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ANNO XXIV - N. 3 LUGLIO-SETTEMBRE 2011 ISSN 1121-1725 RIVISTA TRIMESTRALE DI DIRITTO PENALE DELL’ECONOMIA diretta da GIUSEPPE ZUCCALÀ A. ALESSANDRI, P. BERNASCONI Lugano, C. BERTEL Innsbruck, G. CASAROLI, I. CARACCIOLI, P. CONTE Bordeaux, M. DELMAS-MARTY Parigi, A. FIORELLA, G.M. FLICK, G. FLORA, F. HÖPFEL, A. LANZI, V. MILITELLO, C.E. PALIERO, A. PAGLIARO, P. PATRONO, S. PROSDOCIMI, G. SCHIAVANO, K. TIEDEMANN Friburgo I. Br. Tariffa R.O.C.: Poste Italiane S.p.a. - Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Milano

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ANNO XXIV - N. 3 LUGLIO-SETTEMBRE 2011 ISSN 1121-1725

RIVISTA TRIMESTRALE DI

DIRITTO PENALE DELL’ECONOMIA

diretta daGIUSEPPE ZUCCALÀ

A. ALESSANDRI, P. BERNASCONI Lugano, C. BERTEL Innsbruck, G. CASAROLI, I. CARACCIOLI, P. CONTE Bordeaux, M. DELMAS-MARTY Parigi, A.

FIORELLA, G.M. FLICK, G. FLORA, F. HÖPFEL, A. LANZI, V. MILITELLO, C.E. PALIERO, A. PAGLIARO, P. PATRONO, S. PROSDOCIMI, G. SCHIAVANO, K. TIEDEMANN Friburgo I. Br.

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GraziaMannozzi

professore ordinario di diritto penale nell’Università dell’Insubria

PERCEZIONE DELLA CORRUZIONE E DINAMICHEPOLITICO-CRIMINALI DI CONTENIMENTO E REPRESSIONE

DEL FENOMENO CORRUTTIVO

Sommario: 1. Il ruolo della percezione della corruzione: apporto conoscitivo e feed back sul-la politica criminale. - 2. Brevi note sul metodo di indagine. - 2.1. La corruzione nellapercezione delle scienze economiche. - 2.2. La corruzione nella percezione giuridica so-vranazionale. - 2.3. La corruzione nella percezione giuridica e sociale nazionale. - 2.4.L’autopercezione della corruzione da parte degli autori del reato. La funzione conosciti-va delle dinamiche linguistiche. - 3. Conclusioni.

Non farai violenza al diritto,non avrai riguardi personalie non accetterai regali,perché il regalo acceca gli occhi dei saggie corrompe le parole dei giusti(Deuteronomio 16,19)

1. – Entità labile e sfuggente, la percezione della criminalità diventa datomaterico ed effettuale non appena la si contestualizzi nelle dinamiche socia-li che portano a richieste di tutela e finanche di pena, oppure laddove la siproietti nella prospettiva politico-criminale di contenimento e repressionedi quelle forme di criminalità ritenute intollerabili per la convivenza pacifi-ca e la sicurezza dei consociati.

La costruzione di un discorso scientifico sulla percezione della criminali-tà in generale e della corruzione, in particolare, sconta tuttavia non pochedifficoltà tra le quali si pone, in primis, la perdurante incertezza e contro-vertibilità delle metodiche di rilevazione di un dato di per sé scarsamente af-ferrabile e in ogni caso faticosamente riconducibile a metri quantitativi o aformule linguistiche univoche.

Altrettanto complessa è poi l’indagine dell’uso politico-criminale chepuò essere fatto della percezione del crimine, dato fluido e manipolabileeppure apertamente invocato da locutori politici come elemento certo, og-gettivo e inoppugnabile attraverso il quale alimentare il consenso sociale ocercare di canalizzare univocamente l’elettorato. Non appaiono immuni dalrischio di una strumentalizzazione politica di ciò che è intrinsecamente «in-certo» al fine di fondare false «certezze» neppure i paesi che godono di una

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consolidata tradizione democratica, rispetto ai quali osservatori attenti del-le dinamiche socio-economiche e dei modelli di penalizzazione riscontranoforme di gestione della criminalità alla cui base, più che problemi di «sicu-rezza», sembrano porsi preoccupazioni di gestione delle nuove marginalitàtali da mantenere o incrementare il consenso.

La letteratura sulle politiche penali americane degli ultimi decenni (1)consente di disegnare un «affresco» dell’agire socio-economico e politico-criminale – il cui livello di complessità è pari a quello delle società globaliz-zate che esso stesso tende, suo malgrado, a rappresentare – il quale fa bencomprendere come lo studio della percezione del crimine assuma un’impor-tanza nient’affatto secondaria. Ciò vale anche per il nostro Paese, che sem-bra orientarsi, analogamente agli Stati Uniti, verso «derive» securitarie fon-date su inasprimenti sanzionatori (2) o, per così dire, verso una «militarizza-zione» (3) del diritto penale rispetto a specifiche forme di criminalità.

Volendo in sintesi esplicitare la ratio della presente indagine incentratasulla percezione dei delitti di corruzione (che sono costante storica a partiregià dalla narrazione vetero-testamentaria (4)), direi che le ragioni che milita-no a favore dell’opportunità di un costante monitoraggio dei livelli di per-cezione della corruzione possano essere ricostruite (senza alcuna pretesa dicompletezza) secondo la seguente tassonomia.

1.1. – In primo luogo, la percezione del crimine, se correttamente rile-vata secondo i metodi delle scienze sociologiche e criminologiche, può co-stituire un’insostituibile piattaforma conoscitiva rispetto a forme di crimina-

(1) Mi riferisco ai lavori di Garland, The Culture of Control. Crime and Social Order inContemporary Society, University of Chicago Press, Chicago, 2001, trad. it. La cultura del con-trollo, Il Saggiatore, Milano, 2004; Simon, Governing through Crime. How the War on CrimeTransformed American Democracy and Created a Culture of Fear, Oxford Univ. Press,Oxford, 2007, trad. it. Il governo della paura. Guerra alla criminalità e democrazia in America,Milano, 2008; Grande, Il terzo strike, Palermo, 2007.

(2) Cfr. le osservazioni di Risicato, Verso un diritto penale illiberale? La crisi di senso del-l’intervento penale tra derive securitarie e paternalistiche, in Studi in onore di Mario Romano,Napoli, 2011, 525 ss. V. anche Gamberini, Percorsi autoritari ed esiti simbolici della riformadella legittima difesa, in Insolera (a cura di), La legislazione penale compulsiva, Padova,2006, 85 ss.

(3) L’espressione è di Palazzo, Contrasto al terrorismo, diritto penale del nemico e princi-pi fondamentali, in Questione giustizia, 2006, 679. Sul problema «sicurezza» e sulle declina-zioni di significato del termine v. Pulitanò, Sicurezza e diritto penale, in Riv. it. dir. proc.pen., 2009, 547-568 (v. in part. 557 sulle dinamiche che collegano gli inasprimenti sanziona-tori derivanti dalle politiche di sicurezza al rispetto del principio di uguaglianza).

(4) V. il libro del Profeta Zaccaria, specialmente per il contesto dell’assolutismo politicoe religioso caratterizzato dalla corruzione. Cfr. anche i seguenti passi: Isaia 33, 15; Ezechiele16, 47. Per la simonia, di cui la corruzione moderna può essere considerata la versione «seco-larizzata», v. Atti, 8, 9-25.

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lità sulle quali pesa da sempre il «giogo» della cifra nera. Lo studio dellapercezione della corruzione può infatti contribuire a «sollevare» quel gio-go, consentendo una più realistica stima quantitativa (sia pure caratterizza-ta da un certo grado di approssimazione) della delittuosità reale. L’afferma-zione che la percezione del crimine è tanto più importante, ai fini dell’inda-gine quantitativa di un fenomeno criminale, quanto più il crimine oggettodi valutazione stenta a giungere a conoscenza dell’autorità ha ovviamentecarattere e valenza generali. La corruzione è tuttavia da considerarsi, al ri-guardo, paradigmatica: essa fatica particolarmente ad affiorare dalla cifranera, restando per lo più imprigionata nelle «sabbie mobili» del convergen-te interesse al silenzio che si instaura tra corrotto e corruttore e, in modoancor più intenso, tra i partners di uno scambio corrotto inscritto in contestifortemente sottoculturali o legato alle strategie espansive del crimine orga-nizzato (5). In quest’ultima ipotesi la corruzione diventa viepiù impermea-bile alla penetrazione da parte della pubblica autorità o della magistraturainquirente. La rilevanza della percezione della criminalità ai fini dell’indagi-ne quantitativa è confermata peraltro dall’ampio ricorso che si fa, a livellonazionale ed internazionale, alle stime elaborate annualmente da Transpa-rency International, i cui esiti sono sintetizzati nell’indicatore denominato«corruption perception index» (cpi) (6). Tale parametro sintetico è statocreato per rappresentare con immediatezza – e cioè attraverso un datocomprensibile e fruibile non soltanto dalle elìtes di economisti o di giuristi– un quadro dei livelli di corruzione nei diversi paesi del mondo, quadroche prescinda dal dato, anch’esso incerto e per di più non perfettamentecomparabile, della criminalità registrata nelle statistiche giudiziarie di cia-scun ordinamento.

1.2. – Il dato percettivo concorre, in secondo luogo, a delineare un’im-magine qualitativa della corruzione, diventando strumento di analisi del fe-nomeno empirico che il diritto penale intende combattere e prevenire. Aquesto riguardo possono essere considerati emblematici i risultati del c.d.«Barometro della Corruzione» (7), elaborato da Transparency Internationalper proporre una panoramica della «morfologia» della corruzione e dei set-tori di attività – pubblici o privati – percepiti come più corrotti. Siffatta va-

(5) Davigo-Mannozzi, La corruzione in Italia. Percezione sociale e controllo penale, Ro-ma-Bari, 2007, 114 ss. e 279-81.

(6) Il «Corruption Perception Index» 2011 è disponibile alla seguente URL: http://cpi-.transparency.org/cpi2011/results/#CountryResults.

(7) Il «Barometro della Corruzione» 2010 è disponibile alla seguente URL: http://www.transparency.it/ind_ti.asp?idNews=159&id=barometro.

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lutazione qualitativa consente, inoltre, di individuare in quali pieghe del-l’ordinamento, nel suo quotidiano esplicarsi attraverso una serie di rapportitra Autorità e individuo, o in quali ambiti professionali – laddove si accordi,come è doveroso, rilevanza alla corruzione inter privatos – si radicano pre-valentemente le prassi corruttive.

1.3. – La percezione della corruzione – almeno nella forma della com-prensione non squisitamente tecnica bensì «laica» di un fenomeno crimino-so di cui si può avere esperienza immediata o mediata – va considerata, interzo luogo, come un vettore di dinamiche sociali (8). Essa costituisce nongià un dato neutro e insuscettibile di produrre effetti «comunicativi», bensìun fattore idoneo a condizionare il generale clima di fiducia verso le istitu-zioni, la fiducia degli investitori stranieri nell’economia di un dato paese (9)e persino la stabilità istituzionale, rispetto alla quale è pre-condizione il cor-retto svolgersi dei rapporti, orizzontali e paritari, tra cittadini e di quelli,verticali ed asimmetrici, tra cittadino e pubblica Amministrazione.

