimane insoluto data la mancanza di faune significative entro le spongoliti.

Le marne a planctonici hanno uno spessore di poco superiore ad un metro, poi con continuità passano alla formazione argillosa tortoniana.

Questa successione contenente le spongoliti non compare più nella zona studiata mentre si ritrova in affioramenti posti a Sud del Sangro (Forca d'Acero). Questa relazione è molto interessante in

quanto ci permette di legare la struttura di Opi alle masse meridionali spostate dal sovrascorri­mento della linea del Sangro.

Sul lato orientale della struttura l\Iarsicano -Terratta - Miglio ed intorno alla linea Profluo -Sagittario il Miocene ha caratteristiche proprie e mostra una sedimentazione assai variabile quale abbiamo riscontrato nel Paleocene e nell'Eocene. Sul versante sud-orientale del Colle S. Maria la trasgressione ha deposto calcari a litotamni e lepi­docicline in tutto simili a quelli di Opi; anche l'età deve essere simile data la presenza delle mio­gipsine: si può quindi riferire al Cattiano - Aqui­taniano. L'affioramento si prolunga verso NW e continua per alcune centinaia di metri lungo il fianco sinistro della Val Rapino; lo spessore del livello non supera la decina di metri e poggia sulle

facies conglomeratiche eoceniche affioranti sul fianco SW del Monte Mattone.

Ai calcari a lepidocicline e litotamni segue una facies conglomeratica che ha il suo massimo svi­luppo proprio sul versante citato: si tratta di ciot­toli molto grossi, talora abbastanza arrotondati, in generale poligenici ma talora costituiti esclusi­vamente da elementi liassici. Questi sono cemen­tati da una matrice calcareo-marnosa contenente foraminiferi planctonici, tra cui orbuE';'~'<: '<: gbbo­quadrine. Questi ciottolami hanno il massimo spessore sul fianco del l\!Ionte Mattone dove, scom­parso il calcare a Iepidocicline, poggiano diretta­mente sui conglomerati eocenici e ne ricalcano la facics. Nei pressi di Fonte Rapino il conglomerato

FIG. 45 - Versante meridio­nale di Colle S. Maria. Marne ad orbuline ( Elveziano) cui si intercalano banchi di brecce e conglomerati calcarei, connessi con la facies detritica di Monte Mattone. Le marne, in questo punto, hanno età elveziana in­feriore e seguono ai calcari a lepidocicline e litotamni: il con­tatto non è visibile.

- Southern slope of Colle S. Maria. Orbulina marls (El­vetian) interbedded with brec­cias and calcareous conglome­rates banks related with the Monte Mattone detrital facies. In this locality the age of the marls is Lower Elvetian, and they rest above the Lepidocy­cb:na and Lithothamnia lime­stones: the contact is not visible.

è costituito da blocchi enormi di Lias cementati a formare una specie di strato, tanto da simulare una trasgressione poggiante su rocce liassiche. Di tanto in tanto ai conglomerati si intercalano livelli marnosi che diventano più frequenti e più spessi verso Sud, in questa direzione infatti il Miocene attenua il suo carattere conglomeratico, tanto che sul Colle S. Maria e Colle S. Ianni le marne a planctonici prevalgono, e le intercalazioni ruditiche sono limitate ad alcuni banchi (fig. 45).

Al tetto dei livelli conglomeratici si passa a marne stratificate, contenenti foraminiferi planctonici, iden­tiche a quelle che si rinvengono entro i livelli gros­solani. Si tratta evidentemente del sedimento auti­geno in cui si sono scaricati i detriti, e si deve col­legare con la formazione delle marne ad orbuline già vista ad Opi e nella zona ad Oriente della linea

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alto Sangro - Giovenco. È completamente assente qui il livello glauconitico a fecal pellets.

Poco più a Sud di Colle S. Maria, sulla destra della strada che porta alla Camosciara, le marne ad or buline trasgrediscono direttamente sul Lias; esse sono spalmate negli anfratti della roccia liassica

FIG. 46 - Piana della Corte, a Sud di Colle S. Maria. Spal­mature di marne ad orbuline con qualche elemento conglo­meratico, su strati liassici. Le marne sono chiaramente visi­bili sulla sinistra del martello.

- Piana della Corte, to the South of Colle S. Maria. Or­bulina marls, with some peb­bles, smeared over liassic beds. The marls are distinctly visible to the left of the hammer.

e ne riempiono le spaccature (fig. 46 e 47). In alcuni punti è presente un piccolo livello di << panchina >>

a lamellibranchi ed anfistegine insieme a sporadici ciottoli, ma nel complesso la facies conglomeratica

sembra sparita. Dal fianco SW del Monte Mattone la fascia

conglomeratica del Miocene si estende verso Nord,

essa è ben evidente fin poco a Nord della Sorgente Rapino, poi i conglomerati scompaiono ma se ne incontrano qua e là lembi isolati sparsi, oppure spalmature di marnc ad orbuline sulle facies con­glomeratiche eoceniche o anche su qualsiasi altra base. Queste spalmature sono estremamente dif-

FIG. 47 - Piana della Corte a Sud di Colle S. Maria. La gradinata visibile nella figura è costituita da strati di calcare a Palaeodasycladus su cui si possono individuare spalmature di marne ad Orbulina (triangolo più chiaro sulla sinistra del

martello).

- Piana della Corte, to the South of Colle S. Maria. The steps shown in the photo are constituted by Palaeodasycladus limestone beds, above which smearings of Orbulina marls may be detected (lighter trian­gle to the left of the hammer).

fuse anche lungo il versante orientale del Monte Forcone, l\/[onte Ninna, Monte del Campitello (fig. 48 e 49) fino a quote elevate: si tratta in genere di riempimenti di fessure o sacche la cui origine deve essere connessa con la trasgressione, e che si sono salvate dall'erosione proprio perchè ri­parate entro anfratti.

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In Val Ciavolara, al Coppo del Ferraio e allo sbocco della Valle Orsara si rinvengono piccole lenti di Miocene costituite dal << calcare a litotamni >>

(senza lepidocicline) seguito dalle marne ad orbuline, ricche di briozoi nella parte bassa (fig. 50). Prose­guendo verso Nord, sullo spartiacqu<? fra il Ferraio di Scanno e la Valle del Tasso, le marne ad orbuline trasgrediscono senza più traccia dei livelli a litotamni e si appoggiano su terreni cretacici o ancora più antichi.

Se ci portiamo sulla dorsale della Montagna di Godi, nei pressi dei Pozzi di Godi risultano eli­minate completamente anche le marne ad orbuline, e sul calcare mesozoico va ad appoggiarsi diretta­mente l'argilla tortoniana.

Spostandosi sempre a Nord, entro la Valle del Tasso, ricompaiono livelli più bassi. Lungo la strada di Villetta Barrea-Scanno, poco prima del ponte sul torrente suddetto, è visibile la trasgres­sione in cui alla base delle marne ad orbuline compare il livello glauconitico a fecal pellets con uno spessore di pochi centimetri. Le marne sono leggermente discordanti sul substrato ( 4o - 5°), sono piuttosto compatte, stratificate, ricchissime in planctonici specialmente nella parte bassa (fig. 51).

La grande variabilità della sedimentazione ba­sale miocenica risulta molto evidente se si con­fronta questo affioramento con quello distante circa 2 Km, situato sulla mulattiera che da Scanno porta alla Centrale elettrica vicina al Ponte delle Scalelle; qui la trasgressione avviene sul << Calcare cristallino>>; alla base della trasgressione compaiono

Frc. 48 - Marne ad orbuline (Elveziano medio) trasgressive sui calcari della Terratta. Si può notare come i vari bioclasti, ricristallizzati o riempiti dal cemento di cavità, siano stati asportati solo in parte dall'ero­sione, e la calcite spatica si sia distaccata a singoli individui. In alto a sinistra una grossa Or bulina. Monte del Campitello. x 10.

- Orbulina marls (Middle El­vetian) transgressive above the Terratta lìmestones. It may be remarked that the bioclasts, either recrystallized or filled with drusy mosaic, have been only partially carried away by erosion. Elements of sparry calcite have been detached one by one. Note at top left, a large Orbulina. Monte del Campitello. x 10.

Frc. 49 - Trasgressione delle marne ad orbuline (El­veziano medio) sul Paleocene. La micrite a planctonici ha riempito le cavità di un corallo che erano rimaste sgombre probabilmente in seguito all'erosione.

Ferraio di Scanno. x 10.

- Transgression of the Orbulina marls (Middle Elve­tian) above Paleocene. The micrite with planctonics has filled up the cavities of a Coral, probably emptied

as a result of erosion. Ferraio di Scanno. x 10.

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marne ricche in microfossili planctonici ma conte­nenti anche frammenti di briozoi, litotamni, ecc.; a questi sedimenti si intercalano materiali glau­conitici per uno spessore di una decina di metri. La glauconite è estremamente abbondante spe­cialmente verso la metà del livello, tanto da costi­tuire più del 50% della roccia. Essa si presenta in granuli generalmente tondeggianti, di dimensioni simili a quelle dei foraminiferi planctonici, rara­mente in masse più estese; in molti casi riempie i gusci delle globigerine e delle orbuline. La roccia assume una colorazione verde intensa che passa al verde-giallastro o marroncino nei punti molto alterati, e sul campione macroscoptco assomiglia

FIG. 50 - Biomicriti marnose a briozoi e planctonici: fra questi sono riconoscibili Globoquadrina e Globigerinoides; il campione proviene dalla Valle Orsara, dai livelli basali delle marne ad orbuline, in cui sono ancora frequenti organismi costieri.

x 12.

Marly biomicrites with Bryozoans an d planctonics: among the latters Globoqua­drina and Globigerinoides are recognizable. The sample co­mes from the basai beds of the Orbulina marls, where lit­toral organisms are still fre-

quent. Orsara Valley. x 12.

ad un'arenaria. Se l'orizzonte glauconitico ha uno spessore di 10 metri circa, le marne a planctonici in totale si estendono per circa 30 metri, ed a varie altezze presentano livelli bioclastici contenenti briozoi, litotamni, macroforaminiferi vari, radiali di echinidi: materiali collegati probabilmente con la sedimentazione che si aveva in corrispondenza delle rive del lago di Scanno.

Tanto i livelli glauconitici quanto quelli bioclastici hanno una matrice micritica calcareo-argillosa iden­tica a quella delle marne ad or buline; il cemento spatico è presente soltanto entro le cavità dei gusci.

Lo spessore delle glauconie è quanto mai insolito, dato che in genere si aggira sui pochi decimetri, e occorre notare che esse compaiono soltanto qui e vicino al ponte. È evidente quindi che la trasgres­sione in questa zona è avvenuta nel momento in

cui esistevano i presupposti per la formazione dell'ambiente riducente non euxinico, e si deve essere formata una specie di sacca più profonda in cui queste caratteristiche hanno persistito a lungo.

La variazione di spessore a distanza di un paio di chilometri è il primo indizio del fatto che pro­seguendo verso Nord ci avviciniamo al bacino settentrionale di Castrovalva - Anversa, in cui la trasgressione miocenica è cattiana. Sulla riva occidentale del lago di Scanno ricompare infatti il calcare organogeno che poggia sul Giurassico a Truclwlina : la facies è molto ricca di brachiopodi ( Terebratula sinuosa BROCCHI) e databile come El-

veziano (SIRNA, 1967). Seguono come al solito le marne ad orbuline, senza le glauconie, e poi le argille.

Tra Villalago ed Anversa ricompaiono i termini inferiori del Miocene: prima il << calcare a lito­tamni >>, poi, nei pressi di Castrovalva, le lepido­cicline che formano livelli monogenici costituiti esclusivamente da macroforaminiferi cementati da calcite spatica; in questa zona la trasgressione av­viene su terreni dell'Eocene inferiore - Paleocene.

A Venere il Miocene ha un andamento parti­colare: sopra i termini eocenici si incontrano cal­cari a lepidocicline, indi a miogipsine, seguono litotamni e briozoi che continuano nelle marne ad orbuline. Sopra la falesia calcarea del Cretacico medio si hanno soltanto lembi di << calcare a brio­zoi e litotamni >>, seguiti a loro volta dalle marne

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elveziane; lo spessore dei livelli calcarei in questa zona è molto ridotto.

La distribuzione degli affioramenti che abbiamo illustrato indica piuttosto bene le modalità con cui si è avuta l'ingressione miocenica nella zona cen­trale (fig. 52). Una prima fase è avvenuta fra il Cattiano e l' Aquitaniano ed ha dato origine a due bacini: uno a Nord e l'altro a Sud, come era av­venuto in precedenza per la trasgressione eocenica, ma il mare era probabilmente meno esteso.

A Sud, intorno al Monte Mattone, si sono depo­sitati calcari a lepidocicline c litotamni che si esten-

devano in Val Rapino al massimo fino alla Fonte Sambuco; a Nord si depositavano le faune morro­geniche a lepidocicline di Castrovalva.

Fra 1' Aquitaniano e l'Elveziano inferiore sem­bra che ci sia stata una stasi della sedimentazione o una leggera regressione, in quanto non si indivi­duano sedimenti di questu periodo.

Alla base dell'Elveziano riprende l'ingressione ed il bacino meridionale è caratterizzato dalla sedi­mentazione delle marne a planctonici. Vicino al Monte Mattone si aveva un'attiva discarica di ma­teriali conglomeratici che andavano ad intercalarsi alle marne; è evidente che doveva esserci una costa alta, particolarmente attaccata dai fenomeni erosivi. È da ricordare qui che in questo punto si erano deposti conglomerati eocenici e facilmente pote-

vano venire rielaborati. In Valle Orsara intanto si depositavano esigui lembi di << calcare a briozoi e litotamni >> eteropici delle marne ad orbuline.

Nel bacino settentrionale iniziava la deposizione del calcare organogeno a litotamni e terebratule, nei pressi del lago di Scanno.

Il fenomeno tempotrasgressivo continua, e al li­vello dell'Elveziano medio si sono determinate le condizioni per la formazione della glauconia che si è deposta nei luoghi ove era in atto l'ingressione. La forte variazione di spessore che abbiamo de­scritto lascia supporre che il mare si sia arrestato

FIG. 51 - Marne ad orbu!ine (Elveziano medio) trasgressive sul << Calcare cristallino •> nei pressi del ponte sul fiume Tasso. La roccia è estrema­mente ricca in planctonici che sono perfettamente conservati, imballati nella matrice micri­tica. Evidenti le strutture geo­pete all'interno dei gusci dei foraminiferi. Si notano alcuni briozoi ed altri elementi orga-nogeni irriconoscibili. x 12.

- Orbulina marls (Middle El­vetian) transgressive above the << Calcare cristallino •>. The se­diment is extremely rich in perfectly preserved planctonics, wrapped in the micritic matrix. Note the geopttal structures inside the foraminifera shells: some Bryozoans and other ske­letal grains are visible. Bridge

on Tasso River. x 12.

per un certo tempo in corrispondenza dei due af­fioramenti citati. I livelli bioclastici presenti entro le glauconie sono probabilmente legati a tempo­ranee estensioni laterali della facies organogena del lago di Scanno.

Dall'Elveziano medio m poi tutta la sedimenta­

zione miocenica viene rappresentata dalle marne ad orbuline. A Sud, vicino a Monte Mattone, con­tinua l'apporto di materiale detritico, ma con tendenza a diminuire. Verso la fine dell'Elveziano la sedimentazione marnosa si estende ulteriormente; viene sommerso il Monte Mattone, si formano le spalmature di marne ad orbuline sui vari conglo­merati o sulle rocce in posto; l'estendersi del do­

minio marino copre tutta la regione eccetto la

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Val Rapino

Colle S. Maria M Mattone Pozzi di Godi

l

V. le del Tasso

Sorgenti del T. Tasso

Ponte sul T. Tasso

Ponte Scalelle

V. le del Sagittario

Lago di Scanno Castrava! va

E~:o~;~~24J~~v&m~~;::s:JY.1Jt0~;;t.2~;··:~~,l~~;;mN~:~Z~:::os~

Elveziano Med.

Elveziano lnf. ~--- •-,· Aquitaniano f-~~ ~

Cattiano

1<:31

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Calcari a lepidOCICiine

Calcari a l1totamni

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Calcari organogen1

Marne a orbuline

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~l-,-.... ~ 7--: 1.1: ~ 1 ~ • !; __ i l _ 1 ._- 1 _ 1: ,... 1 Elveziano M ed.

Detriti e conglomerati

Glauconite

calcarei ~ ~

Argilloso arenacea

Elveziano lnf. _, Aquitaniano

Cattiano

N

FIG. 52 - Schema dell'andamento della trasgressione rniocenica lungo l'allineamento della Val Rapino, Valle del Tasso e del Sagittario. Le distanze fra le varie località sono proporzionali, le altezze non sono in scala. La parte grisée indica il substrato premiocenico; sul lato meridionale si notano i conglomerati eocenici che sono stati rielaborati ed hanno fornito il materiale detritico intercalato entro le marne. Tutta la sedimentazione mioce­nica è fortemente discordante sul substrato, ma la sezione è parallela alla direzione della stratificazione e quindi la discordanza non compare. La trasgressione ha inizio nel Cattiano, poi subisce una stasi od una lieve regressione fra l' Aquitaniano e l'Elveziano inferiore; a quest'altezza riprende l'ingressione e continua fino al Tortoniano. All'altezza dell'Elveziano medio si ha una stasi o leggera regressione, indi alla ripresa del moto ingressivo si depositano le glauconie; da notare che esse si hanno solo in questo periodo, e nella zona ove la trasgressione non ha facies detritica. La zona dei

Pozzi di Godi è rimasta emersa fino al Tortoniano inoltrato.

- Scheme of the Miocene transgression along the Iine marked by Rapino, Tasso and Sagittario valleys. The distances among the localities are proportional; vertical dimentions are not in scale. The gray part indicates the pre-Miocenic substratum. A t the Southern side the Eocene con­glomerates may be seen; their _rework an d erosion _Yielde~ th~ detrital materia! in~erbedded with th~ marls. All Miocene sediments are markedly unconformable on the underlymg beds, but as th1s sectwn 1s parallel to the stnke, the unconform1ty does not appear. The transgression begins in Chattian age, then there is either a stasis or a faint regression between Aquitanian and Lowet Elvetian; a t this moment the ingression begins again and goes on till Tortonian. In the Middle Elvetian there is a new stasis, and during the following ingressive movement the glauconitic sediments are deposed; i t is remarkable that these sediments occur only in this moment, an d in the p laces where the transgression does not present a detrital

facies. The Pozzi di Godi region has been emerged till the late Tortonian.

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270 R. COLACICCHI

parte sommitale della Montagna di Godi che n­marrà emersa fino al Tortoniano inoltrato.

Zona orientale - Allo schema che abbiamo indi­cato non si riallacciano i sedimenti posti ad Est dell'allineamento Profluo - Vallone delle Masserie; qui la trasgressione è avvenuta nell'Elveziano in­feriore o medio, e alla base si hanno livelli orga­nogeni: alla Serra Pantanella ed allo sbocco del Vallone Anatuccio il Miocene calcareo ha uno spessore di 60 - 70 centimetri ed è costituito da

Frc. 53 - Biomicriti ad Hete­rostegina provenienti dal Val­lone Anatuccio. La roccia è estremamente ricca di queste forme, che d'altra parte sono difficilissime da isolare e quindi da determinare. Evidente la disposizione parallela dei gusci a causa della loro forma appiat-

tita. x 6.

- Biomicrite with HeteYoste­gina (Middle Elvetian). The rock is extremely rich in these forams, but is very difficult to separate and therefore to determine them. It is evident a parallel disposition of the shells, because of their flat­tened shape.

Vallone Anatuccio. x 6.

un impasto ricchissimo di eterostegine (fig. 53) e piccoli litotamni in matrice micritica, che verso l'alto passa a marne a planctonici. A Prato Piano le marne trasgrediscono sulla scaglia secondo una superficie irregolare (fig. 54). Nei pressi del Colle Iovana Vecchia, alla base si ha una fortissima com­ponente organogena, costituita oltre che da briozoi e litotamni anche da pettinidi e da altri molluschi. Lo spessore di questo orizzonte è di una decina di metri e le marne, che seguono con passaggio

FIG. 54 - Prato Piano. Trasgressione delle marne ad orbuline sulla « Scaglia >>: la superficie di appoggio è molto irre­golare e rivela un'elaborazione dovuta all'erosione meteorica. Alla base le marne sono molto calcaree, dure, e contengono una notevole quantità di detriti provenienti dalla <<Scaglia>>; non si può però parlare di una breccia di trasgressione.

- Transgression of the Orbulina marls on the << Scaglia >> a t Prato Piano: the conctat surface is very uneven and affords evidence of a high weathering. Bottom levels of the marls are considerably calcareous, hard, and contain a large amount

of debris coming from the << Scaglia >>, but they cannot be considered a proper transgression breccia.

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GEOLOGIA DELLA MARSICA ORIENTALE 271

molto graduale, sono particolarmente dure, cal­caree e di potenza superiore al normale.

Al Monte Genzana, alla sommità della sezione di Valle Cupa, la trasgressione è sottolineata da un banco costituito da una biolitite a briozoi che dopo pochi decimetri passa gradualmente alle marne (fig. 55).

In nessuno di questi casi si incontra il livello a glauconite e a fecal pellets.

In questa zona quindi la ingressione miocenica si deve collegare con la seconda pulsazione tra­sgressiva avvenuta nella regione centrale.

Frc. 55 - Monte Genzana, sezione di Valle Cupa. Bioli­tite a briozoi (Elveziano). Que­sto termine costituisce la base della trasgressione miocenica nella zona suddetta. Il livello organogeno ha uno spessore di qualche metro, poi passa gra­dualmente alle marne a piane-

tonici. x 10.

