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1 C oscienzaS ociale Studi e ricerche sul cattolicesimo democratico “La partecipazione è la condizione della novità.” (Pietro Scoppola) Numero 1 / Giugno 2014

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CoscienzaSociale

Studi e ricerche sul cattolicesimo democratico

“La partecipazione è la condizione della novità.”

(Pietro Scoppola)

Numero 1 / Giugno 2014

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Indice Presentazione ………………………………………………………………… p. 5 Saggi ………………………………………………………………… p. 7 Don Primo Mazzolari di Stanislao Cuozzo ………………………………………………………………… p. 9 La cultura dell’uscita e dell’incontro di Don Marcello De Maio ………………………………………………………………… p. 13 Benigno Zaccagnini: la politica come servizio di Federico Di Panni …………………………………………………………………. p. 19 Alberto Marvelli. Pedalando verso la santità di Pasquale Dorato …………………………………………………………………. p. 23 Alcide De Gasperi e il “mito” dell’Europa unita di Maria Rosa Valente …………………………………………………………………. p. 25

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Presentazione

La pubblicazione di una rivista di studi e ricerche sul cattolicesimo democratico è un’operazione ambiziosa, forse ingenua, in ogni caso rischiosa. Lo è, innanzitutto, per la difficoltà di definire in modo univoco ed esaustivo le grandi componenti valoriali e le molteplici espressioni storiche della cultura politica ispirata alla dottrina sociale cattolica e diretta ad azioni partecipative democratiche. Si è consapevoli del fatto che siffatta smania definitoria esigerebbe un dispendio di acquisizioni documentarie e di energie atte a sistemarle che i lettori più accorti potrebbero ritenere comunque inadeguato allo scopo. In secondo luogo, raccogliere testi inediti d’argomento storico e politico ispirati alla tradizione cattolico-democratica può risultare un’iniziativa imprudente per l’impegno richiesto dal coordinamento pubblicistico degli interventi stessi; un impegno che, seppure non comporti un lavoro in sé complicato, spesso implica l’onere di un fare complesso, per via della disposizione – prima o poi reclamata – a dare ragione delle scelte editoriali compiute sull’onda di presunte competenze storiografiche. Ci conforta, a tal proposito, la possibilità di sanare i vuoti di competenza con l’ostinata passione a misurarci nell’impresa. E ci assiste, ancora, l’approvazione di tanti lettori da subito dichiaratisi incuriositi, se non interessati, al numero 0 della Rivista “CoscienzaSociale” pubblicato nel novembre 2013. Il numero 1, svolgendo la linea di lancio dell’iniziativa, risponde alla medesima istanza di contemperamento della formazione culturale e della partecipazione popolare, con la speranza che giovi ai laici cattolici intenti a prendersi cura della vita socio-politica da credenti. Esso ospita quattro lavori incentrati per lo più su alcune figure-chiave, note e meno note al vasto pubblico, del cattolicesimo democratico italiano, insieme ad un saggio di approfondimento tematico. Trovano posto tra le pagine le vicende pastorali, politiche ed esistenziali di Don Primo Mazzolari, di Benigno Zaccagnini, di Alberto Marvelli, di Alcide De Gasperi. Un profilo del parroco di Bozzolo è delineato da Stanislao Cuozzo, che non indugia nel ribadire la singolarità di una testimonianza umana e cristiana ancora oggi eloquente per l’audacia con cui infranse schemi e paradigmi di un’ortodossia troppo spesso incapace di amore evangelico. Federico Di Panni raccoglie nel suo scritto alcuni motivi d’elogio dell’operato politico di Benigno Zaccagnini: l’ispirazione cristiana del

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servizio reso dal carismatico statista romagnolo dà modo oggi di evocare i valori dell’onestà e della coerenza, senza risparmio di critiche al non-stile di tanta parte della classe politica attuale. Al Beato Alberto Marvelli è dedicato il lavoro di Pasquale Dorato: il giovane riminese assetato di Cristo può dire molto ai giovani d’oggi sedotti ed illusi dall’anti-politica, perché egli scelse l’attività politica come modalità feriale di ascolto dei bisogni altrui, per il bene delle persone che incontrava al lavoro, in strada, in chiesa. La vocazione europeista dell’impegno politico di Alcide De Gasperi è infine esaminata nel saggio di Maria Rosa Valente, con un’attenzione speciale rivolta alla responsabilità che lo statista trentino avvertì nel contribuire al processo di unione ed integrazione europea. Nel presente numero non è negata, inoltre, l’occasione per approfondire una tematica attualissima del Magistero petrino, quella dell’evangelizzazione delle ‘periferie’ rimodulata su una rinnovata intraprendenza missionaria dei laici. In tale prospettiva, il contributo offerto da Don Marcello De Maio aiuta a comprendere il senso della conversione pastorale di recente invocata nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium di Papa Francesco. Congediamo, dunque, il numero 1 della Rivista “CoscienzaSociale” ad onta dei muti veti esercitati dai disfattisti d’ogni ora. Non c’è di che stupirsi: quando il laicato cattolico ha invocato la libertà di coscienza per tradurre in azione il dettato evangelico e, quindi, muoversi tra l’ecclesiale ed il civile, si è sempre esposto al giudizio di quanti, da un lato, temevano che la fede cristiana venisse ridotta ad una discutibile forma di religione civile; dall’altro, di quanti lamentavano che l’agone della moderna libertà laicista non dovesse essere infestato da antidiluviane incursioni guelfe. Tanto i primi quanto i secondi, per l’appunto, si sono limitati a temere. Noi altri – con le fragilità ed i limiti ad esse intrinseci – gradiremmo osare.