1.4. – La percezione della corruzione e segnatamente della sua dimen-sione frequenziale (riassumibile nell’andamento diacronico delle denunce edelle condanne) sembra esercitare un’influenza anche sulla propensione adelinquere, diventando elemento conoscitivo che entra nell’analisi costi/benefici, antecedente alla decisione di violare la legge, almeno in una prag-matica del comportamento criminale secondo la quale i white collars seguo-no il modello dell’homo oeconomicus (10). Stando ai risultati della ricercacondotta da Càbelkovà (11), la percezione del livello di corruzione influen-zerebbe la domanda e l’offerta di corruzione, incidendo su fattori quali il co-sto morale del reato – che si riduce quanto più il comportamento deviante è

(8) Sul rapporto tra contenuti e forme di comunicazione della criminalità da parte deimedia e dinamiche relative agli atteggiamenti e ai giudizi dell’opinione pubblica v. le osserva-zioni di Forti-Redaelli, La rappresentazione televisiva del crimine: la ricerca criminologica,in Forti-Bertolino, La televisione del crimine, Milano, 2005, 9 ss.

(9) Melgar-Rossi-Smith, The Perception of Corruption, working paper, 2008, 3 s.(10) Ma v. le considerazioni di Paliero sulla anelasticità del comportamento criminale

proprio dei colletti bianchi, sui quali pesano dinamiche sottoculturali, in L’economia della pe-na (un work in progress), in Riv. it. dir. proc. pen., 2005, 1379 ss. (il lavoro è pubblicato anchein Studi in onore di Giorgio Marinucci, a cura di Dolcini e Paliero, vol. I, Milano, 539-610).L’A. distingue, in particolare, tre idealtipi di comportamento criminale: (a) anelastico, cioèimpermeabile al rischio penale (soggetto non imputabile o in cui domina l’agire orientato aun valore); (b) comportamento relativamente anelastico, cioè solo tendenzialmente resistentea valutazioni costi-benefici (delinquente politico o sottoculturale); (c) comportamento elasti-co, in cui la decisione è economicamente orientata.

(11) Càbelkovà, The Perception of Corruption in Ucraine: Are they correct?, CERGE-EI,2001.

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(ed è percepito come) diffuso – o il senso di impunità, legato a bassi livelli discoperta del reato (ad esempio per una modesta propensione alla denunciaoppure per la carenza strutturale di corpi di polizia specializzati e organiz-zati per scoprire autonomamente il crimine o, ancora, per la presenza dimeccanismi preventivi di debole efficacia) e/o a percentuali minime di chia-rimento della criminalità emersa.

1.5. – Infine, la percezione della corruzione sembra possedere un effet-to di feed back sulla funzione reattiva e proattiva delle agenzie del controlloformale (12), sulle politiche penali e sul livello di effettività delle norme incri-minatrici. La circolarità tra politiche penali e percezione del crimine (sia es-sa spontanea, cioè non condizionata, oppure indotta, per esempio dalla rap-presentazione mediatica ovvero dalla narrazione giornalistica o letterariadella criminalità (13) o ancora dalla rappresentazione e dalla narrazione cheil potere costituito fa della corruzione) è un fenomeno ormai accertato dallescienze criminologiche e sociologiche (14). Tant’è che la rappresentazionedel crimine – prevalentemente di quello più «riconoscibile» ed «afferrabi-le» perché realizzato, tanto per intendersi, da appartenenti alla vetustaquanto concettualmente superata categoria delle «classi pericolose» o per-ché indirizzato a vittime «in carne e ossa» – può persino venire manipolatao distorta quando si vuole utilizzare il crime control come strumento di con-solidamento del consenso politico per una gestione autoritaria, neoconser-vatrice o più mediocremente gattopardesca della realtà sociale. Dinamichedi questo tipo sono ampiamente descritte, in relazione alla realtà statuniten-se, da Simon (15) sulla base dell’osservazione delle recenti politiche penaliadottate massimamente per fronteggiare veri o presunti problemi di sicu-rezza urbana, e da Wacquant, rispetto alla gestione del problema razziale(16). Anche Tonry ribadisce il frequente ricorso a politiche penali di tipoespressivo, volte cioè, più che a contenere realmente la criminalità, sempli-

(12) V., in particolare, gli argomenti addotti da Forti-Redaelli, La rappresentazione te-levisiva del crimine, cit., 6.

(13) Sulla produzione narrativa connessa alla devianza si vedano le considerazioni diBandini et al., Criminologia, Milano, 2003, 25. Emblematico del filone narratologico può es-sere considerato il saggio di Francia, Il delitto raccontato. Una lettura criminologica delle no-velle di Guy de Mupassant, Milano, 2010.

(14) Cfr. Rosoff, I mass media e il crimine dei colletti bianchi, in Forti-Bertolino, Latelevisione del crimine, cit., 506. L’A. sostiene che la relazione tra media, opinione pubblica epolitiche pubbliche sia non già di tipo lineare bensì multidirezionale.

(15) Simon, Il governo della paura, cit.(16) V. Vacquant, From Slavery to Mass Incarceration. Rethinking the «Race» Question

in the US, in New Left Review, 2002.

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cemente a «dimostrare» che il governo si attiva in risposta alla crescentepercezione di insicurezza (17).

In definitiva, la percezione della corruzione (e del crimine in generale) èun fattore che pur essendo difficile da stimare – alimentandosi, come è in-tuibile, di un dato incerto, per certi aspetti indefinibile, e comunque sem-pre mutevole ed influenzabile ed essendo legato all’identità psicologica del-l’individuo che «abita» le società postmoderne (18) – può apportare un con-tributo conoscitivo importante non solo rispetto al c.d. concern of crime (19),e cioè alla preoccupazione collettiva verso siffatta forma di criminalità, maanche rispetto alla conoscenza della dinamica duplice e circolare che si in-staura tra criminalità reale (dinamica delittuosa) e law enforcement (dinami-ca repressiva).

2. – Passando al metodo di individuazione della percezione della crimi-nalità corruttiva, mi sembra utile seguire uno schema che isoli, per esami-narli autonomamente, i diversi livelli percettivi, i quali rispondono ad unatipologia che si contestualizza, ancorché secondo metodiche di rilevazionedifferenti, in un orizzonte economico-giuridico ampio, che spazia dalla di-mensione del diritto interno a quella sovranazionale.

Sono da distinguere, in particolare, i seguenti livelli di percezione, cia-scuno dei quali atto a veicolare contenuti e informazioni differenziate:

a) percezione economico-sociale;b) percezione giuridica sovranazionale;c) percezione giuridica e sociale nazionale.

Questa ideale classificazione discendente ha la sua ratio essendi nell’op-portunità di proporre dati percettivi che muovono da una prospettiva pre-valentemente oggettiva, perché fondati su rilevazioni statistiche o modellieconometrici, verso una progressivamente meno oggettiva, perché legata,come avviene soprattutto in ambito nazionale, alla «fluidità» dell’opinionecollettiva.

Come osservano Levitt e Dubner,«La morale rappresenta il modo in cui si vorrebbe veder girare il mondo, mentre

l’economia rappresenta il modo in cui esso gira davvero. L’economia è in primis unascienza fatta di misurazioni e può contare su un intero arsenale di strumenti, stupefacen-

(17) Tonry, Alle radici delle politiche penali americane: una storia nazionale?, in Crimina-lia, 2010, 100.

(18) Polano-Cervai-Borelli, Percezione del rischio della criminalità urbana, testo di-sponibile alla seguente URL: http://www.dmi.units.it/~borelli/papers/sara/polano.pdf.

(19) In generale, sul punto, v. Furstenberg, Fear of Crime and its Effects on Citizen Beha-viour, inBiderman (a cura di), Crime and Justice: A Symposium, New York, Nailburg, 1972.

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ti per potenza e flessibilità, in grado di penetrare in una folta boscaglia di informazioni edi gettar luce sugli effetti di ogni singolo fattore, nonché sull’impatto dell’insieme. Do-potutto, l’economia è proprio questo: una fitta selva di dati sul lavoro, sugli immobili,sul credito e sugli investimenti. Ma gli stessi strumenti delle scienze economiche posso-no essere facilmente applicati a temi ben più interessanti» (20).

Dunque un significativo valore euristico è da riconoscere all’insieme deidati economici, il cui distillato, a livello sovranazionale, è stato dapprimaraccolto, poi «filtrato» attraverso la lente giuridica e infine trasfuso nei testidelle Convenzioni contro la corruzione.

2.1. – Partendo dal primo e più ampio livello, mi limito qui a sottolinea-re come da tempo gli economisti si siano occupati di corruzione, verifican-done le dinamiche interne e gli effetti sulle transazioni economiche e suimercati (21).

Susan Rose-Ackerman (22) ricorda come, secondo una dicotomia tradi-zionale e peraltro ormai definitivamente superata, siano state distinte unacorruzione, per così dire, «buona» – locuzione, che è all’evidenza un ossi-moro, attraverso cui si indicano prassi ritenute utili per semplificare e fluidi-ficare, attraverso la promessa di dazioni di denaro o altra utilità non dovuti,gli scambi commerciali – e una corruzione «cattiva», tale cioè da produrreeffetti distorsivi sul corretto esplicarsi dei mercati e sulla concorrenza.

Ben presto, tuttavia, la comunità degli economisti si è resa conto che an-che la corruzione c.d. «buona» finisce col generare rapidamente cattivacorruzione (23), sicché ora può dirsi ormai generalmente condivisa l’ideache la corruzione, specie quando presenta le note di un malaffare diffuso,seriale o per meglio dire «sistemico», genera conseguenze negative che ol-trepassano i confini dell’economia e dei mercati per giungere a minare, co-me illustrerò più avanti a partire dai contenuti delle principali Convenzioniadottate contro la corruzione, la stabilità istituzionale, il rispetto delle rego-le democratiche, la tenuta dello stato di diritto.

Da studi condotti nel contesto di istituzioni quali la Banca Mondiale e il

(20) Levitt-Dubner, Freakonomics. Il calcolo dell’incalcolabile, Milano, 2005, 15.(21) Paradigmatico rispetto alla prospettiva di studio indicata nel testo può essere consi-

derato il volume di Masciandaro-Pansa, La farina del diavolo. Criminalità, imprese e ban-che in Italia, Milano, 2000; v. anche Masciandaro-Barone, Organized Crime, Money Laun-dering and Legal Economy Theory and Simulations, in European Journal of Law and Economi-cs, 2011, 115-142.

(22) Rose-Ackerman, Corruption and Government: Causes, Consequences, and Reform,Cambridge University Press, Cambridge (1999), 2007.

(23) Sul punto Rose-Ackerman è ultimativa: non esiste una buona corruzione (op. ult. cit.,2 ss.).

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Fondo Monetario Internazionale (24), volti a monitorare gli effetti delle cor-ruzione, è emerso, in particolare, che la corruzione produce una serie di ef-fetti sfavorevoli che riassumo qui di seguito sinteticamente e per punti, ov-viamente senza alcuna pretesa di completezza o di approfondimento.

In particolare, sembra assodato che la corruzione (25):(A) influenza negativamente la crescita economica;(B) produce inefficienza, deprimendo la produttività delle opere

realizzate;(C) incentiva le disuguaglianze sociali per una cattiva redistribuzio-

ne delle risorse;(D) crea sistemi fiscali regressivi;(E) scoraggia gli investimenti stranieri.

