Rivista Di pia e Ipnosi

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ANNO VENTUNESIMO V O L U M E I GIUGNO MMIX

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ANNO VENTUNESIMO

V O L U M E I

G I U G N O M M I X

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RIVISTA MEDICA ITALIANA DI PSICOTERAPIA ED IPNOSI

semestrale Epoca di pubblicazione giugno - dicembre. Abbonamenti: annuale (due numeri) Euro 26,00, biennale (quattro numeri) Euro 52,00. Partono dal primo numero successivo alla data del versamento. Il saldo deve essere versato a mezzo vaglia postale o assegno bancario intestato a:

S.M.I.P.I. Società Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi Via Porrettana 466 40033 Casalecchio di Reno BO

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RIVISTA MEDICA ITALIANA DI PSICOTERAPIA ED IPNOSI ANNO VENTUNESIMO VOLUME I GIUGNO 2009

Direttore Responsabile Flavia Ciacci

Direttore Scientifico Riccardo Arone di Bertolino Segretaria di Redazione Elisabetta Zauli

Comitato Scientifico Patrizio Bellini (Olgiate Olona, Varese)

Daniela Carissimi (Bologna) Alessio Fagugli (Perugia)

Gian Carlo Gianasi (Australia) Nino Giangregorio (Terlizzi, Bari)

Pietro Malandra (Chieti) Maurizio Massarini (Castel San Giovanni, Piacenza)

Nadia Menghi (Montiano, Forlì) Oriano Mercante (Camerano, Ancona)

Federica Panzanini (Bologna) Daniela Orifiammi (Fidenza, Parma)

Marina Pantaleoni (Bologna) Alberto Petrignani (Bologna)

Mara Simoncini (Torino) Giovanni Sverzellati (San Bassano, Cremona)

Maria Terni (Firenze) Maurizio Zomparelli (Roma)

Consulenza giuridica - Ufficio Legale Franca Ugolini (Bologna)

INTERNET - Responsabile Oriano Mercante Sito - www.smipi.it.

Mail box: [email protected] - [email protected] Proprietà della Testata: Società Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi

Via Porrettana 466, 40033 Casalecchio di Reno (BO) tel. 051.573046, fax 051.932309

Codice Fiscale 03529290375 - Partita IVA 00633791207 Autorizzazione del Tribunale Civile di Bologna n.5712 del 17/3/1989.

Periodicità semestrale. Fotocomposizione e Stampa: Visual Project- Zola Predosa (BO)

ISSN 1120 - 2750

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ISTRUZIONI AGLI AUTORI I lavori dovranno essere inviati alla Società Medica Italiana di Psi-coterapia ed Ipnosi a mezzo raccomandata o assicurata convenzio-nale, oppure come allegato e-mail in word. L’invio stesso sottin-tende la dichiarazione degli Autori, sotto la propria responsabilità, che si tratta di lavori originali, non pubblicati né sottoposti per la pubblicazione altrove e che non ledono diritti altrui. In ogni lavoro devono essere indicati i nomi completi, i titoli, le qualifiche e l’indirizzo degli Autori. Se compiuti nell’ambito di un Istituto, di una Divisione o di un Ente dovranno riportarne il nome e l’indirizzo, ed una copia, stampata o dattiloscritta, dovrà portare la firma di autorizzazione alla stampa del Direttore dell’Istituto, del Primario Ospedaliero o del responsabile dell’Ente. Se già presenta-ti, o ne sia programmata la presentazione, in Congressi dovranno indicarne i dati e contenere la dicitura, controfirmata dall’Autore: “Non ne è prevista la pubblicazione integrale sugli Atti”. I lavori non conformi alle istruzioni agli Autori non potranno essere accet-tati. Sono vagliati dal comitato di redazione che potrà proporre correzioni o modifiche. Gli articoli vanno inviati come attach a [email protected] o su diskette 3,5” o CD, in formato WORD (.doc o .rtf) contenenti la versione definitiva. Devono essere completati dai dati degli autori, dal riassunto e da una lista di parole chiave. Del titolo, delle parole chiave e del riassunto deve esserci la traduzione in inglese. Le tabelle devono essere in word nella forma definitiva. I riferi-menti bibliografici dovranno contenere nell’ordine: cognome e nome dell’Autore, anno della pubblicazione, - se libro: titolo, edi-tore, sigla internazionale della nazione, - se rivista: titolo del lavo-ro, testata della Rivista, volume e pagine. Agli Autori Soci S.M.I.P.I. è richiesto un rimborso spese di Euro 19,00 a pagina di stampa. Il contributo degli Autori non Soci e di Enti è di Euro 25,00 + IVA 20% a pagina. Il costo degli estratti (dieci copie per i lavori di un solo Autore, venti copie per i lavori di più Autori) è conteggiato a parte. Per gli scritti pubblicati nelle Rubriche non è richiesto alcun contributo, né sono previsti estratti. La Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi è proprietaria dei diritti d’Autore di quanto in essa pubblicato: i diritti di pubbli-cazione, riproduzione, trasmissione e memorizzazione in qualsiasi forma e con qualunque mezzo sono riservati. I lavori pubblicati possono essere ripresi, in tutto o in parte, sempre specificandone la fonte, solo con l’autorizzazione scritta della S.M.I.P.I., proprieta-ria della Testata.

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Sommario

Sezioni

1 Editoriale. 2 Contributi Teorici. 3 Lavori Originali. 4 Casi Clinici. 5 Revisioni della Letteratura. 6 Prime Comunicazioni. 7 Applicazioni Extramediche.

Rubriche

1 Lessico. 2 Rapporti. 3 Lettere alla Redazione. 4 Temi di Ricerca. 5 Libri e Riviste. 6 Leggi e Decreti. 7 Corsi e Congressi.

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RIVISTA MEDICA ITALIANA DI PSICOTERAPIA ED IPNOSI ANNO VENTUNESIMO VOLUME I GIUGNO 2009

INDICE Sezioni

Editoriale - Lo specchio dei sogni.

Silvana Radoani pag. 11

- Libera di volare. Riccardo Arone di Bertolino

“ 29

Contributi Teorici - Chronic care model ed intensità di cure: un modello di cura del sert basato sulle evidenze.

Ugo Corrieri

“ 41

Lavori Originali - Vitiligine: la pelle e le emozioni.

Elena Bellodi “ 55

- Antropologia medica, sindromi somatoformi e psicoterapia. Vincenzo Amendolagine

“ 65

- L’ipnosi in fase preoperatoria: studio controllato in pazienti chirurgici.

Elisa Cassi, Maurizio Massarini

“ 71

- L’approccio psicologico al paziente pedodontico. Emanuela Servadei

“ 89

- Ipnosi e sedazione con protossido d’azoto in odontoiatria infantile: un protocollo clinico integrato.

Maria Pia Robotti

“ 97

- Terapia integrata del gioco d’azzardo patologico. Ugo Corrieri

“ 105

- Sensi, sessualità e sostanze psicoattive. Ricerca svolta presso i Ser.T di Padova e Salonicco.

Maria Chiara Forcella, Lucia Claudia Bergamo, Alessia Bastianelli, Guido D’Acuti, Theocraris Asouchidis, Giulio Vidotto

“ 137

Casi Clinici - Trattamento ipnotico in un caso di disturbo psicosomatico.

Gudo Bozak “ 175

- Viaggio fra magia nera e disturbo psichiatrico. Anna Rossi

“ 187

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- Impiego dell’ipnosi per la sedazione di una paziente odon-toiatrica con sclerosi laterale amiotrofica.

Alberto Mori, Davide Celestino, Niccolò Maggiorelli, Andrea Di Massa

“ 197

- Una nevralgia atipica del trigemino. Massimo Arcella

“ 205

Revisioni della Letteratura - La Gestalt.

Federica Panzanini, Riccardo Arone di Bertolino “ 221

Rubriche Leggi e decreti - La psicoterapia e lo psicoterapeuta fra scelte culturali e rife-rimenti legislativi.

di Vincenzo Amendolagine

“ 251

Libri e Riviste - Recensioni

di Patrizio Bellini “ 261

- Rassegna dalla letteratura internazionale sull’ipnosi di Oriano Mercante

“ 265

Corsi e Congressi “ 271 Tavole di Francesco Sforza pagg. 28, 174, 250

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EDITORIALE

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Silvana Radoani

LO SPECCHIO DEI SOGNI Parole chiave: vite precedenti, regressione ipnotica, neuroni spec-chio, condizionamento, linguaggio, pericoli.

Lo stato mentale di ipnosi L’ipnosi non è certamente una scoperta del XXI secolo e neanche del XX o del mesmerismo dell’800. Se vogliamo accettare tecniche di induzione ipnotica indirette, come canti, mantra, danze e altro, possiamo senza ombra di dubbio portare l’uso dell’ipnosi a perio-di storici primordiali, probabilmente fin dai popoli primitivi quan-do, con l’uso di certe induzioni, si desensibilizzavano i cacciatori alla paura innata delle belve o addirittura si creavano forme di trance che permettevano riti iniziatici molto cruenti. Queste induzioni sono state legate principalmente a tre concetti che si sono evoluti nei secoli: il primo è la magia, cioè un atto che era di per sé magico e dava sensazioni di onnipotenza; il secondo è la religione, cioè atti che permettevano più stretti contatti con il trascendente, con le divinità ai fini di acquisirne essenza divina, conoscenza del futuro e salvezza; il terzo era ed è legato alla scien-za, ovvero alla conoscenza sempre più perfetta di come siamo fatti e dei meccanismi che sottendono alle nostre azioni. Parleremo dunque in questo articolo di un tipo di induzione che racchiude tutti e tre questi aspetti dell’ipnosi e ne ripresenta tutte le caratteristiche connesse: l’ipnosi per la regressione a vite prece-denti. Non siamo qui a discutere l’idea religiosa, quindi fideistica, della reincarnazione, quanto i pericoli che possono esserci nel ri-

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portare una persona a presunte rivisitazioni di passati ancestrali; e lo faremo, seppur brevemente, prendendo in esame la scoperta dei neuroni specchio.

I neuroni specchio Prima della scoperta dei neuroni specchio si studiava la natura e la fenomenologia dello stato di ipnosi con la tecnica dei potenziali evocati PE,che alcuni medici esperti di ipnosi hanno riportato. Le ricerche si sono concentrate sostanzialmente su tre filoni: 1. gli effetti delle suggestioni ipnotiche sulla percezione di sti-moli uditivi, visivi, olfattivi o somatosensoriali; 2. la dimostrazione che lo stato d’ipnosi si accompagnerebbe ad un cambiamento di dominanza emisferica; 3. lo studio di eventuali modificazioni dei rapporti funzionali tra le varie aree della corteccia cerebrale. Le ricerche fino a quel momento effettuate hanno dato però risul-tati contrastanti, sostanzialmente perché i vari parametri dei PE (numero della componenti, latenza, ampiezza, eccetera) potevano essere influenzati da una grande quantità di variabili tecniche, me-todologiche e neurofisiologiche 1. In effetti il panorama degli studi neurologici è nettamente mutato dal momento in cui i neuroni specchio sono stati scoperti da due ricercatori italiani parmensi. Essi hanno spiegato molti meccanismi che prima potevano forse venire intuiti ma non definiti e che ora hanno aperto un mondo di nuove ricerche e obbligano gli specia-listi a rivedere molte tesi date ormai per scontate. I neuroni specchio scaricano, nel momento in cui osserviamo un nostro simile fare una determinata azione, in un modo che rappre-senta un come se neurale dell’azione che stiamo osservando. In altre parole possiamo sperimentare le stesse emozioni, sensazioni, eccetera, di chi stiamo osservando, soprattutto se queste fanno già parte del nostro bagaglio culturale o esperienziale. Oggi è provato che la nostra capacità di capire gli altri è dovuta in gran parte a cel-lule cerebrali chiamate appunto neuroni specchio. Per mezzo di 1 Potenziali evocati uditivi in veglia, relax e trance ipnotica, di AA. VV., stu-dio dell’AMISI.

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questa attivazione i neuroni inviano dei segnali ai centri cerebrali emozionali del sistema limbico, facendo sì che noi stessi proviamo quello che provano le persone che abbiamo davanti. 2 Marco Iacoboni, che ha condotto molte ricerche sui neuroni spec-chio, scrive: “Grazie a questi neuroni ci si è resi conto che nel cer-vello, percezione e azione sono un processo unitario; essi ci aiuta-no a ricostruire nel nostro cervello le intenzioni delle altre perso-ne, consentendoci una comprensione profonda dei loro stati men-tali. Senza bisogno di virtù extrasensoriali il nostro cervello è in grado di accedere alla mente altrui servendosi dei meccanismi neu-rali del rispecchiamento e della simulazione” 3. Secondo lo psicologo evolutivo Daniel Stern, i neuroni specchio forniscono un spiegazione dei meccanismi neurobiologici per comprendere molti fenomeni tra i quali: la lettura della mente di altri, specialmente delle intenzioni, la risonanza emozionale tra persone, i fenomeni dell’empatia. La scoperta dei neuroni spec-chio risulta dunque avere un alto potere esplicativo anche per un’altra ipotesi che riguarda la dinamica psicoterapeutica, secondo cui all’interno del setting terapeutico gli stati di coscienza che vi si possono generare vengono condivisi sia dal paziente che dal tera-peuta. Infatti, alcune ricerche sulle dinamiche di attivazione neuro-fisiologica che si possono generare all’interno dell’incontro tera-peutico hanno evidenziato l’insorgenza di stati alterati di coscienza condivisi tra paziente e psicoterapeuta. È stato anche provato che si ha maggiore attivazione dei neuroni specchio quando si è già orientati da idee o esperienze pregresse, tenendo presente che i neuroni specchio si attivano anche nell’area di Broca, ovvero il centro del linguaggio e dell’imitazione; quindi se capita di dire, leggere o sentire alcune espressioni, il cervello attiva le stesse cellule motorie che scaricano quando si compie l’azione descritta.

2 Naturalmente tutto ciò che viene percepito è elaborato, e spesso falsato, in rapporto alla propria mentalità e concettualità. (R. A. di B.) 3 I neuroni specchio, di Marco Iacoboni

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La suggestione Arone di Bertolino definisce la suggestione un messaggio che tocca direttamente l’emotività fantastica inconscia. Michael Heap invece ha coniato una definizione di suggestione ip-notica molto interessante pur senza prendere in esame i neuroni specchio: si può definire la suggestione come una comunicazione trasmessa verbalmente dall’ipnotista per pilotare l’immaginazione del soggetto in modo tale da produrre in lui dei cambiamenti volu-ti nel suo modo di comportarsi, pensare o sentire. Anche Riccardo Arone di Bertolino ci ricorda che: “Il paziente a volte può in buona fede inconsciamente elaborare e produrre cre-azioni della propria fantasia, che ai suoi stessi occhi appaiono co-me veri ricordi, spinto dal desiderio di gratificare un terapeuta che abbia comunicato, anche involontariamente, particolari aspettati-ve, oppure rendersi solo più interessante. In alcuni casi uno psico-terapeuta esperto può distinguere fra vero e falso, ma se il sogget-to è molto abile questa distinzione di solito è impossibile” 4. Se questo è vero nella normale psicoterapia e anche nel normale stato di trance, tanto più potrà essere vero nella trance da ipnosi regressiva che vorrebbe condurre a vite precedenti; infatti ancora Arone di Bertolino, direttore di una delle grandi scuole italiane di psicoterapia ed ipnosi clinica, afferma che uno studio anche mini-mamente critico e serio, condotto caso per caso, sul materiale prodotto in ipnosi relativo a vite passate, nei casi (pochi, pochi) in cui vi siano determinati ed esatti riscontri storici, scopre solo che questi facevano già parte della memoria eidetica inconscia e in ip-nosi si può scoprire anche quando, in questa vita, questi dati sono stati percepiti e registrati. Questo discorso lascia supporre che vi siano diverse variabili per le quali quello che si pensa un ricordo di vita precedente può essere o un’elaborazione della fantasia del paziente, o ancor più un ri-specchiamento delle credenze e delle aspettative del terapeuta. In ogni caso non vi è mai stato nessun riscontro scientifico (cioè pratico, concreto e comprovato) che le vite precedenti emerse alla coscienza dell’ipnotizzato siano reali. In ipnosi vi sono tre importanti fattori che bisogna tenere presenti: 4 Ipnosi regressiva, di Riccardo Arone di Bertolino

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1. quello che il paziente sa o suppone riguardo ciò che il tera-peuta vuole sentirsi dire; 2. le domande del terapeuta che guidano il paziente; 3. la manipolazione delle risposte fornite dal paziente durante la trance da parte del terapeuta, che ne manipola anche l’interpretazione. Da tutto questo discorso possiamo intravedere quanto sia impor-tante che il soggetto posto in ipnosi sia in perfetta sintonia con il terapeuta al quale non sarà difficile dirigere la trance e ciò che in essa viene detto. Questo è ciò che spesso avviene in normali psicoterapie; se poi la persona ha abbassato le difese lasciandosi andare alla trance, sicu-ramente sarà molto più recettiva ai discorsi, alle allusioni, ai timbri di voce, ai movimenti, alle credenze, a ciò che già sa del terapeuta, supportato forse in modo particolare dalla scarica dei neuroni specchio che amplificano il proprio raggio d’azione proprio per-ché non sono completamente controllati dalla coscienza razionale. I NS (neuroni specchio) rivalutano tutta la ricerca sul linguaggio non verbale del quale le persone sono più recettive che del lin-guaggio stesso; quale migliore occasione di esplicazione del lin-guaggio non verbale che la trance? Inoltre nel cervello si ha una zona neurale chiamata sistema della condizione di default (default state network). Questo sistema è co-stituito da una serie di aree corticali che registrano un’attività più intensa quando il soggetto è a riposo e un’attività ampiamente ri-dotta quando il soggetto esegue dei compiti cognitivi. Questa area è una specie di modalità di riposo del cervello, predominante quando lo stesso non ha di fronte a sé degli obiettivi o compiti specifici, quando cioè vaghiamo con il pensiero in quelli che sono definiti sogni ad occhi aperti. La nostra mente pertanto risulta molto più recettiva agli stimoli e-sterni (subito ripresi dai NS) in condizione di default (di cui esem-pio lampante è la trance ipnotica) che in stato di veglia, ovvero di attenzione razionale.

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Paziente e psicoterapeuta La maggior parte degli studi psicologici hanno evidenziato il forte impatto persuasivo dettato dalla credibilità del terapeuta. La credi-bilità è una caratteristica attribuita alla fonte che si suppone abbia una conoscenza approfondita di un dato tema (expertise) e sia af-fidabile in quanto afferma la verità sul tema discusso (truthworthi-ness). Inoltre è innegabile che più le persone si piacciono a vicen-da più tendono a imitarsi reciprocamente; da ciò ne deriva che se un terapeuta propone qualcosa di strano e il soggetto ne ammira la conoscenza e la personalità, sarà non solo attratto da lui ma sarà già propenso a seguire in tutto per tutto ciò di cui gli riconosce esperienza e credibilità; una volta avviata la presunta terapia il pa-ziente stesso fornirà al terapeuta (consciamente o incosciamente) i suoi punti deboli, le paure, ed altri elementi per ottimizzare il con-seguente inevitabile condizionamento. Nel caso di ipnosi, la parziale sospensione della mente conscia, e quindi della capacità critica, può spiegare perché si sia pronti ad accettare suggestioni che sono già annidate nell’inconscio e si dia loro realtà e utilizzazione. Può succedere che in ipnosi emergano ricordi, scene, immagini che sembrano risalire a vite passate. È un fenomeno abbastanza comune quando soggetto e operatore credono ambedue nella re-incarnazione e lo ricercano. Ma quando il terapeuta e il paziente non ci credono e non si pongono minimamente il problema, que-sto fenomeno non avviene mai 5. Si comprende bene a questo punto quanto sia importante il ruolo del terapeuta nel determina-re la credenza della regressione a vere vite passate. Uno dei prin-cipali fautori di ipnosi regressiva a vite precedenti, italiano, affer-ma: “È benefico svelare ad ogni paziente che vedo in studio questo grande segreto: l’attuale sofferenza è la conseguenza del nostro libero arbitrio e degli atti compiuti in precedenti cicli esistenziali. È quindi il karma, il nucleo portante della mia psicoterapia e se la legge di casualità spirituale fosse una mia illusione, una chimera, rimarrebbe da spiegarsi come mai questo mio “strano metodo” consegua enormi risultati” 6. Come si vede è chiaro che il dottore 5 Ipnosi regressiva, di Riccardo Arone di Bertolino 6 L’amore maestro, di Angelo Bona

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in questione comunica subito le sue aspettative al paziente. Brian Weiss, americano psichiatra e specializzato in ipnosi per la regressione delle vite precedenti, un po’ più realisticamente affer-ma: “Ho assistito a molti fenomeni straordinari e incredibili, ma non ritengo sia necessario credere alla reincarnazione per godere dei benefici della terapia della regressione. Vengono portate alla consapevolezza informazioni importanti a prescindere dal fatto che il materiale rievocato sia mediato sotto forma di metafora o simbolo; la conoscenza e le intuizioni ottenute possono indurre significative trasformazioni fisiche, emozionali o spirituali… Non è importante stabilire se ciò che affiora sia un simbolo, una metafo-ra, un ricordo vero, la vostra immaginazione o tutte queste cose mescolate insieme” 7. Secondo noi è invece molto importante stabilire la veridicità e so-prattutto guidare uno stato alterato di coscienza in un soggetto che si affida alle cure specialistiche, soprattutto per non incorrere in una sorta di manipolazione mentale che è sempre eticamente scorretta, con conseguenze molto spesso dannose, da parte di chi detiene le redini momentanee della mente altrui. È innegabile che nessuno può costruire per un altro una metafora più significativa di quella che una persona costruisce per se stessa, ma si tratta, in questo caso, di una fantasia guidata in cui il paziente persegue qualche fantasia di sua scelta, mentre la sua attenzione viene indi-rizzata dalle osservazioni e dalle domande del terapeuta verso gli aspetti più potenzialmente significativi e utili della fantasia stessa. Fantasia guidata non ha però lo stesso significato di realtà, per cui se il paziente viene indotto a credere reale una fantasia, oltremodo determinata dal terapeuta, si raggiunge quasi inevitabilmente un danno emotivo e cognitivo con effetti imprevedibili. Tenendo conto che l’ipnosi determina nel soggetto uno stato di rilassamento psichico, questo se mal gestito può determinare complicazioni psichiche, delle quali parla diffusamente MacHovec: “abbassamento della soglia di tolleranza dello stress, acting out an-tisociale, acting out sessuale, allucinazioni tattili, anergia, ansia e attacchi di panico, avversione fobica, cambiamento di personalità, competenze sociali inadeguate, comportamenti regressivi, confu-

7 Lo specchio del tempo, di Brian Weiss

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sione, crisi d’identità, deficit di attenzione, depersonalizzazione, depressione, derealizzazione, disagio fisico, disfunzioni sessuali, distorsioni dello schema corporeo, disturbi della memoria, inson-nia, intorpidimento, ipersonnia, iperdipendenza, mal di testa, nau-sea e vomito, paura o assenza di paura, pensiero delirante, decon-centrazione, pianto incontrollato, psicosi, reazioni istrioniche, ri-cordi traumatici, ritardo psicomotorio, senso di colpa, somatizza-zioni, sostituzione del sintomo, stordimento, suggestionabilità di-storta, svenimenti, trance spontanea, tremori, vertigini” 8. Se a questi pericoli aggiungiamo la coercizione psicologica e “spiri-tuale” della credenza nella reincarnazione e susseguente convin-zione nella verità di esperienze antiche di altre vite alle quali il pa-ziente viene spinto a credere, potremmo ottenere un cocktail mi-cidiale per la mente del paziente stesso. Molto diverso invece è prendere questi presunti ricordi come fan-tasie e metafore dell’inconscio e guidarle per superarle. “L’età adulta significa assunzione di responsabilità. Questo a sua volta implica la capacità di gestire le più svariate situazioni. La re-gressione rappresenta un sistema di difesa mentale tramite il quale una persona, sottoposta a stress emozionale, cerca rifugio in un’età precedente. Ciò significa che si libererà dapprima delle sue più recenti strutture e percezioni della personalità e che più fon-do regredirà, più indietro nel tempo riporterà l’orologio del pro-prio bagaglio di valori, conoscenze, capacità, responsabilità e valu-tazione di sé e della realtà” 9. Il continuo rinnovare la trance ove far riemergere presunti ricordi di vite precedenti ha come caratte-ristica proprio la deresponsabilizzazione e il mantenimento del pa-ziente in uno stato di sudditanza psicologica e emotiva, sia dal te-rapeuta, sia dall’ulteriore emersione di ricordi che diano la possibi-lità di giustificare le attuali difficoltà. “L’iniziale cammino di trance, indirizzato a questo fine, di norma fa emergere esistenze pregres-se, ove i soggetti rappresentano il ruolo della vittima. Si deve poi continuare per ricercare in quale vita precedente lo stesso abbia rivestito i panni del carnefice” 10. Ogni serio psicoterapeuta sa mol-to bene che con una tecnica simile si può portare il paziente fino

8 Hypnosis Complications, di MacHovec 9 Mindfucking, di Stefano Re 10 L’amore maestro, di Angelo Bona

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alla psicosi e alla scissione di personalità. Anche nel libro “Psicoterapie folli” viene confermata la pericolosità delle terapie ipnotiche a vite precedenti: “Nei numerosi casi di cui siamo a conoscenza, i pazienti sono stati danneggiati in diversi modi. Quando la terapia termina, spesso perché il paziente finisce i soldi, 11 il paziente viene lasciato solo con le sue difficoltà e con la sensazione di essere fuori dalla realtà e di essere stato vittima di qualche abuso. Le vite precedenti che emergono durante la terapia raramente sono felici e la manipolazione dei ricordi che viene fatta durante tali sedute tende a lasciare il paziente confuso e incapace di svolgere le sue normali attività. Ad aumentare la confusione c’è il fatto che molti terapeuti hanno l’incrollabile convinzione che la memoria umana sia come un nastro magnetico che registra tutto ciò che accade alla persona. Questa idea va contro decenni di ri-cerca scientifica che hanno dimostrato che la memoria ricostruisce, che non tutto viene registrato e ancor meno viene ritenuto o è ac-compagnato dalle stesse emozioni provate all’epoca in cui è suc-cesso il fatto” 12. Per questo motivo durante l’ipnosi è possibile far rivivere certe emozioni o ricordi passati, quasi sorvolandoci sopra, rivisitandole abbassandole di emotività: se il ricordo fosse esatta-mente quello passato, probabilmente sarebbe un processo quasi impossibile e sempre distruttivo. La terapia delle vite precedenti implica l’indurre il paziente ad ac-cettare un sistema di credenze e il suo gergo. Ascoltando le racco-mandazioni del terapeuta, alcuni pazienti finiscono con l’adottare una nuova visione del cosmo e una nuova fede religiosa: “Nella mia pratica clinica, lungo i percorsi di ipnosi regressiva, notavo nel corso degli anni e delle tante persone che trattavo, il manifestarsi di un linguaggio che risuonava dai sette centri (chakra)… Compre-si che la modica pressione nelle aree dei centri attivava la sincerità racchiusa nelle sette galassie del linguaggio e notai quanto ciò fos-se terapeutico…” 13. Durante un convegno un medico chiarisce i concetti riportati sui cd che ha messo in commercio registrati du-

11 Codesti pseudo terapeuti ne vogliono tanti, sempre in crescendo. (R. A. di B.) 12 Psicoterapie folli, di Singer e Lalich 13 Ipnosi regressiva e linguaggio dei centri, di Angelo Bona (articolo repe-ribile in Internet)

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rante una presunta trance di vita precedente: “Vi sono all’origine 5 pulsioni cosmiche, archetipi celesti, grandi simboli cosmici, 5 etnie che convengono a convegno dentro l’anfiteatro del Sole e stanno decidendo che l’evoluzione terrestre deve essere dominata dalla Consapevolezza dell’Uno… Queste erano 5 popolazioni etniche siderali: Kun, Horus, Daorai, Oshun e Lir… Jung è un mio carissi-mo amico e viene molto spesso a parlare con me in sogno. E così chiariamo insieme alcuni concetti. L’altro ieri ero in studio con Akhenaton e Nefertiti: lei bellissima donna, in grande ambascie per Akhenaton. Una scena meravigliosa. Io ormai continuo ad avere visioni continue con trasposizione temporali. Dopo 25 anni di cambi d’epoca è ormai per me usuale passare continuamente da ere diverse e trovarmi davanti a personaggi diversi… Noi abbiamo 2 cavallucci marini nel cervello (ippocampi) che sono due esplora-tori della nostra psiche… Nel 2012 ci sarà il rinnovamento dell’Universo”. 14 Chi si rivolge a terapeuti simili è logico che sia già reso edotto del-le aspettative e delle conoscenze dell’ipnologo e in parte ne mutui il linguaggio e gli atteggiamenti anche grazie ai neuroni specchio. Ma può essere passato tutto questo come verità? A noi sembra piuttosto il classico sistema di credenze di stampo new age, alle quali pensiamo di associare la psicoregressione alle vite preceden-ti.

Le terapie new age Il cliché delle terapie new age è fondato su cinque elementi fidei-stici che sono ben presenti nella terapia R a vite precedenti: a) antico segreto: vi è una verità assoluta o fondamentale che risiederebbe in qualche antica e spesso poco precisata cultura; b) cecità della scienza ufficiale: la scienza è fallace e porta con se spaventosi pericoli. Lo smarrimento di fronte al mistero della mor-te, che evidentemente la scienza non è in grado di spiegare, apre le porte al desiderio di fonti alternative, da cui trarre fiducia e spe-ranza; c) responsabilità terapeutica: se la cura fallisce è sempre colpa 14 Per la diagnosi dello stato mentale di chi fa codeste affermazioni consul-tare il DSM IV. (R. A. di B.)

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dello scetticismo o della negatività del paziente; d) trasformazione: l’individuo è visto come prigioniero delle sue precedenti convinzioni religiose, universali, morali e psicologiche. Solo il loro superamento può permettergli di percepire la presen-za dell’Universo parallelo. Cambiare valori, parametri e definizioni della realtà e del Sé diventa il principale obiettivo; e) amore: il concetto di “amore” nella new age è più invadente del prezzemolo. Ma in termini clinici si presenta come una specie di regressione. L’emotività viene espressa, forzatamente esaltata e occorre “lasciarsi andare ad essa”. L’esasperazione dell’emotività squalifica il pensiero critico e coerente, impedisce la riflessione, permette associazioni mentali immediate e l’emergere di fantasmi inconsci 15. Come tutte le terapie new age salutistiche, anche l’ipnosi regressi-va a vite precedenti rappresenta una bella fonte di guadagno assi-curato; infatti molti gruppi settari o sedicenti salutistici immettono nelle loro pratiche la regressione a vite passate, come se fosse un dato scientifico assodato. In Internet per esempio troviamo un’Accademia di Regressione alle vite passate che con corsi resi-denziali in Inghilterra di soli quattro giorni rilascia un “diploma in Regression Therapy”, abilitando i partecipanti come professionisti. Nel corso si insegna cos’è l’ipnosi e come la si può indurre, ma immediatamente al secondo punto del programma si insegnano “domande di apertura e di direzione per esplorare la vita passata”, “integrazione dei frammenti d’anima del cliente” e “intercessione e utilizzo degli aiutanti e delle guide del mondo spirituale”, mi-schiando così tranquillamente ipnosi, regressione, reincarnazione, spiritismo, ufologia e altri concetti che di scientifico hanno ben poco. Solo al diciottesimo punto del corso viene insegnata la “regi-strazione delle informazioni sul cliente, incluse le considerazioni etiche, legali e morali” mentre all’ultimo punto (28°) troviamo le “controindicazioni per la terapia regressiva”. È evidente che un vero terapeuta saprebbe guidare anche questo tipo di fantasie, ma possiamo solo immaginare i guai che possono essere provocati da chi, in maniera del tutto sommaria e fantasiosa, ipnotizza una persona e la lascia spaziare nelle presunte vite pre-

15 Mindfucking, di Stefano Re

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cedenti, confermandole semmai timori, presentimenti, angosce, slatentizzando sentimenti di ostilità verso altri o al contrario di af-fetto sconsiderato, magari facendo credere che in una vita prece-dente due persone siano state legate sentimentalmente, dando per vero che si è stati rapiti dagli alieni per esperimenti genetici o che, essendo stati gli aiutanti di Galileo, si sia stati resi edotti di segreti arcani che ancora ora vengono trasmessi via telepatica, e altro. Chiediamoci a questo punto cos’è che attira la gente a sottoporsi a una regressione ipnotica a vite precedenti, pur spendendo un ma-re di soldi e rischiando la salute psichica e emotiva. Per capirlo dobbiamo ricorrere ai principi di controllo mentale, già codificati da diversi psicoterapeuti. Robert Joule, docente di psicologia socia-le all’Università di Aix-en-Provence ci fornisce tre criteri: 1) coinvolgere il soggetto con una prima, strumentale proposta di partecipazione, cui fa seguito una più impegnativa richiesta. Il soggetto viene condotto quindi a rendersi “disponibile” ad ulterio-ri richieste. Nel caso dell’ipnosi regressiva notiamo che in genere la persona si rivolge al terapeuta portando il proprio “sogno”, che viene immediatamente ripreso e decodificato dall’ipnologo che ri-chiede al soggetto sempre maggiori “prestazioni” e compie pre-sunte ulteriori ricerche nella mente e nei ricordi del soggetto. 2) Chiedere al soggetto qualcosa di esagerato o irragionevole per poi ridurre la richiesta a quello che effettivamente era l’obiettivo iniziale. Il paziente si reca dall’ipnologo con già la cer-tezza che gli sarà chiesto (direttamente o indirettamente) una pre-stazione notevole: la riemersione certa di vite precedenti. Accondi-scende alla richiesta e solo dopo alcune sedute, l’ipnologo scende-rà di pretese per non perdere il cliente al quale dopo un po’ l’immaginazione verrà a mancare e anche il desiderio di conoscen-za o di risoluzione dei problemi. In questo modo però si mantiene un legame di dipendenza con il terapeuta... almeno fino a che ci sono soldi per le terapie. 3) Fornire al soggetto informazioni errate o incomplete riguardo la richiesta-proposta avanzata celandone aspetti sgradevoli o ag-giungendo particolari allettanti che in seguito verranno smentiti. In questo caso gli individui, una volta presa una posizione, si senti-ranno vincolati ad essa, soprattutto nella misura in cui pensano di averla scelta liberamente. A nessuno piace essere preso in giro e la

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mente pone in atto un meccanismo di difesa che si oppone a quel-la che si chiama dissonanza cognitiva: cioè per non entrare in con-flitto con quello che si è dimostrato irrazionale e stupido, si accetta come verità colata quello a cui si è stati portati a credere. Anche questo però pone il soggetto in totale dipendenza dall’ipnologo e dalle sue teorie, per quanto stravaganti esse possano essere state. 16 Se a questi tre principi di controllo mentale aggiungiamo quello di cui abbiamo parlato in precedenza, ovvero i neuroni specchio che talvolta (per correttezza diciamo che la ricerca in tal senso è in pieno svolgimento) possono indurre a credere di avere davvero il potere di evocare vite passate, solo perché essi rispecchiano le a-spettative del terapeuta, il linguaggio verbale e non verbale dell’ipnologo che induce a falsi ricordi (la sindrome del falso ri-cordo è un problema psichico molto serio e difficile da dipanare); il principio di autorevolezza che da subito si dà all’operatore senza minimamente porre il dubbio che qualcosa di quello che viene detto possa non essere vero, e altro, possiamo ipotizzare che la te-rapia ipnotica regressiva a vite passate sia niente altro che una del-le tante tecniche di controllo mentale che di terapeutico ha ben poco. In alcuni siti Internet che parlano e propongono regressioni alle vite passate (ricordiamo che vi sono anche le visitazioni delle vite future, condotte sempre in trance ipnotica) troviamo alcuni pas-saggi importanti che ancora una volta ci riportano realisticamente a tutto ciò di cui abbiamo accennato sopra. L’ipnosi regressiva è una tecnica sperimentale che può essere uti-lizzata durante una psicoterapia che permette di ricercare le cause dei conflitti attuali nel mondo remoto dei sogni di trance, che pos-sono assumere l’aspetto di precedenti vite; durante l’ipnosi regres-siva si possono rivivere come accaduti fatti reali e fatti che non tro-vano riscontro nella biografia del soggetto in ipnosi. Questi vissuti possono essere interpretati in vari modi: come fantasie trasformate in realtà, come fatti traumatici avvenuti in vite precedenti, come traumi subiti da altre persone con cui si è stati in relazione, come trasmissione genealogica del trauma. La trance viene utilizzata di 16 A questi principi ne aggiungo un altro, fondamentale, trovare il pollo che ci crede. (R. A. di B.)

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solito dopo un accordo, che deriva da una sorta di complicità im-plicita tra soggetto e ipnologo, accomunati dalle proprie credenze. L’inconscio fantastico non fa distinzione tra reale e immaginario; ciò che permette vividezza alle memorie all’interno della mente è l’aspetto emozionale. Se una persona non inizia il cammino con la convinzione implicita della possibilità di vite passate non si ricave-rà molto dalla terapia poiché i principi fondamentali della persona (valori, credenze, convinzioni…) che venissero violati dal terapeu-ta avrebbero come risultato l’immediato risveglio del soggetto. Naturalmente diverso è il caso di una fantasia espressa in stato ip-notico, che serve a far emergere sotto metafora l’inconscio del pa-ziente e che va sapientemente e clinicamente guidata e risolta.

Conclusioni Per concludere riteniamo discutibile e dannosa una qualsiasi forma di ipnosi regressiva a vite precedenti e ci sembra di intravedere questo parere anche nel mirabile testo “Istruzioni per rendersi in-felici”, di Watzlawick che sembra dare importanti indicazioni per incastrarsi con le proprie mani, abbandonandosi ai falsi ricordi di vite precedenti e a quello che ne conseguirebbe come comporta-mento attuale: “Si deve al filosofo Karl Popper l’interessante idea secondo cui, per esprimerci semplicemente, la terribile profezia che Edipo apprese dall’oracolo si avverò proprio perché egli la co-nosceva e la fuggiva. Proprio ciò che egli fece per evitarla ne de-terminò l’avverarsi… In primo luogo deve esserci una predizione, nel senso più ampio del termine, dunque una qualsiasi aspettativa, preoccupazione, convinzione o semplicemente un sospetto che le cose andranno così e non altrimenti. Bisogna aggiungere che tale aspettativa può essere provocata o dall’esterno, magari da altre persone, oppure da qualche convinzione interiore. In secondo luogo l’aspettativa deve essere vissuta non come semplice attesa, bensì come una realtà incombente, per evitare la quale devono es-sere prese immediate contromisure. In terzo luogo, la supposizio-ne è tanto più convincente quante più persone la condividono, oppure quante di meno sono le supposizioni già comprovate dal corso delle cose, a cui essa contraddice… Piuttosto che impegnarsi

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in una politica dei piccoli passi, perseguendo scopi ragionevoli e raggiungibili, conviene scegliersi una meta straordinariamente ele-vata 17.

17 Istruzioni per rendersi infelici, di Paul Watzlawick

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BIBLIOGRAFIA APA – Diagnostic and statistical manual DSM IV – American Psychiatric Press Arone di Bertolino Riccardo – L’ipnosi regressiva – tratto da Rivista Medica di Ipnosi e Psicoterapia, vol.I 2001, ed SMIPI Arone di Bertolino Riccardo – La creazione dell’immagine e del desiderio – tratto da Rassegna di Psicoterapie vol 13 n°2, 1986, ed. Min Medica AA.VV. – Potenziali evocati uditivi in veglia, relax e trance ipnotica – Atti del XI congresso nazionale AMISI, 1998, ed. Mosconi Bandler, Grinder – Ipnosi e trasformazione – Astrolabio Barber T. – Ipnosi: un approccio scientifico – Astrolabio Bona Angelo – La dolce novella – Wormhole Communication Bona Angelo – Il palpito dell’Uno – Wormhole Communication Bona Angelo – L’amore maestro – Molte vite per raggiungere se stessi – Oscar Mondadori Cavazza Nicoletta – La persuasione – Il Mulino Chellini Paolo – La dinamica del rito, tra gioco, senso del sacro e guarigio-ne - tratto da Rivista “Simposio”, anno 3 n°2, sett. 2007 Cialdini Robert – Le armi della persuasione – Giunti Damaso A.R. – Emozione e coscienza – Adelphi David Gordon – Metafore terapeutiche – Astrolabio Erickson, Rossi – Tecniche di suggestione ipnotica – Astrolabio Groham David – R- come terapia – SIAD Hambleton Roger – Ipnositerapia sicura – Armando editore Hatfield, Cacioppo, Rapson – L’incidenza delle emozioni nei rapporti con gli altri – San Paolo Iacoboni Marco – I neuroni specchio – Bollati Boringhieri Jodorowsky Alejandro – Psicomagia – Feltrinelli MacHovec – Hypnosis Complications – Ed. Charles Thomas Moody, Perry – Ricordi di altre vite – Mondadori Re Stefano – Mindfucking – Castelvecchi Singer, Lalich – Psicoterapie folli – Erickson Stevenson Jan – Bambini che ricordano altre vite – Mediterranee Stevenson Jan – Rivivere le vite passate – Mediterranee Vasiljev Leonid – Esperimenti di suggestione mentale – MEB Watzlawich Paul – Istruzioni per rendersi infelici – Feltrinelli Weiss Brian – Lo specchio del tempo – Oscar Mondadori

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Silvana Radoani LO SPECCHIO DEI SOGNI

Parole chiave: vite precedenti, regressione ipnotica, neuroni specchio, condizionamento, linguaggio, pericoli.

RIASSUNTO Vari studi lasciano supporre che l’ipnosi regressiva che riporti il paziente alle presunte vite precedenti sia sempre indotta dal terapeuta. Per analiz-zare i pericoli che questa metodica può presentare, soprattutto se fatta da persone inesperte di psicoterapia, abbiamo preso in forte considerazione la recente scoperta neurofisiologica dei neuroni specchio e della loro in-cidenza, soprattutto in momenti di default in cui la mente viene posta at-traverso la tecnica ipnotica; questi, associati solitamente a tecniche di con-trollo del linguaggio e del condizionamento psicologico.

Silvana Radoani MIRROR OF DREAMS

Keywords: past lives, hypnotic regression, mirror neurons, manipulation, language, danger,

SUMMARY Several studies have highlighted that the past lives regression is always in-duced by the therapist. In order to analyze the dangers of this practice e-specially when carried out by therapists without experience in psychothe-rapy, we have used a new discovery in neurophysiology: the so called mir-ror neurons. These neurons can influence the mind especially in those moments of default due to hypnotic technique in association with langua-ge and psychological manipulation. L’Autrice Dottoressa Silvana Radoani, Laurea in Teologia, Laureanda in Antropologia Culturale ed Etnologia, Master in Ipnosi, socia S.M.I.P.I. Responsabile dell’ASAAP - Centro di Consulenza Anti Abuso, exit counse-lor www.asaap.org - [email protected] - cell. 347.1118092 Bologna

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Riccardo Arone di Bertolino

LIBERA DI VOLARE Parole chiave: vertigini, paura del vuoto, panico, suicidio, raptus.

Premessa Una psicoterapia deve durare il tempo necessario per ottenere la guarigione, completa e stabile, dovuta ad una rielaborazione posi-tiva dei problemi ed al cambiamento della concettualità e del vis-suto emotivo profondo che causano la patologia. Convinzioni preconcette di quanto debba durare una terapia sono semplicemente limiti, quasi sempre dannosi, perché forniscono ai pazienti suggestioni negative nei fatti: da un numero limitato e preordinato di sedute (terapie brevi) ad una specie di eternità sen-za confini (psicoanalisi e psicanalisi). Ogni essere umano è un’entità unica ed è il terapeuta che deve in-teragire ed adeguarsi al paziente, non quest’ultimo all’ideologia ed alle tecniche dell’operatore. Nella prima seduta si ascoltano i problemi che il paziente riferisce, a volte sono quelli reali, nuclei isolati che causano sofferenza, altre volte spunti di inizio di un percorso che coinvolge tutta una vita. Già questa differenza non è facilmente identificabile all’inizio, per-ché non è possibile prevederla, ma solo conoscerla, un passo per volta, quando se ne constatano le componenti. Un altro elemento essenziale non riconoscibile, se non dopo alcu-ni incontri, è la reattività del soggetto, cioè la sua capacità, stimola-

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ta e guidata, di rielaborare in positivo consciamente, inconscia-mente ed emotivamente cause, correlazioni, concettualità e com-ponenti della propria sofferenza. Anche nella mia attività ho casi, abbastanza rari, che hanno richie-sto molto lavoro e tempi lunghi (massimo un centinaio di sedute in due anni) in cui è stato necessario ricostruire una vita per libe-rarla dalle concettualità e dai condizionamenti negativi introiettati o elaborati autonomamente. Per raccontare questi casi sarebbe ne-cessario scrivere un romanzo. Per questo riportiamo preferibilmente i casi risolti in breve tempo in cui è possibile ricordare e riferire quasi tutti gli elementi 1 che hanno comportato la patologia e quelli che hanno ottenuto la gua-rigione.

Il caso Monica, 35 anni, programmatrice di computer, mi racconta di ado-rare le passeggiate in montagna, ma da un po’ (non specifica da quando, ma non è importante che io lo sappia) ha paura di cadere nel vuoto, come se il vuoto la attraesse costringendola a buttarsi. Le chiedo come è iniziata la paura. Mi dice che la paura è nata du-rante una passeggiata in montagna. Il sentiero era su una scarpata profonda e con la coda dell’occhio ha come visto qualcosa che non sa identificare, che l’ha terrorizzata e di cui ha paura. Identificato, dopo dieci minuti 2 di colloquio, un primo elemento su cui lavorare, induco l’ipnosi. Reagisce bene ed in cinque minuti raggiunge uno stato di completo, piacevole rilassamento e di tran-ce profonda. La guido a rivedere con distacco, come se guardasse un filmato che non la riguarda 3 quella passeggiata.

1 Tutti è impossibile, perché il vissuto di un rapporto profondamente u-mano, come deve essere quello terapeutico, è inidentificabile in tutte le sue componenti (affettive, comportamentali, empatiche). 2 Se avessi fatto un’anamnesi psicodiagnostica classica (che non faccio mai) saremmo ancora lì e non solo avremmo perso tempo, ma avremmo anche perso definitivamente tanti spunti ed occasioni per intervenire. 3 Far rivivere vividamente in trance una situazione traumatica, come pur-troppo fanno ancora alcuni psicoterapeuti ed ipnotisti, è dannoso perché rinnova gli effetti del trauma.

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Vede se stessa che vede il vuoto che la chiama e cerca di costrin-gerla a buttarsi. La conforto e con parole auliche le dico che è una paura del cavolo, che il vuoto non ha parole e volontà, che non gliene frega niente se lei si butta o no. La faccio ridere. Ridendo della propria paura comincia a scioglierla. Mi chiede però cosa le succederebbe se le prendesse un raptus. Le spiego che il raptus è un’invenzione giornalistica per giustificare (?) l’inspiegabile, che invece è dovuto ad una lunghissima elaborazio-ne inespressa agli altri. 4 La risveglio dall’ipnosi, sonno che non è sonno. Sorride, è a suo agio, l’imbarazzo iniziale è scomparso, ed ha l’aria sollevata. In tut-to sono passati quarantacinque minuti, il tempo di ogni seduta set-timanale. 5

Lo scritto di Monica Stanca di aver paura del vuoto, cerco e trovo una Guida. Primo incontro Arrivo al primo incontro con imbarazzo e un po’ di vergogna. Non senza difficoltà spiego il motivo che mi ha spinto a chiedere aiuto e cioè la paura che mi assale mentre cammino per i sentieri di mon-tagna. Temo di risultare ridicola e di essere quindi mandata via. Ma non succede. Con poche parole racconto come circa dieci anni 6 fa ho scoperto di avere paura del vuoto. Camminavo serena per i sentieri di mon-tagna, quando ho avvertito un senso di smarrimento, un capogiro che inizialmente ho confuso per euforia. Mentre con la coda dell’occhio vedevo scorrere velocemente il panorama della vallata, dentro di me sentivo nascere un pensiero. Man mano che prose-guivamo e il sentiero si faceva sempre più stretto, il pensiero cre-

4 Chi sta maturando negli anni il suicidio od altre azioni cruente non lo racconta a nessuno. 5 Se si è agito efficacemente è più che sufficiente, se si è perso solo tempo è meglio piantarla ed aspettare una nuova occasione. 6 Ha pensato ma non ha specificato il tempo: la mia impressione è stata che si trattasse di un fatto recente, come è sempre presente ciò che fa par-te del vissuto patologico.

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sceva e diventava ansia. Superata una crepa nel terreno, l’ansia è fiorita in panico e in un attimo mi sono ritrovata a terra, avvinghia-ta alle rocce e alle sterpaglie. Le gambe non mi tenevano, tremavo e piangevo. Ero paralizzata dalla paura di muovermi. Se mi fossi mossa sarei volata giù nel “vuoto”, da cui mi sentivo paradossal-mente attratta. Non volevo più muovermi ed ero disposta a morire lì, aggrappata alla montagna. “Com’è il tuo ragazzo?” 7 mi chiede la Guida. “È una roccia.” Ri-spondo. 8 La Guida mi parla e sento le sue parole farsi largo tra i pensieri. Avverto persino un lieve solletico. Barcollante e stranita esco dallo studio e in pochi minuti sono pre-sa da un forte mal di testa. 9 Nei giorni a seguire la Guida è come se fosse dentro di me e conti-nua a “parlarmi”, riconosco le sue parole in discorsi del passato 10 e nel mondo presente che mi circonda. Secondo incontro Quando ci rivediamo racconto del giro in auto che ho fatto nei giorni successivi al nostro primo incontro. In quei giorni ho avuto l’occasione di percorrere un tratto di strada di montagna, dove qualche anno prima ero stata vittima di un attacco di panico. Per tutto il tragitto ho guardato fuori dal finestrino, cercando tra le curve e i dirupi quell’attrazione che tanto temevo. Con stupore mi sono accorta che quell’attrazione non c’era e che senza di lei man-cava anche la paura. Dov’erano finite? Com’era possibile? Non po-tevo essere guarita così in fretta. Non dopo aver trascorso oltre dieci anni ad avere paura! Spiego che la paura è solita assalirmi anche in occasione di tragitti di montagna percorsi in auto. Guidare l’auto non mi è mai piaciu-to, l’ho sempre trovata un’attività molto stancante. La Guida mi parla e di nuovo le sue parole mi raggiungono. Devo avere più fiducia in me, nelle nostre capacità. Insieme analizziamo 7 Interrompo il suo stato d’animo evocando qualcosa di piacevole e di vita-le. 8 Ci scherzo su. 9 L’elaborazione che è iniziata dentro di lei è enorme. Effetto secondario passeggero. 10 Continua autonomamente a rielaborare in positivo.

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la mia paura delle curve e quella di “volare”. Le paure, mi spiega, oltre ad impararle da soli, ci vengono insegnate da altri. Una ma-dre troppo apprensiva potrebbe avermi insegnato la paura di gui-dare. Ma la paura del vuoto? Questa attrazione per il vuoto, da co-sa può dipendere? Perché non è possibile che all’improvviso una persona sana e normale abbia voglia di “volare”. I raptus non esi-stono, tutto avviene progressivamente. “Durante l’adolescenza questi pensieri erano già comparsi”, dico. Per diverso tempo ho desiderato buttarmi giù dalla finestra di casa, ma sia la ridicola altezza da cui mi sarei lanciata (mi sarei procura-ta solo danni fisici, forse permanenti ma non letali) che l’istinto di sopravvivenza mi avevano trattenuta. In quegli anni ero molto tri-ste: la pluriennale convivenza-separata dei miei genitori e la morte di un cugino con cui ero cresciuta, mi avevano resa una persona infelice e depressa. Mio cugino, quello con cui da bambina mi lan-ciavo dall’alto del fienile nei soffici cumuli di paglia, è morto in un incidente stradale. Ad una curva l’auto ha urtato un muretto e lui è volato, per l’ultima volta, fuori dal finestrino. Per molto tempo so-no stata tormentata da un forte senso di colpa. Provo un po’ di vergogna nel raccontare questi avvenimenti e non vorrei sollevare la montagna sotto cui li ho seppelliti. Non voglio rivivere quelle sensazioni di disagio e di dolore emotivo. La Guida mi spiega che la mia sorte non deve essere quella di mio cugino e che vivere tanti anni una situazione familiare di quel tipo non è fa-cile. Vivere insieme quando non si è felici di stare insieme, si sta male e si fa del male agli altri. Inducendomi al rilassamento, mi chiede di visualizzarmi serena alla guida della mia auto, in mezzo alle curve e ai crepacci di montagna, senza provare fatica. Mi vedo felice mentre chiacchiero sorridente con il mio compagno di viag-gio. Mi chiede allora di visualizzarmi trotterellante e spensierata per i sentieri di montagna. Sorrido. Vedo mia nipote adolescente, piena di vitalità e senza paure. Esco contenta dallo studio, ma dopo pochi minuti mi ritrovo in un pianto a dirotto. È come se stessi lavando via i sensi di colpa. Ri-penso a quegli anni e cerco di ricollegare nella mia mente i tasselli dei ricordi. È faticoso ricordare, ho l’impressione di muovere dei macigni di pietra. Laggiù, sotto quel peso enorme, ritrovo me stes-sa, schiacciata dai miei pensieri, convinta di essere responsabile

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della morte di mio cugino, di non aver fatto nulla per evitarla, no-nostante i segnali premonitori dei mesi precedenti. In quei mesi avevo un sogno ricorrente: un angelo dai capelli biondi (mio cugi-no era biondo) mi guardava e mi sorrideva dall’alto del tetto di ca-sa. L’angelo mi trasmetteva amore, ma la ricorrenza del sogno mi aveva inquietata. Inoltre, qualche giorno prima dell’incidente, ero andata per gioco da una cartomante che mi aveva predetto da lì a breve un incidente stradale in cui sarebbe morta una persona a me conosciuta. Da sempre provavo per mio cugino un sentimento ambivalente. Da una parte gli ero affezionata perché eravamo cresciuti insieme e mi rispettava. Dall’altra lo invidiavo per i privilegi e le attenzioni che riceveva dagli adulti solo per essere, a mio avviso, nato ma-schio. Aveva più giochi, più soldi, più lodi e più libertà di me. Pen-savo che non si meritasse tanto. Non capivo come io potessi essere la sua cugina preferita, quella a cui confidava i segreti, e come po-tesse volermi così tanto bene. Gliene ero grata, ma ero a disagio per non riuscire a ricambiare i suoi sentimenti. Mi sentivo responsabile della sua sorte e i sensi di colpa mi schiac-ciavano. Per molto tempo ho sofferto per la sua mancanza e per il vuoto che ha lasciato. Ho soffocato quei pensieri (non mi sentivo degna di piangere la sua scomparsa), fino a quando sono esplosi, in un urlo di terrore, lassù, per i sentieri di montagna. Con il mio vuoto da una parte (l’assenza di mio cugino) e la mia montagna dall’altra (la presenza del mio compagno di sempre, che porta lo stesso nome di mio cugino). Di nuovo mi dico che non voglio più avere questi pensieri e in un attimo, come in una centrifuga, escono da me e mi sento finalmen-te libera! Arrivo a destinazione senza sapere come, il viaggio di ri-torno in auto mi ha aiutata. Sono felice. Dentro di me qualcosa sta cambiando. Sono raggiante e gli altri se ne accorgono. Nei giorni successivi mi sorprendo della serenità con cui intraprendo i viaggi in auto e da come arrivo a destinazione senza rendermene conto. Sono sorpresa della tranquillità con cui affronto i problemi sul la-voro e della quotidianità. Sono incredibilmente euforica e mi ritro-vo a piangere lacrime di gioia e a cantare. Trovo che tutto ciò che mi circonda sia meraviglioso e continuo a stupirmi di me stessa e delle cose che mi succedono. Mi sento sicura, vincente e orgoglio-

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sa. E allo stesso modo mi percepiscono gli altri. 11 Terzo incontro Raggiante raggiungo lo studio. Racconto i netti miglioramenti. “Sei guarita”, mi dice orgoglioso il Maestro. Ma io ho l’impressione che la paura del vuoto non mi abbia ancora lasciata. “Sostituisci la pa-rola paura con attenzione e prudenza”, mi suggerisce il Maestro. 12 Quando esco, la soddisfazione mi riempie e mi pervade. Sono carica e pronta a scoprire il mondo. Prima del successivo ed ultimo incontro sono riuscita a mettermi alla prova salendo più volte su una torre. 13 Pur arrivando in cima senza problemi, durante la di-scesa ho però avuto qualche incertezza. Ma, come poi ha avuto modo di sostenere il Maestro, era una fotocopia sbiadita della pau-ra della paura. Una sorta di abitudine. Quarto incontro Sempre più entusiasta arrivo in studio. Sono tornata sulla torre dove ho “trotterellato” come mi ero visualizzata in un incontro precedente. Posso toccare il cielo con un dito. Il mondo mi parla e continuo a stupirmi. Mi sento sicura e attraente. Mi sento libera di volare. Grazie!

Conclusioni Questo scritto mi è arrivato dopo due mesi dalla conclusione della terapia, e mi ha raccontato tante cose che non sapevo, perché lei fin dall’inizio immaginava che le parlassi e di parlarmi al di fuori delle sedute. Ero sicuro che fosse guarita e che la guarigione le avesse cambiato molto la vita: mi è bastato guardarla in faccia ed ascoltarla 14,

11 È stupendo come abbia quasi autonomamente ritrovato e modificato tutto. 12 Uso come metafora il suo mestiere: come fai in un programma di com-puter sostituisci questo comando. 13 La montagna era impraticabile per la neve di quest’inverno. La torre de-gli Asinelli, altissima, è vuota dentro con una vecchia scricchiolante scala di legno che gira attorno alle pareti. 14 Non tanto le parole quanto tutto l’atteggiamento.

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d’altra parte liberarsi di un macigno pesante e complesso, fatto di conflitti, sensi di colpa e paure non può non cambiare tutta la vita. Quando ero molto più giovane ad ogni successo pensavo fosse tut-to merito mio, e mi gonfiavo anche se umilmente d’orgoglio, inve-ce il merito è dovuto soprattutto ai pazienti. Lei è stata bravissima. Un caso apparentemente simile 15 può ri-chiedere anche un lavoro lungo Ho imparato il mio mestiere principalmente da loro 16 avendo sempre come obiettivo la loro guarigione. Io ho fatto bene il mio mestiere. Il valore dell’Allievo ed il valore del Maestro si esaltano a vicenda. Mi è piaciuto molto essere chiamato Guida, in effetti noi intra-prendiamo un ricerca in un territorio sconosciuto per risolvere gli effetti, stimolare e risvegliare le risorse e solo a volte identificare le cause, poiché tutti i rapporti mentali e fisici sono interattivi: la so-luzione della patologia spesso ne elimina completamente le radici, senza la necessità di conoscerle consciamente. Alla conclusione sono passato di grado: Maestro.

NOTA È incredibile come la medicina pratica (chirurgia, diagnostica, ec-cetera) si evolva rendendo spesso obsolete e ridicole tecniche vali-de solo un anno prima. Ma è ancora più incredibile ed assurdo come la psicoterapia sia ancora condizionata spesso da ideologie, tecniche ed atteggiamen-ti ottocenteschi, a volte più dannosi che inutili. In alcuni casi di va-lore mai comprovato clinicamente, cioè dai risultati pratici. Come in tutte le terapie solo i risultati devono essere il nostro termine di confronto.

15 Non esistono due casi simili, l’eventuale somiglianza è solo negli effetti. 16 Poi dai libri di M.H. Erickson. Dai pochi maestri in carne ed ossa ho im-parato l’esatto contrario di ciò che insegnavano, cioè a non ripetere i loro errori.

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Riccardo Arone di Bertolino LIBERA DI VOLARE

Parole chiave: vertigini, paura del vuoto, panico, suicidio, raptus.

RIASSUNTO

La psicoterapia deve avere come unico obiettivo la guarigione del pazien-te, modificando concettualità e vissuti emotivi che causano sofferenza. Non è possibile stabilirne a priori la durata, perché dipende da elementi che emergono di volta in volta e dalla reattività del soggetto. A volte occor-rono tempi abbastanza lunghi. I successi sono in larga misura da attribuire ai pazienti e alla loro capacità di elaborazione. Si riporta un caso risolto in sole quattro sedute. La paziente stessa raccon-ta con soddisfazione e sorpresa come, con la guida dello psicoterapeuta, abbia brillantemente superato la paura del vuoto (problema che l’aveva portata in terapia), ma non solo: gli effetti dell’elaborazione profonda da lei compiuta si sono estesi ad ogni aspetto della sua vita dandole un be-nessere generale. L’elaborazione è stata innescata dalle sedute e portata avanti autonomamente da lei, in un dialogo immaginario con lo psicote-rapeuta.

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Riccardo Arone di Bertolino FREE TO FLYING

Key words: Dizziness, fear of void, panic, suicide, raptus.

