RIVISTA PROMETEO
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MAURO MALDONATO
DALL’UNIVERSO ATEMPORALE A UN PRESENTE INGANNEVOLE
BaBar è l’acronimo buffo di un’impresa scientifica serissima che
rivoluzionerà probabilmente la nostra rappresentazione del tempo.
Nata da una collaborazione internazionale tra circa 400 scienziati ed
ingegneri di 74 Università e Centri di ricerca americani ed europei,
con sede presso il laboratorio dello Stanford Linear Accelerator a
Menlo Park (California), l’iniziativa tenta di rispondere ad alcuni
problemi fondamentali della natura dell’universo: le proprietà e le
interazioni delle particelle note come quark e leptoni, la natura
dell’antimateria ed altre decisive questioni di fisica sperimentale. Le
prime evidenze riportate mostrano sorprendentemente che, nel
mondo subatomico, il tempo ha una direzione preferenziale: scorre,
cioè, ad una velocità diversa rispetto alla direzione opposta. Uno dei
ricercatori ha chiarito, con un’immagine efficace, che se si filmasse
questo fenomeno e lo si proiettasse poi al contrario, il ‘reverse’ del
film avrebbe durata diversa dell’evento primario. Sin qui, invece, si
era creduto che in un campo gravitazionale il movimento inverso di
un oggetto fosse identico al movimento del medesimo oggetto nella
direzione originaria. L’esperimento del gruppo BaBar dimostra,
almeno per quanto riguarda le particelle elementari, che questo
concetto non è più vero. Se supererà la prova del fuoco di altre
verifiche, la supposta simmetria tra passato e futuro – cioè la legge
dell’invarianza temporale ritenuta inviolabile tanto dalla fisica classica
quanto dalla fisica quantistica – sarà consegnata agli archivi di storia
della scienza.
Siamo solo ai primi passi di un lungo cammino, ma già si può
intuire un grande impatto sulle neuroscienze: in particolare, per gli
studi sulla coscienza. Domande del tipo “cos’è il tempo per il cervello
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umano?”, “cos’è il cambiamento?”, “esiste il passato e, se esiste,
dove è andato?” o “come sarebbe la nostra vita senza il tempo?” –
domande che i fisici hanno sempre lasciato volentieri ai filosofi –
saranno fortemente rilanciate. Sino ad oggi, la fisica (dalla meccanica
quantistica alla relatività generale) pur avendo a disposizione leggi
eleganti e ineccepibili sul piano formale non è riuscita a gettar luce
nel mistero del tempo. L’applicazione delle sue leggi al
funzionamento del cervello ha portato al risultato controintuitivo di un
concetto di tempo speculare al concetto di spazio: un tempo
spazializzato uniforme, con una direzione dal passato al futuro e
viceversa, in cui ogni istante, ogni oggetto ed ogni effetto osservato
‘devono avere’ una causa e una posizione ben definita. Viene da
chiedersi: ma in un universo del genere potrebbe esistere esseri
coscienti? Probabilmente sì. Ma la loro esperienza si consumerebbe
entro stati fortemente ordinati e ad entropia minima: sistemi chiusi
che, in termini di materia, energia o informazione, non
scambierebbero nulla con l’esterno. Stati della mente algoritmici e
preordinati: cioè, splendidi deserti di monotonia.
Insomma possiamo davvero spiegare l’irreversibile col
reversibile? Possiamo concepire una realtà di leggi atemporali dalla
quale emerga il tempo irreversibile? Passato e futuro non sono su un
piano di parità. Almeno nel mondo degli esseri umani è il passato a
determinare il futuro. Non viceversa. Ipotizzare il contrario è un errore
che la sola logica basta a smentire. La coscienza non funziona in
termini computazionali o algoritmici. Altrimenti vi sarebbero sempre
proposizioni matematiche il cui algoritmo non saprebbe fornire
soluzioni. Questo vale anche per la mente di un matematico: se fosse
interamente algoritmica, come fece osservare anni fa Roger Penrose,
il sistema formale attraverso cui costruisce i propri giudizi gli
impedirebbe di giudicare la proposizione formulata col suo algoritmo
personale. Naturalmente, non è questa la sede per discuterne. Appare
evidente, tuttavia, l’urgenza di un superamento dell’opposizione tra
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una rappresentazione della natura fatta di “leggi fondamentali” (che
descriverebbero l’oggettività del mondo) e di “descrizioni
fenomenologiche” evidentemente condizionate dai limiti della
soggettività umana. Occorrerebbe, in altre parole, una nuova
concezione dei fenomeni naturali, che muova non solo dalla
pertinenza delle domande, dalla validità delle rappresentazioni, ma
anche dalla necessità, in taluni casi, di una loro lettura qualitativa.