Monte Genzana. Biolitite with Bryozoans (Elvetian). This term represents the bottom le­vels of the Miocene transgres­sion in the mentioned area. The skeletal level is few meters thick, and vertically grades to the planctonics marls.

Valle Cupa section. x 10.

Le litofacies del Miocene dall' Aquitaniano al­l'Elveziano sono assai complesse, uno studio di dettaglio è in preparazione e sarà pubblicato in seguito.

TORTONIANO

Le marne ad orbuline nella loro parte superiore ristabiliscono il dominio del mare sulla zona in studio e, con il passaggio alle argille, anche l'uni­formità di facies. In tutte e tre le zone illustrate le marne ad orbuline passano gradualmente ad una sedimentazione argilloso-sabbiosa, con inter­calazioni siltitico-arenacee frequenti ma assai sot­tili. Queste in generale sono gradate, presentano impronte di fondo, convolute laminations, ed altri caratteri tipici delle turbiditi; la stessa stratifica­zione alterna ce li fa considerare depositati da cor­renti di torbida.

Questa fase arenaceo-argillosa, che le microfaune dei livelli fini hanno fatto assegnare al Tortoniano, è correlabile con la Formazione di Frosinone assai estesa più ad Occidente. Nella località tipica la percentuale di arenaria supera il 50%, ma si vede diminuire gradualmente passando dalla Valle del Sacco a quella del Liri e poi alla Marsica, quindi non deve meravigliare il fatto che nella nostra zona prevalgano le argille.

La Formazione di Frosinone è ben conosciuta dati i vari lavori di cui è stata oggetto; non rite­niamo opportuno quindi ripetere la descrizione

(AvENA & LA MoNICA, 1964; ANGELUCCI, 1966). Gli spessori delle argille arenacee tortoniane non sono calcolabili: gli affioramenti sono sempre sog­getti a frane o coperti di detrito o su campi colti­vati, per cui non è possibile rendersi conto di come vada la stratificazione. Unico punto che fa ecce­zione è l'affioramento ad Est di Opi: qui le argille sono bene esposte per alcune centinaia di metri di potenza; più avanti l'affioramento prosegue ma non si può seguirne la continuità stratigrafica. D'altra parte esse giungono a contatto con la grande frattura del Monte Marsicana ed hanno a tergo la struttura di Opi, che è stata spinta in avanti, per cui è oltremodo probabile che siano molto spiegaz­zate dalla tettonica.

La formazione argilloso-arenacea affiora in genere sui fondovalle, e questo ha fatto pensare che si trat­tasse di finestre tettoniche, ma cercando con cura si possono rinvenire i passaggi stratigrafici che la

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272 R. COLACICCHI

legano ai massicci calcarei dei fianchi. Un affiora­mento singolare è quello che si rinviene sulla Mon­tagna di Godi, presso i Pozzi di Godi (a quota l. 900 circa); si tratta di un lembo molto piccolo ma molto evidente dato che sostiene un'esigua falda freatica e forma anche una specie di laghetto (m 10 x 12). L'argilla poggia sul calcare mesozoico senza traccia di marne ad or buline; è da concludere quindi che la Montagna di Godi rappresenti l'ul­timo lembo rimasto emerso, e coperto dal mare solo durante il Tortoniano. Il tetto di questa for­mazione non appare nella nostra zona.

MESSINIANO

Discordanti sui calcari mesozmct, non legati alla sedimentazione della Formazione di Frosi­none, si rinvengono alcuni depositi di argille e ciot­tolami che, pur dispersi e costituiti da lembi estre­mamente esigui, sono assai interessanti in quanto ci permettono di avere un'idea sull'età dei movi­menti tettonici principali. Il più evidente, rinvenuto nella zona a NE del Fucino lungo la strada Aschi­Venere, è stato descritto recentemente (CoLACICCHI, DEVOTO & PRATURLON, 1967); esso consta di una sacca di argille e conglomerati a matrice argillosa, estesa per 400 - 500 metri e dello spessore massimo di una ventina, che giace parte sul calcare cretacico, parte su quello miocenico; infatti essa copre pro­prio la linea della trasgressione elveziana.

Le ostracofaune rinvenute nelle argille con le forme: Tyrrhenocythere ruggierii DEVOTO, Cyprideis pannonica cfr. agrigentina DECIMA, C. tuberculata (MÈHES), Loxoconcha sp. ed alcuni frammenti di lamellibranchi dei generi Limnopappia e Congeria hanno rivelato un'età Messiniana superiore ed una facies di tipo lagunare oligoalino. Altri affioramenti, probabilmente collegabili a questi sono presenti nei dintorni; si tratta di spalmature argillose molto esigue in cui non siamo riusciti a rinvenire faune che dessero indicazioni sicure; ma l'associazione con ciottolami poco elaborati ed a stratificazione grossolana, e l'indipendenza dalla sedimentazione della formazione argillosa tortoniana, sembrano suf­ficienti ad autorizzare una correlazione.

Oltre agli affioramenti posti nei dintorni del giacimento principale ne esistono altri più lontani che probabilmente sono derivati dallo stesso ciclo. Sulla struttura Marsicano - Terratta - Miglio, nella zona detta Bocca di Mezzana, si rinvengono argille e ciottolami trasgressivi sul Giurassico con una forte discordanza angolare, sempre totalmente

indipendenti dalla argilloso-arenacea tortoniana che più ad Oriente poggia in concordanza sulla serie me­sozoico-terziaria. In questo affioramento compaiono ciottoli di << pietra paesina >>, calcari tipo << palombino >>

ed altri elementi che sono totalmente estranei alla serie dell'Appennino centrale, e si collegano ai materiali, sempre allo stato di ciottoli o di inclusi più o meno elaborati, presenti entro la Formazione di Falvaterra (AccoRDI 1963 e 1966) e derivanti da frane orogeniche sottomarine.

Vale la pena di soffermarsi un poco di più su questo affioramento perché, come vedremo, ha un'importanza fondamentale per la tettonica. La correlazione con quelli delle Vicenne non deriva da dati diretti, in quanto nelle argille non è stata rinvenuta ostracofauna né macrofauna, però oc­corre tenere presente i seguenti punti:

l) Il materiale non ha l'aspetto di un deposito lacustre o fluvio-lacustre, e sia l'argilla che i ciot­toli sono oltremodo simili a quelli delle Vicenne e degli altri lembi circostanti.

2) L'affioramento è post-Tortoniano in quanto giace sul Giurassico dislocato ed eroso, mentre la Formazione di Frosinone sta al tetto della struttura in concordanza sulla serie mesozoico-terziaria.

3) In tutta la Marsica e nelle regioni limitrofe non esiste alcun affioramento che possa essere attribuito al Pliocene, ed i depositi quaternari non mostrano argilla ed hanno un aspetto completa­mente diverso ed inconfondibile.

4) L'affioramento è a quota 1450 circa ed è adagiato su un largo valico che è il più basso di tutta la dorsale Marsicano - Terratta - Miglio; in altri punti non è stata rinvenuta alcuna traccia di depositi simili. Le argille delle Vicenne stanno a quota 1.100 ma tutta questa zona è meno elevata, per cui sulla differenza di quota devono avere in­fluito i movimenti epirogenetici più recenti.

Queste considerazioni mi sembrano sufficienti per autorizzare l'attribuzione al Messiniano, o al­meno per concludere che il deposito di Bocca di Mezzana non può appartenere ad un ciclo più antico, in quanto è sicuramente post-Tortoniano e post-orogenico, nè ad uno più recente dato che dopo il Messiniano non si hanno più fasi marine né paraliche.

Altri affioramenti che forse possono appartenere a questo ciclo messiniano si trovano entro la Valle del Giovenco, nella zona delle Pezzelle. Si tratta di arenarie e conglomerati calcarei con interstrati argillosi, di aspetto molto simile ad alcune facies più fini delle Vicenne, ma in Val Giovenco esse poggiano sulla formazione argillosa tortoniana e

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GEOLOGIA DELLA MARSICA ORIENTALE 273

quindi è impossibile stabilire se stano veramente indipendenti da essa.

L'aspetto più interessante di questi sedimenti sta nel fatto che quelli intorno al Fucino sono stati nettamente interessati e dislocati dalle faglie dirette, a carattere distensivo, che hanno prodotto la fossa tettonica del lago. Si possono definire così una fase tettonica anteriore al Messiniano superiore, che ha dislocato fortemente tutta la serie fino al Torto­niano superiore, ed una seconda fase a carattere distensivo, di età pliocenica o più tarda. Fra i due cicli una breve pulsazione ingressiva del mare ha

dato origine ad un ambiente lagunare paralico in cui si sono deposti i sedimenti alto-messiniani. La presenza dei ciottoli estranei nel giacimento di Monte Mezzana è imputabile al fatto che durante la sedimentazione tortoniana si sono avute nelle regioni occidentali frane orogeniche sottomarine che hanno portato nel bacino ciottoli di << pietra paesina >>, <<calcari palombini >>, ecc. (AccoRDI, 1963 e 1966; ANGELUCCI, DEVOTO & FARINACCI 1963) provenienti da Ovest, e questi successivamente per cause tettoniche possono essere arrivati fino ,'i\.,~\k nostra zona.

QUATERNARIO

Dal momento che nella zona marstcana non sono mai stati rinvenuti sedimenti pliocenici, dopo i depositi messiniani si passa direttamente ai cicli

quaternari. Essi si possono inquadrare in tre tipi sedimentologici distinti: 1) Brecce di pendio -2) Conglomerati fluvio-lacustri - 3) Morenico.

l) Brecce di pendio

Sono piuttosto diffuse m tutta la zona soprat­tutto in corrispondenza delle grandi fratture che hanno dislocato le strutture principali. In genere sono stratificate ed appoggiate al pendio da cui provengono; sono costituite naturalmente da ele­menti angolosi, di dimensioni qualsiasi, talora ce­mentati molto fortemente ed in generale arrossate. Nella maggior parte dei casi sono monogeniche, diventano poligeniche quando il materiale si espande

in pianura e passa a deposito fluvio-lacustre. Si rinvengono in genere in corrispondenza delle

dislocazioni più grandi: lungo la Valle del Gio­venco sono presenti da ambo i lati in affioramenti isolati ma che si collegano facilmente fra di loro a formare una falda detritica pedemontana cementata ed in parte rielaborata dall'erosione (fig. 56).

Lungo l'alta Valle del Sangro, a monte di Pescas­seroli, le brecce si trovano sul fianco del Monte Palombo anche piuttosto in alto, mentre entro la valle si hanno conglomerati fluvio-lacustri.

Sul fianco SW del Monte Marsicana si rinven­gono breccioni di pendio fino all'altezza di 1.800 metri molto cementati ed attaccati successivamente dall'erosione. Ma la zona in cui assumono una po­tenza maggiore è quella al limite tra il Monte del Campitello ed il Monte Godi. Qui tutta la dorsale

della Serra di Ziomas è costituita da breccioni che raggiungono uno spessore di un centinaio di me­tri (fig. 57). Essi sono grossolanamente stratificati ed immergono verso Oriente risultando così chia­ramente legati alla struttura del Marsicana. Sullo spartiacque che divide il Ferroio di Scanno dalla testata della Valle del Tasso, essi si appoggiano di­rettamente sulla struttura mentre più a nord ne risultano separati dall'erosione operata dal ramo più meridionale del torrente suddetto. La fascia riprende più a Nord, sempre appoggiata al versante orientale della dorsale Marsicana - Terratta - Miglio e con­tinua fino a Scanno ed oltre.

In corrispondenza della faglia del Monte Gen­zana le brecce di pendio si sono scaricate ed accu­mulate sul labbro abbassato, formando ripiani a mezza costa, e su uno di questi è costruito l'abitato di Frattura.

Tutte queste brecce sono ben cementate e sono state attaccate dall'erosione successiva. È probabile quindi che esse siano piuttosto antiche, anche se non ci sono i termini per precisarne l'età. Si può solo osservare che nel caso di quelle di Frattura, il Sagittario dopo la loro deposizione ha scavato la valle per più di 400 metri.

In genere è proprio al limite con questi breccioni che le faglie dirette mostrano il liscione ringiovanito m concomitanza del terremoto del 1915 (fig. 60).

2) Conglomerati fluvio-lacustri

Lasciando completamente da parte i depositi del Fucino che non sono stati studiati, i sedimenti da riferirsi a fasi fluvio-lacustri si trovano soltanto lungo la Valle del Sangro. Intorno alla conca di

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274 R. COLACICCHI

Pescasseroli, alla base delle strutture che la deli­mitano, si possono osservare ammassi molto po­tenti di conglomerati poligenici terrazzati dall'ero­sione successiva. Sono costituiti da ciottolami di dimensioni molto variabili, alcuni assai arrotondati,

calcareo di tipo lacustre e piccole sacche di torba insieme a paleosuoli scuri.

Nella conca di Pescasseroli i conglomerati pog­giano sulla formazione argillosa mio ceni ca: per le placche nord-orientali l'appoggio è chiaramente

FIG. 56 - Brecce di pendio quaternarie lungo la strada Pe­scasseroli-Bisegna. Le brecce, nettamente stratificate, si ap­poggiano alla parete della faglia alto Sangro-Giovenco. Sono co­stituite da elementi delle di­mensioni massime di una de­cina di centimetri e sono prati­camente monogeniche, dato che i ciottoli pr~vengono tutti dalla Formazione della Terratta. L'in­clinazione è originaria ed il taglio è stato causato dall'ero-

sione di un torrente.

Quaternary slope breccias along the road Pescasseroli­Bisegna. These breccias are distinctly bedded, and lean against the slickenside of the << alto Sangro-Giovenco >> fault. They are made up by pebbles whose maximum size is about ten centimeters and are prac­tically monogenic, for the peb­bles are ali coming from the

Terratta Formation. The conglomerate bedding dip is primary, and the erosion was carried on by stream action.

FIG. 57 - Conglomerati qua­ternari della Serra di Ziomas; gli strati in primo piano e le grosse bancate irregolari sul crinale, al centro della figura, sono tutti costituiti da brecce di pendio poco elaborate, for­temente cementate. Il loro spes­sore si avvicina in questo punto al centinaio di metri, e l'inclina­zione dei banchi è, per la mag-

gior parte, originaria.

- Quaternary conglomerates of << Serra di Ziomas >>. The fo­reground beds as well as the large irregular banks on top of the ridge, in the middle of the photo, are hardly worked strongly cemented slope brec­cias. In this place they are almost hundred meters thick, and their dip is mostly primary.

altri (quelli più piccoli) ancora angolosi; la strati­ficazione è piuttosto evidente sulle pareti esposte e praticamente orizzontale. La cementazione dei ciottoli è avvenuta tramite un'arenaria calcarea a grana non troppo fine che riempie i vuoti e spesso costituisce dei livelletti lenticolari abbastanza estesi. Nella parte alta dei terrazzi vi sono livelli di limo

visibile lungo la prima parte della strada che, oltre­passato il ponte V enere, si dirige verso Grotta Mozzone e Prato Rosso, oppure a quota più bassa lungo la strada Pescasseroli - Opi; per i lembi me­ridionali l'appoggio non è visibile.

Il piano superiore del terrazzo è comune a tutti gli affioramenti posti a SW del Sangro ed ai Colli

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FIG. 58 - La conca ~i. Pescassero.li (1). vista dal l\~onte delle Vitelle. Sono visibili i terraz~i dei Col)i Bassi e Coll.i Alti (2 e 3), sulla sinistra del Sangro, con le loro scarpate nptde messe m evtdenza dal nmboschtmento. Il gradmo che separa 1 due ordmt dt terrazzt (5) è dovuto ad una faglia. Sulla de­stra, in secondo piano, la struttura di Opi (4) e la gola del Sangro che la taglia in due. Sullo sfondo, la catena del Marsicana a sinistr-a, la valle del

Sangro, ed il gruppo Camosciara-Monte Petroso, a destra.

- Pescasseroli (1) basi n seen from Monte delle Vitelle. l'\ o te the terraces of Colli Bassi (2) an d Colli Alti (3) o n the left si de of Sangro river where the steep slopes are outlined by reafforestation. The step between the two terraces (5) is due to a fault. To the right (on middle ground) note the Opi structure (4), splitted in two parts by the Sangro furrow. In the back ground the Marsicano rangc (to the left), the Sangro valley

and the Camosciara-Monte Petroso group (to the right) are visible. '

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276 R. COLACICCHI

Bassi,"" e sta su una quota media di 1230-1240 me­tri, con poche oscillazioni dovute a fenomeni erosivi. Fanno eccezione i Colli Alti che formano un netto scalino rispetto ai Colli Bassi e la loro superficie superiore sta sui 1400-1440 metri, decisamente inclinata verso valle. Lo scarto di quota fra questa superficie e quella degli altri terrazzi è dovuto ad una faglia che ha dislocato i conglomerati. In ori­gine quindi anche i Colli Alti avevano la super­ficie superiore continua con quella degli altri affio­

ramenti della piana (fig. 58).

Per stabilire la genesi dei depositi ciottolosi sono interessanti alcune osservazioni fatte nella regione Filatoppa ed ai piedi della faglia del Monte Marsi­carro: qui i banchi conglomeratici si rialzano a ri­dosso del pendio e vi si appoggiano, passando nella parte alta ai breccioni di pendio che abbiamo esa­minato in precedenza. Questa giacitura mostra chiaramente che essi derivano direttamente da co­noidi o falde detritiche che sono scorse verso il basso. La distribuzione su di un'area arrotondata, la presenza di una grossolana stratificazione orizzon­tale ed i limi calcarei associati a torbe fanno rite­nere plausibile che la conca fosse occupata da un lago. A riprova di ciò si può notare che le spalle della gola di Opi stanno ad una quota identica

a quella della superficie superiore dei conglomerati della conca di Pescasseroli, e la struttura morfo­logica di bacino lacustre con la soglia ad Opi salta immediatamente agli occhi.

È stato fatto uno studio sui ciottoli del conglo­merato e sono interessanti i risultati raggiunti ri­guardo alla loro natura e provenienza: le sponde si prestavano piuttosto bene, in quanto a SW del Sangro affiorano solo terreni cretacici, mentre a NE affiorano il Lias e la Formazione della Ter­ratta. È stato osservato che negli affioramenti posti a SW del Sangro (Colli dell'Oro, la Coppa, I Cam­pitelli), i ciottoli sono cretacici al cento per cento, mentre nella zona Colli Alti - Colli Bassi sono pre­senti, con varie percentuali, ciottoli liassici, della Formazione della Terratta, del Cretacico e del

Miocene. Risulta quindi che il maggior apporto si aveva da SSW, e che i materiali cretacici e mio­cenici hanno oltrepassato l'attuale corso del San­gro, mentre quelli liassici e giurassici no. È quindi evidente che i conglomerati in origine dovevano riempire completamente la conca fino alla quota del piano superiore e che la valle attuale è stata scavata in seguito, in relazione con l'erosione della

gola di Opi ed il relativo abbassamento del livello di base del fiume.

Una seconda placca di conglomerato, perfetta­mente simile a quella di Pescasseroli, si trova nella zona della Padura, lungo la strada che dalla statale Marsicana porta a Bisegna e S. Sebastiano. La gia­citura è analoga, solo che la terrazzatura del de­posito conglomeratico è avvenuta sul lato meri­dionale, in corrispondenza della Sorgente della Padura, mentre lungo gli altri lati i conglomerati degradano dolcemente con il pendio originario (o quasi) verso la conca lacustre (ora asciutta) del Campo. In questo caso la provenienza dei ciot­toli è molto chiara: essi derivano dal Vallone di Terraegna e si allargano in una conoide molto piatta; la loro superficie è ad una quota di poco superiore ai 1350 metri per cui sono decisamente più alti di quelli di Pescasseroli. Esiste però una serie di piccoli lembi, sparsi e non continui fra loro, conservati sul fianco destro della valle, i quali hanno le superfici superiori a quote progressivamente minori via via che ci si avvicina a Pescasseroli, fino a raccordarsi con la quota 1250; è da conclu­dere quindi che i conglomerati della Padura fos­sero collegati con quelli di Pescasseroli, cioè che la Valle del Sangro fosse completamente riempita di ciottolami a monte di detta località. L'erosione successiva, legata sempre al taglio della soglia di Opi, avrebbe rimosso una gran parte della coper­tura detritica e riportata la valle pressoché allivello primitivo.

3) - Morenico

Tracce glaciali nella zona rilevata sono molto frequenti, esse si rinvengono in generale sui ver­santi rivolti ad Est e Nord-Est a quote superiori ai 1600 metri. Le forme più evidenti sono date da circhi glaciali profondamente modellati e anche di dimensioni notevoli; alla base di questi circhi si rinvengono costantemente depositi morenici, non molto estesi ma ben marcati. Si tratta in ge­nere di accumuli che sottolineano la soglia del circo o piccole marene stadiali poco al di sotto di essi; talvolta questi depositi sono organizzati in cordoni, piccoli ma con le caratteristiche tipiche perfetta­mente sviluppate (fig. 59).

Le coperture moreniche non formano certo de­positi estesi, ma sono interessanti in quanto indicano come l'azione glaciale nel Quaternario sia giunta a quota non inferiore ai 1500 metri, ma nelle parti più elevate abbia avuto un'azione morfogenetica di portata assai notevole.

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Frc. 59 - Testata della Valle di Corte. La zona sta su una quota di 2000 metri circa, ed ha subito una evidente azione glaciale. I circhi sono ampi, molto elaborati e le creste separatorie sono per la maggior parte scomparse. I depositi morenici (Mo) sono esigui, ma nettamente allineati in cordoni talora molto evidenti. La cresta sulla destra corrisponde alla Serra della Cappella. L- Lias a Palaeodasycladus. FT- Formazione della Terratta. La linea a tratto e punto indica il limite fra le due formazioni; il grosso bancone,

subito sotto al limite, è costituito dalla facies a Lithiotis.