SUMMARY Patient's recovery should be the unique aim of psychotherapy, by modi-fying concepts and emotional experiences which cause suffering. It is im-possible to define a priori the lenght of a psychotherapy, because it de-pends both on factors which come out each time and on patient's reacti-vity. Sometimes a long time is necessary. Successes are especially due to patients and their capacity of working-through. A case solved in four ses-sions is reported. The patient tells with satisfaction and surprise how, un-der the direction of the psychotherapist, she succesfully overcame the fear of void (the problem that brought her to therapy) but non only: the effects of the deep working-through spread to all aspects of her life, giving her a general well being. Working-through, triggered by the sessions, was inde-pendently led by herself, in an imaginary dialogue with the psychothera-pist. L’Autore Dr. Riccardo Arone di Bertolino Presidente della Società Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi Via Porrettana 466 - 40033 CASALECCHIO di RENO BO

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CONTRIBUTI TEORICI

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Ugo Corrieri

CHRONIC CARE MODEL ED INTENSITÀ DI CURE: UN MODELLO DI CURA DEL SERT

BASATO SULLE EVIDENZE

Parole chiave: Chronic Care Model, Intensità di Cure, SerT, dipen-denze patologiche, modello di cura, empowerment, auto-cura, processi terapeutici evolutivi.

La dipendenza come malattia cronica recidivante Secondo una famosa (e datata) definizione della Organizzazione Mondiale della Sanità, la tossicodipendenza è una “malattia croni-ca recidivante”: espressione che indubbiamente ebbe la grande importanza di liberare la terapia delle dipendenze da visioni mora-listiche e “punitive” e permise di poter affrontare laicamente il trat-tamento medico delle condizioni di “addiction”, ma che allo stesso tempo costrinse e per certi versi tuttora costringe un fenomeno umano altamente complesso quale quello delle dipendenze, da sostanze e comportamentali, dentro una cornice, troppo angusta e limitativa, costituita dal riduzionismo medico e dalla linearità di una concezione etiologica causa-effetto. Il concetto stesso di “cro-nico recidivante” può inoltre di per sé indurre gli operatori, tenuti come servizio pubblico a dare sempre una risposta e non di rado carenti nella formazione a metodiche interattive evolutive, a consi-derare i pazienti dipendenti come portatori di una patologia “in-guaribile” o comunque caratterizzata da elevatissima tendenza alla

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cronicizzazione ed a mettere in atto modalità assistenziali e rela-zionali idonee ad una patologia cronica permanente le quali, in base al fenomeno della “previsione che si avvera”, possono tende-re di per sé a favorire quello scenario di cronicità per il quale ven-gono pensate e proposte come le più adatte. In altre parole, una definizione di patologia cronica, coniata alcuni decenni or sono per condivisibili scopi di emancipazione da una gogna morale e poi ripresa dai moderni sistemi classificativi (DSM), paradossal-mente può anche contribuire a favorire una “cronicizzazione iatro-gena” degli utenti ed è oggetto della critica costruttiva di moltepli-ci autori i quali, come il sottoscritto, realizzano la terapia delle condizioni di dipendenza patologica nell’ottica di concrete possibi-lità di miglioramento e di guarigione.

Il “Chronic Care Model”

Com’è noto, il Chonic Care Model (CCM) è un modello di assi-stenza medica dei pazienti affetti da malattie croniche sviluppato dal professor Wagner e dai suoi colleghi del McColl Institute for Healthcare Innovation, in California, alla fine del secolo scorso. Il modello propone una serie di cambiamenti a livello dei sistemi sa-nitari per favorire il miglioramento della condizione dei pazienti cronici e suggerisce un approccio “proattivo” del personale sanita-rio ai pazienti stessi, con questi ultimi che diventano parte inte-grante del processo terapeutico-assistenziale. Il ‘Chronic Care Model’ del gruppo del McColl Institute è caratte-rizzato da sei elementi fondamentali: 1) le risorse della comunità; 2) le organizzazioni sanitarie; 3) il supporto all’autocura; 4) l’organizzazione del team; 5) il supporto alle decisioni; 6) i sistemi informativi per tentare di valutarne la fattibilità di applicazione allo specifico contesto nazionale. Oltre ad enfatizzare la promozione della salute per tutta la popola-zione sana, si basa sulla stratificazione della popolazione portatrice di problemi di salute in tre livelli di necessità assistenziali correlati ad altrettanti livelli di rischio, cui si ritiene di dover far fronte con tre approcci distinti: 1) al livello inferiore, il cosiddetto “supported self-care” (traducibile come “autogestione guidata”), che dovrebbe

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riguardare all’incirca il 70-80% dei pazienti, tutti quelli a basso ri-schio di scompenso; 2) nel livello intermedio, il “disease specific care management”, che dovrebbe riguardare all’incirca il 15-20% della popolazione, quella ad alto rischio di scompenso ed attuare nei confronti di tali pazienti il “management specialistico della ma-lattia”; 3) in cima alla piramide dei pazienti, il “case management” in senso stretto, che dovrebbe riguardare all’incirca il 2-3% della popolazione, cioè quei pazienti con condizioni altamente com-plesse che devono essere oggetto di più interventi terapeutici spe-cialistici, per coordinare i quali è per l’appunto previsto un “Case Manager” dedicato, di solito un infermiere. Il “Case Manager”, co-me recita anche il Piano Sanitario Regionale 2008-2010 della Re-gione Toscana (alla voce 5.6.2.1 “Salute Mentale”), “è il responsa-bile dei processi di cura, che segue le diverse fasi del progetto te-rapeutico-riabilitativo ed ha il compito di garantire modalità opera-tive idonee ad assicurare la continuità assistenziale, l’apporto inte-grato delle varie professionalità e l’attivazione dei servizi socio-sanitari previsti”. Al di sotto di questa piramide di pazienti si trova poi la più ampia base dei cittadini che sono esposti ai fattori di rischio e nei con-fronti dei quali vengono effettuati interventi di promozione della salute. Il modello del CCM del professor Wagner risulta quanto mai utile dal momento che sostituisce il paradigma dell’attesa dell’evento acuto (la malattia, lo scompenso) con un approccio proattivo, im-prontato al paradigma preventivo dell’evitamento o del rinvio nel tempo della progressione della malattia ed ha già dimostrato, in studi di metanalisi, evidenti benefici in termini di outcome clinici, di processi di cura e di qualità della vita dei pazienti. Ha quindi già ispirato una radicale revisione del modello di assistenza sociosani-taria britannico e appare destinato ad ispirare l’organizzazione dell’offerta assistenziale anche del nostro Paese nei prossimi de-cenni. Occorre sottolineare che i principali punti di forza risiedono nella valorizzazione delle risorse (in inglese: “empowerment”) del paziente e della comunità e nella qualificazione del team assisten-ziale sociosanitario nella logica dell’approccio proattivo.

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Carichi di lavoro e modelli assistenziali SerT In base ai dati del Sistema Informativo Regionale sulle Tossicodi-pendenze (SIRT), presso la Unità Funzionale Dipendenze Area Grossetana, di cui sono responsabile, si sono avuti nell’anno 2007 526 utenti in carico, 458 dei quali per trattamenti con farmaci so-stitutivi (metadone e buprenorfina) e 68 per problemi di alcol di-pendenza, ai quali si sono aggiunti, prevalentemente in estate, 118 utenti in carico ad altri servizi ma appoggiati in terapia presso di noi. In totale in quell’anno si sono avuti oltre 1.000 contatti (com-prendendo anche le visite per patenti di guida, i colloqui su invio della Prefettura, le consulenze varie). Tutto ciò, a fronte di 2 diri-genti medici e 3 dirigenti psicologi, coadiuvati nel team multidi-sciplinare da 4 infermieri, un educatore, un assistente sociale, un sociologo ed un amministrativo. Considerando solamente i casi in carico terapeutico, ogni medico ha seguito oltre 300 pazienti ed oltre 200 ogni dirigente psicologo. La proporzione è variata di po-co nel 2008, quando da una parte si è avuto un aumento dell’utenza, con 560 utenti in carico (di cui 487 con terapia sosti-tutiva, 67 per alcol dipendenza e 6 per gioco d’azzardo patologico, questi ultimi in terapia familiare con il sottoscritto), con aggiunta di 90 utenti appoggiati in terapia ed un numero totale di circa 900 contatti; dall’altra, si è avuto l’aumento di una unità medica a par-tire dal mese di maggio, col mio arrivo che, come responsabile ad-detto alle molteplici funzioni organizzative, posso utilizzare me stesso per attività cliniche realisticamente non oltre il 50% del tempo. Il confronto tra i numeri chiarisce con evidenza come sia irrealisti-co un modello terapeutico unico, che attribuisca aprioristicamente ad ogni utente un Case Manager quale responsabile dei processi di cura: “che segua le diverse fasi del progetto terapeutico-riabilitativo e che garantisca la continuità assistenziale, l’integrazione delle varie professionalità, la specifica attivazione dei servizi socio-sanitari”. Ciò sia perché il Case Manager, come emer-ge chiaramente dal Chronic Care Model, è concepito solo per quella fascia di pazienti, altamente complessi e bisognosi di molte-plici interventi specialistici, che rappresenta una piccola propor-zione del totale, sia perché caricare indiscriminatamente ogni ope-

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ratore di una funzione talmente complessa nei confronti di tutti i pazienti -nel nostro caso centinaia di utenti per ogni operatore- fi-nirebbe col non far svolgere un effettivo “Case Management” nei confronti di alcuno. Come conseguenza si impone quindi quella di procedere a decodi-ficare la domanda mediante un “triage” che indirizzi l’utenza verso percorsi assistenziali distinti a seconda dei differenti bisogni dell’utenza medesima. La concezione di questi percorsi e la dimo-strazione della loro efficacia non debbono essere ovviamente arbi-trarie bensì basate su prove di evidenza.

Chronic Care Model e Intensità di Cure nel sistema assistenziale SerT

Come abbiamo già visto, il Chronic Care Model ci fornisce un mo-dello di intervento territoriale, su grandi numeri di utenza caratte-rizzati da patologia cronica, già ampiamente validato da prove ba-sate sull’evidenza. La maggior parte dei pazienti, l’80% circa dell’utenza, quella a basso rischio di scompenso, viene indirizzata verso l’autocura, valorizzando le risorse delle persone, delle loro famiglie e della comunità e rendendo possibile un’assistenza so-ciosanitaria efficace nei confronti di grandi numeri di popolazione, a fronte di una inevitabile limitazione degli operatori sociosanitari. Assieme a questi indubbi punti di forza il CCM presenta tuttavia, nei confronti delle dipendenze patologiche, una specifica criticità, anch’essa già menzionata: l’incompletezza del modello della pato-logia cronica di fronte a un fenomeno umano complesso quale quello dell’addiction (dipendenza patologica). Questo difetto può essere mitigato prendendo a prestito qualche elemento da un altro modello, concepito per il campo ospedalie-ro, che sta prendendo piede al momento presente e cioè quello dell’Ospedale per Intensità di Cure. Com’è noto, anche questo modello si basa sull’imperativo sociale della qualità delle cure, sul-la realtà delle risorse stabili o calanti e sulla necessità di un utilizzo efficiente delle risorse stesse in un’ottica di sostenibilità del siste-ma. Si realizza mediante la strutturazione delle attività in aree dif-ferenziate su 3 livelli di alta, media e bassa intensità di cure. Nei

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dettagli questi 3 livelli si applicano alla degenza ospedaliera ma da un punto di vista di logica generale possono fornire un contributo importante anche ad una assistenza territoriale mediante i concet-ti, a loro intrinseci, di evolutività e di tendenza al passaggio, per ogni caso clinico, anche il più critico che partisse dalla necessità di un’alta intensità di cure, verso una successiva intensità media e quindi verso un’area di bassa intensità di cure, per procedere infi-ne auspicabilmente verso processi di autocura e verso il ritorno all’equilibrio ed alla salute. In altri termini, sul piano puramente generale il Modello per In-tensità di Cure si basa anch’esso su 3 livelli di differenziazione co-me il Chronic Care Model ma, diversamente da esso, possiede una intrinseca evolutività verso il miglioramento e la guarigione: quan-to mai auspicabile nel campo delle dipendenze. Possiamo quindi opportunamente concepire, per l’attività della U.F. Dipendenze, un modello costituito dal CCM, modificato dal contributo evolutivo dell’Intensità di Cure, che preveda 3 fasce di utenza e di risposte terapeutico-assistenziali. Iniziamo dal livello dell’alta intensità, che corrisponde al “Case Management” per i pazienti altamente complessi. Si tratta di pa-zienti che, secondo la definizione del CCM, sviluppano più di una seria condizione (co-morbidità) e nel nostro caso possono identifi-carsi in pazienti affetto da dipendenza e contemporaneamente da gravi problemi organici, con seri problemi carcerari, con figli mi-nori a rischio di trascuratezza ed abbandono e così via, il cui trat-tamento è divenuto estremamente complesso e difficile e che ne-cessitano di un Manager del Caso, di solito un infermiere, respon-sabile dei processi di cura, che “tiri le fila” di tutto ciò. Da una prima analisi dei casi in carico al nostro Servizio, sono stati censiti 21 utenti multiproblematici, corrispondenti a circa il 3,5 % del to-tale dell’utenza in carico: perfettamente in linea con il 2-3 % circa ipotizzato dal CCM. Ad ognuno di tali utenti verrà attribuito un Ca-se Manager, nella persona di un infermiere del Servizio, e tali casi verranno supervisionati con periodica regolarità nelle riunioni di Servizio. Al secondo livello, quello del “Disease Management”, verranno at-tribuiti quegli utenti che necessitano di cure di alta qualità, di in-tensità “media”, da parte dell’equipe multiprofessionale del SerT.

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Si tratta di pazienti ad alto rischio, anche se non multiproblemati-ci, per i quali non si rende necessario un Case Manager e che quindi verranno attribuiti come normali pazienti ambulatoriali ai singoli dirigenti medici e psicologici, in un contesto di terapia for-nita in modo integrato da parte del team multiprofessionale. Il Chronic Care Model prevede che questa classe di pazienti rappre-senti circa il 15-20 % del totale. Se così fosse, nel caso del nostro SerT si tratterebbe di circa 150-180 pazienti complessivi: un carico di utenti accettabile per prestazioni di media intensità di cure da parte dei professionisti e dei team (psicoterapie, terapie farmaco-logiche integrate, programmi terapeutico-riabilitativi individualiz-zati e quant’altro). Al terzo livello, quello della bassa intensità e del supporto all’autocura, verranno infine attribuiti tutti quei pazienti, in accor-do con il CCM “a basso rischio di scompenso”, i quali - in equili-brio dinamico con le altre due classi di utenti - potranno attiva-mente partecipare alla propria cura, diventando attivi protagonisti, sia nel senso di promuovere l’auto-cura, sia nel senso di prevenire possibili complicanze, sia soprattutto nel senso di sviluppare le ri-sorse della propria persona e del proprio entourage familiare e so-ciale, sviluppando circoli virtuosi che convergano verso il recupero della salute e il ritorno a quelle condizioni di appartenenza alla popolazione generale, esposta ai fattori di rischio ma non più bi-sognosa di assistenza. Il CCM prevede che costituiscano il 70-80% del totale dei pazienti. Riguardo agli utenti in carico al SerT, potranno fare parte di questa classe la gran parte dei pazienti stabilizzati che sono in terapia di mantenimento con farmaci sostitutivi, così come coloro i quali vengano indirizzati alla partecipazione a gruppi, anche multifami-liari, di supporto e terapia, a gruppi di auto-mutuo-aiuto e ad in-terventi da parte delle Associazioni di Volontariato che collaborano col SerT. Ognuno di loro verrà in ogni caso attribuito al singolo dirigente medico e psicologo come utente in normale carico am-bulatoriale, sia pure nella fascia dei pazienti stabilizzati ed attivi protagonisti dei loro percorsi verso il benessere. Ovviamente l’attribuzione alle tre classi va concepita in maniera assolutamente dinamica, associandola alla necessità della rivaluta-zione periodica delle condizioni cliniche di ogni paziente. A tal fi-

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ne occorre tenere presente che per ogni utente in carico al SerT è prevista la rivalutazione obbligatoria del caso come minimo ogni 90 giorni: durata massima di validità del piano terapeutico indivi-dualizzato. Per effettuare l’attribuzione a una classe di utenti, ogni singolo ca-so sarà rivalutato dal dirigente responsabile, con l’apporto dell’equipe multiprofessionale e con la supervisione del sottoscrit-to. Prevediamo che l’attribuzione alle 3 classi possa essere comple-tata entro il corrente anno 2009 in contemporanea alla effettua-zione di altri processi di revisione critica delle modalità terapeuti-co-assistenziali: stiamo ad esempio completando la revisione delle modalità di affido dei farmaci sostitutivi, utilizzando anche il con-tributo di linee-guida recentemente licenziate dalla Regione Emilia-Romagna. A fine anno potremo quindi avere le idee più chiare ri-guardo alla concreta applicabilità del modello CCM modificato, co-sì come riguardo alla reale distribuzione percentuale dei pazienti nelle tre classi.

Conclusione La complessità dei fenomeni delle dipendenze patologiche si in-contra con l’esigenza di nuovi modelli organizzativi che tengano necessariamente conto del bisogno di coniugare la qualità ed effi-cacia delle cure, dimostrata ogni volta che sia possibile dalle evi-denze, con la limitatezza e l’uso efficace delle risorse e con la utili-tà di politiche sanitarie che sviluppino l’empowerment delle per-sone e della rete sociale, promuovendo indispensabili processi di autocura: che si fondano sulla concezione sistemica della comuni-tà. Il Chronic Care Model, modificato con spunti evolutivi tratti dal Modello per Intensità di Cure, può fornire un valido contributo per l’organizzazione di un moderno modello terapeutico assisten-ziale dei Servizi per le Dipendenze, da sostanze e comportamenta-li, tenendo contro soprattutto del numero elevato e della frequen-te lunga persistenza in carico degli utenti di fronte alle moderate risorse disponibili e della conseguente necessità di rivedere e diffe-renziare la calibrazione degli interventi, sinora spesso fondati sul

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modello unico del progetto terapeutico individualizzato attuato dai team multiprofessionali sotto la responsabilità di un Case Manager: modello quanto mai valido ed insostituibile limitatamen-te ai casi multiproblematici ad alta complessità ma inattuabile in modo generalizzato. In aggiunta, un possibile vantaggio collaterale di un siffatto model-lo differenziato può essere quello di permettere agli operatori di effettuare una maggiore distinzione delle proprie attività assisten-ziali, prendendo le distanze da un possibile clima di “inseguimento continuo di ogni fenomeno emergente” che, in assenza di oppor-tuni organizzatori, può arrivare talora a costituire un impercettibi-le, quanto disturbante “retropensiero” dell’attività quotidiana. In ogni caso, la stratificazione degli utenti in tre livelli di bisogni e necessità assistenziali, correlati ad altrettanti livelli di rischio e di intensità di cure, costituisce non solo e non tanto una semplifica-zione e razionalizzazione degli interventi, ma anche e soprattutto una nuova concezione dinamica del lavoro dell’équipe multipro-fessionale SerT e dei percorsi terapeutici compiuti dagli utenti, percorsi che sono concepiti come dinamicamente evolutivi e ten-denti al cambiamento, al progresso verso l’autocura ed alla parte-cipazione attiva degli utenti ai processi di miglioramento e di gua-rigione. Si prevede che il nuovo modello organizzativo, attualmente discus-so e condiviso da tutto il personale, venga applicato alla Unità Funzionale Dipendenze Area Grossetana entro il corrente anno 2009 e sia sottoposto innanzitutto a un processo di verifica e quin-di di discussione e confronto con le altre UU.FF. SerT regionali.

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Ugo Corrieri CHRONIC CARE MODEL ED INTENSITÀ DI CURE: UN MODELLO DI

CURA DEL SERT BASATO SULLE EVIDENZE

Parole chiave: Chronic Care Model, Intensità di Cure, SerT, dipendenze patologiche, modello di cura, empowerment, auto-cura, processi terapeu-tici evolutivi.

RIASSNTO La complessità dei fenomeni delle dipendenze patologiche si incontra oggi con l’esigenza di nuovi modelli organizzativi che tengano conto della qua-lità delle cure, della limitatezza delle risorse e dell’utilità di politiche sani-tarie che sviluppino l’empowerment delle persone e della comunità. Il Chonic Care Model, basato sulle evidenze ed arricchito con spunti evo-lutivi tratti dal Modello per Intensità di Cure, può fornire un valido aiuto per organizzare un moderno modello terapeutico-assistenziale dei Servizi per le Dipendenze (SerT) che differenzi gli interventi in 3 fasce: 1) livello dell’alta intensità, per pazienti altamente complessi con co-morbidità mul-tiple, circa il 3% dell’utenza, ad ognuno dei quali attribuire un “Case Ma-nager” 2) livello del “Disease Management”, per utenti a rischio di scom-penso, circa il 15-20%, che necessitino di cure di intensità media; 3) livello della bassa intensità di cure e del supporto all’autocura, per i pazienti a basso rischio di scompenso, circa il 70-80% degli utenti in carico. L’attribuzione alle tre classi va concepita in maniera dinamica, con perio-dica rivalutazione di ogni paziente (come minimo ogni 90 giorni, durata massima di validità del piano terapeutico individuale). Con questo modello l’autore propone una nuova concezione del lavoro dell’equipe multidisciplinare del SerT e dei percorsi terapeutici degli uten-ti, concepiti come evolutivi e tendenti al cambiamento, all’autocura ed alla partecipazione attiva degli utenti ai processi di miglioramento e di guari-gione.

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Ugo Corrieri CHRONIC CARE MODEL AND INTENSITY OF CARE: AN EVIDENCE-

BASED SERT’S CARE MODEL Keywords: Chronic Care Model, Intensity of Care, SerT, addiction, model of care, empowerment, self-care, evolutionary therapeutic processes.

SUMMARY

The complexity of addiction meets today with the need for new organiza-tional models that take into account the quality of care, the limited re-sources and usefulness of health policies that emphasize the empower-ment of individuals and community. The Evidence-Based Chonic Care Model, enriched with some evolutionary ideas derived from the Model of the Intensity of Care, can help to organize a modern model of care at Addiction Services (SerT) within three levels of treatment: 1) the level of high intensity of care, for highly complex pa-tients with multiple co-morbidities, about 3% of patients, each of whom is given a "Case Manager" 2) the level of "Disease Management", for patients at risk of decompensation, approximately 15-20 % of patients, that need average intensity of care; 3) the level of low intensity of care and support to self-care, for patients at low risk of failure, about 70-80% of patients. The allocation of patients in these three groups should be seen in a dyna-mic way, with regular reassessment of each patient (at least every 90 days, the maximum period of validity of the individual therapeutic project). With this model the author proposes a new conception of the work of the SerT multidisciplinary team and of the therapeutic pathways of patients, which are seen as evolutionary and prone to change, to self-care and to the active participation of patients in the processes of improvement and healing. L’Autore Dr. Ugo Corrieri medico psichiatra psicoterapeuta, Docente S.M.I.P.I. Responsabile U.F. Dipendenze Area Grossetana, AUSL 9 di Grosseto Via Monte Labro 5/M, 58100 Grosseto Tel: 328 2886452 Email: [email protected]

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LAVORI ORIGINALI

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Elena Bellodi 1

VITILIGINE: LA PELLE E LE EMOZIONI

“Non si vede bene che col cuore. L’essenziale é invisibile agli occhi.”

Il piccolo principe. Antoine de Saint-Exupéry

Parole chiave: cute, psiche, emozione, intelligenza emotiva.

La vitiligine

La tematica “vitiligine” mi vede coinvolta su due piani: personale e professionale. Dal punto di vista personale quando ho conosciuto la vitiligine non sapevo nulla di lei. Si é presentata all’improvviso e da quel momento ho scoperto una nuova dimensione. La vitiligine voleva da me molte attenzioni. E devo dire che all’inizio gliene ho date tante. Volevo dare un senso a questa “malattia” (così la chiamavo allora) volevo “interpretarla”, capire perché era comparsa e avere consigli per meglio tollerare i “disagi” che mi causava. All’inizio non mi interessava la cura, ma il “perché” della malattia. La vitiligine era per me un’entità sconosciuta, inesplicabile soprat-tutto per due motivi: non era controllabile e mi sentivo minacciata,

1 Relatrice invitata al XVII Congresso Nazionale AIDA (Associazione Italiana Dermatologi Ambulatoriali), 1-4 ottobre 2008, Palazzo dei Congressi di Riccione.

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da qui lo sconforto. Come tanti pazienti ho voluto sapere cosa era la “vitiligine” e ho trovato varie definizioni che in generale possiamo riassumere in: “La vitiligine é una malattia che causa la formazione di chiazze bianche sulla cute, queste si creano perché viene distrutta la cellula che produce la melanina, il MELANOCITA. Colpisce l’1% della popolazione mondiale senza significative differenze di sesso e razza. Le zone decolorate sono bianche con un bordo netto e possono insorgere in qualunque distretto cutaneo, anche se si nota una certa prevalenza di alcune aree come le mani, il viso, i genitali. Solitamente le chiazze insorgono su ambedue le metà corporee distribuendosi bilateralmente, tuttavia anche questa é una caratteristica frequente, ma non obbligatoria”. (GISV). Accanto alle definizioni ho cominciato a leggerne le cause, il cosiddetto “fattore scatenante”. E qui si é aperto per me un aspetto ancora più interessante che mi ha portato a fare altre ricerche e mi ha condotto alla fine ad occu-parmi dei pazienti affetti di vitiligine da un punto di vista “emoti-vo” trasformando ciò che all’inizio era per me una malattia in una risorsa. Ma torniamo alle cause. Tra i fattori scatenanti ho trovato:

· farmaci, · alterazioni ormonali, · stress emotivi, · traumi psichici, · forti emozioni, · conflitti psicologici.

Da qui ho cominciato a ipotizzare che le emozioni, lo stress e i conflitti psicologici di fondo influenzano la determinazione dell’esordio della vitiligine e l’andamento del suo decorso nei soggetti predisposti. Inoltre é vero anche il contrario e cioé che la vitiligine può creare disagi a livello emotivo, comportamentale e psicologico come la dismorfofobia (dal greco dis – morphé, forma distorta e phobos = timore) cioé la fobia che nasce da una visione distorta che si ha del proprio aspetto, causata da un’eccessiva preoccupazione della propria esteriorità.

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In definitiva la vitiligine é uno dei disturbi dermatologici le cui manifestazioni possono causare maggiore allarme e marcati problemi psicologici nei pazienti, come possiamo constatare anche nelle risposte date dai pazienti stessi alle domande del test dermatologico di ingresso nel sito del GISV. Non dobbiamo poi dimenticare la componente mentale, a volte psicosomatica, ma in diversi casi una vera e propria sindrome da conversione che, in molti casi la rende funzionale e risparmia al paziente possibili turbe psichiche gravi. Inconsciamente, sceglie il male minore: meglio una bella vitiligine al posto di una brutta depressione. Ricordiamo che cute e psiche, entrambe originate nell’embrione dallo stesso foglietto, l’ectoderma, sono le due facce della stessa medaglia. La pelle e il sistema nervoso sono quindi in stretta connessione, ma non solo. Oggi sappiamo che una specifica branca della medicina, la psiconeuroimmunologia, studia appunto le interazioni tra psiche, sistema nervoso, sistema immunitario e cute. Anche la vitiligine potrebbe rientrare tra le malattie cutanee causa-te da un’alterazione del delicato equilibrio tra questi elementi con-siderati strettamente interdipendenti. Nel 1981 R. Ader pubblicò il volume “Psychoneuroimmunology” sancendo definitivamente la nascita dell’omonima disciplina. (Ader et al., Psychoneuroimmunology, seconda edizione, San Diego, Academic Press, 1990). L’implicazione fondamentale riguarda l’unitarietà dell’organismo umano, la sua unità psicobiologica non più postulata sulla base di convinzioni filosofiche o empirismi terapeutici, ma frutto della scoperta che comparti così diversi dell’organismo umano funzionano con le stesse sostanze: le molecole che, come le ha definite lo psichiatra P. Pancheri, costituiscono “le parole, le frasi della comunicazione tra cervello e resto del corpo” (P.Pancheri, Stress, emozioni e malattia, Mondadori, MIlano 1980). Tali molecole, i neuropeptidi, vengono prodotte dai tre principali sistemi dell’organismo (nervoso, endocrino, immunitario). Da un punto di vista psicologico la grande scoperta di Ader in definitiva era che anche il sistema immunitario, proprio come il cervello, era capace di apprendere.

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Questo risultato fu uno shock: fino ad allora, uno dei principali insegnamenti della medicina era stato che solo il cervello e il si-stema nervoso centrale erano in grado di rispondere all’esperienza modificando il proprio comportamento. La scoperta di Ader aprì la strada alla ricerca sui diversi modi (numerosissimi), attraverso i quali il sistema nervoso centrale e il sistema immunitario comunicano fra loro, in altre parole aprì la strada allo studio delle vie biologiche che rendono la mente, le emozioni e il corpo entità non separate, ma intimamente interconnesse. Il sistema endocrino, così come il sistema nervoso vegetativo, è sensibile a situazioni e stimoli emozionali stressanti non solo di tipo fisico o psicofisico, ma anche di natura puramente emozionale. Ma che cosa é un’emozione? Secondo Galimberti l’emozione é “la reazione affettiva intensa con insorgenza acuta e di breve durata determinata da uno stimolo ambientale” (U.Galimberti, Dizionario di Psicologia, Utet, 2006). Goleman riferisce il termine emozione a “un sentimento e ai pensieri, alle condizioni psicologiche e biologiche che lo contraddistinguono, nonché a una serie di propensioni ad agire”. (D. Goleman, Intelligenza emotiva, diciottesima edizione, Milano, BUR Psicologia e Società, 2007). Sappiamo che esistono centinaia di emozioni e le parole che disponiamo sono insufficienti a significare ogni sottile variazione emotiva. I ricercatori definiscono emozioni primarie: collera, tristezza, paura, gioia, amore, sorpresa, disgusto, vergogna. Da ciascuna di queste emozioni derivano: · gli umori o stati d’animo (più attenuati e durevoli delle emozioni); · i temperamenti ossia la propensione a evocare una certa emozione o umore che rende le persone malinconiche, timide o allegre; · i disturbi delle emozioni: depressione e ansia (stato di alterazione costante); fobie, disfunzioni sessuali senza cause fisiologiche, manie, insonnia, disturbi psicosomatici. Per molti anni il ruolo del sentimento nella vita mentale é stato sorprendentemente trascurato dalla ricerca e le emozioni sono

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rimaste un continente in gran parte inesplorato anche dalla psicologia scientifica. Oggi sappiamo che esistono due menti, una che pensa e l’altra che sente. La mente razionale é la modalità 2 di comprensione della quale siamo solitamente coscienti: dominante nella consapevolezza e nella riflessione, capace di ponderare e di riflettere, ma accanto ad essa c’è un altro sistema di conoscenza impulsiva e potente, anche se a volte illogica, c’è la mente emozionale, la cosiddetta intelli-genza emotiva. La dicotomia emozionale/razionale é simile alla popolare distinzione cuore/mente. Non dimentichiamo che l’amigdala é specializzata nelle questioni emozionali: se viene resecata dal resto del cervello il risultato é un’incapacità di valutare il significato emozionale degli eventi (cecità affettiva). Ma se le emozioni hanno un ruolo così fondamentale per il benessere psico-fisico della persona al punto tale che possono essere il fattore scatenante della vitiligine (e di tante patologie) mi sono chiesta che cosa avrei potuto cambiare, come avrei potuto sviluppare la mia intelligenza emotiva e che cosa mi avrebbe potuto aiutare. La mia vitiligine era al sicuro da un punto di vista medico, ma volevo che lo fosse anche sul versante psicologico. Lo sviluppo dell’intelligenza emotiva comporta: – autoconsapevolezza emozionale; – controllo delle emozioni; – indirizzare le emozioni in senso produttivo; – empatia: leggere le emozioni; – gestire i rapporti. Si tratta di una sorta di alfabetizzazione emozionale che dovremmo apprendere fin da bambini e insegnare ai bambini accanto alle materie tradizionali. In seguito ho fatto una ricerca per capire quali erano le cure che venivano proposte ai pazienti con vitiligine:

- terapie mediche, - terapie chirurgiche,

2 A cui siamo stati prevalentemente allenati nella nostra formazione cultu-rale. (R.A. di B.)

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- fototerapia, - terapie naturali, - terapie alternative, - terapie topiche, - terapie sistemiche, - terapie biologiche, - camouflage.

Accanto a tutte queste proposte purtroppo sono molto rare le proposte di tipo psicologico e psicoterapeutico.

Conclusioni Ma se la vitiligine rientra fra quelle che vengono definite patologie da stress la mia proposta come paziente e come terapeuta é quella di creare e offrire al paziente un “tempo” dell’ascolto per capire quali sono i suoi problemi e quali risposte sta cercando. Ritengo che aiutare le persone a gestire meglio le emozioni é una forma di prevenzione che può portare loro dei grandi benefici in quanto le esigenze psicologiche divengono oggetto di cura insieme a quelle strettamente fisiche. Credo quindi sia utile ai fini medici prestare attenzione alle esigenze emotive dei pazienti, perché queste stesse emozioni hanno un importante peso clinico. Uno studio ha constatato che quando i pazienti si trovano nella sala d’aspetto del medico hanno in media tre o più domande da porgli. Ma quando lasciano l’ambulatorio, di quelle domande, in media, solo una e mezzo ha trovato risposta. E le domande lasciate senza risposta alimentano l’incertezza, la paura, la tendenza ad avere cattivi pensieri. E infine portano i pazienti a rifiutare di proseguire cure che non comprendono completamente. Sarebbe interessante quindi, a mio avviso, che l’approccio terapeutico potesse sfruttare una pluralità di interventi che favoriscano il ripristino della comunicazione equilibrata tra i sistemi (nervoso, immunitario ed endocrino). Infine vorrei sottolineare l’importanza che può avere in questo contesto per i pazienti non solo l’ascolto e quindi l’espressione del proprio sentire, ma, con l’aiuto di un esperto, anche il poter

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pensare, riflettere, conoscere, consapevolizzare le proprie emozioni e, di conseguenza, imparare a gestirle dando loro voce e liberandole da quei blocchi che il paziente si é creato. A questo proposito alcune tecniche o modalità di intervento psicofisiche potrebbero essere: · counselling: intervento di sviluppo, mirato all’evoluzione sia verso una maggiore autoconsapevolezza e autodeterminazione, che verso una migliorata capacità di selezionare e attivare risorse personali e relazionali. · Psicoterapia: il lavoro é quello di riportare alla coscienza de-terminate emozioni legate a traumi del passato e trovarne la solu-zione. · Ipnosi: attraverso il rilassamento e l’abbandono, induce nel soggetto una particolare recettività in grado di potenziare le risorse del paziente stesso e di produrre nuovi modelli di comportamento e di pensiero. · Training Autogeno: l’apprendimento graduale di esercizi sistematici e ripetuti riguardano l’aspetto somatico e psichico; · Yoga e Meditazione: tecniche di esercizio sul corpo associate al rilassamento; · Psicodramma: si tratta di una psicoterapia che utilizza metodi attivi che ricorrono al linguaggio del corpo e alla regia terapeutica basata sul “fare” oltre che sul “dire”; · Bioenergetica: è finalizzata a realizzare l’integrazione tra corpo e mente, per aiutare la persona a sciogliere i blocchi energe-tici e i meccanismi difensivi che si creano sia a livello fisico che psi-coemotivo e che inibiscono il piacere e la gioia di vivere; · Gestalt: studio dei processi percettivi immediati del mondo fenomenico. Mi piace pensare che siano le nostre emozioni l’invisibile ed essenziale ai nostri occhi e che esiste in ciascuno di noi come sosteneva Carl Gustav Jung un “istinto di guarigione” indicando quindi come la più efficace arma terapeutica dell’analista proprio l’alleanza con quell’istinto. C.G.Jung, Pratica della psicoterapia,Opere, Torino, Boringhieri, 1981. Quando lasciamo che gli istinti fluiscano liberamente e si traducano subito in emozioni, sentimenti, pensieri, idee, creatività... allora dalle zone profonde del cervello arriva

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l’ispirazione per prendere ogni volta la strada giusta e vivere in uno stato armonico di benessere. Ispirazione, istinto, intelligenza emotiva o come la definiva Aristotele: “la rara capacità di colui quindi che si adira per ciò che deve e con chi deve, e come, quando e per quanto tempo si deve”. (Aristotele, Etica nicomachea, Trad. It. di Armando Plebe, Bari 1973).

BIBLIOGRAFIA Ader et al., Psychoneuroimmunology, seconda edizione, San Diego, Academic Press, 1990. Antoine de Saint-Exupéry, Il piccolo principe, Bompiani, 2000. Aristotele, Etica nicomachea, Trad. It. di Armando Plebe, Bari, 1973. R. A. di Bertolino, L’ipnosi per un medico, Bologna, Martina, 2003. R.Bassi, Psiche e pelle, Torino, Boringhieri, 2006. U.Galimberti, Dizionario di Psicologia, Utet, 2006. D.Goleman, Intelligenza emotiva, diciottesima edizione, Milano, BUR Psicologia e Società, 2007. C.G.Jung, Pratica della psicoterapia,Opere, Torino, Boringhieri, 1981. L.Marchino, M. Mizrahil, Il corpo non mente, Frassinelli, 2007. P.Pancheri, Stress, emozioni e malattia,Milano, Mondadori, 1980. S.Piroli, Il Counselling Sistemico, Parma, UNI.NOVA, 2006.

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Elena Bellodi VITILIGINE: LA PELLE E LE EMOZIONI

Parole chiave: cute, psiche, emozione, intelligenza emotiva.

RIASSUNTO Le emozioni, lo stress e i conflitti psicologici possono essere causa e con-seguenza della vitiligine. Cute e psiche, entrambe originate dallo stesso foglietto, l’ectoderma, sono le due facce della stessa medaglia.Oggi la psiconeuroimmunologia studia le interazioni tra psiche, sistema nervoso, sistema immunitario e cute. La vitiligine potrebbe rientrare tra le malattie cutanee causate da un’interazione del delicato equilibrio tra questi elementi considerati stret-tamente interdipendenti.Il sistema endocrino, il sistema nervoso e la cute sono sensibili a situazioni e stimoli emozionali stressanti.Le cure proposte ai pazienti affetti da vitiligine non comprendono proposte di tipo psicolo-gico. L’autrice propone alcune tecniche o modalità di intervento psicofisi-che.

Elena Bellodi VITILIGO: THE SKIN AND EMOTIONS

Key words: skin, psyche, emotion, emotional intelligence.

SUMMARY Emotions, stress and psychological conflicts may be cause and conse-quence of vitiligo. Skin and psyche, both originated from the same pack-age, the ectoderm, are the two sides of the same coin. Today psychoneuro-immunology studies the interactions between psyche, nervous system, immune system and skin. The vitiligo could fall among skin disease caused by an interaction of the delicate balance between these elements consid-ered closely interdependent. The endocrine system, nervous system and skin are sensitive to stressful emotional stimuli and situations. The pro-posed treatment to patients suffering from vitiligo does not include psy-chological proposals. The author proposes some technical or psycho-physical means of intervention. L’Autrice Dr.ssa Elena Bellodi, S.M.I.P.I. Pedagogista e Counsellor sistemico-relazionale. Via A. Manzoni 17- 44042 Cento (Fe)- tel. 3476459248.

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Vincenzo Amendolagine

ANTROPOLOGIA MEDICA SINDROMI SOMATOFORMI E PSICOTERAPIA

Parole chiave: paradigma biomedico, fuga nella malattia, dimen-sione olistica.

L’antropologia medica. Il costrutto fondamentale dell’antropologia medica è che l’atteggiamento che le persone hanno di fronte alla malattia e alla morte sia un fatto culturale, ossia dominato dalle credenze, dalle pratiche comportamentali e sociali che gli individui possiedono [Ember, C. R. – Ember, M., 2004(1)]. La medicina dei paesi occidentali del pianeta, ovvero dei paesi più ricchi, è dominata dalla biomedicina, ossia una medicina che mette in risalto l’aspetto biologico delle malattie. Nel paradigma biome-dico, il corpo del paziente è sezionato in tanti segmenti, appan-naggio di diverse specializzazioni mediche, disgiunte una dall’altra. Il compito della medicina specialistica è quello di curare la malat-tia, che interessa il proprio settore, senza prendere in considera-zione il paziente come individuo, con le sue convinzioni culturali e sociali [Hahn, R. A., 1995 (2)]. Tale dimenticanza per la persona e il suo mondo, a livello storico, ha origine con la cosiddetta teoria dei germi, secondo la quale, sul-la base delle scoperte di Pasteur, l’origine delle malattie andava reperita in un fattore esterno all’individuo, nella fattispecie il ger-

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me [Loustaunau, M. O. – Sobo, E. J., 1997 (3)]. La figura centrale del paradigma biomedico è rappresentata dal medico. Nel mondo occidentale, il medico è ritenuto una persona in grado di curare le malattie, diminuire le sofferenze e allungare la vita dei propri pazienti, rispettando la loro privacy. Nel reperire la diagnosi e fornire la cura, la biomedicina si basa più sulla tecnologia che sull’ascolto del paziente [Hahn, R. A., 1995 (2)]. Nei paesi industrializzati è aumentata la quantità di informazioni sulle varie malattie, grazie ai progressi della tecnologia. Queste co-noscenze, attraverso i mass – media, sono portate alla popolazio-ne, che, paradossalmente, non ha migliorato il suo senso di benes-sere, anzi esso è peggiorato. Il paradigma biomedico è talmente entrato nelle coscienze colletti-ve da portare ad una concezione della malattia, da parte del pa-ziente, avulsa dai propri vissuti psicologici, culturali e sociali. L’estrema fiducia nella tecnologia ha portato il fruitore a richiedere e, quindi, a volersi sottoporre ad esami sempre più minuziosi e approfonditi per svelare la causa del proprio malessere esistenzia-le, dimenticando la dimensione olistica del proprio disturbo. A conferma di ciò, si assiste ad un incremento delle sindromi soma-toformi.

Le sindromi somatoformi.

Le sindromi somatoformi 1 sono caratterizzate, prevalentemente, dalla comparsa di sintomi somatici variabili che portano il paziente a continue indagini diagnostiche, che si rivelano inutili [ICD – 10 (4)]. Come primo elemento caratterizzante, le sindromi somatoformi hanno il sentimento di malattia, ossia il paziente perde progressi-vamente il senso di benessere. Accanto ad esso, sono presenti sin-tomi, che coinvolgono i vari apparati di cui il corpo è composto. Ci sono i sintomi pseudoneurologici, come difficoltà a deglutire, afonia, sordità, diplopia, visione offuscata, cecità, mancamenti e perdita di coscienza, perdita di memoria, difficoltà alla deambula- 1 Più definite ed a mio parere più correttamente “malattie psicosomati-che”. (R. A. di B.)

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zione e debolezza muscolare [DSM – IV (5)]. A livello gastrointestinale, compaiono dolori, nausea, vomito, me-teorismo, intolleranza ad alcuni alimenti e diarrea [DSM – IV (5)]. A livello cutaneo, il paziente può avvertire prurito, bruciore, for-micolio, intorpidimento, gonfiore e irritazione [Bellantuono, C. – Balestrieri, M. – Ruggeri, M. – Tansella, M., 1992 (6)]. Per le donne, i sintomi possono riguardare l’apparato riproduttivo, con mestruazioni irregolari, dolorose o eccessivamente abbondanti [DSM – IV (5)]. Anche la sessualità viene investita con sensazioni d’indifferenza sessuale, mancanza di piacere durante i rapporti, che spesso sono accompagnati da dolore [DSM – IV (5)]. Il dolore, riferito a più distretti del corpo, è una componente co-stante; si va dal dolore dorsale, al dolore nelle articolazioni, nelle gambe e nelle braccia [DSM – IV (5)]. A livello cardiorespiratorio, si assiste a dispnea, palpitazioni e do-lore toracico [DSM – IV (5)]. Fra le sindromi somatoformi, un posto di rilievo lo occupa la sin-drome ipocondriaca. In tale sindrome, ogni segno fisico o sensa-zioni, sentite nel corpo, vengono interpretati come patologici, os-sia come prima espressione di una malattia grave, invalidante e mortale, anche se gli esami diagnostici sono tutti nella norma. Di solito queste paure e convinzioni persistono, compromettendo il funzionamento sociale e lavorativo dell’individuo [DSM – IV (5)].

La psicoterapia. Le sindromi somatoformi si possono considerare come frutto di una degenerazione del paradigma biomedico della medicina: infat-ti la tecnologia, invece di rassicurare, crea continui dubbi. Alla luce di ciò, va recuperato l’aspetto olistico della medicina, in-quadrando il paziente nella sua unità mente – corpo. La somatizzazione, dal punto di vista psicologico, permette alla persona di rivestire il ruolo di malato, laddove una serie di atteg-giamenti culturali non approverebbero la fragilità emotiva. Inoltre, per la teoria dei germi sopra esposta, il somatizzare per-mette al paziente di ricercare la causa del proprio disagio fuori di

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sé. La psicoterapia, in questo tipo di patologia, deve avere come ar-chetipo il capire, ossia il contestualizzare il paziente nella sua cul-tura, società, attività lavorativa, affettività e nelle conoscenze che egli possiede nel campo della salute. In seconda istanza, è necessario riportare il sintomo fisico al ma-lessere globale, che il paziente vive, attraverso la riattribuzione di significati agli eventi della sua esistenza, cercando di modificare le sue convinzioni culturali, intendendo con esse l’insieme delle idee e dei comportamenti, acquisite nel corso dello sviluppo, e che ap-paiono, nella realtà attuale, disfunzionali. Il terzo momento è rappresentato dal prendere coscienza delle proprie risorse e delle proprie carenze, per affrontare in maniera realistica gli eventi e le sollecitazioni della vita e per debellare i tentativi di fuga nella malattia.

Bibliografia 1. Ember, C. R. – Ember, M. – Antropologia culturale – il Mulino –

Bologna – 2004. 2. Hahn, R. A. – Sickness and Healing: An Anthropological Per-

spective – Yale University Press – New Haven – Conn. – 1995. 3. Loustaunau, M. O. – Sobo, E. J. – The Cultural Context of

Health, Illness and Medicine – Begin & Garvey – Westport – Conn. – 1997. 4. World Health Organization – Decima Revisione della Classifica-

zione Internazionale delle Malattie (ICD – 10) – Sindromi e Disturbi Psi-chici e Comportamentali – Direttive Diagnostiche Cliniche – Masson – Mi-lano – 1992.

5. American Psychiatric Association – DSM – IV TR – Manuale dia-gnostico e statistico dei disturbi mentali – Masson – Milano – 2001.

6. Bellantuono, C. – Balestrieri, M. – Ruggeri, M. – Tansella, M. – I Disturbi Psichici nella Medicina Generale – Il Pensiero Scientifico Editore – Roma – 1992.

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Vincenzo Amendolagine ANTROPOLOGIA MEDICA

SINDROMI SOMATOFORMI E PSICOTERAPIA Parole chiave: paradigma biomedico, dimensione olistica.

RIASSUNTO Nel presente lavoro, l’Autore esplicita i raccordi che esistono fra antropo-logia medica, sindromi somatoformi e psicoterapia. In quest’ottica, il paradigma biomedico, che domina la medicina dei paesi industrializzati, determina una forma di degenerazione che si palesa nelle sindromi somatoformi. Tocca, allora, alla psicoterapia riportare la medici-na verso una dimensione olistica, recuperando la globalità del paziente.

Vincenzo Amendolagine

MEDICAL ANTHROPOLOGY SOMATIC SYNDROMES AND PSYCHOTHERAPY

Key words: biomedical paradigm, escape in the illness, global dimension.

SUMMARY In the present paper, the author explicates the links that exist among medical anthropology, somatic syndromes and psychotherapy. From this point of view, the biomedical paradigm, that dominates the medicine of the industrialized countries, determines a form of degenera-tion that reveals itself in the somatic syndromes. Psychotherapy should bring medicine toward a global dimension, recovering the totality of the patient. L’Autore Vincenzo Amendolagine Medico – Psicoterapeuta Dirigente Sezione Puglia – SMIPI Via R. Leoncavallo, 35/B, 70123 Bari. Tel. 080 5346005/3683666622

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Elisa Cassi, Maurizio Massarini

L’IPNOSI IN FASE PREOPERATORIA: STUDIO CONTROLLATO IN PAZIENTI CHIRURGICI

GENNAIO - MAGGIO 2008

Parole chiave: ipnosi preoperatoria, ansia, dolore, intervento chi-rurgico, anestesia generale, degenza postoperatoria, richiesta anti-dolorifici.

Introduzione Qualsiasi operazione chirurgica è una situazione pericolosa, in cui è possibile identificare diverse componenti ansiogene, quasi tutte sempre presenti, secondo l’equilibrio psichico, la cultura e le con-cezioni del soggetto (Arone di Bertolino, 2003). Inevitabilmente, oltre all’ansia connessa all’intervento, bisogna considerare un altro aspetto fondamentale strettamente legato ad esso: il dolore intraoperatorio e il dolore postoperatorio. Gli effetti causati dal dolore postoperatorio e le risposte fisiologi-che alla lesione chirurgica ed allo stress sono noti da tempo. In questo senso il dolore postoperatorio è una complicanza dell’intervento chirurgico (al pari delle infezioni, degli squilibri i-droelettrolitici eccetera) e come tale va trattato o meglio prevenuto (Massarini et al., 2005). È riconosciuto, infatti, come un adeguato trattamento del dolore postoperatorio contribuisca significativa-mente al miglioramento della morbilità perioperatoria, valutata in termini di minore incidenza di complicanze, di giornate di degen-za e di costi minori, in particolare nei pazienti ad alto rischio, sot-toposti ad interventi di chirurgia maggiore (Massarini et al., 2005).

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È stato dimostrato che l’ansia gioca un ruolo decisivo nella guari-gione in quanto si presuppone che incrementi il livello del dolore percepito dal paziente (Barber, 1982). Inoltre è stato appurato che il dolore acuto interferisce con le naturali risposte di guarigione e cicatrizzazione del corpo (Hall, 1986), incrementa le complicazioni (Yates & Smith, 1989) e riduce la cooperazione con lo staff medi-co. Tra i contributi fondamentali per la gestione del dolore attraverso l’ipnosi ricordiamo Joseph Barber. Secondo questo autore l’impiego del trattamento ipnotico nel controllo del dolore è giu-stificato dai vantaggi clinici che questa metodica ottiene. In effetti accurate ricerche hanno stabilito che il controllo del do-lore ottenuto per mezzo dell’ipnosi è superiore a quello realizzato attraverso altri strumenti psicologici. Addirittura per Barber “nessun altro approccio psicologico è così efficace nel fornire conforto dal dolore senza produrre gli effetti secondari negativi dovuti ai trattamenti medici di comparabile effi-cacia”; comunque l’uso di metodi ipnotici non preclude l’impiego di altri trattamenti, in particolar modo la somministrazione di far-maci analgesici. Il metodo ipnotico permette inoltre di migliorare la comunicazio-ne tra mente e corpo. Rossi E. (2002) ipotizza che l’ipnosi terapeutica utilizzi il percorso cibernetico di trasduzione dell’informazione che congiunge l’ambiente psicosociale e la rete psicosomatica dei sistemi nervosi (centrale e autonomo) e dei sistemi neuroendocrino e immunita-rio. Tale percorso si relaziona con gli organi, i tessuti e i livelli cel-lulari dell’espressione genica. Un tale modello psicobiologico dell’ipnosi espande il dominio della suggestione terapeutica oltre il livello cognitivo-comportamentale, per includere tutti i sistemi di comunicazione mente-corpo a livello molecolare-genomico, che siano responsivi a stimoli psicosociali (Pert et al., 1985; Massarini et al., 2005). La natura e la cultura interagiscono quindi continuamente nei pro-cessi di comunicazione psicobiologica attraverso le dinamiche psi-cosociali di espressione genica. Il processo di sviluppo dell’induzione ipnotica è un esercizio che facilita l’espressione genica legata ad uno stato comportamentale,

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particolarmente evidente nell’approccio tradizionale caratterizzato da suggestioni di rilassamento, comodità e sonno. Suggestioni di tal genere hanno successo per questo motivo, perché svolgono la funzione di stimoli psicosociali che danno inizio ai processi psico-biologici associati con l’espressione genica legata ad uno stato comportamentale, ciò caratterizza in particolare l’approccio eri-cksoniano delle cosiddette “suggestioni indirette” (Massarini et al., 2005). L’espressione genica è dunque il linguaggio comune condiviso da natura e cultura nelle dinamiche della genetica psicosociale. In tale ipotesi, che ulteriori ricerche dovranno ancora verificare, possiamo comunque cogliere quello che può essere il fondamento psicobio-logico della psicoterapia.

Materiali e metodi Lo studio è partito una volta ottenute le necessarie autorizzazioni da parte della Direzione Sanitaria dell’Ospedale Civile di Castel San Giovanni. Si tratta dello stesso ospedale nel quale si sono svol-te le precedenti esperienze (Massarini et al., 2001, 2002, 2005). Sono stati presi in considerazione i pazienti del reparto di Chirur-gia e del reparto di Ortopedia che dovevano essere sottoposti ad intervento chirurgico con anestesia generale a partire dal 16 Gennaio con termine l’8 Maggio 2008. Il personale medico e infermieristico non è stato messo a cono-scenza del gruppo di appartenenza dei soggetti; la seduta di ipnosi preoperatoria e stata svolta da uno stesso medico psicoterapeuta ipnologo, consulente esterno della struttura. Questo accorgimento è stato utilizzato per cercare di mantenere un metodo il più possi-bile standardizzato. La prima fase del lavoro è stata svolta nel reparto Day Hospital (giorno del pre-ricovero e degli esami di routine preoperatori). In tale giornata i pazienti sono stati contattati in coincidenza della visita anestesiologica, che si svolge appunto durante le settimane precedenti la data dell’intervento chirurgico. Se i soggetti erano idonei allo studio e acconsentivano a partecipare alla ricerca, sot-toscrivevano il “consenso informato” e si procedeva con la sommi-nistrazione dei questionari di valutazione dell’ansia (STAI-X1 e

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STAI-X2). In questa fase sono stati raccolte anche tutte le informa-zioni che sarebbero servite al terapeuta durante la seduta ipnotica preoperatoria. Successivamente per i soli pazienti del gruppo sperimentale, veni-va riservata una stanza tranquilla in cui ricevevano il trattamento ipnotico nelle ventiquattro ore precedenti l’intervento. Nei giorni successivi (3°-4°) all’operazione i pazienti venivano quindi visitati in reparto e si procedeva con una nuova sommini-strazione degli strumenti per la valutazione dell’ansia. In questa fase dello studio veniva, inoltre, rilevata anche la percezione del dolore postoperatorio nelle sue due componenti affettiva e sen-soriale.

Campione Il campione dello studio è costituito da 42 soggetti, di età com-presa tra i 17 e gli 84 anni ed è composto da 20 uomini e 22 donne. È stato suddiviso in modo randomizzato in due gruppi indipendenti: un gruppo sperimentale che sarebbe stato sotto-posto al trattamento ipnotico preoperatorio e un gruppo di controllo che invece non avrebbe ricevuto alcun trattamento. Entrambi i gruppi erano composti da 21 soggetti. La patologia e il tipo di intervento del campione viene descritto dalla seguente tabella. Codice Intervento Patologia Codice Intervento Patologia C01 VDL Calcolosi

colecisti S01 Emicolecto-

mia sx ADK colon sx

C02 Artroscopia spalla sx

Lesione sot-toscapolare spalla sx

S02 Gastrectomia ADK gastrico

C03 Artroscopia spalla dx

Rotture cuf-fia rotatorispalla dx

S03 Protesi totaleginocchio sx

Gonartrosi sx

C04 VDL Calcolosi colecisti

S04 Emicolecto-mia

K cieco

C05 Laparotomie Masse pelvi-che

S05 Emicolecto-mia

K retto

C06 VDL Calcolosi colecisti

S06 VDL Calcolosi colecisti

C07 Emicolecto-mia dx

Lesione po-lipoide del

S07 Asportazione rene sx

Neoforma-zione rene sx

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cieco C08 Protesi anca

sx Coxartrosi sx S08 VDL + co-

langiomastia intraoperato-ria

Calcolosi colecisti

C09 Tiroidecto-mia

Gozzo lobodx

S09 Plastica Ernia epiga-strica

C10 Emitiroidec-tomia

Gozzo iper-funzionante lobo dx

S10 Plastica Ernia ombe-licale

C11 Emicolecto-mia sx

Neoforma-zione colonsx + stenosianostomosi

S11 Artroscopia spalla dx

Rottura cuffiarotatori spal-la dx

C12 VDL Calcolosi sintomatica

S12 Artroscopia spalla sx

Rottura cuffiarotatori spal-la sx

C13 Tiroidecto-mia

Gozzo com-pressivo

S13 PTA dx Coxartrosi dx

C14 Artroscopia spalla sx

Rottura cuffiarotatori spal-la sx

S14 Asportazione K testicolo

C15 Colectomia Colecistite acuta

S15 VDL Calcolosi colecisti

C16 Emicolecto-mia

K retto S16 PTA sx Coxartrosi sx

C17 VDL Calcolosi colecisti

S17 VLC + co-langioma-stia+ aspor-tazione cistiovarica

Calcolosi colecisti +cisti ovarica

C18 Artroscopia spalla sx

Rottura so-vraspinato spalla sx

S18 Plastica +VDL

Laparocele periombeli-cale incarce-rato

C29 Artroscopia Sindr. Del-capolungo spalla dx

S29 Gastrectomia totale

K gastrico

C20 VDL Colecisti sin-tomatica

S20 VDL Calcolosi colecisti

C21 VDL Calcolosi colecisti

S21 VDL Calcolosi colecisti

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Ansia Al fine di rilevare il livello dell’ansia prima dell’intervento e dopo l’intervento nei pazienti chirurgici è stato utilizzato lo State-Trait Anxiety Inventory (STAI) di Spielberger, Gorusch, Lushene (1970), la cui versione italiana è stata curata da Lazzari e Pancheri (1980), incluso nella sezione Scale Primarie della Batteria CBA (Sanavio, Bertolotti, Michielin, Vidotto, & Zotti, 1986). Questo questionario permette infatti di ottenere una misura della valutazione soggettiva dell’ansia e risulta piuttosto semplice e ve-loce da somministrare. Le scale che compongono questo questionario sono due: Una scala denominata STAI-X1 (ansia di stato), la cui scheda è co-stituita da 20 items, consente di rilevare l’ansia di stato, ovvero l’ansia situazionale e transitoria conseguente ad eventi di oggettivo o presunto pericolo. L’altra scala denominata STAI-X2 (ansia di tratto), la cui scheda è costituita anch’essa da 20 items, consente invece di rilevare l’ansia di tratto che rappresenta una caratteristica stabile della personalità del soggetto.

Dolore La rilevazione della percezione del dolore postoperatorio nel pa-ziente ha richiesto l’utilizzo due scale di valutazione: una scala di valutazione numerica (numerical rating scale – NRS) alla quale si è abbinato una scala delle espressioni facciali (Faces Pain Rating Sca-le) costituita da specifici elementi grafici (disegni di facce che e-sprimono diversi gradi di dolore). La NRS è uno strumento che ha il vantaggio di essere semplice e rapido da compilare e inoltre permette di ottenere misurazioni ri-petute, confrontabili e utili ai fini di valutare, ad esempio, la rispo-sta al trattamento analgesico. La scala delle espressioni facciali, ovvero il supporto grafico-visivo (facce) da essa fornito, è stata utilizzata per completare lo stru-mento di rilevazione del dolore, ed ha semplicemente la funzione di facilitare la valutazione del dolore da parte del paziente.

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Le esperienze dolorose presentano però una natura multidimen-sionale, a questo scopo è stato predisposta la scala utilizzata in modo che fosse in grado di rilevare almeno due diversi aspetti del dolore: la componente affettiva e la componente sensoriale.

Degenza postoperatoria Si è voluto valutare anche la degenza postoperatoria. Tale rileva-zione è resa possibile dalla consultazione delle cartelle mediche dei pazienti. Va comunque considerato che è presente uno stan-dard ospedaliero che prevede, a seconda del tipo di intervento, un certo numero di giorni in cui il paziente deve rimanere ricoverato.

Richiesta antidolorifici Per valutare un reale effetto analgesico della seduta ipnotica preo-peratoria si è considerata la richiesta degli antidolorifici in fase po-stoperatoria. È stata quindi registrata la somministrazione degli anestesici dei pazienti nei quattro giorni successivi all’intervento. Anche questa rilevazione è stata resa possibile dalla consultazione delle cartelle mediche.