Una scienza che abbia a cuore la verità non può decidere apriori quali
siano le domande pertinenti o distinguere ciò che è intellegibile da ciò
che non lo è.
SEGRETI DEL TEMPO
Può la linea del tempo aiutarci a comprendere la natura della
coscienza? Forse no. Molte evidenze militano a favore dell’ipotesi che
l’esperienza soggettiva e, dunque, l’esperienza del tempo, risieda in
innumerevoli configurazioni neurali istantanee correlate a stati di
consapevolezza su assi temporali fortemente entropici. L’intera vita di
relazione è sostenuta da un sistema distribuito e asimmetrico di
fenomeni diversi, correlato ad eventi locali elettrochimici di strutture
cortico-sottocorticali (Zeki e Bartels, 1998). La molteplicità di questi
livelli – in cui le distinzioni funzionali si riflettono in ambiti anatomici
ristretti e loci (ad esempio, il moto visivo nell’area V5 o l’elaborazione
del colore nell’area V4) – dà conto di alcuni aspetti rilevanti del
rapporto coscienza-consapevolezza.
In circostanze normali facciamo esperienza di un mondo di
oggetti ordinati nello spazio, organizzati secondo regolarità e
contenuti, entro schemi spazio-temporali definiti. Si tratta, per lo più,
di contenuti extramodali (colori e forme) e intramodali (propriocezioni
e così via) che, attraverso raffinati processi di integrazione nervosa,
danno luogo all’esperienza consapevole. Non è implausibile ritenere
che l’apparire del Sé sia correlato al meccanismo che regge ed
elabora la pluralità dei contenuti locali generati dall’esperienza
consapevole. Questo processo di unificazione – che ci consentirebbe
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di ripensare la coscienza come un’unitas multiplex e non come
un’entità indifferenziata – potrebbe avere importanti conseguenze per
una scienza della coscienza, perché darebbe soluzione a diversi
problemi teorici ed empirici. La soggettività qualitativa potrebbe
costituirsi quale eco di innumerevoli dinamiche neuronali locali e
fenomeni cortico-sottocorticali distribuiti. Naturalmente, unità
istantanea e unificazione di sequenze consapevoli sono processi
distinti, come accade nella memoria iconica. Per forme non
patologiche della memoria è essenziale che la sequenza consapevole
abbia un ordine definito. Ad esempio, una frase compiuta è
determinata dalla capacità di ricordare il suo incipit e, attraverso la
durata, di giungere alla sua conclusione producendo un discorso
coerente (Oliverio, 2009; Squire e Kandel, 1999). L’unità istantanea
(in se stessa flusso) inscritta nel tempo (la durata) è un elemento
essenziale della consapevolezza.
Per oltre un secolo si è ritenuto che si potesse misurare la
cognizione del tempo calcolando l’intervallo tra determinati eventi. I
risultati sperimentali che avrebbero dovuto confermare questa ipotesi
hanno gettato solo una fioca luce sulle soglie minime di correlazione
tra processi neurali ed eventi cognitivi. Probabilmente non si è
riflettuto abbastanza sulla differenza esistente tra la successione degli
eventi neuronali e l’ordine della loro successione. Il succedersi degli
atti di coscienza non è la coscienza del loro succedersi. Forse anche
per questo non siamo andati molto oltre l’analisi delle categorie di
successione e durata: la prima, che implica la distinzione tra
simultaneità e sequenza di eventi – anche se non in senso assoluto,
perchè per scale temporali di decine di millisecondi l’affidabilità del
giudizio si affievolisce; la seconda, che definisce la capacità di
cogliere eventi percettivi sequenziali come fossero simultanei.
La significatività dell’uso di scale di millisecondi, che finiscono
per rendere l’unità dell’esperienza consapevole non più che
un’illusione, è un aspetto sperimentale decisivo. A questi livelli
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temporali l’immediatezza svanisce. Come suggerì più di un secolo fa
William James, nel nostro cervello si sovrappongono in ogni istante,
l’uno all’altro, innumerevoli attimi che ci restituiscono la sensazione
della durata. Coscienza e consapevolezza sono sempre legate a un
breve intervallo di tempo, un “presente ingannevole” in cui frammenti
di memoria, vicini e remoti, si fondono con il vissuto presente, mentre
l’eco di momenti appena passati si riverbera in altri che stanno per
sopraggiungere.