Upper end of <<Valle ~i Cor~e >>. The piace is about 2000 m high, and underwent a marked glacral actwn. The cirques are wide, much worked out and most of the dividing ridges have disappeared. The morainic deposits are scarce but clearly arranged in ramparts and at times very typical in shape. The ridge to the right corresponds to Serra della Cappella. L- Palaeodasy­cladus Lias. FT- Terratta Formation. The dot and line contour indicates the boundary between the two formations. The thick bank just below

the boundary is made up by Lithiotis limestone.

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278 R. COLACICCHI

TETTONICA

La struttura tettonica della zona che stiamo il­lustrando non presenta eccessive difficoltà, una volta che si siano riconosciute e localizzate nello spazio le vane facies descritte nella parte strati­

grafica. N el 1897 il CASSETTI descriveva la faglia che

corre lungo il fiume Profluo e successivamente quella del Giovenco ed altre. La struttura a faglie si delineava chiaramente fin da allora e CREMA nel 1926 confermava le opinioni del CASSETTI affermando che nella zona marsican(l non esiste­vano fenomeni di carreggiamento. Lo stesso FRAN­CHI (1922), sostenitore ad oltranza dei fenomeni traslativi nei Lepini e Simbruini, si dichiarava d'accordo con CREMA e CASSETTI per quanto ri­guardava la Marsica.

La struttura a faglie non è stata messa in dubbio nemmeno da BENEO (1938) il quale precisa che qual­che faglia, considerata come verticale, risulta in realtà leggermente inversa; né da SEGRE (1950) che in un profilo attraverso il M. Marsicana, il M. di Godi e la Rocca di Chiarano interpretò la struttura a mezzo di fratture, calune normali, altre inverse, formanti cunei o gradinate.

Ulteriori studi sulla tettonica della Marsica sono molto recenti. Le prime osservazioni dello scri­vente, riportate da AccoRDI (1963), hanno indivi­duato alcuni fenomeni di sovrascorrimento ano­mali e una certa frequenza di faglie inverse sui ver­santi orientali delle strutture.

In tempi ancora più recenti, la perforazione del Pozzo Trevi, in cui sono state riconosciute rocce mioceniche alla base di una potente serie meso­zoica, ha fatto riprendere in esame il problema delle traslazioni su grande scala. Sullo spunto della perforazione (e di dati di terreno precedenti) sono stati pubblicati tre lavori di AccORDI, PIERI, e FANCELLI-GHELARDONI-PAVAN.

Di questi, gli ultimi tre propongono un'alloc­tonia totale, con masse calcaree galleggianti su un substrato miocenico, affiorante per finestra tetto­nica nei fondi-valle argillosi. AccoRDI e PIERI esprimono invece idee più moderate. Il primo proponendo una teoria di traslazioni ed accavalla­menti differenziali che diminuiscono di entità dal Tirreno all'Adriatico, il secondo con una teoria molto simile ma con una inquadratura più estesa e meno dettagliata che riguarda tutta l'Italia cen­trale.

Per quel che si riferisce alla Marsica, PIERJ se ne occupa solo di sfuggita, mentre F ANCELLI, GHELARDONI e PAVAN pubblicano sezioni e dati particolari su cui purtroppo non possiamo essere d'accordo, e che siamo costretti a rettificare non per amore di polemica ma perché riguardano dati che dovremo usare e che abbiamo controllato per­sonalmente:

A pag. 73, a proposito della struttura del M. Marsicana si dice: <l AccORDI (1964) segnala l'esi­stenza di movimenti anche notevoli a carattere traslativo con rovesciamenti e motivi a pieghe­faglie e faglie inverse che interessano nel loro in­sieme tutta la struttura >>. Nel testo citato si parla invece di faglie inverse e pieghe faglie accoppiate a faglie dirette che determinano rovesciamenti modesti.

A pag. 81 si afferma che secondo BENEO la faglia della Difesa, lungo la Valle del Sagittario, ha una inclinazione di 15° a NE, mentre sia dalla sezione pubblicata dall'Autore suddetto, sia da quanto detto nel testo, risulta chiaramente che la faglia è inclinata di 75°.

A pag. 82 viene ripetuta la stessa inesattezza a proposito della faglia orientale della Val Roveto in corrispondenza di M. Arezzo. Una semplice occhiata sul terreno lungo le due dislocazioni di­mostra con estrema chiarezza che le fratture sono sub-verticali.

Sempre a pag. 82 si dice: << dalle analisi delle situazioni sopra esposte è legittimo pensare che queste strutture calcaree siano delimitate da faglie inverse di immersione contraria tanto sul fianco occidentale che su quello orientale. Se così fosse è chiaro che per estrapolazione geometrica tali faglie dovrebbero incontrarsi a non rilevante pro­fondità determinando una superficie tettonica unica e continua >>. Ciò può essere vero se si esegue la estrapolazione geometrica con un piano di frat­tura di 15°; se invece si opera con un piano di 75°, come è nella realtà, le due fratture si incontrano non prima dei 4.000 metri e i due piani si inter­secano con un angolo molto prossimo ai 90°, per cui i profili della fig. 5 (almeno per quanto riguarda la Marsi ca e la struttura ad Est del Sagittario) sono appoggiati su elementi non conformi ai dati di terreno.

Gli Autori poi non rivelano in base a quali dati abbiano interpretato le strutture poste fra la Valle

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del Liri e quella del Sangro, né come mai nei loro profili abbiano eliminato la faglia subverticale del M. Marsicana che si può seguire (e misurare) per più di 25 chilometri.

Con tutto ciò non si intende rifiutare per prin­cipio l'ipotesi dei tre Autori; ma si resta perplessi, perché se anche i dati delle altre regioni (che non conosco direttamente e quindi non posso control­lare) sono poco attendibili, come abbiamo potuto constatare che lo sono quelli della Marsica, risulta chiaro che tutta l'ipotesi manca di basi.

A.t::OJRDI tratta la Marsica in maniera ben diversa; secondo questo Autore infatti, in questa zona i movimenti di traslazione si sono molto attenuati per cui si hanno spostamenti di qualche chilometro per ciascuna frattura, misura che concorda con i dati della stratigrafia.

Venendo all'illustrazione della tettonica marsi­cana cercherò di esporre i dati di fatto in maniera più imparziale possibile in modo da lasciare al lettore libero giudizio sulle ipotesi che saranno discusse a parte.

FASI PREMIOCENICHE

In questo capitolo si vogliono riunire tutte quelle fasi tettoniche che non hanno lasciato segni palesi nella morfologia attuale della zona, cioè che non sono percepibili direttamente sul terreno, ma di cui si trova traccia nella stratigrafia con variazioni di facies, lacune, trasgressioni, o anche soltanto brusche variazioni dello spessore dei sedimenti.

È difficile in questi casi precisare di che movi­menti si tratta; se siamo davanti a fratture, pieghe o semplici moti epirogenici. Al nostro occhio si mostrano come una serie di variazioni dei rapporti fra fondali di sedimentazione, zona di provenienza dei detriti e livello marino, ed in molti casi è pro­babile che si tratti solo di un cambiamento della velocità di subsidenza.

Queste variazioni si fanno sentire con maggiore intensità nella zona della transizione che già di per sé è instabile, e risente immediatamente dei movimenti anche minimi in quanto causano spo­stamenti di facies e cambiamenti delle condizioni di sedimentazione.

La serie liassica superiore è ricca di livelli arros­sati ed ossidati che testimoniano arresti nella sub­sidenza, taluni locali, altri distribuiti su quasi tutta la regione.

La flora liassica di Prato Rosso a conifere e cicadee, è lì a testimoniare la presenza di una zona

emersa anche se è da escludere che si tratti di una regressione a carattere regionale.

Una fase tettonica ben più evidente ed attiva è dimostrabile al passaggio fra il Lias superiore ed il Dogger. Tutta una vasta zona ad Oriente della linea Profluo-Sagittario passa da una facies di piat­taforma ad una facies di transizione; si ha cioè lo spostamento verso Sud-Ovest dell'orlo della piat­taforma micritica, in seguito all'abbassamento, piuttosto rapido, del fondo marino nella regione ad Est della linea Profluo-Sagittario.

La regione posta a Nord, che già durante il Lias era in facies di transizione (Serra Rufigno ), ac­quista caratteristiche più marcatamente pelagiche, mentre fra la linea del Sagittario e quella dell'alto­Sangro-Giovenco la profondità del mare aumenta leggermente e si sviluppa la facies di scogliera.

Lo spostamento dell'orlo della piattaforma sembra qualcosa di molto più complesso della solita oscil­lazione; si ha un vero movimento differenziale in cui la zolla orientale si abbassa mentre quella oc­cidentale rimane ferma; con tutta probabilità quin­di, si tratta delle prime faglie che si possono indi­viduare nella nostra zona. Questa fase tettonica, tra l'altro, dà la prima impostazione all'allinea­mento NNW -SSE dei limiti delle facies, che si riscontrerà con pochissime variazioni fino al Mio­cene.

Nel Dogger Malm e Neocomiano si possono in­dividuare soltanto piccole oscillazioni che rientrano nelle variazioni della velocità di subsidenza del fondo. Da notare nel Malm una espansione assai ampia verso Oriente della facies organogeno­detritica (Terratta ), probabilmente a causa di un leggero sollevamento. A questo segue però un rapido ritorno alle condizioni precedenti che du­rano per tutto il Neocomiano. Alla fine del Neo­comiano si hanno fasi tettoniche simili a quelle avvenute alla base del Dogger; il bordo della piat­taforma si sposta ancora più ad Occidente, e ciò è testimoniato dal fatto che alla zona organogena di avanscogliera si sovrappone la fascia detritica di scarpata.

La parte superiore del Cretaceo è interessata da una ulteriore fase tettonica piuttosto complessa, e qui le varie zone hanno un comportamento in­dipendente. Sull'orlo della piattaforma alcune la­cune al di sotto del Maestrichtiano indicano pro­babili emersioni o movimenti che hanno provocato frane sottomarine di sedimenti già deposti. Nella zona della Montagna di Godi si solleva ed emerge decisamente un grosso blocco, che viene eroso fino a portare allo scoperto l'Infralias: il movimento è

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di tipo a basculla ed è avvenuto prima del Mae­strichtiano; infatti all'estremo Sud (M. Mattone), il calcare cristallino ad orbitoidi trasgredisce sulle dolomie infraliassiche, mentre spostandosi verso Nord, poggia su terreni sempre più recenti fino ad essere in continuità di sedimentazione proprio in corrispondenza della vetta del M. Godi.

La zona del Godi sembra tettonicamente indi­pendente da quella, pur vicinissima, del Marsicano che non risente di questo movimento e di conse­guenza è da pensare che la dislocazione sia avve­nuta per faglia.

Anche nella zona orientale, più v1cma all'am­biente pelagico, l'emersione della << Scaglia>> si deve riferire probabilmente a questo stesso periodo, ma non possiamo affermarlo con sicurezza perché la superficie di erosione è coperta da sedimenti eoce­nici e quindi il movimento potrebbe essere anche più tardo. Anche qui la dislocazione è limitata alla parte meridionale, perché più a Nord la << Sca­glia>> è seguita regolarmente dal <<Calcare cristal­lino>>. Nella zona di piattaforma, nel Cenomaniano, una oscillazione del fondo marino causa l'emersione corrispondente alle bauxiti e la successiva trasgres­sione.

Ancora una tendenza all'emersione si riscontra in corrispondenza del Paleocene; in molte zone mancano i sedimenti di questo periodo, mentre in altre si ritorna a facies organogene che si sovrap­pongono a quelle detritiche del <<Calcare cristal­lino >>. Individuare movimenti tettonici durante il Paleocene, Eocene ed Oligocene è impossibile salvo casi particolari, in quanto gli affioramenti sono troppo sporadici e di facies variabile tanto da rendere estremamente insicure anche le correla­zioni stratigrafiche. Gli unici dati che abbiamo a disposizione sono i seguenti: durante l'Eocene doveva esistere una dorsale allungata probabil­mente in direzione E-W che separava i due bacini della zona di Sulmona a Nord e della zona di Set­tefrati a Sud. La dorsale era emersa ed è stata sog­getta ad una erosione fortissima che ha raggiunto il tetto del Giura. La separazione dei due bacini ha perdurato fino al Miocene inferiore. Nei pressi di Venere il limite del bacino eocenico era rappre­sentato da una superficie netta, probabilmente una faglia, contro cui si sedimentavano i vari termini terziari.

All'inizio dell'Elveziano si ha una generale tra­sgressione che ristabilisce l'uniformità di facies su tutto il territorio studiato; e dopo questo movi­mento si passa alle fasi di massimo sollevamento della catena appenninica, che hanno costituito il

substrato strutturale della morfologia della zona, e che saranno esaminate quindi nel capitolo suc­

cesslvo.

FASI RECENTI

Come abbiamo accennato nella parte introdut­tiva alla tettonica, le dislocazioni principali sono avvenute per faglia e ciò è abbastanza logico dato che le litologie prevalenti sono costituite da calcari massicci che mal si adattano al piegamento. Alcuni fenomeni plicativi sono presenti nella parte orien­tale ove, nella zona di transizione, la fitta stratifi­cazione di alcuni orizzonti e le intercalazioni argil­lose permettono alle rocce un comportamento plastico. Comunque anche questi episodi plicativi sono subordinati e in genere associati, quali feno­meni secondari, alle faglie.

Tenendo conto delle caratteristiche superficiali più evidenti, e senza entrare per ora in merito al problema delle traslazioni, possiamo individuare, nella zona in esame, i seguenti elementi strutturali:

l) Bordo Est del Fucino. 2) Struttura del Morrone del Diavolo - Colle

d'Arienzo. 3) Linea Alto Sangro - Giovenco. 4) Struttura M. Marsicana - M. Terratta -

M. Miglio. 5) Linea Profluo - Sagittario. 6) Elemento tettonico del M. Godi - Mon-

tagna di Preccia - M. della Rovere. 7) Struttura Rocca Chiarano - Serra Pantanella. 8) Struttura Serra Sparvera - M. Genzana. 9) Linea del Sangro (da non confondere con

l'Alto Sangro-Giovenco), al limite meridio­nale della zona studiata.

l O) Struttura di Opi.

Bordo Est del Fucino

Il bordo che si affaccia sull'alveo del Fucino da E, delimitato dagli abitati di Pescina, S. Benedetto dei Marsi e Gioia dei Marsi mostra una struttura a blocchi fagliati fondamentalmente semplice, in cui le faglie dirette hanno andamento NW -SE e il labbro Nord-Est rialzato, mentre i blocchi che così si determinano sono basculati di poco ed in­clinati leggermente verso Nord-Est.

Alcune complicazioni sorgono nei riguardi delle numerose piccole fratture che accompagnano le linee principali, ma la struttura fondamentale è chiaramente delineata dalla faglia Sperone-Gioia e da quella del M. Parasano (fig. 60). La prima

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GEOLOGIA DELLA MARS!CA ORIENTALE 281

FIG. 60 - Faglia del Monte Parasano (diretta NW-SE) vista da Sud. Evidente il <<ringiovanimento>> della frattura con messa a nudo del liscione, in seguito al terremoto del 1915. '

- The Monte Parasano fault. The fault piane, viewed from the South, strikes NW-SE. Note the << rejuvenation >> of the fracture due to the earthquake of 1915, which has uncovered the slickenside.

è costituita da una dislocazione con andamento medio appenninico, tendente ad E-W nei pressi di Sperone, poi volta decisamente a NW, ricono­scibile lungo un allineamento che supera i 3 chilometri; la frattura si individua nei pressi dello abitato di Sperone, corre lungo il versante sud­ovest del Serrone indi scompare coperta dalle allu­vioni che sboccavano nel Fucino per riapparire nei pressi di Venere, alla base di Colle Cerese. Più oltre la faglia è definitivamente coperta dalle allu­vioni del Fucino ma, con ogni probabilità, conti­nua dall'altra parte della conca con la grande frat­tura isorientata che da Celano prosegue per la piana di Ovindoli. La prosecuzione sembra sia stata accertata durante il terremoto del 1915, in cui entro la pianura alluvionale si aprirono frat­ture allineate lungo la direzione della Sperone­Gioia e della Celano-Ovindoli. La faglia è diretta, fortemente inclinata verso SW tanto da arrivare in certi punti alla verticale. Il rigetto aumenta da Sperone verso NW e nella zona in cui borda il Fucino si aggira sui 400 metri.

L'importanza di questa frattura sta nel fatto che essa taglia la struttura del Morrone del Diavolo ed è una delle responsabili della formazione della fossa tettonica che ha costituito l'alveo del lago del Fucino. Fra la linea Sperone-Gioia e quella del Parasano si incontrano altre fratture minori, come quella del M. Tricella che ha il medesimo effetto.

Faglia del M. Parasano - Parallela alla prece­dente e di aspetto identico, questa frattura è inte­ressante perché mostra con evidenza un fenomeno

assai comune nella Marsica. La faglia è segnata a metà costa da liscioni molto evidenti, liberi per un'altezza di un metro circa, cui si appoggiano detriti che vengono man mano asportati dall'ero­sione meteorica (fig. 60). Sembra che questi li­scioni siano stati portati allo scoperto durante (o in seguito) il terremoto del 1915. È possibile che si sia avuto un vero e proprio ringiovanimento della frattura, come pure può darsi che siano ca­duti in parte i detriti che, appoggiati alliscione, lo coprivano; ma la prima ipotesi sembra più atten­dibile in quanto il liscione scoperto è ben visibile in quasi tutte le grandi faglie verticali, anche quando i detriti e le brecce appoggiati allo specchio sono duri, cementati, e non facilmente scalzabili dal­l' erosione. Il rigetto della faglia del Parasano (che nella realtà è suddivisa in due vicarianti) si aggira sui 450 metri nel punto massimo, e l'effetto, come si è detto, è identico alla precedente.

Struttura del Morrone del Diavolo - Colle d'Arienzo

Questa struttura è costituita dal lungo crinale che dal Morrone del Diavolo (subito ad Est del­l'omonimo passo, lungo la statale Marsicana) si dirige verso NNW, indi verso Nord culminando nelle cime di Colle Bernardo, Colle d'Arienzo e Colle Antera. Si tratta di un'unità tettonica diversa da quelle che vedremo in seguito e con caratteristiche strutturali tutt'affatto particolari; essa infatti verge ad Occidente.

N ella parte meridionale (lungo lo sperone di Montagnana) si può riconoscere una monoclinale

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immersa verso Occidente che, come si potrà consta­tare poi, costituisce la gamba occidentale di un'anti­clinale. Procedendo verso Nord si rende visibile anche la gamba orientale nettamente meno incli­nata. Poi la struttura si rovescia verso Ovest ed in corrispondenza del Morrone del Diavolo è chiara­mente sovrascorsa. Da questo punto, fino ad oltre Gioia Vecchio, sul versante occidentale del crinale, si ha una struttura rovesciata immergente verso Oriente di 40°-60°. Il rovesciamento è messo in evidenza dalla sovrapposizione del calcare cretacico a quello miocenico, ambedue sovrascorsi (non è possibile dire quanto) sulle argille tortoniane.

Sul versante orientale del crinale, dal Morrone del Diavolo fino all'altezza di Gioia Vecchio, si

hanno strati immergenti ad Oriente ma non siamo riusciti a controllare se siano dritti o rovesciati, perché manca il Miocene e non è assolutamente possibile seguire la stratificazione, pressoché indi­stinta. Più a Nord, quando riappare il Miocene, si può constatare che gli strati sono dritti. Poco a Sud di Colle Bernardo il rovesciamento occiden­tale sparisce, gli strati della gamba Ovest tornano alla verticale; la struttura riprende la forma del­l'anticlinale fortemente asimmetrica che avevamo riscontrato nella parte meridionale della struttura (fig. 61 ).

In corrispondenza della Forca di San Sebastiano la struttura subisce una dislocazione a causa di una frattura orientata circa E-W (secondo BENEO, 1949, questa è il prolungamento della faglia Sperone­Gioia); a Nord della Forca infatti essa èpiùsolle-

vata e spostata leggermente verso Occidente nella sua parte frontale. L'asimmetria rimane sempre evidente con immersioni di 60°-75° ad Ovest e di 30o-4Qo ad Est. Oltrepassato Colle d'Arienzo l'af­fioramento di calcare cretacico, che fa da nucleo all'anticlinale, diviene sempre più esiguo, l'asse si immerge verso Nord e, nei pressi dell'abitato di Aschi, l'anticlinale, che conserva sempre la sua asimmetria, sparisce, interrotta da alcune fratture ad andamento normale all'asse.

Per concludere, la struttura si può inquadrare come un'anticlinale asimmetrica, vergente ad Est, rovesciata e sovrascorsa nella sua parte centrale. Se la dislocazione della Forca di San Sebastiano è realmente imputabile alla faglia Sperone-Gioia,

FIG. 61 - Fianco occidentale della struttura del Morrone del Diavolo, nei pressi di Aschi. In questo punto è visibile la gamba più inclinata dell'an­ticlinale asimmetrica, con strati che si avvicinano alla verticale (al centro della figura). Una la­minazione secondaria, indotta dalla spinta verso Occidente (destra) simula una stratifìca­zione inclinata di pochi gradi

verso sinistra.