Trattamento Il trattamento che abbiano proposto è costituito da un colloquio di rilassamento mediante l’induzione di trance ipnotica, solitamente di livello medio o lieve. Il metodo che abbiamo adottato per il trattamento ipnotico impie-gato con i soggetti si basava sull’utilizzo della tecnica “breve o bre-vissima” (da 15 a 30 minuti massimo). Tutti i soggetti sperimentali sono stati sottoposti a questa partico-lare tipologia di intervento ipnotico da uno stesso psicoterapeuta ipnologo, in modo da rendere il più possibile standardizzato il me-todo, pur con le dovute limitazioni. Veniva riservata una saletta o una stanza in cui non sarebbero stati presenti altri pazienti. Questa favorevole condizione ambientale si è rivelata fondamentale, sia perché ha permesso un corretto svol-

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gimento del colloquio di rilassamento, ma anche perché ha con-sentito di mantenere la privacy del soggetto in relazione al tratta-mento ed ha evitato che i pazienti venissero a conoscenza del fatto che alcuni soggetti avevano ricevuto trattementi differenti rispetto a quelle cui venivano personalmente sottoposti. Nello studio gli elementi di conoscenza dei pazienti indispensabili per l’operatore sono: - la diagnosi e il tipo di intervento a cui il paziente sarebbe stato sottoposto; - il lavoro, il livello di scolarità, le problematiche familiari, le parti-colari vicende personali, gli hobbies, gli interessi, le passioni, gli sport preferiti e qualsiasi altro elemento che consentisse di defini-re le personali abitudini del paziente. Questi elementi venivano raccolti dall’operatore durante il primo colloquio e integrati successivamente dopo un breve colloquio co-noscitivo, prima della seduta, anche con lo psicoterapeuta. Gli elementi di intervento dello psicoterapeuta erano: - far visualizzare al paziente, dopo un breve rilassamento verbale o muscolare (seguendo i ricordi del soggetto sui suoi “punti di for-za” passati e presenti), il proprio organo da operare anche con l’uso costante di rappresentazioni metaforiche positive del corpo e dell’ organo da “migliorare” (operare) e incoraggiamento ad utiliz-zare le proprie risorse; - far credere al paziente che da tutto ciò che pensiamo di noi, del nostro corpo in toto o di minime parti di esso, subiamo una in-fluenza tanto maggiore quanto “noi ne saremo convinti”; - far fare un pensiero finale prima del “risveglio”: le ferite chirurgi-che si sarebbero rimarginate in modo rapido e con molto meno dolore di quanto potessero immaginare…”bastava pensarlo...”.

Risultati I valori ottenuti nelle diverse variabili prese in considerazione so-no stati elaborati statisticamente, attraverso l’utilizzo di alcuni test non parametrici. I punteggi riportati nelle seguenti tabelle sono da intendersi come media dei punteggi.

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Ansia Sulla base delle caratteristiche del test che è stato impiegato per la rilevazione dell’ansia, lo State-Trait Anxiety Inventory (STAI), si è ritenuto opportuno applicare ai suoi punteggi delle metodologie di analisi non parametriche.

Ansia di stato STAI-X2 pre STAI-X2 post Controllo 44,86 39,52 Sperimentale 42,2 32,2

Il test statistico ha rilevato una differenza significativa tra i punteggi ottenuti prima e dopo l’intervento nei soggetti del gruppo speri-mentale (W=210; Z=3.91; p<0.001). Nei soggetti del gruppo di controllo si è registrata una differenza che risulta significativa al livello del 5% ma non del 1%, tra i pun-teggi dello STAI-X1 ottenuti prima e dopo l’intervento (W=101; Z=1.75; p=0.040). I soggetti del gruppo sperimentale hanno fatto registrare dei pun-teggi significativamente inferiori nello STAI-X1 dopo l’intervento, rispetto ai punteggi ottenuti prima dell’intervento rivelando così una notevole diminuzione dell’ansia di stato. I soggetti del gruppo di controllo, invece, hanno riportato dei punteggi solo lievemente inferiori nello STAI-X1 postoperatorio, rispetto a quelli conseguiti prima dell’intervento, tanto che non è stata riscontrata alcuna dif-ferenza statisticamente significativa tra i punteggi pre e post. Possiamo affermare, quindi, che la seduta ipnotica preoperatoria (trattamento) risulta essere efficace nel ridurre l’ansia situazionale dei pazienti sperimentali (effetto trattamento) proprio alla luce del confronto con i soggetti di controllo nei quali non si è verificato un tale miglioramento.

Ansia di tratto STAI-X2 pre STAI-X2 post Controllo 42,33 41,05 Sperimentale 41,15 36,9

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Il test di Wilcoxon ha rilevato una differenza statisticamente signi-ficativa tra i punteggi ottenuti prima e dopo l’intervento nei sog-getti del gruppo sperimentale (W=192; Z=3.57; p<0.001). Nei soggetti del gruppo di controllo, invece, non si è registrata al-cuna differenza significativa tra i punteggi dello STAI-X2 ottenuti prima e dopo l’intervento (W=9; Z=0.16; p=0.4364). I soggetti del gruppo sperimentale hanno fatto registrare dei pun-teggi inferiori (statisticamente significativi) nello STAI-X2 dopo l’intervento, rispetto ai punteggi conseguiti prima dell’intervento rivelando così una buona diminuzione anche nell’ansia di tratto. I soggetti del gruppo di controllo, invece, hanno riportato punteggi lievemente inferiori nella somministrazione postoperatoria rispet-to alla somministrazione preoperatoria.

Dolore Lo strumento che è stato utilizzato per misurare la percezione sog-gettiva del dolore postoperatorio nel paziente è costituito da una scala di valutazione numerica (numerical rating scale – NRS) abbi-nata ad una scala delle espressioni facciali (Faces Pain Rating Sca-le). Si tratta di una scala Likert a 11 punti, di natura ordinale: di conseguenza alle stime numeriche fornite dai soggetti attraverso la NRS, si sono applicati dei test statistici non parametrici. Si è cercato di verificare se le differenze rilevate nei quattro giorni operatori tra i due gruppi fossero statisticamente significative per entrambe le componenti del dolore.

Componente sensoriale Controllo Sperimentale Giorno1 5,9 4,38 Giorno2 6,43 4,57 Giorno3 3,86 3,2 Giorno4 3,13 1,86

La componente sensoriale nel giorno 1 mostrava punteggio U=143.5 con p=0.0274; il giorno 2 U=139.5 p=0.0212; il giorno 3 mostrava punteggio U=164.5 p=0.0808; il giorno 4 U=55 p=0.3085. Con questi dati si dimostra che tra questi gruppi esiste

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una differenza significativa, relativamente alla variabile considerata, nel giorno 1 e nel giorno 2 ma non nel giorno 3 e nel giorno 4. Ciò significa che i soggetti del gruppo sperimentale hanno dichia-rato di provare meno dolore in termini di fastidio rispetto ai sog-getti del gruppo di controllo nei 2 giorni successivi all’intervento. Il confronto intergruppi ha evidenziato una leggera significatività nel giorno 1 con p = 0.01 e nel giorno 2 con p = 0.02, mentre nei giorni 3 si ottiene una p = 0.08 e nel giorno 4 una p = 0.30 per cui una scarsa significatività. Questo risulta compatibile con i risultati sopra descritti.

Componente affettiva Controllo Sperimentale Giorno1 6,14 4,38 Giorno2 6,95 5,05 Giorno3 4,57 3,7 Giorno4 4,22 2,24

Si è cercato di verificare se le differenze rilevate nei quattro giorni operatori tra i due gruppi fossero statisticamente significative. La componente affettiva nel giorno 1 mostrava punteggio U=133 con p=0.0143; il giorno 2 U=141.5 p=0.0244; il giorno 3 mostrava punteggio U=182 p=0.1685; il giorno 4 U=52 p=0.4562. Con questi dati si dimostra che tra questi gruppi esiste una diffe-renza significativa, relativamente alla variabile considerata, nel giorno 1 e nel giorno 2 ma non nel giorno 3 e nel giorno 4. Ciò significa che i soggetti del gruppo sperimentale hanno dichia-rato di provare meno dolore in termini di fastidio rispetto ai sog-getti del gruppo di controllo nei 2 giorni successivi all’intervento. Il confronto intergruppi mostra una buona significatività nel gior-no 1 una p = 0.01 e nel giorno 2 p = 0.02, mentre nel giorno 3 p = 0.16 e nel giorno 4 p = 0.45 non risultando cosi significativa.

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Richiesta antidolorifici È stata esaminata la differenza nella richiesta di antidolorifici tra i pazienti sottoposti a seduta ipnotica e i pazienti del gruppo di con-trollo. Questo confronto tra i due gruppi è stato compiuto utiliz-zando il test U di Mann-Whitney. Da questa procedura si è ottenu-to il seguente risultato: U=4; p<0,0001. Tra i due gruppi quindi esiste una differenza significativa. In altre parole i soggetti del gruppo sperimentale hanno richiesto una quantità di antidolorifici inferiore a quella del gruppo di controllo.

Giorni di degenza È stata valutata l’esistenza di una differenza nei giorni di degenza tra i pazienti sottoposti a seduta ipnotica e i pazienti del gruppo di controllo. La media dei giorni di degenza nei due gruppi è lievemente a favo-re del gruppo che era stato sottoposto a trattamento (M= 4.95) mentre il gruppo di controllo ottiene punteggio M=5.19 . Il confronto tra i due gruppi non ha portato ad una differenza si-gnificativa (p = 0.936). È inoltre utile segnalare che l’ospedale stesso si attiene a degli standard di giorni di degenza predefiniti, per esempio un interven-to in vdl (esempio videolaparoscopia) 3-4 giorni, e quindi in en-trambi i gruppi non esiste un’evidente variazione dei giorni di o-spedalizzazione.

Discussione L’obiettivo è quello di dimostrare l’esistenza di vantaggi di cui un soggetto può beneficiare sottoponendosi ad un trattamento ipno-tico nel periodo preoperatorio, qualora questi debba sostenere un intervento chirurgico anche in anestesia generale. L’ipotesi di partenza dello studio è stata dimostrata. I pazienti sot-toposti al colloquio di rilassamento mediante l’induzione di trance ipnotica, rispetto ai pazienti che non hanno ricevuto alcun tratta-mento, hanno infatti presentato livelli inferiori di ansia (di stato e

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di tratto) ed una riduzione nella percezione del dolore postopera-torio sopratutto nei primi due giorni dopo l’intervento, sia nella componente sensoriale, sia nella componente affettiva. Alcuni autori (Benedetti & Murphy, 1985; Turk et al., 1983) han-no riscontrato che elevati livelli di ansia determinano un incremen-to nella percezione del dolore da parte dei pazienti. Ulteriori ed interessanti relazioni tra queste due variabili sono state evidenziate nello studio già citato di Kain et al. (2000) nel quale, in particolare, l’ansia di stato immediatamente prima dell’intervento chirurgico è risultata un predittore diretto del dolore postoperatorio immedia-to, ad 1-2 ore dopo l’intervento. Infine in diversi studi viene dimostrato come il trattamento ipnoti-co produca maggiori cambiamenti nella componente affettiva che nella componente sensoriale del dolore (Price & J. Barber, 1987; Mauer et al., 1999). Nello studio, invece, le due componenti pre-sentano un andamento piuttosto simile. Lo studio dimostra che il trattamento ipnotico è in grado di ridurre sia la componente sen-soriale, sia la componente affettiva del dolore (e ciò costituisce un risultato fondamentale e comune agli altri studi). Il trattamento è consistito in un colloquio di rilassamento median-te l’induzione di trance ipnotica avvenuto in una singola seduta. In definitiva i risultati conseguiti permettono di comprendere l’importanza del trattamento ipnotico, e più in generale delle tec-niche di sostegno psicoterapeutico, in chirurgia. Infatti attraverso questi indispensabili strumenti è possibile fornire adeguate infor-mazioni, istruzioni e suggestioni al soggetto che deve affrontare un intervento chirurgico. In tal modo si consente la riduzione dell’ansia, in particolare pre-operatoria, la costruzione di un rapporto terapeutico ottimale e di un clima positivo di fiducia, un miglior trattamento del dolore po-stoperatorio che, come noto, se adeguatamente trattato contribui-sce significativamente al miglioramento della cooperazione da par-te del paziente, della morbilità perioperatoria (valutata in termini di giornate di degenza o di richieste di antidolorifici) e di conse-guenza implicherà costi minori.

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Elisa Cassi, Maurizio Massarini L’IPNOSI IN FASE PREOPERATORIA:

STUDIO CONTROLLATO IN PAZIENTI CHIRURGICI Parole chiave: ipnosi preoperatoria, ansia, dolore, intervento chirurgico, anestesia generale, degenza postoperatoria, richiesta antidolorifici.

RIASSUNTO Obiettivi: Lo studio vuole dimostrare l’effetto che può avere una singola seduta ipnotica effettuata in fase preoperatoria nella fase postoperatoria per ciò che concerne la diminuzione dell’ansia, sia di stato che di tratto, e la percezione del dolore sia nella componente sensoriale che in quella af-fettiva. Materiali e metodi: Il campione dello studio, costituito da 42 soggetti, è stato suddiviso in modo randomizzato in due gruppi indipendenti: un gruppo sperimentale che sarebbe stato sottoposto al trattamento ipnotico preoperatorio e un gruppo di controllo che invece non avreb-be ricevuto alcun trattamento. Entrambi i gruppi erano composti da 21 soggetti e provenivano dai reparti di Chirurgia e Ortopedia. Si procedeva con la somministrazione dei questionari di valutazione dell’ansia (STAI-X1 e STAI-X2). Venivano raccolte anche tutte quelle in-formazioni che sarebbero servite al terapeuta durante la seduta ipnotica preoperatoria. Successivamente, per i soli pazienti del gruppo sperimentale veniva riser-vata una stanza tranquilla in cui ricevevano il trattamento ipnotico nelle ventiquattro ore precedenti l’intervento. Nei giorni successivi l’operazione i pazienti venivano quindi visitati in reparto e si procedeva con una nuova somministrazione degli strumen-ti per la valutazione dell’ansia e degli strumenti per la rilevazione della percezione del dolore, componente affettiva e sensoriale, nei quattro giorno successivi di degenza. Infine veniva rilevata la richiesta di anti-dolorifici e i giorni di degenza dei pazienti ricoverati. Risultati: I soggetti del gruppo sperimentale in fase post operatoria han-no evidenziato un calo nel livello di ansia (di stato e di tratto) e una minor percezione del dolore nelle sue due componenti, sensoriale e affettiva. Un effetto, seppur in minor misura, si è riscontrato nella diminuzione dei giorni di degenza e nella richiesta di antidolorifici. Conclusioni: L’ipotesi è stata dimostrata. Una singola seduta ipnotica in fase preoperatoria comporta, nei pazienti chirurgici, una diminuzione del livello di ansia ed una minore percezione del dolore in fase postoperato-ria.

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Elisa Cassi, Maurizio Massarini PREOPERATIVE HYPNOSIS:

A CONTROLLED STUDY IN SURGICAL PATIENTS Key words: preoperative hypnosis, anxiety, pain, postoperative period, surgery, general anaesthesia, painkillers request.

SUMMARY Objectives: This study wants to prove the effect of a single sitting of hyp-nosis performed during the preoperative period which would affect the postoperative period for all that concerns the reduction of anxiety level, state and trait anxiety, and the perception of pain, in its sensory and affec-tive components. Methods: The sample of people of this trial consists of 42 subjects which were randomly assigned to two indipendent groups: an experimental group who received the preoperative hypnotic treatment and a control group without any preoperative treatment. 21 subjects con-stituted both groups and they all came from Surgery and Orthopaedics wards. Subsequently a questionnaire (STAI-X1 and STAI-X2) was adminis-tered to the patients in order to assess their anxiety level. Furthermore many information were collected regarding the personal sphere of the in-terviewed patients; those additional data would have been useful to the therapist during the preoperative hypnotic sitting. After that only for the experimental group, it was reserved a quiet room, where preoperative hypnotic treatment was carried out during the twenty-four hours preced-ing the operation. Four days following the operation, the patients were visited in the ward and it was repeated the questionnaire of axiety level and pain perception, in its sensory and affective components. Finally the data about the lenght of patients’ stay in hospital and their request of painkillers could be obtained. Results: In the postoperative period the patients from the experimental group (they did benefit by the preopera-tive hypnotic sitting treatment) showed lower level af anxiety (state and trait anxiety) and lower pain percepition, in both its components, sensory and affective, than the patients from the control group (they did not profit by the treatment). Also a discrepancy was noticed in the length of the pa-tients’ stay in hospital and in their request of painkillers where the ex-perimental group stayed less days in hospital and asked for less painkillers than the control group. Conclusions: The hypothesis was proved. A single preoperative hypnotic sitting can, in surgical patients, reduce anxiety lev-els and pain percepition during the postoperative period.

Gli Autori Dr.ssa Elisa Cassi, Psicologa, Psicoterapeuta in Formazione S.M.I.P.I., via A. Moro 10, 27019 Villanterio (PV); tel.: 3297035376. Dr. Maurizio Massarini, Spec. Neurologia, Psicoterapia, Vicepresidente S.M.I.P.I., via N. Bixio 21, 29015 Castelsangiovanni (PC), tel. 3358158751.

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Emanuela Servadei

L’APPROCCIO PSICOLOGICO AL PAZIENTE PEDODONTICO

Parole chiave: odontoiatria pediatrica, approccio psicologico, trattamento, bambino, dolore, fiducia, pazienza.

La prima visita Nella prima visita pedodontica occorre tenere presente la compo-nente psicologica e l’interrelazione triangolare che coinvolge l’odontoiatra, il genitore ed il bambino. Il genitore costituisce una parte necessaria del rapporto con il pa-ziente in età pediatrica. In seguito verrà l’approccio terapeutico e l’aspetto motivazionale della nostra professione, però senza tenere conto della parte psicologica non si può affrontare un bambino. È molto importante a questo livello effettuare una valutazione: for-se il paziente in età pediatrica è l’unico che richiede un esame “a priori” degli aspetti caratteriali che potranno comportare difficoltà durante le fasi operative del trattamento. Si possono impiegare inoltre diverse tecniche per rendere questo tipo di approccio più facile e più gradevole per il paziente:si vuole arrivare ad una percezione realistica del trattamento odontoiatrico. Non si deve convincere nessuno che tale trattamento sia piacevole, ma che, dato uno stato di necessità, non sia poi troppo spiacevole. Interazioni verbali e visuali positive con il bambino, il contatto fisi-co, la tolleranza che si può dimostrare nei confronti degli sforzi di adattamento correlati all’età ed i rinforzi positivi che si possono offrire, sono tutte condizioni dalle quali non si può assolutamente

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prescindere. Questo tipo di avvicendamento va effettuato in ogni caso: l’approccio psicologico è un meccanismo che procede gra-dualmente. Soltanto se esso fallisce si può pensare di attuare dei meccanismi alternativi, quali il trattamento effettuato o in sedoa-nalgesia o mediante premedicazione oppure in anestesia generale. È ovvio che l’anestesia generale per il paziente odontoiatrico non può essere e non è mai la prima scelta perché comporta dei tempi operativi e dei rischi, per quanto controllabili, che non sono sem-pre alla portata dell’operatore. Quindi nel primo incontro con il bambino si deve ricorrere ai mezzi più semplici per avvicinarlo. Soltanto in seguito, se questi falliscono per motivi indipendenti dalla nostra volontà, si può procedere alle scelte alternative. Analizziamo per gradi i vari argomenti.

L’ambiente Estremamente utile, nell’approccio al paziente pediatrico, è l’attenzione all’ambiente in cui verrà svolta la nostra terapia. All’occhio di un bambino i colori delle pareti del nostro studio so-no molto importanti ed è necessario che siano poco accesi tanto da catturare la sua attenzione senza eccitarlo, ed uniformi da una stanza all’altra, onde evitare di distrarlo eccessivamente. Ovvia-mente la stanza in cui riceviamo il bambino e successivamente svolgiamo le nostre terapie dovrebbe essere il più possibile “a mi-sura sua” cioè senza immagini che possano spaventarlo. Un classi-co esempio sono le illustrazioni sul processo carioso o sulla mala-tia parodontale di cui sono provviste le pareti di quasi tutti gli stu-di odontoiatrici, e che, a volte, svolgono un’azione stressante an-che sulla psiche di un paziente adulto. Per contro esistono illustra-zioni adatte ai bambini che hanno il medesimo scopo didattico. Importante è cercare anche di comprendere le esigenze di un bambino relazionandole alle nostre di professionisti senza scende-re a compromessi con i genitori. Sono fondamentali da rispettare i suoi orari e impegni: quando ha l’abitudine di dormire nel pome-riggio, se è molto piccolo; quando mangia, se è troppo stanco o se ha avuto altre visite mediche. Bambini particolarmente difficili o sui quali dobbiamo attuare terapie lunghe e complesse vanno visti

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il mattino quando sia noi sia loro siamo meno nervosi, meno stan-chi e più propensi al buon umore. Inoltre è necessario, in queste situazioni, dedicare tutta la nostra attenzione al paziente senza essere distratti, noi e conseguente-mente lui, da troppe persone in studio o da interruzioni dovute allo squillo del telefono e ad altri impegni. Può essere utile anche fargli portare qualcosa di suo cui lui sia particolarmente affeziona-to, come per esempio un gioco, in modo da rassicurarlo. Ogni volta che la nostra assistente prepara il servomobile per ese-guire una terapia odontoiatrica pediatrica dovrà tenere ben pre-sente che quanto può evocare paura o può agitare, prima tra tutte la siringa dell’anestesia o tutto ciò che sia provvisto di aghi o simili, dovrà essere nascosto alla vista e pronto ad essere palesato solo nel momento dell’utilizzo, e poi riposto subito lontano dagli occhi del nostro bambino. È anche utile ricordare che il tempo di esecuzione delle terapie dovrà essere ridotto al minimo indispensabile per non abusare ec-cessivamente della pazienza del nostro bambino. Da ciò si evince che non solo noi ma anche chi ci assiste debba es-sere educato all’approccio con il paziente pediatrico. Anche l’attesa deve essere piacevole e breve, per evitare che il bim-bo non si annoi e si spazientisca.

I genitori Occorre, come già riferito, un’interrelazione triangolare positiva, vale a dire un approccio positivo con il paziente pedodontico e, allo stesso modo, con il genitore che in molti casi può essere di particolare ausilio. Sottolineiamo che un papà ed una mamma quando mai restii possono porre dei blocchi tali da essere insupe-rabili in normali metodiche di approccio. È quindi molto impor-tante valutare il tipo di genitore con cui ci troviamo indirettamente a trattare ponendo particolare attenzione sulla figura materna per-ché di solito è lei che accompagna il bimbo nel nostro studio ed è lei che lo prepara, lo motiva e trascorre più tempo con lui. Possiamo trovarci di fronte tipologie di madri estremamente diffe-renti le une dalle altri. Esistono mamme molto ansiose, evenienza

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attualmente frequentissima, le quali spesso sono più spaventate del bimbo. In questo caso è utile che la madre non motivi, o lo faccia il meno possibile, il figlio al trattamento perché rischierebbe di trasmettergli la propria ansia o paura che scaturisce o da pre-gresse sue esperienze odontoiatriche fallimentari o dall’idea che il figlio possa provare qualsiasi sorta di dolore o fastidio. Come ab-biamo accennato in precedenza, fa parte del nostro ruolo spiegare l’utilità del nostro trattamento al bimbo, e a i genitori che cerche-remo, e con le conoscenze mediche e psicologiche attualmente in nostro possesso possiamo farlo, di rendere il trattamento meno sgradevole possibile ma che non potremo mai trasformarlo (sem-brerebbe inutile specificarlo ma occorre essere chiari) in qualcosa di estremamente piacevole. Per cui è possibile che il loro bambino avverta un minimo di dolore e fastidio ma sarà per un breve perio-do e non dovrà essere enfatizzato dai genitori. Un altro “tipo di mamma” è quella definibile “autoritaria” cioè de-cisa ed un minimo severa; quella che riesce ad avere con il figlio un rapporto “madre-figlio” e non “amica-amico” che dimostra fi-ducia nel figlio, nella necessità della terapia e nell’operatore. Que-sto genere di figura attualmente non è semplice da individuare. Ovviamente non stiamo parlando di persone che si rapportano con i loro bambini in modo violento e coercitivo. Questo tipo di approccio, sappiamo bene, non sortisce mai nessun effetto benefi-co in qualsiasi campo che potremo andare ad analizzare. Ci sono poi genitori o madri che esigono di essere presenti nella zona operativa perché convinti che solo loro siano in grado di trat-tare con il proprio figlio. Questo tipo di madre sarà sempre una fonte di distrazione negativa per il bambino perché si intrometterà in continuazione, con lo scopo di tranquillizzarlo e fare da tramite nella relazione che noi andremo ad allacciare con il piccolo pa-ziente. È quindi utile trattare i bimbi da soli e fare attendere i geni-tori fuori dalla zona operativa. Su questo occorre che, sia noi, sia il personale presente nel nostro studio, siamo capaci di non scende-re a compromessi. Unica eccezione è il bambino che non comunica o che ha difficoltà a comunicare per diverse ragioni. Un esempio sono i bimbi molto piccoli che addirittura andranno fatti accomodare sulla nostra pol-trona seduti in braccio ai genitori, bimbi non scolarizzati, (rari nel-

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le nostre zone, ma purtroppo drammatiche realtà in altre parti d’Italia) o pazienti portatori di handicap.

Metodiche di approccio Esistono varie metodiche di approccio. Quella usata più frequen-temente, e talora inconsapevolmente, è la teoria “spiega, dimostra ed agisci” (tell, show, do) oppure quella della mano sopra la bocca che non dovrebbe mai essere utilizzata in maniera costrittiva e re-strittiva (hands over the mouth exercise). Un bambino molto piccolo può reagire in base ai tentativi di adat-tamento correlabili alla sua età con il pianto e con la nenia. In questo ultimo caso si può mettere la mano sopra la bocca del pa-ziente continuando a parlargli nell’orecchio ed a spiegarli per qua-le motivo si agisce in questa maniera. Non appena il bambino di-mostrerà di essere in grado di risponderci la mano verrà subito ri-mossa. Questa tecnica va utilizzata solo per pochi minuti e non di più. Un altro approccio consiste nel suggestionare il paziente cercando di rendere tutto più esaltante. Giochiamo con il bambino, usiamo i numeri, le braccia e le gambe del paziente, le parole, che possono essere tante e pronunciate in rapida successione ma occorre che siano semplici in modo tale da arrivare immediatamente al bimbo. Inoltre possiamo trasformare in animali o cose che il paziente ama il nostro strumentario: ed ecco che l’aspiratore può diventare la proboscide di un elefante o il micromotore un trattore. Un’altra arma in nostro possesso è quella di solleticare lo spirito di emulazione di un bimbo mettendolo in relazione, sempre in ma-niera costruttiva, con altri piccoli pazienti più collaboranti tenendo sempre presente la necessità di lodarlo per il suo comportamento davanti ai genitori o ad altri bambini in sala d’attesa a fine terapia. Ricordiamo che il paziente deve capire che noi lo rispettiamo co-me individuo. Tutto ciò è, ovviamente,strettamente relazionato e dipendente dall’età e dal profilo psicologico del paziente. Inoltre è importante aggiungere che, dove è possibile,l’approccio deve sempre essere sistematico in più sedute in cui noi prima co-nosciamo e ci facciamo conoscere dal bimbo, poi spieghiamo li

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trattamento e solo successivamente possiamo agire. Quindi nella prima visita non faccio nulla tranne in caso di grave trauma. Sa-rebbe quindi utile un’educazione pediatrica all’odontoiatria che potrebbe significare portare un bambino in visita nel nostro studio fin da piccolo possibilmente intorno ai 3 anni. Questo ci consenti-rebbe di diventare figure conosciute e quindi non temute e allo stesso tempo intercettare in fase iniziale eventuali problemi con-servativi ed ortodontici. Soprattutto in un bambino lo stimolo del dolore provoca sempre una risposta in quanto non esiste una razionalizzazione del motivo dolore: in molti casi senza l’anestesia locale nei bambini è molto difficile lavorare. Con metodiche di premedicazione e di distrazio-ne si riesce ad eseguire l’iniezione, ma sicuramente non si riesce a gestire il sintomo dolore. Durante e prima dell’esecuzione dell’anestesia vanno attuate tecniche di modificazione del compor-tamento utilizzando rinforzi positivi, sia verbali che tangibili, come per esempio i premi. Con le varie metodiche prima spiegate si cer-ca di stabilire una comunicazione oppure si comprende quando questa non sia possibile. Un comportamento refrattario può essere aggredito ad esempio con un farmaco. Esistono farmaci che adeguatamente dosati crea-no la comunicazione in quanto rilassano il paziente e gli permet-tono di razionalizzare ed accantonare ansia paure e fobie. Lo stes-so farmaco somministrato a dosi maggiori provoca la sedazione completa del paziente che non risponde più agli stimoli e ci per-mette di lavorare in quanto divenuto inerte e passivo. Questi sono i due concetti base su cui si fonda da un lato la sedazione in sedo-analgesia e dall’altro l’anestesia generale che elimina la comunica-zione completamente grazie all’utilizzo di farmaci per via endove-nosa o parenterale. Ulteriori metodiche utilizzabili sono rappresentate dall’ipnosi che ha un’efficacia ottima solo nelle mani di chi la sa usare a dovere e che quindi necessita di conoscenza approfondita ed esperienza; oppure dalla costrizione fisica che ovviamente ha un’utilità molto relativa e limitata nel tempo.

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Emanuela Servadei L’APPROCCIO PSICOLOGICO AL PAZIENTE PEDODONTICO

Parole chiave: odontoiatria pediatrica, approccio psicologico, trattamento, bambino, dolore, fiducia, pazienza.

RIASSUNTO La pedodonzia è quella branca dell’odontoiatria che cura i bambini in dentatura decidua e mista cioè fino a dodici anni circa. Chi si dedica alla pedodonzia, tanto il medico quanto l’assistente,deve quindi unire alle conoscenze tecniche anche e soprattutto pazienza e capacità psicologiche atte a vincere la resistenza del piccolo paziente e l’ansia dei genitori. Abbiamo analizzato alcuni tipi di approccio psicologico.

Emanuela Servadei THE PSYCHOLOGICAL APPROACH TO PEDODONTIC PATIENT

Key words: Paediatrics dentistry, psychological approach, treatment, child, pain, confidence, patience.

SUMMARY The paediatric dentistry is a part of dentistry that treats the teeth of children until twelve years old. The paedodontist, the doctor and the assistent too, should add to technical knowledge, patience and psychological ability to win the children’s resistance and the parent’s anxiety. We analized some examples of psychological approach. L’Autrice Dr.ssa Emanuela Servadei, S.M.I.P.I. odontoiatra Piazza G. Carducci 20, 61100 PESARO PU tel 347.6405390 Si ringrazia per il materiale utilizzato lo studio odontoiatrico Caprioglio, il professor Alberto Caprioglio, la dottoressa Claudia Caprioglio.

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Maria Pia Robotti

IPNOSI E SEDAZIONE CON PROTOSSIDO D’AZOTO IN ODONTOIATRIA INFANTILE: UN PROTOCOLLO CLINICO

INTEGRATO 1 Parole chiave: ipnosi, sedazione cosciente, protossido d’azoto, o-dontoiatria infantile.

Introduzione La sedazione con il protossido d’azoto nasce dall’intuizione di Ho-race Wells, giovane dentista di Hartford nel Connecticut il 10 di-cembre 1844. In occasione di una sagra paesana, un suo amico, sottopostosi volontariamente all’inalazione del gas esilarante, sco-perto 70 anni prima, ebbe una reazione euforica e violenta che sfociò in una rissa. Wells notò che l’amico ferito ad una gamba non mostrava alcun segno di sofferenza e, sorpreso da questa insensibi-lità al dolore, cominciò a sperimentare le proprietà del gas. A cau-sa di banali errori procedurali il primo esperimento a Boston fallì e lo sconforto di Wells fu tale che si suicidò. Qualche tempo dopo però, si cominciò ad usare il protossido d’azoto con buoni risultati e per la prima volta gli interventi chi-rurgici ed odontoiatrici furono resi un po’più confortevoli. Attualmente esistono sostanze molto più efficaci dal punto di vista

1 Comunicazione presentata al X Convegno Modalità di Intervento Psico-logico in Anestesia e Rianimazione, S.M.I.P.I., 30 maggio, Exposanità 2008 - Bologna.

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anestetico, ma tuttora questa metodica sedativa è un potente aiuto per alleviare gli stati ansiosi che la poltrona del dentista scatena in alcuni pazienti, soprattutto fra quelli in età pediatrica. La sedazione col protossido d’azoto è di tipo cosciente e pertanto necessita della collaborazione del paziente: l’imposizione non fun-ziona. Lo scopo del presente lavoro è porre in risalto il fatto che l’uso in-tegrato delle tecniche di induzione ipnotica in particolare e dell’approccio psicoterapeuico più in generale, è in grado di po-tenziare grandemente l’efficacia della sedazione stessa, nonché di ridurre del pari lo stress degli operatori professionali.

Cenni sul meccanismo d’azione del protossido d’azoto. Questo gas esplica la sua azione a livello del SRA (sistema reticola-re ascendente), formazione posta tra il talamo e la corteccia cere-brale, modulando la percezione del dolore e determinando quindi una analgesia relativa. Si instaura uno stato modificato della co-scienza nel quale ansia e paura sono diminuite o soppresse, grazie alla diversa interpretazione centrale dello stimolo doloroso. Altre azioni operativamente vantaggiose sono rappresentate dalla riduzione della secrezione salivare, dalla diminuita sensazione di possedere la mucosa orale (desensibilizzazione superficiale), dall’attenuazione del riflesso palatale, dallo stabilizzarsi dei para-metri cardiovascolari, grazie alla neutralizzazione dello stato d’ansia e della conseguente produzione endogena di adrenalina. Si ha altresì un abbassamento delle scariche di istamina e serotonina e un concomitante rilassamento del tono muscolare, che è alla ba-se di uno dei segni fondamentali, quale è quello del sentirsi “gam-be e braccia leggere”. Ruolo dell’ipnosi e della psicoterapia in odontoiatria infantile Il dentista insieme ai colleghi anestesisti e psichiatri è sottoposto a notevoli quantità di stress ed è pertanto ad elevato rischio sia per le malattie cardiocircolatorie (infarto e ictus), che per le alterazioni

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dello stato psichico: instabilità emotiva, alterazioni comportamen-tali, perdita di memoria (Alzheimer del dentista) e depressione. Pertanto rivestono la massima importanza le strategie che consen-tono di ridurre le cause dello stress e al tempo stesso di neutraliz-zarne gli effetti negativi. L’ipnosi, intesa come stato mentale fisiologico diverso dal sonno e dalla veglia, che coniuga in misura variabile le caratteristiche di en-trambi, è sia un formidabile strumento di comunicazione e intera-zione col piccolo paziente odontoiatrico impaurito e coi suoi talo-ra ancor più apprensivi familiari, che una validissima modalità di coping per il professionista e il suo team alle prese con situazioni potenzialmente stressanti. Le ricerche scientifiche hanno ormai ampiamente dimostrato che l’empatia nella relazione di cura comporta una maggiore soddisfa-zione dei pazienti e dei terapeuti. È assodato che i medici e gli o-dontoiatri che si dimostrano più vicini al paziente sono più com-petenti nel raccogliere l’anamnesi, ottengono maggiore collabora-zione e hanno più successo nei trattamenti in generale e coi bam-bini in particolare (Jeffrey Sherman, docente presso il Dipartimen-to di Medicina Orale dell’ University of Washington. Ricerca pub-blicata sul Journal of Dental Education). Il rapporto dentista-paziente pediatrico in particolare corrisponde appieno alle caratteristiche di un relazione psicoterapeutica, quale quella tratteggiata da Carl Rogers nella sua Terapia centrata sul cliente:

1. “Due persone sono in contatto psicologico.” Il pedo-donzista lavorando a 10 centimetri dal viso del bimbo non può non essere in stretto contatto psicologico con lui, pena l’interruzione delle procedure operative.

2. “La prima persona (cliente) è in uno stato di incon-gruenza, vulnerabilità o ansia”. Il piccolo paziente è, in quanto tale, fragile, spesso ansioso e impaurito, come talora anche i suoi genitori e “incongruente”. Per incongruenza si intende una di-screpanza fra l’esperienza reale dell’organismo e l’immagine di sé che l’individuo ha quando si rappresenta quell’ esperienza.

3. “La seconda (terapeuta) è congruo, liberamente e pie-namente se stesso nella relazione.”

4. “Il terapeuta prova considerazione positiva incondizio-

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nata nei confronti del cliente.” 5. “Il terapeuta prova considerazione empatica del sistema

di riferimento interno del paziente e si sforza di comunicargli questa esperienza”. La considerazione positiva incondizionata e la comprensione empatica del sistema di riferimento interno del giovanissimo paziente sono imprescindibili dall’accesso a qualsi-voglia forma di collaborazione del medesimo.

6. “Si verifica una comunicazione almeno parziale della comprensione empatica e della considerazione positiva incondi-zionata del terapeuta per il cliente.”

Il ruolo psicoterapeutico dell’odontoiatra infantile consiste quindi nel promuovere uno sviluppo costruttivo della personalità del pic-colo impaurito e dei suoi spesso ancor più ansiosi genitori. L’ipnosi quindi non va intesa come una mera tecnica alternativa alla sedazione farmacologia 2 con benzodiazepine per via orale o endovena, ma è da considerarsi nel più ampio contesto di un in-tervento psicologico che può integrarsi alla perfezione, ove risulti necessario, con l’utilizzo della sedazione con il protossido d’azoto.

Protocollo clinico La condizione essenziale è quella dell’instaurarsi di un rapporto sufficientemente buono col bambino e la sua famiglia e come per incanto allora ogni passaggio fluisce tranquillamente.

1. Preliminari 2. Induzione 3. Mantenimento 4. Risveglio e dimissione

1. Preliminari.

L’inserimento della tecnica della sedazione con il protossido d’azoto comporta la modificazione della conduzione dello studio, non tanto a livello strutturale, quanto soprattutto a livello mentale e comportamentale di tutti gli operatori. È bene che siano l’operatore stesso e i suoi collaboratori a provare per primi con l’autosomministrazione per poi essere in grado di sapere “cosa” e

2 Che spesso hanno un effetto paradosso: per mantenere la vigilanza sulla situazione vissuta come pericolosa l’ansia aumenta.

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“come” succede. Altro passaggio fondamentale è quello dell’accettazione da parte dei genitori e del bambino. Qui si apre il capitolo riguardante il come comunicare la metodica ai parenti in primo luogo e poi, ottenuto il loro consenso scritto, ai bambini. Si utilizza una descrizione a voce e si programma la prima visita. Questo rappresenta uno straordinario campo di applicazione per l’ipnosi: “Vieni che andiamo sull’astronave…”, “Dai che ti faccio fare un giro sulla giostra…”, “Come sul tappeto volante…”. Tutto funziona: programmazione neurolinguistica, metafore, suggestioni e rinforzi positivi a piene mani, rilassamento muscolare progressi-vo, ristrutturazione dell’esperienza e anticipazione di eventi positi-vi, che seguiranno la seduta. L’unica regola è veramente, come af-fermava Erickson, quella che “esiste sempre un’eccezione”.

2. Induzione.

Essenziale che il genitore venga istruito a rimanere in silenzio per-ché la sua voce costituirebbe un richiamo troppo forte per il bim-bo, che uscirebbe subito dal suo stato di rilassamento. Il ritmo del-la voce dell’operatore accompagna quello del respiro del piccolo paziente e lo guida progressivamente verso una successione lenta, tranquilla e regolare. Lo stesso dicasi per il genitore che spesso nel setting pedodontico funge da mamma-poltrona o papà-poltrona con il figlio sdraiato sopra .Utile tutto ciò che piace ai bimbi: fila-strocche, ninnananne, rime buffe. Spesso i genitori spontaneamen-te riferiscono di essersi rilassati anche loro, pur non facendo la se-dazione con il protossido. Importante favorire poi l’accettazione naturale di tutto ciò che accade, astenendosi dal voler per forza attribuire definizioni troppo specialistiche (trance, levitazione ec-cetera) anche perché superflue ai fini del buon andamento della seduta.

3. Mantenimento.

Durante questa fase c’è un distacco temporo-spaziale del bambino dall’ambiente che lo circonda ed è pertanto di grande rilevanza il compito dell’odontoiatra che con l’accompagnamento continuo della sua voce determina lo svolgersi dell’operatività. L’assistenza è totale, si anticipano a voce i singoli passaggi e si mimano i gesti prima di eseguirli.

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4. Risveglio e dimissione.

Come tutte le altre fasi, anche questa si svolge con lentezza e con l’accompagnamento totale. Si conta lentamente fino a tre e si dà la suggestione di prendersi tutto il tempo che serve. Si somministra-no 3 minuti di ossigeno e con gli ultimi rinforzi positivi e le ultime istruzioni al genitore si effettua la dimissione. In conclusione l’ipnosi è applicabile durante ogni singola fase del-la procedura clinica ed è vantaggiosamente percepita da tutte le persone coinvolte. Progressivamente nel corso delle sedute l’ansia lascia il campo ad una serena collaborazione. Il bambino supera la paura e dopo qualche tempo abbandona spontaneamente il sup-porto della sedazione e si sottopone di buon grado alle cure ne-cessarie con grande soddisfazione della famiglia e del dentista. La paura è stata vinta:sarà stata l’ipnosi ad aiutare la sedazione o viceversa? Forse non è poi così importante rispondere dal momen-to che si integrano con grande facilità.

Bibliografia 1.Arone di Bertolino R. - L’ipnosi per un medico Edizioni Martina Bologna, 2003 2.Olivi R. Olivi F. - Odontoiatria infantile pratica Edizioni Martina Bolo-

gna, 2007 3.Rogers R. - La terapia centrata sul cliente Psycho Martinelli Firenze,

1994 4.Wright G. Starkey P. Gardner D. - Managing children’s behavior in the

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paziente pedodontico Dent. Mod. Maggio2008

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Maria Pia Robotti IPNOSI E SEDAZIONE CON PROTOSSIDO D’AZOTO IN

ODONTOIATRIA INFANTILE: UN PROTOCOLLO CLINICO INTEGRATO

Parole chiave: ipnosi, sedazione cosciente, protossido d’azoto, odontoia-tria infantile.

RIASSUNTO Il presente articolo illustra l’aspetto psicologico dell’odontoiatria infantile e la centralità del ruolo di una buona relazione tra il dentista e i suoi gio-vani pazienti al fine di ottenere il successo terapeutico. L’approccio psico-logico integrato con l’ipnosi e la sedazione cosciente offre una straordina-ria opportunità di instaurare un clima di fiduciosa tranquillità anche in quei casi in cui l’ansia e la paura raggiungono livelli molto elevati.

Maria Pia Robotti

HYPNOSIS AND CONSCIOUS SEDATION WITH NITROUS OXIDE IN PEDIATRIC DENTISTRY: A CLINICAL INTEGRATED APPROACH.

Key words: hypnosis, conscious sedation, nitrous oxide, pediatric den-tistry.

SUMMARY This article illustrates the psychological aspects in the treatment of chil-dren and the central role of a good relationship between the dentist and his young patients in order to achieve the best therapeutical results. The psychological approach combined with hypnosis and conscious sedation offers an extraordinary chance to establish the necessary conditions of a calm and trustful environment even when fear and anxiety are very high. L’Autrice Dr.ssa Maria Pia Robotti medico, specialista in Odontostomatologia, specialista in formazione in Psicoterapia ed Ipnosi Clinica S.M.I.P.I. Corso Porta Nuova 50, 37122 VERONA VR tel. 045.8003418 - 338.6291451

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Ugo Corrieri

TERAPIA INTEGRATA DEL GIOCO D’AZZARDO

PATOLOGICO Parole chiave: gioco d’azzardo, gioco d’azzardo patologico, psico-terapia, neuroscienze, addiction, SerT, terapia familiare, caso clini-co, approccio sistemico-relazionale simbolico-esperienziale.

Premessa

Il gioco d’azzardo patologico (acronimo: GAP) fa parte delle co-siddette “dipendenze senza sostanze” o “comportamentali”. Il fe-nomeno viene spesso sottostimato: vari autori ritengono che inte-ressi circa il 3% dell’intera popolazione italiana, vale a dire quasi due milioni di persone, ed ai servizi pubblici per le dipendenze (SerT) si presentano sempre più spesso individui e famiglie con problemi di GAP. La Regione Toscana considera il gioco d’azzardo patologico un problema di salute pubblica: nel Piano Sanitario Regionale (PSR) 2005-2007 si è impegnata ad individuare specifici percorsi assi-stenziali; ha promosso corsi di formazione e nel recente PSR 2008-2010 si propone di valutarne l’introduzione nei livelli essenziali di assistenza (LEA).

Il gioco d’azzardo in Italia

Giochi d’azzardo sono quelli nei quali c’è una posta in palio e l’esito dipende da fattori che sono fuori della portata del giocato-

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re. Si tratta di giochi che oggi sono alla portata di tutti, presenti in quasi tutti i luoghi di aggregazione, per cui le persone, grazie an-che alle massicce campagne pubblicitarie in atto, sono sottoposte a stimoli pressanti che alimentano un mercato in espansione. Alcuni dati: l’Italia è risultata nel 2004 la prima nazione al mondo per la spesa pro-capite per gioco d’azzardo: 500 euro a testa. La spesa è lievitata da 18 miliardi di euro nel 2002 a 46,5 miliardi di euro nel 2008. Giocano oltre 30 milioni di Italiani. Il gioco d’azzardo è, per fatturazione, la quinta industria italiana dopo Fiat, Telecom, Enel e Ifim! Dai pochi giochi presenti all’inizio degli anni ‘90, essenzialmente totocalcio, lotto e scommesse alle corse dei cavalli, si è passati oggi a innumerevoli offerte diversificate: tre volte a settimana vengono estratti lotto e superenalotto, le lotterie istantanee sono pressoché ubiquitarie , sono presenti in Italia (dati 2006) 242 sale bingo, ol-tre 200.000 slot machine, 1.400 sale scommesse; aumentano con-tinuamente le offerte di scommesse su Internet, esistono “call cen-ter” telefonici per il gioco del lotto.

Psicologia del gioco d’azzardo Il gioco rappresenta un elemento indispensabile dell’esperienza umana, è presente fin dalle prime fasi della vita di ognuno di noi e costituisce una dimensione capace di elargire gioia e liberare l’uomo dalla ripetitività dell’esistenza (Eugen Fink, 1957). Dal punto di vista neurofisiologico, secondo Panksepp (1998) tra i meccanismi funzionali cerebrali profondi vi è un vero e proprio “sistema del gioco”. Tutti i giovani mammiferi, inclusi gli umani, sembrano avere necessità di giocare ed avere bisogno di una certa quantità di gioco. Il gioco sembra funzionare in accordo a sistemi omeostatici simili a quelli che regolano le funzioni di base, quali il sonno e si ritiene che il gioco rivesta un ruolo estremamente im-portante nello sviluppo dei mammiferi, uomo compreso. Pan-ksepp ipotizza ad esempio che l’epidemia di “Disturbo da deficit dell’attenzione con iperattività” nelle odierne città americane sia dovuta al fatto che questi bambini non possono fruire della neces-saria quantità di gioco, di contatto corporeo e di lotta.

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Huizinga (1950), attribuisce addirittura al gioco un ruolo fonda-mentale nello sviluppo della civiltà come primo “operatore cultu-rale” e sostiene che ogni attività umana e ogni aspetto della vita possa essere ricondotto al gioco. Caillois (1958) distingue quattro tipologie: giochi di Agon (compe-tizione), giochi di Mimicry (imitazione), giochi di Alea (rischio) e, per finire, giochi di Ilinx (vertigine). Nei giochi di Agon è presente la padronanza del sé, mentre in quelli di Alea l’individuo assume un ruolo di passività dinanzi alla “cecità della sorte”. Agon e Alea esprimono atteggiamenti opposti e simmetrici, pur obbedendo a una stessa legge: la creazione artificiale fra i giocatori di un’uguaglianza assoluta che nella realtà è negata agli uomini. Se-condo Caillois, “in tutti i giochi non si tratta di vincere su un avver-sario, ma sul destino”. Comunque sia, l’esperienza ludica può divenire talmente coinvol-gente per cui il gioco, da elemento “magico”, può diventare “de-moniaco” e ci espone al rischio di immergerci in un clima “incan-descente” tipico, ad esempio, del gioco d’azzardo. In realtà, il gioco d’azzardo è un modo di cui dispone l’uomo per poter “gareggiare con il proprio destino”, nell’illusione di control-larlo (anche solo nell’intervallo di una scommessa). Per quanto un individuo non si dichiari un “giocatore”, difficilmente rimane im-passibile di fronte alla tensione che avvolge la mente di chi attende l’esito della propria sorte… Vari Autori ritengono che il cuore del problema stia proprio nel desiderio di «controllare l’incontrollabile». Quasi tutte le teorie sul gioco d’azzardo confermano inoltre che questo senso di onnipo-tenza, che caratterizza il giocatore, può essere variamente messo in relazione a qualche forma d’insoddisfazione, debolezza o incertez-za; il gioco corrisponde a un bisogno d’immediato sollievo e prati-carlo produce un senso di potere che può essere estremamente gratificante. Nel gioco d’azzardo si ripetono alcuni valori che svolgono un ruo-lo rilevante nella nostra società: l’audacia, la competitività, la capa-cità di approfittare delle situazioni e di assumersi rischi. Ma una cosa sembra differenziare dagli altri attori sociali i giocatori d’azzardo: la loro tipica irragionevolezza. Caratteristici, infatti, sono numerosi pensieri erronei in relazione

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al gioco, in cui entra sempre in azione il pensiero magico. Il gioca-tore non può accettare che il gioco d’azzardo sia governato dal ca-so e si illude di poterlo in qualche modo controllare. Fano parete di questa modalità arcaica di pensiero le “quasi vinci-te” (Reid, 1986), quegli insuccessi che sono vicini ad essere succes-si: danno la percezione di aver sfiorato la vittoria e che insistendo nelle giocate questa dovrà per forza arrivare. Giochi come il “gratta e vinci”, i videopoker, le slot machine sono strutturati in maniera da garantire un’alta percentuale di “quasi vincite”. Altra idea erronea è la “fallacia di Montecarlo” (Cohen, in: Dicker-son, 1984): il giocatore considera le probabilità di un evento come cumulative anziché indipendenti tra loro. I numeri ritardatari sem-brano avere maggiori probabilità di uscire e nella folle rincorsa al numero ritardatario gli scommettitori incalliti sentono la vittoria a portata di mano. Vi è poi la “illusione di controllo” (Langer, 1975), una aspettativa di successo personale maggiore di quanto la probabilità oggettiva possa garantire, come nel caso della roulette in cui i giocatori pas-sano la serata ad annotare sistematicamente tutti i numeri che e-scono, allo scopo di usare queste informazioni per piazzare una puntata vincente. Allo stesso modo Henslin (1967) descrisse come nel gioco dei dadi possiamo pensare che il lanciarli con più o me-no forza possa farci ottenere un numero più o meno alto. Pare che alcuni individui siano maggiormente sedotti dal fascino del gioco d’azzardo per amore del rischio e del brivido, in base alla teoria del “sensation-seeking” e “risk-taking” di Zuckerman (1983), che considera la ricerca di forti sensazioni un tratto di personalità che sta alla base del comportamento di ricerca del “rischio”. Il gioco, in ogni caso, è anche un’attività sociale e competitiva, in quanto c’è sempre un avversario contro cui ci si deve scontrare: può essere il casinò, l’allibratore, lo Stato o il Destino. L’“incertezza dell’esito” e il “rischio” sono la parte essenziale del gioco (Kusyszyn, 1984) e procurano al giocatore stimolazioni co-gnitive, emozionali e fisiche.

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Dal Gioco d’Azzardo (GdA) al Gioco d’Azzardo Patologico (GAP)

Il fenomeno del gioco d’azzardo presenta una serie di passaggi progressivi che vanno dal gioco occasionale a quello abituale, quindi al gioco problematico e infine al gioco patologico: un con-tinuum che inizia da un approccio apparentemente inoffensivo, quale spazio ricreativo fondato sul divertimento e la socializzazio-ne, sino a giungere ad un atteggiamento abusante da parte del gio-catore, che può arrivare a compromettere globalmente la sua esi-stenza. Si tratta di un percorso a tappe in cui il giocatore può sce-gliere, più o meno consapevolmente, di fermarsi o procedere drammaticamente fino a che il gioco, da fonte di sensazioni, può trasformarsi in un’attività di “addiction” di cui il giocatore non ha più il controllo, per sfociare nella patologia e nella assunzione di condotte a rischio. A questo punto l’“innocuo divertimento” si è trasformato in una grave malattia che può divenire, come per la dipendenza da sostanze, il centro attorno a cui il giocatore struttu-ra una vita sempre più degradata, dove viene sopraffatto dall’impulso a giocare, dal bisogno di rischiare, dalla ricerca conti-nua della vincita anche di fronte a perdite sempre più devastanti. La prima classificazione riguardo l’evoluzione del GAP fu quella di Custer (1978, 1984), che identificò cinque fasi: 1) l’inizio, spesso casuale; 2) la fase vincente; 3) la fase perdente; 4) la fase della di-sperazione; 5) la fase della resa, in cui il giocatore cerca aiuto. Blaszczynski (1998) ha proposto di considerare tre gruppi di gio-catori patologici: i giocatori normali, i disturbati emotivamente e infine coloro che presentano disfunzioni neurologiche o neuro-chimiche ed evidenziano impulsività e deficit di attenzione. Guerreschi (2000, 2006, 2006, 2008) sostiene una distinzione in sei gruppi: 1) Giocatori d’azione con sindrome da dipendenza; 2) Giocatori per fuga con sindrome da dipendenza; 3) Giocatori so-ciali costanti; 4) Giocatori sociali adeguati; 5) Giocatori antisociali; 6) Giocatori professionisti non patologici. Storicamente, già nel 1945 Otto Fenichel propose di raggruppare sotto il nome di “addiction” non solo le tossicodipendenze ma an-che tutta una serie di “tossicomanie senza droga”, cioè le attuali dipendenze comportamentali: un lungo elenco che va dal gioco

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d’azzardo alle dipendenze alimentari e affettive; dalle dipendenze da televisione, da telefonino, da internet (e da e-mail) allo shop-ping compulsivo; dalle dipendenze da sesso e da pornografia a quelle da lavoro e da esercizio fisico, da videogiochi e da rischio (cleptomania, piromania)… Varie ragioni inducono a collocare tutto quanto sopra elencato nel quadro comune delle dipendenze: l’importanza degli aspetti co-muni (“overlaps”); la frequenza della coesistenza o del passaggio dall’una all’altra; la ripetizione in tutti i casi di una condotta pre-vedibile; la costante implicazione del circuito diencefalico della ri-compensa; la similitudine delle varie proposte terapeutiche.

Aspetti sociali e familiari del GAP Anche nel gioco d’azzardo, una volta instaurata la dipendenza, il gioco diviene compulsivo, sfugge alla volontà e al controllo della persona e può divenire devastante, fino all’alienazione dalla realtà con personificazione della macchinetta, della roulette, delle carte, del “gratta e vinci”. Le persone sono sempre più esposte e stiamo già pagando costi sociali elevati: minore produttività lavorativa dei giocatori d’azzardo, spese della sanità pubblica per sostenere le persone che sviluppano questa dipendenza, aumento della criminalità per gio-catori che cercano di procurarsi illegalmente denaro al fine di pa-gare i debiti accumulati con le perdite; adolescenti che sviluppano comportamenti problematici. Quasi sempre sono i familiari dei giocatori patologici che prima colgono i segni della patologia in atto e poi, dopo numerosi vani tentativi di dissuasione, ricercano un aiuto, spesso vissuto come “ultima spiaggia”, per riuscire a modificare un comportamento compulsivo ed una situazione relazionale che quasi sempre hanno già portato la famiglia sulla soglia del dissesto economico, con un accumulo di ipoteche e debiti che, in tanti casi, non potranno es-sere onorati… Quando la richiesta di aiuto viene direttamente dai giocatori, que-sti di solito sono già in una situazione di gioco d’azzardo patologi-co estremamente avanzata; la situazione familiare è generalmente

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compromessa; se c’è ancora, il partner appare in difficoltà e forse sta valutando di separarsi. Spesso i giocatori d’azzardo hanno figli: bambini che, secondo re-centi inchieste statunitensi, presentano gravi problemi anche di tipo psicologico, un maggiore rischio di suicidio, maggiori possibi-lità di abuso di alcool ed uso di droghe, un calo nei risultati scola-stici, maggiori possibilità di diventare giocatori patologici e spesso sono, o comunque si sentono “psicologicamente abbandonati”. Accade quasi sempre che il coniuge si occupi in un modo estre-mamente attivo del partner giocatore e quindi i figli sperimentano una carenza di cure parentali. Inoltre, i bambini cercano di non essere d’intralcio: può sembrare che abbiano bisogno di minore presenza ed affetto, ma in realtà soffrono dei conflitti genitoriali ed hanno un profondo senso di insicurezza; possono sentirsi respon-sabili di ciò che accade ai genitori, così come possono sviluppare modelli di attaccamento insicuro (Bowlby, 1979, 1988; Siegel, 1999), in particolare quello evitante, ambivalente o addirittura - se la figura di attaccamento incute loro paura o spavento - disorga-nizzato.

Neurobiologia e terapia integrata Così come accade negli altri quadri di dipendenza, anche il gioco d’azzardo patologico coinvolge sia gli aspetti biologici e psicologici della persona, sia il suo mondo familiare e relazionale interperso-nale allargato, per cui occorre mettere in atto un processo tera-peutico integrato, finalizzato a trattare l’intero sistema bio-psico-sociale del paziente. Le attuali conoscenze neuroscientifiche (Damasio, 1994, 1999, 2003; Edelman, 2006; Kandel, 2005; LeDoux, 2002; Siegel, 1999; Solms e Turnbull, 2002) ci dimostrano come la mente emerga dal-le attività del cervello ed in particolare si formi all’interno delle in-terazioni tra processi neurofisiologici interni ed esperienze inter-personali. Specificamente, lo sviluppo delle strutture e funzioni cerebrali di-pende dalle modalità con cui le esperienze, specialmente legate a relazioni interpersonali, influenzano e modellano i programmi di

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maturazione geneticamente determinati del SNC: le connessioni umane plasmano lo sviluppo delle connessioni nervose che danno origine alla mente. Le persone possono crescere durante tutta la loro esistenza: la maturazione della mente non si arresta con l’adolescenza e le relazioni interpersonali continuano per tutta la vita a influenzare la nostra mente. Le emozioni, in particolare, hanno un ruolo centrale nelle attività del cervello. Sono mezzi di comunicazione che ci permettono di percepire gli stati della mente degli altri tramite empatia, rispec-chiamento, sintonia (dimensione fondamentale dell’esperienza umana: è estremamente importante poter identificare gli stati e-motivi degli altri, ci permette di comprendere le interazioni sociali e di prevedere il comportamento delle altre persone). Le emozioni inoltre sono alla base dei processi di attribuzione di significati; di-rigono, organizzano, amplificano e modulano l’attività cognitiva ed a loro volta costituiscono l’esperienza e l’espressione di tale attività (per cui la divisione tra processi emotivi e cognitivi è artificiale). Nel sistema mente/cervello, i circuiti che mediano le esperienze sociali sono intimamente connessi con quelli che regolano la attri-buzione di significati, la regolazione delle funzioni dell’organismo, la modulazione delle emozioni, l’organizzazione della memoria, le capacità di comunicazione: da tutto ciò deriva una neurobiologia interpersonale della mente, che deve essere sempre vista nel con-testo delle relazioni interpersonali. Le emozioni, infine, sono processi integrativi che collegano tutte le funzioni e le attività della mente. Anche se possono essere definite come esperienze soggettive che coinvolgono componenti neuro-biologiche, esperienziali e comportamentali, sono di fatto l’essenza della mente. È fondamentalmente attraverso comunicazioni emoti-ve che le menti di due individui possono entrare in connessione, e durante le prime fasi della vita i pattern di comunicazione inter-personale che si stabiliscono con le figure di attaccamento influen-zano direttamente la modulazione delle strutture cerebrali che mediano i nostri processi di autoregolazione. Ulteriore elemento fondamentale: nel sistema mente/cervello la stabilità è raggiunta attraverso una tendenza alla massimizzazione della complessità, che non deriva da attivazioni casuali, ma è in-crementata da un equilibrio fra continuità e flessibilità.