La corruzione sembra inoltre essere in rapporto di proporzionalità inver-sa con i seguenti fattori – che costituiscono peraltro la «cartina di tornaso-le» della salute di un paese – nel senso che la corruzione è tanto più elevataquanto più modesto è il livello di uno qualsiasi dei seguenti coefficienti:

a) regolamentazione che favorisce la nascita di nuove imprese (la c.d.good governance);

b) regolamentazione della concorrenza e competitività delle imprese;c) prodotto nazionale lordo;d) trasparenza fiscale;e) investimenti diretti esteri;f) livello di istruzione dei cittadini;g) spesa pubblica per istruzione e ricerca;h) grado di legalità e rischio penale (26).

Viceversa, la corruzione sembra essere in rapporto diretto con i sottoelencati fattori, nel senso che la corruzione aumenta quanto maggiore, in unsistema, è:

a) la presenza del crimine organizzato;b) il costo del capitale;c) il livello di rischio negli investimenti;d) la dimensione del settore pubblico.

La rilevanza di quest’ultimo elemento, in particolare, è a tutt’oggi con-

(24) Tanzi-Davoodi, Road to Nowhere: How Corruption in Public Investment HurtsGrowth, International Monetary Fund, 1998; Mauro, Why worry About Corruption?, Inter-national Monetary Fund, 1997; dello stesso A. Corruption and Growth, in The Quarterly Jour-nal of Economics, 1995, 681-712.

(25) Cfr. Sandgren, Combating Corruption: The Misunderstood Role of Law, in The In-ternational Lawyer, 2005, 717 ss.

(26) Ampiamente, al riguardo, Arnone-Iliopulos, La corruzione costa, Milano, 2005,passim.

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troversa. La teoria di Backer, secondo il quale la corruzione prospera lad-dove è più presente il settore pubblico, sembra essere contraddetta dal fat-to che i Paesi scandinavi, pur essendo caratterizzati da un settore pubblicomolto esteso, hanno livelli di corruzione percepita (cpi) tra i più bassi almondo (27).

Nella percezione economica della corruzione, in definitiva, si è verifica-to un cambiamento di rotta: da una sorta di sostanziale tolleranza o indul-genza verso la criminalità corruttiva si è passati all’esplicito riconoscimentodella pericolosità di un fenomeno che, quando presenta una dimensioneampia e pervasiva nonché legami occulti con il potere politico, è in grado diimpoverire interi paesi, depredando i cittadini delle risorse necessarie peruna corretta esplicazione delle dinamiche individuali e sociali, indebolendoil rispetto dei diritti umani (28) ed esasperando le disuguaglianze.

Riflesso diretto di tale dinamica valutativa che ha portato a considerarela corruzione come un reato con effetti dannosi o distorsivi non marginalipuò essere considerata la formulazione dell’art. 83 del Trattato sul funzio-namento dell’Unione europea (tfue) (29), laddove nella lista tassativa deireati particolarmente gravi a dimensione transnazionale, per i quali il Parla-mento europeo e il Consiglio possono stabilire norme minime relative alladefinizione dei reati e delle sanzioni, compare anche la corruzione.

2.2. – A completamento di quanto sino ad ora affermato va specificatoche, se la corruzione è oggetto di numerose Convenzioni ed è inclusa tra ireati per i quali l’Unione europea può procedere a richieste di criminalizza-zione ex art. 83 tfue, ciò si deve al fatto che essa è percepita come un reatoparticolarmente grave ed insidioso non soltanto a livello economico ma an-che a livello sociale e politico.

(27) Sul punto Arnone-Iliopulos, La corruzione costa, cit., 25.(28) Sui costi della corruzione v. Arlacchi, La mafia imprenditrice. Dalla Calabria al cen-

tro dell’inferno, Milano, 2007, 257 ss.(29) Si riporta, per semplicità di lettura, il primo comma dell’art. 83 tfue: «1. Il Parla-

mento europeo e il Consiglio, deliberando mediante direttive secondo la procedura legislati-va ordinaria, possono stabilire norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzio-ni in sfere di criminalità particolarmente grave che presentano una dimensione transnaziona-le derivante dal carattere o dalle implicazioni di tali reati o da una particolare necessità dicombatterli su basi comuni.

Dette sfere di criminalità sono le seguenti: terrorismo, tratta degli esseri umani e sfrutta-mento sessuale delle donne e dei minori, traffico illecito di stupefacenti, traffico illecito di ar-mi, riciclaggio di denaro, corruzione, contraffazione di mezzi di pagamento, criminalità infor-matica e criminalità organizzata.

In funzione dell’evoluzione della criminalità, il Consiglio può adottare una decisione cheindividua altre sfere di criminalità che rispondono ai criteri di cui al presente paragrafo. Essodelibera all’unanimità previa approvazione del Parlamento europeo».

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La dimensione della gravità della corruzione percepita nell’orizzonte eu-ropeo ed extraeuropeo emerge principalmente dai concerns che compaiononei preamboli delle principali Convenzioni, di cui intendo proporre unasintetica ricognizione in prospettiva diacronica, cominciando dalla Con-venzione ocse (30) del 1997.

Nel Preambolo della Convenzione ocse si afferma che:«la corruzione è un fenomeno diffuso nelle operazioni economiche internazionali,

ivi comprese le operazioni commerciali e gli investimenti, che desta serie preoccupazio-ni morali e politiche, mina la corretta gestione degli affari pubblici e lo sviluppo econo-mico e altera le condizioni internazionali in materia di concorrenza».

Tale «considerando» esprime un real concern oltre che per i profili mo-rali e politici della corruzione, soprattutto per le dimensioni del fenomeno,per il possibile volume di scambi illeciti che la corruzione movimenta e pergli effetti che essa comporta sulla gestione degli affari pubblici e sul correttoesercizio della libera concorrenza. Come già esplicitato, stando alla più re-cente letteratura economica, la corruzione determina una cattiva allocazio-ne delle risorse, finisce con il premiare le imprese che non sono competitivein ragione della loro migliore produzione o efficienza, e innesca sistemi fi-scali regressivi: fattori, questi, tali da esercitare, a loro volta, una funzionefrenante sullo sviluppo economico.

Evidente è, dunque, l’accento posto dall’ocse, anche in ragione delleproprie competenze funzionali, sulle conseguenze economiche di segno ne-gativo della corruzione stimate dagli economisti. La chiave di lettura pro-posta, improntata ad un criterio di realtà, comporta riflessi significativi sul-la collocazione della fattispecie nella topografia penalistica, tradizional-mente fondata sul bene giuridico. Nell’ottica della Convenzione ocse, lacorruzione sfugge all’orbita gravitazionale dei delitti contro la pubblicaAmministrazione, a rilevanza di diritto penale interno, entro cui era stataconfinata dalle codificazioni ottocentesche che la descrivevano secondo ilmodello della «baratteria» di carrariana memoria (31), per essere attratta

(30) L’ocse è l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, istituita nel1961, con sede a Parigi. Tra i compiti per i quali è stata creata compaiono quelli di: favorireuna crescita economica sostenibile dei paesi membri, sviluppare l’occupazione, aumentare iltenore di vita, mantenere la stabilità finanziaria, aiutare gli altri Stati a sviluppare la loro eco-nomia, contribuire alla crescita del commercio mondiale. Per il perseguimento di tali obietti-vi, l’ocse elabora studi statistiche, analisi e pronostici economici e sociali. In tal modo i Paesimembri possono disporre di una piattaforma conoscitiva adeguata per comparare le loroesperienze, cercare risposte a problemi comuni, identificare buone prassi, sviluppare stan-dard internazionali e coordinare le loro politiche nazionali e internazionali.

(31) Ricorda il Levi, richiamandosi a Carrara: «nel diritto antico italiano chiamatasi bara-taria o baratteria» «la vendita conclusa tra un privato e un pubblico ufficiale di un atto appar-

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dalla più ampia e complessa orbita della criminalità economica transnazio-nale. La «ricollocazione» della corruzione in un più ampio contesto crimi-nologico, sancita dalla Convenzione ocse, trova peraltro riscontro anche inalcune prese di posizione nella letteratura giuridica italiana (32).

Nel Preambolo alla Convenzione penale conclusa a Strasburgo il 27gennaio 1999, il raggio di effetti negativi della corruzione viene percepito inun’ampiezza ancora maggiore rispetto alla Convenzione ocse, laddove siafferma che gli Stati membri del Consiglio d’Europa e gli altri Stati sono:

«...convinti della necessità di perseguire, come priorità, una politica penale comunefinalizzata alla protezione della società contro la corruzione, che contempli l’adozione diuna legislazione appropriata e delle adeguate misure preventive;»

e sottolineano«che la corruzione rappresenta una minaccia per lo Stato di diritto, la democrazia e

i diritti dell’uomo, mina i principi di buon governo, di equità e di giustizia sociale, falsala concorrenza, ostacola lo sviluppo economico e mette in pericolo la stabilità delle isti-tuzioni democratiche e i fondamenti morali della società».

Rispetto al «considerando» della Convenzione ocse sopra ricordato,quello della Convenzione del Consiglio d’Europa, enfatizza una serie di ri-flessi delle pratiche corruttive che, dal settore più strettamente economico,si estendono a macchia d’olio fino a coinvolgere interessi via via più ampi ea titolarità diffusa. Al rischio che la corruzione ostacoli lo sviluppo econo-mico, crei frizione con i principi di buon governo, aumenti le preoccupa-zioni di etica della politica, la Convenzione di Strasburgo premette l’affer-mazione che la corruzione, specie se di livello «sistemico», può rappresen-tare una minaccia per lo Stato di diritto, la democrazia e i diritti dell’uomo. Ilprofilo economico si intreccia perciò con le istanze correlate allo sviluppo

tenente al ministero di questo, che di regola dovrebbe essere gratuito» (Levi, Delitti contro lapubblica amministrazione, Milano, 1935, 263). Cfr. anche Quaglioni, «Delinquens in offi-cio». Spunti dal diritto comune, in Fornasari e Luisi (a cura di), La corruzione: profili storici,attuali, europei e sovranazionali, Padova, 2003, 37.

(32) In proposito v. Manacorda, La corruzione internazionale del pubblico agente: lineedell’indagine penalistica, Napoli 1999, 14 ss., che richiamando alcune note descrittivo-crimi-nologiche della corruzione, osserva: «La natura tendenzialmente “associativa” di tale formadi criminalità con il frequente ricorso a strutture imprenditoriali; il coinvolgimento di attorieconomici di estrazione medio-alta, tipico della criminalità dei colletti bianchi; la complessitàe sofisticazione tecnica delle stesse dinamiche corruttive, con il ricorso ad elaborati meccani-smi di intermediazione, circolazione di denaro e dissimulazione della reale natura delle tran-sazioni economiche; la immancabile commissione congiunta di altri reati tradizionalmenteeconomici, sono tutti elementi che depongono a favore dell’inclusione della corruzione nelpanorama del crimine economico» (14 ss.). Sull’evoluzione del bene giuridico della corruzio-ne resta fondamentale il contributo di Seminara, Gli interessi tutelati nei reati di corruzione,in Riv. it. dir. proc. pen., 1993, 993 ss.

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sostenibile, al rispetto delle regole democratiche e del principio di ugua-glianza e, in ultima analisi, alla necessità di garantire i diritti inviolabili del-l’individuo. Il cambiamento di prospettiva è del tutto evidente e restituisceuna visione del contesto in cui le pratiche corruttive maturano ed esplicanole loro conseguenze ancorata solo parzialmente alle valutazioni marcata-mente economiche espresse dalla Convenzione ocse.