- Western side of the << Mor­rone del Diavolo >> structure, near Aschi. Note in this place the more dipping limb of the asymmetric anticline, and the nearly vertical beds (middle of the photo). A secondary la­mination caused by the west­ward (right) stress, looks as some beds dipping few grades

to the left.

come sembra probabile, si può affermare che l'anti­clinale è anteriore alla frattura del bordo del Fuci­no. La vergenza ad Occidente è assolutamente insolita e la spiegazione sarà cercata nell'inquadra­mento tettonico generale conclusivo.

Linea alto Sangro - Giovenco

Questo allineamento è costituito da una grossa faglia diretta che borda ad Oriente la valle del San­gro a monte di Pescasseroli, indi prosegue verso Nord sul lato destro della valle del Giovenco: in totale si segue per circa 25 chilometri. Il piano è diretto N -S nella parte settentrionale, mentre gira verso NW-SE, poi W-E all'estremo Sud; è subverticale con scostamenti non superiori ai 10°-15° sia verso Occidente che verso Oriente

'

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GEOLOGIA DELLA MARSICA ORIENTALE 283

tanto che se osservata per breve tratto, potrebbe anche essere considerata inversa. Il liscione è visi­bile in parecchi punti e presenta anch'esso la traccia del ringiovanimento come al Parasano. Il labbro orientale è rialzato ed il rigetto, anche se molto variabile, è enorme: circa 3000 metri in corrispon­denza del M. Marsicano ove vengono a contatto le dolomie infraliassiche con le argille mioceniche. Verso Nord diminuisce ma, nella zona di Bisegna, si aggira ancora sui l 500 metri; e soltanto dopo aver oltrepassato Ortona dei Marsi, circa all'altezza del Valico di Carrito, il rigetto diviene minimo e la frattura scompare gradualmente.

La terminazione meridionale è più brusca; dalla zona di massimo rigetto il piano di faglia sembra girare in direzione E-W; si dispone quasi parallelo alla valle del Sangro e così delimita, troncandola a Sud, la struttura del M. Marsicano. È probabile che in origine si trattasse di due fratture poste pres­soché ad angolo retto, che però durante il solleva­mento si sono fuse, dando una superficie che sem­bra continua. L'andamento della frattura non è molto rettilineo, essa presenta notevoli ondulazioni specialmente in corrispondenza dell'innesto di frat­ture secondarie. Queste, che fanno parte della strut­tura Marsicano - Terratta - Miglio, hanno dire­zione NW-SE e quindi incontrano la frattura prin­cipale con un angolo in media di una trentina di gradi. In vicinanza di essa però tendono a girare in direzione Nord e l'innesto avviene sotto un an­golo minore. Queste faglie secondarie delimitano blocchi che talvolta sono leggermente avanzati, talora arretrati a seconda del gioco della frattura e determinano così l'andamento ondulato della linea principale.

Come tutte le fratture a grande spostamento anche la linea Alto Sangro - Giovenco non è costi­tuita da un piano unico ; in molti casi si tratta di innumerevoli piani paralleli che hanno milonitizzato la roccia per uno spessore di una cinquantina di metri (fig. 62). Lungo la parte alta del Fosso Vandra la frattura interessa le dolomie che sono state completamente polverizzate e sotto l'azione degli agenti meteorici danno origine a forme calan­coidi. Alla base di M. Calanga, nella zona di Campo­mizzo ed a Bisegna, la frattura ha rialzato lame di terreni più recenti ( eocenici nel primo caso, creta­cici inferiori nel secondo e terzo) (fig. 63, 64) che, notevolmente fratturati, si rinvengono attaccati al liscione principale.

La faglia che abbiamo illustrato rappresenta senza dubbio l'aspetto più appariscente della linea Alto Sangro - Giovenco ma lungo lo stesso allineamento

FIG. 62 - Regione Filatoppa, alla base occidentale del Monte Marsicano. Dolomie infraliassiche milonitizzate dalla faglia alto Sangro-Giovenco. Si vede chiaramente la laminazione fittissima ad andamento subverticale (75° ad W), parallela al piano della frattura suddetta; mentre è a mala pena riconoscibile la stratificazione,

inclinata di circa 30° verso la destra.

- Filatoppa Region, at the Western basis of Monte Marsicano. Infralias dolomites milonitized by the <<alto Sangro-Giovenco >> fault. I t is clearly visible a very dense lamination with a subvertical trend (75° to the W est) parallel to the strike of the mentioned fault, while the beds (dipping about 30° to the right) are hardly

recognizable.

esistono altri fenomeni che sono forse più interes­santi della frattura descritta. Intanto essa coincide con una linea di facies: segna il contatto fra l'am­biente di piattaforma e quello di scogliera dal Dogger al Barremiano, e nella parte meridionale fino all'Albiano, mentre più a Nord, durante l' Ap­tiano e l'Albiano, individua il limite fra la facies di transizione interna e quella di soglia.

Paragonando con cura gli ambienti si può consta­tare che durante il Dogger-Malm e Neocomiano il passaggio fra la facies di piattaforma e quella di scogliera è brusco e manca la zona corrispondente alla transizione interna. Nel Cretacico medio e superiore si passa dalla facies di piattaforma a quella del <<Calcare cristallino>> (che può individuarsi sulla parte alta della scarpata); mancano quindi la tran-

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284 R. COLACICCHI

FIG. 63 - Zona di Campomizzo. Una delle lame calcaree cretaciche rialzate dalla faglia alto Sangro-Giovenco. Sono evidenti lo stato di intensa fratturazione e le superfici laminate e striate che limitano la lama. In secondo piano il mate­

riale biancastro è costituito da dolomie infraliassiche milonitizzate e ridotte allo stato di sabbioni.

- Campomizzo Region. One of the Cretaceous calcareous slabs ejected by the <~ alto Sangro-Giovenco >> fault. The rock was evidently affected by an intense milonitization: the surfaces are qui te laminated and streaked. The whitish

materia!, in the middle ground, is infraliassic dolomite which has been milonitized and grinded to a coarse sand.

sizione interna e la facies recifale che dovevano esi­stere in quanto da qui arrivavano i detriti che co­stituivano il <<cristallino>>. Nella parte più settentrio­nale, a Nord della linea Aschi - S. Benedetto dei

Marsi, la facies di transizione interna ricompare, ma manca comunque l'ambiente organogeno-recifale.

Questa elisione di termini stratigrafici, che pur dovevano esistere, lascia supporre che lungo l'al-

FIG. 64 - Bisegna: lama cal­carea cretacica rialzata dalla faglia alto Sangro-Giovenco. Il blocco, su cui è costruito l'abi­tato di Bisegna, ha dimensioni maggiori rispetto agli altri, di conseguenza è meno fratturato. Fra il blocco e la frattura vera e propria (che decorre paralle­lamente alla strada sulla sinistra della figura), esiste una spal­matura di argille tortoniane che forma un piccolo ripiano. Le rocce dislocate dalla frattura principale appartengono alla

Formazione della Terratta.

- Bisegna: Cretaceous calca­reous slab ejected by the <~ alto Sangro-Giovenco >> fault. The Bisegna village is built on the mentioned slab which is larger than the other ones, and so it is less crushed. Between this block and the proper fault

11...., piane (whose trend is parallel to the road on the left of the

photo) there is a smearing of Tortonian clay. The rock displaced by the main fracture belongs to the Terratta Formation.

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lineamento alto Sangro - Giovenco vi sia un acca­vallamento tettonico che ha ravvicinato le facies più lontane. Tra l'altro si può osservare che la lama cretacica sollevata dalla grande faglia a Campo­mizzo indica proprio una facies intermedia fra quella del Morrone del Diavolo ed il << Cristallino )) ; quindi i passaggi dovrebbero esistere anche se sepolti. La strana vergenza della struttura del Morrone del Diavolo, inspiegabile data la generale tendenza tettonica della regione, diventerebbe più plausibile se si potesse interpretare come un fenomeno se­~~ndario relativo ad un fronte di dimensioni mag­giori sovrascorso verso Oriente. Nessun indizio diretto si ha sul terreno di questo eventuale rac­corciamento e quindi è probabile che se esiste esso giaccia a profondità notevole.

Struttura M. Marsicano - M. Terratta - M. Miglio

La linea dell'alto Sangro - Giovenco delimita una grossa struttura sempre ad allineamento NNW­SSE che dal M. Marsicano si spinge verso Setten­trione e comprende la vetta di M. Terratta - M. Argatone - M. Miglio - M. Mezzana, e, su un cri­nale parallelo spostato più ad Occidente, la Serra della Cappella, il M. Palombo, ed il M. Pietra Gentile.

La struttura è rialzata ad Occidente ed immerge verso Oriente con inclinazione variabile ma sempre marcata. Il limite orientale è costituito da una linea di accavallamento (la linea Profluo - Sagittario) che è però sdoppiata in due vicarianti le quali complicano l'andamento del margine. Cosicché a Sud, fra il limite della struttura in esame e la linea di accavallamento, si frappone, con un collegamento a sinclinale, l'unità tettonica della Montagna di Godi, mentre più a Nord il margine è segnato proprio dalla linea di sovrascorrimento; ma di questo si parlerà più avanti. Per concludere quindi il limite va posto lungo la sinclinale (Val Ciavolara - Valle del Tasso) e poi poco ad Est del Sagittario. La struttura nel suo complesso può essere quindi interpretata come un cuneo asimmetrico vergente ad Oriente.

Naturalmente non si tratta di un blocco umco; numerose faglie con andamento appenninico ne spezzano l'unità e, salvo poche eccezioni, sono più fitte sul lato occidentale, sono dirette, ed hanno il bordo orientale rialzato formando così una gradi­nata. Le più evidenti sono quelle che sbloccano il Monte Palombo, ed il fascio che, passando lungo la valle di Terraegna, isola l'allineamento principale

da quello più orientale di M. Palombo, M. Pietra Gentile.

Queste fratture secondarie hanno il loro rigetto maggiore nella parte centro-occidentale della strut­tura, mentre si annullano, o diventano di impor­tanza assai secondaria, al limite Nord e Sud. Questo fatto amplia nella zona centrale gli affioramenti della formazione della Terratta ed aumenta l'am­piezza della struttura, cosicché essa ha sulla carta un andamento amigdaloide con l'asse maggiore allineato NNW-SSE. Oltre che dalle fratture cen­trali, l'andamento amigdaloide è provocato dalla maggiore potenza che assume di per sé la forma­zione della Terratta in corrispondenza della sezione tipo (M. del Carapale). Abbiamo già parlato della irregolarità che queste fratture provocano allorché si innestano sulla dislocazione principale della linea alto Sangro - Giovenco ed esse sono chiaramente visibili sulla carta tettonica.

Altro particolare interessante è dato dalla incli­nazione degli strati che, piuttosto blanda al margine occidentale (vicino alla faglia), aumenta gradual­mente fino a portarsi vicina alla verticale in corri­spondenza della Valle del Sagittario. Questo anda­mento potrebbe essere considerato come una piega frontale dovuta ad un sovrascorrimento ma, a mio giudizio, le dimensioni sono eccessive in quanto la piega interessa tutta la struttura e sul fronte gli indizi sono piuttosto di dislocazioni per faglia che di fenomeni plicativi.

Linea Profl.uo - Sagittario ed elemento tet­tonico del Monte Godi - Montagna di Prec­cia - Monte della Rovere

Il limite orientale della struttura del Marsicano è costituito da una linea di accavallamento, con ver­genza ad Oriente, derivante dallo stiramento di un fianco di una anticlinale (o dalla rottura sulla cer­niera della sinclinale continua). Questa direttrice tettonica ad andamento NNW-SSE è sdoppiata in due linee vicarianti che si potrebbero definire linea Val Ciavolara - Tasso - Sagittario quella più occidentale, e Profluo - Vallone Masserie quella orientale; esse sono distanziate fra di loro in media di un paio di chilometri ed una si smorza verso Nord e l'altra verso Sud. Le prove dell'accavalla­mento non sono moltissime ma in alcuni punti piuttosto evidenti.

Le due vicarianti delimitano l'elemento tettonico del Monte Godi, Montagna di Preccia, Monte della Rovere che, a seconda dell'azione delle due linee, risulta legato alle strutture occidentali a Sud ed a

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quelle orientali a Nord. La vicariante occidentale è quella che in realtà delimita la struttura del Mar­sicana; essa a Nord è allineata secondo la valle del Sagittario, salvo alcune deviazioni che la spo­stano bruscamente. Verso Sud essa scorre in cor­rispondenza del torrente Tasso e poi della Val Ciavolara.

Anche senza tener conto dell'andamento degli strati nella struttura immediatamente ad Occidente, che potrebbe forse costituire una piega frontale, la prova di accavallamento si ha sulla sponda occi­dentale del lago di Scanno ove i calcari della << For­mazione della Terratta >>, sormontati dal calcare miocenico trasgressivo, sono spinti sopra le argille tortoniane. Proprio sulla sponda del lago, questo piano si sdoppia dando origine ad una scaglia cuneiforme (una specie di piccolo cuneo listrico) che risulta spinta più in avanti ma non comple­tamente enucleata (fig. 65). Più a nord, in corri­spondenza del Ponte Reniccio, alla Cava di Rena, una parallela, arretrata rispetto alla frattura princi­pale; mostra un piano inclinato di circa 40°-4So ad Est su cui è risalito il lato occidentale come appare evidentissimo dalle striature del liscione. Una fascia di milonite di una decina di metri e più accompagna la faglia che è stata resa evidente proprio dalla estrazione di questo materiale brec­ciato. Fra Castrovalva ed Anversa non sono più reperibili tracce dirette di sovrascorrimento, ma qui gli strati sono raddrizzati fino alla verticale, inoltre la serie stratigrafica comprende termini paleocenico-terziari stratificati che probabilmente hanno seguito il movimento senza dare una rottura netta. In questa zona la direttrice tettonica si man­tiene piuttosto spostata ad Oriente rispetto alla valle del Sagittario, ma circa a metà strada fra Ca­strovalva e Villalago una dislocazione trasversale la sposta verso Occidente di circa un chilometro, portandola nei pressi del corso del fiume ed accen­tuando l'inclinazione degli strati fino alla verti­cale. Questa frattura trasversale corrisponde con la fine della struttura intermedia posta fra le due vicarianti. Non sono ben chiari l'entità ed il pro­lungamento della linea trasversale in quanto non è stato possibile individuarli né ad Est né ad Ovest, ma con ogni probabilità essa rappresenta uno sbloc­camento che ha permesso alla parte settentrionale di avanzare di più verso Oriente.

Proseguendo verso Sud, vicino a Scanno, la linea è coperta da breccioni di pendio cementati, molto estesi e potenti, ma lungo la valle del Tasso gli strati cretacici della struttura del Marsicana, im­mergenti ad Est, vengono a contatto diretto (ma

la sovrapposizione non si vede) con le argille mioce­niche. Qui, se esiste ancora, l'accavallamento deve essere assai limitato dato che proprio sulla testata della valle del Tasso esiste un affioramento in cui è visibile la serie continua dalla trasgressione mio­cenica alle argille.

In Val Ciavolara la linea corrisponde alla cerniera di una sinclinale leggermente asimmetrica che collega la struttura del Marsicana con quella della Montagna di Godi. La continuità della cerniera è visibile lungo la parte alta della valle.

La struttura del Godi è quindi continua con quella del Marsicana ed è costituita da un blocco immergente ad Occidente e rialzato ad Est. In realtà fra la sinclinale della Val Ciavolara e la Mon­tagna di Godi esiste una frattura, allineata circa N-S, corrispondente alla Val Rapino. Si tratta di una faglia diretta a piano subverticale che ha rial­zato la cresta del Colle di Mezzo - Colle Ferroio rispetto alla Montagna di Godi. Non è una frattura molto importante, infatti il suo rigetto, piuttosto notevole al limite della valle del Sangro, diminuisce rapidamente verso Nord tanto che all'altezza della vetta del Monte Godi la faglia scompare. Verso Oriente la piccola struttura del Godi è rialzata ed accavallata sulle argille mioceniche secondo una faglia inversa inclinata di circa 3(}0 ad Ovest, che costituisce la linea del Profluo, vicariante orientale della Profluo-Sagittario. Questa è ben visibile nei pressi di Villetta Barrea ove le dolomie dell'lnfralias sono sovrapposte alle argille mioceniche; più a Nord una spessa coltre di detrito copre il contatto ma in corrispondenza della valle in cui ha inizio la strada che porta in Valle Orsara, e più avanti in contrada Mimola, il limite fra le argille ed il Meso­zoico si inflette in corrispondenza delle depressioni, con l'andamento tipico di una faglia inversa ad inclinazione debole. È sempre il lato occidentale più antico che sovrascorre sulle argille mioceniche, e questa situazione si riconosce lungo tutto il vallone delle Masserie ove il contatto prende un andamento rettilineo, il che fa pensare che il piano di movimento si porti più vicino alla verticale. Del resto siamo all'altezza di Scanno e quindi l'impor­tanza di questa linea diminuisce mentre man mano aumenta quella della vicariante occidentale che abbiamo descritto in precedenza. L'elemento tet­tonico isolato tra le due linee ha qui una disposizione monoclinalica unitaria con immersione occidentale e comprende, a Nord del Monte Godi, la Serra Cavallo Morto e la Montagna di Freccia.

All'altezza del Colle di Caccialepre si ha l'in­contro della nostra direttrice con la faglia diretta

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FIG. 65 - Il lago di Scanno e la valle del Sagittario visti dal Colle di S. Egidio (da Sud). Sulla sinistra i contrafforti della Serra della Terratta, sulla destra le pendici occidentali del Monte Genzana. 1 : Lago di Scanno. 2: Monte della Rovere. 3: Monte Cona. 4: Frattura. 5: Cresta del Colle di S. Egidio. A-A: Linea del Sagittario. B-B: Vi cariante della precedente che con essa dà origine alla scaglia sovraspinta (S). C: Faglia del Monte Genzana - Difesa. FT: Formazione della Terratta. PE: Serie Paleocene-Eocene. Ma: Mar­noso-arenacea. L T: Lias in facies di transizione. Le

frecce indicano l'immersione media degli strati. / - ~ ~ ~---- ~"oo_-~~ 4 ~~v-- 'D' /}!'1:. l -~,fi''~i'g_):~ ~-;:-:. _:Y ,.;:;? .

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- - The Scanno lake and the Sagittario valley seen from S. Egidio hill, i.e. from the South. To the left the spurs of Serra della Terratta, to the right the Western slopes ()f Monte Genzana. 1 : Scanno lake. 2: Monte della Rovere. 3: Monte Cona. 4: Frattura. 5: ridge of Colle di S. Egidio. A-A: Sagittario line. B :B Line alternate with the preceding one; both of them origi­nate the slightly overthrust listric wedge (S). C: Monte Genzana - Difesa fault. FT: Terratta Formation. PE: Paleocene-Eocene ~eries. Ma: Marnoso-arenacea formation. L T: Lias t:ransition facies. Arrows indi-

cate the average dip of the beds.

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FIG. 66 - Blocco diagramma schematico della zona relativa alla linea Profluo-Sagittario ed all'elemento tettonico del M. Godi, M. di Preccia, M. della Rovere. La linea tettonica è sdoppiata in due vi carianti: a sinistra la sinclinale della Val Ciavolara che si stringe verso Nord e passa ad una piega-faglia indi ad una faglia decisamente inversa con tendenza a sovrascorrere, entro la valle del Sagittario. Al centro-destra la linea del Profluo costituita da una faglia inversa ad inclinazione media che prima è diretta verso Nord, poi gira verso NW e si annulla contro la faglia diretta della Serra Sparvera - Monte Genzana. Fra le due linee è situata la struttura del M. Godi, Montagna di Preccia, M. della Rovere. A Sud essa è legata alle masse occidentali ed accavallata sulla struttura della Serra Pantanella - Rocca di Chiarano. Pro­cedendo verso Nord essa fronteggia la struttura Sparvera-Genzana, poi vi si appoggia, mentre prende maggior importanza il sovrascorrimento della linea del Sagittario. Oltre il Monte della Rovere la struttura termina bruscamente troncata da una frattura trasversale e scompare, mentre la linea del Sagittario viene spostata più ad Est e la struttura occidentale avanza. La faglia Sparvera - Genzana è spezzata da alcune trasversali ad andamento antiappenninico, e mostra alcune torsioni che in alcuni punti la trasformano in una flessura appena lacerata. 1 - Val Ciavolara; 2 - Val Rapino con la fa­glia diretta; 3 - M. Mattone; 4 - Serra Pantanella; 5 - M. Forcone sulla struttura Marsicano - Terratta - Miglio; 6 -M. Godi; 7- Serra Sparvera; 8 - Montagna di Preccia; 9 - Lago di Scanno entro la valle del Sagittario; 10- M. Ter­ratta; 11 -M. Genzana; 12- M. della Rovere; 13 -La Difesa. L'allungamento in profondità del blocco diagramma è

di circa 25 chilometri; la distanza fra A e B è di 20 chilometri circa, quella fra C e D è di 1 O chilometri. - Block diagram of the zone of Profluo - Sagittario line, and M. Godi - M. di Preccia - M. della Rovere ridge. The tectonic line is splitted in two alternated faults. T o the left the Val Ciavolara sincline which becomes more and more narrow, and then passes to a thrust piane. In the center-right there is the Profluo line constituted by a reverse fault which at first strikes N-S, then it turns towards the NW, and disappears, joining with the norma! Serra Sparvera-M. Genzana fault. The structure of M. Godi- M.gna di Preccia- M. della Rovere is placed between the two lines. At its Southern end i t is joined to the western masses, and overthrust on the Serra Pantanella- Rocca Chiarano ridge. Going towards the North it is placed in front to the Sparvera - Genzana structure, then Jeans to it. Beyond M. della Rovere the structure is sharply cut by a transverse fault and disappears. In the same piace the Sagittario line is displaced East­ward. The Sparvera - Genzana fault is displaced by some antiapennine faults and beds show some torsion so that the fault in some places becomes a flexure. The lenght of the block diagram is about 25 Km.; distance between A an d B

is about 20 Km.; distance between C and D is 10 Km. For numbers see the Italian text.