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La continuità nel tempo del flusso degli stati della mente è genera-ta in parte da vincoli interni, cioè le connessioni neuronali che so-no state create in base a fattori costituzionali ed esperienze. In questo modo, il sistema si muove verso livelli crescenti di com-plessità mantenendo, di fronte a pattern di attivazione nuovi e sconosciuti, elementi di continuità, identità e familiarità che sono garantiti dalla sua stessa struttura. Nello stesso tempo, i suoi com-portamenti possono indurre risposte all’ambiente, e quindi pla-smare vincoli esterni. L’equilibrio fra flessibilità e continuità, tra novità e familiarità, tra certezza e incertezza consente al sistema dinamico del cervello di massimizzare la sua complessità coinvol-gendo gruppi neuronali diversi in interazioni sempre più sofistica-te. Tutte le esperienze che favoriscono lo sviluppo delle capacità di processing dei due emisferi e/o favoriscono l’integrazione delle lo-ro attività possono migliorare la vita interiore e interpersonale de-gli individui. Cambiamenti che portano maggiore coordinamento delle funzioni dei due emisferi possono essere accolti con grande favore da mol-te persone, mentre viceversa relazioni ed esperienze che hanno portato a una mancanza di integrazione delle funzioni dei due e-misferi possono determinare una particolare vulnerabilità nei con-fronti di problemi emotivi e sociali. Relazioni interpersonali che facilitano lo sviluppo di entrambi gli emisferi e l’integrazione delle loro funzioni favoriscono il benesse-re psicologico. Dialoghi “riflessivi” in cui il linguaggio viene utiliz-zato per descrivere stati della mente di altre persone, inclusi i due membri della coppia, possono favorire l’integrazione bilaterale fra i due emisferi, nel bambino come nell’adulto. Le relazioni inter-personali possono fornire esperienze di attaccamento che permet-tono simili cambiamenti neurofisiologici anche nelle fasi più adul-te o più tardive della vita di ogni individuo ed il cambiamento può avvenire a ogni età. Percorsi di crescita emozionale posso essere possibili attraverso vari tipi di relazioni interpersonali, anche del tutto naturali, quali amicizia, matrimonio e così via, le quali possono proseguire per tutta la vita a influenzare lo sviluppo della mente. In particolare, poi, le relazioni terapeutiche possono favorire la

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maturazione di processi di autoregolazione più efficaci, e questo rappresenta un meccanismo fondamentale di funzionamento della psicoterapia. Occorre sottolineare con forza che in psicoterapia gli approcci strettamente razionali e logici possiedono di necessità una utilità limitata. Occorre infatti cercare di favorire lo sviluppo delle capaci-tà di sintonizzazione affettiva ed attivazione dei processi mediati dall’emisfero destro, allo scopo di favorire la scoperta di nuovi modi di vedere se stessi e il mondo e divenire maggiormente con-sapevoli delle emozioni e degli stati della mente propri e altrui. Da qui, l’estrema importanza di percorsi e processi terapeutici che comprendano l’intero sistema emotivo-cognitivo-motivazionale (tra le quali ad esempio anche idonee tecniche di ipnosi diretta e/o indiretta, così come approcci sistemico-relazionali-simbolico espe-rienziali che spazino dall’intrapsichico al relazionale allargato). In tal modo, nel tempo i processi mediati dall’emisfero destro in-fluenzeranno i comportamenti e le relazioni interpersonali (e vice-versa). Nella relazione psicoterapeutica avvengono quindi processi di sin-tonizzazione e di risonanza emozionale e di conseguenza possono emergere nuovi modelli del Sé e del Sé in rapporto con gli altri, da cui una più efficace ricerca di connessioni affettive, a cui seguono a cascata maggiori capacità di integrazione, processi narrativi più co-erenti, un approccio alla vita più ricco e complesso. Quali che siano le sue specifiche tecniche, uno dei principali com-piti del terapeuta è sempre e comunque quello di essere in grado di recepire i segnali non verbali che rivelano gli stati emozionali primari dei pazienti e condividere tali stati, anziché limitarsi a comprenderli. In realtà, tutti abbiamo bisogno di stabilire con gli altri forme di comunicazione intime e dirette che, permettendo l’instaurarsi di stati di sintonizzazione affettiva e di risonanza men-tale, ci aiutino a organizzare i nostri processi interni. Le relazioni interpersonali specializzate che si stabiliscono nell’ambito di una psicoterapia forniscono al paziente un ambiente sicuro, in cui può incominciare ad esplorare le sue esperienze pre-senti e passate. Terapeuta e paziente possono entrare in stati di risonanza mentale che permettono la creazione di un sistema dia-dico, in cui processi di sintonizzazione affettiva favoriscono lo svi-

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luppo di capacità di regolazione più efficaci e il movimento verso una maggiore complessità. Il terapeuta deve essere in grado di percepire i segnali non verbali e rispondere non solo con le parole ma cercando di accordare i suoi stati della mente con quelli del paziente. Fra gli stati emozio-nali primari, psicobiologici, dei due individui può così crearsi una risonanza diretta. L’espressione e la percezione dei segnali non verbali sono mediate principalmente dall’emisfero destro; queste forme di comunica-zione non verbale costituiscono un aspetto fondamentale del rap-porto terapeuta-paziente e di tutte le relazioni interpersonali emo-tivamente coinvolgenti e possono essere considerate come il risul-tato di processi di risonanza fra gli emisferi destri delle due perso-ne coinvolte. Un ruolo importante hanno ovviamente anche gli emisferi sinistri, che sono coinvolti negli scambi verbali e nelle riflessioni logiche sul presente e sul passato del paziente, così come sulla stessa e-sperienza della terapia. Le funzioni di “interprete” dell’emisfero sinistro cercano di dare un senso alle esperienze dell’individuo e di organizzarne i processi narrativi. I processi narrativi rivestono un ruolo fondamentale: quello di conferire un senso alle nostre esistenze e collegare tra loro le nostre menti. Le storie sono trasmesse di generazione in generazione. La psiche di chi ha partecipato al nostro sviluppo continua a vivere in noi, nella struttura della nostra storia. Da qui l’importanza di allargare il campo terapeutico almeno al trigenerazionale. Molte relazioni interpersonali possono favorire cambiamenti nella vita dell’individuo che si riflettono in una diversa costruzione dei suoi processi narrativi. Azione fondamentale dei processi narrativi, tra cui quelli che si tengono in psicoterapia, è quello di permettere alle persone di raggiungere una maggiore coerenza nella loro mente e nei rappor-ti con gli altri, e quindi di vivere meglio. Lo sviluppo di narrazioni coerenti, che costituisce uno degli obiet-tivi principali di tutti i tipi di terapia, coinvolge molto probabil-mente una risonanza di processi mediata da due emisferi cerebrali: dal momento che si richiede una coerenza sia logica sia emotiva.

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Nell’ambito della relazione terapeutica la co-costruzione di narra-zioni può quindi essere in ultimo considerata come il risultato di una risonanza interemisferica all’interno delle menti di terapeuta e pazienti. Da un punto di vista neurofisiologico, nel sistema terapeu-ta/paziente il flusso degli stati può raggiungere progressivamente maggiori livelli di complessità mano a mano che gli individui rie-scono a stabilire stati di risonanza interemisferica più coerenti, at-traverso processi di sintonizzazione mediati da comunicazioni ver-bali, da emisfero sinistro a emisfero sinistro, e non verbali, da emi-sfero destro a emisfero destro. La psicoterapia può catalizzare un processo integrativo fondamentale facilitando lo sviluppo di stati di risonanza bilaterali, in cui la mente del paziente e quella del te-rapeuta possono essere immerse in intensi stati emozionali primari e nello stesso tempo concentrate su esplorazioni narrative riflessi-ve. Il sistema mente/cervello è un sistema complesso. Può essere sconvolto da tempeste mentali generate da complicate interazioni fra influenze genetiche e storie di conflitti familiari, e sia i disturbi ereditari, sia gli adattamenti a esperienze traumatiche possono a-vere profondi effetti sulla realtà delle nostre vite soggettive. Per aiutare i pazienti a raggiungere livelli di organizzazione del sé più equilibrati e soddisfacenti possono di volta in volta essere utili strumenti terapeutici differenti, da trattamenti farmacologici a psi-coterapie e metodi di aiuto vari, individuali e di gruppo. Ma in ogni caso, indipendentemente dagli strumenti e dalle tecni-che impiegate, perché si possa stabilire una relazione terapeutica efficace è necessario un profondo impegno del terapeuta a com-prendere e a condividere le esperienze del paziente. Non deve mai dimenticare che le esperienze interpersonali plasmano le strutture e le funzioni del cervello da cui emerge la nostra mente, stimolan-do la formazione di nuove connessioni sinaptiche e alimentando processi di sviluppo che possono continuare per tutta la vita e co-involgere anche i circuiti neurali implicati in funzioni integrative. La relazione terapeuta-paziente riflette, in realtà, quella che do-vrebbe essere l’essenza delle relazioni umane: comprendere e ac-cettare gli altri per ciò che sono, cercando contemporaneamente di alimentare una ulteriore crescita e integrazione ed un continuo

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sviluppo nella singola mente e nelle menti di più individui che in-teragiscono tra loro, in una complessa interdipendenza biologica dei nostri mondi interni e sociali. Lo stabilirsi di connessioni dirette fra le menti coinvolge una forma di risonanza in cui energia e informazioni possono fluire libera-mente da un cervello all’altro. È in questi momenti particolarmen-te intensi, in questi stati di risonanza interpersonale, che riusciamo veramente ad apprezzare come le relazioni con gli altri possano nutrire e curare le nostre menti.

L’approccio sistemico-relazionale-simbolico-esperienziale Nel campo delle dipendenze oramai molteplici Autori, anche negli USA (Miller e Carroll, 2006), sostengono l’importanza di guardare al di là dell’individuo e comprendere i problemi nel contesto di vita allargato, per individuare le cause, trovare le soluzioni e forni-re una cura completa. Anche in questo senso, occorre essere capaci di interventi com-plessi: se da una parte è necessario tenere lo sguardo concentrato sul paziente, comprendendo e inquadrando i suoi sintomi anche secondo categorie descrittive (diagnosi secondo DSM e ICD), dall’altra parte dobbiamo essere allo stesso tempo capaci di “rove-sciare l’imbuto”, allargando lo sguardo alle relazioni della persona: sia col suo mondo intrapsichico sia coi fenomeni interpersonali (familiari, sociali) ed i contesti in cui hanno luogo. In questo mo-do, emozioni, pensieri e comportamenti si possono leggere in un’ottica circolare, in cui quelli di ognuno sono in rapporto con quelli degli altri, di cui sono causa e ne sono al tempo stesso cau-sati. Occorre valutare ogni fenomeno nella prospettiva dell’intero a cui appartiene, che va considerato dotato di caratteristiche sue proprie, un vero e proprio sistema con le sue regole (e non una semplice somma di parti scomponibili). I vari sistemi umani sono insiemi di unità interagenti tra loro e bi-sogna cogliere l’importanza sempre fondamentale del contesto, l’interdipendenza e interrelazione di tutti i fenomeni: la modifica-zione di uno dei quali influenza gli altri. Con i pazienti, così come in ogni situazione umana, può accadere che un fenomeno rimanga

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per noi inspiegabile finché il nostro campo di osservazione non diventi abbastanza ampio da includere tutto il contesto in cui il fe-nomeno si verifica. Prive di contesto, le parole e le azioni non hanno significato. Inoltre, il concetto di “paziente”, secondo quest’ottica, si può e-stendere all’intero sistema di relazioni familiari e sociali a cui egli appartiene e l’unità di cura non è più il singolo individuo ma di-viene il suo intero sistema di relazioni - relazioni terapeutiche e coi servizi comprese. In un’ottica multidimensionale, operatori di di-versa estrazione culturale e scientifica possono trovarsi a lavorare assieme sullo stesso caso clinico, sviluppando abilità di negozia-zione e di cooperazione, utilizzando i diversi punti di vista e le di-verse “verità scientifiche” di cui sono depositari. Tutto ciò, come stimolo ed opportunità insostituibili per indagare i fenomeni vi-venti nella loro intrinseca complessità. Ovviamente non è possibile che tutti gli operatori diventino tera-peuti esperti, ma occorre cominciare a costruire una nuova figura di “operatore della salute”, che sia in grado di osservare, di ascol-tare, di sintonizzarsi con le proprie emozioni e con quelle degli altri, di negoziare le scelte, di costruire metafore linguistiche, di mescolare il linguaggio della scienza con quello delle emozioni, di “complessizzare” ed umanizzare i luoghi di cura, portandovi den-tro anche la propria storia personale con i motivi che soggiacciono alla proprie scelte professionali: in modo da attivare analoghe ca-pacità terapeutiche nei pazienti e nelle famiglie e di attivare le e-normi potenzialità di cambiamento che ogni sistema umano pos-siede. L’approccio sistemico-relazionale-simbolico-esperienziale (Andolfi, 2003; Bertrando e Toffanetti, 2000; Bogliolo, 2008; Bruni e Defi-lippi, 2007; Gurman e Kniskern, 1991; Hoffman, 1981; Mitchell, 2000; Petrini e Zucconi, 2008; Telfener e Casadio, 2003; Togliatti Malagoli e Telfener, 1991) permette il recupero di un approccio olistico ai problemi, prestando attenzione sia al biologico sia all’intrapsichico, così come ai fenomeni interpersonali e ai contesti in cui essi hanno luogo. Mentre si effettuano terapie integrate (con uso di farmaci, psicoterapia, interventi socio-riabilitativi), permette di valutare ogni fenomeno nella prospettiva complessiva, tramite concetti di sistema, organizzazione, autoregolazione, causalità cir-

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colare, equifinalità; tende a connettere progressivamente le molte-plici reti della vita comunitaria e restituisce ogni individuo alla molteplicità di contesti cui appartiene e che continuamente con-tribuisce ricorsivamente a costruire. Nel caso della terapia di una famiglia, essa va considerata “come se” fosse un sistema autocorrettivo, stabilmente collegato, tenden-te all’omeostasi. Il sintomo del paziente, in questo modo, acquista nuovi significati: non più solo disagio individuale, ma malessere ricollegato a un’organizzazione disfunzionale del sistema nella sua totalità, in cui il portatore del sintomo esprime, anche a nome de-gli altri membri del sistema, le difficoltà legate alla crescita ed all’evoluzione. In generale, occorre lavorare sia sull’interazione (osservabile nel “qui e ora”), sia sulla relazione (aspetto profondo sottostante, non sempre osservabile, a cui l’individuo partecipa con le sue emozio-ni, aspettative, motivazioni). Si lavora sulle storie transgenerazio-nali e sul recupero del passato; sul ciclo vitale; sulle soggettività individuali; sui miti e fantasmi familiari; usiamo il colloquio rela-zionale ispirato al dialogo ed alla co-costruzione della relazione. Nell’approccio sistemico vi è apertura verso altri paradigmi, quali quelli cognitivo-costruttivisti, evolutivi, psicodinamici, neuroscien-ze, modelli biologici e medici: tutti utilizzabili flessibilmente se-condo l’ottica della complessità. L’osservatore fa parte del sistema osservato. L’osservatore non è neutrale, non è esterno e l’osservazione non è a senso unico, bensì è attività di scambio tra soggetti attivi, è un processo dinamico di costruzione della realtà, tramite l’ interazione tra i livelli complessi del sistema percettivo, emotivo e immaginativo dell’osservatore e del sistema osservato. In questo processo, soggetto osservatore e soggetto osservato si trasformano reciprocamente: aumentando la flessibilità e complessità della organizzazione integrata dei recipro-ci sistemi mente/cervello, come abbiamo visto prima. Per poter indagare sulle relazioni interpersonali, l’osservatore deve entrare a far parte della realtà che osserva con la sua persona e la qualità delle informazioni che raccoglie dipende soprattutto dalla natura del rapporto che si va stabilendo tra lui e chi viene osserva-to. Punti qualificanti sono quelli di: considerare la relazione come og-

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getto principale dell’osservazione; considerare ogni persona all’interno dei rapporti più importanti per la sua crescita; avere una struttura mentale e una visione del mondo che permettano di stabilire nessi relazionali tra gli eventi e ricercare la complessità della realtà attraverso continui confronti tra l’esperienza propria e quella degli altri; osservare sia gli schemi relazionali della famiglia sia il modo in cui i singoli percepiscono, spiegano, interpretano e attribuiscono significato e intenzionalità ai rapporti interpersonali in cui sono coinvolti; lavorare sia sull’interdipendenza degli stati mentali dei singoli membri, sia sulle premesse comuni a tutto il nucleo. Un aspetto di fondamentale importanza è, inoltre, il processo nar-rativo: le persone organizzano la loro esperienza su storie che ren-dono il loro vissuto comprensibile e descrivono la loro evoluzione nel tempo. Shafer (1981) afferma che le persone non raccontano la propria storia da una posizione isolata: la storia è creata dall’insieme individuo-famiglia ed è influenzata dalla cultura e dell’ambiente. La narrativa è un processo attraverso cui definiamo chi siamo e diamo forma al mondo in cui viviamo, costruendo la nostra realtà, personale e familiare, nel contesto di una comunità fatta da moltissimi altri: con i quali, appunto attraverso la narra-zione, noi organizziamo e riveliamo noi stessi. Esattamente allo stesso modo, nella psicoterapia, attraverso la nar-razione, noi procediamo a modificare certi aspetti della rappresen-tazione che gli individui e le famiglie fanno di loro stessi, o dei problemi che portano: procedendo a elaborare vicende alternative e nuove narrazioni che possono dare un altro senso alle loro scelte e alla loro vita.

Un caso clinico di gioco d’azzardo patologico Mario (come gli altri, nome di fantasia) si rivolge agli ambulatori della Unità Funzionale Dipendenze Area Grossetana per un pro-blema di gioco d’azzardo patologico: gioca grosse somme alle slot-machine. Ha 61 anni, è impiegato nel settore privato; è sposato con Luisa, 55 anni, operaia. Hanno due figli: una femmina 30enne, separata con un figlio e tornata, dopo la separazione, nella loro

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casa; un maschio di 24 anni, che convive con una ragazza. Mario gioca forti somme da circa 10 anni, 700-800 euro al mese. Ancora prima, dice di aver giocato al Lotto con la madre (“Ma allo-ra giocavamo con moderazione”). Ha debiti con finanziarie. Atten-de un prestito dal “Centro antiusura”. Ha perso da poco il lavoro. Nel maggio 2008 viene alla prima visita da solo (l’accesso al Servi-zio è diretto). Ho con lui un primo colloquio di circa 70 minuti. A tutti gli incontri sarà sempre presente anche Sonia Cerulli, l’educatrice del Servizio, che si interessa anch’essa di gioco d’azzardo e che io utilizzo come co-terapeuta nelle sedute di tera-pia familiare dove sono presenti pazienti che portano questo pro-blema. Le sedute avverranno con frequenza all’incirca mensile, del-la durata di 70-80 minuti ciascuna. Previa firma di apposita libera-toria, le sedute sono sempre videoriprese; rivedo personalmente ogni registrazione prima della seduta successiva, annotando i punti salienti. Mario in occasione del primo incontro compila il test SOGS (South Oaks Gambling Screen) ed ottiene 12 punti, risultato ampiamente patologico (cut-off a 5 punti); gli consegno inoltre dei “compiti a casa” (che vedremo dopo). Gli prescrivo infine anche una farmacoterapia consistente in un farmaco stabilizzante dell’umore (valproato) e antidepressivo SSRI (citalopram): Mario aveva riferito di aver accusato “da sempre” o-scillazioni timiche e, negli ultimi mesi, umore moderatamente de-presso. Per il secondo incontro invito anche la moglie.

Seconda seduta Vengono Mario e Luisa. Lui mi restituisce, compilati, i “compiti a casa”. Gliene avevo dati due: innanzitutto “La passione del gioco”, di Robert Lacedeur (2003), che consiste nel rappresentare, anne-rendo l’interno d’un cerchio vuoto, il posto che il gioco occupa nella vita del paziente. Mario ha lasciato una parte bianca centrale che “rappresenta la parte migliore di sé, agli inizi della sua carriera di giocatore”, e un cerchio nero esterno, che “rappresenta la nega-tività e il declino del suo essere”; ancora più fuori, vede “molto li-mitatamente una piccola frazione di recupero”. Il secondo esercizio è “La carta di rete”, di Lia Sanicola e Sabrina

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Bosio (in: Capitanucci D., Carlevaro T, 2004): permette la mappa-tura del contesto in cui il paziente vive, con attenzione alla qualità e quantità dei rapporti esistenti, sia nel nucleo familiare ristretto, sia in quello allargato. Mario evidenzia il legame forte con i genito-ri defunti, il medico di famiglia, il lavoro, i luoghi di gioco e bar (“però, da 16 giorni repulsione!”); i rapporti conflittuali con mo-glie, famiglia, amici; quelli ambivalenti con banche e istituti di cre-dito; annota: “La rete di accesso alla comunicabilità risulta prossi-ma alla negazione di apertura. Praticamente ho chiuso tutte le por-te”. Questi esercizi sono utili per “fare joining” ed iniziare a parlare della storia del paziente. La seconda seduta avviene nel giugno 2008, 20 giorni dopo la pri-ma. Le altre seguiranno a distanza di 30-50 giorni ciascuna, per un totale di 7 incontri in 11 mesi, sinora (marzo 2009); tutte videore-gistrate (previa liberatoria scritta). Assieme ai fogli dei due esercizi, Mario ne consegna anche un ter-zo, che ha fatto di sua iniziativa con la sua storia personale. Luisa siede accanto a lui. Appare molto rivendicativa e aggressiva. Ho cura di stabilire con loro una relazione collaborativa e di evita-re atteggiamenti “simmetrici”; allo stesso tempo, ritengo fonda-mentale dare voce alle emozioni che stanno passando nella stanza. Le dico: “mi sembra che lei, mi scusi il termine, sia molto incavola-ta…”(ho intenzionalmente usato un altro termine, più esplicito). Me lo conferma… Lo attribuisce al gioco del marito, ma io intuisco che possa essere una storia lontana e mi viene da dirle: “magari lei da bambina aveva una sorellina maggiore di qualche anno che era la primogenita e le rubava spazio, per cui è incavolata sin da allo-ra…”. Mi risponde, stupita, che è esattamente così. Nella seduta (di oltre un’ora) lavoriamo su ciò che emerge, ridefi-niamo l’aggressività di Luisa come presente sin dalla sua storia con la famiglia di origine (compresa la rabbia per la morte precoce del-la sorella maggiore e dei genitori). Lavoro inoltre sulla storia individuale scritta da lui, commentata anche dalla moglie, che nel corso dell’ora riesce a diminuire l’aggressività. Emerge un periodo felice, per lui, dal ‘93 al ‘98, nel quale però viene fuori che Luisa non riuscì a rilassarsi e godersi quegli anni. Ridefinisco questa come incapacità della moglie di fermarsi rispetto al lavoro ininterrotto (a cui lei è legatissima).

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Luisa nel corso della seduta diviene un po’ meno arrabbiata. In-troduco per l’estate l’idea di una vacanza in coppia. Confermo la terapia farmacologica a Mario: valproato (“Depakin Chrono”) 500 mg. la sera, da controllare con valproatemia, e citalopram (20 mg/die). Come compiti a casa do’ loro quelli di preparare le foto di famiglia e di portare in seduta i genogrammi, disegnati su un grande foglio, delle loro famiglie di origine su almeno 3 genera-zioni (nonni, genitori, i loro fratelli, loro due e i loro figli). Punti importanti della psicoterapia: innanzitutto, la creazione del legame terapeutico. La terapia inizia con l’incontro tra due sistemi, terapeuta e famiglia, che fino ad allora non si conoscono. Fin dal primo incontro tra questi due sistemi inizia la negoziazione della relazione terapeutica, che viene costruita attraverso il “Joining”. La parola deriva dall’inglese “to join” (unirsi, associarsi), la cui radice è la stessa del “iugum” latino (il giogo che unisce due buoi a tirare l’aratro). Si tratta di creare assieme un legame, innanzitutto emoti-vo; di “associarsi” per dar vita al processo terapeutico. E questo “associarsi”, come abbiamo visto, è già terapia! Occorre quindi che il terapeuta proceda muovendosi tra le sue competenze, la sua formazione di base e le risposte della famiglia alle sue iniziative; che metta in azione quelle parti di sé che gli sembrano congrue con quella famiglia, che conduca la terapia in adesione allo stile della famiglia, promuovendo uno sviluppo compatibile: rispettan-do le regole di quel sistema-famiglia, della sua organizzazione e dei suoi tempi evolutivi. Occorre quindi affrontare il vissuto della fa-miglia ed avere capacità di ascolto. Lavorare sullo spazio emozio-nale, che consente di ottenere la chiave di accesso, il “passaggio segreto” per entrare. Sin dal primo incontro si introducono, poi, i temi che si sviluppe-ranno meglio in seguito: la ricostruzione delle storie transgenera-zionali (almeno 3 generazioni); il recupero del passato; l’importanza del ciclo vitale di quella famiglia; il rilievo delle sog-gettività individuali; l’esplorazione dei “miti” e dei fantasmi fami-liari; il colloquio sempre ispirato al dialogo e alla co-costruzione della relazione.

Terza e quarta seduta Agosto e settembre 2008. Appaiono più sorridenti e distesi, siedo-

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no vicini. Mario ha ritrovato il lavoro (sin dalla terza seduta). Stan-no pagando i debiti con la finanziaria: “Un po’ per volta”, dice Lui-sa. Non hanno fatto ferie: “Abbiamo lavorato e basta… per diver-tirci attendiamo tempi migliori”. La ditta dove Mario è impiegato ha avuto molte commesse e lui ha lavorato da mattina a sera, an-che dopocena. Parlano a lungo dei figli: mi dicono che la prima, soprattutto, è molto arrabbiata col padre (per il gioco d’azzardo). Raccontano le loro storie, dai rapporti con le proprie famiglie di origine e da quando i figli erano piccoli, fino al matrimonio e la separazione della figlia. È importante raccontare assieme queste storie. Sono due sedute simili a cui entrambi partecipano molto. All’inizio è più attivo il marito, poi progressivamente si attiva la moglie e Mario diviene più riflessivo. Prosegue la terapia farmacologica (la valproatemia va bene, è nel “range” terapeutico). Come “compiti a casa” ripeto quelli di andare a mangiare una pizza assieme e fare meglio, su un grande carton-cino, il genogramma. Dico anche che per le prossime volte po-tranno, se vogliono, venire anche i due figli. La coppia appare, in questa fase, migliorata.

Quinta seduta

Mario dice subito che ha avuto una ricaduta. Ha giocato nuova-mente con le slot machine; ha perso in tutto un centinaio di euro, ripartiti in tre volte (ovviamente, non ha mai vinto). La moglie non è molto arrabbiata, appare abbastanza disponibile anche se un po’ sarcastica. Nella prima parte della seduta preferisco lavorare su aspetti cogni-tivi: voglio tenere lì le emozioni (che sento che ci sono, e forti) senza esasperarle. Parliamo di come funzionano le macchinette: su 100 euro, ad esempio, una parte va allo stato, una al gestore, una al proprietario delle macchinette e una, infine al giocatore; dicia-mo che ogni 100 euro giocati, 70 all’incirca tornano a chi gioca, 30 vanno agli altri. Quindi, più si gioca, più – per i grandi numeri – si è sicuri di perdere… Lui risponde che le slot machine attuali hanno il logo dei Monopo-li di Stato “gioco sicuro”. Commento che “gioco sicuro” significa che è un gioco legale. Per il resto, si è “sicuri” di perdere. Spiego

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che i messaggi sono ingannevoli: ad esempio, “vinci spesso, vinci adesso”, mentre il principio del gioco è che è matematicamente sicuro che chi gioca, riceve meno di quanto spende, e quindi sem-pre perde, altrimenti nessuno metterebbe le macchinette. Per cui, tutto quello che ci si può chiedere è: quanto voglio perdere? E se non è per vincere, allora perché si gioca? Perché si prova una grossa emozione. La paragono all’eccitazione sessuale, e quando si vince al climax. Si fa l’amore con la macchinetta. Aggiungo: molto meglio, per la moglie, che andare con un’altra donna! Paragono i 100 euro spesi per provare forti emozioni giocando con le slot ad altre forti emozioni, con vari sport, che costano circa 100 euro. Insomma, Mario paga le emozioni. Mario è d’accordo, ma aggiunge che quella emozione è solitaria, non sociale. Gli altri non sentono quel piacere che lui prova, lì da-vanti alla macchinetta l’emozione è solo sua, che è egoista. Anche fra giocatori ci si ignora (ma quando uno vince, c’è invidia). Mario ammette che quando c’è la vincita e le monete cadono nel vassoio, l’emozione è simile a un orgasmo sessuale. Luisa ascolta e dice che lui queste cose non gliele ha mai dette. Lui non gioca per vincere, ma per provare questa emozione. Rac-conta dell’ultima volta che ha sbancato la macchinetta, 6 mesi fa. In tutta questa seduta c’è un grosso lavoro sulle emozioni, fatto con gradualità. La moglie ascolta interessata. Aggiungo che il fatto che la macchinetta conceda la vincita (massi-mo 500 euro) di rado, aumenta il desiderio del giocatore (sempre il paragone col sesso). Il giocatore è perfetta vittima della macchi-netta: è sempre eccitato al massimo, ma la vincita (il climax) capita ben di rado. Propongo come “compito a casa” che la moglie lo ac-compagni alle macchinette, giocando assieme a lui - al massimo 10 o 20 euro al mese (10 o 20 giocate) - al fine di capire le emozioni che prova il marito. Vogliamo vedere se loro, come coppia, fanno questo lavoro. Il compito a casa è che Luisa capisca bene cosa prova Mario giocan-do. Mario deve spiegare a Luisa le emozioni che prova. Mario dice che ci sono molte coppie che giocano assieme. Luisa dice che avrebbe preferito che lui fosse andato da una prostituta: avrebbe potuto affrontarla, mentre non può affrontare una mac-chinetta…

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Mario mi chiede perché lo ha sempre nascosto a Luisa; io e Sonia rispondiamo a una voce che è proprio come con le prostitute: il gusto del proibito. Il grande foglio del genogramma non è ancora completato, man-cano alcune date, Mario ci lavorerà ancora e lo vedremo la prossi-ma volta quando sarà completo. Prescrivo anche di andare a mangiare la “famosa” pizza ogni 15 giorni, ma Mario dice che invece sono andati a scuola di ballo lati-noamericano. Luisa annuisce un po’ complice, dice che “il ballo aiuta la coppia”. Chiedo se hanno fatto sogni. Mario ha sognato che una figlia di lo-ro conoscenti ha fatto l’amore con lui. Aveva appena avuto una prima ricaduta nel gioco. Confermo quello detto prima: come il gioco sia simile, per lui, a un rapporto sessuale. Dico a Luisa che deve fare i conti con questa prostituta. Vediamo che emozioni le da’, se vanno a giocare assieme: ne parliamo la prossima volta. Vediamo se viene qualche sogno anche a lei. Prosegue la farmacoterapia.

Sesta seduta

Sono più tranquilli, siedono vicini, con posture simili. Entrambi abbastanza sorridenti, si alternano nel raccontare. Non sono più andati a scuola di ballo perché la coppia che li ac-compagnava ha smesso di andare e per adesso loro non hanno la macchina (stanno facendo sacrifici per pagare i debiti). Parliamo della passione che lui ha riguardo al mangiare, e tranquil-lamente mi confessa che ha l’abitudine di associare ai pasti una buona dose di vino, mi chiede se fa male, visti anche i farmaci che prende. Spiego loro la reale tossicità dell’alcol e del vino anche a basse dosi e del modesto effetto protettivo di quantità moderate di vino ai pasti esclusivamente se si consumano cibi a base di carne e grassi (effetto antiossidante). Parliamo delle varie dipendenze, tra cui quella da fumo di tabacco che hanno tutti e due (specie Luisa). Sui “punti deboli” che ognuno vede nell’altro, si rimproverano a vicenda. Li invito a parlarsi e ascoltarsi di più, per cercare di im-medesimarsi e capirsi l’un l’altra. Come per lei non è facile smette-re di fumare, per lui non è facile smettere di bere vino, in quantità, ai pasti.

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Luisa racconta di come siano andati alla sala giochi, ma appena en-trati lei è rimasta stordita dalle luci, dalla musica e da tutta la gente che giocava, ha provato una forte vergogna ed è voluta subito usci-re. Lui in questo mese non ha più giocato. Mario definisce Luisa molto più forte e decisa di lui, e definisce la sua reazione di rifiuto una “risposta dura a ciò che a me ha provo-cato un danno”. Commento che gli ha fatto sempre da mamma. Lei spiega che quando si fidanzarono, lei era più matura e “siccome lui non aveva polso, il polso lo ha preso lei”. Mi racconta ad esempio di quando, da sposati, andarono a vivere in case della madre di lui: ma quando questa divenne troppo invadente, lei se ne andò e si portò lui con sé; fecero sacrifici ma vissero indipendenti. Andando avanti col racconto, arriviamo a quello che fu definito da lui un periodo molto bello (dal 1993 al 1998). Domando cosa po-teva essere successo perché, proprio alla fine di quel periodo, lui cominciasse a giocare in modo sempre più forte. Mario mi raccon-ta di come, a un certo punto, avesse cambiato lavoro, accettando l’offerta di una nuova ditta che gli prometteva maggiori entrate: ma la cosa non andò bene e si trovò a confrontarsi con un peggiora-mento lavorativo. Disponendo di somme di denaro contante, si mise a usarle per giocare al lotto: scattò una molla che lo fece gio-care sempre di più (specialmente dopo la morte della madre, che giocava regolarmente al lotto, ma somme modeste). Ripetiamo il lavoro cognitivo sul “gioco sicuro”: chi lo fa, è “sicuro di perdere” se gioca regolarmente. Non è per la vincita che lui gioca, ma per le emozioni che prova giocando. Li invito perciò a riprovare a giocare assieme: per capire che emo-zioni lui prova, che piacere ne ha. Ripeto: al massimo 20 euro in tutto il mese, meno di una sera in pizzeria. Visto che parliamo di piaceri, Luisa torna a parlare del ballo, che le piacerebbe “ma lui non ce la porta”; li consiglio di riprovare a una scuola di ballo più vicina a casa, dove possono andare anche a piedi. Alla fine della seduta sono sorridenti e complici; si ammiccano spesso tra loro, dall’iniziale posizione reciprocamente critica, a-desso sono passati a farsi complimenti; lui le dice apertamente che, anche così aggressiva, la moglie gli piace molto; lei è parteci-pe e sorridente. Si capisce che non sono abituati a parlarsi l’un

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l’altra di ciò che provano dentro di loro. Chiedo se hanno fatto dei sogni, Luisa mi dice che ricorda una scarpa rossa (che le piace, e che lei associa alla trasgressione) e poi delle lacrime. Non ricorda altro. Mario associa alle lacrime della moglie un dolce che lei ha fatto di recente e che faceva anche as-sieme alla madre di lei, morta da tempo. Lui dice di sentirsi bene, più lucido di prima. Lo invito a controlla-re il vino che beve ai pasti, magari possono vedere se per qualche giorno riescono ad esser del tutto astemi assieme… Tra i punti principali della terapia, un importante lavoro sulle e-mozioni, talora anche con uso di metafore e cercando la sintonia con tutti e due i membri della coppia. Fondamentale il “dare voce alle emozioni negate”: nel tempo giusto, nei modi accettabili, ma esprimerle apertamente, dare voce anche a quelle più difficili; da ciò, sempre e comunque, la coppia trae beneficio. Inoltre: saper dare vita a un movimento oscillante tra la vicinanza alla famiglia e una posizione di guida responsabile, movimento che permette al terapeuta di favorire l’evoluzione del sistema familiare. Costruire ipotesi assieme alla famiglia (quelle non accettate dalla famiglia vanno scartate) e costruire via via una “mappa” della fami-glia dentro di sé. Saper usare il linguaggio metaforico: strumento per comunicare idee quando la loro espressione diretta sarebbe inaccettabile, così come per operare ridefinizioni, prescrizioni, la-vorare sui miti familiari. Usare domande circolari: quando si chie-de a qualcuno di descrivere la posizione di altri. Lavorare sulle ap-partenenze e sui miti familiari. Utilizzare la ridefinizione: proponendo una lettura della realtà plausibile ma diversa da quella che viene proposta… Ed usare le prescrizioni: dando “compiti a casa” a tutti o ad alcuni membri della famiglia. Tra essi, riveste un ruolo particolare la co-siddetta “prescrizione del sintomo”: quando si ingiunge, in modo ovviamente accettabile, di agire volontariamente i comportamenti già in atto e portati come problema.

Settima seduta L’ultima (sino adesso). Mi dicono subito che non hanno fatto la “scelta salutista”, anche se hanno ridotto un poco le sigarette ed il vino ai pasti. Tuttavia, proprio perché incompatibile col vino ai pa-

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sti, Mario da più di un mese ha smesso la terapia farmacologica. Afferma tuttavia che si sente bene. Tranquillamente, aggiunge che lui non ha più giocato. Mi spiegano che Luisa tiene strettamente sotto controllo il denaro e lascia a Mario solo i soldi necessari per la giornata, così lui non può più giocare. Mario ne è contento: si sente aiutato e quando è in compagnia di lei non ha alcuna voglia di giocare. Commento che hanno praticamente risolto il problema: “è come se lei fosse dipendente da Luisa”, e di questa cosa sono contenti entrambi. “Se sua moglie riesce a contrastare le emozioni del gioco e a lei va be-ne, siete a posto”. Mario dice che “fino ad oggi si è sentito super-controllato” e gli piace; sa inoltre che dalla moglie potrebbe venir-gli anche, poi, la “cosiddetta ombrellata”; infine, ne hanno parlato un po’ di più con i figli: per cui alla fine lui si è tranquillamente astenuto dal giocare. L’atmosfera di coppia è apparentemente più paritaria e collaborativa. Finalmente hanno completato il genogramma, su un grande car-toncino, e nella seconda parte della seduta lo stendiamo su una lavagna e cominciamo a parlare delle storie delle generazioni. Sto-rie che rivedremo nelle prossime sedute, cercando sia quelle con-figurazioni che tendono a ripetersi, sia quelle risorse che permet-tano percorsi evolutivi e scelte alternative. A tal fine, per la prossi-ma seduta provo a invitare, con un breve messaggio scritto, anche i due figli.

Conclusione Ho cercato di presentare il lavoro che sto effettuando, presso il SerT di cui sono responsabile, con una famiglia con problemi di gioco d’azzardo patologico. Attualmente sto vedendo sette famiglie con GAP. Poiché continuano ad arrivare richieste e le mie disponi-bilità ad effettuare terapie familiari singole si stanno saturando, sto valutando la possibilità di dar vita anche a specifici gruppi multi-familiari, ma quest’ultimo argomento trascende la presente tratta-zione. Vorrei chiarire che non esiste un unico modo di lavorare col gioco d’azzardo e che ogni individuo, ogni famiglia ed anche ogni tera-

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peuta sono sicuramente diversi tra loro. Penso tuttavia che ci siano alcuni principi metodologici che meri-tino di essere sottolineati e ripetuti. Innanzitutto quello per cui occorre lavorare con la persona consi-derandola sempre all’interno dei suoi rapporti. Sappiamo bene come molti autori ritengano che la singola mente neppure possa esistere e che la psiche individuale sia un caso particolare che e-merge nel contesto del “pensare collettivo” del gruppo di riferi-mento, eppure non di rado nei nostri Servizi continuiamo a vedere le persone “da sole”, escludendo la loro famiglia, il loro gruppo, la loro rete sociale; spesso colpevolizziamo i genitori per i figli (o vi-ceversa?), ma in ogni caso non vediamo e non trattiamo il loro in-tero sistema, magari nemmeno vogliamo provare a conoscere que-ste loro relazioni privilegiate perché riteniamo più idonea e mi-gliore una specie di “relazione esclusiva” con noi, per poi pun-tualmente lamentarci del fatto che i nostri utenti ci restano “in carico” per anni o decenni, dando vita a “terapie interminabili” prive di capacità evolutive! Dobbiamo invece imparare a mantenere sempre una posizione che permetta di stabilire nessi relazionali tra gli eventi. A ricercare la complessità del reale attraverso continui confronti tra l’esperienza nostra e quella degli altri, utilizzando consapevolmente noi stessi per entrare a far parte della realtà che osserviamo. Dobbiamo saper introdurre sempre modificazioni alle spiegazioni lineari che ci vengono riportate, “rovesciando l’imbuto” da uno sguardo concentrato sui sintomi del singolo paziente ad una visio-ne allargata alla situazione relazionale più ampia, potendo in tal modo comprendere le parole e i comportamenti sotto una nuova luce, che colleghi i vari elementi del sistema: personali, familiari e sociali. In questo modo, nel procedere dei momenti di terapia, è possibile costruire tutti insieme una narrazione, condividendone via via i si-gnificati, all’interno dei quali vengano comprese anche le varie e-sperienze individuali: permettendo lo sviluppo delle posizioni del-le singole persone e contemporaneamente del sistema nel suo complesso (che sia sistema terapeutico, sistema familiare, sistema della rete sociale). La terapia è in atto. Non è compito del terapeuta stabilire dove

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possa giungere il nostro paziente o la sua famiglia. Il vero cambia-mento non è mai “vedibile prima”. Tuttavia è possibile decidere ed anche prevedere come effettuare terapia: curare all’interfaccia relazionale; essere presenti nel qui-e-ora lavorando sulla complessità che abbiamo davanti; ampliare le possibilità di scelta delle persone; rendere sempre gli altri prota-gonisti del proprio cambiamento, per costruire realtà nuove che emergano da modelli interni alle menti dei partecipanti, affinché possano ripartire nei loro modi e con le loro forze da momenti del ciclo vitale in cui si sono bloccati: allo scopo di riprendere quello che è il corso normale della nostra esistenza ed ottenere ciò che si può chiamare, in modo autentico, “miglioramento” o “guarigione”.

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poranea, n.59

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Ugo Corrieri TERAPIA INTEGRATA DEL GIOCO D’AZZARDO PATOLOGICO

Parole chiave: gioco d’azzardo, gioco d’azzardo patologico, psicoterapia, neuroscienze, addiction, SerT, terapia familiare, caso clinico, approccio sistemico-relazionale simbolico-esperienziale.

RIASSUNTO Il gioco d’azzardo è praticato oggi da oltre 30 milioni di italiani; costitui-sce la 5° industria del Paese, con 46,5 miliardi di Euro spesi nel 2008. Il gioco d’azzardo patologico colpisce, come patologia da dipendenza, circa 2 milioni di persone in Italia. L’autore presenta la psicologia del gioco d’azzardo, gli elementi di pensiero magico che ne fanno parte, la teoria del “sensation-seeking”, il passaggio al gioco d’azzardo patologico, i fe-nomeni di addiction ed i costi sociali. L’autore presenta inoltre una detta-gliata spiegazione neurobiologica della psicoterapia relazionale e dei mec-canismi interpersonali di crescita e cambiamento, evidenziando come le menti di più individui interagiscono tra loro in una complessa interdipen-denza biologica dei loro mondi interni e sociali. L’Autore introduce quindi l’approccio sistemico-relazionale simbolico-esperienziale e riassume una terapia familiare di un caso di gioco d’azzardo patologico, evidenziando come sia fondamentale lavorare con le risorse delle persone e dei loro si-stemi familiari e sociali.

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Ugo Corrieri INTEGRATED THERAPY OF PATHOLOGICAL GAMBLING

Key words: gambling, pathological gambling, psychotherapy, neuroscien-ce, addiction, SerT, family therapy, single-case report, systemic-relational symbolic-experiential approach.

SUMMARY Gambling is nowadays practiced by over 30 million Italians and is the 5th industry of the Country, with 46.5 billion Euros spent in 2008. Pathologi-cal gambling is also affecting in Italy, as addiction disease, approximately 2 million people. The author presents the psychology of gambling, the ele-ments of magical thought that are part of it, the theory of “sensation-seeking”, the transition to pathological gambling, the phenomena of ad-diction and their social costs. The author also presents a detailed neuro-biological explanation of relational psychotherapy and interpersonal me-chanisms of growth and change, emphasizing how the minds of most people interact with each other in a complex biological interdependence of their internal and social worlds. The author then introduces the syste-mic-relational symbolic-experiential approach and finally summarizes a family therapy of a case of pathological gambling, highlighting how it is essential to work with the resources of individuals and their family and social systems. L’Autore Dr. Ugo Corrieri medico psichiatra psicoterapeuta, Docente S.M.I.P.I. Responsabile U.F. Dipendenze Area Grossetana, AUSL 9 di Grosseto Via Monte Labro 5/M 58100 Grosseto Tel: 328 2886452 - Email: [email protected]

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Maria Chiara Forcella, Lucia Claudia Bergamo, Alessia Bastianelli, Guido D’Acuti, Theocraris Asouchidis,

Giulio Vidotto

SENSI, SESSUALITÀ E SOSTANZE PSICOATTIVE RICERCA SVOLTA PRESSO I SER.T

DI PADOVA E SALONICCO Parole chiave: droghe, dipendenza, prevenzione, malattie sessuali, malattie psichiatriche.

Premessa Le neuroscienze studiano la biochimica, la fisiologia e l’anatomia delle attività cognitive, delle emozioni, delle basi del comporta-mento che sono attività del cervello sostenute da sostanze chimi-che: i neurotrasmettitori. Vie e sistemi neurotrasmettitoriali coinvolti nella dipendenza sono analoghi a quelli coinvolti nel comportamento motorio connesso con la consumazione dell’oggetto del desiderio: cibo, sesso, droga. Alcuni recenti studi hanno osservato una analogia neurotrasmetti-toriale tra disturbo ossessivo compulsivo e innamoramento e tra i sintomi presentati durante una sindrome da astinenza (ad esempio da cocaina e amfetamina) e l’interruzione di un rapporto amoroso. Una caratteristica dell’innamoramento è il credere che questo stato emotivo non sia di altri, ma personale e unico al mondo. L’innamoramento è determinato da una miscela di meccanismi biologici, ambientali e dalle condizioni culturali.

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Durante l’attrazione sono presenti emozioni quali l’euforia, l’esaltazione, il desiderio, la speranza, la paura di perdere l’oggetto d’amore, la gelosia, e manifestazioni neurovegetative come pallore, rossore, sudorazione, tachicardia. Alla base del desiderio c’è una organizzazione neurologica com-plessa che prevede l’attivazione di aree cerebrali quali il centro del piacere, del dolore, i sistemi di immagazzinamento e recupero del-la memoria.

Fisiologia dell’orgasmo Il desiderio sessuale, o libido, è una pulsione, un appetito, una sensazione particolare che spinge l’individuo a ricercare o rendersi disponibile alle esperienze sessuali, ed è legato all’attivazione di uno specifico aggregato di neuroni situato nel cervello. Il desiderio sessuale è fondamentalmente simile alle altre pulsioni, in quanto dipende dall’attività di alcuni centri attivatori, bilanciati da altri centri inibitori e viene regolato da due specifici sistemi neurotrasmettitori, uno di eccitazione e uno di inibizione. Nel cervello sia i centri dell’inibizione che quelli dell’attivazione sono stati identificati nel sistema limbico, nell’ipotalamo e nella regione preottica. Il sistema limbico contiene i circuiti neurologici che generano ed equilibrano le motivazione e le emozioni. Esiste un delicato equilibrio tra sistema ormonale e sistema neuro-trasmettitoriale (dopamina e aminoacidi eccitatori e inibitori) che rende la fase del desiderio sessuale suscettibile ad essere influen-zata da variabili biologiche, dal tipo di personalità, dalle motiva-zioni, dall’esperienza personale e dal contesto storico ambientale. In stretta prossimità di essi, sono stati identificati dei centri di av-versione (eversive center), così denominati perché, se stimolati e-lettricamente, inducono negli animali un comportamento di evi-tamento o di fuga. La stimolazione del sistema limbico (McLean 1976), cioè della re-gione preottica, l’ipotalamo laterale, il tegmento e la parte anterio-re del giro cingolato, provoca l’erezione e l’eiaculazione, che di-minuiscono sino ad essere assenti per stimolazione

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dell’ippocampo, fornice, giro cingolato posteriore, corpi mammil-lari, nucleo caudato, ansa lenticolare e area genitale del giro poste-ro-centrale. Recettori per gli androgeni, l’estradiolo e il progesterone sono sta-ti trovati in grande numero nell’area mediale preottica (MPOA) e nel nucleo ventromediale (VMN ventromedial hypothalamic nu-cleus) dell’ipotalamo. L’ipotalamo controlla l’equilibrio interno del nostro organismo quindi l’attività endocrina, la reazione allo stress, la fame, la sete, il sistema immunitario, la diuresi, in parte il risveglio e il sonno, i processi di modulazione e sedazione, le e-mozioni. Nell’ipotalamo vi sono gruppi di neuroni che producono la dopa-mina. Stimolando questi nuclei si ottiene una sensazione intensa di pia-cere. I centri del piacere sono sensibili alle endorfine. Con le tecniche di microdialisi è stato possibile dimostrare il rila-scio di dopamina nell’animale di laboratorio durante il comporta-mento sessuale. Durante la fase iniziale del comportamento sessuale aumenta il ri-lascio di dopamina dal nucleo accumbens. Tale rilascio si mantiene durante tutta la fase consumatoria sino all’eiaculazione. Successivamente quando l’animale è esausto si riscontra un calo della dopamina che ritorna a livelli basali. Se viene offerta un’altra femmina il livello di dopamina sale nuovamente. Nell’animale da esperimento sono state identificate numerose aree cerebrali, l’ippocampo, l’oblangata, il midollo spinale contenti ossitocina (aminoacido eccitatorio) che se attivate inducono la risposta eretti-le. Nelle femmine l’attrazione e la recettività sessuale dipendono dagli estrogeni: l’azione di questi ormoni a livello centrale, cioè sul cervello, le rende ricettive mentre l’azione a livello periferico le rende attraenti. In particolare gli estrogeni fanno in modo che le cellule vaginali producano ferormoni, sostanze volatili che stimo-lano il desiderio sessuale nel maschio. I ritmi sessuali biologici, nella nostra specie, vengono probabil-mente mediati dagli ormoni che influenzano i centri cerebrali del sesso in tutti i mammiferi. Il testosterone in entrambi i sessi è l’ormone della libido. Si ipotiz-za che gli ormoni sessuali, il testosterone e, forse, anche il fattore

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LH-RH, influenzino il comportamento sessuale tramite l’interazione con i neurotrasmettitori. I Centri del midollo spinale regolano il funzionamento genitale: uno stimolo proveniente dai centri superiori può influenzare i ri-flessi genitali aumentando o diminuendo la soglia di attivazione. In fase di eccitazione si osserva l’attivazione spinale dei centri T11, T12, L1, S2, S3, S4 con vasodilatazione dei vasi sanguigni che irro-rano i genitali. Il sistema parasimpatico regola le funzioni periferiche. L’ossitocina, invece, attiva il nucleo paraventricolare ipotalamico implicato nell’erezione. L’ossido nitrico è un neurotrasmettitore che agisce sia a livello cen-trale che sui corpi cavernosi del pene. Il GABA aminoacido presente nel sistema nervoso centrale svolge un ruolo inibitorio sull’ossitocina e sull’ossido nitrico. I centri spi-nali sono in stretta connessione con quelli corticali (percezione, movimento, piacere) ed è attraverso questa connessione che agisce l’inibizione dell’orgasmo derivata dall’apprendimento, mentre l’erezione è un riflesso involontario.

Neurotrasmettitori e sessualità Sistema colinergico Esistono alcune prove in base a cui tale sistema di neurotrasmis-sione potrebbe essere implicato nel funzionamento sessuale in quanto nell’uomo alcuni agenti psicotropi, (ad esempio antide-pressivi triciclici), producono disturbi dell’erezione e inibizione orgasmica. Sistema dopaminergico Tale sistema è diffusamente distribuito per tutto il sistema nervoso centrale (SNC) e anche in organi periferici, come la pelvi, il pene e i vasi deferenti. La stimolazione dopaminergica della porzione ventrale dello stria-to produrrebbe un aumento del desiderio sessuale, mentre lo striato dorsale controllerebbe il processo della penetrazione e dell’eiaculazione. Secondo questo punto di vista, la dopamina

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(DA) potrebbe essere un trasmettitore coinvolto sia nella fase del desiderio sia in quella dell’eccitamento e dell’orgasmo. L’importanza della trasmissione dopaminergica nell’attività sessua-le è dimostrata anche dall’azione della bromocriptina e della apo-morfina, due agonisti dopaminergici che stimolano direttamente i recettori dopaminergici. Al contrario, è noto che le sostanze bloccanti i recettori dopami-nergici, come alcuni farmaci antipsicotici, inducono perdita della libido e interferiscono con la funzione erettile, oltre a inibire l’eiaculazione. Sistema noradrenergico È noto che la somministrazione di antidepressivi triciclici del tipo “noradrenergico” (come la desipramina e la nortriptilina) produce inibizione del desiderio, disfunzione dell’erezione e anorgasmia. Di conseguenza, si potrebbe ipotizzare che una minore operatività noradrenergica sia connessa a disfunzione sessuale, anche se non è chiaro se i problemi sessuali nei depressi trattati con tali farmaci siano da imputare alla condizione patologica stessa o all’agente te-rapeutico impiegato. Sistema serotoninergico Sembra che l’azione serotoninergica possa esercitare sulla sessuali-tà effetti sia inibitori sia stimolatori ma i precisi meccanismi di que-sti non sono stati ancora chiariti. Riassumendo Schematicamente: Dopamina recettore DI e D2 facilita Noradrenalina recettore alfa e alfa2 inibisce Serotonina recettore 5HT-1° facilita/inibisce

recettore 5HT-1C facilita recettore 5HT-2 inibisce/facilita

Acetilcolina facilita ACTH facilita C.R.F. inibisce GABA inibisce Ossitocina facilita

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Ormoni e sessualità Esistono due principali tipi di ormoni: gli ormoni steroidei (per esempio estradiolo e testosterone) e quelli proteici (per esempio le gonadotropine e la prolattina). Il sistema ormonale più importante rispetto alla riproduzione e al comportamento sessuale è quello ipofisi anteriore - gonadi. Il sistema composto dall’adenoipofisi o ipofisi anteriore e dalle gonadi produce ormoni di tre tipi: quelli innescati da fattori libera-ti dall’ipotalamo, le gonadotropine e gli steroidi. (Esiste, però, anche il sistema ipofisi anteriore -corteccia surrenale e il sistema incentrato sull’ipofisi posteriore o neuro-ipofisi. L’asse ipofisi anteriore -corteccia surrenale è coinvolto in funzioni diverse rispetto a quelle riproduttive e sessuali; la corteccia surrenale pro-duce una parte degli ormoni steroidei correlati anche con la rispo-sta allo stress). La neuroipofisi libera due ormoni peptidici: la vasopressina (or-mone antidiuretico o adiuretina) e l’ossitocina. Entrambi questi ormoni non sono secreti dall’ipotalamo (nuclei paraventricolare e sopraottico) e, quindi, migrano lungo il nervo sopraottico-ipofisario fino all’ipofisi posteriore, dove vengono immagazzinati, legati a una proteina specifica e quindi liberati nel sangue quando necessario. La vasopressina non ha funzioni sulla sfera sessuale ma inibisce la diuresi ed ha azione vasocostrittrice. L’ossitocina, invece, oltre a mantenere la produzione del latte nella donna che allatta (dietro stimolo della suzione) facilita le contra-zioni dell’utero durante il parto. Recentemente molti autori si sono concentrati anche sull’azione che gli ormoni sessuali hanno sul tono dell’umore e come anche le alterazioni del tono dell’umore abbiano implicazioni sull’attività sessuale. Particolarmente interessanti sono i risultati riguardanti la correlazione tra depressione estrogeni e serotonina e attività ses-suale. Gli estrogeni infatti aumentano la degradazione delle mono-amino ossidasi diminuendo così la quota di serotonina che viene metabolizzata e la concentrazione di triptofano libero (Warnock et al., 1998) con ribilanciamento del rapporto serotonina dopamina e attività sessuale.

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Ossitocina e risposta sessuale Questo ormone può svolgere un ruolo nella vasocongestione asso-ciata all’eccitamento sessuale, inducendo inoltre contrazioni mu-scolari nell’area genito-pelvica durante l’orgasmo. A livello centrale l’ossitocina può fungere da modulatore, influenzando i neuroni cerebrali responsabili delle sensazioni cognitive dell’orgasmo e/o sensibilizzare i neuroni cerebrali associati alle contrazioni dei mu-scoli striati del pavimento pelvico.

Fattori ipotalamici e ormoni ipofisari Tali ormoni vengono prodotti dietro stimolazione dell’ipotalamo, che secerne e invia all’ipofisi, attraverso i vasi sanguigni del sistema portale ipofisario, due fattori ormonali di controllo: l’LHRH (lutei-nising hormone-releasing, fattore ipotalamico liberante l’ormone luteneizzante) e il PIF (prolactin-inhibiting factor, fattore inibente la prolattina), l’ FSH. L’LHRH è un ormone polipeptidico a catena corta, prodotto dall’area ventromediale e anteromediale dell’ipotalamo, che stimo-la le cellule basofile dell’ipofisi anteriore a produrre l’ormone lu-teinizzante (LH, luteinising hormone). Sono presenti recettori per l’LHRH nelle ovaie e nei testicoli. Il PIF è una sostanza dopaminergica con effetto inibitorio sulle cel-lule acidofile dell’ipofisi anteriore, pertanto di interruzione della produzione della prolattina.

Gonadotropine Abbiamo visto che l’LH, l’FSH e la prolattina sono i tre principali ormoni ipofisari di tipo gonadotropinico la cui produzione è inne-scata e regolata da fattori ipotalamici. L’LH presenta tre effetti specifici: incrementa il flusso sanguigno alle ovaie o ai testicoli e quindi aumenta la fornitura di sostanze necessarie alla sintesi degli ormoni steroidei. In secondo luogo, promuove la sintesi degli steroidi dalle gonadi, fondamentalmente stimolando la trasformazione del colesterolo in pregnenolone e, nelle femmine, in progesterone. Nel maschio, tale stimolazione in-duce le cellule interstiziali o di Leydig dei testicoli a produrre te-stosterone. Nella femmina l’LH induce l’ovulazione in un follicolo che è stato attivato dall’FSH.

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L’FSH nella femmina stimola la crescita e la maturazione follicola-re, mentre nel maschio induce la crescita dei tubuli seminiferi e facilita gli stadi iniziali della spermatogenesi. La prolattina, come chiaramente indica il suo nome, nella donna stimola la crescita e l’attività del sistema secretore del latte nelle ghiandole mammarie; probabilmente ha anche altri effetti. Sembra che specifici livelli di essa siano necessari per la normale sintesi steroidea nell’ovaia, mentre un loro eccesso produce inibizione della funzione ovarica e testicolare. Nel maschio la funzione della prolattina è ancora oscura, sebbene sia noto che elevati livelli di essa siano di solito associati a un’alterazione negativa del funzio-namento sessuale.

Prolattina e risposta sessuale

Nel maschio l’aumento della secrezione di prolattina è stato asso-ciato a disfunzionamento sessuale, soprattutto al calo del desiderio sessuale e ai disturbi dell’erezione (Bouloux e Grossman, 1987), sebbene altri studi abbiano rilevato anche incompetenza eiaculato-ria, riduzione del volume dell’eiaculato, ginecomastia, galattorrea, cefalea e disturbi del campo visivo (Schwartz e coll., 1982). Anche nella donna alti livelli di prolattina inducano alterazione nella libido. Lundberg e coll. (1986) notarono un significativo calo del desiderio sessuale nel 68% di donne con disturbi ipotalamo-ipofisari morfologicamente verificati, di cui l’84% presentava iper-prolattinemia; al contrario solo un terzo delle donne con normali livelli di prolattina nel siero si lamentavano di una ridotta o assen-te libido.

Ormoni steroidei Gli androgeni svolgono un ruolo fondamentale nella differenzia-zione sessuale nelle prime fasi ontogenetiche. Il loro aumento nel corso della pubertà produce nei maschi il definitivo sviluppo delle caratteristiche sessuali primarie e secondarie: l’ingrossamento del pene, dello scroto, dei testicoli, oltre alla maggiore sensibilità di questi tessuti alla stimolazione tattile; la distribuzione pilifera ma-schile (che si esprime completamente solo nella vita adulta); le modificazioni della laringe con relativo abbassamento della tonali-tà della voce; l’attivazione delle ghiandole sudoripare e sebacee

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(con la conseguente acne, tanto diffusa in pubertà); l’incremento della massa muscolare e la crescita ossea. Va ricordato che l’improvviso scatto di crescita adolescenziale dipende dai livelli più bassi di testosterone tipici della pubertà; quando essi si elevano considerevolmente nella pubertà ormai inoltrata, si produce la chiusura delle epifisi ossee e la crescita si interrompe. Nel maschio ormai maturo il testosterone è indispensabile per la spermatogenesi e l’attività secretoria della prostata e delle vescico-le seminali. Nella donna le funzioni svolte dagli androgeni sono meno chiare. Senza dubbio intervengono nella crescita pilifera e nell’attività del-le ghiandole sebacee; probabilmente devono essere presenti in una determinata qualità per un adeguato sviluppo dei genitali e-sterni (specie delle grandi labbra e del clitoride, che sono gli omo-loghi di scroto e pene) in quanto la somministrazione di androgeni esogeni può produrre l’ingrossamento del clitoride e un aumento della sua sensibilità. Gli androgeni possono anche contribuire alla saldatura delle epifisi ossee ma, senza dubbio, a livelli molto più bassi che nei maschi. Il progesterone ha una funzione essenziale nella gravidanza. Nella donna non gravida viene secreto soprattut-to dal corpo luteo; opera sul tessuto mammario, attivato dagli e-strogeni, per innescare la crescita degli alveoli e quindi la successi-va produzione del latte; per quanto riguarda invece l’endometrio il progesterone è responsabile del suo passaggio alla fase secretoria, dopo che questo ha attraversato la fase proliferativa indotta dagli estrogeni nella prima metà del ciclo mestruale. Infine consideriamo il ruolo svolto dagli estrogeni. Nella ragazza pubere, essi inducono l’ingrossamento delle mammelle, la crescita dell’utero e delle tube di Falloppio, della vagina e della vulva: sono anche responsabili dello scatto di crescita. Influenzano probabil-mente la crescita pilifera pubica e ascellare. Sono inoltre necessari per il loro effetto sull’epitelio vaginale durante la risposta sessuale: sono infatti legati alla produzione del trasudato vaginale che segue alla stimolazione erotica e che funge da lubrificante; stimolano an-che l’endometrio alla proliferazione e indirettamente provocano l’ovulazione. Meno chiare sono le loro funzioni nel maschio. Probabilmente so-no legati al leggero transitorio ingrossamento dei seni che talora si

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verifica nella pubertà e nella saldatura delle epifisi.