La prospettiva del collegamento tra corruzione e criminalità organizza-ta trova peraltro compiuta espressione nel Preambolo della Convenzionedelle Nazioni Unite, aperta alla firma il 9 dicembre 2003 a Merìda, di cui ri-chiamo qui di seguito alcuni passaggi essenziali. Ivi si legge, infatti, che gliStati sono:

«Preoccupati dalla gravità dei problemi posti dalla corruzione e dalla minaccia cheessa costituisce per la stabilità e la sicurezza delle società, minando le istituzioni ed i va-lori democratici, i valori etici e la giustizia e compromettendo lo sviluppo sostenibile e lostato di diritto,

Preoccupati anche dai nessi esistenti tra la corruzione ed altre forme di criminalità,in particolare la criminalità organizzata e la criminalità economica, compreso il riciclag-gio di denaro,

Preoccupati inoltre dai casi di corruzione relativi a considerevoli quantità di beni, iquali possono rappresentare una parte sostanziale delle risorse degli Stati, e che minac-ciano la stabilità politica e lo sviluppo sostenibile di tali Stati,

Convinti che la corruzione non sia più una questione locale, ma un fenomeno tran-snazionale che colpisce tutte le società e tutte le economie, ciò che rende la cooperazio-ne internazionale essenziale per prevenire e stroncare tale corruzione,

Convinti anche che un approccio globale e multidisciplinare sia necessario per pre-venire e combattere efficacemente la corruzione».

Rispetto alle questioni prospettate nei Preamboli delle convenzioni oc-se e del Consiglio d’Europa, quelle individuate dalla convenzione di Me-rìda non presentano particolari differenze sicché può concludersi che laConvenzione delle Nazioni Unite si pone con le Convenzioni precedenti inrapporto di sostanziale continuità. Degni di nota sono tuttavia il particolarerisalto che nella Convenzione delle Nazioni Unite viene dato alla pericolosi-tà dei legami tra corruzione e criminalità organizzata (la quale assume, in Ita-lia, prevalentemente le note della criminalità di stampo mafioso) e la espli-cita preoccupazione per la c.d. grand corruption, che spesso si lega non soloalle élites cleptocratiche dei paesi in via di sviluppo ma anche alla realizza-zione delle grandi infrastrutture (33) nei paesi c.d. avanzati. Sempre nellaConvenzione di Merìda viene sottolineato con forza come la corruzione –

(33) Cfr. Webster, Fifteen Minutes of Shame: The growing Notoriety of Grand Corrup-tion, in Hastings International and Comparative Law Review, 2008, 809 s.

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intesa in senso più ampio della mera corruzione amministrativa e perciò in-clusiva della corruzione politica su vasta scala – impedisca il pieno sviluppoeconomico e esasperi il problema della povertà.

Alla «rilettura» degli interessi suscettibili di essere minacciati dalla cor-ruzione operata delle tre convenzioni sopra citate, e che ha comportato unaprogressiva dilatazione dei beni giuridici che si ritengono protetti dalle nor-me sulla corruzione, hanno contribuito principalmente la stratificazionedelle indagini socio-economiche e criminologiche, rispettivamente sui profiliquantitativo e qualitativo di tale forma di criminalità, e la misurazione dellacorruzione percepita. Sono infatti affiorate ad un livello di maggior consape-volezza collettiva le modificazioni della fenomenologia corruttiva quanto afrequenza statistica, numero e rango dei soggetti coinvolti, entità degliscambi illeciti e tipologia di effetti negativi che si producono su scala econo-mica locale e globale (34). In questa direzione, fondamentale è stato il con-tributo conoscitivo offerto da associazioni non governative e in primis daTransparency International, che da anni esegue un monitoraggio dei livellidi corruzione percepita in numerosi Paesi del mondo, propone strumentivalutativi su base sincronica e diacronica e stila una lista dei Paesi e dei set-tori più esposti a pratiche corruttive.

L’ampliamento della piattaforma conoscitiva della criminalità corruttivaha comportato due effetti specifici sul piano della politica criminale: la lottaalla corruzione è stata elevata a priorità politico-criminale nell’agenda interna-zionale, nelle iniziative di singoli stati o di associazioni non governative (35) e,parallelamente, si è rafforzata l’idea che anche il contrasto alla corruzione nelsettore privato costituisce un tassello fondamentale nella prospettiva di unapiù efficace azione di controllo e repressione della corruzione in generale.

In definitiva, la riflessione sulla corruzione si è svincolata dai terminimeramente teorici ed endo-ordinamentali che l’anno improntata fino aglianni Novanta del secolo scorso – a loro volta scaturiti dai moduli tradizio-nali del pensiero penalistico continentale, in cui la corruzione tipizzata ten-de ad esaurire la sua carica di lesività nel contesto della pubblica Ammini-strazione – attraverso la progressiva acquisizione di conoscenze empirichecirca il volume di scambi illeciti e le dinamiche corruttive. Creatosi questo

(34) Cfr. Danilet, Corruption and Anti-corruption in the Justice System, Konrad Ade-nauer Stiftung, Berlin, 2010, al quale si rimanda per una panoramica delle iniziative anticor-ruzione promosse a vari livelli: Nazioni Unite, Ocse, Consiglio d’Europa (e sottoarticolazioniinterne, come il GRECO), Banca Mondiale, associazioni non governative.

(35) Una panoramica delle iniziative per contrastare la corruzione – su base repressiva o,viceversa, premiale – intraprese negli Stati Uniti è offerta da Webster, Fifteen Minutes ofShame, cit., 813 s.

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ricongiungimento tra dimensione conoscitiva e politico-criminale, il know-how empirico si è tradotto, almeno a livello sovranazionale, in precise indi-cazioni di politica criminale e sanzionatoria.

Emblematica può essere considerata la scelta di dare rilevanza alla «fi-liera» corruttiva – che vede, «a monte» del delitto di corruzione, gli illecitinelle scritture contabili e, «a valle», il reato di riciclaggio – per indirizzarel’attività di contrasto anche a forme di criminalità che con la corruzione sipongono in rapporto di interdipendenza funzionale.

Analogamente, un portato di tale duplice livello di riflessione – conosci-tivo e operativo – può essere visto nel nuovo raccordo che il diritto sta cer-cando di stabilire con l’etica (36), quantomeno in quei settori di attività po-tenzialmente esposti al rischio di reati che si caratterizzano per l’«omogenei-tà» empirico-criminologica con la corruzione. Il riferimento è alla criminali-tà di impresa, per contrastare la quale si invocano politiche di prevenzionefondate anche sul recupero di un’etica degli affari e della governance; la stes-sa previsione della responsabilità delle persone giuridiche dovrebbe pro-muovere un canale di comunicazione interna tra diritto ed etica, laddove ilrischio reato che le imprese devono prevenire è cristallizzato nei c.d. proto-colli preventivi (compliance programs), equivalenti narrativi se non propriofunzionali dei codici etici, atti a fungere da parametro per graduare il rim-provero di colpevolezza all’ente, costruito in termini puramente normativi.

Le ricadute della percezione sovranazionale della corruzione in terminidi indicazioni per ottimizzare il contrasto e l’armonizzazione delle legisla-zioni dei paesi contraenti, che emergono complessivamente dall’articolatodelle Convenzioni, riguardano principalmente il modello di tipizzazionenonché gli strumenti di indagine e processuali atti a garantire l’effettività del-le norme penali e ad innalzare la percentuale di chiarimento della delittuo-sità emersa.

Sotto il profilo del diritto penale sostanziale, la «narrazione» della cor-ruzione proposta dalle convenzioni sovranazionali propone di dare rilevan-za ad una condotta ampia (comprensiva di corruzione attiva e passiva) e disuperare la dicotomia mercimonio dell’atto/mercimonio della funzione,considerata la rilevanza statistica della compravendita della «funzione».L’evoluzione del «sistema» corruzione indica infatti, inequivocabilmente,come nelle dinamiche corruttive si tenda sempre di più a comprare «prote-

(36) Per la prima volta nella storia – osserva Guido Rossi – «in modo così massiccio (...) lalegislazione che disciplina da secoli il regime capitalista chiama in causa principi esterni, o peressere più espliciti l’etica – e questo non per risolvere un singolo problema, ma per trovareuna soluzione globale alle disfunzioni di un sistema che appare ormai incontrollabile». Rossi,Il conflitto epidemico, Milano, 2003, 19.

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zione» anziché un atto determinato o determinabile compiuto in violazionedei doveri dell’ufficio.

L’effettività delle norme è un altro dato sensibile nell’agenda sovrana-zionale: non solo la Convenzione ocse raccomanda l’adozione di termini diprescrizione sufficientemente lunghi per non frustrare le esigenze repressi-ve, ma ora l’art. 83 del tfue prevede che l’Unione europea possa esprimerespecifiche richieste di criminalizzazione per i delitti di corruzione.

2.3. – A livello per così dire «domestico», l’Italia si è scoperta un paesepervasivamente e diffusamente corrotto all’indomani di Tangentopoli,quando attraverso l’inchiesta «Mani pulite», avviata nel febbraio 1992, èstata portata alla luce e all’attenzione mediatica una corruzione poi definita,icasticamente, come «sistemica».

La percezione di alti livelli di corruzione interna avutasi a partire dal1992 è peraltro stata costantemente confermata da indicatori di matrice so-ciologica, quali gli indici di percezione della corruzione elaborati da Tran-sparency International e da Eurobarometro (37). Anche l’indicatore di go-vernance formalizzato dalla Banca mondiale (38) ha reso l’immagine di unpaese con elevati livelli di corruzione interna.

Non mi soffermerò sulle metodiche e sui risultati di tali rilevazioni nésul loro valore euristico, perché già noti o comunque ampiamente indagatiin letteratura (39), desiderando invece riflettere sulle dinamiche della perce-zione nazionale dei livelli di corruzione. Quest’ultima sembra essere infatticondizionata da una serie di fattori che è possibile individuare in forma sin-tetica in base alla loro fonte:

a) antropologici;b) sottoculturali;c) mediatici;d) giuridici.

2.3.1. – Evocando il fattore antropologico, mi riferisco principalmente altessuto umano e sociale del nostro paese – uno dei più osservati dagli stu-

(37) Attitudes of Europeans towards Corruption. Full Report. Fieldwork September-Octo-ber 2009, Publication November 2009. Documento disponibile alla seguente URL: http://ec.europa.eu/public_opinion/archives/ebs/ebs_325_en.pdf. In particolare, per quanto riguar-da l’Italia, v. 25 e 53.

(38) I dati sono disponibili alla seguente URL: http://info.worldbank.org/governance/wgi/pdf/c110.pdf.

(39) Sui profili di criticità del carattere rappresentativo del CPI v. Galtung, Measuringthe Immeasurable: Boundaries and Functions of (Macro) Corruption Index, in Galtung-Sam-

pford (a cura di), Measuring Corruption, Ashgate, London, 2005.

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diosi di clientelismo e corruzione (40) – caratterizzato, secondo il politologoamericano Edward Banfield, dal c.d. «familismo amorale» (41). Condizionidi arretratezza, asimmetrie nei rapporti sociali, eccessiva fiducia nei legamifamiliari a scapito dei legami tra soggetti privi di relazioni di parentela, fa-vorirebbero infatti rapporti di tipo clientelare. La stabilizzazione di questirapporti, che si cristallizzano in «abiti mentali» diffusi, porterebbe ad unamaggiore «indulgenza» individuale e sociale verso episodi e prassi corrutti-ve.

In generale, le «caratteristiche morali, economiche e politiche» (42) diuna determinata comunità costituiscono la chiave di lettura per compren-dere i livelli interni di cooperazione intersoggettiva, i quali, a loro volta,condizionano la propensione a stabilire legami di tipo clientelare che pos-sono ulteriormente degenerare in comportamenti corruttivi.