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FIG. 67 - Versante orientale della Serra di Rocca Chiarano. La scarpata è dovuta ad una faglia ma non sono visibili liscioni che ne facciano giudicare l'immer­sione. Sono evi~enti sulla parete le intercalazioni calcirudit!che che danno origine. a cornici verticali, mentre i livelli pelagici costitui~c<mo ripiani morfologici. Su questo versante e stata campwn8ta la seziOne della Rocca dt Chtarano. In pnmo ptano suolo ad elaborazwne glactale e ptccoh ammassi rnorenici. - Eastern slope of the Serra di Rocca Chiarano ridge. The slope is due to a fault but are not visible slickensides accounting for dip. Note on the wall the interbedded calcirudite banks which originate ledges, while the pelagic levels give piace to morphologic terraces. On thts slope th<· Rocca Chiarano stratigraphic section has

been sampled. In the foreground, glaciated soil ami small moraine deposits.

Frc;. 68 - La Serra di Rocca Chiarano (a destra) ed il l\1onte. Greco (a sin_istra) v.isti da N\\'. Le due monoclinali sono rialzate ad Oriente ed immergono ad Ovest, separate da una frattura. Il fondo valle, verso la smtstra della figura, e coperto da cordom moremct, ptccoh, molto .fi~tt ed elaborati.

- The Serra di Rocca Chiarano (to the right) and the 1\Ionte Greco (to the left) ridi-(es Yiewcd fr?m ::'\\\'. The two monoclmes, dtvlded by a fracture, are uplifted to he East and dip westward. The bottom of the valley, towards the left ot the photo, ts covered by dense, elaborated, srr1all morainc ramparts.

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del Monte Genzana; si ha quindi una zona di fortissima fratturazione con blocchi isolati e giustapposti che rendono assolutamente impossi­bile capire in dettaglio quali siano le varie fratture ed i movimenti relativi.

Oltrepassata la zona di fratturazione (oltre il Vallone delle Croci) la linea del Profluo non è più visibile: in effetti essa si addossa alla faglia del Genzana, come dimostra la prosecuzione della struttura intermedia che, in corrispondenza di Frattura e del Monte della Rovere, viene a trovarsi appoggiata alla nuova dislocazione.

Subito a Nord del Monte della Rovere una frat­tura tronca la struttura intermedia spostando verso Oriente la linea del Sagittario che viene così a tro­varsi di fronte alla faglia Difesa - Genzana. Questo spostamento in pianta sembra avvenuto per una frattura a rigetto orizzontale (Wrench fault) e pro­babilmente rappresenta, come già si è accennato, la linea di discontinuità che ha permesso alla fronte di spostarsi più avanti nella zona settentrionale, essendo stato definitivamente eliminato l'elemento intermedio.

Tutto l'allineamento del Godi - Preccia - Ro­vere non ha, salvo nella parte più meridionale, il carattere di una vera e propria struttura unitaria, ma è il risultato dello sdoppiarsi di una direttrice tettonica piuttosto importante in due vicarianti. Na­turalmente tanto lungo la Montagna di Godi quanto alla Montagna di Preccia numerose fratture trasversali sezionano la unità della struttura: esse hanno in genere andamento appenninico e spo­stano leggermente la frattura principale, eccetto che sulla Montagna di Godi ove hanno un anda­mento decisamente E-W e talora ESE-WSW e non è possibile controllare se interessino o meno la linea del Profluo.

Tanto la struttura del Godi che la linea del Profluo si prolungano a Sud del Sangro. La prima corrisponde alle tre alture Colle S. Maria, Colle S. !anni e la Difesa. Qui gli strati che sulle falde del Monte Mattone erano inclinati ad Ovest cam­biano gradualmente direzione e vengono ad im­mergere prima verso SW (al Colle S. Maria), poi a SSW (Colle S. !anni e la Difesa); la struttura termina così, con un andamento che si potrebbe definire a semipericlinale, immediatamente a Sud dei colli che abbiamo citato. La linea del Profluo si ritrova nei pressi di Civitella Alfedena ed ha sem­pre l'effetto di accavallare le dolomie sulle argille mioceniche, ma anche essa ben presto scompare in seguito all'abbassarsi verso Sud della struttura del Godi. È assai probabile che questa terminazione sia

dovuta all'azione della linea del Sangro in quanto le masse di Monte Sterpi d'Alto, le Camosciare e Monte Amaro, avanzando verso Nord, hanno sovrac­caricato il lembo meridionale della struttura del Godi facendolo abbassare o impedendone il solle­vamento.

Struttura della Rocca di Chiarano e Serra Pantanella

Ad Oriente della linea del Profluo si incontra una struttura monoclinalica ad immersione occi­dentale con andamento simile alla Montagna di Godi; i rapporti con quest'ultima unità tettonica sono dati dalla linea del Profluo in quanto le argille mioceniche su cui sovrascorrono le dolomie del Godi fanno parte della serie della Rocca di Chiarano. L'orientamento della struttura è NNW-SSE con immersioni che aumentano di valore da Oriente verso Occidente (si ripete qui invertito il fenomeno che abbiamo visto nella struttura del Monte Mar­sicana - Terratta - Miglio). La faglia che delimita la struttura ad Oriente non è visibile direttamente in nessun punto (fig. 67); dall'andamento retti­lineo con cui si snoda il limite fra la << Maiolica >>

ed i terreni più recenti (limite per altro molte volte coperto da detrito), si direbbe che il piano è pressoché verticale ma potrebbe anche trattarsi di una faglia inversa, dato che a Sud la frattura sembra proseguire entro un vallone, e questo, scendendo lungo la ripida parete meridionale di Monte Chia­rano, si sposta decisamente ad Occidente.

La struttura comprende tutta la monoclinale della Serra di Rocca Chiarano (che in gran parte rimane fuori della carta), e, verso Nord, la Serra Pantanella. In questa direzione la faglia orientale diminuisce gradatamente il suo rigetto sia per abbassamento progressivo della struttura sia a causa di fratture trasversali che hanno il lembo settentrionale ribas­sato. La struttura termina all'altezza del Colle Iovana Vecchia dopo una ennesima frattura tra­sversale più importante delle altre. Questa unità tettonica è seguita verso Oriente da altre due simili: quella di Monte Greco (fig. 68) e poi quei!a delle Toppe del Tesoro, anch'esse rialzate ad Oriente da una frattura di cui non si vede il piano, e che potrebbe essere considerata normale o di poco inversa. Si tratta quindi di un motivo che si ripete con una certa costanza e come vedremo di non facile interpretazione.

Struttura della Serra Sparvera - Monte Genzana

Al margine nord-orientale della regione in esame si rinviene una grossa struttura piuttosto unitaria

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GEOLOGIA DELLA MARSICA ORIENTALE 291

con andamento simile a quella del Marsicano -Terratta - Miglio (fig. 69); essa infatti è limitata ad Oriente da una faglia subverticale che la rialza (faglia Monte Genzana - la Difesa), ed immerge blandamente verso Est giungendo fino alla piana di Sulmona.

La faglia occidentale è molto simile a quella della linea alto Sangro - Giovenco; il piano ha anche qui ondulazioni che lo distaccano di lOo-tso dalla ver­ticale, sì che in qualche punto può apparire inverso (BENEO, 1938). La frattura è assai ben delineata nelìa zona della Difesa ad Est di Anversa degli

frattura viene ad essere ridotta ad una lacerazione o laminazione sul fianco più inclinato di un'anti­clinale asimmetrica; talora addirittura la faglia si annulla completamente in quanto viene meno anche la lacerazione. Una di queste torsioni è assai evi­dente in corrispondenza della Serra Sparvera; esse comunque si ripetono più di una volta ed in genere la frattura più netta corrisponde ai punti ove sono interessate rocce più antiche mentre il comporta­mento più plastico si ha con la << Maiolica )) e la <<Scaglia)). Dovrebbe trattarsi di un bell'esempio di tettonica differenziale selettiva con fasi disgiun-

FIG. 69 - Faglia del Monte Genzana, lungo la strada Frattura-Piano delle Cinque Miglia. Evidente anche in questo punto illiscione messo a nudo durante il terremoto del 1915. In questo caso deve trattarsi di un vero e proprio spostamento

in quanto i terreni abbassati non mostrano tracce di attiva erosione.

- Monte Genzana fault, along the Frattura-Piano delle Cinque Miglia road. Also in this case the slickenside unco­vered by the 1915 earthquake may be noted. Here probably occurred a real displacement, because the lowered rocks

do not show any trace of active erosion.

Abruzzi, e Io rimane fino all'altezza di Monte della Rovere. Poi è meno visibile in quanto ad essa si trova appoggiata la parte più settentrionale dell'ele­mento tettonico individuato dalle due vicarianti del Profluo e del Sagittario, comunque essa è rico­noscibile per lungo tratto; ha un andamento NW­SE e viene spostata da alcune trasversali special­mente nella parte sud-orientale. Il rigetto si annulla poco oltre il limite della carta mentre prende mag­giore importanza la frattura della Serra Pantanella -Rocca di Chiarano.

Lungo questa linea di frattura si osserva un cu­rioso comportamento degli strati interessati dalla dislocazione: in alcuni punti il labbro rialzato im­merge regolarmente a reggipoggio ed il rigetto è notevole, ma spostandosi lungo il piano si vedono girare gli strati e passare a franapoggio per cui la

tive nei terreni massicci e plicative nei terreni stra­tificati o marnosi. All'incontro di una di queste torsioni con una frattura trasversale, diretta NE­SW, si è avuto il distacco della grande frana che ha dato origine al lago di Scanno.

La struttura del Genzana, come si è detto, im­merge a NE ma è interessata da numerose disloca­zioni parallele alla principale che si presentano costantemente con il bordo NE rialzato. Non è stato possibile osservarne nessuna direttamente ma l'andamento del limite dei terreni le fa ritenere probabilmente subverticali. Una delle più impor­tanti è data da un fascio di tre faglie che portano ad affiorare le dolomie infraliassiche entro il val­lone Frevana nei pressi di Pettorano sul Gizio.

AI limite nord-orientale la struttura termina contro la piana di Sulmona o nella valle del Gizio,

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ed il margine è completamente coperto dai detriti e dai depositi quaternari così che non è possibile capire se vi sia o meno una dislocazione. L'anda­mento è quanto mai simile al limite orientale della struttura Marsicana - Terratta - Miglio, anch'essa coperta da brecce quaternarie, e forse, per analogia, è probabile che anche nel caso del Genzana vi sia una dislocazione, ma, ripeto, non è visibile in nessun punto, né è stata riconosciuta con pozzi o indagini geofisiche.

Linea del Sangro

Questa direttrice tettonica (da non confondere con la linea alto Sangro - Giovenco), limita a Sud la zona da noi studiata. Si tratta di una linea di ac­cavallamento assai importante orientata WNW-ESE, con piano pressoché orizzontale e sovrascor­rimento delle dolomie infraliassiche sulle argille mioceniche.

Sulla carta l'andamento planimetrico è molto irregolare, come del resto è logico data l'inclinazione del piano; essa si può riconoscere, piuttosto alta in quota, sulla sponda meridionale del Lago di Barrea, poi borda a Nord i costoni settentrionali del Monte Sterpi d'Alto, Monte Amaro e le Pelu­sare. In questo ultimo tratto è diretta da Est a Ovest.

La traslazione delle masse calcaree meridionali è probabilmente avvenuta verso Nord (AccoRDI, 1966) nel tratto dal Rio Camosciara alla Val Fon­dillo, data la direzione E-W della grande piega frontale di Monte Amaro; più ad Est però, al Monte Sterpi d'Alto, questa piega frontale ha una vergenza NNE che passa decisamente a NE a Monte lannazzone ed oltre. La piega di Monte Amaro si inserisce quindi, come elemento parti­colare, in una generale tendenza ad una vergenza appenninica.

Il raccorciamento deve essere stato molto forte dato che esso mette a contatto due zone geologich~ completamente diverse quanto a stratigrafia; a Nord la serie mesozoica è pressoché continua (eccetto che alla Montagna di Godi) mentre a Sud, sui monti della Meta, il Mesozoico è fortemente lacunoso tanto che in alcuni punti il Maestrichtiano trasgredisce sull'lnfralias. Ad ogni modo, per ul­teriori dettagli su questa linea si rimanda ad Ac­CORDI (1966) che l'ha trattata esaurientemente.

Struttura di Opi

È posta al limite meridionale della zona studiata e per una piccola parte sconfina a Sud del San-

gro; essa rimane però a Nord della linea tettonica omonima. Questa unità non si lega alle altre che abbiamo visto fino ad ora e probabilmente è da collegare con gli elementi tettonici a Sud della linea del Sangro. La struttura è di dimensioni assai piccole rispetto a quelle viste finora; è costituita da una monoclinale a strati subverticali con fronte a NE; la direzione è NNW-SSE nella parte meri­dionale poi tende a girare verso NW oltre la gola del Sangro. Nella parte centrale gli strati sono ver­ticali, sulla fronte si ha un leggero rovesciamento (massimo una decina di gradi).

Sono interessanti i limiti di questa struttura: verso Oriente essa continua per un certo tratto interessando gli strati delle argille tortoniane, poi non è più visibile. Ad Occidente deve ammettersi una troncatura per faglia oppure una lacerazione data la mancanza della parte inferiore della serie o dell'altra gamba dell'anticlinale. A Sud la struttura si abbassa e sparisce ricoperta dalle argille mio­ceniche e verso Nord essa viene coperta dai con­glomerati dei colli Alti e Bassi e non si possono vedere direttamente quali rapporti essa abbia con le altre strutture.

L'elemento tettonico di Opi appare strettamente connesso alle masse calcaree presenti a Sud della linea del Sangro. Infatti la sua serie miocenica è identica a quella di Forca d'Acero e zone limitrofe, mentre è notevolmente diversa da quella del Marsicana - Godi. Da questo si deduce che il colle di Opi dovrebbe rappresentare un elemento avanzato delle masse spostate in relazione alla linea del Sangro. Non è possibile dire di quanto si sia mosso il blocco di Opi: dai dati della strati­grafia il suo avanzamento dovrebbe essere dello stesso ordine di grandezza di quello delle Pelusare e Monte Amaro; d'altra parte il fatto che la serie argillosa a fronte della struttura sia integra, nono­stante sia rialzata alla verticale, farebbe propen­dere per uno spostamento modesto. Comunque è da ritenere che sul fronte NE della struttura ad una certa distanza da essa, entro le argille, ~assi una linea tettonica (che chiameremo linea di Opi) vicariante di quella del Sangro, con effetto simile ma molto meno pronunciato. Lo spostamento del blocco sarebbe avvenuto verso NE e la serie argil­losa tortoniana in parte si sarebbe mantenuta in­tegra, legata al colle di Opi, ed in parte sarebbe stata affastellata contro la struttura del Marsicana che si stava via via sollevando.

Se si prolunga verso Nord la vicariante della linea del Sangro, facendola passare a NE del colle di Opi alla distanza in cui non è più possibile

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seguire la stratificazione delle argille, essa si dirige su Pescasseroli e si potrebbe collegare con la pre­sunta linea di raccorciamento alto Sangro - Gio­venco. Abbiamo detto che la struttura di Opi verso NW è coperta dai conglomerati dei colli Alti e Bassi quindi non è possibile vedere come finisce, però l'allineamento della direttrice di Opi va a coincidere con la faglia che determina la scar­pata, leggermente curva, che separa i Colli Alti dai Colli Bassi. Naturalmente questa è una frattura assai recente dato che sposta i conglomerati qua­t-ern."dri, però sappiamo che spesso le fratture re­centi ricalcano le grandi linee della struttura pre­cedente.

Entrando nel campo delle ipotesi è possibile che la linea del Sangro, tramite quella di Opi sua vicariante, si colleghi con la linea dell'alto Sangro -Giovenco determinando così un allineamento con­tinuo secondo il quale si sarebbe avuto un raccor­ciamento piuttosto forte.

Problema del raccorciamento

Si è già accennato alle varie ipotesi proposte recentemente per spiegare la tettonica dell' Appen­nino centrale o centro-meridionale, e come tutte quante siano favorevoli ad una traslazione più o meno spinta delle masse calcaree che formano i rilievi principali. Esaminiamo quindi ora in det­tag\io quali possono essere i dati pro o contro i movimenti traslativi.

Cominceremo con l'osservare che, esclusa la linea del Sangro, non esistono indizi diretti di forti traslazioni verso NE osserva bili sul terreno; tutti i casi in cui sono state rilevate sovrapposizioni anomale queste erano perfettamente spiegabili con il meccanismo della faglia inversa. Alcuni Autori, compreso lo scrivente, in qualche caso prolungano la faglia inversa verso il basso diminuendone l'in­clinazione e facendola passare così ad una superficie di traslazione sub-orizzontale; questo però non è un dato di osservazione diretta ma una estrapola­zione. L'unica struttura che mostra chiaramente un avanzamento su di un piano poco inclinato è quella del Morrone del Diavolo che però ha ver­genza opposta in quanto è diretta verso il Tirreno.

Dati validi a favore di sovrascorrimenti sono pre­senti invece nella stratigrafia e questa ci può anche dare un'idea approssimativa della entità degli spo­stamenti orizzontali. Appare chiaro fin da un primo esame sommario che la direttrice lungo la quale con maggior probabilità è avvenuto un raccor-

ciamento di entità notevole è la linea alto Sangro -Giovenco. Infatti, come si è accennato, sui fianchi di queste due valli vengono a contatto la facies di piattaforma del Dogger-Malm-Neocomiano con quella di scogliera (in gran parte di avanscogliera) dello stesso periodo. Manca il passaggio graduale che è normale fra le due facies, manca la facies di retroscogliera e quella di transizione interna, cioè quella in cui si intercalano materiali della piatta­forma con detriti organogeni.

Nel Cretaceo medio e superiore la mancanza di una facies è ancora più evidente in quanto suf versante occidentale si hanno rocce micritiche a Dasycladacee mentre sulla struttura orientale vi è il <<Calcare cristallino>>, tipica sedimentazione della parte superiore della scarpata. Manca qui la facies recifale, cioè manca la zona in cui si producevano i detriti che andavano a formare il << Calcare cristal­lino>>. All'estremo Nord della regione in esame compare ad Occidente la facies di transizione in­terna con frammenti di coralli, rudiste eccetera, segno evidente che in corrispondenza della soglia esisteva una zona organogena; quindi, nonostante che sul terreno manchi qualsiasi indizio di raccor­ciamento, dati i fatti accennati è necessario ammet­terlo. Riguardo all'entità occorre tener presente che:

l) la scogliera nel Malm era assai estesa e quindi doveva avere un retroscogliera ed una zona di transizione interna piuttosto ampia.

2) Il << Cristallino >> è assai potente specialmente nei suoi affioramenti più occidentali, quindi a tergo di questa facies doveva esistere un'ampia zona recifale ove si producevano i detriti, e ancora più ad Ovest, la transizione interna.

3) Quest'ultima appare verso Nord in corri­spondenza del punto in cui la struttura Marsicana -Terratta - Miglio si restringe ed in questa zona il << Cristallino >> mostra una facies più fine: sembra cioè che tutto si sia spostato verso Occidente.

Facendo i raffronti con le scogliere attuali e te­nendo conto che la zona di retroscogliera in genere ha dimensioni dello stesso ordine di grandezza della scogliera propriamente detta, possiamo con­cludere che è stata eliminata una zona ampia da 3 a 6 chilometri. La cifra è naturalmente da pren­dere come indicativa. Poco possiamo dire sul modo con cui è avvenuto il raccorciamento; solo osservare che le pieghe frontali, le faglie inverse e in complesso tutti i fenomeni che normalmente accompagnano ed individuano un fronte di scor­rimento non sono visibili in superficie ed è quindi probabile che giacciano ad una certa profondità.

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La struttura del Morrone del Diavolo dovre~be essere riconducibile ad un disturbo superficiale indotto dal movimento profondo, quasi una pic­cola piega di ritorno sulla groppa del fronte che avanzava. Anche se non su:ffragata da prove una spiegazione come questa si può inserire nel quadro tettonico generale e può spiegare la vergenza con­traria quanto mai strana in una zona ove tutto tende a spostarsi verso Oriente.

La linea Profluo - Sagittario è anch'essa una zona di accavallamento ma qui gli indizi di raccorcia­mento sono molto minori. Abbiamo già accennato a come sia continua la variazione della componente pelagica nelle varie località Serra Cavallo Morto, Vallone Iovana, Serra Sparvera, Toppe Vurgo (vedi paragrafo formazione della << Maiolica )>) ed al fatto che i primi livelli di << Maiolica )) si nnven­gano già ad Occidente della linea del Pro~uo: su~-1' elemento tettonico inserito fra le due vicananti; per cui, nonostante che in questo caso g~i accava~­lamenti siano evidenti, è molto probabile che Il raccorciamento totale non superi i due chilometri e sembrerebbe che esso dovesse essere maggiore all'estremità Sud, fra il Godi e la Rocca di Chia­rano, e a Nord, fra le opposte rive del lago di Scan­no, ove vengono a contatto una serie erosa fino al Giurese, coperta dalla trasgressione miocenica, con un'altra praticamente continua fino all'Eocene. Raccorciamenti minori sembrano invece avvenuti nella parte centrale in corrispondenza della Mon­tagna di Preccia.