Estrogeni e risposta sessuale Questo gruppo di ormoni steroidei non sembra svolgere un ruolo in alcuna fase del ciclo della risposta sessuale. Gli estrogeni non sono coinvolti nell’induzione della motivazione sessuale nella femmina umana. Al contrario si è rilevato che la libido, anche nella donna, sembra androgeno-dipendente in quanto la sostituzione con androgeni ha aumentato l’intensità e la frequenza delle fanta-sie sessuali, il desiderio e l’eccitamento sessuale, elementi che sembrano correlare con il testosterone e non con gli estrogeni.

Androgeni e risposta sessuale L’importanza degli androgeni, in particolare del testosterone, nel mantenere nei maschi un normale funzionamento sessuale appare ormai abbastanza fondata. Gli uomini con carenza di androgeni spesso lamentano una diminuzione del desiderio sessuale e pro-blemi di erezione, mentre la somministrazione di testosterone e-sogeno ripristina sia la libido sia il funzionamento sessuale; occor-re però sottolineare che non tutti gli uomini disfunzionali otten-gono un miglioramento con la terapia sostitutiva a base di andro-geni (O’Carrol e Bacroft, 1982). Cali dei livelli del testosterone non sono responsabili di una dimi-nuzione dell’attività sessuale negli uomini di età più avanzata; solo una parte molto esigua di soggetti anziani con scarsa attività ses-suale presenta concentrazioni di androgeni anormalmente basse. Al contrario, potrebbe essere possibile che adeguati livelli di attivi-tà sessuale possano essere all’origine del mantenimento di concen-trazioni più elevate di testosterone. In un recente contributo, Stoleru e co. (1999) hanno identificato per la prima volta, tramite tomografia a emissione di positroni (PET), le aree cerebrali attivati in maschi sani sottoposti a una sti-molazione sessuale evocata visivamente (film a contenuto sessuale esplicito versus altri a contenuto neutro o umoristico). È stata riscontrata l’attivazione delle seguenti strutture: la corteccia temporale inferiore, area di associazione visiva; l’insula destra e la corteccia frontale inferiore destra, aree paralimbiche che pongono in relazione informazioni sensoriali elaborate a livello elevato con

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stati motivazionali; la corteccia cingolata anteriore sinistra, area pa-ralimbica associata al controllo di funzioni autonomiche e neuro-endocrine. Importante è il fatto che gli autori rilevarono che l’attivazione di alcune di queste aree era correlata ai livelli di testo-sterone plasmatici, ipotizzando che tale androgeno fosse prodotto in maggiori quantità conseguentemente all’attività di alcune aree cerebrali in risposta alla stimolazione visiva cerebrale; in seguito, l’elevazione dei livelli di testosterone avrebbe a sua volta un effetto di feedback sulle aree coinvolte nell’attivazione sessuale. Tale andamento sarebbe congruente con la fenomenologia dell’andamento incrementale della risposta sessuale, che aumenta d’intensità fino all’orgasmo.

Fisiologia della risposta sessuale Fattori neurologici: Consta, principalmente di due componenti: 1) Centri Superiori. I tre sistemi, limbico, extrapiramidale e neo-

corticale, possono contribuire all’integrazione della risposta viscerale dell’erezione (tumescenza) con gli aspetti somatici del comportamento sessuale, ad esempio la stimolazione del-la amigdala, struttura del sistema limbico, può evocare senti-menti erotici identici a quelli sperimentali durante un rappor-to (Gloor, 1986).

2) Centri Midollari. La struttura nervosa periferica comprende centri e nervi: centro erettivo superiore (T12-L2) raccoglie stimoli immaginativi, uditivi, olfattivi, fantasmatici e, a mezzo fibre che da T12-L2 passano nel simpatico lombare e nel para-simpatico sacrale (struttura pregangliare), attiva neuroni a-drenergici brevi; una cronica stimolazione – alfa tiene chiusi i così detti Polsters o cuscinetti di Conti, strutture costituite da fibrocellule muscolari lisce, che, quando chiusi, deviano il sangue verso il circolo generale, mentre quando aperti, per-mettono al sangue un rapido afflusso nelle lacune dei corpi cavernosi. Una tonica stimolazione-alfa, in pratica, si estrinse-ca in una vasocostrizione (=flaccidità), mentre un suo blocco equivale ad una vasodilatazione (=erezione psicogena).

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Fattori Vascolari Nel maschio: · Sistema Arterioso. · Sistema Cavernoso. · Sistema Venoso Penieno. · Controllo locale dell’erezione. Controllo neurologico dei muscoli lisci, comprende: · Componente adrenergica: il controllo adrenergico è tonico

mantiene lo stato di flacidità. Farmaci alfa –bloccanti produco-no erezione.

· Componente Colinergica: ancora non del tutto chiarita. · Componente non Adrenergica non Colinergica: comprende va-

rie sostanze come VIP, sotanze P, CGRP-calcitonin-gene related peptide.

Controllo non Neurologico: · L’acetilcolina provoca contrazione dei muscoli a condizione che

l’endotelio sia integro. Il mediatore è stato definito EDRF (en-dothelim derived relaxation factor) e identificato come ossido nitrico.

Farmaci, sostanze psicoattive e sessualità

Tra i farmaci di abuso l’alcool è la droga più comunemente usata per lo meno nella nostra cultura. L’alcol aumenta il desiderio ma riduce la prestazione. Viene tuttavia utilizzato per superare le bar-riere inibitorie interpersonali, ma può dare insufficienza dell’erezione, impotenza transitoria, ritardo dell’eiaculazione. L’alcoolismo cronico produce depressione della libido e ipogona-dismo secondario (insufficienza della funzione gonadica) collegato alla concomitante insufficienza epatica. La Marijuana aumenta la sensibilità tattile e modifica la percezio-ne temporale. L’uso protratto riduce il livello di testosterone. Ven-gono riferite esperienza di orgasmi multipli e prolungati, sovente accompagnati da risate incontrollate. Le Amfetamine inducono aumento della libido e dell’attività ses-suale, aumentano la vigilanza, l’aggressività, la tolleranza alla fatica, i soggetti riferiscono di fare all’amore tra l’euforico e l’arrabbiato. Nei consumatori cronici è frequente la perdita della libido e

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l’impotenza. La MDMA comunemente detto ecstasy molto in voga nelle disco-teche e nei Raves Parties, associa un lieve effetto psichedelico a quello stimolante, disinibente ed empatizzante. I consumatori rife-riscono di poter avere rapporti sessuali per molte ore e di poter ballare continuativamente anche per otto ore. La somministrazione acuta di oppiacei, come l’eroina, riduce i tassi plasmatici di testosterone comportando difficoltà di erezione, ritardo dell’eiaculazione ed impotenza. Gli antagonisti degli oppioidi come il Naltrexone provocano ec-citazione alle dosi di 50 mg. per os con comparsa di erezione e fantasie erotiche per circa tre ore. Il Naloxone, analogo molto meno potente, induce desiderio ses-suale in soggetti abitualmente indifferenti ma non in quelli con ri-ferita normale attività copulatoria. La dietilamide dell’acido lisergico nota come LSD è un potente al-lucinogeno che deprime l’attività sessuale. La Nicotina ha effetti sui livelli plasmatici degli ormoni sessuali prevalentemente inibitori. I danni arrecati al microcircolo sono alla base dell’impotenza. La Cocaina ha effetti simili a quelli delle anfetamine con cui con-divide la capacità di dare euforia per esaltazione dei centri del pia-cere, sensazione di potenza, tolleranza alla fatica, aumento del de-siderio sessuale. Poiché è un potente vasocostrittore i suoi effetti sull’attività sessuale sono differenti a seconda delle dosi, aumen-tando inizialmente la prestazione per aumento del vigore con un ritardo dell’eiaculazione per dosi molto basse, inibendo comple-tamente l’orgasmo a dosi medie, rendendo impossibile l’erezione a dosi elevate. Il consumatore cronico in genere è affetto da para-noia, inappetenza, stanchezza, abulia ed è privo di interesse per qualsiasi attività compresa quella sessuale. La Pemolina è uno stimolante del sistema nervoso centrale utiliz-zata alla dose di 20-50 mg. per potenziare le facoltà mentali senza avere gli effetti collaterali delle amfetamine, in combinazione con ioimbina, stricnina e metiltestosterone è stato proposto in al-cuni paesi come farmaco per aumentare la potenza sessuale. Veniamo ora ad un gruppo di sostanze di derivazione vegetale. Alcune, specialmente quelle provenienti dall’Oriente, hanno avuto

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in passato una valenza terapeutica legata alla tradizione medica ci-nese. Altre, in particolare quelle del centro e del Sud America ma anche dell’Africa sono legate storicamente a cerimoniali, a riti ma-gici, a culti tribali in un mix di leggenda e realtà non sempre facil-mente decifrabile. Alstonia: originaria dell’Asia orientale, è una pianta la cui cortec-cia contiene gli alcaloidi ditamina e ditaina; il seme contiene la clo-rogenina, allergene universale cui sono state riconosciute doti a-frodisiache in relazione alla sua capacità di provocare una lieve ir-ritazione dei genitali. Assenzio: vegetale del genere Artemisia, deve la sua proprietà alla presenza degli alcaloidi absintina e tujone. Il primo ha un effetto narcotico-analgesico simile alla codeina, il secondo è tossico. Calamo aromatico: erba perenne la cui radice contiene l’alcaloide asarone, stimolante ed antifatica utilizzato dagli Indiani del Nord America. Damiana: cresce nelle zone tropicali, è stata utilizzata per la sua azione di tonico ed euforizzante. Gotu kola: erba perenne che cresce in tutta l’Asia ed in gran parte della Cina, strettamente imparentata con la Dentella asiatica. L’alcaloide principale è l’asiaticoside; altri alcaloidi sono stati e-stratti ma non sufficientemente studiati. L’azione prevalente si e-splica sulle ghiandole surrenali, con aumento delle energie fisiche e mentali. Guaranà: cespuglio rampicante presente in Sud America, deve i suoi effetti stimolanti ed antifatica alla presenza di guaranina, me-tilxantina affina alla caffeina del caffè, del mathè e della cola ed alla teofillina e teobromina del tè. Yoimbina: alcaloide contenuto in un albero diffuso in Africa O-rientale, il Corynanthe Yohimbe, ha proprietà vasodilatatorie, a forti dosi può dare allucinazioni, la sua fama di afrodisiaco sarebbe collegata con la stimolazione dei gangli spinali. È inoltre un inibi-tore della monoaminoossidasi. Tossico in associazione ad alcool, tranquillanti, sedativi, psicoanalettici. Ibogaina: estratta dalle radici della Iboga, una pianta di cui si ci-bano gli africani del Gabon, a basse dosi aumenta la resistenza alla fatica ed allo sforzo, a dosi elevate dà convulsioni, paralisi, ansia, arresto respiratorio ed ipotensione.

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Kawa-Kawa: pianta ad alto fusto che cresce in Polinesia e nei mari del Sud, contiene gli alcaloidi kawaina e yangonina. A piccole dosi produce euforia, ad alte dosi rilassatezza e letargia. Lattuga selvatica: cresce in Europa ed in Nord America, contiene l’alcaloide lattucina con struttura simile all’oppio, sedativa ed a-nalgesica. Mandragora: originaria dell’Europa meridionale, deve la sua fama alla radice che spesso assomiglia ad un corpo umano. I principali alcaloidi sono la scopolamina, la ioscina, la mandragorina, potente narcotico ed ipnotico che produce allucinazioni ed uno stato di trance che dura alcune ore. Muira-puama: utilizzata dagli indigeni del Rio delle Amazzoni, è un piccolo albero, la corteccia e la resina hanno un’azione stimo-lante simile alla ioimbina anche se meno marcati. Betel: cresce in India e in Polinesia, è una pianta rampicante che produce delle noci che, masticate, sprigionano l’alcaloide arecoli-na che è un blando stimolante del sistema nervoso centrale, ad alte dosi può dare vertigine, diarrea e danneggiare i denti. Stramonio: cresce nei terreni sabbiosi, e contiene alcaloidi para-simpatici come la scopolamina, atropina e iosciamina. Sedativo e ipnotico, non va ingerito perché estremamente tossico, può causa-re l’exitus, viene abitualmente fumato. Efedrina: sostanza proveniente dalla pianta Ephedra; è un potente broncodilatatore ma è anche uno stimolante che aumenta il ren-dimento e allontana il sonno. Caffeina: alcaloide presente in numerose piante tra cui il caffè e le noci di cola, con i suoi analoghi teina presente nel tè e teobromina nel cacao viene raggruppata nella famiglia delle metilxantine. Alle dosi presenti nelle preparazioni di farmaci che la contengono e nelle comune bevande caffeiche (da 30 a 200 mg. per dose) la caf-feina ha un effetto stimolante sul sistema nervoso con l’aumento della attenzione e della vigilanza, con diminuzione del senso di fa-tica, modesto aumento della pressione arteriosa, aumento della diuresi, aumento della frequenza del respiro, della secrezione ga-strica, della lipolisi. Ad alte dosi è tossica e si stima che 75 tazze di caffè ovverosia 200 lattine di Coca Cola in un’unica somministra-zione possano essere mortali. Documentata sia la tolleranza, la di-pendenza e la crisi di astinenza caratterizzata da astenia e cefalea.

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La capacità della caffeina di aumentare la performance massimale atletica sembra risiedere nella sua proprietà di liberare acidi grassi risparmiando glicogeno muscolare, permettendo di compiere uno sforzo prolungato, la dose consigliata è 250 mg. 60 minuti prima della prova. Ginseng: radice utilizzata da oltre cinquemila anni dai Cinesi. Ne esistono quattro varietà (americano, giapponese, siberiano, cine-se). Deve le sue proprietà alla presenza di ginsenosidi, saponine, vitamine e sali. Può essere masticato, bevuto in infuso od in liquo-re. Aumenta l’attività metabolica, endocrina e stimola il sistema nervoso. Papaverina: alcaloide della RauWolfia, piccolo arbusto presente in India e Pakistan è un vasodilatatore e la sua efficacia è provata solo per quanto riguarda l’iniezione diretta nei corpi cavernosi del pe-ne nei casi di disturbo dell’erezione, l’utilizzo per via generale non ha effetti di aumento della performance. Stricnina: ottenuta dalla nux vomica, seme di un albero che cresce in Cina, Birmania, India ed Australia ha un’azione tonica e stimo-lante sui gangli spinali. Il confine tra dose efficace e dose pericolo-sa è molto sottile, in genere dosi superiori ai 2 mg. possono essere dannose in relazione anche ad una tolleranza individuale molto variabile. Citiamo solo per completezza la cantaride, da cui si estrae una so-stanza vescicante ed irritante che può dare priapismo ma che è e-stremamente pericolosa; di volta in volta sono stati accreditati ef-fetti afrodisiaci al giusquiamo, alla belladonna, al papavero e ad altre piante da cui la farmacopea ha tratto spesso alcaloidi con funzione terapeutica ma non nel campo strettamente sessuale. A titolo di curiosità citiamo l’uso di anestetici locali che prolunghe-rebbero l’erezione e ritarderebbero l’orgasmo maschile se applicati sulla superficie del pene prima del coito. Il Dimetilsolfossido, solvente derivato dalla cellulosa, viene spalmato sul pene per otte-nere una pronta erezione, è estremamente tossico per i reni. Il ni-trito di amile, potente vasodilatatore per le crisi stenocardiche, che alcuni inalano al momento dell’orgasmo per rendere più in-tensa la sensazione.

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TABELLA RIASSUNTIVA DELLE SOSTANZE CON EFFETTO SULLA SFERA SESSUALE

1) Stimolanti il sistema nervoso centrale

Anmfetamine Cocaina Caffeina Efedrina Antidepressivi

2) Depressori del sistema nervoso cereale

Alcool Marijuana Eroina e derivati Sedativi ed ipnotici

3) Stimolanti l’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi Steroidi sessuali ed anabolizzanti Gonadropina corionica Ormoni corticosurrenalici Ormone della crescita

4) Metabolici ed antifatica

Supplementi ed integratori Erbe e prodotti fitoterapici

5) Effettori locali

Papaverina Prostaglandine Sidenafil

La ricerca: confronto tra un campione di tossicodipendenti di

Padova e di Salonicco rispetto alla sessualità e l’abuso di sostanze psicoattive

L’obiettivo di questa ricerca, alla luce di quello che è emerso so-pra, era quello di verificare le possibili relazioni tra l’assunzione di sostanze stupefacenti e l’insorgere di disturbi della sfera sessuale. L’origine dello studio è dovuto ad osservazioni cliniche degli ope-ratori del Ser.T (Servizio Tossicodipendenze) della ASL 16 di Pado-

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va, supportate dai dati della letteratura, che in verità in questo campo sono ancora relativamente scarsi: ragione per cui si è rite-nuto importante approfondire questo aspetto della vita del tossi-codipendente. Infatti i risultati della relazione tra i due aspetti in-dagati potrebbero costituire anche una base interessante di cono-scenze da inserire in un programma preventivo rispetto alle di-pendenze. È risaputo infatti che i progetti preventivi devono cerca-re di accrescere i fattori di protezione ed eliminare o ridurre quelli di rischio (O.M.S., 1991) accrescendo le informazioni scientifiche. Spesso infatti fornire solo informazioni in questo campo aumenta le conoscenze e la consapevolezza degli effetti negativi delle so-stanze, ma non modifica i comportamenti legati all’uso delle stesse (Tobler, 2000). I giovani, notoriamente poco sensibili ai messaggi “ufficiali” riguardanti gli effetti nocivi a breve e a lungo termine delle droghe, potrebbero essere molto più sensibili alle informa-zioni rispetto agli effetti delle stesse sulla sfera sessuale, inserite in un progetto preventivo con dati e statistiche basate su ricerche fat-te sul campo. È notoriamente risaputo infatti che le comunicazioni che riguarda-no la sessualità producono sempre una forte risonanza intima.

Il campione Il campione della ricerca è costituito da 120 soggetti tra ma-schi e femmine, di cui:

65 afferenti presso il Ser.T dell’ULSS 16 di Padova, 55 afferenti presso il Ser.T dell’ospedale psichiatrico di Salo-

nicco. Il campione è costituito dal 70% di maschi, e 30% di femmine. Per-ciò che riguarda l’età si registra un’età media di 34 anni. Titolo di studio: 7% licenza elementare, 56% licenza di scuola me-dia inferiore, 26% scuola media superiore, 5% diploma di laurea 4% e laureati 5%. Stato civile il 62% afferma di essere celibe o nubile,il 18% è coniu-gato, il 7% è separato, 8% è divorziato ed il 3% è vedovo. Occupazione: 25% svolge lavori saltuari, il 44% disoccupato,il 17% svolge attività autonome,14% lavoro dipendente

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Quasi tutti i soggetti sono in terapia metadonica nella misura dell’87% poiché il 94% dei tossicodipendenti sono affetti da di-pendenza da eroina, il 64% dei soggetti è in terapia da più di un anno presso i rispettivi servizi.

Lo strumento e il metodo di somministrazione Lo strumento impiegato per l’indagine consiste in un questionario semistrutturato, composto principalmente da domande formulate ad hoc e in parte da domande tratte dalle schede 1 e 4 delle Scale Primarie della Batteria CBA 2.0 (Cognitive Behavioural Assessment. Bertolotti, Michielin, Sanavio, Simonetti, Vidotto e Zotti, 1985). Il questionario è composto da 44 items e al suo interno possono essere distinte quattro aree: anamnestica, psico-relazionale, medi-co-sessuologica e psico-sessuologica. La parte iniziale era dedicata all’anamnesi: venivano quindi poste domande relative alla vita del soggetto (età, carriera scolastica, la-voro svolto, eccetera) e domande relative alla carriera di tossicodi-pendente (sostanze di cui il soggetto ha fatto uso, tipo di terapia che il soggetto sta seguendo, da quanto tempo è in terapia, eccete-ra); in seguito si indagava la frequenza con cui il soggetto assume-va sostanze. Il questionario continuava con domande relative alla vita di relazione e quindi sessuale del soggetto, prima di fare uso di sostanze, sotto l’effetto di sostanze ed al momento attuale. Il questionario prevedeva anche di indagare l’uso del preservativo in diverse situazioni: con il partner fisso, con partners occasionali e sotto l’effetto di sostanze psicoattive. Per quanto concerne il metodo di somministrazione, date le diffi-coltà cognitive e la limitata motivazione dei soggetti, si è ritenuto più opportuno utilizzare il metodo dell’intervista semistrutturata: non si sono registrati rifiuti.

Risultati Dall’analisi quantitativa dei questionari, relativamente al tema della tossicodipendenza, emerge che quasi la totalità del campione di 120 soggetti (94%) è in terapia per eroina e il farmaco su cui si ba-sa la terapia è il metadone (87%). Più della metà dei soggetti (64%)

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risulta essere in terapia da oltre un anno, dall’intervista è emerso che alcuni lo sono addirittura da più di dieci anni. Tra le motivazioni che hanno spinto il soggetto ad entrare in tera-pia, spicca “il desiderio di uscire dalla droga” con il 74%, seguito da “spinto da un amico” con l’8%, problemi di astinenza 8%, pres-sato dalla famiglia 5%, un 5% non si è espresso. L’uso dell’eroina prima della terapia riguarda praticamente l’intero campione (94%). Dopo l’eroina, la sostanza con cui i soggetti sono venuti maggiormente a contatto è il tabacco (84%), seguita dalla cocaina (80%), dall’hashish (77.5%) dall’alcol (75%) e dalla mari-juana (64.2%).

SOSTANZE CON CUI I SOGGETTI SONO VENUTI A CONTATTO PRIMA DI ENTRARE IN TERAPIA Num.soggetti: 120* Numero risposte: 722

SOSTANZE PRIMA TERAPIA FREQUENZA

PERCENTUALE

Alcol 90 75.0 Tabacco 101 84.2 Hashish 93 77.5 Marijuana 77 64.2 Anfetamine 45 37.5 Ecstasy 45 37.5 Cocaina 96 80.0 Popper 30 25.0 Eroina 116 96.7 Lsd 42 35.0 Speed-ball 43 35.8 Altro 23 19.2

*I soggetti potevano dare risposte multiple Dopo il percorso terapeutico compiuto al Ser.t, si osservano per-centuali di utilizzo delle sostanze con valori nettamente inferiori. L’unica sostanza ad essere ancora molto utilizzata è il tabacco (80%), a cui fa seguito l’alcol (51%), La diminuzione dell’uso di eroina, sostanza per la quale è in tera-pia la maggior parte dei soggetti sfiora il 58%, la cocaina registra la diminuzione del 62%, ed il 44% per ciò che riguarda la cannabis.

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CONSUMO SOSTANZE DOPO LATERAPIA

SOSTANZE PERCENTUALI Tabacco 80.8 Alcol 51.7 Eroina 38.3 (dim. 58%) Cannabis 33.3 (dim. 44%) Cocaina 18 (dim. 62%)

Dalla analisi della dimensione temporale dell’assunzione delle so-stanze psicotrope, si può osservare che nel 61.1% dei casi, la prima sostanza utilizzata è l’alcol, la seconda è il tabacco per il 52% dei soggetti. La terza sostanza con cui i soggetti vengono a contatto, è la cannabis che spesso porta successivamente all’uso di sostanze che nel gergo comune vengono definite “droghe pesanti” quali la cocaina, l’eroina, le anfetamine e l’ecstasy. Ma è importante osser-vare che all’interno del campione vi sono soggetti che in seguito all’uso di tabacco e alcol sono passati direttamente ad utilizzare eroina, per il 7.5% è stata addirittura la prima sostanza con la qua-le sono venuti a contatto. Un’altro aspetto indagato dal questiona-rio riguarda la vita sessuale dei soggetti al momento dell’intervista. Relativamente alla frequenza con cui i soggetti hanno rapporti il 25.8% afferma di avere rapporti sessuali saltuari e il 25% di avere rapporti sessuali non soddisfacenti. Il 24% del campione afferma inoltre di avere rapporti sessuali con sufficiente regolarità, mentre il 22.5% di non avere nessuna attività sessuale. Rispetto agli item che verificavano le abitudini dell’uso del preservativo in diverse situazioni, con il partner fisso, con partners occasionali e sotto l’effetto di sostanze psicoattive, questi sono i risultati. Il 34.2% af-ferma di utilizzarlo sempre con il partner fisso, il 41.7% afferma di utilizzarlo qualche volta, il 24.2% mai. Con i partners occasionali, l’uso del preservativo aumenta: il 65.8% dei soggetti afferma di far-ne uso sempre in queste situazioni, il 27.5% afferma che lo adope-ra qualche volta e il 6.7% afferma che non lo adopera mai. Il 34.2% dei soggetti ha quindi rapporti sessuali a rischio. Sotto l’effetto di sostanze l’uso del preservativo diminuisce: chi lo utilizza sempre è il 50% del campione, chi lo utilizza qualche volta il 40% e chi non lo utilizza mai il 10% dei soggetti.

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I soggetti riscontrati sieropositivi al virus dell’HIV nel campione rappresentano il 3%. La maggior motivazione all’uso del preserva-tivo è per evitare malattie nel 76%, nel 7% per evitare gravidanze e nel 17% per entrambi i motivi. Alla domanda se a parere loro esiste un rapporto tra l’uso delle so-stanze e la loro sessualità, rileviamo che il 63.3% dei soggetti ri-sponde positivamente. L’86.7% dei soggetti afferma di aver notato dei cambiamenti nelle loro prestazioni sessuali con l’utilizzo di sostanze psicoattive. Rispetto alla vita sessuale precedente all’uso di sostanze, il 78% af-ferma che la propria vita sessuale era soddisfacente, il 15.3% che era poco soddisfacente e il 6.8% che non era soddisfacente. I problemi o disturbi sessuali presenti prima di utilizzare sostanze psicoattive riguardavano il 22.9% del campione e la percentuale maggiore è associata a “rapporti sessuali troppo brevi”, alla “eiacu-lazione precoce” ed a “diminuzione del desiderio”.

TIPO DI PROBLEMI E DISTURBI DELLA VITA SESSUALE PRECEDENTE

L’UTILIZZO DI SOSTANZE Numero soggetti: 120* Numero risposte: 42

DISTURBI FREQUENZA RISPOSTE SOGGETTI

PERCENTUALI

Rapporti Troppo Brevi 7 25 Eiaculazione Precoce 7 25 Impotenza 0 0 Vaginismo 2 2.1 Diminuzione del Desiderio 7 25 Assenza del Desiderio 5 17.9 Disinteresse per il Partner 4 14.3 Richieste Sessuali Sgradevoli 2 7.1 Non Soddisfatto dal Partner 2 7.1 Mancanza di Piacere 3 10.7 Fastidio al pensiero di rapporti sessuali 1 3,6 Dolori Durante il Rapporto 2 7.1 * I soggetti potevano dare risposte multiple

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COSA IL SOGGETTO

HA PROVATO SOTTO L’EFFETTO

DI SOSTANZE A BREVE TERMINE

Numero soggetti 120Numero risposte 240

IL SOGGETTO HA PROVATO

FREQUENZA

PERCENTUALE

PERCENTUALE VALIDA

Più fantasie sessuali 23 19.2 19.2 Più eccitazione 24 20 20 Più facilità ad avere rapporti

9 7.5 7.5

Più facilità ad avere l’orgasmo

11 9.2 9.2

Aum./dim. Masturbazione

33 27.5 27.5

Mancanza di desiderio

30 25.0 25.0

Orgasmo più intenso12 10.0 10.0 Eiaculazione precoce36 30.0 30.0 Eiaculazione ritardata

25 20.8 20.8

Difficoltà di penetrazione

9 7.5 7.5

Dolore coitale 7 5.8 5.8 Iimpotenza 7 5.8 5.8 Priapismo 4 3,3 3,3 Resistenza alla penetrazione

0 0 0

Vaginismo 6 5.0 5.0 Dispareunia 4 3,3 3,3

* I soggetti potevano dare risposte multiple. Alla domanda riguardante l’esistenza di un cambiamento nella vita sessuale del soggetto in seguito all’uso di sostanze, l’81.7% ri-sponde affermativamente.

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SOGGETTI CHE HANNO PERCEPITO UN CAMBIAMENTO NELLA LORO VITA SESSUALE DA QUANDO HANNO INZIATO A FARE USO DI SOSTANZE PSICOTROPE Cambiamento 81.7% No cambiamento 18.3% Il 35,8% afferma che la vita sessuale è peggiorata dopo l’uso delle sostanze,il 44,2% afferma che prima inizialmente è migliorata e poi peggiorata per il 13,3% non vi è stato alcun cambiamento. Quindi per circa l’80% dei soggetti la vita sessuale dopo l’uso delle sostanze è peggiorata, è interessante notare che il 44,2% dice che inizialmente aveva notato un miglioramento, effetto veritiero dovu-to al fatto che alcune sostanze sono disinibenti ed altre sono ecci-tanti del sistema nervoso centrale,ma lungo andare questi effetti decadono e subentrano dei veri disturbi sessuali come vedremo dalle tabelle successive.

TIPO DI PROBLEMI E DISTURBI PRESENTI NELLA VITA SESSUALE

ATTUALE dopo l’uso di sostanze DEI SOGGETTI Numero soggetti: 120* Numero risposte: 177. DISTURBI FREQUENZA

RISPOSTE SOGGETTI

PERCENTUALI

Rapporti Troppo Brevi 10 8.3 Eiaculazione Precoce 17 14.2 Impotenza 5 4.2 Vaginismo 3 2.5 Diminuzione del Desiderio 39 32.5 Assenza del Desiderio 14 11.7 Disinteresse per il Partner 9 7.5 Richieste Sessuali Sgradevoli 5 4,2 Non Soddisfatto dal Partner 8 6,7 Mancanza di Piacere 6 5 Il Pensiero di Rapporto Sessuale dà Fastidio

6 5

Dolori Durante il Rapporto 6 5 Nessun Disturbo 43 35.8

I soggetti potevano dare risposte multiple.

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Osservando la tabella sui disturbi presenti nella vita sessuale dopo l’uso di sostanze cioè nella vita attuale, tra i diversi problemi e di-sturbi che caratterizzano la vita sessuale del campione, il più se-gnalato risulta essere la diminuzione del desiderio (32.5%), seguita da eiaculazione precoce (14.2%) assenza di desiderio (11,/7%) e disinteresse per il partner (7,5%) o “il pensiero di rapporti sessuali dà fastidio” (5%) che rientrano nei disturbi del desiderio e nei di-sturbi dell’orgasmo. Altri disturbi dell’orgasmo vengono registrati sotto la voce di impotenza, dolori durante il rapporto e vaginismo e mancanza di piacere. Notevole è la lamentela di rapporti sessuali troppo brevi (8,3%) (DSM IV). Sono stati inoltre analizzati i risultati dei due sottocampioni: Salo-nicco e Padova. Dall’analisi dei dati è emerso che per quanto con-cerne la tossicodipendenza, nel campione di Salonicco quasi la to-talità di soggetti è in terapia da più di un anno (87,5%), il farmaco più utilizzato nella terapia è il metadone (89,3%) con anche alte percentuali di antidepressivi (21,4%) e tranquillanti (25%); la so-stanza più abusata dall’intero campione è l’eroina (100%) anche se notiamo un consumo anche di tutte le altre sostanze. Per quanto riguarda la sessualità, secondo il 74.5% dei soggetti esiste un lega-me tra l’assunzione di sostanze e l’attività sessuale. L’85.7% nota dei cambiamenti nelle loro prestazioni sessuali dopo l’uso di so-stanze. Il 46,4 dei soggetti afferma di aver utilizzato sostanze per aumentare le prestazioni sessuali. In questo campione il 57,1% af-ferma di avere una relazione affettiva discreta. Nel campione padovano relativamente alla tossicodipendenza, il 43.8% dei soggetti è in terapia da più di un anno, il 25% da 1-3 mesi e il 17.2% da 3-6 mesi, il farmaco più utilizzato nella terapia è il metadone (85,9%). La sostanza per cui i soggetti sono in terapia è l’eroina (90,6%) seguita dalla cocaina (23,4%). Per quanto ri-guarda la sessualità, secondo il 54,7% dei soggetti esiste un legame tra l’assunzione di sostanze e l’attività sessuale. Il 78,1% nota dei cambiamenti nelle loro prestazioni sessuali dopo l’uso di sostanze. Rispetto al campione di Salonicco solo il 6,3% afferma di assumere sostanze con il fine di aumentare le prestazioni sessuali.

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Considerazioni conclusive L’obiettivo di questo studio era quello di osservare qualitativamen-te le possibili relazioni tra l’assunzione di sostanze psicotrope e i disturbi sessuali. Le conclusioni a cui si è giunti sulla base dei dati analizzati sono le seguenti. Il campione è omogeneo riguardo il tipo di sostanza per cui è in cura e tale sostanza è rappresentata principalmente dall’eroina. Dopo l’eroina tra le sostanze per cui i soggetti si sono rivolti al ser-vizio per le tossicodipendenze, segue la cocaina; questo dato sem-bra confermare la tendenza già rilevata da numerosi studi che l’uso e abuso di cocaina si sta diffondendo tra i giovani (dati OEDT: Os-servatorio Europeo Droghe e Tossicodipendenza, 2007). Il motivo principale che ha spinto i soggetti a rivolgersi al Ser.T è costituito dal desiderio di uscire dalla droga o in seguito alle pres-sioni di un amico o della famiglia. Più della metà dei soggetti è in terapia da oltre un anno.(64%) La terapia seguita dai soggetti è di tipo farmacologico, con un uti-lizzo prevalente di metadone associato spesso a tranquillanti e an-tidepressivi soprattutto nel campione di Salonicco. La maggior parte dei soggetti è entrato in contatto con quasi tutte le sostanze, anche se poi non ha abusato di tutte. Confrontando le sostanze psicoattive abusate prima di entrare in terapia con quelle che i soggetti dichiarano di utilizzare attualmen-te, si può notare una diminuzione notevole dell’uso di tutte le so-stanze dopo il trattamento seguito nei rispettivi Ser.t. Sembrerebbe quindi che tutti e due i dipartimenti qui considerati abbiano risposto positivamente al problema tossicodipendenza at-tuando un programma di riduzione del danno. Analizzando la sequenza temporale con la quale gli individui han-no fatto uso delle diverse sostanze, le prime sostanze ad essere uti-lizzate sono quelle legali (tabacco e alcol), dopodiché compaiono le droghe cosiddette “leggere” (cannabis) e infine le droghe “pe-santi” (ecstasy, cocaina, eroina, speed-ball). Lo speed-ball solitamente è la sostanza con la quale il soggetto viene a contatto per ultima, questo probabilmente è dovuto alla sua composizione essendo lo speed-ball una miscela costituita da

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eroina e cocaina e solitamente viene assunto quando i soggetti hanno già fatto uso delle due sostanze che lo compongono. Viene in questo modo confermato un dato già noto: l’uso di dro-ghe “leggere” spesso rappresentano un passaggio obbligatorio per l’uso di quelle “pesanti” (Forcella, Bergamo, Rizzo, Savani, Manca, Vidotto, 2001), anche se esistono passaggi diretti sia all’eroina e alla cocaina nella misura del 7%. Sembra quindi di fondamentale importanza indirizzare i pro-grammi preventivi verso le scuole medie inferiori o istituti com-prensivi, come hanno riscontrato nei loro studi Newcomb (1996), e Wills e al. (2000), in quanto tali programmi hanno dimostrato di essere in grado di ridurre l’inizio dell’uso di sostanze quali tabac-co, alcol e marijuana nella percentuale del 50% o più (Botvin, 1992; Skara e Sussman, 2003). Rispetto all’uso del preservativo il suo utilizzo aumenta nel caso di rapporti con partner occasionali e decresce invece sotto l’effetto di sostanze. Più della metà dei soggetti avverte l’esistenza di un legame tra l’utilizzo di sostanze psicotrope e l’attività sessuale, come già citato nella ricerca di Forcella, Bergamo, Rizzo (2001), ma per la maggior parte dei soggetti questi cambiamenti intervengono a lungo termi-ne piuttosto che a breve termine. Gli individui che hanno segnalato un cambiamento nella loro vita sessuale durante il periodo in cui assumevano sostanze, o quando queste venivano assunte in quantità e con frequenza maggiore, so-no quasi la totalità del campione. Tra i vari cambiamenti elencati, i più concordano riguardo ad un miglioramento della loro vita ses-suale nel primo periodo di assunzione, seguito poi da un peggio-ramento. I dati relativi alle risposte date a tali items sono molto importanti per lo studio; tali dati rivelano infatti che i soggetti so-no consapevoli dell’esistenza di un’influenza delle sostanze psico-trope sulla loro attività sessuale. Nel periodo iniziale di utilizzo delle sostanze, diversi pazienti ri-portano quindi un miglioramento nella loro vita sessuale, che spiegano nel seguente modo: nelle donne che soffrono di dispa-reunia e vaginismo, il miglioramento percepito è dovuto agli effetti analgesici dell’eroina; negli uomini invece, la stessa sostanza au-menta i tempi del raggiungimento dell’orgasmo; questo fatto è

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percepito come un effetto positivo specialmente da coloro i quali presentavano un problema di eiaculazione precoce prima di fare uso della sostanza. Nel momento in cui la dipendenza aumenta, le donne accusano anorgasmia e amenorrea; gli uomini possono in-vece riportare diminuzione del desiderio sessuale, disfunzione e-rettile, e orgasmo ritardato. Quindi possiamo affermare che pre-valgono sia nei maschi che nelle femmine disfunzioni sessuali: rife-riti a disturbi del desiderio, dell’orgasmo e del dolore sessuale. Analizzando l’aspetto principale della ricerca, che riguarda gli e-ventuali problemi e i disturbi presenti nella sfera sessuale dei sog-getti intervistati, possiamo affermare che i problemi e i disturbi ac-cusati dai soggetti al momento attuale sono nettamente superiori a quelli accusati dagli stessi soggetti prima di iniziare ad assumere sostanze, più della metà del campione accusa problemi e disturbi nella propria vita sessuale attuale. L’abuso di sostanze nel tossicodipendente sembra quindi avere portato a delle conseguenze negative nella sua vita sessuale come già riscontrato dagli studi citati in precedenza: questo è uno dei risultati che riveste maggiore interesse in questo studio e conferma gli studi precedenti. Infatti prima di iniziare l’abuso di sostanze la vita sessuale dei tossicodipendenti era soddisfacente per la mag-gior parte del campione. È stata indagata la vita sessuale del tossi-codipendente prima dell’abuso di sostanze, durante l’abuso a bre-ve termine, e dopo l’abuso di sostanze psicotrope a lungo termine: questi sono stati i risultati. A breve termine i disturbi evidenziati prevalentemente sono stati “mancanza di desiderio” (25%), “eiaculazione precoce” (30%), eia-culazione ritardata (20%), “Aum./Dim. di masturbazione (27%), “Più eccitazione” (20%), “Più fantasie sessuali” (19%), “Orgasmo più intenso” (10%), “Più facilità ad avere l’orgasmo” (9%), “Più faci-lità ad avere rapporti” e “Difficoltà di penetrazione” (7%), “Impo-tenza” “Vaginismo” “Dolore coitale” (5%), “Priapismo” e “Dispa-reunia” (3%). Successivamente i disturbi segnalati a lungo termine sono stati: “diminuzione del desiderio” (32.5), “eiaculazione pre-coce” (14.2), “assenza di desiderio”, (11.7) “rapporti troppo brevi” (8.3), “disinteresse per il partner” (7.5), “non soddisfatto dal par-tner” (6.7), “Mancanza di piacere” (5%), “Pensiero di rapporto ses-suale dà fastidio” (5%), “Dolori durante il rapporto”(5%), “Impo-

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tenza” (4.2%),“Richieste sessuali sgradevoli” (4.2%), “Vaginismo” (2.5%), “Nessun disturbo” (35.8%). Per quanto riguarda l’analisi descrittiva dei due campioni: Ser.T di Padova e Ser.T di Salonicco ci siamo concentrati solo su quelle va-riabili in cui si potevano osservare delle differenze tra i due cam-pioni. L’uso di sostanze psicotrope con lo scopo di aumentare le presta-zioni sessuali si riscontra solo nel campione del Ser.T di Salonicco, le sostanze maggiormente utilizzate a tale scopo sono risultate es-sere la cocaina e l’eroina, spesso le sostanze vengono assunte per sentirsi più disinibiti e a proprio agio con l’altro sesso. Non sem-bra che esista una relazione tra uso di droga e maggiori prestazioni nel campione del SERT di Padova come già riscontrato in uno stu-dio precedente (Forcella, Bergamo, Rizzo, 2001). A differenza dello studio La Pera, Giannotti, Taggi, Macchia, (2003), secondo la quale un numero consistente di giovani si è ri-volto alla droga per provare ad eliminare tali disturbi, solo una piccola percentuale del campione ha utilizzato sostanze per cerca-re di eliminare disturbi sessuali preesistenti. Per quanto riguarda la terapia farmacologica seguita dai soggetti, questa consiste nell’utilizzo prevalente di metadone a Padova men-tre a Salonicco il metadone è associato spesso a tranquillanti e an-tidepressivi. Per quanto riguarda la terapia psicologica, a Padova abbiamo pochi soggetti che svolgono una terapia e che pensano di avere problemi di natura psicologica, a Salonicco invece i soggetti che svolgono una terapia psicologica sono in maggioranza. Sia a Padova che a Salonicco le sostanze per cui i soggetti sono in terapia sono l’eroina e la cocaina, Salonicco si distingue nuova-mente perché una percentuale di soggetti è in terapia anche per gli psicofarmaci. Nell’uso di sostanze notiamo in Salonicco una maggiore problema-ticità con un uso prevalente di quasi tutte le sostanze rispetto a Padova. L’eroina presenta alte percentuali sia a Padova che a Salo-nicco. La cocaina coinvolge l’intero campione di Salonicco rispetto ad una percentuale più bassa di Padova, la cannabis e l’alcol pre-sentano percentuali simili nei due Ser.T, mentre infine a Salonicco c’è un alta percentuale di consumo anche di amfetamine, lsd, ecstasy e speed-ball.

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Analizzando l’ambito della sessualità troviamo risultati simili tra i due Ser.T., sebbene i soggetti di Salonicco dichiarino di avere rela-zioni più stabili, anche se caratterizzate da incomprensioni e scarsa affettuosità rispetto ai soggetti di Padova: dai soggetti di entrambi i Ser.T viene riconosciuto un legame ed un cambiamento dovuto all’uso di sostanze psicoattive. L’intero campione si caratterizza per disturbi più acuti nella sfera sessuale relativi al desiderio e all’orgasmo sia a breve termine che a lungo termine (DSM IV). Infatti a Padova sotto effetto di sostanze a breve termine i soggetti dicono di provare soprattutto mancanza di desiderio ed eiaculazione ritardata, mentre a Salonicco i soggetti accusano aumento o diminuzione della masturbazione ed eiacula-zione precoce. Con l’abuso di sostanze a lungo termine prevalgo-no nel campione “Diminuzione del desiderio”, “Eiaculazione pre-coce”, “Assenza del desiderio”, Rapporti troppo brevi” e “Disinte-resse per il partner”. Solo a Salonicco una buona percentuale di soggetti utilizza sostan-ze per aumentare le prestazioni sessuali, soprattutto tramite la co-caina e l’eroina, questo non accade nei soggetti padovani.

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Maria Chiara Forcella, Lucia Claudia Bergamo, Alessia Bastianelli, Guido D’Acuti, Theocraris Asouchidis, Giulio Vidotto

SENSI, SESSUALITÀ E SOSTANZE PSICOATTIVE

RICERCA SVOLTA PRESSO I SER.T DI PADOVA E SALONICCO Parole chiave: droghe, dipendenza, prevenzione, malattie sessuali, malat-tie psichiatriche.

RIASSUNTO Esiste una correlazione tra l’uso di sostanze psicoattive e l’insorgenza di disturbi cognitivi comportamentali e della sfera sessuale. Riportiamo i dati di uno studio condotto su 120 soggetti in cura presso i Ser.T di Padova e Salonicco da cui risulta che il 70% di questi soggetti pre-senta sia disturbi sessuali che disfunzioni sessuali

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Maria Chiara Forcella, Lucia Claudia Bergamo, Alessia Bastianelli, Guido D’Acuti, Theocraris Asouchidis, Giulio Vidotto

SENSES AND SEXUALITY

Key words: addiction, drugs, prevention, sexual disfunction, sexual de-sease, psychiatric desease.

SUMMARY The aim of the present study is verify the existence of a relationship be-tween the assumption of drugs and the develop of sexual disease. Results about this relationship may constitute the base to use knowledges in a future preventive program about addiction. The study confirms that sexual diseases are more in drugs addict that as-sumed drugs for long time; the research on the 120 subjects proved that 50% of drugs addicts had sexual disaese. The most important sexual desease revealed are sexual disfunction (DSM IV): precox and retarded ejaculation, impotence; sexual pain disease: va-ginism, dyspareunia, amenorrhea; disease of sexual desire. Gli Autori 1) Dr. Theocraris Asouchidis, Psicologo, Ser.T Di Salonicco, Edesyff 33 Stavroupolis 56430 Salonicco Grecia Tel 0030-6972543865 2) Dr.ssa Alessia Bastianelli Ricercatrice Facoltà di Psicologia, Padova Via Crescini 147b, 35128 Padova, E-Mail: [email protected], Tel 347.4035045 3) Prof. Giulio Vidotto, Ordinario di Psicometria, Facoltà di Psicologia, U-niversità di Padova, Via Beato Pellegrino 76 35137 Padova E-Mail: [email protected], Tel 348.3113260 4) Dr.ssa Maria Chiara Forcella, Psicologa Psicoterapeuta Piazzale Stazione N 8, 35131 Padova E-Mail: [email protected], Tel 3356668240 5) Dr.ssa Lucia Claudia Bergamo, S.M.I.P.I. Neurologa e Psichiatra, Resp. U.O.Coordinamento di Neuropsichiatria I, Servizio Psichiatrico Ulss 16 Padova Via Portello 15, 35129 Padova Tel 348.4726070 6) Dr. Guido D’Acuti, Psicologo Via Zara 44, Padova, E-Mail [email protected] Tel 340.4190915

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CASI CLINICI

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Gudo Bozak

TRATTAMENTO IPNOTICO IN UN CASO DI DISTURBO PSICOSOMATICO

Parole chiave: visualizzazione, capire, paura, sogno da svegli, ener-gia, sintomo psicosomatico, ipnosi.

Presentazione

Il caso clinico di Giacomo, che qui riportiamo, è stato osservato, trattato e concluso in un’unica seduta di ipnosi, durata un’ora e mezza circa. Dopo il colloquio iniziale, avvenuto in normale stato di coscienza, abbiamo indotto Giacomo in trance ipnotica, e così è rimasto du-rante tutta la seduta. Lo stato ipnotico non è rimasto sempre costante. Di quando in quando, abbiamo indotto Giacomo a fluire da un livello ad un al-tro, al fine di situarlo sempre al livello più confacente alla sua con-dizione emotiva in corso, sempre cangiante. Questo al fine di non farlo mai uscire dalla trance per non fargli mai perdere il contatto con quelle sue possibilità, capacità, forze interiori, amplificate, maggiorate, inaspettate che in trance si possono ritrovare, e che sono la potenza e il mistero dell’ipnosi.

Trattamento Lunedì mattina, ore 10. Si presenta al nostro studio un signore

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che, con un nome di fantasia, chiamiamo Giacomo, per tutelare la sua privacy. Tempo addietro lo avevamo già conosciuto, per cui sappiamo che ha una forte componente visiva, ma anche una notevole compo-nente cenestesica, e quindi auditiva. Inoltre, sappiamo che è per-sona molto affabile, sensibile, fin troppo, perché la sua gentilezza lo spinge persino a sacrificare il proprio punto di vista, la propria volontà, i propri desideri pur di non dispiacere agli altri. Appare molto sofferente, stanco, sfiduciato. Giacomo: “Da mesi soffro di un disturbo intestinale. Ho provato diete, decotti, pozioni, rimedi erboristici di ogni tipo, e poi medi-cine, combinazioni di medicine, antibiotici, antibiotici di ultima generazione, ho cambiato medici, ma la dissenteria mi perseguita lo stesso. Non ho più energia per fare niente… non ho neanche più la forza per piangere… potrò mai guarire?” Noi: “Certo che può guarire, e se vuole possiamo cominciare an-che subito ad andare verso la sua guarigione.” Giacomo: “Per quanto mi riguarda, sono pronto. Non ne posso più di stare in queste condizioni. Cosa devo fare?” N.: “Intanto, chiacchieriamo un poco. Che sogni ha fatto di recen-te?” G.: “Non so, sogno tanto ma è tutto confuso e non mi ricordo niente.” N.: “Non importa, può fare un bel sogno qui, adesso.” G.: “Come? Qui? Non è possibile.” N.: “Si che è possibile.” G.: “Ma come faccio? Io tra l’altro soffro di insonnia, non riuscirei mai ad addormentarmi qui.” N.: “Non occorre che si addormenti, anzi, sarebbe addirittura di ostacolo. È previsto che lei rimanga sveglio.” G.: “Ah, questa poi! Perché vengano i sogni, bisogna essere ad-dormentati, non si possono vedere i sogni da svegli.” N.: “Questo è ciò che ha sempre creduto lei, ma oggi potrà render-si conto che le cose non stanno sempre e solo in questo modo. Vuol vedere?” G.: “Se questo mi può essere utile, sì.” N.: “Le sarà utilissimo.”

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L’ipnosi Lo invitiamo ad abbassare lo schienale della sua poltrona ed a si-stemarsi più comodo, mentre abbassiamo le luci per creare un’atmosfera di quieta penombra nello studio. Poi a chiudere gli occhi, senza coltivare pensieri, ed a lasciarsi andare. Gli induciamo uno stato di trance, e gli suggeriamo di guardare con gli occhi chiusi ciò che compare, là, nel suo “schermo interio-re”. Aspettiamo un po’ gli chiediamo di descriverci ciò che vede, diret-tamente, a viva voce. G.: “… ci sono delle immagini indistinte… tra le tante ne spicca una, particolarmente scura… la guardo… adesso si confonde con le altre… sta per sparire…” N.: “Provi a tenerla d’occhio, guardi meglio dove va. ” G.: “… ci provo… la osservo con più attenzione… è in mezzo ad altre cose, ad altre ombre... ecco, ora la vedo meglio… è più in ri-lievo…” N.: “Lei è presente nella scena? Cioè, lei vede sé stesso là in quella scena?” G.: “Si, sono là, mi vedo…” N.: “Là, nella scena, lei ha la sua età attuale o un’età diversa?” G.: “Ho l’età di adesso.” N.: “Bene. Continui pure a guardare e a raccontare ciò che acca-de.” G.: “… guardo la figura scura… la seguo… mi attrae ma anche mi fa paura… mi allontano… adesso è lei che segue me… la guardo… è scura, nell’ombra…” N.: “Le parrebbe più una cosa… o più un animale… o una perso-na?” G.: “Non saprei… non riesco a vedere bene.” N.: “Continui pure a guardare… senza fretta… forse fra poco vedrà meglio.” G.: “… sì… adesso l’immagine è un po’ più a fuoco… mi pare che sia una persona.” N.: “E le sembrerebbe più un uomo… o più una donna?” G.: “… non so… mi sembrerebbe… potrebbe essere un uomo… ma non lo vedo bene…adesso è più vicino… mi parla… non sento

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quello che mi dice… è ancora più vicino, mi parla… mi pare che le sue parole mi entrino nelle orecchie e scendano giù, dentro di me… non sento le parole… non so chi sia… sto male.” N.: “Basta così. Bravissimo. Ora può distogliere lo sguardo da quell’immagine e guardare invece le altre immagini che il sogno le presenta… guardi solo le altre immagini e lasci che il sogno prose-gua per conto proprio… se lo guardi come quando si è al cinema e si guarda un bel film.” G.: “Va bene.” Dopo una pausa lo ricontattiamo. Sta bene. Di comune accordo, sfumiamo il sogno che sta vedendo davanti ai suoi occhi chiusi, e approfondiamo un po’ l’ipnosi. N.: “Ora, provi a pensare agli uomini che lei conosce e che fre-quenta nella sua vita reale… provi a visualizzarli, ma lasci che le immagini di questi uomini sorgano dalla sua memoria così come vogliono loro, senza un ordine preciso… mentre lei tranquilla-mente sta a guardare… Li vede?” G.: “… sì… li vedo… ora l’uno, ora l’altro… si muovono… fanno cose… escono di scena… ne arrivano altri… è tutto come in so-gno… eppure sono sveglio.” N.: “Ha visto che si può benissimo sognare anche da svegli?” G.: “Sì, è vero.” N.: “Bene… e lei ricorda quando è cominciato questo suo disturbo intestinale?” G.: “… circa quattro mesi fa.” N.: “Circa quattro mesi fa…ora, provi a pensare, a vedere, gli uo-mini che ha frequentato nell’arco di tempo che va da circa quattro mesi fa al giorno d’oggi… e, di nuovo, li lasci apparire nella sua panoramica interiore come vogliono loro, senza un ordine preci-so… mentre lei semplicemente sta a guardare, con calma… Li ve-de?” G.: “… sì … li vedo.” N.: “Bene… fra questi ce n’è forse uno con il quale c’è stato qual-che problema particolare circa quattro mesi fa?… Qualcuno che forse le ha detto qualcosa di spiacevole?… Che in qualche modo l’ha turbata… disturbata… circa quattro mesi fa?” G.: “… sto provando a ricordare… circa quattro mesi fa… mi pa-re… mi pare di sì… sì… c’è un uomo… che mi disturba ma non

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voglio parlarne, non voglio vedere, non voglio sentire!” N.: “D’accordo, non serve parlarne più a lungo. Ha già visto e det-to tutto quello che le occorre per creare un’ottima premessa alla soluzione del problema. Se vuole, concludiamo qui la nostra sedu-ta. Per oggi ha fatto davvero un ottimo lavoro.” G.: “… no… vorrei andar via, ma sento che è meglio se resto… de-vo capire ancora molto... Resto.” N.: “Complimenti. Restando, lei sta in realtà andando. Sta andando veloce verso la sua guarigione. Dunque, vuole che riparliamo di tutta questa sua situazione vista oggi?” G.: “Sì.” N.: “Molto bene. Tra gli elementi da lei esposti oggi, c’è una coin-cidenza molto interessante. Nel sogno, lei ha visto un certo uomo, che ha per lei una evidente rilevanza emotiva. Circa quattro mesi fa, quest’uomo ha detto, o fatto, qualcosa che l’ha disturbata, e cir-ca quattro mesi fa è cominciato il suo disturbo intestinale. Vero?” G.: “Vero.” N.: “Aveva già notato anche lei questa coincidenza?” G.: “No.” N.: “Lei è in qualche modo legato, collegato emotivamente o pro-fessionalmente, o finanziariamente, o in altro modo, a questa per-sona?” G.: “… sì… c’è una relazione.” N.: “Lei potrebbe sciogliere questa relazione e andarsene tranquil-lo ignorando d’ora in poi questa persona?” G.: “No. Non potrei. Tra l’altro è un mio parente, e una persona molto influente, che per certi aspetti stimo.” N.: “Per “certi aspetti”, lei lo stima, ma per “altri aspetti”, che ma-gari sono emersi circa quattro mesi fa, lei non lo stima affatto. È forse così?” G.: “… sì … è così.” N.: “Ha mai parlato a quell’uomo di questi “altri aspetti” a lei sgra-diti?” G.: “No.” N.: “A questo punto, è tutto chiaro. Lei ha sviluppato un sintomo psicosomatico, che da quattro mesi la perseguita. Nel sogno, lei vedeva quel personaggio oscuro che le parlava ma lei non poteva udire le parole. Nella realtà, questo significa che

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l’uomo in questione le ha detto cose per lei dolorose e inaccettabi-li: da non poter udire. Quelle cose le sono entrate e sono scese molto in profondità nel suo essere, fin nelle viscere, fino all’intestino, ma non sono mai state assimilate, metabolizzate, di-gerite: funzioni che normalmente svolge l’intestino. Quelle cose sono sempre rimaste in lei come corpi estranei, inde-siderati e tossici. La dissenteria costante rappresenta il suo tentati-vo costante, e inconscio, di eliminare quelle brutte cose che ha do-vuto mandar giù. Succede sempre così. Quando qualcosa in noi dev’essere espresso attraverso la via psichica ma questa via è preclusa, allora quel qual-cosa trova una via somatica e si esprime attraverso un sintomo. In questi mesi, lei ha provato tante cure, tutte rivolte a sopprimere il suo sintomo, ma nessuna ha funzionato. Il sintomo non andava combattuto, andava compreso. Quando lo comprenderà, e farà ciò che il sintomo le dice, quel sin-tomo scomparirà da solo, senza usare medicine. Ora, vediamo in pratica che cosa si può fare. Se non può interrompere la relazione con quella persona, allora manterrà la relazione, ma in un altro modo. La relazione sarà da lei modificata. Dovrà parlargli di quelle cose spiacevoli per cambiarle e sistemarle. Ciò che dovrà dire, le pare qualcosa di ragionevole e possibile, o qualcosa di assurdo ed impossibile?” Giacomo: “Ragionevole e possibile.” Noi: “Bene. Glielo dirà. Ha già tutto chiaro in mente cosa dirgli?” Giacomo: “… no… dovrei pensarci.” Noi: “Se vuole, può pensarci adesso, qui.” Giacomo: “Va bene. Devo dire ad alta voce i pensieri che mi ven-gono?” Noi: “Non è necessario, può pensare in silenzio.” Giacomo: “D’accordo … devo preparami bene i miei pensieri, per-ché tante volte sono io che faccio confusione quando parlo, mi in-torcolo in pensieri lunghi e complicati, poi gli altri non capiscono quello che volevo dire, si irritano e a volte va a finire che si litiga, per niente… voglio prepararmi bene i pensieri, così dopo parlo bene.” Noi: “Bene. Così si fa. La preparazione mentale è la premessa indi-

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spensabile per avere successo dopo… Con calma, ora lei si mette qui a pensare … Invece di far pensieri lunghi e difficili con tante idee dentro, provi a fare dei pensieri brevi e semplici… dove ogni pensiero contiene una sola idea, semplice e chiara… così poi quando parlerà, ogni cosa risulterà chiara e convincente… e andrà tutto bene… Si prenda tutto il tempo che le occorre e prepari be-ne tutti i suoi pensieri.” Dopo una quindicina di minuti, Giacomo ci comunica che i pen-sieri sono pronti. N.: “Benissimo. Ora provi a immaginare una scena in cui lei e il suo parente siete insieme, in un posto tranquillo… e lei gli parla … Riesce a visualizzare questa scena?” G.: “… sì… siamo io e lui… camminiamo nel parco… io sto par-lando… lui ascolta…” N.: “Molto bene… continui a guardare questa scena in cui lei dice tutte le cose che deve dire… le dice con calma, semplicità, chiarez-za… ma anche con fermezza… e il suo interlocutore capisce tutto subito senza fare confusione.” Lasciamo parlare Giacomo e noi restiamo in silenzio. Aspettiamo. Dopo cinque minuti circa, Giacomo prende la parola. G.: “Ecco… gli ho parlato… gli ho detto tutto…” N.: “Bene … continui pure a visualizzare la scena di voi due nel parco… ma stavolta mentre fate un dialogo … Dopo che lei ha par-lato e lui ha ascoltato, immagini che parli lui e le risponda qualco-sa, non si sa cosa, ma qualunque cosa sia, lei ascolta, tranquillo… quindi, lei gli risponde, tranquillo… e così via, vi alternate nel par-lare… vi spiegate i punti di vista reciproci, con calma… Si lasci andare a immaginare cosa potrebbe dire lui, cosa potrebbe dire lei… resti un po’ così, a fantasticare sui possibili discorsi di lui, di lei… e lei che parla sempre con calma, semplicità, chiarezza, ma anche con fermezza… Se fa attenzione a questo dialogo, e affina un po’ l’udito, può addi-rittura arrivare a sentire le parole che i due personaggi si scambia-no durante il loro dialogo.” Restiamo in silenzio. Lasciamo Giacomo nel suo dialogo fantastico, perché ci si alleni e ci faccia confidenza. Aspettiamo. Dopo una ventina di minuti, Giacomo ci avvisa che il suo immagi-nario colloquio è terminato.