La ricerca antropologica in materia di corruzione non offre tuttavia allostudioso del fenomeno certezze o interpretazioni pienamente soddisfacen-ti: essa indica piuttosto strade da percorrere, tra le quali appare di partico-lare interesse quella indirizzata verso una maggiore attenzione al linguaggiodella corruzione. Come sostiene Torsello, è importante «che l’antropologiasia in grado di fornire resoconti etnografici sul modo di esprimere la corru-zione, il suo linguaggio, la sua retorica, la sua forza discorsiva» (43). Cono-scere il linguaggio della corruzione significa, infatti, individuare le dinami-che che si iscrivono nella «zona grigia» tra legalità e illegalità, interpretarel’evoluzione dei tipi di mercimonio, riconoscere le reti di soggetti attivi, ca-pire il costo morale degli illeciti: in breve, serve a disporre di uno strumentointerpretativo della realtà per promuovere una migliore aderenza delle nor-me alla dimensione empirica del fenomeno criminale sottostante.

2.3.2. – Richiamando il fattore sottoculturale intendo riferirmi alle indi-cazioni criminologiche circa il ruolo giocato dall’appartenenza ad un sub-cultura non tanto rispetto all’eziologia del crimine, quanto alla percezionedi esso. Sono da ritenere rilevanti, rispetto alla modulazione della percezio-ne della criminalità corruttiva ed economica in generale, sia la pressionesottoculturale da parte del milieu degli affari (dove la soglia di tolleranzadella violazione delle norme penali è spinta fino a far ritenere come lecitiscambi di favori all’evidenza riconducibili alla corruzione) (44), sia quella

(40) Lo rileva Torsello, Potere, legittimazione e corruzione, Milano, 2009, 166.(41) Banfield, Le basi morali di una società arretrata, Bologna, 2006.(42) Torsello, Potere, legittimazione, cit., 167 ss.(43) Torsello, Potere, legittimazione, cit., 173.(44) Cfr. Davigo-Mannozzi, La corruzione in Italia, cit., 37 ss.

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derivante dai legami tra corruzione e criminalità organizzata, legami tantopiù serrati quanto più il crimine organizzato riesce ad infiltrarsi nei mercatilegali.

Sebbene la corruzione abbia carattere universale – e cioè sia prerogativanon soltanto dei paesi emergenti o in via di sviluppo, ma anche dei paesic.d. «avanzati» e delle democrazie di più consolidata tradizione – essa èestremamente sensibile agli input sottoculturali del tipo di quelli sopra evi-denziati. A prescindere dai singoli contesti nazionali, in generale la corru-zione, per funzionare, ha bisogno di regole «sottoculturali» (45) proprie econdivise dagli attori e dagli «spettatori» della vicenda criminale (46).Quanto maggiore è il tasso di condivisione delle regole sottoculturali, tantopiù vengono percepiti come sfumati e labili i contorni che delimitano il di-svalore della corruzione, mentre mobile e incerta diventa la linea di confinetra il lecito e l’illecito, specie quando la corruzione si maschera dietro dona-tivi, favori o compravendita di protezione. Ciò sembra essere dimostrato dalbasso livello di propensione alla denuncia di tale tipologia delittuosa. Nono-stante all’origine di quest’ultimo fenomeno si ponga una molteplicità di fat-tori – inclusa la fiducia del denunciante nell’effettività delle norme penali edelle agenzie del controllo formale (forze dell’ordine e magistratura) – ilcondizionamento da parte delle regole sottoculturali, in specie quelle sullaomertà, è un fattore determinante (47).

2.3.3. – Il fattore mediatico è importante sotto più profili, dato che è or-mai riconosciuto che i media non costituiscono semplicemente una formarappresentazione del crimine ma concorrono alla «costruzione sociale» delcrimine stesso (48).

(45) Sulle origini del concetto di «sottocultura criminale» v. Bandini-Gatti-Marugo-

Verde, Criminologia, vol. II, Milano, 2004, 333. Una descrizione efficace della sottoculturadella corruzione è proposta da A. Vannucci, il quale osserva: «anche il senso di appartenenza,la lealtà nei confronti di certe organizzazioni, come l’impresa o il partito, possono rappresen-tare fonti alternative di riconoscimento morale, in grado di attenuare, se non cancellare deltutto, il disagio psicologico dell’illegalità» (Vannucci, Il mercato della corruzione. I meccani-smi dello scambio occulto in Italia, Milano, 1997, 29).

(46) Cfr. Forti, Il diritto penale e il problema della corruzione, dieci anni dopo, in Forti (acura di), Il prezzo della tangente, Milano, 2003, 81, che si richiama a Vannucci, Fenomenolo-gia della tangente: la razionalità degli scambi occulti, in Etica degli affari e delle professioni,1993, 36. Per un’efficace descrizione del funzionamento di tali regole «non scritte» in tema diappalti sia consentito rinviare a Davigo, Gli intatti meccanismi della corruzione sistemica, inIl prezzo della tangente cit., 178.

(47) Cfr., per ulteriori argomentazioni sul punto, Davigo-Mannozzi, La corruzione inItalia, cit., 37.

(48) Paliero, La maschera e il volto (percezione sociale del crimine ed «effetti penali» deimedia), in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, 481.

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Tanto nell’attività di «rappresentazione» quanto in quella di «produ-zione» della realtà, il sistema comunicativo mediatico può produrre effettidistorsivi anzitutto perché la rappresentazione del crimine presenta nor-malmente una scarsa aderenza con il dato statistico della criminalità regi-strata. In generale, si riscontra una sovraesposizione mediatica della crimi-nalità comune, soprattutto a base violenta, della criminalità transnazionale,prevalentemente di matrice terroristica, oppure di misfatti che per la cru-deltà e l’efferatezza che li caratterizzano appaiono statisticamente isolati.

«I libri e gli articoli sulla rappresentazione mediatica del crimine tendono a focaliz-zarsi sulla cronaca del “crimine di strada”, dei conflitti di lavoro, del fenomeno del tep-pismo calcistico (gli hooligans), del terrorismo; questi argomenti rappresentano chiaripunti di scontro ideologico e politico e – come mostrato dall’analisi dei contenuti – dav-vero occupano una quantità enorme di spazio e tempo nei media. Essi mostrano il modoin cui la carta stampata e i media elettronici da un lato, e le “fonti autorevoli” o “agenziedi definizione sociale primarie” (la polizia, i politici e i gruppi di interesse che hannoguadagnato una posizione di credibilità attraverso i media) dall’altro, interagiscono pergenerare uno stato di “panico morale” su particolari problematiche – o, almeno, pro-muovono l’idea che serie azioni di controllo dovrebbero essere intraprese» (49).

Queste iper-rappresentazioni dell’anomalo o del fatto sensazionalistico,finiscono con l’alimentare le c.d. «criminologie dell’altro» e concorrono afalsare la percezione della sicurezza dei cittadini, che a sua volta può diven-tare il volano, in abili mani politiche, per incrementare il consenso rispettoa strategie, solo apparentemente effettive, di «legge e ordine» (c.d. «politi-che di rassicurazione»).

Sulla sovraesposizione mediatica dei fatti sensazionalistici osserva inparticolare Michael Levi che:

«(...) i media preferiscono enfatizzare i casi (...) con vittime traumatizzate e megliose con autori di reato che possano essere tratteggiati come fuori dal normale e insensibi-li, anziché storie dei personaggi più famosi “caduti in disgrazia”, che potrebbero averelo stesso successo» (50).

Anche il crimine dei colletti bianchi – in cui si iscrive la corruzione –sebbene sia tradizionalmente caratterizzato da una elevata cifra nera, quan-do giunge alla ribalta della cronaca può essere soggetto a due diverse formedi rappresentazione, non necessariamente antitetiche.

Nel primo modello rappresentativo, il white collar crime appare caratte-rizzato da una sorta di sovraesposizione mediatica. Il caso dell’inchiesta«Mani pulite» è paradigmatico, se solo si pensa allo spazio dato da stampa e

(49) In questi termini Levi, Colletti bianchi e crimine organizzato nei notiziari britannici:alcune riflessioni sociologiche, in Forti-Bertolino, La televisione del crimine, cit., 511 s.

(50) Così Levi, Colletti bianchi e crimine organizzato, cit., 513.

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televisione alle indagini e ai magistrati di Milano; spazio che ha anche veico-lato forme di consenso poi espressesi nella spontanea organizzazione delc.d. «popolo dei fax» che ne è seguita.

Lo stesso discorso può essere fatto per il caso Enron.«La vicenda Enron (...) ha avuto risonanza. Nel gergo giornalistico, ha “tirato”. Le

tragiche cronache dei fondi pensione, accumulati con fatica ma volatilizzati da un gior-no all’altro, mentre i top manager continuavano a vivere come dei maragià, hanno tocca-to un nervo sensibile della collettività. E più i media narravano gli orrori della Enron,più montava l’ira del pubblico. Ecco finalmente una storia che faceva presa» (51).

Va incidentalmente osservato come, nonostante l’iniziale interesse me-diatico verso le inchieste anticorruzione dei primi anni ’90 del secolo scorsoe il fatto che una intera classe dirigente sia rimasta travolta sotto il peso del-le accuse, la percezione della gravità della corruzione abbia stentato a con-solidarsi nel tessuto sociale. L’eredità di Mani pulite è a tutt’oggi controver-sa (52): ormai debole è il ricordo della (temporanea) azione catartica associa-ta all’operato della magistratura; meno vigile sembra essere il controllo delcittadino medio rispetto alle conseguenze del «potere invisibile» (53) in ter-mini di malaffare; maggiore tolleranza sembra esservi, in definitiva, da par-te della collettività rispetto alla corruzione di piccolo cabotaggio, che ri-sponde al paradigma della c.d. «corruzione amministrativa decentrata» (54).La rappresentazione mediatica del crimine economico iscrive i fatti nella«memoria a breve termine» degli individui.

Su questo fenomeno può aver inciso la seconda modalità di rappresen-tazione della criminalità economica, attraverso la quale i contorni degli epi-sodi criminosi «impallidiscono» o si deformano fino a confondersi e a so-vrapporsi con quelli di condotte genericamente disoneste ma non illecite,secondo l’ormai nota visone di Sutherland, e le vittime ricevono scarsa at-tenzione.

Osserva Maichel Levi a proposito del tracollo finanziario della Banca diBaring:

«Come al solito, la disgrazia di chi a causa del crack ci aveva rimesso ha ricevuto mi-nore attenzione rispetto agli imputati forse perché i primi non furono completamenterovinati dalle perdite pecuniarie» (55).

(51) In questi termini, Rosoff, I mass media e il crimine dei colletti bianchi, in Forti-

Bertolino, La televisione del crimine, cit., 506 s.(52) Vannucci, The Controversial Legacy of «Mani Pulite»: A Critical Analysis of Italian

Corruption and Anti-Corruption policies, in Bulletin of Italian Politics, 2009, 233-264.(53) Bobbio, Il futuro della democrazia, Torino, 1984, 16 s.(54) Arnone-Iliopulos, La corruzione costa, cit., 21 ss.(55) Levi, Colletti bianchi e crimine organizzato, cit., 518.

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Il che dimostra ancora una volta come, anche nel crimine dei collettibianchi, il sensazionalismo prevalga sulle dimensione del danno legata a vit-time diffuse ed anonime, anche se non per questo da considerare meno im-portanti.