Nessun'altra direttrice tettonica della zona presa in esame (teniamo fuori la linea del Sangro) può essere luogo di apprezzabili raccorciamenti tetto­nici. Quindi si arriva alla conclusione che la zona studiata si è contratta, in seguito alla tettonica ap­penninica, da un minimo di 4 chilometri ad un mas­simo di 8.

È possibile che al limite con la pianura di Sul­mona esista un'altra linea di raccorciamento ma qui i dati stratigrafici non ci vengono in aiuto né si vede nulla sul posto, quindi rimaniamo nel campo delle pure ipotesi.

Per concludere quindi lo scrivente ritiene che nella zona in esame vi siano stati dei raccorcia­menti causati dalla tettonica ma che questi siano stati di entità modesta e soprattutto tali da non scompaginare l'originario assetto delle fascie di sedimentazione. Le varie strutture cioè non sareb­bero giustapposte casualmente, ma avrebbero una disposizione areale logica dovuta al luogo della originaria sedimentazione ed a piccoli movimenti ben precisabili.

Età della tettonica

Parlando di età ci riferiamo naturalmente alle fasi recenti ed alle strutture che abbiamo descritte, in quanto delle fasi antiche abbiamo già precisato l'epoca.

Secondo Autori precedenti (AccoRDI, 1966) la tettonica di accavallamento precede le dislocazioni verticali· nella zona da noi studiata questa antece­denza si' può controllare in vari punti: la faglia di Sperone-Gioia taglia e sposta la struttura ~el ~or~ rane del Diavolo; la linea Profluo-Sagtttano e spostata in più punti da fratture a? an~am.ento antiappenninico ma qui sembra che SI tratti dt fe­nomeni secondari. Anche le grandi faglie sembrano essere state spostate: alcune fratture dirette, al­lineate NW -SE interrompono e spostano la faglia alto Sangro-Giovenco, ed anche quella del Monte Genzana è interrotta in vari punti, ma in questo caso le dislocazioni hanno direzione antiappenninica. Quanto all'età reale abbiamo pochi elementi; pos­siamo solo constatare che la tettonica in toto è po­steriore al Tortoniano in quanto ha sempre dislo­cato la formazione marnoso-arenacea.

A questo proposito sono interessanti i piccoli affioramenti dei sedimenti del Messiniano alto che si trovano sul bordo nord-orientale del Fucino e nei pressi del Monte Mezzana; questi si sono de­posti sulle strutture già dislocate, basculate ed in gran parte erose e poi sono stati a loro volta spo­stati da fratture verticali (sul bordo del Fucino) che però hanno prodotto basculamenti di entità mmima.

È evidente quindi che la fase principale della tet­tonica deve essere collocata fra il Tortoniano ed il Messiniano superiore e che prima di quest'ultimo periodo erano già delineate le strutture principali della regione ed erano state in parte erose (9). Le fratture a carattere nettamente distensivo che bordano il Fucino sono post-messiniane, dato che hanno dislocato i sedimenti di questo periodo.

Dal momento che nella regione mancano comple­tamente depositi pliocenici non è possibile preci­sare ulteriormente l'età delle fratture distensive.

Per concludere sembra accertato che la fase com­pressivo-traslativa si sia compiuta (almeno per quel che riguarda strettamente la Marsica), fra il Tor­toniano superiore ed il Messiniano superiore,

(9) Questa datazione non concorda . con _l,'opini~me di altri autori che propongono una tettomca pm ~ardiva! probabilmente pliocenica. La nostra affermaziOne _si basa sulla età del deposito delle Vicenne, e se questa m seguito ad ulteriori studi dovesse risultare più . recente, si verrebbe a spostare anche l'età della tettomca.

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mentre le fasi distensive sarebbero avvenute più tardi.

Ipotesi su un meccanismo di deformazione

L'età della tettonica che abbiamo cercato di precisare, con un successo relativo, è strettamente legata alla spiegazione di un meccanismo di defor­mazione che possa dare ragione delle caratteristiche strutturali descritte. Il fatto che una datazione di­retta precisa non sia possibile, lascia senza solu­'LÌ'0r.e quell'interrogativo che costituisce il nocciolo della questione: se le faglie dirette a tergo delle strutture siano contemporanee o posteriori a quelle inverse delle fronti accavallate. Se fosse possibile stabilire questo dato si potrebbe dimostrare che le grandi linee strutturali si sono formate in un'unica fase compressiva oppure in due fasi, la prima com­pressiva e la seconda distensiva.

Secondo le recenti ipotesi citate, la tettogenesi dell'Appennino avrebbe avuto origine da un grosso geotumore tirreni co: sul pendio creato da questo sarebbero scivolate verso Oriente le serie calcaree sotto la spinta della gravità, dando origine alle varie strutture. Secondo F ANCELLI, GHELARDONI & PAVAN queste masse sarebbero scivolate com­

pletamente disgiunte fino nella zona marsicana e riposerebbero su di un flysch miocenico apparte­nente ad una serie locale sepolta. Come abbiamo detto sia in questa sede sia in altri lavori (COLACIC­CHI, 1966), tutte le masse calcaree della Marsica orientale sono stratigraficamente unitarie e col­legate in modo tale da farle ritenere con assoluta certezza sedimentate entro un unico bacino, e non eccessivamente spostate dalla posizione reciproca originaria. Infatti è possibile seguire le variazioni di facies da struttura a struttura con una conti­nuità che non viene mai meno eccetto casi parti­colarissimi ma ben giustificabili anch'essi. Sarebbe ben strana questa unitarietà stratigrafica e questa possibilità di correlazione se si dovesse veramente trattare di masse sradicate traslate per decine e decine di chilometri (tanto da non avere più al­cuna relazione con il substrato) e giustapposte, come sembrano proporre gli Autori secondo i loro profili.

Occorre tener conto poi che le correlazioni stra­tigrafiche di cui si parla non si limitano alla Marsica, ma investono tutto l'Appennino centrale, e attra­verso la facies di transizione, anche il bacino umbro­marchigiano. Inoltre la serie flyschioide miocenica, presunta autoctona dai tre Autori suddetti, non compare mai, in quanto nella zona studiata il ma-

teriale argilloso miocenico, presente nei fondovalle, è sempre facilmente correlabile, tramite serie con­tinue o trasgressioni bene evidenti, alle serie dei blocchi calcarei.

Abbiamo accennato già che le altre due ipotesi prevedono movimenti differenziali che si vanno attenuando verso Oriente, tanto che nella zona marsicana i raccorciamenti previsti (AcCORDI, 1966) rientrano piuttosto bene nei limiti di quelli ricavati dallo scrivente in base alle variazioni stratigrafiche. Per quel che riguarda strettamente la Marsica, dato che questa si viene a trovare spostata moìto ad Oriente della zona in cui si era formato il geo­tumore, l'azione della gravità non si fa più sentire come tale, ed il blocco risulta sollecitato soltanto dalle spinte delle masse occidentali che avanzavano verso Est. Si tratta quindi di un fenomeno di com­pressione semplice asimmetrica da Occidente verso Oriente. Le spinte ed i movimenti, secondo le due ipotesi << moderate >> sarebbero limitati alla parte superficiale della litosfera, al di sopra del livello gessoso-anidritico considerato uniformemente este­so alla base della facies dolomitica triassica (vedi stratigrafia parte introduttiva). Partendo da questi dati si può inquadrare la tettonica secondo due ipotesi:

l) considerare le grandi faglie verticali poste­riori alle inverse: si avrebbero così grandi fronti di sovrascorrimento in parte embriciati, e movi­menti distensivi successivi che hanno prodotto le faglie dirette.

2) Considerare contemporanee faglie dirette ed inverse risolvendo le strutture come cunei asim­metrici superficiali o come pile embriciate semplici.

Non sembra logico accettare invece una ricostru­zione come quella proposta da SEGRE (1950) in cui il Marsicana ed il Godi sono considerati come cunei asimmetrici sovraspinti ad Est (e quindi dovuti a fenomeni di compressione), mentre poi la Rocca di Chiarano è disegnata secondo uno schema nettamente distensivo.

La prima delle due ipotesi, mentre sembra logi­camente plausibile per le strutture poste ad Oc­cidente (Lepini, Simbruini, ecc.), trova non poche difficoltà di applicazione nella Marsica, in quanto le grandi fratture vengono ad avere una impor­tanza ed un rigetto tale che mal si accordano con una semplice distensione post-orogenica; esse pre­sentano inoltre altri particolari che discuteremo più avanti e che fanno ritenere più plausibile l'ipo­tesi della compressione.

Passando alla seconda ipotesi lo schema del cuneo sembra perfettamente applicabile alla struttura

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Marsicana - Terratta - Miglio, con la faglia diretta Sangro - Giovenco ad Ovest e la linea del Profluo - Sagittario ad Est (10).

Considerare la grande faglia subverticale come dovuta ad un regime di compressione renderebbe più plausibili alcuni particolari come le deviazioni di una decina di gradi dalla verticale, che talora la portano ad essere inversa, l'imponente fenomeno di milionisi che accompagna in molti punti la di­slocazione, e le lame di terreni più giovani tirate su dalla frattura principale con il loro aspetto la­minato, appiattito, come se fossero state espulse (fig. 63, 64).

Anche la faglia inversa del Sagittario potrebbe rientrare nello schema: la sua vi cariante al ponte Reniccio ha un'inclinazione di una quarantina di gradi, ottima per incontrarsi con la diretta alla profondità presunta per i livelli gessiferi. D'altra parte sembrerebbe piuttosto difficile interpretare la grande faglia Sangro - Giovenco come dovuta ad una distensione, sia per i particolari già accen­nati che indicano un'azione meccanica piuttosto intensa fra i due labbri, sia per il suo rigetto che nella parte più sollevata si aggira sui 3000 metri e che sembra eccessivo soprattutto rispetto alle dimensioni della struttura individuata.

Altro argomento contrario alla distensione si trova secondo me nella terminazione meridionale della frattura : come si è detto essa devia verso Oriente ponendosi in direzione E-W quasi paral­lela alla linea del Sangro. Se si trattasse di disten­sione crustale posteriore alla traslazione, la frattura avrebbe dovuto interessare anche le masse sovra­scorse a Sud della linea del Sangro, mantenendo l'allineamento NNW-SSE che ha per buona parte del suo percorso; come fa la linea Sperone-Gioia che spezza la struttura del Morrone del Diavolo. Si potrebbe robiettare che la deviazione è avvenuta per seguire la linea di debolezza esistente in corri­spondenza della valle del Sangro, ma è da tener presente che questa fa un angolo vicino ai 90° con la direzione principale della frattura e quindi in clima distensivo non avrebbe dovuto avere una azione così decisiva. Inoltre lungo la valle suddetta, il rigetto del ramo deviato si annulla in brevissimo tratto, dando tutta l'impressione di essere diretta-

(10) Il cuneo di cui si parla quì è sostanzialmente diverso dal << cuneo composto >> classico dell'Appennino, anche se morfologicamente può sembrare simile; infatti tanto la forza agente, quanto la deformazione sono limi­tate alla parte superficiale della litosfera, al di sopra delle anidriti triassiche, senza che il substrato ne venga interessato.

mente responsabile della dislocazione principale della struttura del Marsicana.

Sembra più logico collegare detta deviazione alla azione attiva del fronte di sovrascorrimento che avanzando da Sud impediva il sollevamento della parte meridionale, inducendo così una disloca­zione trasversale ad isolare la struttura settentrio­nale che si stava formando. Un particolare estre­mamente interessante sta nel fatto che il rigetto maggiore della faglia si ha in corrispondenza del Monte Marsicana cioè della zona in cui conver­gevano le spinte occidentali con quelle meridionali.

Ma l'argomento che mi sembra decisivo sta nel fatto che sulla struttura del Marsicana, nei pressi di Monte Mezzana, si sono deposti sedimenti post-tortoniani da collegare con quelli messiniani del bordo NE del Fucino. La struttura era già sollevata ed erosa dunque, prima della fine del Messiniano, e data la posizione e l'estensione del­l'affioramento, non è possibile che l'erosione abbia raggiunto il Giurese medio senza che la grande faglia occidentale avesse avuto il suo gioco. Tanto più che il deposito messiniano ha un andamento orizzontale e poggia su strati che dai 350-40° del limite occidentale si avvicinano alla verticale al confine Est dell'affioramento. Il grande bascula­mento della struttura deve quindi essere avvenuto prima della deposizione dei conglomerati argillosi.

Del resto la situazione di questo affioramento è simile a quella del bordo del Fucino; anche qui i conglomerati argillosi sono posteriori ad un pro­babile accavallamento avvenuto lungo la linea alto Sangro - Giovenco, che ha spostato e basculato la struttura (in questo caso la faglia diretta formante il cuneo non esiste o è sepolta entro il Fucino), e anteriore alle fratture dirette realmente distensive del Monte Parasano e Sperone-Gioia.

Se ora si paragonano queste ultime fratture con quella che limita la struttura del Marsicana, la dif­ferenza salta agli occhi immediatamente: il rigetto è enormemente minore (circa un quinto), il piano inclinato di 70° - 80° non passa mai ad inverso, non ci sono lame estruse, le fratture hanno alli­neamento rettilineo o con curve molto ampie e terminano da ambedue le parti a causa della dimi­nuzione progressiva del rigetto; ed infine i blocchi che esse determinano sono basculati solo legger­mente verso NE. Questa serie di caratteri del resto si adatta perfettamente a tutte quelle fratture a direzione NW -SE che sbloccano a gradinata la struttura Marsicana - Terratta - Miglio e che ve­ramente possono essere dovute a distensione.

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La frattura che borda il Monte Genzana ha nella parte settentrionale le stesse caratteristiche di quella del Marsicana mentre più a Sud il rigetto diminuisce, interessa terreni più plastici e si tra­sforma talora in una flessura. Per molti caratteri può essere giudicata da compressione ma dovrebbe essere stata prodotta da un'azione più blanda di quella che ha dislocato la alto Sangro - Giovenco. A proposito si può osservare che le faglie distensive hanno in genere una rottura netta e non provocano profonde flessure degli strati nel senso del movi­Wl'è'i'lc'ò, mentre la faglia in oggetto a tratti si tra­sforma completamente in una flessura senza lace­razione. La sua interpretazione è molto incerta: la struttura che essa delimita presenta più ad Est faglie a piano pressoché verticale, con il labbro orientale rialzato e non riducibili quindi allo schema del cuneo; a meno di non voler considerare queste ultime come distensive ed ammettere una linea di raccorciamento al limite con la piana di Sulmona. In questo caso la struttura potrebbe essere inter­pretata come un cuneo ma rispetto alla struttura del Marsicana sarebbe dislocata in maniera molto più blanda.

La serie di strutture del Monte Godi, Rocca Chiarano, Monte Greco (fig. 68), Toppe del Tesoro si presta ad una duplice interpretazione. Il Monte Godi è dovuto a raccorciamento senza alcun dubbio e con le altre tre strutture potrebbe costituire una serie di scaglie limitate da faglie inverse e più o meno embriciate (si ricorda qui che sulle tre ul­time strutture non si vede traccia di faglia né in­versa né diretta ma sia la morfologia, sia la dispo­sizione dei terreni dimostrano inequivocabilmente l'esistenza di una dislocazione). Questo schema si accorderebbe bene con il regime di compressione in cui si ritiene abbiano avuto origine le strutture principali della Marsica.

Altrettanto bene si potrebbe applicare alle tre strutture ultime lo schema della gradinata costi­tuita da blocchi fagliati, considerandole limitate da

faglie dirette e basculate verso Occidente. In questo caso le fratture sarebbero dovute a distensione, ma a questo proposito vanno fatte le seguenti osserva­

zronr:

l) La struttura Chiarano - Greco - Toppe del Tesoro costituisce l'ossatura tettonica della regione ad Est della linea del Profluo: ora sembra molto strano che in una regione affetta da compres­sioni come la Marsica (e che, secondo alcuni Au­tori, costituisce la zona verso cui si sono scaricate le spinte di una tettonica gravitativa) una vasta

zona, proprio sulla fronte, possa essersi dislocata in regime esclusivamente distensivo.

2) Il riconoscimento della linea del Profluo come faglia inversa si deve soltanto alla erosione della valle del Sangro, altrimenti essa sarebbe ri­masta invisibile e si sarebbe potuta interpretare come una faglia diretta; altrettanto potrebbe av­venire per le tre strutture più orientali dato che i loro fondivalle si trovano a quote molto più ele­vate e difficilmente è stato messo allo scoperto il Giurese.

Personalmente ritengo più probabile che si trattr· di una serie di scaglie limitate da faglie inverse leggermente embriciate; una struttura di compres­sione piuttosto blanda, come è giusto che sia, dato che ci stiamo spostando verso Oriente, e secondo gli schemi presentati gli sforzi tettonici si annullano man mano da questa parte.

Naturalmente sia nel caso del cuneo sia nel caso della scaglia embriciata, il substrato gessoso-anidri­dico triassico farebbe la funzione di orizzonte di scollamento e permetterebbe un raccorciamento superficiale senza che ne fosse interessata la strut­tura profonda della litosfera. Lo stesso orizzonte gessifero potrebbe rendere possibile quella deriva verso Oriente che secondo AccoRDI (1966) avrebbe interessato, anche se in misura molto piccola, i monti della Marsica.

A questa ipotesi di tettonica epidermica limitata alla parte più esterna della litosfera, potrebbe op­porsi, sempre restando in regime di compressione, una seconda ipotesi in cui il substrato partecipasse attivamente ai movimenti e fosse proprio lui a pro­vocare il raccorciamento della parte superficiale. In questo caso andrebbero rivisti completamente gli schemi tettogenetici per la zona occidentale, mentre per la Marsica i fenomeni tettonici avver­rebbero con modalità assai simili dal momento che l'azione orogenica risulterebbe sempre da una com­pressione, indotta questa volta dal substrato anziché dalle falde scivolate.

Se vogliamo attenerci strettamente ai dati acqui­siti sul terreno nella regione marsicana, dobbiamo concludere che non ci sono elementi sufficienti per formulare una scelta definitiva; ma se si prendono in considerazione regioni più estese, soprattutto verso Occidente, bisogna riconoscere che l'ipotesi della traslazione differenziale appare in grado di spiegare molte complicazioni e di dare un quadro unitario di una tettonica che mostra caratteristiche di superficie assai variate.

Per essere obiettivi occorre però tener presente che nessun Autore ha presentato fino ad ora una

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sintesi moderna, basata su dati recenti, e che derivi da ipotesi anti-mobiliste, quindi non è possibile

fare un confronto alla pari. Per concludere ritengo che la teoria delle trasla­

zioni differenziali sia fra le ipotesi tettogenetiche, proposte di recente per l'Appennino centrale, quella che può spiegare meglio le caratteristiche tettoniche della Marsica. Il regime di scivolamento gravitativo con accavallamenti multipli, che è caratteristico della zona occidentale più direttamente interes­sata dal pendio del geotumore tirrenico, si risolve in Marsica in una pressione laterale, esercitata dalle masse avanzanti da Ovest, che genera un regime di compressione semplice diretta da Ovest ad Est. In questo stato di tensione si producono fronti di accavallamento, talora cunei nelle zone più rigide, ed in altri casi scaglie leggermente embriciate.

Le faglie dirette principali come quella del Marsi­cana si sarebbero prodotte in regime di compres­sione come lati di cunei asimmetrici, mentre tutte le altre fratture di rigetto minore ed allineamento nettamente orientato NW -SE sarebbero dovute alla distensione successiva alla crisi orogenica prin­cipale.

Risulta piuttosto chiaro dai dati esposti che le strutture prossime alla valle del Sangro e del Gio­venco mostrano accavallamenti più accentuati, men­tre ad Est, verso Monte Greco - Toppe del Tesoro, essi divengono man mano più deboli fino a lasciare in dubbio per queste ultime strutture che si possa trattare esclusivamente di fasi distensive. Questa è secondo me una delle ragioni fondamentali che fa preferire la traslazione differenziale come modello di deformazione tettogenetica da applicare alla Marsi ca.

PALEOGEOGRAFIA

Le caratteristiche paleogeografiche e la storia geologica della regione presa in esame si possono seguire con notevole dettaglio dal Lias al Cretaceo superiore, mentre diventano più lacunose durante il periodo successivo data la scarsità degli affiora­menti paleogenici.

Lias

Durante tutto il Lias la zona in studio era co­perta da un mare epicontinentale che, eccettuato l'angolo nord-orientale, si estendeva uniforme­mente su tutto il resto della regione. Le profondità erano molto esigue e la sedimentazione che ne risultava aveva le caratteristiche tipiche di una piattaforma molto estesa, lontana da qualsiasi apporto terrigeno. Per la parte basale del Lias possiamo dire poco in quanto tutti i sedimenti sono completamente dolomitizzati, ma si può già notare un accenno ad una facies pelagica nell'an­golo NE della regione (fig. 71).

Questa variazione verso l'ambiente pelagico di­viene perfettamente documentata appena i sedi­menti cessano di essere dolomitizzati, così che ri­sulta chiaramente definibile il bordo nord-orientale della piattaforma, degradante verso il mare aperto e profondo. Questo orlo bordiero può essere loca­lizzato fra la Serra Sparvera ed il Monte Genzana ; esso si prolungava poi da una parte verso NW, dall'altra verso Est, dato che al vallone di Chiarano

si hanno ancora facies di bassofondo. Il mare epicontinentale si spingeva verso Occidente e verso Sud con una facies estremamente uniforme, in­terrotta di tanto in tanto da zone emerse, ma non di importanza regionale; una di queste doveva trovarsi presso Pescasseroli (flora di Pratorosso ).