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G.: “Ho pensato e ripensato a cosa mi potrebbe rispondere lui, co-sa gli potrei rispondere io, e avanti così, abbiamo fatto botta e ri-sposta in tutti modi. Le prove sono finite e sono andate bene. Ho tutto chiaro in mente. Sono pronto, in teoria, ma in pratica non ce la faccio a sostenere per davvero questo colloquio.” N.: “Perché?” G.: “Perché mi sento debole… mi manca l’energia.” N.: “Ma se lei avesse tanta energia dentro di sé, e si sentisse forte, allora parlerebbe?” G.: “Sì.” N.: “Bene, quand’è così, faremo una bella scorta di energia.” G.: “Magari si potesse, come quando si va al supermercato a fare scorta di riso, pasta, zucchero, caffè…” N.: “È anche più facile, e addirittura gratis.” G.: “Ah, sì? Cosa devo fare?” N.: “Per ora rimanga così com’è, con gli occhi chiusi, comodamen-te sdraiato sulla sua poltrona e si goda questo relax. Al momento non serve altro, fra poco faremo un altro sogno.” Dopo una pausa, approfondiamo lo stato di trance di Giacomo e lo prepariamo al nuovo sogno. N.: “Immagini di essere in montagna, in una splendente giornata di sole… è davanti ad una fonte di acqua pura… l’acqua della fon-te zampilla dalle rocce… lei ha una brocca in mano e la mette sot-to al getto d’acqua… la brocca sempre più si riempie… si riem-pie… si riempie… ad un certo punto è ricolma… tracima… La ve-de?” G.: “Si. La vedo.” N.: “Ora veniamo a lei. Con la stessa facilità con cui la brocca si è riempita d’acqua, fra poco lei si riempirà di energia vitale… è pronto?” G.: “Sono pronto.” N.: “Bene. Tempo fa, lei aveva detto di aver praticato il Tai Chi Chuan, quindi avrà familiarità con la parola “Chi”, che significa “e-nergia”, “energia vitale”. Vero?” G.: “Sì.” N.: “Bene. Ora provi semplicemente a visualizzare se stesso, così com’è… lei, da solo… qui, adesso… Ci riesce?” G.: “… sì… mi vedo.”

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N.: “Molto bene… Nell’immagine che ha davanti ai suoi occhi chiusi, c’è lei, beatamente disteso in poltrona… se ne sta così, sen-za lavorare… senza muoversi… senza coltivare pensieri… in ozio: in questo modo lei smette di consumare la sua energia… anzi, si rigenera, cioè rigenera le sue scorte di energia… Questo fenomeno di ricarica energetica accade naturalmente, spontaneamente, a tut-ti… a tutti coloro che fanno come lei in questo momento … Basta smettere ogni attività, entrare in relax, lasciarsi andare… e accade. È stupendo, ed è un dono che ci fa l’Esistenza… a tutti noi… basta rendersene conto e saperlo cogliere … Quello che i cinesi chiamano “Chi” 1, è in realtà un oceano di e-nergia… un oceano smisurato… un oceano cosmico… in cui tutti sono immersi e di cui tutti si nutrono, anche senza rendersene conto… è energia cosmica, luce, magnetismo, onda, vibrazione… energia vitale… che ci fa vivere e fa vivere tutto e tutti … Quando lei respira, respira quest’energia… Quando lei si addormenta, dorme in quest’energia… Quando si risveglia, è ancora dentro a quest’energia… Quando si muove, si muove dentro a quest’energia… Quando lavora, consuma quest’energia… Le fatiche, le tensioni, consumano quest’energia… ma lei ora ha smesso di lavorare, ha smesso di affaticarsi, ha smesso di coltivare pensieri, ha smesso tutto… lei ora è semplicemente qui, si lascia andare, si rilassa, e così si rigenera… tutto accade spontaneamente naturalmente… Con un’immagine mentale, lei può visualizzare nei dettagli questo fenomeno, tanto semplice quanto grandioso, così diventa ancora più potente… l’immagine è questa: mentre inspira visualizza l’energia vitale che entra dentro di lei… e mentre espira visualizza questa stessa energia che scende, sempre all’interno del suo esse-re, e va giù, giù in fondo fino alle dita dei suoi piedi… ecco, ora le dita dei piedi sono piene di energia… Con un’altra inspirazione prende nuova energia, e con l’espirazione di nuovo l’energia scende nel suo interno fino ai pie-di… così dopo qualche respiro i piedi sono pieni, e lei comincia a

1 In India questa energia vitale universale è il “prana”. Giustamente vanno usate le metafore che il paziente conosce (o che è in grado di capire) con il linguaggio con cui le conosce. (R. A. di B.)

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riempire le caviglie… Ora le caviglie sono piene, e lei comincia a riempire le gambe… i polpacci… le ginocchia…le cosce… sempre più su… sempre più su… continua a riempirsi di energia… si riempie… si riempie… si riempie… ad un certo punto, succederà anche a lei come alla brocca ricolma di acqua pura, che tracima… anche lei si sentirà ricolmo e straripante… straripante di energia vitale… si sentirà rigenerato, rivitalizzato, forte, di una grande for-za calma…” Lasciamo Giacomo in silenzio, nella sua rigenerazione. Dopo alcuni minuti, ci chiama. G.: “Ecco… ho finito.” N.: “Come si sente?” G.: “Pronto … pieno … calmo … deciso… sto benissimo.” N.: “Benissimo… Fra poco scioglieremo questa seduta, e lei conti-nuerà a sentirsi così anche quando aprirà gli occhi… anche quan-do si alzerà dalla poltrona… anche quando ci saluteremo e andrà via di qui… continuerà a sentirsi rigenerato, carico di energia, di forza, di calma… E se domani non si sentirà più così, nessun problema: potrà rifare a casa sua quanto ha fatto oggi, qui. Ormai ha imparato, e ogni vol-ta che ne avrà bisogno saprà provvedere da solo a rigenerare la sua energia, la sua forza, la sua calma… Poi, quando sarà pronto, andrà a parlare al suo parente. Quando vi incontrerete nella realtà, non si sa cosa vi direte, lo scoprirete il giorno in cui vi parlerete. Quel giorno, ci sarà senz’altro un dialogo in cui due persone intelligenti si capiscono e si mettono d’accordo.” È l’ultima induzione che facciamo a Giacomo. Dopo una pausa di silenzio, lo ricontattiamo per sciogliere il suo stato di trance e ri-portarlo allo stato normale di coscienza. Terminiamo la seduta. Ci congediamo. Quando ci saluta, Giacomo appare molto fiducioso, tranquillo, sorridente.

Conclusione Il lunedì successivo, ore 10, si ripresenta Giacomo e ci racconta le

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sue vicende. Giacomo: “Ho incontrato il mio parente, ci siamo parlati. È stato più facile di quello che credevo, ci siamo chiariti… e non ho più la dissenteria. Sto bene. Ma… è possibile che sia guarito?” Noi: “Sì. È possibile. È guarito.” Lo abbiamo rivisto alcuni mesi dopo, in un incontro casuale, in cit-tà. Ci ha confermato che stava bene e non aveva più avuto ricadute. Non succede sempre così. Di solito, occorrono più sedute per gua-rire, ma a volte succede proprio così

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Gudo Bozak TRATTAMENTO IPNOTICO IN UN CASO DI DISTURBO

PSICOSOMATICO Parole chiave: visualizzazione, capire, paura, sogno da svegli, energia, sin-tomo psicosomatico, ipnosi.

RIASSUNTO Partendo dalla base di una relazione empatica, in cui la persona malata ripone la propria fiducia nel terapeuta, L’Autore la guida verso la scoperta di capacità psicologiche proprie, che la rendono fiduciosa di se stessa e capace di guarire. Inoltre, L’Autore mostra l’uso dinamico e la grande ver-satilità di quello straordinario strumento chiamato ipnosi.

Gudo Bozak HYPNOTIC TREATMENT IN A CASE OF PSYCHOSOMATIC DISEASE

Key words: to visualize, understanding, fear, waking dream, energy, psy-chosomatic symptom, hypnosis.

SUMMARY Starting from the base of an empathetic relation, in which a sick man is confident on the therapist only, the Author leads that man to the discovery of his own psychological capacities, so that man becomes self-confident and capable to heal himself. Besides, the Author shows the dynamic use and great versatility of that extraordinary tool called hypnosis. L’Autore Dr. Gudo Bozak, S.M.I.P.I. Laurea in Lingue, Laurea in Psicologia, Counsellor Viale Nazioni Unite 132, 31100 Treviso. Tel: 0422-430317

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Anna Rossi

VIAGGIO FRA MAGIA NERA E DISTURBO PSICHIATRICO

Parole chiave: etnopsichiatria, magia nera, disturbo borderline di personalità, ipnosi.

Introduzione L’etnopsichiatria nasce dalla scuola di Tobie Nathan, psicologo francese che ha applicato in campo terapeutico le teorie etnologi-che di Georges Devereux. È nata così una nuova disciplina com-plementarista che, integrando conoscenze psicologiche, sociologi-che e antropologiche, ha lo scopo di prendersi cura della “psiche” delle nuove minoranze etniche interpretando correttamente le lo-ro culture. Da qualche anno, anche nel nostro Paese sono sempre più fre-quenti e numerose le ondate di immigrati fuggiti dalle loro terre natie per difficoltà economiche e/o persecuzioni politiche o reli-giose. La fase immediatamente successiva alla migrazione rappre-senta per il singolo individuo un periodo di estrema vulnerabilità psico-fisica. Le difficoltà ambientali che comprendono la mancanza di una rete famigliare e amicale, il difficile inserimento lavorativo e abitativo, l’esposizione ad un ambiente urbano, spesso notevol-mente differente da quello natio, la problematica integrazione per diversità di lingua, credenze e tradizioni, possono far evolvere il disagio in un disturbo vero e proprio.

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La gestione di un disagio o di un disturbo in una persona di un’altra cultura deve tener conto di importanti variabili che condi-zionano l’approccio diagnostico e terapeutico. L’etnopsichiatria clinica di Nathan si propone l’esplorazione dei diversi saperi e del-le differenti pratiche terapeutiche proprie di altre società con pie-na disponibilità a rivedere in modo critico i propri modelli psico-terapeutici, mantenendo così un atteggiamento di apertura menta-le, flessibilità, onestà intellettuale e di sensibilità metodologica to-tale nei confronti della sofferenza degli emigrati. Pari dignità viene data dall’etnopsichiatria alle medicine tradiziona-li di altre culture che, dirette ereditiere di tradizioni millenarie, hanno affinato nel tempo tecniche di guarigione efficacissime basa-te sul semplice funzionamento e non sulla costruzione teorica. In caso di disagio psichico, nella medicina occidentale gli operatori sono psichiatri e psicoterapeuti che lavorano su una diagnosi in una prospettiva laica associando la sintomatologia alla persona. Nella medicina non occidentale gli operatori sono sciamani, cu-randere, che per la diagnosi utilizzano la divinazione per dissocia-re il sintomo (che ha sempre una connotazione “sacra”) dalla per-sona. Lo psicoterapeuta deve sì tener fede ai criteri della propria forma-zione e della propria esperienza, ed evitare facili fascinazioni di pratiche seducenti prive di valore scientifico, ma deve altresì effet-tuare una doppia lettura della patologia che sta esaminando, non solo dal punto di vista teorico filosofico sociale, ma anche dal pun-to di vista terapeutico, consentendo al paziente di affidarsi con-temporaneamente alla psichiatria occidentale ma anche a rituali magici e animistici.

Obiettivo della tesi 1 Gli obiettivi della tesi sono essenzialmente due: a) Creare un rapporto di reciproca fiducia col paziente di un'altra etnia guidando la sua psiche, macchina che crea e scioglie legami, verso l’auto-guarigione. 1 Tesi di Specializzazione in Psicoterapia ad indirizzo Ipnosi Clinica, Scuo-la S.M.I.P.I., A.A. 2008/2009.

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b) Valutare se tecniche ipnotiche siano in grado di offrire un’attiva e concreta possibilità di ristrutturazione del disagio e di ricostru-zione dell’unicità della persona, nel rispetto delle convinzioni, in tutte le sue dimensioni e sfaccettature.

Un caso clinico La storia Paula è una giovane ballerina Brasiliana, residente in Italia da or-mai dieci anni, affetta da un disturbo borderline di personalità. El-la conserva intatta la capacità di valutare razionalmente la realtà per comprendere lo svilupparsi degli eventi ed il concatenarsi del-le relazioni. Racconta come i suoi disturbi, esorditi in età infantile, siano collegati ad una vera e propria malattia psichica, e che su tale sintomatologia si siano poi sovrapposti i disturbi collegati alla ma-gia. Secondo la sua stessa definizione, Paula avverte una “dimen-sione spirituale della vita”, con un atteggiamento distaccato e ra-zionalmente consapevole. Questa dimensione animistica le viene tramandata dal padre, in possesso di doti premonitrici relative ad eventi negativi che si sarebbero sempre verificati ineluttabilmente nonostante i suoi vani tentativi di modificarli. I primi disturbi di Paula iniziano nella preadolescenza: ribelle, provocatoria, aggressiva, violenta, entra in conflitto coi genitori che sembrano non accorgersi della sua sofferenza, mostrando di-sinteresse e profonda incapacità di accudimento affettivo. Su tali disturbi si inserisce la componente magica, una “macumba” prati-cata dall’amante del padre contro di lei, che aggrava la problemati-ca della ragazzina. Paula infatti, scoperta la relazione del padre, aveva aggredito fisi-camente la donna ed informato il marito del tradimento, facendole perdere la custodia dei figli. Appare intuibile come si possa proporre una lettura dell’episodio in termini di “senso di colpa” da parte della paziente, ma questo non sminuisce l’importanza della spiegazione magica, che ne risul-ta invece rafforzata, assumendo un significato ancora più preciso. Da quando le erano state rivolte contro pratiche magiche, Paula aveva iniziato a presentare allucinazioni uditive. Udiva la voce di

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una donna che le intimava di procurarsi del male fisico, addirittura di uccidersi, altrimenti lei stessa sarebbe stata spinta ad atti violenti nei confronti dei suoi famigliari. Queste minacce e intimazioni e-rano diventate ancora più pesantemente drammatiche e ango-scianti per Paula dopo la nascita dei suoi due figli perché si accani-va proprio su di loro la voce persecutrice. Le allucinazioni Paula, ha la capacità di discriminare l’effetto disturbante e irrazio-nale delle proprie allucinazioni, ed inserisce questa fenomenologia nella propria cultura. Queste esperienze, osservate in senso animistico, appaiono in tota-le sintonia e coerenza con la realtà nella quale si muove la pazien-te, conservando così una trama di significati che possono essere condivisi. Paula stessa, introducendo le premesse teoriche e ideo-logiche della propria cultura, ha la possibilità di spiegare la propria sofferenza salvando i propri valori religiosi, che osserva e rispetta ma dei quali ha paura. Riesce così, rassicurata da un atteggiamento privo di pregiudizi di ascolto e di accettazione della sua parte più genuina, a dare spie-gazioni culturali delle proprie allucinazioni, descrivendo le cause che le determinano e le pratiche terapeutiche che le fanno scom-parire. Disperata per l’irrisolvibilità della situazione (le “voci” e l’angoscia non erano svanite con la terapia farmacologia che pure assumeva di buon grado 2) Paula decideva di tornare in Brasile per sottoporsi ad un rituale di “ purificazione” dalla precedente fattura. In un primo tempo si sottoponeva a massaggi con unguenti ed er-be ma senza beneficio. La mancanza di risultati veniva spiegata dal fatto che le era stata praticata una fattura di particolare forza che richiedeva pertanto un intervento più complesso. Per allontanare le forze negative responsabili di molte sofferenze si rendeva così necessario l’intervento di tre terapeuti. Veniva quindi allestito un rituale con un rogo purificatorio, in cui venivano bru-ciati alcuni oggetti simbolici. Questo secondo trattamento aveva garantito un deciso miglioramento delle condizioni della paziente:

2 Gli psicofarmaci non modificano le convinzioni profonde da cui nasce la psicopatologia, al massimo possono attenuarne gli effetti. (R.A. di B.)

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infatti erano sparite le voci che tanto l’avevano angosciata.

Modalità di intervento psicoterapeutico Conosco Paula in una clinica psichiatrica durante il mio tirocinio pratico: i motivi del ricovero sono simili a quelli di molti altri rico-veri da lei effettuati in precedenza: uno stato di intensa angoscia, con forti impulsi auto lesivi, indotti da una lite col marito avvenuta per futili motivi. Sotto i motivi contingenti, che agiscono come fat-tori scatenanti, si muove l’ambivalenza affettiva nei confronti del marito che si esplica con fasi alterne di agitata conflittualità e di avvicinamento. La relazione terapeutica istituita con la paziente verte esclusiva-mente sull’uso degli strumenti consueti: colloquio e farmaci. Al di là dell’atteggiamento di reticenza sulla sua componente animistica, per non esporsi a facili umiliazioni e derisioni che troppe volte ha dovuto sopportare da terapeuti precedenti, Paula accetta di buon grado le terapie. Nulla fa intravedere l’esistenza di un mondo ancora taciuto: Paula ha un titolo di studio equiparabile alla nostra maturità, proviene da una famiglia agiata, con un padre che gestisce un’attività im-prenditoriale che si estende anche all’estero, ha vissuto in una grande metropoli in una società industrializzata. So poco di lei, mi raccontano che ha uno stile di vita un po’ disordinato, che fa fre-quenti viaggi in Brasile, con grande disappunto del marito, e che ha comportamenti autolesivi che vanno da ferite, scarificazioni e bruciature, fino a veri e propri tentativi di suicidio con farmaci. Paula ha la pelle ambrata, una fascia turchese le raccoglie i capelli neri divisi in tante treccioline, è distesa sul letto e guarda le foto dei suoi figli sul suo comodino. Mi rivolgo a lei dicendole che sono molto belli. Lei allora mi spiega che la bambina, avuta da una relazione precedente, è ora è affidata ai nonni paterni e che lei, con rammarico, non la vede più da tem-po, mentre il bambino, che è la sua gioia, vive con lei e il marito. Aggiunge che sono bravi mentre lei è stata una bambina “cattiva”. Le chiedo quale sia stato il momento più sereno della sua vita. Mi dice: “Quando aspettavo il mio bambino”.

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La invito pertanto a rilassarsi e mentre chiude gli occhi può pensa-re a quel momento magico che è la gravidanza, …può tornare in-dietro nel tempo e, mentre il suo respiro si fa più profondo, pro-vare le sensazioni di benessere che ha una madre nel permettere che cresca dentro di lei una vita, il frutto del suo amore… la mamma lo nutre, la mamma lo culla, la mamma lo protegge… Mentre pensa al suo bambino, può pensare di amare nutrire pro-teggere e coccolare quella bambina “cattiva” che non è cattiva ma solo “birichina”… perché quella bambina ha bisogno di attenzioni, ha bisogno di amore, ha bisogno di essere abbracciata. Paula si accarezza il ventre e poi incrocia le braccia sulle spalle ca-rezzandole dolcemente… piano, piano riapre gli occhi e mi dice: “grazie dottoressa”. Incontro Paula la settimana successiva mi accoglie con un sorriso orgogliosa di se stessa: “ho tenuto a bada la bambina “birichina”. Mi spiega che andando al bar della clinica per prendere un caffè era fortemente attratta dai rasoi monouso. Indecisa su come spen-dere i suoi soldi, si era allora ricordata di abbracciare la bambina e aveva deciso di ordinare il caffè! Le dissi che ero molto contenta e che ora che aveva imparato ad amare quella bambina avrebbe sempre deciso per il meglio. In seguito le preparai dei disegni raffiguranti gli oggetti che lei u-sava per farsi del male ed altri disegni di oggetti simili, ma innocui. Montandoli insieme, in una sorta di cartone animato, glieli mo-stravo in movimento in modo da trasformare un’immagine in un’altra e decondizionare l’aspetto lesivo di tali strumenti: le forbi-ci diventavano un mazzo di fiori, il rasoio un microfono per canta-re e così via… Le condizioni di Paula miglioravano grazie alla stabilità della tera-pia e alla fiducia che si era instaurata nei confronti dei Curanti. Ebbe così il coraggio di renderli partecipi delle proprie esperienze animistiche per la ricerca e la valutazione di tali fenomenologie, desiderando di essere creduta. Durante un pomeriggio. ritornata a casa in permesso, ebbe ancora qualche dissapore col marito senza però mettere in atto compor-tamenti autolesivi. Decisi quindi di aiutarla a capire con delle metafore ciò che stava dietro la sua angoscia e a modificare le sensazioni di paura che lei

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aveva nei confronti del marito. Le chiesi, visto che era una balleri-na, se voleva danzare con me le tappe per affrontare il “drago”, cioè la sua angoscia, passando attraverso varie tappe per trovare delle soluzioni del tutto nuove. Lei mi rispose che non era pronta a farlo. La rassicurai dicendo che gliele avrei illustrate io stessa e, se la cosa le fosse piaciuta, le a-vremmo potute esplorare insieme. Mi feci un po’ di spazio fra i due letti della camera e disegnai con un gesso sul pavimento i 5 cerchi della diversa consapevolezza del “drago” e misi al centro un telo simbolo del “mantello del mago” ciò che può trasformare il “drago”. Le spiegai, muovendomi da un cerchio all’altro che: - il primo riguardava l’innocenza: il sapere dell’esistenza del drago, ma non il sapere su come affrontarlo; - il secondo la solitudine: la sottomissione al drago; - il terzo il martirio: il sacrificio per il drago; - il quarto la distrazione: il fare finta che il drago non esista e oc-cuparsi di altre cose; - il quinto la guerra: il combattere il drago; - quello al centro era il cerchio del” mago”, colui che col suo man-tello può vedere il “drago” in un modo diverso. Incuriosita e affascinata da questa nuova prospettiva, Paula si affidò completamente e mani nelle mani ad occhi chiusi cominciai ad ac-compagnarla coraggiosamente e amorevolmente incontro alla tra-sformazione di una realtà che si proponeva come un angosciante macigno. Danzando di cerchio in cerchio ad occhi chiusi, con sug-gestioni che calavano, nella diversa consapevolezza di elementi e modalità già vissute su come affrontare la paura, arrivammo final-mente al cerchio del mago. A questo punto la invitai ad indossare il mantello del mago per ascoltare quello che la sua paura aveva da dirle. Paula si fermò fece il gesto di indossare il mantello, le lacrime sgorgavano dai suoi occhi chiusi e piangendo gridò: “ti amo”. Il giorno successivo fu inviata in permesso a casa per festeggiare il compleanno del figlio e trascorse in famiglia una giornata armo-niosa.

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Discussione e conclusioni Ad una successiva visita di controllo ero curiosa di sapere quanta importanza avrebbe attribuito Paula alle nostre terapie “occidenta-li” e quanta alle terapie derivanti dalla sua tradizione per spiegare il miglioramento. Mi chiarisce che si tratta di due campi assolutamente separati. Il primo, quello che aveva tratto beneficio dal trattamento farmaco-logico e psicoterapeutico era il campo della patologia psichiatrica, configuratesi come disturbo di personalità e responsabile dell’ultimo ricovero legato ad una serie di situazioni reali ango-scianti. Il secondo era quello relativo alle influenze magiche collegate alle voci e alla componente di malessere legata ad altre persone, sia come autori della magia nera sia come vittime di essa. Era dunque lei stessa uno degli oggetti di questi impulsi, e in questa dimensio-ne di vittima diveniva persona diversa da sé, sviluppando nell’autolesionismo una sorta di involontaria e paradossale allean-za con i propri aggressori. Il fatto pertanto che le voci fossero scomparse dopo i trattamenti tradizionali in Brasile appariva per-fettamente in sintonia con questa suddivisione dei disturbi. Tacciare questa guarigione di mera suggestione o manipolazione potrebbe rientrare in una spiegazione assolutamente logica e coe-rente con i nostri parametri nosografici e psicologici, ma privereb-be la osservazione di questo caso del suo dato più interessante ed appassionante cioè del vissuto della paziente riguardo alla propria sofferenza. L’ascolto e l’accettazione delle caratteristiche e la messa in atto di interventi semplici e creativi attivi sulla parte emozionale di Paula hanno permesso alla paziente, per la prima volta in tanti anni, di aprire senza riserve il suo lato spirituale, permettendo che final-mente le fosse restituita la sua unitarietà . Paula era diventata così protagonista autentica della propria tera-pia, percependo di essere accettata nella sua identità, dal momen-to che le sue convinzioni poggiavano su tratti più profondi della sua persona e venivano riconosciuti nella loro importanza e non trattati come un residuo di credenze infantili e selvagge. Il riconoscimento della dignità di significato, di importanza dei ri-

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spettivi riferimenti culturali sono alla base del rapporto terapeuti-co che diventa così dilatato e carico di aspettative. “Non è importante distinguere il vero dal falso di un pensiero ma ciò che esso mobilita”. 3

Bibliografia:

Nathan T. (1990) - La follia degli altri. Saggi di etnopsichiatria. (Ponte delle grazie, Firenze) Nathan T. (1996) - Medici e Stregoni (Bollati Beringhieri, Torino) Haasen C. Yagdiran O. (2000) - Potential for misdiagnosis among Turkish migrants with psichotic disorders a clinical controlled study in Germany. (Acta Psychiatrica Scandinavica 101:125-129) Fatos D. (2002) - Etnopsicologia, etnopsichiatria e l’idea dell’altro. (Vertici network di psicologia e scienze affini) Mallet R. LeffJ et al 2002 - Social enviroment, ethnicity and schizophrenia. (Soc Psychiatr epidemiol 37: 329-335) Grandsard C. (2003) Elementi di etnopsichiatria .Metodologia e prope-deutica al lavoro con i mediatori culturali Hounkpatin L. (2003) - Rappresentazioni e visioni tradizionali: corpo, mente, salute, identità e persona in Africa Occidentale. Nathan T. (2003) - Non siamo soli al mondo. (Bollati Beringhieri, Torino)

3 Spesso in psicoterapia l’operatore cerca di “convertire” il paziente alle proprie convinzioni, comportamento che molto spesso è solo uno spreco di tempo; invece accettare ed entrare nella mentalità del paziente per rie-laborarne in positivo gli elementi vissuti in modo patogenetico è il com-portamento efficace. (R.A. di B.)

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Anna Rossi VIAGGIO FRA MAGIA NERA E DISTURBO PSICHIATRICO

Parole chiave: etnopsichiatria, magia nera, disturbo borderline di persona-lità, ipnosi.

RIASSUNTO L'autrice descrive un caso di una paziente brasiliana affetta da un disturbo borderline di personalità convinta di essere stata colpita da un maleficio in età preadolescenziale. Il rispetto delle sue profonde e immodificabili convinzioni, in assenza di pregiudizi, e dei semplici interventi psicoterapeutici eseguiti in ipnosi hanno portato sensibili miglioramenti sul piano comportamentale, resti-tuendo unitarietà e dignità alla persona.

Anna Rossi A JOURNEY BETWEEN BLACK MAGIC

AND ETHNOPSYCHIATRIC

Key Words: ethnopsychiatry, black magic, borderline personality disorder, hypnosis.

SUMMARY The autor describes the case of a female brazilian patient with a borderline personality disorder and with a history to have been fallen a victim to a woman's charms in preadolescent age. The respect of her traditional thoughts, without any prejudice, associated with simple therapeutic interventions performed in hypnosis brought to significant improvement in her behaviour, restoring unity and dignity to her personality. L’Autrice Dottoressa Anna Rossi, terapeuta SMIPI, medico, professore a contratto Università di Genova, specialista in Aneste-siologia e Rianimazione, specialista in Scienza dell'Alimentazione, speciali-sta in Psicoterapia ed Ipnosi Clinica S.M.I.P.I. Via Belsito 7 - 16167 Genova, E mail: [email protected]

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DIPARTIMENTO DI SCIENZE ODONTOSTOMATOLOGICHE DELL’UNIVERSITÀ DI SIENA

SEZIONE DI ANESTESIOLOGIA RIANIMAZIONE E TERAPIA DEL DOLORE (UNITÀ OPERATIVA DI ANESTESIOLOGIA IN ODONTOSTOMATOLOGIA)

Alberto Mori, Davide Celestino, Niccolò Maggiorelli,

Andrea Di Massa

IMPIEGO DELL’IPNOSI PER LA SEDAZIONE DI UNA PAZIENTE ODONTOIATRICA

CON SCLEROSI LATERALE AMIOTROFICA

Il faut substituer l’ésprit de sistème avec l’ésprit d’observation. (GEORGE CABANIS)

Parole chiave: sedazione, odontoiatria, ipnosi medica, Sclerosi La-terale Amiotrofica.

Introduzione La sclerosi laterale amiotrofica (SLA) è una patologia neurodegene-rativa caratterizzata dalla progressiva morte dei motoneuroni che permettono il movimento della muscolatura volontaria. Colpisce sia i motoneuroni centrali, che si trovano nella corteccia cerebrale e trasportano il segnale dal cervello al midollo spinale, sia quelli periferici, che trasmettono il segnale dal midollo spinale ai musco-li1,2. La morte dei motoneuroni avviene gradualmente in un periodo che può andare da pochi mesi ad anni, in questo periodo i moto-

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neuroni superstiti sostituiscono nelle proprie funzioni quelli di-strutti. I primi segni della malattia compaiono quando la perdita progressiva dei motoneuroni supera la capacità di compenso dei motoneuroni superstiti fino ad arrivare ad una progressiva paralisi, ma con il risparmio delle funzioni cognitive, sensoriali, sessuali e sfinteriali (vescicali ed intestinali). La SLA è una delle forme più comuni di malattie neuro degenerati-ve dell’adulto con un’incidenza di 0,5-3 casi su 100.000 abitanti. I primi sintomi della SLA sono solitamente alterazioni motorie co-me affaticamento delle braccia e delle gambe, difficoltà nel parlare e crampi muscolari. Spesso le mani sono le prime ad essere colpite risultandone un evidente ostacolo alle abituali occupazioni. Col progredire della malattia i sintomi diventano sempre più impor-tanti: alla immobilità ed alla perdita della deglutizione fa seguito l’insufficienza respiratoria, che può rendere necessaria la ventila-zione artificiale. L’esito è infausto. Il presente lavoro ha lo scopo di sottolineare che pazienti incapaci di collaborare a causa delle loro gravi condizioni psico-fisiche pos-sono essere trattati con opportuni accorgimenti, anche quando l’impiego di usuali metodiche non ha prodotto i benefici sperati.

Descrizione

G.T. è una donna di 35 anni affetta da sclerosi laterale amiotrofica. La paziente quando giunse alla nostra osservazione era trasportata in sedia a rotelle poiché impossibilitata a muoversi autonomamen-te. Era incapace di articolare parola; emetteva solo qualche fonema che esclusivamente gli accompagnatori (il marito e un’amica di famiglia) riuscivano, e non sempre, a decifrare. Durante il nostro colloquio la paziente per comunicare con noi, non abituati al suo linguaggio, annuiva serrando fortemente le palpebre e negava scuotendo la testa. Aveva necessità di estrazioni dentarie in seguito a patologie cariose destruenti (primo e secondo molare inferiore di sinistra); era stata inviata alla nostra attenzione dal suo dentista con richiesta di seda-zione cosciente. Richiesta motivata dal fallimento del trattamento odontoiatrico programmato per insorgenza di sintomatologia an-

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siosa. Per mezzo della “traduzione” degli accompagnatori, riuscia-mo a capire che lei durante l’apertura della bocca non poteva re-spirare dal naso e quindi provava un senso di soffocamento duran-te le manovre odontoiatriche, forse anche a causa dell’accumulo di secrezioni e di liquido di lavaggio nel faringe. Inoltre non si sentiva tranquilla poiché chi l’aveva ricevuta in prima istanza non aveva mostrato sufficiente pazienza.

Comportamento clinico

Inquadramento

Dopo un attento esame della storia clinica della paziente decidia-mo di non optare per una ansiolisi farmacologica poiché, almeno in linea teorica, eventuali effetti collaterali da farmaci sedativi, seb-bene non siano di frequente osservazione se usati “lege artis”, in una paziente con le limitazioni descritte non sono scevri da ri-schio. Abbiamo anche rinunciato all’utilizzo del protossido d’azoto in quanto non conoscevamo lo stato anatomo-funzionale delle vie aree della paziente e volevamo assolutamente evitare in una pa-ziente con patologia grave tutti i fastidi che le ricerche cliniche, necessarie per formulare un accurato giudizio di rischio, compor-tano (spostamenti, prelievi, esami funzionali eccetera). I farmaci sedativi, in particolare le benzodiazepine, possono ecce-zionalmente provocare insufficienza respiratoria per inibizione del centro del respiro a livello bulbare, e per rilasciamento dei muscoli della lingua che può cadere all’indietro, obliterando le vie respira-torie. Inoltre è stato accertata, attraverso studi scientifici, la perico-losità del’uso di farmaci benzodiazepinici in pazienti affetti da SLA, in quanto è presente un alterato legame recettoriale3. Inoltre avan-zavamo riserve relativamente al calcolo delle dosi di sedativi da somministrare, non avendo in letteratura trovato specifiche indica-zioni. Quindi, avendo notato l’integrità delle facoltà cognitive della paziente e la sua motivazione, abbiamo pensato di procedere a mezzo di induzione ipnotica.

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Preparazione

- fase A Dopo essersi rilassata, la paziente è stata invitata a sperimentare un piacevole stato di benessere immaginando una passeggiata in campagna con i suoi figli che spingono la carrozzina e raccolgono fiori per lei. Durante la trance è stata esortata ad annusare i fiori che i figli le avevano raccolto e a respirare, a pieni polmoni e a bocca aperta, l’aria di quel luogo immaginario dove la passeggiata si svolge. Successivamente è stata poi ancorata l’apertura della bocca alla piacevole sensazione del profumo dei fiori raccolti dai figli durante la passeggiata4,5. -fase B Dopo il risveglio dalla trance, viene condotta da noi in sala opera-toria direttamente dall’ambulatorio. Le abbiamo dato un occhiali-no nasale per ossigeno terapia e l’abbiamo nuovamente invitata ad aprire la bocca e a respirare solamente col naso; durante questo esercizio, per simulare l’intervento odontoiatrico, abbiamo provato a tappare con le mani la bocca già aperta della paziente, di modo che non vi fosse alcun flusso di aria per via orale. Durante questa manovra abbiamo detto alla signora che l’ossigeno erogato attra-verso l’occhialino nasale era come il profumo dei fiori colti dai propri figli durante la passeggiata, e nonostante avesse la bocca letteralmente tappata dalle nostre mani, riusciva a respirare bene, come prima non accadeva. In seguito si regala alla paziente un dispositivo per somministra-zione nasale di ossigeno, al fine di consentirle di esercitarsi a re-spirare dal naso a bocca aperta, in vista del trattamento odontoia-trico.

Trattamento Il giorno stabilito per l’intervento, abbiamo indotto in ipnosi la pa-ziente con le stesse modalità della prima volta, ripetendo la meta-fora della passeggiata e del profumo dei fiori, di modo che, anche mediante la somministrazione di ossigeno, riuscisse nuovamente a respirare solo con il naso. Abbiamo raccomandato all’odontoiatra

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di aspirare accuratamente e di usare con parsimonia il liquido di lavaggio. Al risveglio dalla trance dopo l’intervento la paziente,aiutata dal marito ed amica interpreti, ha spiegato, pur non essendo in pro-posito stata avanzata richiesta alcuna, i motivi della propria ansia. L’abolizione della sensibilità e della motilità delle labbra in una persona già pesantemente limitata nel controllo del proprio corpo risultava particolarmente sgradevole e (aggiungiamo noi) forse an-ticipatoria di maggiori sventure. Il nostro intervento, basato su una corretta tecnica di comunica-zione, è fondamentalmente servito a farle accettare le conseguenze dell’anestesia loco regionale, che nessuno immaginava fossero vis-sute in modo così drammatico. Il fatto che il trattamento di pazienti con così gravi limitazioni fisi-che sia eccezionale nella pratica odontoiatrica dà ragione degli er-rori che l’équipe odontoiatrica può commettere nella comunica-zione con loro. In effetti la abolizione della sensibilità e motricità in un piccolo territorio quale quello bloccato con una anestesia loco regionale (ALR) in odontoiatria, in un paziente che non ha padronanza della quasi totalità del corpo può avere effetti partico-larmente spiacevoli.

Conclusioni Sul caso descritto gli autori possono trarre due conclusioni appa-rentemente antitetiche: i medici che hanno trattato la paziente af-fetta da SLA sono soddisfatti del risultato clinico; i ricercatori che hanno descritto il caso sono insoddisfatti poiché non riescono a dare spiegazione scientifica * di quanto hanno osservato. Di certo la chiave del successo conseguito non può essere tanto ricercata nella sfera cognitiva legata in gran parte allo stato di ve-glia, quanto piuttosto nella possibilità dello stato mentale di ipnosi * Chissà se mai sarà possibile dare una spiegazione scientifica di “miracoli” come questo, d’altra parte sono più importanti: il risultato clinico pratico e la dimostrazione della possibilità di realizzarlo. Questo esempio può es-sere utile in altri casi con simili problematiche: gli interventi potranno es-sere analoghi, ma naturalmente andranno di volta in volta adattati su mi-sura per il singolo paziente. (R.A. di B.

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di rendere fruibile risorse e materiale inconscio, comunque pre-sente, ma non disponibile allorché l’interessato compie sforzi per esplorare razionalmente6 il patrimonio di conoscenze e potenziali-tà che la sua mente ed il suo cervello contengono7. Le metodiche terapeutiche basate sulla comunicazione interumana rendono più ricco il patrimonio di conoscenze dell’odontoiatra, e, all’occorrenza, contibuiscono alla risoluzione di casi “difficili” o, apparentemente con le normali metodiche, “impossibili”. L’odontoiatra durante i suoi studi dovrebbe essere reso edotto sul-le possibilità che queste metodiche offrono8. Solo l’accettazione convinta e letterale di quanto sostenuto da Ge-orge Cabanis, citato all’inizio del presente lavoro, può modificare le nostre acritiche convinzioni, che trovano nell’attaccamento all’“ipse dixit” ottimo pabulum.

Bibliografia 1) Sasaki S.: - Phenotipes in ALS, clinical features and pathology. Brain Nerve. 2007 Oct;59(10):1013-21. 2) Pradat P.F., Bruneteau G.: - Clinical characteristics of amyotrophic lateral sclerosis subsets. Rev Neurol (Paris). 2006 Jun;162 Spec No 2:4S29-4S33. 3) Turner M.R., Osei-Lah A.D., Hammers A., Al-Chalabi A., Shaw C.E., Andersen P. M., Brooks D. J., P.N. Leigh, K. R. Mills: - Abnormal cortical excitability in sporadic but not homozigous D90A S0D1 ALS. J. Neurol. Neurosurg. Psychiatry 2005;76;1279-1285 doi:10.1136/jnnp.2004.054429. 4) Erickson M. H.: - La mia voce ti accompagnerà. Astrolabio editore; Roma, 1983. 5) R. Bandler, J. Grinder: - La struttura della magia. Astrolabio edito-re, Roma,1981 6) Arone di Bertolino R.: - Lo Stato di Ipnosi. Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi 1-1989: 21-34 7) Di Massa A,: - Lettera sul dolore. Rivista Medica Italiana di Psicote-rapia ed Ipnosi 2008(I):145-51 8) Arone di Bertolino R.: - L’ipnosi per un medico. Martina editore. Bologna,2003.

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Alberto Mori, Davide Celestino, Niccolò Maggiorelli, Andrea Di Massa IMPIEGO DELL’IPNOSI PER LA SEDAZIONE

DI UNA PAZIENTE ODONTOIATRICA CON SCLEROSI LATERALE AMIOTROFICA

Parole chiave: sedazione, odontoiatria, ipnosi medica, Sclerosi Laterale Amiotrofica.

RIASSUNTO La SLA è una malattia neurodegenerativa caratterizzata dalla progressiva morte dei motoneuroni. La degenerazione avviene in modo graduale, in mesi o addirittura anni, e la funzione perduta viene supplita dai motoneu-roni superstiti; quando la perdita progressiva supera la capacità di com-penso si ha la comparsa di una progressiva paralisi. La SLA si manifesta inizialmente con disfunzioni motorie, fino a portare alla morte per com-promissione della funzione respiratoria. Abbiamo trattato una giovane donna affetta da SLA, la quale era su una se-dia a rotelle impossibilitata a muoversi ed a parlare. La paziente necessita-va di un trattamento odontoiatrico ed era molto ansiosa, perché non riu-sciva a respirare con il naso tenendo la bocca aperta durante l’intervento odontoiatrico. Abbiamo deciso di non eseguire una sedazione con farmaci perché temevamo di provocare effetti collaterali, quindi abbiamo optato per un approccio psicoterapeutico: l’ipnosi. Questo lavoro vuole evidenziare che un approccio non usuale, quale la ipnosi, può essere proposto per risolvere la situazione di pazienti affetti da patologie che rendono complicati anche i trattamenti più semplici.

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Alberto Mori, Davide Celestino, Niccolò Maggiorelli, Andrea Di Massa THE USE OF HYPNOSIS IN A PATIENT

WITH AMYOTROPHIC LATERAL SCLEROSIS Key words: sedation, dental, medical hypnosis, Amyotrophic Lateral Scle-rosis.

SUMMARY ALS is a neurodegenerative pathology. It makes increasingly die all the mo-toneurons. The death of these motoneurons happens slowly, in an a-mount of time that can go from a month at least to years at the most. The motoneurons that are still working do the work even for the ones that are already dead; when these ones can’t do the work of the dead ones, the patient affected by ALS, can get a partial paralysis. ALS start to show up with disfunctions of the motor system and it can brings to death because the patient isn’t able to breath anymore. We treated a woman affected by ALS. She on weelchair and was wasn’t a-ble to speak and she needed an odontoiatric treatment, but she was an-xious because she couldn’t breath with her nose while she was receiving her treatment. We decided not to sedate her farmacologically because we were afraid to cause some side effects. So we decided to go on with a phsycotherapic approach: hypnosis. This work wants to show a new approach to patients that because of their situation don’t receive appropriate treatments. Gli Autori Dott. Alberto Mori, Dottore in Odontoiatria e protesi dentaria. Località Tregozzano 31, 52100 AREZZO Dott. Davide Celestino, Dottore in Odontoiatria e protesi dentaria.

Dott. Niccolò Maggiorelli. Dottore in Odontoiatria e Protesi Dentaria. Me-dico interno. U.O. Anestesiologia in Odontostomatologia. AOUS Senese. Viale Bracci 1, 53100 Siena. cell 3476440616

Prof. Dott. Andrea Di Massa, Docente S.M.I.P.I., Unità Operativa Di Ane-stesiologia in Odontostomatologia AOUS Senese; Direttore del Servizio ed Insegnamento di Anestesiologia e Rianimazione OPD Università dell’Università di Siena; viale Bracci1 53100 Siena. Tel. 0577585611/021; fax 0577586155 cell. 3336100364.

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Massimo Arcella

UNA NEVRALGIA ATIPICA DEL TRIGEMINO

“Solcare il mare all’insaputa del cielo - man tian guo hai” TRENTASEI STRATAGEMMI - WU GU

Parole chiave: nevralgia del trigemino, metafore, comunicazione, Koan.

Introduzione Laddove la parola non è concessa, la mente trova la strada per a-girne i contenuti, cosa molto frequente in quelle situazioni dove vigono importanti difese e forme di somatizzazione come dimo-strazione di un disagio più profondo e silente. Attraverso l’identificazione di aree della persona bloccate e rara-mente mostrate e vissute, si passa poi alla rielaborazione attraverso strumenti e labirinti della linguistica, della comunicazione, per in-camminarsi sulla strada della guarigione. In questo lavoro vi è una dimostrazione della risoluzione di un ca-so di “nevralgia trigeminale atipica”, trattato con metafore e ristrut-turazione dei condizionamenti mentali educativi ed arcaici. Dopo una descrizione del caso all’atto della presa in carico espan-derò il panorama al retroterra della paziente con un po’ di storia famigliare, per poi passare ad una valutazione di tutti i fattori che hanno concorso alla problematica; fattori predisponenti, fattori precipitanti, fattori scatenanti e di mantenimento.

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A questo punto riferirò come si è sviluppato il percorso, soprattut-to identificando gli obiettivi principali, con citazioni prese da un diario che la paziente ha tenuto e sul quale appuntava le sue rifles-sioni. Per poi concludere con qualche commento e riferimento te-orico

Descrizione problematica al momento della presa in carico S. ha 45 anni, single, porta come causa principale del suo malesse-re una nevralgia del trigemino atipica, che allo stato della presa in carico, è gestita con sedute di pranoterapia e la terapia farmacolo-gica prescritta dal neurologo di 2.000 mg/die di Gabapentin, pur-troppo con scarsi risultati. I dolori si verificano in diversi momenti della giornata, senza particolari stimoli fisici se non condizioni climatiche che sensibilizzano la zona dolente, e si presentano con scosse ripetute che creano forte disagio e insofferenza.

Storia sociale e anamnestica

La famiglia: un luogo dove vigevano sani principi, S. aveva un le-game privilegiato con la figura paterna e più ambivalente nei con-fronti della madre. Il fratello, più grande, è sempre stato il più atti-vo e indipendente della famiglia, ha sempre fatto la voce grossa nei suoi confronti e comunque, appena maggiorenne, ha provato in diversi modi a uscire di casa, sia con lavori che studi, modalità di evitamento che poi ha mantenuto nel tempo. Regole famigliari: il rispetto dell’altro, ma soprattutto come pana-cea di tutti i disguidi, l’accettazione dell’altro senza contraddizioni per sedare ogni possibile confronto o potenziale lite, bandendo le ribattute. Fin da piccola S. è sempre stata vista come l’introversa e la silenziosa, e questa sua chiusura è stata anche letta, in maniera stigmatizzante da un lato, completamente erronea dall’altro, come portatrice di disturbi del linguaggio (per una lieve forma di balbu-zie che ora non è più presente se non in rari casi) con probabile ritardo mentale. La madre è molto svalutante: spesso scarica le proprie tensioni

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colpevolizzando la figlia in maniera sia diretta che indiretta, per il “quieto vivere” si deve stare zitti e accettare quello che ci si sente dire perché se questa viene contraddetta calza i panni della vittima. Purtroppo la modalità relazionale materna, nelle fasi dello svilup-po dell’indipendenza della figlia, ha alterato il naturale evolversi dell’affermazione di sé, ingigantendo le tematiche di colpevolizza-zione e svalutazione che hanno segnato la paziente in diverse fasi della sua vita e a diversi livelli. Se da un lato è stata abile nella cura e nelle funzioni materne di base, dall’altro è andata a sviluppare un’armatura caratteriale con sfumature sia orali che masochistiche, secondo il paradigma bioenergetico che tutt’ora protegge le com-ponenti profonde della paziente. Il fratello, attualmente, ha una famiglia con due figli entrambi poco più che ventenni, lavora per un giornale correggendo bozze e que-sto ruolo è un suo standard anche nel privato perché mostra un falso Sé autoritario e giudice di tutto quello che gli gravita attorno. La moglie è a tratti sottomessa e i figli sono sotto il controllo pa-terno, in alcuni casi eccessivo e castrante. La paziente è laureata e attualmente impegnata nel proprio campo di specializzazione. Molto attiva e capace nel suo lavoro è dotata di grande sensibilità e ottime doti di ascolto. Per mantenere l’attenzione sul presente mi sono limitato a pren-dere nota degli eventi che riportava, fonte di filtro emotivo ad alto valore simbolico. Poche esperienze affettive con l’altro sesso, e solamente una rela-zione importante durata qualche anno. Le amicizie sono limitate alla zona di origine, non ve ne sono nella residenza attuale. Amici-zie che riesce a incontrare occasionalmente, sono praticamente tutte coppie con e senza prole. Il confronto con queste realtà in-nesca tematiche di insoddisfazione e non realizzazione. Attualmente vive con la madre anziana (78 anni). Spesso la dome-nica si incontra con il fratello e la sua famiglia (moglie e i due fi-gli); con lui negli ultimi anni si è delineata una relazione scarna di attenzione e di affetto, anzi spesso conflittuale, perché lui fa da ca-po del “ritrovo” come maschio dominante ed ad ogni affermazione o comunicazione che parte da lei reagisce in due modi: o sta zitto o, se non ne condivide i contenuti, critica e svaluta. In passato S., all’età di 20 anni circa, ha intrapreso un percorso di

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psicoterapia di orientamento cognitivo–comportamentale, dal qua-le ha ottenuto buoni risultati, anche se riporta ancora un vissuto ansiogeno somatizzato, con forti dolori di “pancia” che precedeva-no i giorni della psicoterapia. Nell’agosto del 2003 muore il padre, figura carismatica nella vita affettiva della paziente. Sicuramente lei era la più attenta ai bisogni del padre, nella fase di assistenza, e la più sensibile e sofferente al momento della perdita all’interno del nucleo familiare; il fratello maggiore, persona boriosa. non ha mai portato la propria emotivi-tà all’interno della famiglia, ha prudentemente evitato argomenta-zioni in merito e prese di responsabilità. La madre, sofferente per il lutto del marito, ha saputo gestire nel tempo l’accaduto, che probabilmente è andato poi a mischiarsi con irrisolti personali, mantenendo sempre attivo un pattern di relazione ambivalente nei confronti della figlia rimasta vicino a lei. Nel settembre 2005 compare un forte dolore caratterizzato da scosse elettriche a livello dentale non imputabile a carie o maloc-clusioni. Gli episodi di dolore diventano sempre più frequenti, so-no bilaterali, si estendono a diversi denti sia dell’arcata superiore sia inferiore. Si rivolge ad un odontoiatra che in più visite non ri-scontra niente di anormale. A questo punto dopo circa cinque me-si dalla comparsa delle scosse, nel febbraio del 2006, si reca da un neurologo che diagnostica subito una Nevralgia del Trigemino ati-pica. Solitamente atipico è tutto ciò che si differenzia dal normale, prendiamo anche come beneficio del modus intepretativo il lecito conferire, in campo medico, l’etichetta di quelle patologie di diffi-cile inquadramento nosologico. Il più delle volte impropriamente usato come contenitore di tutte quelle non ben spiegate proble-matiche che vanno oltre alla spiegazione organica. Le algie facciali atipiche o dolori oro-facciali atipici sono fra queste patologie. Infatti c’è sempre una piacevole diatriba tra le varie e-ziopatogenesi, i criteri di classificazione inclusivi o esclusivi, e del trattamento stesso. Da indicazioni guida, il professionista interpel-lato prescrive del Gabapentin 2000mg/die che la paziente inizia ad assumere regolarmente. Purtroppo niente cambia sul piano del di-sagio arrecato dalla nevralgia, al che si sottopone ad una angiori-sonanza con mezzo di contrasto dalla quale non si evidenziano malformazioni artero-venose, aneurismi, né conflitti neuromusco-

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lari. Sconfortata S. decide di provare un altro specialista che, come sappiamo tutti, non può certo confermare se non ritoccare la dia-gnosi già esistente, infatti identifica una componente ansiosa che potrebbe sviluppare le scariche o intensificare il dolore. Quindi procede con l’affiancamento di un ansiolitico a base di prazepam, indicato in quei casi dove la componente “psichica” è maggiore, anche dette nevrosi organiche, grazie ad una sua azione come tranquillante minore, simile a quella delle altre benzodiazepine ma con un più ampio margine tra effetto tranquillante ed effetto ipno-tico. Un ulteriore consiglio da parte del medico è quello di fare at-tività sportiva come mezzo compensatorio e scaricante la compo-nente ansiosa. Questo interessante spunto specialistico riesce a far aumentare la frequenza degli episodi dolorosi, probabilemente per una prima presa di coscienza di un tratto psichico sconosciuto. A questo pun-to la demotivazione e lo scoramento della paziente si accrescono sensibilmente e inizia a crearsi un circolo vizioso, considerando le tematiche svalutative di fondo, aumentano la possibilità di com-parsa degli episodi dolorosi e si allontana nella sua ottica la possi-bilità di guarigione. Siamo in aprile del 2006 e al momento la situazione non è ancora chiara, ovvero diverse strade sono state tentate ma con pochi o scarsi risultati. Una visita maxillo facciale non rileva nessun pro-blema, ma vene prescritta una visita gnatologica per valutare la possibilità di utilizzare un byte per le ore notturne. Strada che purtroppo si dimostra inefficace e a giugno la paziente decide di iniziare un percorso di pranoterapia a cadenza settima-nale che l’accompagna per sette mesi, con lievi miglioramenti nell’intensità del dolore. Viene anche consigliato un osteopata specialista in maxillo facciale, il quale rileva dei “blocchi a livello emozionale e ansia”: si inizia ad identificare il bersaglio su cui in-tervenire. A gennaio 2007 S. si sottopone a sette sedute per verificare questa metodica ma, purtroppo senza miglioramenti, un ulteriore consi-glio dice “psicoterapeuta”… Nel frattempo, al vaglio della decisione, la rete (internet) suggeri-sce la possibilità di un problema di “amalgama dentaria” al ché la paziente mette in conto anche questo e inizia una “ristrutturazione

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delle vecchie amalgame che più o meno tutti abbiamo” che durerà diverso tempo, con risultati opinabili. Nel marzo del 2007 l’ansia è sempre più presente e decide per una psicoterapia.

La psicoterapia Questi i pensieri della paziente: “Scelgo il terapeuta. Lo conosco ma non troppo. Posso fidarmi di lui. Si può provare. Che ansia suonare quel campanello. Torna il mal di stomaco di 20 anni fa. Nel percorso precedente facevo fatica a parlare ma ora mi sono comportata come un fiume in piena. Non è facile spiegare tutto, come sono, come ero, i miei problemi. Den-tro me c’è un piccolo ma capiente vaso a cui si sta per sollevare il tappo. Qualcosa dentro me vuole urlare. Devo piangere, voglio piangere il mio babbo che non c’è più. Pensavo che il mio proble-ma fosse la dolorosissima nevralgia del trigemino. Volevo solo so-pravvivere all’ansia e al dolore delle scariche. In fondo in fondo il mio timore era che fossero problemi di natura psicologica. Poi ca-pisco che la sintomatologia compare quando sono tesa, subisco pressioni e non RESPIRO. Devo rompere questo circolo vizioso. Imparare a cestinare le situazioni di stress per non accumulare tensione e non somatizzare i problemi.”

Concettualizzazione del caso All’interno di questa parte la valutazione, attraverso una declina-zione dei fattori determinanti la problematica in essere, del micro-cosmo di interazioni che circondano la nevralgia. Cercando di identificare i fattori predisponenti, molto probabil-mente il lutto della figura paterna, tutt’ora in fase di elaborazione, è il più importante, una struttura normativa famigliare rigida è una ulteriore causa. Il primo determinante e di sua libera consapevo-lezza, il secondo molto meno visibile se non negato. Sicuramente nei fattori precipitanti e/o accentuanti la sintomatologia,possiamo includere i ripetuti fallimenti terapeutici che hanno affiancato i 18

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mesi di incertezze e delusioni. Poi la presa di coscienza di qualcosa di più sottile non localizzato se non in uno spazio interiore mentale, difeso e ben celato, che dopo tanti anni tornava a farsi sentire ma con un aspetto del tutto nuovo e insolito. Questa presa di coscienza, all’inizio traumatica perché considerata senza soluzione, ha spinto la paziente ad un momento di riflessione per valutare una richiesta di aiuto. Nei fattori esacerbanti dal punto di vista psicologico troviamo una componente ansiosa che precede le scariche dolorose (ansia anti-cipatoria), con conseguente sviluppo di ansia per quelle situazioni sociali che “attivano” emotivamente S., sul luogo di lavoro e nei momenti di socializzazione, per poi giungere a tutti quegli accor-gimenti medici come l’esposizione a climi o ambienti che “sveglia-no” il trigemino, come la temperatura o i colpi d’aria che innesta-no il dolore. Arriviamo ai fattori di mantenimento che hanno fatto sì che la nevralgia persistesse nel tempo, come il bisogno di evita-mento delle situazioni sociali ed affettive emotivamente coinvol-genti. Sentirsi inadeguata e non all’altezza l’ha incorniciata dentro ad uno spazio vitale con pochi svaghi, come il sentirsi responsabi-lizzata a rimanere in simbiosi ambivalente con la madre anziana, che richiede attenzioni ma le limita una pianificazione di indipen-denza. Da tempo non ha relazioni affettive stabili e la cosa non le è indif-ferente, anzi fa parte di quelle aree tabù di non facile accesso. Ha un’esperienza di vita fuori casa per lavoro dai 23 ai 28 anni con piacevoli ricordi sia lavorativi che relazionali, ma poi riavvicinan-dosi a casa, anche per questioni economiche, le è convenuto fer-marsi vicino alla madre.

Trattamento Gli obiettivi del percorso sono stati diversi. Prima cercando di libe-rare la mente da preconcetti e modalità restrittive di sviluppo della soluzione, questo ha aperto nuovi territori da esplorare e conosce-re, grazie all’implementazione di nuove strategie e abilità persona-li, questo ha portato la consapevolezza di livelli multipli del suo essere. La terapia è durata 35 sedute a cadenza mista, prima setti-

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manale poi quindicinale e poi mensile nell’arco di 20 mesi. Di seguito le principali tappe intorno alle quali si è sviluppato il cammino. · Rielaborazione perdita del Padre. · Dinamiche famigliari. · Relazione con il fratello. · Socializzazione. · Convinzioni patogenetiche di malattia. · Ansia anticipatoria delle scariche trigeminali. · Profonda svalutazione e autocritica. · Affetti e relazioni. · Autostima. L’impronta dei primi colloqui è stata all’insegna del non porsi re-gole e della libertà di interpretazione come base sul quale svilup-pare una destrutturazione delle rigide e stoiche regole superegoi-che. “Dobbiamo solcare il mare all’insaputa del cielo” le dissi, aprendo la porta sul non definito e sulla non consapevolezza, per accedere all’ambiguità del percorso che fortunatamente si poteva fare, nelle parole del diario che la paziente ha ri-iniziato (lo teneva anche nel-la precedente psicoterapia) scrivendo di Sé e della strada che vole-va percorrere: - “Chi è il mare? Cosè il cielo? Cosa significa? La mia mente è trop-po agitata e non capisce.” Al suo orecchio questo è sembrato un po’ come un Koan Zen, un concetto inusuale da meditare. Trasmettendo un messaggio ambiguo nella forma e nel contenuto, uno stratagemma da vagliare, forse le prime non regole di un si-stema di riferimento multidimensionale e per questo motivo sti-molo alle nuove personali regole che saranno poi trovate strada facendo. Arcaici i blocchi anche solo nel diritto di imporsi, soffocato e col-pevolizzato. Il messaggio che si voleva trasmettere era di orientarsi comunque ad altro per ottimizzare se stessi al meglio, suggerendo alla paziente di dedicare più tempo a se stessa per ri-bilanciare DOVERI rispetto a PIACERI, i primi tempi facendo anche tenere traccia giorno per giorno degli uni e degli altri, avendo cosi un da-to oggettivo dello squilibrio in essere.

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Iniziamo a parlare del vuoto che ha lasciato la figura paterna, ve-nuta a mancare nel 2003. S. come nessun altro della famiglia ha dedicato maggior parte del proprio tempo nell’assistere il padre negli ultimi periodi della sua vita, stringendo ancora di più il gran-de legame che già esisteva. Anche in questo caso il consiglio di trovare dentro di Sé le compo-nenti paterne e di accedere a momenti di contatto con l’esterno, nei tempi e nei modi da lei desiderati, per ritrovare le sensazioni, le parole, le immagini, non solo nei luoghi dove il suo credo reli-gioso le suggerisce, ma ovunque lei ne carpisse un ricordo. Quindi l’isolarsi all’occasione, cosa che per altro faceva ma, in maniera sporadica, ascoltando le sensazioni che il suo corpo le rimandava, ripensando a tutto quello che faceva parte degli insegnamenti pa-terni. L’idea non era quella di risolvere un lutto ma semplicemente di non dolerne al ricordo alla ricerca di un messaggio e un signifi-cato. Si arriva così ad uno degli obiettivi, a mio avviso, più impo-nenti su cui si è articolato il percorso, ovvero le dinamiche e le re-lazioni famigliari. Partendo da quella materna che appare evidentemente ancora Ma-dre-bambina (Genitore-bambino ) e quando la paziente, come na-tura vuole, si confronta ad un ulteriore livello, innesta un conflitto dove la madre agisce con aggressività ponendosi in maniera ambi-valente: madre punitiva o vittima, attivando sensi di colpa nella fi-glia. Lavoriamo molto su questo tema, di seguito sempre dal diario: - “Ci sono anch’io! Non sono più protetta da mio padre. Devo tro-vare il mio spazio! Ho bisogno di aria. Libertà di parola. A me qualcuno ha chiesto qualcosa?” Ancora - “Diverse emozioni da tempo represse esplodono. Piango sempre più di frequente”, Inizia la consapevolezza e importante primo insight, si sbloccano le emozioni, la strada è quella giusta, sinergicamente iniziamo an-che a lavorare sull’autostima e un’importante testimonianza ce lo conferma: - “Provo a emergere e provare a relazionarmi in modo diverso con mia madre e mio fratello. Decido che qualsiasi decisione familiare che può interferire con la mia vita anche la parte più insignificante deve essere concordata con ME. Da quando ho deciso di rispet-

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tarmi di più molte situazioni mi stanno più strette e all’inizio pro-vocano ansia. Ho il diritto e il dovere di esprimermi.” Utilizzando un’altra citazione di Wu gu “Creare scompiglio a oriente e attaccare a occidente” Continuano le attività per se stessa (camminate, bici e nuoto, giar-dinaggio, libri) quindi il corpo torna ad essere libero di esprimersi all’interno di un’ottica di relazione mente-corpo, iniziamo a muo-verle in maniera sinergica, abbassando il livello di carica tensiva. Sempre all’interno delle relazioni in famiglia si approda ad un vero e proprio macigno, il fratello, che vorrebbe incorporare la figura autoritaria della casa, cercando di vestire i panni del Padre, ma fal-lisce miseramente, sapendo solo criticare la sorella ed evitando, se non scappando, il confronto diretto, il tutto contornato dalla ma-dre che ne prende le difese per sedare le discussioni. Sempre dal diario: - “Io la sorella minore, io la sorella che sbaglia a parlare, io la sorel-la che è in casa per comodo suo. Io la sorella che rompe perché lo contraddico. Sento rabbia per essere stata lasciata sola in diverse situazioni da gestire..Sono stanca di subire le sue scenate isteriche. Perché non hai mai portato un fiore a nostro padre?” Senza scomodare tematiche edipiche e gelosie interne, inizia fi-nalmente anche in questa relazione una notevole voglia di cambia-re le regole, e ottimamente la paziente controbatte con ironia agli ennesimi attacchi, questo spiazza la controparte che sfugge anche ad un semplice chiarimento. - “È giusto che inizi a mettere dei paletti. Devo rispettarmi di più. Devo pensare al mio benessere … Io ci sono!” Inizia una fase importante: gestisce meglio le relazioni con la mamma e rimane sempre a debita distanza dal fratello appena si comporta come al solito. Il lavoro va bene, all’occasione qualche disguido con una datrice di lavoro (autorità materna?) ma, tutto sommato riesce a gestirla al meglio. Cosa molto importante da notare: una notevolissima creatività che sfoggia in diverse occasioni e che viene utilizzata in terapia; rac-conti settimanali estratti dal diario con spunti anche grafici notevo-li e mai banali né superficiali, quella fantasia che per tanto tempo è stata la dimensione di sfogo e fuga ora si affaccia con tutte le sue migliori caratteristiche ad un nuovo che necessita della sua forza.