Sulla correttezza della percezione del disvalore penale della corruzioneincide, significativamente, l’uso del linguaggio giornalistico con cui vienecostruita la cronaca giudiziaria dei reati economici. Al di là della distorsionedel dato statistico – la criminalità economica può scontare infatti per lunghiperiodi un deficit di visibilità mediatica (56) –, è infatti il dato descrittivo cherisulta primariamente alterato nella rappresentazione mediatica del crimineper effetto dell’uso di parole apparentemente neutre o che «diluiscono» ilsignificato criminoso della delittuosità dei colletti bianchi.

Come osserva Lascoumes (57), quanto più il caso è difficile da defini-re, quanto più il danno è difficile da identificare nel suo ammontare,quanto più le responsabilità appaiono parcellizzate, tanto più, nella rap-presentazione televisiva o giornalistica, si tende a «rimuovere» vocabolicome «crimine» o «reato» per introdurre termini le cui note descrittivescolorano progressivamente verso una rappresentazione vaga e indistintadel reale: si parla infatti, secondo una gradualità discendente, di «scanda-lo», di «affare», o di «problema». Il crimine viene dunque spesso raccon-tato attraverso un «mascheramento» linguistico della dimensione penali-stica dei fatti.

Eppure, è proprio nella «narrazione» della criminalità che la pubblicaopinione crede di trovare uno «specchio» della realtà, con scarsa consape-volezza di quanto tale specchio possa essere deformante; è sempre nella«narrazione» della criminalità che il legislatore – consapevole dei potenti ef-fetti distorsivi di essa, tali da plasmare l’opinione pubblica orientandola sulricordo ossessivo del male «assoluto» e «riconoscibile» – può trovare unpotente alleato, quando intende porsi come artefice «vano ed incerto» (58)della politica criminale.

2.3.4. – Infine anche il fattore giuridico – e cioè la comunicazione istitu-zionale delle norme penali – condiziona la percezione della corruzione, la

(56) Cfr. Forti-Redaelli, La rappresentazione televisiva del crimine, cit., 21. Dai risultatidella ricca analisi comparativa della rappresentazione televisiva del crimine emerge – cito inparticolare, tra i molti, i dati rilevati circa la rappresentazione mediatica del crimine propostadal Tg1 tra febbraio e giugno 2002 – come la categoria delittuosa meno rappresentata sia pro-prio la criminalità economica.

(57) Lascoumes, Corruptions, Presses de Sciences Po, Paris, 1999, 67 s.(58) Mutuo tale espressione, riferita al legislatore, da de Montaigne, The Complete Es-

says, Penguin, London, 2003.

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quale subisce una diversa modulazione a seconda della comprensibilità edella conoscibilità del dato tecnico, finendo con l’influenzare, a sua volta, illivello di tolleranza collettiva verso la criminalità politico-affaristica.

Diversa è infatti la percezione dell’illegalità della corruzione a secondache il fenomeno trovi inquadramento giuridico nelle seguenti categoriecriminologiche o dogmatiche:

(a) corruzione propria vs. corruzione impropriaLaddove la corruzione appartenga alla categoria della corruzione im-

propria – sia cioè riconducibile al fenomeno dei facilitating payments o allac.d. «buona corruzione», secondo la vetusta chiave di lettura economica so-pra ricordata – essa è di fatto tollerata dalla collettività, che se ne lamentasolo quando ne percepisce il danno diretto e l’effetto discriminatorio. Il de-naro che «unge le ruote» (grease money) è fenomeno legato ad atavicheprassi clientelari, scarsamente lesive se isolatamente considerate, ma forieredi considerevoli effetti distorsivi se diffuse e reiterate nel tempo. La colletti-vità mostra un certo grado di rassegnazione rispetto a siffatto fenomeno, dicui percepisce debolmente la rilevanza penale, iscrivendolo perciò nella zo-na grigia del malcostume o inquadrandolo nella tradizione di legami opaca-mente familistici.

Rispetto alla corruzione propria, viceversa, la consapevolezza del disva-lore è più netta. Di essa si percepisce la dinamica fondata sul mercimonio etalvolta la capacità di alterare le regole del mercato e di minare il principiodi uguaglianza. È soprattutto la reazione dell’opinione pubblica a questo ti-po di corruzione che confluisce negli indicatori dei livelli di percezione ela-borati, ad esempio, da Transparency International.

(b) corruzione ordinaria vs. corruzione strutturaleLa percezione della criminalità corruttiva si diversifica a seconda che il

fenomeno assuma le note della corruzione c.d. ordinaria o di quella c.d.strutturale al punto che da siffatta divaricazione si profilano linee di politicacriminale alternative.

La corruzione «ordinaria» – quella che potrebbe essere definita anchecome corruzione amministrativa decentrata, la quale si sostanzia di com-portamenti illeciti diffusi tra i pubblici funzionari e di un volume di scambiin cui l’entità delle singole tangenti è piuttosto modesta – viene percepitadalla collettività come una prassi deprecabile ma necessaria; verso di essa siindirizzano espressamente le richieste politiche di penalizzazione.

Rispetto alla corruzione «strutturale» – la quale assume le forme dellacorruzione amministrativa accentrata, legata al finanziamento ai partiti po-litici e che si alimentata di un volume di denaro cospicuo, di una rete discambi occulti e della rilevanza del ruolo dei c.d. «intermediari» – la perce-zione collettiva è più debole e dipende quasi esclusivamente dalla rappre-

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sentazione mediatica, essendo il crimine poco visibile (oltre che ad elevatacifra nera).

«Il crimine dei colletti bianchi, così come la maggior parte dei crimini, è fotosensi-bile. Prospera in stanze buie, dietro porte chiuse» (59).

La visibilità della corruzione strutturale – fenomeno riconducibile tipi-camente al white collar crime o, secondo altro ma analogo paradigma, ai«Top-hat crimes» (60) – dipende dunque quasi esclusivamente dal veicolomediatico, dato che siffatta tipologia criminosa è occulta nella criminodina-mica e lascia scarse tracce materiali o sensibili. Verso tale ipotesi di corru-zione si assiste, peraltro, ad una sorta di minimizzazione del disvalore og-gettivo e soggettivo da parte del potere politico, che tende a presentarlamostrandone il volto, solo apparentemente rassicurante, di un «costo dellademocrazia».

(c) corruzione pubblica/privataAnche rispetto a questa dicotomia dogmatico-strutturale della corru-

zione, la percezione pubblica si dispone su direttrici divergenti. A fronte diuna consapevolezza ampia, ancorché non piena quanto a potenziale lesivo,della corruzione pubblica si pone una coscienza debole dell’esistenza dellacorruzione privata, di cui si conoscono a malapena sia le norme incriminatri-ci presenti nel nostro ordinamento, sia gli effetti distorsivi. Quanto al primoaspetto è pressoché ignota, tranne che per gli «addetti ai lavori», l’esistenzadi una criminalizzazione «a macchia di leopardo» della corruzione tra pri-vati, che interessa soltanto alcuni settori: il riferimento è ai reati di «compa-raggio», che attengono alla corruzione in ambito sanitario e farmaceutico(61), e alla recente novella della norma sulla corruzione dei revisori, conte-nuta nell’art. 28 del d. lgs. 39/2010. Altrettanto semisconosciuti sono gli ef-fetti distorsivi che le condotte di corruzione inter privatos in ambito sanita-rio e societario possono comportare sulla competitività delle imprese in ge-nerale (e di quelle farmaceutiche nel caso peculiare del comparaggio) non-ché sulla correttezza dell’informazione societaria.

2.4. – Nell’immagine veicolata dai mass media, gli autori dei delitti si

(59) Così Rosoff, Il mass media e il crimine dei colletti bianchi, cit., 505.(60) La nozione è proposta da Spinellis, Crimes of Politicians in Office (or “Top hat

crimes”), in Epp (a cura di), Crime by Government, Association International de Droit Pénal,Érès, 1995, 18 ss.

(61) Sul comparaggio farmaceutico v. Consulich, Il tradimento di Ippocrate. Ragionevo-lezza ed effettività delle fattispecie di comparaggio, tra diritto penale classico e diritto penale mo-derno, in questa Rivista, 2008, 11; si consentito il rinvio anche a Mannozzi, Corruzione e sa-lute dei cittadini: le nuove dinamiche del «comparaggio» farmaceutico, in Studi in onore di Ma-rio Romano, Napoli, 2011, 1585 ss.

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connotano per una «rappresentazione di tipo manicheo, orientato al para-digma dicotomico buono-cattivo» (62) che non trova riscontro nell’immagi-ne di sé percepita dal reo stesso. La dicotomia buono-cattivo, che la colletti-vità traduce nei termini jacobsiani di amico-nemico, perde di ampiezza e, inultima analisi, di significato se riferita all’autopercezione del proprio com-portamento.

Tuttavia, sebbene l’autore del reato tenda a negare, rifiutare o minimiz-zare la propria responsabilità – e ciò avviene per lo più attraverso il ricorsoalle c.d. «tecniche di neutralizzazione» – proprio il discorso che egli snodaintorno al «male» (63) da lui stesso arrecato offre una chiave di lettura im-portante ai fini di una migliore comprensione del crimine, in primis rispettoall’eziologia e alla ricostruzione della criminodinamica.

Le parole del crimine, sia esso violento o «dei colletti bianchi», raccon-tano infatti il rapporto tra l’individuo e l’altro da sé, tra l’io-conoscente el’oggetto da conoscere, tra sé e il «mondo» (che è ovviamente declinabile, adesempio, nei sub-sistemi dell’ambiente sociale di riferimento, di una deter-minata sottocultura – quale può essere quella di tipo mafioso, o quella delmilieu degli affari – o dell’ambiente familiare).

Nell’ambito dei reati violenti generalmente prevale un’auto-narrazioneche sembra sconfessare le c.d. «criminologie dell’altro»: il reato è spesso de-scritto come una concatenazione di eventi a cui il soggetto non riesce a sot-trarsi. Il male raccontato appare in tutta la sua sconcertante «normalità»tanto da far risultare inadeguato o quanto meno insufficiente il modello dispiegazione di tipo psicopatologico (64) offerto dalle scienze criminologi-che. Talune situazioni, in particolare, e tipicamente le c.d. «reazioni a cortocircuito», restano incomprensibili persino al soggetto agente, sicché talvol-ta appare ridottissimo il margine di scelta consapevole dell’io cosciente.Quando, nella costanza della situazione di drift descritta da Matza (65), l’au-tore compie improvvisamente una brusca, decisa e talvolta imprevista oscil-lazione verso il versante del comportamento violento o comunque radical-mente illecito, le parole che raccontano il delitto appaiono povere, spessoframmentarie; la costruzione sintattica e il registro linguistico esprimo essistessi il disagio; in alcuni casi il linguaggio si pone addirittura come una

(62) Paliero, La maschera e il volto, cit., 499.(63) Cfr. Ceretti-Natali, Cosmologie violente. Percorsi di vite criminali, Milano, 2009.

Difficile isolare un rimando a pagine specifiche del libro, poiché il «discorso sul crimine» èl’anima e «attraversa» interamente quest’ultimo. Di particolare interesse per la prospettivache qui interessa sono le riflessioni e i riferimenti bibliografici a 377 ss.

(64) Ceretti-Natali, Cosmologie violente, cit. 178 ss.(65) Matza, Delinquency and Drift, John Wiley and Sons Inc., New York, 1964.

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«porta aperta sul delirio, cioè sul linguaggio compreso solamente da coluiche parla» (66).