Verso N or d la zona pelagica era collegata con il bacino umbro-marchigiano, come dimostrano l'estrema somiglianza sia dei sedimenti che del­l'evoluzione della litologia nel tempo.

Secondo MERLA (1944) è proprio a partire dal tetto del Lias inferiore che la facies, in precedenza piuttosto uniforme su tutta l'Italia centrale, si scinde in una zona a forte subsidenza, con carat­teri pelagici, corrispondente al bacino umbro­marchigiano, e due zone più rilevate una a NW in Toscana, l'altra verso Sud in Abruzzo.

Il bacino umbro-marchigiano si estendeva nel Lias medio e superiore fino alla Marsica ed il suo limite meridionale, nella zona in esame, è rappre­sentato dal bordo della piattaforma che abbiamo già descritto.

Dogger-Malm-Neocomiano

Una fase tettonica di cui non possiamo cono­scere con precisione le caratteristiche modifica alla fine del Lias la distribuzione degli ambienti di sedimentazione: dapprima un movimento dif­ferenziale tende a rialzare la zona epicontinentale

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GEOLOGIA DELLA MARSICA ORIENTALE

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FIG. 70 - Schema dello spostamento delle facies lungo un profilo orientato SW-NE. Nel Lias manca la fascia di sco­gliera e la sedimentazione è data dalle micriti algali di piattaforma su quasi tutta la zona. Nel Dogger si ha un forte spo­stamento e si sviluppa la facies recifale. Il Malm corrisponde alla massima espansione della sedimentazione organogeno­detritica che si spinge anche nel bacino pelagico. Nel Neocomiano si ritrovano le caratteristiche del Dogger. Dall'Aptiano al Turoniano la zona centrale è occupata dalla sedimentazione detritica del << Calcare cristallino >> mentre la facies recifale si è spostata più ad Occidente. La zona di transizione interna (a sinistra) è stata in gran parte eliminata dal raccorcia·

mento prodotto dalla linea alto Sangro-Giovenco. Il profilo corrisponde ad una lunghezza di 35-40 chilometri; le distanze fra le varie località non sono proporzionali.

Scheme of the facies displacement along a geologica! section directed from SW to NE. During Lias there is a lack of reef facies, and algal micrites are widespread on almost all the region. In The Dogger a large displacement occurs, and reef develops. The Malm is characterized by the largest spreading of the skeletal-detrital facies which arrives as far as the pelagic basin. Neocomian age presents the same characters as the Dogger. From Aptian to Turonian the reef facies shifts towards the West, and the centrai part is occupated by the << Calcare cristallino>> detrital sedimentation.

The section corresponds to a length of 35-40 kilometres; the distances are not proportional.

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300 R. COLACICCHI

e ad abbassare ulteriormente quella di scarpata; mentre il bacino pelagico, all'altezza del Toar­ciano - Aaleniano, viene interessato da una sedi­mentazione argillosa. L'argilla non proviene dalla piattaforma, ed è da correlare a quella presente nel bacino umbro-marchigiano allo stesso livello. In un momento immediatamente successivo la zona compresa fra il bordo della piattaforma, quale era nel Lias, e la linea del Profluo - Sagittario subisce una fortissima subsidenza e si porta in con­dizioni di scarpata; il margine esterno viene quindi a localizzarsi in corrispondenza della struttura Marsicana - Terratta - Miglio, mentre ad Occi­dente si ha un leggero aumento della profondità delle acque. In seguito a questi movimenti cambia radicalmente la distribuzione degli ambienti di sedimentazione: la facies mi critica di piattaforma scompare da una zona assai vasta e si ritrova ad Ovest della linea alto Sangro - Giovenco (le sue caratteristiche rimangono identiche). Sul bordo della piattaforma si sviluppa una facies di soglia, organogeno-detritica, con piccole costruzioni bioer­mali ed episodi oolitici. Questa facies si estende verso Oriente fino alla direttrice Profluo - Sagit­tario, poi cede il posto alla scarpata che si raccorda all'ambiente pelagico dei calcari a filaments e della <<Maiolica>> (fig. 70, 71).

Dal Dogger al Neocomiano questo assetto rimane pressoché invariato, ma si possono notare alcune oscillazioni minori che interessano sia la facies di soglia sia quella di scarpata.

l) Nel Dogger la dorsale Marsicana- Terratta­Miglio corrisponde alla zona di avanscogliera e ad Oriente di questa (oltre la linea Pro fluo - Sagit­tario) si depositano i calcari a filaments con inter­calazioni detritiche più o meno fitte a seconda dei punti.

2) Nel Malm, probabilmente in seguito ad un leggero sollevamento del fondo marino la sco­gliera si estende verso Oriente raggiungendo la massima ampiezza. Si ha così, in corrispondenza della dorsale suddetta, un ambiente di infrasco­gliera con lagune ed oolitico di aspetto particolare, mentre la facies di scarpata si sposta ad Est occu­pando con i suoi detriti una gran parte del bacino dove in precedenza si erano depo3te le micriti a filaments. Un certo ampliamento si ha anche verso Occidente dal momento che nella sezione di S. Vin­cenzo Valle Roveto, nel Malm sono frequenti i materiali detritico-organogeni entro la serie micri­tica.

3) Nel Neocomiano si ha un ritorno alle con­dizioni precedenti: l'avanscogliera arretra nella

postzwne pnmtttva depositando i calcari ad Ellip­sactinie in corrispondenza della dorsale Marsicana -Terratta - Miglio, e nel bacino orientale si sedi­menta la << Maiolica >>.

Verso Occidente, al di là della struttura del Mar­sicana, doveva svilupparsi tutta una serie di passaggi graduali fra l'ambiente della piattaforma e quello della scogliera (cioè la facies detta di transizione interna), però questa non compare e la sua mancanza ci ha fatto proporre l'ipotesi che lungo la direttrice alto Sangro - Giovenco esista una linea di accaval­lamento tettonico.

Ad Oriente, fuori della zona in studio, il bacino pelagico era limitato da una ulteriore zona neritica con facies organogeno-detritica, oolitica ed a piccole scogliere che si sviluppava in corrispondenza dei monti posti a SW di Castel di Sangro e delle vette che dividono il piano delle Cinque Mi­glia dal piano dell' Aremogna (MANFREDINI, 1966). A Nord e a NW invece il bacino non mostra bar­riere di sorta e risulta così collegato con la fossa umbro-marchigiana.

Si può individuare quindi un golfo stretto e lungo a sedimentazione pelagica, che ha persistito durante tutto il Mesozoico e che si insinuava da Nord fra la piattaforma marsicana e le scogliere del Monte Porrara, Aremogna, Arazzecca. Non sappiamo cosa ci fosse ad Oriente di queste scogliere, dato che al di là del piano delle Cinque Miglia comincia il dominio del flysch terziario, ma proba­bilmente si aveva ancora il mare aperto.

Il golfo di cui abbiamo parlato risulta ora inter­rotto a Sud dalla linea del Sangro, non possiamo quindi dire fin dove si spingesse, ma all'altezza di Barrea era ancora tanto ampio da permettere la sedimentazione della << Maiolica >> e della << Scaglia >> con una componente detritica minima. È assai pro­babile che esso continuasse per lungo tratto verso Sud dal momento che nel gruppo della Meta, al margine orientale della piattaforma micritica, si sono sviluppate facies organogene simili a quelle della Terratta (nelle zone risparmiate dalle pro­lungate emersioni che hanno causato numerose lacune nella serie mesozoica). A Sud della valle del Sangro i sedimenti pelagici giuresi non affiorano in alcun luogo, ma la variazione della facies da fangosa a recifale sembra chiaramente indicare l'influenza del mare aperto.

L'ampio golfo che abbiamo individuato metteva in comunicazione il bacino umbro-marchigiano con quello molisano-sannitico o meglio costituiva parte di un'unica depressione bordiera prima che questa fosse sezionata in due bacini.

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GEOLOGIA DELLA MARSICA ORIENTALE 301

La sedimentazione sul bordo della piattaforma, in corrispondenza dei Monti della Meta, è molto simile a quella della Marsi ca; là vi sono state però emersioni frequenti ed irregolari che hanno pro­dotto numerose lacune nelle serie. Queste lacune sono coperte da termini giuresi, oppure cretacici o talora addirittura paleogenici, dimostrando così l'estrema instabilità geologica che ha caratterizzato la zona durante tutto il Mesozoico.

Cretaceo medio e superiore

i\11 hmite del Cretaceo medio il margme della piattaforma si sposta di nuovo verso Occidente, l'ambiente detritico di scarpata si estende fino alla dorsale Marsicano - Terratta - Miglio, mentre la facies di scogliera, cioè la zona di origine dei de­triti, si spo<:>t'i\. ad Ovest e riene così elisa dal rac­corciamento della linea alto Sangro - Giovenco. Il passaggio dalla scogliera alla facies micritica (transizione interna), a differenza dei casi prece­denti, viene eliso solo in parte e ricompare a NW della linea tettonica. Si individua così un nuovo limite di facies ad andamento NW -SE, la diret­trice Aschi - Venere, che divide la piattaforma (estesa a SW) da una zona a facies mista, a micriti e detriti organogeni che costituisce il passaggio alla scogliera (fig. 70, 71).

La direzione della linea Aschi - Venere è im­portante in quanto ci assicura che l'allineamento dei vari ambienti aveva direzione appenninica e che le linee N -S sono dovute soltanto alla tettonica.

Nello stesso tempo alcune zone, come la Mon­tagna di Godi, erano emerse e venivano sottoposte ad una erosione molto attiva, tale da portare allo scoperto anche le dolomie infraliassiche. È pro­babile che la dorsale fosse emersa fino da tempi precedenti, ma non ne possiamo essere sicuri. Sappiamo solo con certezza che essa è rimasta al di fuori delle acque fino al Campaniano - Mae­strichtiano, periodo in cui è tornata nel dominio marino e vi si sono sedimentate sopra le calciru­diti ad orbitoidi.

Verso Oriente i rapporti con il bacino pelagico rimangono pressoché invariati; si nota solo, al li­vello dell'Albiano, una maggiore frequenza di detriti dovuti con tutta probabilità ai movimenti in atto sulla parte alta della scarpata.

Verso Sud in corrispondenza dei Monti della Meta la soglia mostra sempre emersioni irregolari, simili a quelle che avevamo citato per il Giurese, interrotte qua e là da episodi di sedimentazione detritica. La situazione paleogeografica quindi è identica a quella del periodo precedente. Nella

zona di scarpata e di transtzwne invece si nota un cambiamento piuttosto importante: nella parte meridionale del golfo pelagico vicino alla Meta, dall'Albiano al Turoniano, si sedimenta una facies silicea a diaspri che nella Marsica manca comple­tamente; si ha così, a livello del Cretaceo medio, il primo accenno ad una separazione in due ba­cini diversi, di cui quello meridionale si sviJupperà a costituire la fossa molisano-sannitica, mentre quello settentrionale rimarrà collegato alla depres­sione umbro-marchigiana. A questa altezza si ha quindi la separazione, in corrispondenza della linea del Sangro, della facies carbonatica dalla calcareo-silico-marnosa.

Sulla piattaforma occidentale si possono rico­noscere le tracce di varie emersioni: la prima, alla sommità dell' Aptiano (mal documentata e proba­bilmente di breve durata), si rinviene nella parte settentrionale della zona, a Nord del Monte Tur­chio. Una seconda assai più estesa e ben documen­tata corrisponde alla formazione dei livelli bauxitici. La durata di questa fase continentale è contenuta però entro la parte superiore del Cenomaniano, ed è quindi evidente che le bauxiti non si possono essere formate per alterazione avvenuta in posto; la loro fascia di giacitura deve quindi rappresentare una depressione entro cui si sono accumulate, in ambiente probabilmente lagunare, i materiali pro­venienti dalle zone emerse circostanti. La rapida emersione cenomaniana ha contribuito alla defi­nitiva messa in posto delle lenti bauxitiche, indi la successiva estesa trasgressione ha ripristinato un ambiente marino uniforme.

Una terza emersione, comprendente una fase erosiva anche assai spinta, è riconoscibile prima del Cretaceo superiore, ma non si hanno indicazioni sulla entità della zona emersa, in quanto tutto si limita ad un unico affioramento di calcare mae­strichtiano trasgressivo sul Monte Turchio. Questa trasgressione si collega con quella della Montagna di Godi e dei monti della Meta; è quindi da rife­rire ad un movimento a carattere regionale, che ha avuto il suo effetto più evidente in regioni emerse ma non molto elevate. Nella zona orientale infatti la trasgressione maestrichtiana non è visibile in alcun luogo anzi, verso il Monte Genzana, si as­siste già nel Senoniano alla ricomparsa della facies detritica ed alla sua continuazione poi nel Mae­strichtiano.

Per concludere, nel Cretacico medio e superiore si mantiene nelle sue grandi linee la fisionomia precedente, ma ha inizio nella parte sommitale una serie di movimenti, diversi da zona a zona che

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FIG. 71 - EVOLUZIONE PALEOGEOGRAFICA DELLA MARSICA ORIENTALE DURANTE IL MESOZOICO,

- PALAEOGEOGRAPHIC EVOLUTION OF EASTERN MARSICA DURING MESOZOIC,

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(Segue fig. 71)

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304 R. COLACICCHI

preludono alla situazione di generale instabilità propria del periodo che va dal Paleocene fino al Miocene medio.

Dopo il Cretacico la paleogeografia della zona diviene estremamente incerta data la scarsità dei depositi paleogenici. Una seconda ragione di in­certezza sta nel fatto che la maggior parte delle lacune stratigrafiche hanno al tetto la trasgressione miocenica, che sappiamo è stata preceduta da una forte azione erosiva; per cui è impossibile stabilire quando siano effettivamente emerse molte zone in cui il Miocene copre terreni mesozoici. Il quadro che presentiamo è quindi più frammentario, più incerto, come del resto lo era la parte stratigrafica relativa a questo periodo.

Nelle grandi linee possiamo dire che l'area oc­cidentale era emersa, mentre la sedimentazione paleogenica si è sviluppata in corrispondenza del lungo golfo mesozmco.

Paleocene

Termini paleocenici sono assenti su tutta l'area che nel Cretacico corrisponde alla piattaforma; non possiamo dire con sicurezza se questa man­canza sia dovuta all'erosione pre-miocenica o ad una emersione fin dal Paleocene, ma il fatto che ad Occidente della linea alto Sangro - Giovenco e a SW della Aschi - Venere manchi completa­mente qualsiasi traccia di sedimento fino all'Elve­ziano, fa ritenere probabile che l'emersione sia avvenuta piuttosto presto (fig. 72).

Ad Oriente della linea suddetta si possono indi­viduare: una zona sempre coperta dal mare sino dal Cretacico, in corrispondenza del Monte Marsi­carro, Valle Orsara e Montagna di Preccia. Una zona emersa nel Cretacico, su cui il Paleogene è trasgressivo, al Monte Godi e nei pressi di Scanno. Una terza zona in corrispondenza della Rocca di Chiarano e Serra Pantanella, che resterà costante­mente emersa.

Nel primo caso il Paleocene continua la facies detritica del << Cristallino >>, poi passa per breve tempo alla facies organogena. Nel secondo caso si ha un ambiente di scogliera o più probabilmente di costa calcarea con facies a corallinacee, alveoline, ecc.

Sul bordo del lago del Fucino, nei pressi di Ve­nere, si aveva il limite meridionale di un vasto ba­cino esteso a Nord ed Est fino nella zona di Sul­mona. Qui, contro una sponda emersa, si deposi­tavano sedimenti paleocenici, appoggiati alla sponda che aveva un andamento a falesia, in apparente continuità di sedimentazione con il substrato. La zona di Anversa era anch'essa sommersa ed occu-

pata da una sedimentazione a carattere costiero. L'angolo NE della regione in studio era carat­

terizzato dall'ambiente peripelagico con sedimen­tazione della << Scaglia >> a globorotalie al Monte Genzana ed al Colle di Caccialepre; evidente­mente questa zona ha mantenuto più a lungo le connessioni con l'ambiente pelagico del grande bacino paleogenico presente nella zona di Sulmona.

Verso la fine del Paleocene si può individuare una fase tettonica ed una regressione; in seguito a questa la zona in studio rimane emersa, eccet­tuato l'angolo NE e la zona a Nord di Venere.

Eocene

La paleogeografia eocenica ricalca l'andamento di quella paleocenica; nelle parti occidentali man­cano totalmente terreni di questo periodo e l'area va quindi considerata emersa. In corrispondenza dell'antico golfo mesozoico persiste una depressione, e nell'Eocene medio una trasgressione vi ristabilisce il dominio marino. Questo si estende anche alla Serra Pantanella che durante il Paieocene era ri­masta emersa, mentre nell'angolo NE, al Monte Genzana, il mare persiste fino all'Eocene inferiore poi si ha una emersione.

La trasgressione medio-eocenica non è totale; il mare nella nostra zona risulta diviso in due ba­cini: uno a Sud connesso con quello di Settefrati e dei monti della Meta; uno a Nord, in collega­mento con il bacino di Sulmona. Sembra che i bacini fossero separati da una dorsale emersa, posta nei dintorni di Scanno, è però probabile che essi fossero collegati più ad Oriente, nella zona del Piano delle Cinque Miglia (fig. 72).

Il Monte Mattone e la Montagna di Godi rap­presentano una zona di costa, probabilmente alta e con una forte produzione di detriti dato il carat­tere conglomeratico che ha l'Eocene in questo punto. In corrispondenza della Valle Orsara in­vece si avevano sedimenti più fini; è evidente quindi che la struttura del Monte Godi (separata da quella del Marsicana fin dal Mesozoico) continuava a rappresentare un alto tettonico mentre il Marsi­carro era più ribassato.

Nella zona di Anversa il bacino era più uniforme e si estendeva (verso SE) fino all'altezza del Monte della Rovere. Intorno a V enere si riconosce sempre il limite meridionale del bacino con un appoggio di scarpata. La situazione qui è perfettamente simile a quella che abbiamo descritto nel Paleocene.

Al termine dell'Eocene medio si ha una forte regressione per cui tutta la zona (eccettuato forse il bacino di Venere) rimane emersa.

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Fig. 72 - Evoluzione paleogeografica della Marsica orientale durante il Cenozoico. Per i simboli vedi fig. 71. - Palaeogeographic evolution of Eastern Marsica during Cenozoic. For symbols see fig. 71.

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306 R. COLACICCHI

Oligocene - Miocene

Il dominio continentale indotto dalla regressione eocenica persiste senza eccezioni fino al Cattiano. A questo punto si verifica una nuova trasgressione che, piuttosto modesta in principio, prende man mano importanza maggiore finché durante il Mio­cene medio copre completamente tutta l'area.

La fase cattiana ricalca quella eocenica. Si hanno sempre due bacini separati (questa volta si può affermarlo con sicurezza), uno meridionale colle­gato con la zona dei monti della Meta - Settefrati; un altro a Nord, collegato con il bacino di Sul­mona. La trasgressione non raggiunge la zona del Monte Genzana e neppure la dorsale di Chiarano -Pantaneiia, per cui i due bacini della sedimentazione cattiana risultano limitati ad Oriente, ed hanno quindi la forma di veri e propri golfi. Essi erano un po' meno estesi di quelli eocenici; a Sud il mare si insinuava fra le dorsali del Marsicana e del Monte Mattone fino e non oltre la Fonte Sambuco, mentre il golfo settentrionale superava di poco Castrovalva (fig. 72).

Questa situazione rimane statica fino a tutto J'Aquitaniano e parte del Langhiano. Verso la fine di quest'ultimo periodo il mare riprende la sua avanzata e questa volta la trasgressione ha un ca­rattere regionale, in quanto viene sommersa anche la zona ad Occidente della linea alto Sangro - Gio­venco che era rimasta emersa fino dal Paleocene.

Su questa zona occidentale si ha un mare sottile con depositi a carattere costiero o di minima pro­fondità (<< Calcare a briozoi e litotamni >>).

In corrispondenza della linea Profluo - Sagit­tario la trasgressione fa avvicinare il fondo dei due golfi che rimangono separati da pochi chilometri di terra emersa. A Nord si depositano calcari orga­nogeni, mentre nel golfo meridionale, nella zona del Monte Mattone - Montagna di Godi (in gran parte emersa), riprende la sedimentazione conglo­meratica che si intercala entro marne con piane­tonici.

Una successiva pulsazione trasgressiva nell'El­veziano medio (forse preceduta da una stasi o da leggera regressione) estende la sedimentazione delle marne con planctonici. Nello stesso momento si stabilivano le condizioni adatte alla formazione dell'ambiente riducente che dava origine alla glauconite. Sulla piattaforma occidentale infatti il passaggio è sottolineato da un livello glauconitico a fecal pellets che in molti punti mostra un leggero carattere trasgressivo. In corrispondenza della de­pressione marsicana il livello glauconitico si rin-

viene solo ove l'Elveziano medio trasgredisce men­tre manca ove si era sedimentato in precedenza il calcare organogeno o dove la facies era fortemente detritica. Nei pressi di Scanno si era formata una sacca ove l'ambiente riducente non euxinico era particolarmente sviluppato ed ha avuto una persi­stenza molto lunga.

Al Monte Mattone manca il livello glauconitico e dalla costa continuavano a scaricarsi enormi quantità di detriti che si intercalavano alle marne a planctonici.

Il moto ingressivo del mare continuava intanto fino a sommergere tutta la zona, eccettuata la parte sommitale della Montagna di Godi che è rimasta emersa fino al Tortoniano. Da questo periodo in poi si ha la sommersione completa, e la sedimen­tazione della argilloso-arenacea si estende unifor­memente su tutta la regione.