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Arriva il momento di accedere alla dimensione sociale e qui apria-mo altri capitoli da osservare attentamente: riattivare relazioni chiuse o trascurate e crearne di nuove, con il fantasma di non es-sere accettata, di non essere “normale”, ma soprattutto arriviamo al dunque, la paura che il trigemino si “svegli” e inizi a scaricare in situazioni dove non se lo può permettere. Grazie alle forme che prende, nelle diverse metafore che all’occasione escono, l’ospite scomodo si sincronizza (o inizia a esserne consapevole la paziente) con i vissuti emotivi egodistonici e prende forse le sembianze, all’interno della relazione terapeutica, di una fiera che controlla le porte del Sé: non è attaccandola che si entra nelle sue grazie, forse semplicemente accordandosi, che potrà diventare una nostra allea-ta, ristrutturandola in senso positivo e utilizzandola come risorsa. Per dare un idea di come che S. stia finalmente ridefinendo i con-torni di un disagio somatizzato, basta pensare che già dopo qual-che mese dall’inizio della terapia e in concomitanza con i nuovi abiti indossati da lei dentro la sua vita, il dosaggio di gabapentin inizia a diminuire fino ad essere sospeso, un po’ come togliere la museruola ad un povero cucciolo che abbaiava per difendersi e non per attaccare, ora alleato e guardiano fedele. Per quanto riguarda le colonne della disistima e della svalutazione riporta: - “Sono un disastro per quello che penso, che dico, che sento. Ma non c’è nulla da fare. Non sto bene né con me né con la mia fami-glia. Che ingrata che sono? Non sono riuscita costruire una mia famiglia. Mi è tornata la paura dei blocchi della parola! No è terri-bile Non sono normale perché se sono insieme ad altri non sem-pre riesco a esprimere le mie emozioni. Per questo ho smesso di andare agli incontri di meditazione di yoga. Mi procurava ansia il momento di condivisione.” La balbuzie, che nel tempo è andata via via scomparendo è stato un altro modo che una parte di lei ha abilmente sviluppato per e-sprimere l’inespresso, che conclamava a tutti l’etichetta che il mondo (famiglia in primis ) le aveva attaccato. Ancora una volta le metafore sull’etichettamento, dell’attribuzione di significato svalu-tante che tranquillizzava il nucleo famigliare, facendo introiettare alla paziente quell’immagine di Sé da “bruttto anatroccolo”, che con il tempo noi abbiamo deciso che”diventerà cigno”. È ancora

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altalenante la sicurezza che si poggia su ambivalenze cicliche, tra il “posso essere accettabile” a “meglio stare chiusa in casa nel crogio-larsi”. La socializzazione è comunque un momento importante e delicato che, allo stato attuale, pone sempre dei grossi interrogativi, volu-tamente la mia attenzione nell’indagine in sede di colloquio va a “stuzzicare” quella parte e oltre alle risposte attese, in termini sva-lutanti di Sé, arriva anche un po’ di grinta iniziando a far uscire un po’ di rabbia (simbolicamente inizia anche la reazione contro l’autorità). Cerco di indicare i fattori che mantengono la resistenza nel socia-lizzare maggiormente e ne esce: - “Sto uscendo di più ma spesso ho il terrore che il Trigemino si svegli…”. Vantaggio secondario, provo anche in questa occasione una dislocazione temporale, semplicemente chiedendole di acce-dere alle memorie antecedenti lo status attuale, scendiamo ancora nella consapevolezza e un altro po’ di nebbia si dirada allo oriz-zonte e chiedo: - “Scusa ma, prima che ci fosse il trigemino cosa c’era?”. E lei: - “Non so. Nulla? ...forse c’era il mio babbo!”. Rimanendo sulle considerazioni in merito alla solitudine: - “L’ansia è dentro il mio Dna. Ho paura di stare sola, di viaggiare da sola”. Questa era un’altra frase che nel tempo è stata eliminata da un cambiamento, più spazi per la sua libertà nella vita, più sicurezza, più libertà di parola. Qualcosa cambia e la paziente inizia a viaggia-re da sola e anche a dormire da sola. Ci si addentra anche nella sua immagine corporea, che non le pia-ce a sé, per sicuramente non può piacere agli altri, come giustfica-zione per una più profonda non accettazione: - “Non accetto la mia emotività. Non accetto le mie scivolate. Non accetto le mie illusioni anche se poi ci sguazzo dentro fino a che non rischio di affogare. Quando sono lucida e razionale odio la mia mente, le mie fantasie e i miei sentimenti”. La gratificazione arriva anche dalla cura del corpo, per riscoprirlo nella sua interezza, - “Lei non è il trigemino che duole”, e con qualche automassaggio, attenzioni estetiche apriamo la consapevo-lezza della non localizzazione in un punto, che è forse più econo-mico dedicarsi a quello che vedere cosa c’è altrove, cosi miglio-

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rando la sintomatologia inizia a vedersi anche il resto. Stranamente il consiglio di portare l’attenzione sul suo esistere agli occhi degli altri nella domanda “come ti vedono gli altri secondo te?”, ha fatto sì che si accorgesse che anche lei è stata oggetto di attenzioni del mondo, non è tutto come dentro casa, se sei trascurata lì non è detto che tu lo sia anche fuori. Si rende conto che in qualche occa-sione ha carpito sguardi e attenzioni, dimostrando che la perce-zione di sé ha bisogno di essere tarata in termini ottimistici e og-gettivata. Diversi gli obiettivi da raggiungere in buona parte soddisfatti. Va da sé che nella poliedrica configurazione di un disagio, la pos-sibilità di migliorarne i contorni fa passare un messaggio metafori-co di estensione di una valutazione positiva ad altre aree di in-fluenza mentale, di pensiero e azione, che nella sua essenza diven-ta di generale applicabilità. Per concludere rispetto alla domanda iniziale di gestire in modo alternativo il suo problema, considera raggiunta e soddisfatta la richiesta, non prende più farmaci e le scariche sono molto meno frequenti. Questa presa di coscienza vale un po’ come una psico-educazione, che di per sé in molti casi è già largamente risolutiva, ora il sintomo è diventato un momento di consapevolezza e non più la belva. È comunemente riconosciuto che sotto ad un sintomo del genere vi è un mondo da esplorare: se diverse aree ora sono più chiare e in fase di ristrutturazione, altre sono e saranno nuovi obiettivi e conquiste da fare. Allo stato attuale la terapia è sospesa, quando lo chiede ci sono in-contri per fare il punto della situazione, il cammino è ancora lun-go, ma diverse abilità fanno parte dello zaino con il quale S. ha de-ciso di incamminarsi e all’occasione una sosta rinfrescante ridona vigore e lucidità cognitiva-decisionale.

Considerazioni conclusive e riferimenti teorici L’uso della metafora e degli stratagemmi linguistico comunicativi in chiave Ericksoniana, ingiunzioni paradossali reinterpretate e uti-lizzate con vesti più orientaleggianti, hanno finalmente tolto il veto

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alla mente per un suo libero scorrazzare. Con l’introduzione di qualche Koan dove la commistione tra diversi livelli di significato, contenuto e relazione, vi è stato lo scostamento da quella che è la logica aristotelica, riferendomi al principio di non contraddizione, secondo le parole dello stesso Aristotele: “È impossibile che, per il medesimo rispetto, la stessa cosa sia e non sia”, significa che i due termini sono perfettamente escludenti solo se sono perfettamente contrari l’uno all’altro: quando vi è uno, è impossibile che vi sia l’altro.(ad esempio, una cosa non può essere alta e bassa nel me-desimo rispetto, tuttavia può essere alta rispetto ad una cosa, e bassa rispetto ad un’altra). In altri termini si crea una dissonanza all’interno dei livelli di contenuto e relazione. Le basi linguistiche significative vennero studiate in un articolo che ebbe molto successo da C.Y. Cheng, definendo in quella sede una declinazione di regole secondo cui sono articolati da un punto di vista logico formale i Koan: 1. Quando nella frase si può rinvenire un elemento di apparen-te contraddizione che è in realtà una pseudo-contraddizione. Il pa-radosso è già presente nelle semplici domande. 2. Quando essa contiene una falsa inferenza o una implicazione fuorviante. Il paradosso è presente sia nella relazione dialogica che nelle domande o nelle risposte. 3. Quando le parole impiegate sono polisemiche ed il terapauta gioca sui differenti sensi di un termine. Il paradosso è presente nella relazione dialogica ma non nelle singole domande o risposte. 4. Quando vi è contrasto tra il piano del discorso e le intenzioni di sfondo nell’interrogante. Spesso un singolo koan si attaglia a due o più categorie. Per esempio, la domanda “Qual è il suono di una mano sola che applaude?”, così come la sua originale versione imperativa “Ascolta il suono dell’applauso di una mano sola!”, ri-cadrebbe tanto nel primo quanto nel terzo caso. A questo punto l’utilizzo di koan come semplice strumento linguistico agisce come forma di spiazzamento, confusione paradossale, soprattutto in quei soggetti dove una rigidità cognitiva-protettiva è una corazza pesante e fastidiosa. Una doppia funzione di confusione: 1 nell’utilizzo della metafora che pone il soggetto a chiedersi se si sta parlando di lui;

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2 si esce dal senso compiuto della proposizione, come sopra accennato, confondendo ancora i sistemi logico razionali. Quindi il risultato è una metafora che non sia isomorfa alla espe-rienza del paziente bensì dissonante, concedendo un accesso a si-stemi simbolici più profondi, a questo punto un ulteriore metafora che attiva identificazione, rapport e attinge alle risorse primarie spurie di sovrastrutture Egoiche. Niente di troppo dissimile dalle “metafore incastrate”,se non nella strutturazione di una profondità diversa di risposta dell’individuo. Fatto questo iniziamo a definire un vero e proprio ruolo attivo del paziente nel cambiamento, attingo al paradigma costruttivista e al-la visione cibernetica di secondo ordine di Heinz von Foerster ri-guardo alla funzione dell’osservatore rispetto ad un sistema: - “L’osservatore è quindi colui che ordina e organizza un mondo costruito dalla sua esperienza: egli è al tempo stesso il costruttore e l’ordinatore della realtà, colui che stabilisce un ordine tra i tanti possibili; non un ordine qualsiasi, bensì quello a lui più utile e funzionale alle proprie attività. Il passaggio dalla cibernetica di primo ordine a quella di secondo ordine come muta il rapporto terapeuta-paziente all’interno di una concezione che considera il soggetto come creatore della realtà.” Le conseguenze dell’applicazione delle idee di Heinz Von Foerster in ambito psicoterapeutico sono il passaggio da una visione statica e passiva del paziente a una concezione dinamica che concede il massimo spazio a un dialogo bidirezionale, dove ognuno presta grande attenzione alle parole dell’altro, cercando per quanto pos-sibile di porsi nella prospettiva da cui questi muove. In maniera attiva il terapeuta fa domande a cui il paziente non aveva mai pen-sato prima. Più ambigue sono le domande, più esse sono aperte, e meglio è, poiché costringono il paziente a uno sforzo creativo, a immaginarsi realtà e contesti del tutto nuovi, a confrontarsi con essi, uscendo dalla situazione attuale. Grazie anche alle doti di cre-atività della paziente si è arrivati ad un ottimo risultato a diversi li-velli. Per concludere, la strategia terapeutica ha attinto da diverse cor-renti di pensiero per trovare un risultato ottimale e cucito in base alle esigenze alle risorse di S. Partendo dall’uso della metafora e dello stile comunicativo- lingui-

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stico ericksoniano, rivisto con l’introduzione (come tecnica di con-fusione)di koan Zen, per poi ritornare alla metafora nella sua for-ma più forte e semplice allo stesso tempo. Il tutto basandosi su un inquadramento sistemico dove il soggetto è colui che nell’agire all’interno del mondo da lui creato ristruttura e riorganizza le parti dissonanti e disturbanti. Ora l’obiettivo di consapevolezza di un disagio apparentemente organico, risoltosi lavorando altrove, ha metaforicamente dimo-strato la funzione sistemica di equilibrio all’interno della organiz-zazione psichica, dove le false credenze e l’insidia di un “esterno destrutturante” avevano minato la stabilità stessa.

Bibliografia A. Lowen - Il linguaggio del corpo.- (2003, Feltrinelli editore) L.V.Arena - I 36 stratagemmi L’arte cinese di vincere.- (2006,BUR Biblio-teca Univ Rizzoli) E. Berne - A che gioco giochiamo.- (2000,Bompiani) G.Reale - Guida alla lettura della metafisica di Aristotele.-(2007,Laterza) C.Y. Cheng - On Zen Language And Zen Paradoxes.-(1983. Journal of Chi-nese Philosophy Vol.10) H. Von Foerster - Sistemi che osservano.- (1987,Astrolabio) P.Watzlawick - Il linguaggio del cambiamento.-(1997,Feltrinelli) M.H. Erickson - Le nuove vie dell’ipnosi.- (Astrolabio 1978)

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Massimo Arcella UNA NEVRALGIA ATIPICA DEL TRIGEMINO

Parole chiave: nevralgia, trigemino, metafore, comunicazione, Koan.

RIASSUNTO Un caso di nevralgia del trigemino atipica come sintomo di un disagio comunicativo arcaico. L’utilizzo della metafora e dei vizi della linguistica tra occidente e oriente come strumento di ristrutturazione in terapia, la strada della consapevolezza. Inquadramento del caso, dalla storia passata ai fattori oggettivabili; dalla rilettura e ristrutturazione delle relazioni fa-migliari al miglioramento dei temi di colpa e vergogna. Il brutto anatroc-colo diventerà un cigno.

Massimo Arcella ONE ATIPIC TRIGEMINAL NEURALGIA

Key words: neuralgia, trigeminal, metaphor, communication, Koan.

SUMMARY A case of atipic trigeminal neuralgia as a symptom of an archaic communi-cative discomfort. The metaphor and the use of linguistic vices, between the West and the East as an instrument of restructuration into the therapy, the way of consciousness. The definition of the case, from the past history to objectivable factors; from the rereading and the restructuration of the family relations to an improvement of themes of blame and shyness. “The ugly duckling will become/is going to become a swan…”. L’Autore Dr. Massimo Arcella psicologo, specialista in Psicoterapia ed Ipnosi Clinica S.M.I.P.I. Via Bellaria 39 - 40139 BOLOGNA BO tel. 051.490034 - 339.1834681

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Federica Panzanini, Riccardo Arone di Bertolino

LA GESTALT Parole chiave: Psicologia della Gestalt, realtà, consapevolezza, re-sponsabilità, autoregolazione organismica, meccanismi di difesa, psicoterapia, tecniche repressive, tecniche espressive.

Introduzione Le teorie dovrebbero nascere dalla comprensione di una realtà ed essere modificate o abbandonate qualora non servano o risultino addirittura dannose. Uno stesso farmaco prescritto per una pato-logia simile in pazienti diversi può risultare utile o nocivo. La psicoterapia è terapia e come tale deve avere un ben preciso scopo: la guarigione del paziente o, qualora non sia possibile, al-meno l’alleviamento delle sue sofferenze. Già le variazioni e le reazioni individuali fisiche hanno ampie ete-rogeneità e complessità, quelle mentali sono talmente personali da non poter essere codificate e previste. È lo psicoterapeuta che deve interagire con il paziente ed adeguar-si ogni volta alle strutture della personalità e della patologia e non il paziente alle teorie e alle prassi del terapeuta: in alcuni tipi di psicoterapia, determinati costrutti teorici e ipotetici assumono per-sino il valore di una fede, con propri rituali e linguaggi a cui prima il soggetto va convertito. Ognuno è un’entità unica nell’eternità e nell’universo, pur se molti meccanismi di pensiero possono essere nella stessa cultura in par-te simili.

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Quella che oggi chiamiamo psicoterapia non è nata nella nostra epoca ma è sempre esistita da quando esiste l’uomo: il guaritore, il sacerdote, lo stregone, lo sciamano, i riti sacri eccetera. Tutti basati sul valore del rapporto e della parola. Oggi vi sono tante psicoterapie e ne spuntano in continuazione di nuove; in quasi tutte possiamo trovare spunti ed elementi utili e/o inutili. L’importante è conoscerli e poterli scegliere ed usarli sem-pre e solo allo scopo di ottenere effetti benefici il più rapidamente e profondamente possibile. In molte psicoterapie, al contrario, vi sono teorie francamente tos-siche, che comportano quasi esclusivamente interpretazioni e mes-saggi negativi, che risultano potenti suggestioni anche per una persona sana, figuriamoci in una persona già sofferente di suo. Ipotesi e teorie devono essere considerate non verità assolute, 1 ma fasi di passaggio spesso da abbandonare completamente qualo-ra la pratica le disconfermi. La suggestione, termine usato per svalutare lo stato mentale di ip-nosi, 2 che secondo alcuni otterrebbe solo risultati fasulli e transi-tori, se è negativa, pessimista ed elimina la speranza tocca imme-diatamente e profondamente chiunque, anche in stato di veglia, perché stimola e muove timore ed ansia. Se invece è positiva ma non riesce a toccare e coinvolgere le parti inconsce ed emotive, non serve a nulla.

Presupposti teorici

Perls e i suoi collaboratori nel dar vita alla psicologia della Gestalt hanno compiuto un’opera d’integrazione di svariate correnti psico-logiche, filosofiche e psicoterapeutiche europee, americane ed o-rientali. Sono stati tra i maggiori sostenitori della psicologia uma-nistico - esistenziale, da cui è derivata l’idea che l’intervento tera-peutico debba restituire alla persona il suo diritto alla propria uni-

1 Non esistono verità assolute nei molteplici universi mentali di persone diverse. 2 Lo stato mentale di ipnosi non serve per somministrare suggestioni, ma per rielaborare e cambiare le concettualità ed i vissuti da cui deriva la sof-ferenza.

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cità e originalità, a valorizzare ed esprimere le emozioni e le espe-rienze legate al corpo, a realizzarsi secondo i propri desideri e bi-sogni e a creare un proprio sistema di valori personale. Un altro principio della Gestalt è l’idea che il comportamento e l’agire dell’uomo siano basati sul riconoscimento e la identifica-zione di bisogni. La soddisfazione del bisogno ripristina l’equilibrio dell’organismo, secondo il principio della autoregola-zione organismica, fino all’emergere di un nuovo bisogno. La patologia è dovuta a un blocco del ciclo del contatto - ritiro, che è il processo di soddisfazione dei bisogni. Perls non nega l’inconscio, ma preferisce ricondurlo al presente, aiutando il paziente ad arrivare alla consapevolezza di ciò che in questo momento, ora, è escluso dalla coscienza. Per fare ciò non è necessario che il terapeuta faccia interpretazioni, ricercando le cause dei disturbi nella prima infanzia: questo lavoro, invece di promuovere la guarigione o il cambiamento, rischia di rinforzare la nevrosi. L’attenzione non deve essere rivolta al perché, alle cause, ma piuttosto a come si manifestano nel presente i processi nevro-tici; ciò facilita l’assunzione di consapevolezza e responsabilità da parte del paziente, agevolando il cambiamento o l’eliminazione del sintomo. Non è il terapeuta che, attraverso l’interpretazione e le sue conoscenze, ha la chiave per sciogliere i nodi del disagio, ma la persona stessa può comprendere come cambiare per arriva-re ad un’esistenza più piena e più sana. La terapia gestaltica si basa sul come e sull’ora: si deve osservare ciò che succede adesso e in che modo accade, il come è sufficiente a capire come funzioniamo. I fenomeni “di superficie” sono il modo migliore per accedere all’inconscio: si tratta di movimenti del corpo, modalità di respira-zione, sensazioni ed emozioni che il paziente descrive. Chiedersi il perché serve solo a darsi una spiegazione astuta e non porta alla comprensione. L’“ora” comprende tutto ciò che esiste, esperienza e “consapevolezza”. La consapevolezza è l’unica base possibile di conoscenza e di comunicazione, ma non può essere raggiunta at-traverso le libere associazioni, l’interpretazione delle resistenze, come sosteneva Freud, occorre invece portare l’attenzione e la consapevolezza del paziente su ciò che egli mostra di evitare, sui suoi atteggiamenti fobici o di fuga. La maggior parte delle tecniche gestaltiche è mirata ad attivare, visualizzare, portare alla consape-

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volezza emozioni, sensazioni, percezioni corporee e sentimenti, lavorando con essi direttamente, prima che vengano ricoperti e nascosti da contenuti di carattere razionale/cognitivo che interven-gono successivamente (preconcetti, regole, immagini sociali di sé, eccetera).

Il ciclo del contatto - ritiro Si può anche definire “ciclo di gratificazione dei bisogni”. L’individuo sano è in grado di riconoscere il bisogno dominante del momento e di agire per soddisfarlo in attesa che emerga un bi-sogno successivo. Il ciclo del contatto comprende le seguenti fasi: 1) il pre - contatto, la fase in cui agisce l’Es, la funzione del Sé che riconosce i bisogni, gli stimoli interni ed esterni, le pulsioni vitali e le loro traduzioni a livello corporeo; il riconoscimento del bisogno mobilita l’individuo, lo spinge all’azione. 2) Il contatto: si attiva l’Io, che prende la decisione di agire sull’ambiente per soddisfare il bisogno, è la funzione del “fare”, quella che compie scelte, decide (l’Io dà l’autorizzazione a fare o a non fare, ad agire o a trattenersi, rappresenta la responsabilità). 3) Il contatto finale o contatto pieno è un momento in cui si raggiunge l’appagamento pieno del bisogno, l’individuo si fonde in una confluenza sana con l’oggetto desiderato, in un contatto pieno e forte con l’ambiente. I confini dell’Io sembrano essere a-boliti, il soggetto e l’oggetto, anche solo per qualche istante, si fondono in un tutt’uno indifferenziato, l’organismo e l’ambiente, l’Io e il Tu entrano in una relazione di confluenza perdendo i loro confini. 4) Nel ritiro o post - contatto l’individuo, una volta portata a compimento l’azione e vissuta la fase di confluenza con l’ambiente, si stacca e si differenzia di nuovo, ritirandosi. Quando i confini si sono ristabiliti, incomincia il ripensare, il “percepire do-po”, che sostanziano il processo di assimilazione con cui la perso-na si appropria della sua esperienza. Se l’esperienza viene “digeri-ta” e assimilata, è favorita la crescita. In questa fase è attiva la fun-zione Personalità: è la rappresentazione che il soggetto costruisce di se stesso, l’immagine di sé, permette di assimilare l’esperienza e

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in tal modo di crescere, di evolvere. La Personalità integra l’esperienza nel bagaglio precedente, riportandolo alla dimensione del qui ed ora. A questo punto il ciclo si chiude e si instaura una condizione di riposo e di equilibrio chiamata “vuoto fertile”, che può durare anche solo qualche secondo, in ogni caso fino all’emergere di un nuovo bisogno che riattiva il ciclo. Se non viene soddisfatto il bisogno dominante, lo stato di insoddi-sfazione determina una situazione irrisolta, non chiusa, cioè una Gestalt. Può capitare, ad esempio, che una persona non si permet-ta o non possa esternare o vivere un’emozione: si tratta di una re-sistenza al contatto, dovuta a rigidità e controllo; il bisogno soffo-cato determina una situazione irrisolta che rimane aperta e preme per essere risolta, quindi può avere ripercussioni sulla vita succes-siva. Il benessere dipende dal funzionamento del ciclo del contatto - ritiro, il malessere deriva da un blocco o da un cattivo funziona-mento di una di queste fasi, che può essere ostacolata o disturbata e interrompere il ciclo. I disturbi sono causati dall’interruzione del processo di soddisfazione dei bisogni, cioè dall’interruzione del ciclo del contatto. Le Gestalt incompiute premono per essere risolte, per essere chiu-se o completate. Nel corso degli anni è come se si stratificassero e spingessero sotto un masso per emergere: in terapia dapprima af-fiora e può essere risolto lo strato più superficiale, le situazioni ir-risolte più urgenti per il benessere immediato, poi poco alla volta, strato dopo strato, si arriva a quelli più profondi, è come “pelare una cipolla”. Non è il terapeuta che strappa gli strati, né occorre compiere scavi archeologici, bensì le situazioni irrisolte del passato emergono nella relazione con il paziente e osservando quello che porta. Non è un lavoro superficiale, poiché, man mano che vengo-no risolte le Gestalt più superficiali e immediate, possono affiorare quelle più profonde e antiche, così si possono presentare anche regressioni molto profonde, ma senza forzature. L’obiettivo della terapia è aiutare la persona ad autodeterminarsi e realizzarsi; lo strumento che viene utilizzato è la consapevolezza. La consapevolezza è la capacità di stare in contatto con i propri bi-sogni, di riconoscerli, riguarda quello che accade all’interno dell’organismo, al confine con l’ambiente e all’esterno. Il “continuum di consapevolezza” è un fermarsi ad ascoltare il flus-

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so ininterrotto di percezioni ed emozioni dentro e fuori di sé. Consapevolezza significa anche riconoscere come in un dato mo-mento si stia bloccando il ciclo del contatto: in terapia non si af-fronta direttamente la soluzione del sintomo, ma si lavora su que-ste interruzioni. I blocchi di questo processo, oltre a generare ma-lessere, compromettono la crescita dell’individuo, poiché essa è promossa dall’assimilazione dell’esperienza del contatto nella fase del post - contatto. Nella nevrosi le Gestalt restano irrisolte per molto tempo e il soggetto rimane in quello stato senza reagire, vi-vendo continue interruzioni al ciclo del contatto. Nella psicosi, in-vece, o c’è un blocco e un ritiro totale dall’azione o una reazione eccessiva. La pulsione aggressiva in questo processo ha una funzione impor-tante: mobilita le energie che occorrono per appagare i bisogni, per agire sull’ambiente in tal senso. Se la pulsione aggressiva è riti-rata o non attiva non è possibile soddisfare i propri bisogni, è una forza propulsiva, non basta la pulsione libidica per arrivare all’autorealizzazione. Il contatto è un fenomeno che avviene sulla linea di confine inter-no - esterno (fra individuo e ambiente). Riassumendo: se è attiva la consapevolezza l’Es percepisce un bi-sogno, segnalato da un’emozione, il bisogno 3 riconosciuto mobili-ta l’energia per l’azione, che produce l’appagamento del bisogno, seguito da una fase in cui ci si ritira e si assimila l’esperienza. Dopo l’appagamento del bisogno si vive una condizione di equilibrio e di riposo, detta vuoto fertile, che dura fino all’emergere di un altro bisogno. Il disagio psicologico deriva da una serie di ostacoli o resistenze al contatto, riconducibili ai meccanismi di difesa dell’introiezione, proiezione, retroflessione, deflessione ed egotismo. - L’introiezione è il meccanismo di funzionamento mentale alla base dell’educazione e dell’apprendimento; diventa patologica con interruzione al contatto quando non si “mastica” quello che si ap- 3 Vi sono necessità vitali per il corpo: mangiare, bere, dormire, eccetera. E bisogni indotti da pulsioni fisiologiche (sesso ed altro) e desideri psichici personali o indotti culturalmente Poiché non è sempre possibile, a questo mondo, realizzare ed appagare questi bisogni, perché non creino proble-mi basta accettare armonicamente la scelta di non poterli realizzare, senza conflitti o concetti di sconfitta.

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prende, ma ci si limita ad ingoiarlo (a volte non si può fare altri-menti). Non c’è quindi assimilazione, che richiede trasformazione, elaborazione per appropriarsi di quello che si apprende, c’è solo accettazione passiva. Ciò che viene ingoiato è costituito da ingiun-zioni genitoriali (idee, valori, abitudini, concetti) che vengono in-corporate nell’infanzia e rimangono incistate sotto forma di “de-vo”, “è giusto”, “è necessario”, espressioni tipiche che possono de-notare introiezione. Nell’introiezione l’aggressività è soffocata, di conseguenza non c’è la capacità di attivazione che porta all’azione e si permette al mondo esterno di invadere i propri confini, non si è in grado di definirli e di difenderli. L’intervento terapeutico deve avere l’obiettivo di sviluppare l’autonomia e la responsabilità per-sonale, tenendo conto del fatto che regole e valori introiettati pos-sono essere anche dei rifugi. 4 Riguardo al ciclo del contatto - ritiro, l’introiezione causa un’interruzione al livello della percezione e della presa di coscien-za del bisogno: la persona pensa che non sia giusto o appropriato avere un determinato bisogno, perciò non lo ascolta e lo sostitui-sce con ingiunzioni genitoriali. Questi apprendimenti precedenti che l’individuo ha incorporato (soprattutto durante l’infanzia) im-pediscono o distorcono la consapevolezza del bisogno, egli non è in grado di centrarsi sulla sua esigenza, ha paura di andare nel vuoto (opposto percettivo del bisogno) e si aggrappa a ciò che gli è stato detto da altri sul proprio bisogno. Se non c’è introiezione, si riconosce il bisogno e il ciclo procede, ma nel momento in cui si sta per attivare l’energia per l’azione può intervenire un altro meccanismo di difesa, la proiezione, che porta a trattenersi, a non mobilitare l’energia. - La proiezione è il contrario dell’introiezione: è l’individuo che invade il mondo esterno anziché viceversa, perché attribuisce ad altri ciò che non vuole riconoscere in sé. La proiezione in sé è un meccanismo utile: permette di entrare in contatto con gli altri e di comprenderli, è alla base della capacità di mettersi nei loro panni, dell’empatia. Diventa un meccanismo patologico quando viene protratto e utilizzato in maniera abituale e stereotipata, così non è più un mezzo per entrare in relazione con gli altri, ma al contrario 4 O dei blocchi. Ma molte regole sono accettabili ed indispensabili per una vita sociale decente.

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porta a dissociarsi dall’interazione e dal contatto, perché prescinde dal comportamento effettivo degli altri e dal loro reale sentire. È rivelata da espressioni del tipo: “Quella persona non mi com-prende”, “Lui mi ha provocato”, “Tu mi fai soffrire”. Ricorrendo a questo meccanismo si evita di assumersi la responsabilità di ciò che trae origine da sé, attribuendo la responsabilità all’altro. Nella terapia della Gestalt si chiede al paziente di esprimersi in prima persona, non in terza o in termini generici (ad esempio “Io sto vivendo questo…”, “Io credo che tu non mi comprenda”, “Io sto soffrendo perché una persona o una situazione ha riattivato in me una sofferenza antica”. Noi soffriamo come adulti che si porta-no dentro un bambino sofferente ed è importante non il fatto in sé, ma quello che la persona sta vivendo). All’interno del ciclo del contatto, la proiezione fa sì che l’individuo attribuisca ad altri una risposta propria, non si identifica con quel-lo che sente e sta vivendo e colloca le proprie emozioni, sensazioni e vissuti nell’ambiente. In questo modo non può procedere per assecondare il bisogno (non riconoscendolo come proprio) e in-terrompe il ciclo. - La retroflessione può agire tra la mobilitazione dell’energia e l’azione, in modo che l’energia già attivata venga ritirata rivolgen-dola verso di sé, trattenendosi dall’azione. È il meccanismo alla ba-se della somatizzazione. La retroflessione sana è necessaria: è indi-ce di maturità, permette l’adattamento alle regole sociali e l’autocontrollo (non è possibile esprimere sempre in maniera spontanea e impulsiva l’aggressività o determinati bisogni e desi-deri). Quando è sana la retroflessione permette inoltre alla perso-na di darsi da sola ciò che si aspettava dagli altri ma che non ha ot-tenuto (affetto, gratificazioni, sostegno, conferme, eccetera). Se questo meccanismo è eccessivo e prolungato, può portare ad ini-bizione cronica, masochismo, esasperata soddisfazione narcisistica e soprattutto è all’origine di somatizzazioni. Chi usa questo mec-canismo rinuncia a qualsiasi tentativo di influenzare il proprio am-biente, isolandosi in una condizione di autosufficienza e riducendo notevolmente lo scambio con l’esterno. Nell’intervento occorre invitare alla libera espressione, a tirar fuori l’energia che solitamente si rivolge verso o contro se stessi, ester-nando emozioni come la rabbia: la retroflessione della rabbia por-

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ta la persona ad autoaggredirsi, oppure la rende una bomba che rischia di esplodere. Aiutare il paziente ad esprimere le emozioni permette di compiere una catarsi emozionale che libera l’energia. Se non c’è retroflessione si arriva all’azione e al contatto, ma tra il contatto e il ritiro può esserci deflessione. - La deflessione è un meccanismo che non permette di assimilare l’esperienza, di viverne la pienezza sentendosi profondamente ap-pagati, perché l’individuo sposta l’attenzione da quello che gli sta accadendo. I modi per deflettere sono tanti: esprimersi con astra-zioni o generalizzazioni impersonali, deviare o distogliere lo sguardo dalla persona con cui si sta parlando, parlare troppo o tramite giri di parole, eccetera. La deflessione è un meccanismo sano quando costituisce una strategia di adattamento, diventa pa-tologica quando toglie vitalità e intensità alle esperienze e ostacola la crescita dell’individuo. Nei casi estremi la deflessione è una fuga dalla realtà di tipo psicotico. - L’egotismo: è un modo per evitare il contatto finale; l’Io diventa ipertrofico e il confine - contatto s’irrigidisce. È uno stato di diffe-renziazione che prende il posto della confluenza: quando due en-tità dovrebbero fondersi e se lo impediscono sono in uno stato di egotismo. Nell’egotismo patologico manca qualsiasi contatto nu-triente, viene attuata una chiusura totale al mondo, finché l’organismo s’inaridisce profondamente. I pazienti che intraprendono un percorso di riappropriazione di sé devono fare esperienza di questa condizione: in questi momenti l’egotismo è sano, permette alla persona di riacquistare le proprie dimensioni più profonde, escludendo temporaneamente gli altri e occupandosi di sé, alimentando autostima e assertività. L’egotismo è sano quando permette una chiusura selettiva funzio-nale alla crescita nei casi in cui è richiesta una separazione (dire di no, delimitare il proprio spazio e i propri confini). L’egotismo è invece patologico quando non viene superato e sostituito dalla in-terdipendenza, in cui il soggetto è autonomo ma può scegliere di vivere anche momenti di dipendenza e di confluenza con gli altri. - La confluenza è il meccanismo che interviene tra il contatto e il ritiro. L’individuo ha vissuto l’esperienza dell’appagamento del suo bisogno con pienezza e sta bene, ma non vuole chiudere l’azione, vuole mantenere il contatto, non riesce a ritirarsi nei pro-

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pri confini. Nella confluenza la persona è priva di confini tra sé e l’ambiente esterno, pretende la somiglianza, non accetta le diffe-renze, gli altri devono essere uguali a sé in modo da poter evitare l’idea di un eventuale conflitto. Così si crea una confusione tra ciò che appartiene a sé e ciò che è proprio dell’altro, quindi il Sé non viene identificato, l’individuo non si riconosce una propria identità differenziata e distinta da quella degli altri. La confluenza è sana all’inizio di una relazione (ad esempio nel rapporto di coppia o nella simbiosi madre - bambino), ma dopo una prima fase di con-fluenza deve esserci un ritiro nei propri confini per ripristinare la propria individualità. La confluenza è patologica quando non si riesce a ritirarsi. Ne consegue un’incapacità di vivere la solitudine come sana, come momento che permette di ritrovare il proprio Sé: nella simbiosi non si è in grado di reggere la separazione e la di-stanza, vissute come un abbandono. Tutti questi meccanismi di difesa in origine sono sani, naturali, ne-cessari, ma se protratti o eccessivi diventano patologici.

La teoria del Sé Il Sé per la Gestalt non è un’entità fissa, né un’istanza psichica, come nella psicoanalisi, ma è un processo, un divenire, non è l’essere, ma l’essere al mondo. È l’agente di contatto con l’ambiente che consente, momento per momento, l’adattamento creativo e lo scambio fra individuo e ambiente, mondo interno e ambiente esterno. La funzione - Sé agisce secondo tre modalità, chiamate Es, Io e Personalità. La funzione - Es è l’insieme delle pulsioni interne, bi-sogni vitali, tracce di memoria del passato ed è molto legata al cor-po. Questa funzione agisce secondo un sistema automatico di au-toregolazione, a meno che non venga bloccata da impedimenti in-terni o esterni. In tal caso si ha un disturbo della funzione - Es per il quale la persona non sente più, non percepisce ciò di cui ha bi-sogno in un dato momento. La funzione - Personalità è l’immagine che il soggetto ha di se stes-so e il sistema di atteggiamenti assunti nei rapporti interpersonali.

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Permette di riconoscersi responsabili di ciò che si sente e si fa, può essere più o meno congrua con l’autenticità dell’individuo e quin-di più o meno strutturata in modo sano. Permette di definire il proprio senso d’identità perché è l’artefice della ristrutturazione e reintegrazione unitaria delle esperienze attuali con quelle prece-denti. La funzione - Io è attiva e di scelta, di risposta positiva o negativa di fronte all’emergere dei bisogni. Stabilisce cosa fare, come, quando entrare in contatto. Prende coscienza dei bisogni e gestisce la loro soddisfazione. È il fare creativo che collega la funzione - Esempio (di cosa ho bisogno) con la funzione - Personalità (chi sono).

L’origine della malattia Sia Perls che Goodman hanno una visione positiva della natura umana, che sarebbe originariamente buona, tendente alla autorea-lizzazione e all’“adattamento creativo” all’ambiente. Se incontra un ambiente favorevole, l’individuo non deve far altro che lasciare a questa tendenza la possibilità di realizzarsi e di svilupparsi. La na-tura umana va solo “lasciata essere”. Dietro la corazza delle regole e dei sintomi che sembrano formare la “personalità” di ogni indi-viduo, esiste un nucleo primordiale positivo che deve essere ri-portato alla luce: questo è il compito prioritario della terapia. Al riguardo Goodman parla di “Prima Natura” 5 e di “Seconda Natura” 6, intendendo nel primo caso il nucleo immutabile, che possiamo anche rimuovere e nascondere sotto varie “incrostature”, ma che è sempre presente. Se all’essere umano è impedito, o egli stesso si impedisce, di seguire tale natura, vivrà disagio e malessere e la sua Prima Natura cercherà sempre l’occasione per riemergere e completare il suo sviluppo: si tratta delle Gestalt irrisolte che tor-nano a bussare, non sempre in modi comprensibili e ortodossi, per arrivare alla chiusura soddisfacente che non si è potuta realiz-zare. Se la mancanza di chiusura è temporanea, come dovrebbe essere, la Prima Natura può riemergere e continuare un percorso di crescita sano. Se invece questi meccanismi di emergenza e di

5 Genetica? 6 Dovuta alla formazione educativa?

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supporto temporaneo (utili per la sopravvivenza in un ambiente sfavorevole) non vengono applicati solo per il tempo necessario, ma continuano ad essere usati anche in seguito, finiscono per di-ventare “naturali”, connaturati. Si tratta dei comportamenti appresi che definiscono la Seconda Natura e che portano alla nevrosi. La psicoterapia della Gestalt (come gran parte delle psicoterapie della corrente umanista) rivolge la sua attenzione soprattutto all’uomo sano. La malattia è vista prevalentemente come un incidente di per-corso dovuto all’incontro dell’individuo con un ambiente sfa-vorevole e come la risposta migliore e più creativa (quindi una forma di “adattamento creativo”) che l’organismo possa dare per “salvarsi la pelle” in un dato momento. La nevrosi è stata definita da Perls come “personalità velenosa”, “fuga dal dolo-re”, “difetto della consapevolezza”, ma soprattutto come “difetto della crescita” e “disturbo dello sviluppo”. Secondo Perls e Goodman alla nascita siamo persone sane, com-plete, dotate di una natura positiva. La malattia deriva da una serie di introiezioni, atteggiamenti, comportamenti e regole ambientali che vanno contro la tendenza all’autoregolazione organismica. Il bambino assume questi introietti soprattutto dai genitori, perché essi sono indispensabili per la sua sopravvivenza materiale, quindi hanno la meglio sulla tendenza organismica quando si contrap-pongono ad essa. Secondo Perls gli introietti sono un qualcosa che possiede il paziente e che esiste tramite lui; nel nevrotico sono dei veri e propri “corpi estranei”. La persona, invece di sintonizzarsi in maniera sana con i propri bisogni e di “autoregolarsi”, deve tener conto delle richieste di questi introietti. Quando invece le regole dell’ambiente sono buone e in linea con la tendenza organismica, vengono assimilate e favoriscono la crescita della Personalità sana. Perls distingue diversi livelli di nevrosi: - livello dei cliché: quando si incontra l’altra persona non si fa al-tro che constatarne l’esistenza; - livello dei ruoli e dei giochi: è il livello relazionale superficiale, in cui si fanno giochi e si assumono parti, è il livello sociale, del “co-me se”. La persona non mobilita la sua energia, non tiene conto dei suoi desideri e delle sue attitudini autentiche e spontanee.

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Molti ruoli tendono alla manipolazione dell’altro: il seduttore, il bravo ragazzo, la brava bambina, l’adulatore, il duro, il bambino piagnucoloso, eccetera. I ruoli e i giochi sono mezzi per fuggire dal dolore, per non affrontarlo. - Livello di implosione: ci si trova nella paralisi dovuta alla con-trapposizione fra mondo interno e ambiente, la persona si contrae e si comprime fino ad esplodere al suo interno. Se si riesce ad en-trare in contatto con questo livello, può succedere che dalla im-plosione si passi alla esplosione. - Livello di esplosione: si può cominciare ad entrare in contatto con la persona autentica, in grado di vivere ed esprimere le pro-prie emozioni. L’esplosione può essere l’emergere di un dolore prima evitato, uno sblocco di emozioni e sentimenti, può essere un’esplosione di rabbia, di gioia di vivere, eccetera. Se non ci si spaventa si può accedere al livello di autenticità. - Livello di autenticità: si creano e si rendono duraturi i legami con il vero Sé. Secondo Perls i nevrotici hanno delle carenze in alcune aree vitali: alcuni non hanno occhi, altri non hanno orecchie, altri non hanno cuore, gambe o mani, eccetera e sostituiscono questi “buchi” con delle “extracompensazioni” artificiose, che non aiutano la persona a ricentrarsi. È uno degli obiettivi della terapia far scomparire que-ste incompletezze trasformando il “vuoto sterile” in “vuoto ferti-le”: mentre il primo può essere vissuto come nulla, il vuoto fertile è il “nulla” orientale, cioè il vuoto in cui esiste soltanto il processo, il qui ed ora di quanto sta accadendo. È un vuoto pieno di con-tenuti vivi e autentici.

Metodologia e tecniche d’intervento La Gestalt - Terapia non può essere ridotta alla descrizione di al-cune tecniche. L’uso delle tecniche può essere inappropriato, o addirittura dannoso, se non è inserito in un percorso complesso e a più livelli che abbia come obiettivo la crescita e la maturazione complessiva dell’individuo. Nella terapia gestaltica le tecniche non costituiscono l’orientamento terapeutico primario, al centro di

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questa pratica troviamo piuttosto i suoi tre temi fondamentali: re-altà, consapevolezza e responsabilità. La consapevolezza è alla base della possibilità di rendere la propria vita “reale” e responsabilmente determinata, ma la consapevolezza non basta, perché se non ci riconosciamo, se non cominciamo ad essere quello che realmente siamo, non possiamo considerarci vivi e trovare un appagamento esistenziale più importante e significati-vo del semplice soddisfacimento dei bisogni particolari. La nostra “realtà” particolare, così come la consapevolezza e il sen-so di responsabilità, possono essere percepiti e fatti propri soltan-to attraverso la sperimentazione. Sperimentare è già di per sé tera-peutico: è il momento in cui si può entrare in contatto con tutto quello che non conosciamo o che abbiamo evitato e che fa paura, è un addestramento all’esperienza, intesa come l’entrare in contat-to con il fluire dinamico di ciò che c’è dentro e fuori di noi. L’esperienza non deve essere ricercata all’esterno, ma ricongiun-gendo la persona a ciò che sente. Nel linguaggio della Gestalt si parla al riguardo di “esperienza correttiva riparativa”, che si ottiene con due tipi fondamentali di tecniche: le tecniche repressive, uti-lizzate per smettere di evitare e coprire l’esperienza, e le tecniche espressive, mirate allo sviluppo della consapevolezza attraverso l’ampliamento dell’attenzione su quello che accade e l’amplificazione delle emozioni scoperte.

Tecniche repressive Sono tutte le modalità d’intervento con cui il terapeuta pone al paziente la richiesta di smettere di perpetuare giochi o comporta-menti particolari che costituiscono meccanismi ripetitivi di evita-mento dell’esperienza. Perls e Naranjo ritengono che molte attività degli individui siano orientate ad evitare di percepire appieno le sensazioni relative al momento in cui vivono: tutto ciò che impedi-sce di prestare attenzione e di vivere profondamente l’esperienza del momento serve ad evitare il presente. Questo significa perdere consapevolezza ed allontanarsi dalla propria realtà più vera. Una delle tecniche più semplici per uscire da tali circoli viziosi è smettere di fare qualsiasi cosa che sia diversa dallo sperimentare:

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occorre “non fare nulla”, limitandosi a prestare attenzione a quello che emerge momento per momento. Stare solo nel presente, at-traverso la tecnica del “continuum di consapevolezza”, è tutto ciò che occorre fare per ascoltare davvero quello che avviene dentro di noi e apprendere a non aver paura delle parti che più ci spaventa-no e che ci spingono a fuggire dalla consapevolezza della loro esi-stenza. La repressione degli evitamenti conduce all’esperienza del nulla, cioè al momento in cui il vuoto sterile si trasforma in vuoto fertile, aprendo le possibilità che la nevrosi aveva ostacolato per protegge-re da tutto ciò che crea ansia e paura se non viene contattato ed elaborato. I meccanismi di evitamento che la Gestalt reprime sono principal-mente: - il “girare intorno” - il “doverismo” - la manipolazione. Il girare intorno (detto anche “intornismo”) sono le “chiacchiere”, come le definiva Perls, che permettono di evitare il contatto con altre dimensioni. Quando una persona parla “intorno” alle cose, fa filosofia, ci erudisce, cerca di comprendere intellettualmente, non sperimenta veramente quello che gli sta accadendo. In terapia il girare intorno si esprime con l’offerta di informazioni diagnosti-che, la ricerca di spiegazioni di causa ed effetto, la discussione di temi filosofici e morali o del significato di alcune parole. 7 Il girare intorno è un cattivo uso della razionalità, funzionale all’evitare di fare esperienza. Se ci accorgiamo che un paziente sta intellettualizzando, lo fermiamo e gli facciamo notare che così non riesce a trovare soluzioni creative. Per evitare che la persona conti-nui con queste verbalizzazioni, dopo averla fermata la aiutiamo a comprendere che cosa sta accadendo in quel momento, interrom-pendo il lavorio mentale, che porta ad un inutile consumo di e-nergie e a tormentarsi. Bisogna aiutare il paziente a ristrutturare il suo modo di pensare, a renderlo funzionale, occorre fargli vedere che la sua razionalità viene messa al servizio di ciò che non c’è.

7 La psicoterapia non deve essere filosofia: complica solo le situazioni e non solo non serve a nulla, ma può essere dannosa.

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Chi utilizza molto il “girare intorno” di solito ha schemi mentali rigidi, tende a reiterare un pensiero. Perls disdegna i “perché” e i “poiché” nella comunicazione pazien-te - terapeuta, Naranjo invece non li considera sempre negativi (anche se condivide la necessità di evitare le intellettualizzazioni), perché rispetta il desiderio del paziente della comprensione intel-lettuale e riconosce che a volte le razionalizzazioni non servono tanto ad evitare, ma solo a fare un lungo giro per arrivare al cam-biamento. Nell’incontro terapeutico diventa allora molto più im-portante osservare cosa fa il paziente della regola del non girare intorno (non spiegare e non cercare spiegazioni, non filosofeggia-re e non cercare altre verità oltre l’evidenza, non fare diagnosi e interpretazioni), piuttosto che insistere sulla sua sacralità e non accettare in nessun modo che il paziente non la rispetti. Il fatto che in alcuni momenti o in generale il paziente non sia in grado di adeguarsi alla regola può dare indicazioni al terapeuta riguardo a problemi centrali del suo modo di essere al mondo, ai temi su cui è necessario focalizzare l’attenzione. La regola del non girare intorno dovrebbe essere applicata non so-lo alla verbalizzazione, ma anche a tutta la sfera del pensiero, per aumentare il livello di consapevolezza e rendere più disponibili al contatto e alla percezione di ciò che si incontra grazie alla aumen-tata consapevolezza. Questo non significa che non si debba più pensare, ma piuttosto vuol dire fare in modo che venga allentato il controllo di tutto ciò che ci spaventa, perché possiamo entrare in contatto con quei sentimenti che sono sì dolorosi, ma vitali e che permettono di vivere in maniera autentica. Il doverismo è il dire a noi stessi e agli altri cosa si deve fare e co-me si dovrebbe essere: questo è considerato dalla terapia della Ge-stalt un altro modo per non essere quello che si è. Il dover essere e il dover fare ci allontanano dall’esperienza, che è possibile vivere solo abbandonando l’atteggiamento giudicante e valutativo verso noi stessi e verso gli altri. Occorre recuperare la capacità di sentire e assaporare tutto quello che accade, vivendo nel presente, nel qui ed ora. Smettendo il doverismo, si smette di autotorturarsi e si scoprono sentimenti che erano rimasti sullo sfondo e non avevano avuto la possibilità di emergere, perché ci si impediva di sentirli.

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Nel doverismo rientrano il senso di colpa, l’autovalutazione, il giudizio. Per superare questi atteggiamenti la terapia della Gestalt ricorre alla regola della non - valutazione. Anche nell’intornismo c’è autovalutazione e incapacità di accettarsi come si è. Frasi del tipo “Non sono triste”, “Non sono teso” esprimono dove-rismo, perché equivalgono a: “Non devo essere triste”, “Non devo essere teso”. Infatti non si può far esperienza di qualcosa che non c’è, si può dire come ci si sente, non come non ci si sente. Le for-mulazioni al negativo esprimono doverismo perché ci si paragona mentalmente a come si dovrebbe essere, ci si valuta. Mentre l’intornismo è un cattivo uso della razionalità, il doverismo è un cattivo uso della vita emotiva: tutto deve essere come si vuole, secondo quello che si è introiettato, così ci si impedisce di sentire certi sentimenti ed emozioni. La manipolazione è invece un cattivo uso dell’azione, a cui si ricor-re per evitare l’esperienza, la consapevolezza e la responsabilità. Molte azioni hanno lo scopo di cercare di evitare il contatto con i sentimenti meno accettabili della nostra vita (noia, sofferenza, an-sia, tristezza, eccetera). In contrapposizione con l’azione funziona-le all’evitamento, c’è invece l’azione che consente l’esperienza e la esprime, che rivela piuttosto che nascondere, che esprime piutto-sto che reprimere. Queste azioni (con riferimento alla filosofia Zen) scorrono naturalmente, senza che ci sia costrizione, auto - manipolazione e neanche scelta, dal momento che la loro forza motrice primaria è la preferenza. La non - manipolazione è legata alla fiducia nella capacità di autoregolazione dell’organismo e di sentire e gestire quello che fluisce dall’interno. La terapia della Ge-stalt al riguardo ha formulato la regola della non - automanipola-zione (indispensabile per non cadere nel gioco della manipolazio-ne degli altri), che si attua attraverso il “continuum di consapevo-lezza”. Fanno parte della manipolazione le convenzioni, le buone maniere, il chiedere il permesso, perché vorrebbe dire non assu-mersi la responsabilità delle proprie azioni e manipolare gli altri perché se la assumano loro.

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Il continuum di consapevolezza È una tecnica che consente al paziente di essere costantemente at-tento e presente al flusso delle proprie sensazioni e dei propri sen-timenti. Il lavoro con la consapevolezza (di quello che accade a li-vello esterno e interno) permette di essere sempre al confine del contatto, che è il punto in cui entriamo in contatto con gli altri e con noi stessi. Lo scopo è recuperare il contatto con il mondo e-sterno e interno attivando la consapevolezza. Le quattro domande formulate da Perls per favorire la consapevolezza sono: - “Cosa stai facendo in questo momento?” (comportamento) - “Cosa senti in questo momento?” (contatto con il mondo interno, con emozioni, sensazioni e pensieri) - “Cosa stai cercando di evitare?” - “Cosa vuoi?” (contatto con la responsabilità intenzionale: far e-mergere un bisogno e attivarsi di conseguenza) e “Cosa ti aspetti da me?” (contatto tra sostegno e autosostegno). Solitamente interrompiamo il continuum: la consapevolezza di sé e del mondo è intervallata da illusioni, fantasie, sogni ad occhi a-perti (che costituiscono il Maya e comprendono anche ciò che vor-remmo, quello che vorremmo ottenere), oppure da intellettualiz-zazioni. Tutto questo ci stacca dall’esperienza di quello che c’è, del presente: la vita è fatta di piccole esperienze che deturpiamo. La tecnica del continuum di consapevolezza ha la funzione di far sì che la persona si accorga di ciò da cui sta fuggendo, di cosa evita, impedendosi di essere l’autore della propria vita. Ad esempio, una persona può far fatica ad entrare in relazione con gli altri se teme di essere criticata, giudicata, ha paura di sbagliare, eccetera. In tal caso restringe il suo confine e si impedisce di allargarlo. Una per-sona senza confini, senza un’identità ben definita e delimitata, non può fare realmente esperienza del contatto, perché per questo oc-corre avere la propria individualità: il contatto è tanto più profon-do quanto più si è persone integre e con un senso forte della pro-pria identità e individualità, perché non si ha paura di perdersi al momento del contatto e della confluenza, invece se si ha paura di perdere l’individualità, di essere invasi, il contatto con gli altri è vissuto come pericoloso. In questo caso si oscilla tra la paura di

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perdersi (il bisogno di mantenere l’individualità e l’autonomia) e il bisogno d’incontro (fusionalità).

Tecniche espressive La capacità di espressione di sé è considerata dalla Gestalt il modo migliore per acquisire consapevolezza della propria essenza e nel-lo stesso tempo per “realizzare” se stessi, nel senso di rendersi rea-li. Senza questa realizzazione non ci si può sentire del tutto vivi. E-sprimersi (e quindi realizzarsi) sarebbe un processo naturale, ma, avendo sperimentato una serie di angosce, frustrazioni, sofferenze, molti hanno imparato ad usare strategie per manipolare la realtà, piuttosto che aprirsi ed essere se stessi. L’insieme di queste strate-gie costituisce il “carattere”, con cui si finisce per identificarsi, mentre la natura reale si ritira fino a non essere più percepita. Le tecniche espressive della Gestalt hanno l’obiettivo di riparare questo danno, riportando alla luce le dimensioni più reali dell’individuo. Attraverso la messa in atto dell’espressione di sé, il paziente impara che può essere se stesso senza che succeda niente di catastrofico (come temeva sulla base dei suoi precedenti modelli e apprendimenti) e può sentirsi più libero, maggiormente in con-tatto con se stesso e con gli altri. Cito in seguito alcune delle tecniche espressive più usate dai tera-peuti della Gestalt (e a volte anche da noi ma a modo nostro). “La sedia che scotta” (detta anche “bollente” o “vuota”) Si invita il paziente a immaginare su una sedia vuota parti di sé, rappresentazioni interne di figure significative o proiezioni di pro-pri traumi, e a dialogare con queste parti, prima immaginando di averle sulla sedia vuota, poi occupando quella stessa sedia e ri-spondendo come risponderebbe quella rappresentazione o parte proiettata di sé. Al posto della sedia vuota si può utilizzare un og-getto qualsiasi, come un cuscino, una borsa, un capo di vestiario, che svolga la funzione di “oggetto transizionale” per simboleggiare personaggi, parti del corpo, eccetera, lasciando che sia il paziente a scegliere l’oggetto che sente più adatto. Il lavoro viene svolto at-

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traverso scene reali rievocate, in cui vengono messi in atto senti-menti ed emozioni repressi, arrivando gradualmente alla espres-sione e alla chiusura di situazioni incompiute o irrisolte. “Il monodramma” È una variante dello psicodramma in cui il paziente gioca di volta in volta i diversi ruoli della situazione da lui evocata: può rappre-sentare vari personaggi o parti diverse di una persona o di se stes-so. Per chiarezza si invita il paziente a cambiare posto ogni volta che cambia ruolo. Il monodramma dà la possibilità di mettere in scena i propri vissuti via via che emergono. Quello che conta non è raffigurare un personaggio vero, ma esprimere le proprie rappre-sentazioni interne, per poi arrivare a dare una nuova forma a tali rappresentazioni. “Le polarità” Il monodramma e la tecnica della sedia bollente permettono di ri-conoscere e integrare le polarità opposte di una relazione, senza ridurle ad un compromesso artificiale, e neanche ad un equilibrio statico (come “il giusto mezzo”): ad esempio, è possibile provare contemporaneamente per qualcuno sentimenti contrastanti, come amore e odio, che attraverso queste tecniche vengono chiariti, sen-titi intensamente ed eventualmente messi in atto simbolicamente. “La messa in atto” La “messa in atto” volontaria non va confusa con il “passaggio all’atto” impulsivo, detto in inglese “acting out”: mentre questo ul-timo serve ad evitare la presa di coscienza di qualcosa, la messa in atto volontaria è, al contrario, una sottolineatura che favorisce la consapevolezza, ricorrendo ad un’azione visibile e tangibile in cui si mobilitano il corpo e le emozioni. In questo modo il paziente può vivere la situazione più intensamente e provare sentimenti che non aveva identificato bene, o dimenticati, repressi, a volte anche sconosciuti. “L’amplificazione” È una delle tecniche più utilizzate nella terapia della Gestalt, che permette di rendere più esplicito ciò che è implicito: il gestaltista è attento ai diversi indici di reazioni emozionali, come le modifica-zioni del colorito del volto, le piccole contrazioni della mascella, i cambiamenti del ritmo respiratorio, della deglutizione, della tona-lità della voce, della direzione dello sguardo, i micro - gesti delle

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mani, dei piedi o delle dita. Si invita il paziente ad amplificare que-sti gesti inconsapevoli, da lui inavvertiti, che sono considerati co-me dei “lapsus del corpo”, rivelatori di emozioni latenti, spesso trattenute. L’amplificazione fa emergere queste emozioni o sensa-zioni, permettendo così di esprimere quello che il corpo contiene o trattiene, ciò di cui la persona si impedisce di fare esperienza. È un modo per ascoltare il proprio corpo, anziché cercare di ridurlo al silenzio, sforzo che spesso lo costringe ad esprimersi attraverso dei sintomi. Un tipo di amplificazione può consistere anche nel ripetere a voce alta un’affermazione, accentuando l’espressione di un’emozione o di un sentimento. “La comunicazione diretta” In Gestalt si evita di parlare di qualcuno, si invita invece il paziente a rivolgere direttamente la parola (parlare a, anziché parlare di) alla persona, presente o assente, coinvolta in una situazione irri-solta che è emersa. Ciò consente di passare da una riflessione in-terna, di ordine intellettuale, ad un contatto relazionale ed emo-zionale con l’altra persona. Permette inoltre di smascherare le proiezioni all’interno di ciò che si dice all’altro e di riappropriar-sene, evitando di rimproverarle alla persona a cui sono state attri-buite. Se quest’ultima è presente, ha la possibilità di rispondere, così il paziente può confrontare con lei le proprie percezioni, la propria realtà con quella dell’altro. L’obiettivo non è quello di mettersi d’accordo, in una confluenza superficiale, bensì di mette-re in chiaro; non ci si deve giustificare, né convincere, né spiegare, le persone sono invitate semplicemente ad esprimersi, facendo at-tenzione non ai perché, ma ai come di determinate scelte e azioni. Si tratta di constatare la realtà dei fatti, senza ricorrere a considera-zioni “a proposito” degli avvenimenti o su come “dovrebbero esse-re”. I partecipanti sono invitati a rispondere onestamente, senza fingere e senza timore di esprimere disaccordo o aggressività.