Nell’ambito del crimine «dei colletti bianchi», invece, lo spessore conte-nutistico e il registro linguistico della narrazione di singoli reati o di concate-nazioni di illeciti da parte dei loro autori sono generalmente più evoluti edaccurati di quelli che caratterizzano il racconto di reati violenti; il contenutodella narrazione è consequenziale e improntato a razionalità, ancorché tal-volta tale razionalità appaia essere lo specchio di logiche deviate, sottocultu-rali o comunque semplicemente tutte interne al contesto in cui è maturatol’illecito. La qualità intrinseca del dato narrativo dipende, in buona parte,dallo status socio-economico dei white collars, per i quali non si pongonomai, all’evidenza, problemi di scolarizzazione, socializzazione o disagio, checostituiscono, notoriamente, il terreno di coltura della criminalità comune.

Ancora una volta, la corruzione, in quanto reato-contratto bilateral-mente punibile, si rivela paradigmatica nella prospettiva dell’analisi del lin-guaggio e della narrazione del crimine. In particolare, alle fasi della prepa-razione, della perpetrazione del reato e del post-fatto – inclusivo anche dicondotte delittuose astrattamente punibili in via autonoma ma non se siraccordano con la figura delittuosa commessa (si pensi all’autoriciclaggio) –corrispondono diversi livelli del discorso sul crimine che può essere scisso indue tipologie.

La prima potrebbe essere indicata come prettamente dialogica: essa ca-ratterizza i segmenti temporali della preparazione e della esecuzione del rea-to ed è desumibile prevalentemente dalla fase delle indagini, soprattuttodalle intercettazioni personali ed ambientali. Rispetto alla fase dialogica, ilcontributo delle scienze antropologiche che mirano a studiare il linguaggiodella corruzione può rivelarsi essenziale anche per comprendere il grado dicoscienza della illiceità delle condotte corruttive tra i soci del pactum sceleris.

La seconda tipologia di discorso sul crimine è invece narrativa ed hauna visibilità differenziata a seconda che si tratti di white collars o di autoridi criminalità comune, anche per un diverso accesso di tali soggetti ai mezzidi informazione.

Osserva la riguardo Michael Levi:«Se gli uomini d’affari imputati di reati dei colletti bianchi vengono regolarmente

intervistati per sentire la loro versione dei fatti (nel caso in cui siano intenzionati a par-larne), questo succede molto raramente con i soggetti coinvolti in traffico i droga o dipersone, ovvero in rapine ecc.».

Il discorso narrativo, che emerge in ogni caso per lo più dai verbali degli

(66) De Bertolis, Diritto, linguaggio e antropologia, in Civiltà cattolica, 2011, 267.

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interrogatori rispetto ai reati scoperti e contestati, può essere indicativo del-l’autopercezione del disvalore dei comportamenti tenuti in concreto.

Come esempio di narrazione dialogica potrebbe essere citata, per comin-ciare, la seguente conversazione, derivante da intercettazione ambientalepubblicata sulla stampa nazionale, concernente l’entità di una tangente (67).

«A chiamare in causa Romano ci sarebbero anche altre parole di Ciancimino e La-pis, pure queste intercettate nel 2004. Da una microspia emergerebbero soprattutto leconsiderazioni del figlio dell’ex sindaco, che dopo aver esaminato un foglio con nomi ecifre sbotta: “Ma 300 mila euro per Romano non sono troppi?”. Lapis risponde: “No,una parte sono per il presidente”. Il presidente Cuffaro».

Come si può agevolmente notare, la dazione della tangente non è in di-scussione quanto alla sua illiceità ma solo quanto al suo ammontare.

Ancor più indicativo sulla mancata autopercezione di se stessi come disoggetti prossimi a commettere un illecito è il dialogo tra imprenditori, ri-portato dal quotidiano «Il Centro» dell’11 febbraio 2010, emerso durantel’inchiesta sui lavori per il terremoto dell’Aquila, che mostra come l’«alle-gra» prospettiva di un lauto guadagno illecito prenda il sopravvento suqualsivoglia sentimento solidaristico o preoccupazione morale.

«D’altro canto, già il 6 aprile, in una conversazione tra gli imprenditori FrancescoMaria De Vito Piscicelli, direttore tecnico dell’impresa Opere pubbliche e ambienteSpa di Roma, associata al consorzio Novus di Napoli e il cognato Gagliardi si capisceche c’è attesa per le mosse di Balducci sugli appalti: “Alla Ferratella occupati di sta robadel terremoto perché qui bisogna partire in quarta subito, non è che c’è un terremoto algiorno”. “Lo so”, e ride. “Per carità, poveracci”. “Va buò”. “Io stamattina ridevo alletre e mezzo dentro al letto”».

Da questo dialogo emerge dunque un aspetto qualitativo della corru-zione che ha un risvolto etico inquietante. Corrotti e corruttori si muovonosecondo dinamiche meramente strumentali al profitto illecito; in questo vo-ler coltivare ad ogni costo una sorta di privilegio solo ed esclusivamente perse stessi (il c.d. rent seeking, come lo definiscono gli economisti) si elude o sirecide consapevolmente il legame con gli altri, in dispregio dei «doveri in-derogabili di solidarietà politica, economica e sociale» espressamente previ-sti dalla carta costituzionale.

Di seguito propongo due esempi di discorso sul crimine del secondo ti-po – quello narrativo – entrambi relativi al sistema delle tangenti emerso nelcorso dell’interrogatorio reso nel procedimento penale n. 8655/92R.G.N.R. mod. 21. Anche in questo caso non sembra affiorare alcuna auto-

(67) La Repubblica del 25 marzo 2011, il brano è disponibile alla seguente URL: http://www.repubblica.it/politica/2011/03/25/news/pm_romano-14064901/.

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percezione del disvalore dell’illecito. La dinamica della corruzione eretta a«sistema» viene riferita con ragionieristica precisione.

«Il meccanismo dei pagamenti nei rapporti con [la società XXX] era assolutamentepiù riservato. È il solito meccanismo per cui chi si aggiudica il lavoro paga. Non c’è lastruttura XXX o Ministero, non c’è un meccanismo di corruzione personale da parte deifunzionari della società, c’è un meccanismo di flusso verso i partiti e basta, essendo refe-renti sempre i segretari amministrativi nazionali dei partiti stessi. Su (omissis) le autostra-de le società del gruppo YYY non pagano, ma fanno da traino: il loro “pizzo”, il “pizzo”che pagano è costituito dalla rinuncia a parte dei lavori a favore delle imprese private. Sefondi neri all’YYY ci sono, essi sono destinati ad altri usi, come nel campo dell’urbanisti-ca. I fondi neri 151 di cui ai precedente processo sono stati spesi tutti più o meno fino al1985, e il rientro in bilancio di quelli non spesi si è completato intorno al 1989».

«Preciso che il sistema dell’invito diretto è stato utilizzato frequentemente dal mini-stro XYZ attraverso il ricorso alla somma urgenza: XYZ si faceva dare dai comparti-menti territoriali dell’Ente NNN o dalle prefetture o da altri organismi abilitati segnala-zioni di situazioni che potevano comportare pericolo; l’Ente NNN portava in consiglio,presieduto da XYZ, la situazione, e qui, col supporto delle valutazioni dei comparti-menti, provvedeva all’affidamento dei lavori a trattativa privata. Non tutte le imprese ri-manevano contente, ma quelle escluse venivano tacitate con altri meccanismi. XYZ hapotuto utilizzare circa 5000 miliardi di residui passivi e ha ipotecato gli stanziamentiprevedibili per i tre anni successivi. Posso riferire tutto quanto ho detto finora perchésono in contatto con una sene pressoché innumerevole di imprenditori, e da tutti quellicon cui ho parlato di questi argomenti ho ricevuto le stesse informazioni (alcuni impren-ditori con cui si è commentato il sistema XYZ sono (omissis) Faccio presente che il mer-cato ha subito un inquinamento incredibile da quando sono entrate imprese di scarsaspecializzazione, aventi magari giri d’affari limitati, che pretendevano di effettuare lavo-ri per grossi importi. Costoro, per potersi immettere nel giro degli appalti, hanno espo-nenziato il sistema delle tangenti».

A questo punto vale la pena spostare l’attenzione sulle formule lingui-stiche utilizzate dagli autori di reato per «contenere» il costo morale delreato commesso.

Rispetto alla corruzione si stagliano prevalentemente due varianti co-municative, entrambe documentabili per lo più attraverso il discorso di ti-po narrativo.

(A) In primo luogo emerge il rifiuto secco dell’etichetta di criminale: nor-malmente coloro che sono indagati per corruzione, se scoperti, si dichiaranovittima di calunnia o di campagne diffamatorie usate come strumento di ag-gressione politica. «Sono vittima di una campagna di calunnie»: ha gridato R.Dumas all’indomani dell’«Elf affaire» (68). Analogo rifiuto dell’etichetta dicriminale emerge dalle parole di Georgina Dufoix – ministro degli Affari so-

(68) La frase è riferita da Lascoumes, Corruptions, cit., 59.

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ciali nel governo Mitterand, coinvolta nell’inchiesta sul sangue infetto che hascosso la Francia nei primi anni ’90 – la quale ha detto: «mi sento responsabi-le, non colpevole» (69). Lo scollamento lessicale tra responsabilità e colpevo-lezza rimanda ad uno scenario di autopercezione del proprio comportamen-to che non viene interpretato come criminoso, sicché viene meno il ricorso alparametro della colpevolezza – intrinseco tanto alla categoria penalistica delreato e a quella teologica del peccato – ma estraneo alla percezione laica delcrimine (soprattutto) economico come forma di mera disonestà.

(B) In secondo luogo è evidente il ricorso ad alcune delle tecniche dineutralizzazione per contenere il «costo morale» del reato. Quella tipica è ilrichiamo ad ideali superiori: «l’ho fatto per interesse generale», avrebbedetto Edith Cresson, membro della Commissione Santer costretta alle di-missioni, pur ammettendo l’imprudenza del proprio comportamento (70).Spiegazione non dissimile è quella proposta dai politici italiani all’indomanidella scoperta di Tangentopoli (71), secondo la quale i soldi delle tangentivenivano presi «per il partito».

In alterativa, si porta avanti il discorso emozionale collegato alla forzadel vincolo familiare: «L’ho fatto per mio figlio» è la frase pronunciata daun collaboratore di Serge Dassault – imprenditore e politico condannato adue anni per corruzione (caso Augusta relativo a tangenti per l’acquisto dielicotteri militari avvenuto in Belgio alla fine degli anni ’80) – frase che, se-condo P. Lascoumes, meriterebbe la palma d’oro per il candore (72).

Sul versante italiano il copione è identico. Sempre dalle intercettazionirelative ai lavori post-terremoto dell’Aquila viene riportato, dal quotidiano«Il Centro» dell’11 febbraio 2010, il testo della seguente intercettazione:

«L’11 aprile 2009, a pochi giorni dal sisma che ha devastato L’Aquila, Angelo Bal-ducci, in una lunga conversazione con Anemone “fa pesare il fatto che si è fatto promo-tore per l’inserimento delle imprese di Anemone nei lavori post terremoto (‘Ti rendiconto? Chi oggi al posto mio si sarebbe mosso?’) ed esce allo scoperto pretendendo incambio che il figlio Filippo goda di qualche ulteriore beneficio (‘Tra qualche giornocompie 30 anni e io mi chiedo come padre: che ho fatto per lui? Un c. [omissis]’)”. Filip-po troverà una sistemazione».