Al termine del Tortoniano la fase tettogenetica principale traslativo-compressiva delinea la strut­tura della zona in studio e la fa emergere comple­tamente. A questa segue una fase di relax tettonico, contemporanea ad una leggera ingressione nel Mes­siniano superiore; questa fase copre solo in parte la zona dando depositi lagunari discontinui; succes­sivamente si ha l'emersione definitiva seguita a breve distanza da una fase tettonica distensiva che ha prodotto le faglie verticali secondarie.

Pliocene - Quaternario

Del Pliocene manca qualsiasi traccia, quindi non possiamo dire nulla sulla paleogeografia relativa a quel periodo, eccetto che l'area doveva essere completamente emersa. Nel Quaternario si possono segnalare varie fasi che non siamo in grado però di datare.

l) Una fase a forte erosione meteorica e de­bole trasporto che ha dato origine alle brecce di pendio enormemente sviluppate.

2) Una fase lacustre relativa alla valle del Sangro che era sbarrata dalla soglia di Opi; il ba­cino è stato completamente riempito di ciottolami i quali occupavano la valle a monte di Pescasseroli fino alla Padura.

3) Una fase erosiva, legata al taglio della gola di Opi, che ha riscavato buona parte del conglo­merato riportando la valle del Sangro al probabile livello primitivo.

4) Una fase glaciale probabilmente contem­poranea alla n. 2) in cui l'azione dei ghiacciai ha avuto un'importanza notevole come agente morfogenetico a quote superiori ai 1500-1600 metri.

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GEOLOGIA DELLA MARSICA ORIENTALE 307

CONCLUSIONI

Dallo studio stratigrafico che abbiamo esposto e dal rilevamento di dettaglio della Marsica orien­tale si possono trarre varie conclusioni; mi limiterò qui ad esporre quelle che ritengo più interessanti e più utili dal punto di vista paleogeografico e strutturale.

Durante il Mesozoico a partire dal Lias, almeno per quel che è dato di vedere, la zona presa in esame costituisce il limite fra la sedimentazione pelagicr, umbro-marchigiana e la facies della piattaforma calcarea abruzzese. Essa è situata lungo il ramo orientale di quella linea arcuata che, partendo dalla zona di Tivoli, gira attorno al Gran Sasso, indi ritorna verso SE segnando sempre il confine fra le due facies suddette. Il limite si delinea già nel Lias inferiore, poi acquista caratteri più precisi finché, alla base del Dogger, si stabilizza con un andamento NNW-SSE che manterrà fino al Ter­ziario inoltrato.

La facies pelagica a fronte della piattaforma ha caratteristiche di miogeosinclinale sia nella zona marsicana, sia lungo tutto l'arco fino ai Monti Tiburtini; per cui la piattaforma carbonati ca la­ziale-abruzzese non deve essere considerata una geo-anticlinale o cordigliera, bensì soltanto una zona di alto in cui la sedimentazione particolarmente attiva ha equilibrato la subsidenza generale della zona. A prova di questo si può constatare che i sedimenti della piattaforma e del bordo hanno uno spessore che è circa cinque volte quello dei depositi pelagici antistanti.

In relazione con le caratteristiche ambientali si ha in Marsica una sedimentazione molto varia, costituita dai termini specifici di ciascuna zona. Le serie stratigrafiche possono però considerarsi continue dal Lias basale fino alla parte superiore del Cretacico, mentre poi si hanno lacune assai marcate. Fa eccezione la Montagna di Godi che deve considerarsi strutturalmente connessa alla regione meridionale dei Monti della Meta, in cui tutto il Mesozoico è fortemente lacunoso.

Nella zona studiata è possibile stabilire quali relazioni intercorrano fra il bacino umbro-marchi­giano, la fossa molisano-sannitica e la piattaforma: nel Dogger, quando ha avuto origine il golfo pe­lagico allungato in direzione NNW -SSE, questo doveva costituire un'unica depressione bordiera fino ai Monti della Meta e probabilmente molto più a Sud; esso doveva lambire cioè tutte quelle zone in cui, sopra i sedimenti micritici liassici si

rinvengono calcari organogeni ad ellipsactinie. Questo golfo, limitato ad Est da scogliere, ma pro­babilmente non da una ulteriore piattaforma (al­meno fino ad una certa distanza), doveva costi­tuire nel Dogger una depressione unica che dal bacino della << Corniola )} si spingeva a Sud fino nel Molise: a questo livello quindi non esiste ancora una differenziazione fra facies umbro-marchigiana e facies molisano-sann1tica. La piattaforma carW-­natico-micritica limitava ad Occidente questo golfo.

Il primo accenno ad una separazione si ha nd Cretacico medio: a Sud si individua un bacino con sedimentazione silicea, mentre nella nostra zona continua il deposito carbonatico; ad ogni modo la separazione non doveva essere completa dato che i sedimenti albiani settentrionali mostrano una silicizzazione molto intensa. Dall'Albiano in poi avviene invece un netto distacco e mentre la nostra zona rimane in collegamento col bacino mio-geosin­clinalico umbro-marchigiano, in quella meridionale si sviluppa una sedimentazione marnoso-argillosa passante poi a depositi flyschioidi.

Il golfo a sedimentazione pelagica che si stabi­lisce alla base del Dogger ha una persistenza molto spiccata fino al Terziario. Anche durante i periodi di movimenti tettonici piuttosto intensi la zona rappresenta sempre una depressione che talora rimane emersa, ma in genere conserva più a lungo la sedimentazione in fase regressiva e viene occu­pata per prima dal mare ingressivo. Si tratta quindi di una vera e propria fascia isopica in cui i sedi­menti hanno sempre caratteristiche più profonde di quelle delle zone circostanti. Questo stato di cose si modifica soltanto durante il Tortoniano, periodo in cui si ristabilisce la completa unità delle facies.

A proposito della distribuzione delle facies si possono individuare due allineamenti principali, che corrispondono alle valli dell'alto Sangro - Giovenco e del Profluo - Sagittario, e che rappresentano linee di cambiamento di ambiente di sedimentazione dal Dogger fino al Miocene. Anche queste linee hanno una persistenza molto notevole e sono particolar­mente interessanti in quanto durante la tettogenesi hanno rappresentato zone di debolezza, e su di esse si sono impostate importanti direttrici di sovrascorrimento. Questo comportamento è assai naturale, in quanto è logico che grossi blocchi con caratteristiche litologiche diverse reagiscano diver­samente agli sforzi tettonici; nelle zone di sutura

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308 R. COLACICCHI

si accumulano quindi tutte le sollecitazioni prodot­te dalle _singole reazioni dei vari elementi strut­

turali. Quanto alla tettonica, nella Marsica orientale

si riconoscono fenomeni di raccorciamento dovuti a sovrascorrimento, ma la loro entità è modesta come risulta chiaramente dai dati stratigrafici. La tettonica della Marsica non può essere quindi risolta a mezzo di grandi falde di scivolamento completamente disgiunte, ma è necessario ricorrere a meccanismi tettonici più semplici e che impli­chino spostamenti minori.

Data la posizione delle faglie normali ed inverse, ritengo che il cuneo asimmetrico sovraspinto ad Est possa giustificare i dati di terreno e darne una spiegazione più plausibile. Il movimento si sup­pone limitato alla parte superiore della litosfera, al di sopra del livello gessifero considerato unifor­memente esteso alla base del Trias. Lo sforzo tan-

genziale per la formazione dei cunei sarebbe stato esercitato da masse scollate ed avanzanti per gravità lungo il pendio di un geotumore tirrenico; questo verrebbe a costituire la causa primaria della tettoge­nesi nell'Appennino centro-meridionale.

Nella zona marsicana, data la posizione piuttosto lontana dal geotumore, la spinta da Occidente non sarebbe stata molto forte; avrebbe avuto origine, così, un regime superficiale di compressione che avrebbe prodotto cunei asimmetrici e scaglie con

modesta embriciatura. Sono del tutto assenti nella regione marsicana

terreni che possano considerarsi alloctoni. Il do­minio delle argille scagiiose periadriatiche comincia poco più ad Est oltre il Piano delle Cinque Miglia; mentre quelle tirreniche non sono giunte fino nella nostra zona ad eccezione di alcuni ciottoli sedi­mentati entro i conglomerati messiniani.

ABSTRACT

In this work are exposed the conclusions of a long study about stratigraphy and tectonics of a region limited by the Fucino basin, the upper Sangro valley and the Sulmona plain.

Stratigraphy

The generai stratigraphic trend of the region is characterized by facies variation from the mi­critic shelf-lagoon environment of the middle Apennines to the eastern pelagic one, connected with the << umbro-marchigiano )) basin. This facies variation, from Lower Lias to Tertiary, is included in the mapped regio n: thus i t has been possible to establish the position of the shelf edge and of the related sedimentation through all the mentioned periods.

The shelf lagoon facies is typical in the western area: i t does not change from Lower Lias to Middle or Upper Cretaceous. This sedimentation consists mostly in lime mud, deposed in a very shallow marine water, where streams and any exchanges with oceanic water were lacking. Calcareous Algae (especially Dasycladaceae) are here extremely fre­quent: they often represent a great part of the rock, but never behave as framebuilders. In this shelf lagoon facies, the different stratigraphic levels are indicated by changes in the microbio­facies.

On the shelf edge and in the transition zone, aside, vertical facies changes are more frequent and evident: so in each peri od there are peculiar stratigraphic features.

In Lias, apart from the lower section where all the rocks are dolomitized and recrystallized, the

sediments of the pelagic basin are made up by micrites with Radiolaria and spiculae of Spongiae. Debris coming from the shelf are interbedded with these materials: the beds are deposed by turbidity currents in which the role of day was played by a calcareous microcrystalline mud, and therefore they show a well developed graded bed­ding. This type of sedimentation is quite similar to a Flysch.

At the end of Lias there is a quiet period, and marls with Ammonites are deposed in the depres­sion; later on the pelagic facies shifts to South­west, reaching the Profluo-Sagittario line.

From Dogger a typical threshold facies develops on the shelf edge, characterized by skeletal, skeletal­detrital, oolitic and coated-grains sediments, ce­mented by sparry calcite; this facies has been named << Terratta formation )). Along the type section it is possible to distinguish three units:

l) a << lower skeletal zone 1> characterized by little frames (patch reefs) builded by Corals an d Chetetidae to ascribe to an outer platform environ­ment and Dogger in age.

2) A lagoon and oolitic sedimentation, pro­bably related to the inner platform and to the barrier rim, and referable to Malm.

3) An << upper skeletal zone )) of outer platform again, characterized by Ellipsactiniae. The latter sedimentation goes up to the top of Neocomian and possibly to the basis of Aptian.

During the Dogger, in the pelagic basin, fila­ments micrites are deposed, always interbedded with detrital layers made of skeletal-detrital and oolitic materia! coming from the shelf edge. In

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GEOLOGIA DELLA MARSICA ORIENTALE 309

this case there are no turbidity currents, owing to a lack of microcrystalline mud.

In Malm the westward expanding reef facies reaches the pelagic basin and above the filaments micrites organic calcirudites are deposed, which may be regarded as eteropic with the lagoon and oolitic layers.

In Upper Tithon and in Neocomian the typical sediment << Maiolica 1> is laid down: that is a white micrite with Tintinnids, quite analogue to the one of the << umbro-marchigiano 1> basin.

In Middle Cretaceous the threshold facies shifts westward and the Ellipsactinia limestones are 1.-r}kcrweù by a more definitely detrital sedimenta­tion, known in Middle-South Apennines as << Cal­care cristallino 1>. This materia! is deposed up to Maestrichtian and occasionally to Palaeocene.

In the pelagic basin the clayey sediments rela­ted to the << Scisti a Fucoidi 1> formation are mixed with detrital breccias, coming from the << Cristal­lino l) facies. ~omewhere there are layers with silicized macrofossils and voids filled with idio­morphic quarz crystals.

In the upper part of Cretaceous a micritic sedi­mentation occurs again: that is the << Scaglia 1> for­mation also similar to the corresponding formation in Umbria.

Near the top of Cretaceous tectonic movements begin, which affect the whole region. An emersion occurs on the shelf in Cenomanian, with a depo­sition of bauxite, and a second one, near the top of Cretaceous, brings the whole region up to a continental environment. The edge zone instead is stili depressed; there are some hiatus even there, but a marine sedimentation is stili present, even if at intervals and irregularly distributed.

During Paleogene the ancient shelf is quite emer­ged: the eastern basin coast an d shallow water sediments are spread over a large surface, but they do not appear in connection. Two main transgressions may be recorded: one in the Pa­laeocene, the other one in the Middle Eocene.

In the Lower Miocene the sea begins to cover a part of the edge depression; and soon afterwards, in the Middle Miocene, it invades again the whole area, including the shelf, which had been emer­ging tili that time. Sediments deposed by the ingressing sea are shallow sea limestones with Bryozoans and Red Algae, followed by Orbulina­marls, which mark the beginning of the clayey and sandy sedimentation. The << Marnoso-Are­nacea 1>, of Tortonian age, closes the sedimentary cycle of the Apennines geosyncline, and a short time later a tectonic displacement causes the emer­sion of tbe wbole region.

Tectonics

The tectonic features in Marsica are characte­rized by structures related either to thrust planes or to direct vertical faults.

Six main tectonic elements are recognizable, from the W est to the East:

a) Morrone del Diavolo ridge. It consists in an inclined anticline, recumbent in the centrai part and partly overthrust to the West. This westward directed structure is an exception to the generai << W est to East 1> trend in the w ho le area.

b) Upper Sangro-Giovenco line. A tbrust front with eastern vergence occurs along this line, and just in front of it there is a great normal fault li­miting the adjacent structure.

c) Marsicano-Terratta-Miglio ridge. This is a big structure, limited westward by tbe above men­tioned normal fault, and by a thrust fold to the East: ali the structure dips eastward almost 40°; it may be interpreted as a sligbtly tbrust wedge.

d) Profluo-Sagittario line and Godi-Preccia ridge. The thrust line limiting the former structure to the East, appears duplicated into two alternate faults: one along the Sagittario valley, more active to the Nortb, tbe otber one along tbe Profluo valley, more active to tbe soutb; the planes of botb faults are dipping 30°-40° to tbe W est andare tbrus­ted eastward.

An intermediate structure inclined to tbe W est is situated between the two mentioned faults: this median structure is connected in tbe southern part to the western ridge and in tbe nortbern one it joins the eastern structure.

e) Mount Genzana ridge. It is similar to the Marsicana ridge: i t also dips eastward, but i t underwent a minor displacement. To the West a norma! fault grades somewhere into a continuous flexure; to the East tbe reverse fault is concealed by the sediments of the Sulmona plain.

f) Sangro line. It consists in a subborizontal thrust p lane witb a generai trend ENE-WSW but directed E-W in tbe studi ed area. The direction of the tbrust is towards tbe North and the displacement may be very conspicuous. Tbis line duplicates w bere i t reaches the Opi ridge: tberefore tbe latter appears in connection witb the big thrust masses, Soutb of the Sangro river.

As for the genesis of tbese ridges and lines, they may be considered as tbe result of an asymmetric compression, from West to East, in the upper part of the crust, above tbe triassic anidrite beds.

The tectogenesis is related to a big geotumor existing in the Tyrrhenian area: many crustal slabs, detacbed along the anidrite level, slid to the East and originated imbricate structures, exer­ting a strong pressure in their frontal area. The slope due to tbe geotumor did not reach tbe Eastern Marsi ca: tberefore the sediments h ere ha ve scar­cely slid, but bave been displaced by compression. As a result of this type of stresses we bave thrust planes, occasionally imbricate, but no remarkable displacements; tbe more solid blocks may be con­sidered as asymmetric wedges, sligbtly tbrusted westward.

Manoscritto presentato neU'Aprile 1967

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GEOLOGIA DELLA MARSICA ORIENTALE 315

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N

! o 2Km

G) · Faglia Sperone · Gi!Jia

® • Faglia del M. Parasano

® · Probabile linea di accavallamento alto Sangro • Giovenoo

0 • Faglia alto Sangro • Giovenoo

® · Linea Val Ciavolara · T. T asso · E Sagittario

® • Linea T. Profluo · Vallone delle Masserie

0 · Faglia Rocca Oliarano • Serra Pantanella

® • Faglia Serra Sparvera · M. Genzana

® · Probabile l inea di accavallamento al limite oon la Piana di Sulmona

@ · Linea del Sangro

@ · Linea di Opi

· Zone di sutura fra le varie strutture

[[]] · Bordo Est del Fucino

m

· Struttura del Morrone del Diavolo

· Strutlura M. Marsicana · M Terratta · M Miglio

· Elemento tettonioo del M. Godi · M.gna di Precaa · M. della Rovere

• Struttura di Rocca Oliarano • Serra Pantanella

· Struttura di Serra Sparvera · M Genzana

• Struttura di Opi

· Masse calcaree a tergo della linea del Sangro

Bigi Dr. Giuseppe dis.

CARTA TETTONICA

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~ 1\ 1\

~ ~ ---·----......

------······· ..

· Frana di Scanno

· Zone cataclastiche

· Strati c. s. rovesciati

· Asse di sinclinale asimmetrica

· Asse di anticlinale asimmetrica

· Faglie dirette principali

· Faglie inverse principali

· Fronti di sovrasoorrimento

· Faglie il cui rigetlo si annulla gradualmente

· Faglie dirette secondarie

• Bordi delle strutture

· Traccia dei profili

R. COLACICCHI

DELLA MARSI CA ORIENTALE

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A Colle Truscino

1000

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'""" GIOIA DEI MARSI

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M . te Parasano

L~ Vicenne

Colle Biferno Strada Ortona dei Marsi - Bisegna Bocca di Mezzana

Vallone di Mezzana

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le GIOIA VECCHIO

Spina Cerreto

Culla del Diavolo

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500 m Slm SW

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1000

Facies di transizione: formazione della "Scaglia". Cenornaniano- Turoniano.

BISEGNA

Fiwnfl Gi.ov•meo

Facies di transizione: formazione degli "Scisti a fucoidi". Aptiano- Albiano.

Facies di soglia: "Calcare cristallin0". calciruditi ad Orbitoline ed Orbitoidi. Aptiano- Paleocene.

4

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b

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Colle

Cresta di CASTROVALVA

b

Cese Vecchie

b

M. Argatone

Dragonarella

b

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Serra Terratta

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500"' sl.-n1 SW

M. Palon1bo

R. COLACICCH GEOLOGIA DELLA MARSI CA ORIENTALE

a

b

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NL e

Prata di Castro Fiur>W~ Sagittario

struttura

struttura

struttura

struttura

PROFILI

MorrJ ne . del Diavolo

t Marsicana - Terratta - Miglio

i Godi ~ Preccia - Rovere

l

SparV,era - Genzana

struttura Chiar~no - Pantanella

Serra Rufigno

N~ d

Monte della Rovere D' Vallone di Marcone La Canale

VILLALAGO

\ Fiwll18 Sagittario

c

Pendici SE Montagna Grande

Collo Spinello

b

5

Serra della Terratta

Monte Cona

Strada Scanno - Villalago

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Pif na Ma.lvascione

S. Egidio

c

d

GEOLOGICI

Scala 1 : 50.000

2

3

4

5

6

7

8

La Genzana

Faglia Sperone - Gioia

Faglia del M. Parasano

Presunto accavallamento alto Sangro - Giovenco

Faglia alto Sangro Giovenco

Linea Ciavolara - Tasso - Sagittario

Linea Profluo - Vallone delle Masserie

Faglia Sparvera - Genzana

Linea di Opi

Alluvioni recenti e detriti.

Conglomerati fluviolacustri della conca di Pescasseroli e dell'alta valle del Sangro; brecce di pendio. Quaternario.

Conglomerati calcarei ed argille di facies oligoalina. Messi n i ano.

"Formazione di Frosinone": alternanze argilloso- arenacee in facies flyschioide. Tortoniano.

"Marne ad Orbuline". Elveziano.

Calcare .e Briozoi e Litotarnni. Langhiano superiore - Elveziano.

Calcare a Nurnmuliti, Alveoli ne e Lepidocicline. Eocene - Oligocene.

Valle Cardosa

Vallone S . Margherita

Valle Frevana

d

Valle di Terraegna Serra M . Canzoni Montagn~ di Preccia Serra Sparvera

Facies di piattaforma: calcare mi critico. Aptiano - Cenornaniano.

S. S. Marsicana <N: 83) Prato Rosso Vallone delle Masserie F'

Facies di transizione: formazione della ''tv1aiolica''. Malm superiore · Neocomiano.

Facies di soglia: Formazione della Terratta. fascia organoge­na superiore ad Ellipsactinie. Mal m superiore- Neocomiano.

Facies di soglia: Formazione della Terratta, livelli lagunari ed colitici. Malm.

Facies di soglia: Formazione della Terratta. fascia organogena inferiore. Dogger.

Facles di soglia: -Formazione della Terratta, calcari orga­nogeno- detritici lndifferenziati. Dogger- Neocomiano.

Facies di transizione: micriti a filarnents. Dogger - Mal m.

Facies di transizione: rnarne ad Amrroniti. Lias superiore - Dogger.

Facies di transizione: mi cri ti a radi alari e spicole,con banchi detritici gradati (flysch calcareo). Uas medio- superiore.

Facies di piattaforma: calcare rnicritico a Palaeodasycladus. Uas medio - superiore.

Dolomie sa.ccaroidi stratificate di facies indifferenziata.

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1000

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Serra Cappella

Colli Alti

Colti Bassi

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1000

Monte del Campitello

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Villetta B. - Scanno

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Monte Godi

Colle di Mezzo 1 Codacchi

Val Ciavolara

Valle del

Tesoro

Bocca di Pantano

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Montagna di Godi

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Serra Pantanetla

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Bigi Dr. Giuseppe dis.