Teorie accreditate sulla percezione della successione e della
durata – e in definitiva sul perché i nostri stati di coscienza sono
accompagnati dalla consapevolezza del loro succedersi – indicano che
al di sotto dei 100 millisecondi è possibile distinguere l’inizio dalla fine
di un evento istantaneo; oltre i 5 secondi la percezione della durata
sembrerebbe dimezzarsi per la memoria. Francis Crick e Christopher
Koch (1992) hanno posto a fondamento della coscienza un
meccanismo di unificazione temporale delle attività neuronali che
sincronizzerebbe gli impulsi in oscillazioni medie di 40Hz. Tali
oscillazioni non codificherebbero informazioni addizionali, ma
unificherebbero parte dell’informazione esistente in una percezione
coerente. C’è da dire che in una fase successiva della sua ricerca
Crick ha revocato in dubbio l’idea che queste oscillazioni bastassero a
generare un’esperienza consapevole, rinviando ad altre ipotesi
esplicative e a modelli di connessione più complessi.
Al di là della specifica frequenza delle oscillazioni talamo-
corticali sembra non vi siano molti dubbi sul fatto che all’origine della
coscienza vi sia l’attività di differenti popolazioni neuronali cortico-
sottocorticali e non una sola zona cerebrale. Come mostrano diversi
studi elettroencefalografici, si tratta di circuiti neuronali multipli,
attivati da fenomeni di sincronizzazione e inibizione parallela: stati
transitivi e stati stazionari caratterizzati, i primi, da un’attività
neuronale instabile ad elevata energia; i secondi, da un’attività
neuronale stabile a bassa energia. Si tratta di un equilibrio
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estremamente dinamico in cui ogni evento (un pensiero astratto,
un’immagine visiva, altro ancora) riflette l’attivazione di una rete
neuronale, distribuita e in parallelo, che dà origine a contenuti
consapevoli. In questa comunicazione talamo-corticale le oscillazioni
neuronali svolgono un ruolo determinante. In alcuni stati fisiologici
(addormentamento, veglia, vigilanza) e in certe patologie
(depressione, epilessia, Parkinson) si registrano differenti ritmi
talamo-corticali, la cui durata varia al variare delle popolazioni
cliniche: ad esempio, se negli schizofrenici paranoidei sono più brevi,
in quelli maniacali mostrano cambiamenti continui di ritmo (Goodwin
e Jamison, 1990) e così via.
NÈ CRISTALLO, NÈ FUMO
Il tempo è una realtà profonda, sedimentata in forme e strutture
persistenti. Ve ne è traccia ovunque: nella roccia su cui è scritta la
storia della terra; nei cromosomi che recano memoria del tempo
genetico; nei cerchi concentrici di un albero che ne raccontano la
morfogenesi; nel viso di un uomo che ne ricorda il momento della
nascita. Qualsiasi ricerca deve partire da qui. Ma il nostro sentimento
del tempo è anche durata, mutamento, flusso, repentinità. Un tempo
di invarianze e simmetrie non contemplerebbe nulla oltre l’istante
attuale. Appena conclusa, una percezione sparirebbe per sempre.
Senza aver mai esperienza di nulla. Un’idea succederebbe all’altra,
senza poterne avere cognizione. Ogni stato di coscienza, appena
finito, si estinguerebbe rapidamente. Per sempre.
Riferimenti bibliografici
- Zeki S., Bartels A. (1998), «Toward a theory of visual
consciousness». Consciousness and Cognition, (8), pp. 225-259
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- Goodwin F. K., Jamison K. R. (1990), Maniac Depressive Disorder.
Oxford University Press, Oxford
- Crick F., Koch C. (1992), «The problem of consciousness». Scientific
American, 267 (3). pp. 153-159
- Oliverio A. (2009), La vita nascosta del cervello. Giunti, Firenze.
- Squire L. R., Kandel E. R. (1999), Memory: from mind to molecules.
Scientific American Library, New York.
Mauro Maldonato è medico-chirurgo e psichiatra. È professore di
Psicologia generale all’Università della Basilicata. Ha studiato nelle
Università La Sapienza (Roma), Federico II (Napoli), London School of
Economics (Londra), École des hautes études (Parigi). È stato
recurrent visiting professor alla Pontificia Universidade Católica de
São Paulo (PUC), alla Universidade de São Paulo (USP) e alla Duke
University. Dirige il Cognitive Science Studies for the Research on
Research Group alla Duke University (Durham, North Carolina). È
autore e curatore di volumi e articoli scientifici tradotti in diverse
lingue. È direttore scientifico della Settimana Internazionale della
Ricerca.