Il quadro che emerge dai frammenti di conversazioni o dalle risposteagli interrogatori sopra riportati è quello di una «legalità elastica», tirata e

(69) Lascoumes, Corruptions, cit., 61.(70) Lascoumes, Corruptions, cit., 59.(71) In proposito rinvio a Forti, Unicità o ripetibilità della corruzione sistemica? Il ruolo

della sanzione penale in una prevenzione «sostenibile» dei crimini politico-amministrativi, inquesta Rivista, 1997, 1069.

(72) Lascoumes, Corruptions, cit., 60.

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piegata fino a che non si riesce a far prevalere il «principio» dell’utilità per-sonale immediata su quello del rispetto delle regole.

In un quadro comportamentale siffatto, il senso di legalità – entità giàridotta a simulacro, a parvenza fragile e artificiosa volta a coprire accordicorruttivi seriali e sistemici – appare «doppiamente elastico», poiché quellastessa etichetta di criminale che con disinvoltura corrotto e corruttore al-lontanano da se stessi, con altrettanta facilità, la applicano a coloro che ri-tengono tenere la medesima condotta.

Un esempio significativo del ricorso a «due pesi e due misure» può esseretratto dalle parole dei protagonisti della vicenda per gli appalti del G8 allaMaddalena, riportato dal quotidiano «la Repubblica» dell’11 febbraio 2010.

«il sistema, scrive ancora il gip, aveva un nome: “Gelatinoso”. Il caso in questioneche ben potrebbe essere definito “storia di ordinaria corruzione” viene qui definito “ge-latinoso”. E non dagli investigatori ma dagli stessi protagonisti di tale inquietante vicen-da di malaffare in una delle tante conversazioni telefoniche intercettate: “Il mio ragiona-mento è questo... Loro evidentemente stanno immersi in un liquido gelatinoso che è allimite dello scandalo” (...). Ma “sistema gelatinoso” non è l’unica definizione del Dipar-timento per lo Sviluppo e la competitività del turismo della Presidenza del Consiglio deiministri. Infatti la struttura cosiddetta della Ferratella (luogo dove ha sede il Diparti-mento e di cui fanno parte Balducci, De Santis e Della Giovanpaola) viene definito –senza mezzi termini – dalle molto istruttive conversazioni telefoniche intercettate:“Cricca di banditi”, “Banda di banditi”, “Task force unita e compatta”, “squadra col-laudatissima”, “combriccola”, e i suoi componenti “bulldozer”, “veri banditi”, “genteche ruba tutto il rubabile”, “persone da carcerare”)».

Come nella storia narrata da Fedro (73), la bisaccia imposta da Giovecon i vizi propri è dietro le spalle, mentre sospesa davanti al petto sta quellacon i vizi altrui.

3. – Da quanto esposto circa il ruolo della percezione del crimine in ge-nerale e della corruzione, in particolare, è possibile trarre una prima, gene-rale quanto provvisoria conclusione: la «percezione» – al pari della divinitàromano-italica del Giano bifronte, dalle due facce contrapposte che guar-dano, l’una, il passato e l’altra, il presente ed il futuro – presenta un «volto»,per così dire, chiaro ed uno oscuro. Da un lato, infatti, nel volto che «guar-da il passato», si staglia quella che potrebbe essere definita come una «per-cezione» buona, nel senso di utile a fini conoscitivi/interpretativi: mi riferi-sco alla percezione rilevata scientificamente, ancorché non scevra da uncerto margine di approssimazione, la quale può contribuire a promuoverela conoscenza quantitativa e qualitativa dei fenomeni criminosi che «rista-

(73) Fedro, Fabulae, IV, 10.

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gnano» nel campo oscuro della criminalità. Dall’altro lato, nel volto che«guarda il futuro», prende forma invece una «cattiva percezione»: la perce-zione della collettività che si alimenta di informazioni aneddotiche o sensa-zionalistiche, di dati asistematici e di narrazioni politiche, quella che si nu-tre del puro allarme sociale auto-generato o indotto dall’esterno. Spesso èproprio quest’ultimo tipo di percezione che finisce con il costituire, di fatto,una base che, sebbene sia intrinsecamente controversa, fragile e incerta,non per questo diventa meno utilizzabile da parte del legislatore per etero-legittimare su base pseudo-empirica politiche penali non ben meditate eche, al banco di prova della realtà, rischiano di rivelarsi il più delle volte co-me ineffettive o di corto respiro (74).

Nella narrazione della criminalità e del law enforcement prendono tal-volta corpo situazioni puramente immaginarie, ulteriormente rafforzatedalle c.d. criminologie «performative», che «danno corpo», cioè, alle realtàche sono chiamate a spiegare (75).

Ne propongo solo alcuni esempi: le politiche di sicurezza proposte, a fi-ne 2009, in relazione al presunto aumento degli stupri costituiscono una ri-sposta ad un aumento del rischio-reato puramente immaginario e comun-que contraddetto dai dati del Viminale relativi all’andamento delle violenzesessuali durante il primo semestre 2009; le dinamiche di pericolo per la ri-servatezza legate al presunto abuso delle intercettazioni telefoniche ampia-mente riferite dai media sulla base delle dichiarazioni di esponenti dell’ulti-mo governo Berlusconi sono fondate su dati incerti; giammai trovano ri-scontro, peraltro, in un corrispondente bisogno di tutela da parte della col-lettività; infine, il problema delle c.d. «toghe rosse», usato dallo stesso go-verno per rafforzare gli argomenti a favore della necessità di una riformadella giustizia (dall’opportunità della separazione della carriere dei magi-strati, alla riforma della Consulta) costituiscono un altro esempio di realtàimmaginata, poiché non c’è alcuna rilevazione dell’orientamento politicodei magistrati, che sarebbe in ogni caso in contrasto con le garanzie costitu-zionali.

(74) Sul ruolo dell’opinione pubblica nelle scelte di criminal policy v. Wood, Why publicopinion of the criminal justice system is important, in Wood-Gannon, Public Opinion andCriminal Justice, Willan Publishing, Portland, 2009, 33 ss. V. anche le considerazioni di J.Rinceanu concernenti la normativa tedesca sulla custodia di sicurezza come risposta alla cri-minalità «percepita» espresse in La disciplina della custodia di sicurezza (Sicherungsverwha-rung) nello specchio della giurisprudenza costituzionale tedesca, (in corso di pubblicazione), 12(del dattiloscritto).

(75) Sulle dinamiche della sicurezza legate alle c.d. criminologie performative v. Edwar-

ds-Hughes, Inventing Community Safety, in Carlen (a cura di), Imaginary Penalties, WillanPublishing, Cullompton, 2008, 64 s.

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Eppure vi è una sorta di «burocratizzazione» dell’immaginazione; l’im-maginario, infatti, si è tradotto e continua a tradursi in una serie disegni dilegge sottoposti all’esame del legislatore italiano.

In definitiva, mutuando una coppia di termini dalla lezione platonicasul linguaggio desunta da Il Sofista, si potrebbe affermare che la percezionedel crimine, se si esclude ancora una volta la quota individuata attraverso ilmetodo scientifico di rilevazione e interpretazione dei dati, sta alla defini-zione giuridica di criminalità come il phantasma – immagine o segno ingan-nevole – sta all’eikon, e cioè alla parola che rappresenta rettamente la cosa.

Normalmente, infatti, il legislatore – «artigiano» dei nomi, come vienedefinito da Platone, questa volta nel Cratilo (76) – tende a rappresentare lecose del mondo attraverso termini riconducibili all’eikon; ma la «traduzio-ne» del diritto e delle leggi ad usum vulgi, svolta prevalentemente dai me-dia, si avvale spesso di termini che, rispetto alla cosa rappresentata, si pon-gono come phantasma.

Relativizzando la metafora al campo della corruzione, si potrebbe ag-giungere che a fronte di ciò che il legislatore chiama «corruzione» – con untermine (eikon) che tipizza un comportamento disvoluto secondo una cifralinguistica, rispettosa dei principi di tassatività, precisione, e determinatez-za, atta a descrivere la struttura e la dinamica del pactum sceleris tra corrottoe corruttore – si pone un phantasma, o meglio una molteplicità di «segni»ingannevoli che diluiscono buona parte del significato delittuoso della cor-ruzione nei termini «affare», «questione» «problema», veicolandone conciò forme di percezione talvolta edulcorate e comunque staccate della real-tà (ad esempio quanto a cifra statistica e a dimensione offensiva).

Lo stesso discorso, sia pure rovesciato, può essere fatto per i reati chedestano allarme sociale e insicurezza dei cittadini: in questo caso, infatti, ilphantasma terminologico con cui vengono indicati dai media taluni delitti –quali il furto aggravato o la rapina – carica di significato ancor più negativocondotte spesso di gravità oggettiva medio-bassa e non caratterizzate, inogni caso, da un comprovato aumento statistico tale da minare realmente lasicurezza collettiva.

In breve, ancorché sia un dato «convenzionale» tanto nella dimensionelinguistica quanto in quella contenutistica, la definizione normativa del cri-mine ritaglia condotte certe e ritenute offensive di beni giuridici rilevanti;viceversa, la percezione del crimine – la quale si radica nella collettività peril tramite mediatico, che ricorre anche al «segno ingannevole» – spesso«erige» scenari immaginati, il cui scollamento dalla realtà è tanto maggiore

(76) Platone, Cratilo, 389 a.

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quanto meno empiricamente fondata è la comunicazione mediatica e/o po-litica della dimensione quantitativa e qualitativa della delittuosità.

Ma se la percezione del crimine, sia nel «bene» che nel «male», è pro-duttiva di effetti, allora ciò vuol dire che deve essere considerato conve-niente, «rovesciando» la lezione di Machiavelli, andare dietro anche alla«immaginazione della cosa» oltre che alla «verità effettuale di essa» (77).

Zusammenfassung

Die vorliegende Arbeit setzt sich zum Ziel, Dynamiken der Auffassungvon Korruptionsdelikten im allgemeineren Zusammenhang der Verbre-chensauffassung zu erforschen. Im Detail werden drei Untersuchungsebenenunterschieden: wie wird Korruption von Seiten der Wirtschaftswissenschaf-ten aufgefasst; wie wird Korruption von Seiten der Rechtswissenschaften, u.z.sowohl im nationalen als auch im internationalen Vergleich, aufgefasst; wiewird Korruption von den Tätern selbst empfunden.

In Hinblick auf die Arten und Weisen und die Dynamiken der Verbre-chensauffassung wird deren Darstellung durch die Massenmedien sowie ihrtatsächlicher, statistischer Niederschlag überprüft. Schließlich wird unter-sucht, welches feedback die durch die Massenmedien vermittelte Auffassungdes Verbrechens auf die kriminalpolitische Debatte hat.

Résumé

Ce travail se propose d’explorer les dynamiques de la perception des délitsde corruption dans le contexte plus général de la perception du crime.

On distingue notamment trois niveaux d’investigation concernant respec-tivement: la perception de la corruption de la part des sciences économiques;la perception de la corruption de la part des sciences juridiques, sous le doubleprofil national et supranational; l’autoperception de la corruption de la partdes protagonistes de l’événement criminel.

Par rapport aux modalités et aux dynamiques perceptives de la criminalitésont également analysées et évaluées les modalités de représentation véhicu-lées par les médias ainsi que leur adhérence à la donnée statistique réelle de lacriminalité enregistrée. Fait enfin l’objet d’analyse l’effet de rétroaction que laperception du crime, guidée essentiellement par les medias, peut avoir sur lesoptions de politique criminelle.

(77) Machiavelli, Il principe, cap. XV.

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