Conclusioni

Il costrutto teorico e filosofico della psicologia della Gestalt non solo non ci trova in tante sue parti d’accordo, ma da un punto di vista pratico e clinico in psicoterapia non ci serve.

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Invece metodiche e tecniche possono essere molto utili per ripor-tare all’armonia e alla guarigione alcuni pazienti. Nel nostro lavoro l’uso di tecniche per non risultare dannoso deve rispondere a ben precisi canoni: - si cura con un sorriso, non delle labbra ma del cuore; - non ci si lascia prendere dalla prepotenza delle proprie convin-zioni, né si tenta di imporle, anche se con levità possiamo espri-merle. Errori gravi da evitare: pessimismo, messaggi negativi, connotazio-ni negative, generalizzazioni negative o interpretabili come tali, in-terpretazioni negative e spiegazioni che non hanno nessuna possi-bilità di soluzione: labirinti senza uscita costruiti intellettualmente. E ancora: qualsiasi modalità o messaggio di colpevolizzazione della sofferenza e della malattia, che non è una colpa ma solo sofferen-za. Come si può constatare questi errori sono purtroppo piuttosto diffusi. Noi non siamo giudici ma esseri umani con una nostra etica ed una nostra morale, per cui possiamo individuare nel nostro inter-locutore fatti, pulsioni e comportamenti totalmente inaccettabili. In questo caso non possiamo né sopportare, né tantomeno pren-dere in terapia un paziente. Tranne che in casi di questo tipo dobbiamo solo valutare le possi-bilità di cura e di successo del nostro intervento.

Bibliografia Giusti E., Rosa V., “Psicoterapie della Gestalt”, 2002, A.S.P.I.C. Edizioni Scientifiche, Roma Perls F., Hefferline R. F., Goodman P., “Teoria e pratica della Terapia della Gestalt“, 1971, Astrolabio, Roma Perls F., “La terapia gestaltica parola per parola”, 1980, Astrolabio, Roma Perls F., “Qui ed ora”, 1991, Sovera, Roma

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Federica Panzanini, Riccardo Arone di Bertolino LA GESTALT

Parole chiave: Psicologia della Gestalt, realtà, consapevolezza, responsabi-lità, autoregolazione organismica, meccanismi di difesa, psicoterapia, tec-niche repressive, tecniche espressive.

RIASSUNTO Si espongono e commentano principi e concetti teorici della Psicologia della Gestalt riguardo il funzionamento dell’individuo sano e la genesi del-la psicopatologia. In particolare viene descritto il processo di gratificazio-ne dei bisogni (“ciclo del contatto - ritiro”) che sarebbe alla base della vita psicologica di tutti gli individui. Se questo processo viene ostacolato con varie forme di blocchi, si creano il disagio psicologico o la patologia. Vengono trattati i temi principali su cui si fonda la pratica della psicotera-pia della Gestalt e si descrivono le tecniche più usate, suddivise in due tipi fondamentali: le tecniche “repressive” e quelle “espressive”.

Federica Panzanini, Riccardo Arone di Bertolino GESTALT THERAPY

Key word: Gestalt psychology, reality, awareness, responsibility, organi-smic self-regulation, defence mechanisms, psychotherapy, repressive te-chniques, expressive techniques.

SUMMARY Basic principles and theoretic concepts of Gestalt psychotherapy, concer-ning healthy individual and the origin of psychotherapy, are presented and commented on. Particularly, needs gratification process (“cycle of contact-withdrawal”) which may give rise to psychological life, is descri-bed. Psychological distess or psychopathology arise if this process is blo-cked. Basic topics of Gestalt psychotherapy practice are treated. The most used techniques are described, distinguished in “repressive” and “expres-sive”.

Gli Autori Dr. Riccardo Arone di Bertolino Presidente della Società Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi Via Porrettana 466 - 40033 CASALECCHIO di RENO BO Dr.ssa Federica Panzanini, S.M.I.P.I. psicologa, specialista in Psicoterapia ed Ipnosi Clinica S.M.I.P.I. Via Vasari 32 - 40128 BOLOGNA BO tel. 328.6848503

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RUBRICHE

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Vincenzo Amendolagine

LA PSICOTERAPIA E LO PSICOTERAPEUTA FRA SCELTE CULTURALI E RIFERIMENTI LEGISLATIVI

Il presente lavoro non vuole essere un’interpretazione personale della giurisprudenza in materia, bensì una semplice illustrazione, sicuramente parziale, della legislazione italiana vigente, riferita alla psicoterapia. Considerata la brevità del lavoro e che il fine dello stesso non è quello di invadere competenze, spettanti ad altre pro-fessionalità, si sottolinea che l’obiettivo perseguito è solo quello di un’ informativa, storico – culturale, senza nessuna pretesa esausti-va e di completezza dell’argomento trattato. La legge n. 56 del 18 febbraio 1989 (1), denominata: “Ordina-mento della professione di psicologo”, all’articolo 3 detta le nor-me per l’esercizio della psicoterapia. Esso afferma:

1. “L’esercizio dell’attività psicoterapeutica è subordinato ad una specifica formazione professionale, da acquisirsi, dopo il conseguimento della laurea in psicologia o in medicina e chirurgia, mediante corsi di specializzazione almeno qua-driennali che prevedano adeguata formazione e addestra-mento in psicoterapia, attivati ai sensi del decreto del Pre-sidente della Repubblica 10 marzo 1982, n. 162, presso scuole di specializzazione universitaria o presso istituti a tal fine riconosciuti con le procedure di cui all’articolo 3 del citato decreto del Presidente della Repubblica.

2. Agli psicoterapeuti non medici è vietato ogni intervento di competenza esclusiva della professione medica.

3. Previo consenso del paziente, lo psicoterapeuta e il medi-co curante sono tenuti alla reciproca informazione.”

In sede di prima applicazione, per i primi 5 anni dall’entrata in vi-gore della legge, l’articolo 35 prevedeva il riconoscimento dell’attività psicoterapeutica. Infatti, esso recita:

1. “In deroga a quanto previsto dall’articolo 3, l’esercizio dell’attività psicoterapeutica è consentito a coloro i quali o

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iscritti all’ordine degli psicologi o medici iscritti all’ordine dei medici e degli odontoiatri, laureati da almeno cinque anni, dichiarino, sotto la propria responsabilità, di aver ac-quisita una specifica formazione professionale in psicote-rapia, documentandone il curriculum formativo con l’indicazione delle sedi, dei tempi e della durata, nonché il curriculum scientifico e professionale, documentando la preminenza e la continuità dell’esercizio della professione psicoterapeutica.

2. È compito degli ordini stabilire la validità di detta certifica-zione.

3. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 sono applicabili fino al compimento del quinto anno successivo alla data di en-trata in vigore della presente legge.”

Dall’articolo 35 della legge n. 56, si evince che il possesso di una specifica formazione professionale in psicoterapia debba essere frutto di un curriculum formativo, scientifico e professionale. All’epoca dell’approvazione della legge, le maggiori e più accredi-tate scuole di psicoterapia [scuole che successivamente, ai sensi dell’articolo 3, hanno avuto l’autorizzazione ad istituire dei corsi di specializzazione in psicoterapia (D. M. 11 dicembre 1998, n. 509) (2)] rilasciavano il diploma di formazione in psicoterapia, dopo un minimo di quattro anni di corso. In queste scuole trovavano posto tradizioni culturali e scientifiche rapportabili ai paradigmi episte-mologici della psicoterapia cognitivo – comportamentale, della psicoterapia ipnologica moderna, della psicoterapia strategica, del-la programmazione neurolinguistica e l’elenco potrebbe continua-re, che poca eco suscitavano nelle scuole di specializzazione uni-versitarie di area psicologica – psichiatrica, ancorate, spesso, ai co-strutti delle psicoanalisi e della psicoterapia ad orientamento psi-coanalitico. In virtù dell’articolo 35 della legge n. 56, in quel periodo, gli Ordi-ni dei Medici - Chirurghi e degli Odontoiatri di ogni provincia e gli Ordini degli Psicologi di ogni regione italiana istituirono delle commissioni per la psicoterapia, che analizzavano la validità delle certificazioni prodotte dai medici o dagli psicologi e, una volta ri-tenute valide, i Consigli Direttivi degli stessi Ordini provvedevano ad iscrivere tali medici nell’elenco dei medici - psicoterapeuti e tali

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psicologi nell’elenco degli psicologi - psicoterapeuti e ad autoriz-zarli all’esercizio della psicoterapia. Il percorso legislativo della psicoterapia e della figura professiona-le dello psicoterapeuta è proseguito con altre tre leggi. Nel 1999, è stata approvata la legge n. 4 del 14 gennaio 1999 (3), dal titolo: “Disposizioni riguardanti il settore universitario e della ricerca scientifica, nonché il servizio di mensa nelle scuole”. L’articolo 1, al comma 2 e 3, apporta delle modifiche all’articolo 35 della legge n. 56 del 18 febbraio 1989. I commi 2 e 3 dell’articolo 1 affermano: 2. “All’articolo 35, comma 1, della legge 18 febbraio 1989, n. 56, le parole: “laureati da almeno cinque anni” sono sostituite dalle se-guenti: “laureatisi entro l’ultima sessione di laurea, ordinaria o straordinaria, dell’anno accademico 1992 – 1993. 3. Il termine di cui all’articolo 35, comma 3, della legge 18 feb-braio 1989, è differito fino al centottantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della presente legge.” In altre parole, a seguito della legge n. 4 del 14 gennaio 1999, l’articolo 35 della legge n. 56 del 18 febbraio 1989 subisce le modi-fiche sopra riportate, che portano il termine di scadenza delle do-mande di riconoscimento dell’attività psicoterapeutica fino al cen-tottantesimo giorno dopo la pubblicazione della legge in Gazzetta Ufficiale, ovvero sei mesi dopo il 19 gennaio 1999. Nel 2000, è stata approvata la legge n. 401 del 29 dicembre 2000 (4), denominata: “Norme sull’organizzazione e sul personale del settore sanitario”. Essa al comma 3 dell’articolo 2 afferma: “Il titolo di specializzazione in psicoterapia, riconosciuto, ai sensi dell’articolo 3 e 35 della legge 18 febbraio 1989, n. 56, come equi-pollente al diploma rilasciato dalle corrispondenti scuole di specia-lizzazione universitaria, deve intendersi valido anche ai fini dell’inquadramento nei posti organici di psicologo per la discipli-na di psicologia e di medico o psicologo per la disciplina di psico-terapia, fermi restando gli altri requisiti previsti per i due profili professionali.” Il comma 3 dell’articolo 2 della legge n. 401 del 29 dicembre 2000 ha dato origine ad una serie di contenziosi. Questi contenziosi ver-tevano sul fatto se il titolo di specializzazione (articolo 3 e 35) do-vesse essere preso in considerazione solo come inquadramento

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legislativo all’interno del Servizio sanitario nazionale o anche come titolo di accesso per i concorsi nelle strutture pubbliche, per le di-scipline menzionate. Il Ministero dell’Istruzione, Università e Ri-cerca, più volte sollecitato sull’argomento, ha ribadito la completa equipollenza di tale titolo con i titoli conseguiti presso le scuole universitarie di specializzazione (5). Il legislatore ha pensato di di-rimere i vari contenziosi, emanando la legge 28 febbraio 2008, n. 31 (6), denominata: “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto – legge 31 dicembre 2007, n. 248, recante proroga di ter-mini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria”. La legge 28 febbraio 2008, n. 31, all’articolo 24 – sexies, intito-lato: “Equiparazione dei titoli ai fini dell’accesso ai concorsi presso il Servizio sanitario nazionale e vigilanza sull’Ordine nazionale de-gli psicologi”, afferma al comma 1:

1. “I Titoli di specializzazione rilasciati ai sensi dell’articolo 3 della legge 18 febbraio 1989, n. 56, e il riconoscimento di cui al comma 1 dell’articolo 35 della medesima legge, e successive modificazioni, sono validi quale requisito per l’ammissione ai concorsi per i posti organici presso il Ser-vizio sanitario nazionale, di cui all’articolo 2 comma 3, del-la legge 29 dicembre 2000, n. 401, e successive modifica-zioni, fermi restando gli altri requisiti previsti.”

In altre parole, sia il comma 3 dell’articolo 2 della legge n. 401 del 29 dicembre 2000 che l’articolo 24 sexies della legge n. 31 del 28 febbraio 2008 stabiliscono un’equipollenza – equiparazione di tito-li ai fini dell’esercizio della psicoterapia. I due termini usati dal le-gislatore, equipollenza ed equiparazione, risultano sovrapponibili. Infatti sul Grande Dizionario Garzanti della lingua italiana (7), si possono leggere le due definizioni, in base alle quali “equipollenza significa di ugual valore, equivalenza, corrispondenza” ed “equipa-razione significa rendere pari, mettere sullo stesso piano”. In aggiunta a quanto detto, il Decreto Ministeriale del 24 luglio 2006 (8), denominato: “Riassetto delle scuole di specializzazione di area psicologica”, richiamandosi alla normativa, dettata dall’articolo 3 della legge 18 febbraio 1989 (ricordata nelle pre-messe del decreto), stabilisce che determinate specializzazioni abi-litano all’esercizio della psicoterapia. Infatti all’articolo 6 si dice:

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“Le specializzazioni di cui all’allegato del presente decreto, nonché quelle in Psicologia clinica, Psichiatria e Neuropsichiatria infantile, di cui all’allegato del sopra citato DM 1. 8. 2005, sono abilitanti all’esercizio della psicoterapia, purché almeno 60 CFU siano dedi-cati ad attività professionalizzanti psicoterapeutiche espletate sotto la supervisione di qualificati psicoterapeuti.” Le specializzazioni dell’allegato del decreto (Allegato – Ordina-menti didattici – Scuole di Specializzazione di Area Psicologica) sono rappresentate da: 1) Neuropsicologia; 2) Psicologia del ciclo di vita; 3) Psicologia della salute; 4) Valutazione psicologica e con-sulenza (counselling). A tal proposito, si ricorda che 60 Crediti Formativi Universitari corrispondono a 1500 ore di formazione. Per cui alla luce della normativa vigente, la professione di psicote-rapeuta e, quindi l’esercizio della psicoterapia, è permessa a chi, medico o psicologo, abbia una specializzazione – formazione pro-fessionale specifica in Psicoterapia (articoli 3 e 35 della legge n. 56 del 18 febbraio 1989; articolo 1, comma 2 e 3, della legge n. 4 del 14 gennaio 1999; articolo 2, comma 3, della legge n. 401 del 29 dicembre 2000; articolo 24 – sexies della legge n. 31 del 28 feb-braio 2008) o abbia una specializzazione, con almeno 60 CFU di attività professionalizzanti psicoterapeutiche, in Psicologia clinica, Psichiatria, Neuropsichiatria infantile, Neuropsicologia, Psicologia del ciclo di vita, Psicologia della salute e Valutazione psicologica e consulenza (counselling) (articolo 6 del Decreto Ministeriale del 24 luglio 2006). A ragione di questa giurisprudenza, nei regolamenti relativi alla pubblicità, elaborati dagli Ordini Regionali degli Psicologi e dagli Ordini Provinciali dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, nei cui albi sono iscritti, rispettivamente, gli psicologi – psicoterapeuti e i medici – psicoterapeuti, e realizzati alla luce delle leggi italiane e dei codici di deontologia professionale, si ritrova la ricezione delle normative, riguardanti la psicoterapia, illustrate in questo lavoro. A titolo semplicemente di esempi, si riportano una parte del rego-lamento in materia di pubblicità delle attività oggetto della profes-sione di psicologo, elaborato dall’Ordine degli Psicologi della To-scana (9) e una parte dei regolamenti di pubblicità sanitaria, elabo-rati dagli Ordini Provinciale dei Medici Chirurghi e degli Odontoia-tri di Venezia (10) e Massa Carrara (11).

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Nel regolamento dell’Ordine degli Psicologi della Toscana, all’articolo VI si dice: “1. Titoli di studio: b) titoli di specializzazione o (senza abbreviazioni che possano in-durre in equivoco) come “Specialista in…” (titolo della scuola di specializzazione universitaria), “Specialista in Psicoterapia” nel ca-so di diploma ottenuto presso un corso di specializzazione in psi-coterapia attivato presso un istituto privato riconosciuto dal MIUR, oppure ai possessori di riconoscimento dell’attività psicoterapeuti-ca ottenuto dall’Ordine di appartenenza in base all’art. 35 della legge 56/1989 o all’art. 1 della legge 4/1999. La dicitura “Psicotera-peuta” è considerata un sinonimo di “Specialista in Psicoterapia” ed è quindi consentita negli stessi casi descritti sopra.” Nei regolamenti di pubblicità sanitaria degli Ordini Provinciali dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di Venezia e Massa Carrara si legge: “Titoli di specializzazione. Le persone fisiche possono indicare il titolo di “Medico Psicotera-peuta”, se inserite nell’elenco speciale annesso all’Albo dei Medici e Chirurghi, previsto dalla legge 56/89.”

Bibliografia 1. Gazzetta Ufficiale n. 46 del 24 febbraio 1989, Supplemento Ordinario. 2. Gazzetta Ufficiale n. 37 del 15 febbraio 1999. 3. Gazzetta Ufficiale n. 14 del 19 gennaio 1999. 4. Gazzetta Ufficiale n. 5 del 8 gennaio 2001. 5. Notiziario “Psicologi”, n. 3 – 4 2004, pag. 42 (Sito Internet dell’Ordine degli Psicologi della Liguria). 6. Gazzetta Ufficiale n. 51 del 29 febbraio 2008, Supplemento Ordinario n. 47. 7. A. A. V. V. – Grande Dizionario Garzanti della lingua italiana – Garzanti – Milano – 1993. 8. Gazzetta Ufficiale n. 246 del 21 ottobre 2006. 9. Regolamento in materia di pubblicità delle attività oggetto della profes-sione di psicologo (prestazioni dirette e on line). Regolamento approvato dal Consiglio dell’Ordine degli Psicologi della Toscana nella riunione del 21 dicembre 2006 con delibera G/552 e poi modificato in data 17 marzo 2007 con delibera G/577 e in data 1 dicembre 2007 con delibera G/618.

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10. Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Ve-nezia – Linee d’indirizzo a servizio degli iscritti, a seguito dell’entrata in vigore della LG. 248/06 (legge Bersani). Approvate dal Consiglio Direttivo, con deliberazione n. 20/07 del 29 maggio 2007. 11. Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Massa Carrara – Pubblicità Sanitaria – Linee d’indirizzo – Approvate dal Consiglio Direttivo, con deliberazione n. 33 del 29/03/2007 L’Autore Vincenzo Amendolagine Medico – Psicoterapeuta Via R. Leoncavallo, 35/B, 70123 Bari. Tel. 080 5346005/3683666622

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RIVISTA MEDICA ITALIANA DI PSICOTERAPIA ED IPNOSI Volume I – giugno 2009

Cenni riassuntivi e recensioni di Patrizio Bellini Nei LAVORI ORIGINALI: - Un caso di Disturbo Narcisistico della Personalità, di Federica Panzanini. L’Autrice espone la sua conoscenza accurata sulle caratteristiche e sulla Psicoterapia del Disturbo Narcisistico della Personalità. Illu-stra le personalità narcisistiche ed i loro stili relazionali, poi spiega la paura del legame e l’amore come fusione che vivono nel divario tra l’immagine ideale e la realtà, esponendoli a continue delusioni e ferite con conseguenti rassegnazioni, cinismi ed amarezze. Scri-vendo della Personalità Narcisistica, ricorda la classificazione di J. Willi in due tipi fondamentali: il narcisista schizoide-empatico ed il narcisista esibizionista-fallico e ne descrive i caratteri comporta-mentali più comuni. Leggere questa pagina sui caratteri, è certa-mente utile al terapeuta che vuole cogliere quanto comunemente aspetti narcisistici di personalità si miscelino ad aspetti del vivere comune senza doversi per forza trovare nel caso di un disturbo narcisistico puro. Interessanti sono poi i capitoli sulla genesi della Personalità Narcisistica secondo autori come Kohut e Miller poiché ci familiarizzano con le dinamiche che tale disturbo di Personalità pone solitamente in essere. Il Caso Clinico analizzato con cura dall’Autrice è preceduto da spunti per la psicoterapia che senz’altro permetteranno al lettore di comprendere la vivacità che l’incontro con tali pazienti impone. - L’Obesità, di Daniela Lazzarotti. Ecco un lavoro da “divorare con gli occhi e con la mente” dove l’Autrice ci offre informazioni storiche, definizione, epidemiologia, fattori di rischio, psicopatologia, terapia e considerazioni conclusi-ve che ci motivano a strutturare una presa di coscienza tale sull’argomento da consentirci una migliore gestione terapeutica. NOTA PERSONALE: anch’io che, costituzionalmente non sono tra i magri, ho trovato piacere nel recensire questo lavoro. Potere e sa-pere leggere in chiave personale lavori come questo, ci permette senz’altro di aggiornare l’immanente ansia di conoscenza e non di

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lasciare la rassegnazione del “tutto comunque vano”… quasi… “a bocca asciutta!”. - Aspetti Psicologici del Trattamento Ortognatodontico, di Ro-berto Olivi e Francesca Olivi. Lavoro interessante sull’inquadramento psicologico che, pensando all’ORTODONZIA, dovremmo sempre avere a portata di mente. È luogo comune paragonare l’Ortodonzia ad aspetti di perfezione dentale e stomatologia che spesso, come sottolineano gli autori, però portano i pazienti a ritrovarsi diversi ed, ahimè a volte, anche con sorrisi ortodontici che ne abbattono la soggettiva naturalezza. Gli autori motivano il lettore a considerare come risultato fonda-mentale la ricerca dell’armonia denti/sorriso in cui, spesso, anche la “sfumatura” di qualche allineamento positivamente percepito evidenzia e garantisce la chiave per una piacevole caratterizzazione personale. - Psicologia della Personalità, di Vincenzo Amendolagine. Interessante lavoro che permette di aggiornare meglio le cono-scenze che abbiamo sulla struttura della Personalità. Un lavoro molto snello che a 360 gradi aiuta lo psicoterapeuta a comprende-re ed interpretare la propria interazione con il paziente. NOTA PERSONALE: ho sempre apprezzato la sintesi espositiva dell’Autore. Soffermarci tra le righe dei suoi lavori ci consente di stilizzare me-glio anche le nostre conoscenze essenziali. - Analisi Multidisciplinare di un caso di Malattia Psicosomati-ca, di Arianna Tangerini. Bel lavoro in cui l’Autrice riporta, con la descrizione di un caso clinico, il proprio modo di condurre una psicoterapia e di com’è giunta a volersi specializzare Psicoterapeuta. L’anamnesi è molto approfondita, la descrizione dei componenti familiari rivela molti aspetti di senso alla problematica psicopato-logica della paziente. Leggere poi le spiegazioni sul mondo dei Chakra, dello psicosoma, della bioenergetica, della caratterologia e dell’ipnosi ci porta alle conclusioni dell’Autrice nelle parole di Al-do Carotenuto con la sua: “Lettera aperta ad un apprendista stre-

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gone” pubblicata da Bompiani nel 1988 che stupendamente com-pletano questo interessante lavoro. NOTA PERSONALE: ho scritto interessante, poiché nel mio quasi ventennale recensire e riassumere la Rivista, raramente ho trovato linguaggio così chiaro, sintetico ed affascinante sulla multidiscipli-narietà in Psicoterapia e l’Autrice ce ne ha offerto un apprezzabile e piacevole esempio. - L’ipnosi, che magia, di Cristina Sirilli. Altro lavoro, direi capolavoro che merita riletture rilassanti ed e-spone l’interpretazione dell’Ipnosi alla luce della moderna e più recente Neurofisiologia. Si parte ovviamente dall’accenno Mitolo-gico del SONNO tra gli dei, sull’uso che già ne facevano per curare e si approda ad una rivisitazione dell’Ipnosi alla luce appunto dei contributi lasciatici da M. H. Erickson e dal Prof. Giacomo Rizzolat-ti dirigente del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Parma. Con i suoi “Neuroni a specchio” nuova luce “riflessa”, che illumina l’interpretazione dell’Ipnosi nella sua estrinsecazione fe-nomenologia e psicologica. Le parole dell’Autrice: “Ogni storia, ogni racconto ha per noi un significato diverso, a seconda del bi-sogno e della problematica del momento… In fondo l’ipnosi è un recuperare un passato, il nostro passato e nel momento in cui lo recuperi lo elabori. La fantasia è un meraviglioso strumento tera-peutico che può molto”. NOTA PERSONALE: al finale dell’Autrice mi permetto di aggiunge-re: “Nuovi schemi di racconto, nuovi percorsi d’emozione, neuroni a specchio forse più numerosi e migliore luce nell’ombra del no-stro voler capire, comprendere ed infine elaborare”. Siamo così giunti alla corposa sezione del X CONVEGNO sulle modalità d’intervento psicologico in Anestesia e Rianimazione. Ri-vista nella Rivista. Dopo l’interessante lavoro di Luca Cimino (… E se 11 ore vi paion troppe!) in altre parole: considerazioni Medico Legali in merito all’errore da sovraccarico di lavoro. (Riflessioni che con pe-rizia giungendo alla conclusione che si debba essere attenti più al-la valutazione della conoscenza delle cause, piuttosto che perse-guire un’accanita ricerca pregiudiziale delle colpe), troviamo la

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comunicazione di Edoardo De Ruvo e Raffaella Grassi avente per titolo: “Stress e Comunicazione degli operatori sanitari nelle prestazioni di Urgenza”. Discutono ed illustrano come il Burn Out, i fattori di stress, la sofferenza ed il lutto negli operatori sani-tari agiscono conferendo stress ed esaurimento all’interno del si-stema sanitario stesso. Completano il lavoro proponendo modelli di cura, formazione, strumenti didattici attivi e concludono moti-vando l’utilizzo del gruppo esperenziale e la formazione al lavoro di equipe spiegando, infatti, come: “…la formazione del personale sanitario non si acquisisce una volta per sempre, ma è un obiettivo che dura tutta la vita. La proposta di una formazione “permanen-te”… diventi l’aspetto fondante di qualsiasi cura”. Il CONVEGNO prosegue con la presentazione di Antonio De Caria: “Counselling e Ipnosi nel trattamento dell’Acufene Invalidan-te”. Aggiornamento interessante che confronta il trattamento mul-timodale con la classica terapia cognitivo comportamentale dell’acufene. L’Autore conclude come il ricorso al counselling ed all’Ipnosi permettano di modificare il vissuto sgradevole di distur-bi. Da qui, la maggior efficacia di tale trattamento combinato, ri-spetto alla sola terapia cognitivo comportamentale. Andrea Di Massa, Niccolò Maggiorelli, Riccardo Marchini discutono Sulla origine dell’ansia odontoiatrica. Parlano delle recenti ac-quisizioni neurofisiologiche di Joseph Le Doux, della percezione inconscia e della rielaborazione cosciente, del ruolo dell’amigdala e della corteccia sui livelli di ansia che percepiamo, del test di Co-rah per l’ansia nel paziente odontoiatrico, del DAS, del VAS e dello STAI… il tutto per giungere alla conclusione che il dentista, oltre la competenza specifica odontoiatrica, debba sentirsi obbligato e motivato all’apprendimento di tecniche utili a riconoscere e tratta-re l’ansia odontoiatrica dei suoi pazienti. Roberto Olivi e Francesca Olivi presentano un Rapporto e Tecni-che di Anestesia in Odontoiatria Infantile che, a mio avviso, ol-tre che ipnotizzare il lettore alla bellissima premessa ed ai sugge-rimenti utili per la prima visita, gli permette di prendere in consi-derazione l’utile ricorso a combinazioni tecniche come la sedazio-ne cosciente con protossido d’azoto (perfezionata a New York dal

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dott. H. Langa, appunto per i dentisti). Gli autori terminano affer-mando: “Pertanto la conoscenza di buone tecniche di approccio più l’utilizzo delle attrezzature tecniche più moderne permettono di effettuare un’odontoiatria infantile di buona qualità, senza pro-blemi di collaborazione, con la massima soddisfazione dell’operatore, del bambino e dei suoi genitori, facendo scoprire una branca dell’Odontoiatria spesso ingiustamente trascurata”. Maurizio Zomparelli ha presentato Tecniche di preconditioning operatorio, giustificando la presenza dello Psicoterapeuta in sala operatoria a totale vantaggio dei pazienti e degli operatori sanitari. Rileva l’importanza del raggiungimento di un consenso condiviso dal paziente puntando appunto sull’umanità e sensibilità degli o-peratori coinvolti. Malvina Mazzotta ha parlato dell’Ipnosi tra Biologia e rappre-sentazione emotiva della malattia. Descrivendoci il caso di Cristina, ha spiegato come l’esperienza di Cristina in Ipnosi è stata come se avesse portato un raggio di luce che l’ha ri-orientata nel buio della sua mente. Cristina è riuscita ad includere nella sua vita la malattia: c’è ma non ne fa un dramma come succedeva un tempo. Edoardo De Ruvo ha esposto un lavoro sulla Sedazione in Endo-scopia Digestiva Carlo Pastorino ha esposto Un caso insolito di guarigione “On line” Filippo Sentimenti, Nicola Ferrari chiudono il Convegno presen-tando Corrispondenze: Un Servizio per l’elaborazione del Lut-to. Come sempre la relazione di questi lavori testimonia la lungi-miranza degli autori che nella SMIPI trovano ospitalità e valorizza-zione professionale. Concludo queste mie recensioni ricordando con piacere la Recen-sione di Riccardo Arone di Bertolino al libro di Nino Giangregorio VIVERE PER MORIRE le metafore della vita (IBN Editore Roma, eu-ro 14). Una recensione estesa, ricca, riservata a Giangregorio, Me-dico e Psicologo, Filosofo e Bioetico, già docente di PsicologiaMe-dica e Medicina Psicosomatica presso l’Università La “Sapienza” di

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Roma, con un amore quasi filantropico per la Cultura: la sua for-mazione umanistica si è perfezionata ed arricchita frequentando, per alcuni anni i “corsi Balint” di Ascona in Svizzera sulla prepara-zione psicosomatica dei Medici. COLLABORA a questa nostra Rivi-sta sin dalla sua fondazione e ne è componente del Comitato di Redazione. Dr. Patrizio Bellini, Docente S.M.I.P.I. Medico Psicoterapeuta Via Dante, 9 – 21057 OLGIATE OLONA VA Tel. 0331.649796 – E-mail:[email protected]

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Rassegna della letteratura internazionale sull’ipnosi di Oriano Mercante

Ipnosi e Medicina Legale 2009

Questa revisione nasce da un caso in cui mi è stata richiesta una relazione in un consesso di avvocati. Il caso riguardava una sen-tenza di un giudice della corte d’appello di Trento - sezione distac-cata di Bolzano (n. 63/08) relativa ad uno stupro ripetuto su mino-re da parte di un sacerdote. Il sacerdote è stato condannato sulla base della testimonianza della vittima elicitata dopo 4 anni di trat-tamento di psicoanalisi con l’uso della “distensione immaginativa” (così definita dalla terapeuta) ed il giudice afferma numerose volte nella motivazione della sentenza che non è stata usata alcuna tec-nica ipnotica! Ma spero di scrivere al più presto, magari nel pros-simo numero alcune considerazioni più approfondite sul caso. Per il momento ho raccolto un po’ di materiale sull’argomento che vi sottopongo. Nervenarzt. 1999 Nov;70(11):1009-13. - Diagnostic, forensic and therapeutic-ethical aspects of false memory of sexual abuse induced by psychotherapy. Simmich T. Questo articolo esamina il rischio di memorie false indotte dallo psicoterapia, soprattutto per quanto riguarda l’abuso sessuale. Le costruzioni psicologiche correnti basate sulla psicologia del pro-fondo sono esaminate criticamente. Il gran numero di disordini psicologici relativi ad abuso sessuale nel tempo recente e un ma-linteso soggettivistico sull’empatia conducono frequentemente a volte all’accettazione non critica dei rapporti anamnestici circa l’abuso sessuale. Può essere indicato che le costruzioni orientate psicologiche e psichiatriche descrittive di profondità e di vista ten-dono a farsi concorrenza a vicenda con la conseguenza di risultati differenti in terapia. L’autore indica come distinguere fra i sintomi maniacali indotti ed i fenomeni dissociativi. Ancora richiama l’attenzione sui risultati a lungo termine moralmente dubbiosi di un uso non correttamente indicato delle costruzioni psicologiche basate sulla psicologia del profondo circa il trauma nella psicote-

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rapia di pazienti fortemente suggestionabili. Am J Psychiatry. 1993 Jun;150(6):954-8. Comment in: Am J Psychiatry. 1994 Jun;151(6):948. Am J Psychi-atry. 1994 Jun;151(6):948. - Adult reconstruction of childhood events in the multiple personality literature. Frankel F.H. L’autore esamina l’affidabilità dei rapporti adulti di abuso e del trauma infantile, che stanno emergendo nella terapia con allar-mante frequenza. Esamina la letteratura sul disordine di personali-tà multipla per esplorare quanto è studiata la conferma dei rappor-ti di adulti degli eventi dell’infanzia. Inoltre ricapitola gli studi rela-tivi sulla memoria sia con che senza l’aiuto dell’ipnosi. Trova che vi è conferma minima nella letteratura sui rapporti di abuso nell’infanzia. Le memorie prodotte con l’aiuto dell’ipnosi sono i-naffidabili a causa del grande numero di inesattezze introdotte dai soggetti ipnotizzati. Le memorie prodotte senza ipnosi sono state indicate essere inclini a distorsione intenzionale così come a di-storsioni involontarie. L’autore conclude che l’entusiasmo recente per la scoperta adulta di abuso nell’infanzia è stato accompagnato da poca attenzione ai fattori che potenzialmente distorcono i ri-cordi, compreso l’effetto della psicoterapia. L’uso dell’ipnosi può essere un fattore aggravante nei ricordi distorti. L’accettazione acri-tica del ricordo del paziente ha serie conseguenze etiche e legali. Law Hum Behav. 2008 Aug;32(4):314-24. Epub 2007 Sep 25. - How can we help witnesses to remember more? It’s an (eyes) open and shut case. Perfect T.J, Wagstaff G.F., Moore D., Andrews B., Cleveland V., Newcombe S., Brisbane K.A., Brown L. Cinque esperimenti hanno verificato il fatto che suggerire ad un testimone a chiudere gli occhi durante il tentativo di ricordare po-trebbe aumentare il successo del recupero. In generale la chiusura degli occhi ha aumentato il recupero sia di particolari visivi che dei particolari uditivi, senza aumento di particolari falsi. Nell’insieme questi dati dimostrano in modo convincente i benefici della chiu-sura degli occhi come sussidio al recupero ed a comprendere il

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perché l’ipnosi, che solitamente richiede la chiusura degli occhi, può facilitare il ricordo nel testimone oculare. Memory. 2008 Jan;16(1):58-75. - Trauma and memory: effects of post-event misinformation, retrieval order, and retention interval. Paz-Alonso P.M., Goodman G.S. Questo studio si è interessato agli effetti di informazione sbagliate, ordine di recupero e dell’intervallo del richiamo sulla memoria del testimone oculare per un evento traumatico (un omicidio). Imme-diatamente o 2 settimane dopo la visione della pellicola in oggetto, 232 adulti hanno letto una descrizione (fuorviante o controllo) cir-ca l’omicidio e poi sono stati sottoposti a test sui particolari impor-tanti e secondari. Effetti significativi di disinformazione sono stati ottenuti. Inoltre, i partecipanti del controllo erano più esatti nella risposta sui particolari importanti che per le informazioni seconda-rie; tuttavia non era così per i partecipanti malinformati. L’ordine del recupero ha provocato una proporzione elevata delle risposte corrette per le informazioni importanti. Il ritardo del recupero ha aumentato la suggestionabilità dei partecipanti e diminuito l’esattezza del ricordo. I risultati indicano che anche per un evento altamente negativo, la memoria dell’adulto non è immune dalle inesattezze e dalle influenze suggestive. Am J Psychol. 2005 Summer;118(2):213-34. - The cognitive interview: does it successfully avoid the dan-gers of forensic hypnosis? Whitehouse W.G., Orne E.C., Dinges D.F., Bates B.L., Nadon R., Orne M.T. Settantadue studenti non laureati hanno osservato una videotape di una rapina in banca che è culminata nell’uccisione di un ragaz-zo. Parecchi giorni dopo, i partecipanti sono stati intervistati sul ricordo degli eventi nella pellicola sia oralmente sia con scritti se-guiti dall’assegnazione casuale all’ipnosi (HYP), all’intervista cogni-tiva (CI), o ad un motivato richiamo ripetuto (MRR) di controllo. I partecipanti inoltre hanno completato una prova di richiamo di interrogatorio forzato. In termini di informazioni fornite la prima volta durante le interviste, HYP porta a maggior rendimento ri-

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guardo a CI o MRR, che non hanno differito significativamente l’uno dall’altro. Prova che queste differenze nel richiamo sono de-rivate soprattutto dalle differenze dei test di verifica di rapporto piuttosto che dalle differenze nella memoria, sono state ottenute dalla prova di richiamo forzato. In questa prova, nessuna differen-za è stata osservata fra i tre stati di intervista. Inoltre, i dati hanno rivelato che l’abilità ipnotica dei partecipanti è stata associata con il richiamo di materiale errato e confabulatorio per quelli provati negli stati di CI e di HYP ma non in MRR. Ciò suggerisce che CI possa usare processi ipnotici in persone ipnotizzabili. J Am Acad Psychiatry Law. 1999;27(3):462-70. - Memory as power: who is to decide? Beahrs J.O. Dopo una disamina di come la memoria abbia una funzioni impor-tanti nella mediazione dei rapporti tra persone e l’utilizzo dell’ipnosi nei casi di abuso su minori, si afferma, dopo la presun-zione di innocenza, un altro principio di democrazia fondamenta-le: che l’ultimo giudizio della credibilità del testimone deve essere decisa non da un esperto, ma dalla cittadinanza in sé rappresentata nella giuria. Memory. 2006 May;14(4):486-501. - Social suggestibility to central and peripheral misinforma-tion. Dalton A.L., Daneman M. Questo studio ha usato un paradigma di laboratorio basato per studiare le influenze sociali sulla predisposizione dei partecipanti ai suggerimenti ingannevoli. I partecipanti hanno osservato un vi-deo-clip di una sequenza di azione e dopo sono stati tenuti per di-scutere l’evento con il co-testimone o con il gruppo di co-testimoni. I risultati hanno indicato che i partecipanti erano più suscettibili ai suggerimenti ingannevoli durante le discussioni tra due persone che durante le discussioni del gruppo. In più, i parte-cipanti erano suscettibili ai suggerimenti ingannevoli sulle caratte-ristiche centrali dell’evento testimoniato, anche se in grado infe-riore rispetto ai suggerimenti ingannevoli circa le caratteristiche secondarie.

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Int J Clin Exp Hypn. 1990 Oct;38(4):283-97. - Sexual abuse and the abuse of hypnosis in the therapeutic relationship. Hoencamp E. Nei Paesi Bassi gli individui accusati di violenza possono essere proseguiti soltanto nei casi in cui il sospetto sapeva che la vittima era incosciente o in una condizione di impotenza. L’ipnosi po-trebbe essere considerata come metodo con cui una persona senza scrupoli potrebbe indurre una tal condizione dell’impotenza in una vittima. Come esperto, l’autore ha partecipato ad una causa contro un ipnotista che è stato accusato di abuso su 9 donne. I me-todi e la strategia usati dall’ipnotista sono presentati così come so-no le varie reazioni delle donne. Le sensibilità sembra essere un fattore importante nella coercizione, particolarmente in donne che hanno dimostrato i fenomeni ipnotici quali levitazione del braccio, catalessia, eccetera. La base per coercizione sessuale è stata stabili-ta solo dopo che il rapporto tra persone era stato ridefinito come rapporto terapeutico. Può essere supposto che i pazienti altamente ipnotizzabili siano specificamente a rischio per questo genere di abuso quando l’ipnosi è utilizzata nel contesto di un rapporto te-rapeutico. Int J Clin Exp Hypn. 1990 Oct;38(4):266-82. - Hypnosis with a criminal defendant and a crime witness: two recent related cases. Perry C., Laurence J.R. Due casi legali che coinvolgono l’ipnosi recentemente sono stati giudicati dalle corti americane. In Rock v. Arkansas (1987) la Corte suprema degli Stati Uniti ha stabilito che la testimonianza ipnotica era ammissibile in tribunale per la difesa. Questa decisione è stata collegata ai Diritti Costituzionali di un difensore sia per testimo-niare che per scegliere i testimoni a proprio favore. Poco tempo dopo, citando Rock come precedente, una Corte d’Appello del Te-xas ha ammesso la testimonianza ipnotica di un testimone oculare in Zani v. lo Stato (1988), considerando che sarebbe ingiusto am-mettere la testimonianza ipnotica dei difensori e proibirla per le vittime ed i testimoni. Non è chiaro che effetto questa dottrina

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dell’equità avrà su altre cause della giustizia nordamericana che coinvolgono l’ipnosi. JAMA. 1985 Apr 5;253(13):1918-23. - Scientific status of refreshing recollection by the use of hyp-nosis. Council on Scientific Affairs. Il Consiglio trova che i ricordi ottenuti durante l’ipnosi possono coinvolgere confabulazioni e pseudomemorie e non solo non riu-scire ad essere più esatti, ma realmente sembrano essere meno af-fidabili che il ricordo non ipnotico. L’uso dell’ipnosi con i testimo-ni e le vittime può avere conseguenze gravi per il processo legale quando la testimonianza è basata su materiale che è tratto da un testimone che è stato ipnotizzato allo scopo del ricordare. Aviat Space Environ Med. 1984 Dec;55(12):1136-42. - Hypnosis in the investigation of aviation accidents. Hiland D.N., Dzieszkowski P.A. L’efficacia delle tecniche ipnotiche di inchiesta con dieci testimoni per sei recenti incidenti aerei è stata valutata in questo studio. Otto testimoni direttamente erano stati coinvolti in un incidente, cinque come co-piloti. Le interviste sono state condotte dopo la conclu-sione dell’inchiesta ufficiale. Informazioni importanti riguardo agli incidenti sono state ottenute nella maggior parte delle interviste. Informazioni secondarie sono pure state ottenute in un certo nu-mero di casi. Nessuno dei testimoni ha avuto problemi di carriera o psicologici come conseguenza delle interviste e l’ipnosi è sem-brata in alcuni casi altamente terapeutica. I risultati indicano che le tecniche delle interviste ipnotiche con i testimoni possono essere di gran valore nelle indagini su determinati incidenti di velivoli.

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SCUOLA MEDICA ITALIANA DI PSICOTERAPIA ED IPNOSI

LA PSICOTERAPIA

La Psicoterapia è un intervento condotto con mezzi verbali e rela-zionali, finalizzato a ottenere modificazioni positive e stabili nella salute, nella personalità e nella vita di relazione di persone soffe-renti per alterazioni, problemi e disturbi psichici, psicosomatici, somatopsichici, somatici e comportamentali. Non esiste una psicoterapia, ma la Psicoterapia. Alla perenne ricer-ca, come qualsiasi altra scienza, umanistica o tecnica, di estendere le proprie frontiere e di migliorare le proprie possibilità. La com-plessità dell’essere umano e l’unicità assoluta di ogni individuo rendono impossibile elaborare teorie e codificare metodiche di in-tervento sempre ed universalmente valide. Poiché si tratta di terapia ogni metodologia deve essere valutata non per i suoi contenuti filosofici né per il suo corpus teorico, più o meno colti ed affascinanti, ma per i concreti risultati clinici che è in grado di ottenere, allo stesso modo con cui si valuta l’efficacia e la pericolosità di un farmaco. Sono state contate più di trecento metodiche psicoterapeutiche. Ma poiché molte risultano simili per teorie e prassi, si può valutare vi siano, ridotti all’essenziale, più di venti modi diversi, a volte to-talmente antitetici, di considerare e trattare la mente e la sua pato-logia. In quasi tutte le metodiche esistenti vi sono elementi positi-vi, se usati bene, nei casi e nei contesti giusti, che possono però divenire dannosi se applicati fuori luogo. Non esiste, né potrà mai esistere, una definita, rigida, immutabile e indiscutibile metodolo-gia di intervento. Vi sono innumerevoli tecniche e possibilità di operare che, caso per caso, situazione per situazione, hanno diver-se potenzialità operative.

L’IPNOSI L’applicazione terapeutica corretta di uno stato mentale naturale eteroindotto, cioè lo stato di ipnosi, si è sempre rivelata clinica-mente utile in medicina, in chirurgia e in psicologia, per le varia-zioni intrapsichiche, fisiologiche e biologiche che si instaurano nei

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rapporti fra mente e corpo, parte conscia e parti inconsce, livello mentale razionale e livello emotivo. Variazioni di rapporti e di ca-pacità di elaborazione che il terapeuta può usare e modellare per necessità operative e terapeutiche, nell’ambito della disponibilità, dei desideri e dei bisogni del paziente. È fondamentalmente un atto medico, integra la psicoterapia, ma la trascende: è metodica efficace nella terapia del dolore, nel parto, in anestesiologia, in oncologia, in ortopedia, in odontoiatria e in molte altre applicazioni cliniche, perché la vastità delle applicazio-ni dell’ipnosi è data dalla vastità delle potenziali interazioni intrap-sichiche e psicofisiche, la maggior parte delle quali è ancora sco-nosciuta. L’ipnologia non è un rigido e determinato corpus teorico: nello stato di ipnosi possono essere applicate tutte le tecniche psicote-rapeutiche. L’eventuale insuccesso clinico delle prassi usate non è dovuto ai limiti dell’ipnosi, ma quasi sempre all’uso di teorie e di metodologie inadeguate o errate, sia generalmente che per lo spe-cifico caso in trattamento. L’ipnologia contemporanea più avanzata non è quindi una deter-minata tecnica o un insieme di metodiche, ma una formazione ed un allenamento personale dello psicoterapeuta perché possa in-tervenire, a livello conscio, inconscio ed emotivo, efficacemente nell’ambito relazionale ed intrapsichico del paziente. L’induzione di ipnosi è definibile precipuamente come un proces-so di apprendimento a manifestare, ampliare e usare finalistica-mente potenzialità psichiche, psicosomatiche e biologiche ine-spresse. L’Ipnositerapia può essere considerata essenzialmente comunica-zione, rivolta al paziente, di stimoli, idee e concezioni, in modo tale che egli possa essere sì ricettivo, ma liberamente critico e non passivo, alle idee presentate e quindi motivato ad esplorare e met-tere in atto tutte le potenzialità di controllo delle risposte e del comportamento psicologico e fisico del proprio corpo.

LO PSICOTERAPEUTA Lo psicoterapeuta è un operatore sanitario in grado, nello studio del caso, di formulare una diagnosi somatica e psichica operativa-

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mente esatta, una prognosi realistica sui risultati richiesti e otteni-bili ed una prognosi (necessariamente ipotetica ma potenzialmen-te realizzabile) sulla durata del trattamento. Nell’ambito della cura deve essere in grado di instaurare un rap-porto terapeutico positivo, di interagire consciamente, inconscia-mente ed emotivamente con il paziente, in modo efficace e finaliz-zato agli scopi proposti, per stimolare le risorse psichiche e fisiche al fine di elaborare e risolvere le problematiche e ottenere, quando possibile, la guarigione od un significativo miglioramento della qualità della vita. È indispensabile per lo psicoterapeuta una preparazione ipnologi-ca completa, strumento essenziale non solo per curare ma anche per identificare ed elaborare le variazioni spontanee dello stato mentale del paziente in terapia. Come un medico ha possibilità di scelta fra un numero enorme di farmaci e di modalità di intervento, uno psicoterapeuta, pur rima-nendo nell’ambito della propria personalità e delle proprie carat-teristiche interattive, deve avere non solo una altrettanto grande possibilità di scelta fra tecniche e metodologie, ma deve sviluppare anche la creatività e l’intuizione necessarie per elaborare, quando è il caso, modalità di intervento originali.

LA SCUOLA È pragmatica e operativa: in essa si insegna, si usa ed elabora solo quanto, ad un riscontro clinico, è stato dimostrato valido per otte-nere i risultati richiesti. Fornusce tutte le competenze mediche e psicologiche necessarie alla professione di psicoterapeuta. Uno dei concetti innovativi di fondo è che operativamente non è necessario soffermarsi tanto sull’analisi storica delle problemati-che, quanto invece nella pratica è utile elaborare e modificare le strutture presenti della patologia e della psicopatologia, operando anche sullo stimolo e la mobilitazione delle risorse psicofisiche consce, inconsce ed emotive, per ottenere una stabile soluzione delle problematiche disturbanti e la guarigione della patologia psi-chica, comportamentale, psicosomatica e somatopsichica, nel mo-do ottimale e nel tempo più breve possibile. Questi concetti si riflettono anche nelle metodiche di insegnamen-

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to e di formazione, che viene raggiunta in tempi significativamente brevi. I contenuti scientifici, operativi e culturali della Scuola sono un’evoluzione dell’opera di M.H.Erickson e di Franco Granone: si riallacciano quindi alle più avanzate correnti della psicologia e del-la psicoterapia moderna, quali, fra le altre, quelle del Mental Rese-arch Institute di Palo Alto, alcune dinamiche, clinicamente com-provate, della Programmazione Neurolinguistica, la psicoterapia paradossale, la terapia sistemica e familiare, la psicoterapia cogni-tivo-comportamentale. La Scuola organizza due tipi di corsi: - IL CORSO DI SPECIALIZZAZIONE IN PSICOTERAPIA, che rilascia il Di-ploma di Specializzazione in Psicoterapia, a valore legale. L’anno accademico inizia a settembre. - I CORSI TRADIZIONALI PER LA FORMAZIONE CONTINUA ED IL MASTER IN

PSICOTERAPIA ED IPNOSI MEDICA, che rilasciano crediti formativi ECM.

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IL CORSO DI SPECIALIZZAZIONE IN PSICOTERAPIA

Sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana (serie generale n.142 del 19/6/2002) è pubblicato: “Abilitazione dell’Istituto “S.M.I.P.I. - Società Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi” ad istituire ed attivare... corsi di specializzazione in psicoterapia ai sensi del regolamento adottato con decreto dell’11 dicembre 1998, n.509”. Il numero massimo degli allievi per ogni anno di corso è di 20, pari a 80 per l’intero ciclo. Per legge l’iscrizione è riservata a laureati in medicina ed a laureati in psicologia, iscritti o in corso di iscrizione ai rispettivi Ordini. Il Corso fornisce una preparazione completa: tutte le cono-scenze teoriche e la formazione pratica e clinica necessarie per la professione di Psicoterapeuta. Nella parte generale all’Allievo vengono fornite la conoscenza di base (storica, culturale e scientifica) e le competenze necessarie per una corretta diagnosi differenziale fra somatico, somatopsichi-co, psicosomatico, psicopatologico; nella parte specifica si insegna, si usa ed elabora quanto, ad un riscontro oggettivo, è stato dimo-strato utile per ottenere risultati clinici validi, con approfondimenti per intervenire efficacemente in tutti i campi della medicina. Il Corso è quindi strutturato in modo da fornire le competen-ze mediche, psichiatriche, psicologiche e gli strumenti opera-tivi indispensabili, come quelli derivati dall’ipnositerapia eri-cksoniana. Consta di quattro anni per 500 ore all’anno, suddivise in 350 di lezioni, 50 di supervisioni e 100 di tirocinio pratico. Il tirocinio, di cui al comma 2 dell’art. 8 del Decreto Ministero dell’Università e della ricerca Scientifica e Tecnologica del 11 dicembre 1998, n. 509, è svolto in strutture del Servizio Sanitario Nazionale, delle U-niversità o di Strutture private accreditate. Al completamento del Corso quadriennale, la Scuola rilascia il Di-ploma di Specializzazione in Psicoterapia per il titolo di Spe-cialista in Psicoterapia, legalmente valido a tutti gli effetti.

Note

Il costo totale per anno di corso è di 4.000 euro versabile in due rate, all’inizio di ogni semestre. Non è obbligatoria nessuna psico-terapia didattica individuale.

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L’anno accademico va da settembre a giugno. Le lezioni iniziano a settembre e occupano circa dodici week end e due settimane in-tensive all'anno. La sede del Corso è a Bologna. Le sedi con cui siamo convenzionati per il tirocinio sono diverse in Italia, ma ogni allievo potrà farci accendere una convenzione in una sede accreditata per lui più comoda. Per iscriversi alla Scuola è necessario un colloquio di ammissione. Durante la frequenza di un Corso di specializzazione non è neces-sario acquisire crediti ECM, e per questo tipo di Specializzazione si può continuare la propria attività professionale.

PROGRAMMA I ANNO

Parte Generale: Psicologia Generale. Psicologia dello sviluppo. Epistemologia e metodologia nella ricerca in psicologia clinica. Psicopatologia e diagnostica clinica. Neurofisiologia clinica. Psico-neuro-endocrino-immunologia. Psicopatologia dell’età evolutiva. Diagnostica differenziale. Diagnostica psichiatrica. I principali indi-rizzi psicoterapeutici. Teoria della psicoterapia. Storia della psico-terapia. Teorie psicoanalitiche. Teorie cognitivo-comportamentali. Legislazione e Diritto Sanitario. Etica e deontologia professionale. Parte Speciale: Psicoterapia psicoagogica e relazionale. Ipnologia. Pratica della psicoterapia. Psicologia della comunicazione. Psicolo-gia dei gruppi. La comunicazione in medicina generale. Evidence based medicine.

II ANNO Parte Generale: Psicologia generale II. Psicologia dello sviluppo II. Psicopatologia e diagnostica clinica II. Psicopatologia dell’età e-volutiva II. Epistemologia e metodologia nella ricerca in psicologia clinica II. Psicologia del colloquio. Metodologia clinica. Diagnosti-ca psichiatrica II. Diagnostica differenziale II. Neurofisiopatologia clinica. Neurofarmacologia. Psicofarmacologia. Diagnostica cardio-logica differenziale. Parte Speciale: Psicoterapia psicoagogica e relazionale. Tecniche di induzione ipnotica. Anestesiologia ipnotica. Psicoterapia familia-re. Psicodramma. Tecniche di regressione ipnotica. Formazione all’accoglimento del malato. Pratica della psicoterapia II. Musicote-rapia. Evidence based medicine avanzata.

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III ANNO Parte Generale: Psicologia generale III. Psicopatologia e diagno-stica clinica III. Psicofarmacologia applicata. Neuropsicologia. No-sologia psichiatrica. Fisiopatologia del dolore. Teorie e tecniche dei tests. Emergenze psichiatriche. Basi relazionali della medicina. Rapporto medico-paziente. Parte Speciale: Psicoterapia psicoagogica e relazionale. Ipnosite-rapia. Psicoterapia familiare. Psicodramma. Tecniche di regressio-ne ipnotica II. Terapie corporee. Pratica della psicoterapia III. Se-minario di ipnologia applicata. Seminario di psicodiagnostica. Psi-coterapia Geriatrica.

IV ANNO Parte Generale: Psicofarmacologia applicata. Psicologia forense. Teorie e tecniche dei tests. Emergenze mediche. Basi relazionali delle medicine alternative. Parte Speciale: Psicoterapia psicoagogica e relazionale. Ipnosite-rapia. Pratica della psicoterapia IV. Tecniche di comunicazione me-taforica. Tecniche immaginative. Psicoterapia della coppia. L’ipnosi in medicina generale. L’ipnosi in ostetricia e ginecologia. L’ipnosi in pediatria. L’ipnosi in geriatria. L’ipnosi in odontostomatologia. L’ipnosi in odontostomatologia pediatrica. L’ipnosi in dermatolo-gia. L’ipnosi in gastroenterologia. Ipnosi e dolore. L’ipnosi in on-cologia. Ipnosi ed alterazioni della coscienza. Eyes movements de-sensitization and reprocessing. Il programma di ogni anno è completato dalla partecipazione ai Convegni S.M.I.P.I., dalla formazione e supervisione personale (50 ore) e dal Tirocinio (100 ore).

Informazioni ed iscrizioni S.M.I.P.I., Via Porrettana 466, 40033 Casalecchio di Reno BO

tel. 051.573046, fax 051.932309 cell.347.3910625, e-mail [email protected].

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I CORSI TRADIZIONALI PER LA FORMAZIONE CONTINUA ED IL MASTER IN PSICOTERAPIA ED IPNOSI MEDICA

L’iscrizione ai Corsi è riservata a medici, odontoiatri e psicologi, senza alcun obbligo di completare i quattro anni di formazione. Qui si acquisiscono conoscenze e capacità di intervento psicotera-peutiche ed ipnologiche adeguate per un’interazione terapeutica ottimale con i propri pazienti. Hanno valore anche di perfeziona-mento per psicoterapeuti provenienti da altre scuole. I Corsi di base sono affiancati da Seminari di approfondimento di particolari tematiche il cui programma è stabilito anno per anno. L’iter si svolge in quattro livelli al compimento dei quali viene rila-sciato il Master di Psicoterapia ed Ipnosi Medica. Per tutti i Corsi, i Seminari ed i Convegni viene richiesta al Ministe-ro della Salute l’attribuzione di crediti formativi ECM (Educazione Continua in Medicina).

La Scuola Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi ha istituito annualmente

due edizioni (Ancona e Bologna) del CORSO DI PSICOTERAPIA ED IPNOSI MEDICA

PRIMO LIVELLO Struttura: Ciclo di tre Seminari di due giorni ciascuno.

Primo Seminario: 1) Indicazioni, possibilità e limiti nella applica-zione di tecniche di intervento psicologico e dell’ipnosi. 2) Psico-terapia ed ipnosi: preparazione formativa. 3) Organizzazione del lavoro terapeutico: valutazione delle richieste del paziente e for-mulazione di un obiettivo. 4) Lo stato mentale di ipnosi. 5) Strut-tura formale ed informale dell’induzione di ipnosi. 6) Bibliografia: indicazioni e critica. Secondo Seminario: 1) Colloquio, induzione diretta ed indiretta dello stato di ipnosi, utilizzazione dello stato di trance e delle ri-sposte inconsce. 2) Elementi base di Programmazione Neurolin-guistica. 3) Condizionamento e decondizionamento, ristruttura-zione, tecniche di modificazione del comportamento, creazione ed uso dell’atteggiamento responsivo. 4) Esercitazioni pratiche: indu-zione dello stato di trance ed interventi terapeutici. 5) Supervisio-ne e commento critico di alcuni casi clinici. Terzo Seminario: 1) Somatizzazioni primarie, secondarie e sin-dromi da conversione. 2) Malattie e disturbi di interesse psicotera-

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Vol. II - 2008 Corsi e Congressi

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peutico: disturbi comportamentali, psiconevrosi, psicosi, malattie psicosomatiche, somatopsichiche, somatiche. 3) Esercitazioni pra-tiche: induzione dello stato di trance ed interventi terapeutici. 4) Supervisione e commento critico di alcuni casi clinici. Il Corso è formativo e pratico: è esaustivo per parte delle applica-zioni di queste metodiche in diverse specialità mediche (medicina interna, odontoiatria, anestesiologia, dermatologia, ginecologia ed altre); è di base per una formazione psicoterapeutica medica, che viene completata in quattro anni.

SEDI e DATE

CORSO DI PSICOTERAPIA ED IPNOSI MEDICA PRIMO LIVELLO

BOLOGNA

Primo seminario: - sabato 3 e domenica 4 ottobre Secondo Seminario: - sabato 17 e domenica 18 ottobre Terzo Seminario: - sabato 7 e domenica 8 novembre 2009 Sede: Starhotel Excelsior, Via Pietramellara 51 (Piazza della Stazione) Bologna Quota di partecipazione: EURO 800 + IVA 20% - Orari: 9/12-14/17

ANCONA Date da stabilire: marzo-aprile 2010 Sede del Corso: Hotel Passetto, Via Thaon de Revel 1, Ancona, tel.071.31307. Quota di partecipazione: EURO 800 + IVA 20%

Numero massimo di partecipanti: 25. Informazioni ed iscrizioni

Presso la Sede per il Corso di Bologna (S.M.I.P.I., Via Porrettana 466, 40033 Casalecchio di Reno BO, tel. 051.573046, fax 051.932309, e-mail [email protected]). Presso la Sezione Marche per il Corso di Ancona (Dr. Oriano Mer-cante, Via Loretana 190, 60021 CAMERANO (AN) tel.071.732050 -0336.631167, [email protected]).

Page 280: Rivista Di pia e Ipnosi

Rivista Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi

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Inserzioni

Lorenza Cavalli pag. 10 Glauco Fiorini pagg. 6, 250