g. f. Un sentito, prima ancora che dovuto, ringraziamento è rivolto a coloro che hanno collaborato con sollecitudine al lancio della presente proposta pubblicistica.

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SAGGI

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Don Primo Mazzolari

di Stanislao Cuozzo Duemila anni! E il messaggio di quell'Uomo, che ha sconvolto ogni pensiero, sgretolato ogni filosofia e coagulato in un solo comando la soluzione per la felicità, anche sulla terra (mi riferisco non all'assenza di problemi e di dolori, ma alla pace interiore, alla serenità dello spirito, alla vita in sé, sentita e vissuta come dono e pienezza. Ricordiamo quanto è scritto: "Venite a me ed io darò riposo al vostro cuore"), per incoerenza, per orgoglio, per egoismo e per quanto di peggio possa fruttare la mente e l'agire dell'uomo, troppo rivolto verso il basso e preda consapevole e obbediente degl'istinti assecondati, è ancora piccolissima pianta e non sempre "educata", curata e custodita, soprattutto da parte di chi ha promesso, pubblicamente e solennemente, di essere il servo fedele ed esemplare del suo Maestro. Ma tant'è! La Chiesa è comunità, famiglia, assemblea di fratelli. Belle parole! Al suo interno (e in questa amara riflessione intendo dire all'interno dei palazzi e delle sacrestie; all'interno dei luoghi, spesso impropriamente chiamati sacri) si registrano lotte, fazioni, arrivismo, invidie, del tutto dimentichi di dovere operare nella vita di ogni giorno, nel lavoro, nei rapporti con gli altri, secondo quella legge unica dell'amore, sempre proclamata, però, con enfasi pari solo alla ipocrisia dai tanti che impongono agli altri quei "pesi, che loro non toccano neanche con un dito" (Lc 11,46), mentre dovrebbero essere i primi della cordata e far seguire alle opere le parole. Non intendo affatto passare sotto silenzio i tanti esempi umili e luminosi di uomini felici nella fedeltà alla Parola, liberi e generosi, i quali hanno profuso mente e cuore nel servizio. Sono testimoni da ammirare e imitare. Assisto ad una tiepidezza tale negli uomini di chiesa che mi salgono alla mente le terribili parole di Dio: "Poiché non sei né freddo, né caldo, comincio a vomitarti dalla mia bocca" (Ap 3,16). Dante, nauseato dagli ignavi, fa dire a Virgilio: "Non ti curar di lor, ma guarda e passa". (Inf.,canto III, v.51). Si acquistano la triste fama dell'indifferenza, che mortifica i sentimenti e inaridisce il cuore. E' una triste faccenda! Un uomo di Dio è tale solo se ha il fuoco dentro e non vuole che trasmetterlo per un incendio d'amore. Ma la chiesa "dei preti" spesso è ostacolo, scandalo, disagio, soprattutto per i più semplici. E' sufficiente frequentare un poco le parrocchie e, fatti salvi encomiabili e ammirabili esempi di parroci "pastori" e non funzionari, non sono rari, purtroppo, i casi di parroci “signori” (!), burberi, arroganti, cinti della vanagloria del loro "formidabile" potere che, ignobilmente, contrabbandano come servizio. Essi sporcano anche i santi nascosti, che tirano la carretta ogni giorno, lontano dai clamori, perché è facile sentenziare: Sono tutti così! Sono sordi e assenti. Afflitti da rancori, si legano al dito anche gli "sgarbi" più innocenti. Vittime e succubi della loro

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insipienza, fanno pesare perfino la risposta ad ogni più minuscola domanda o richiesta. Altro che via della croce! E' vero che la chiesa è composta da uomini imperfetti e che la sua santità è frutto e dono dello Spirito e che reggerà, nonostante il clero e la gerarchia discutibili e, purtroppo, raramente esemplari, altrimenti sarebbe da un bel pezzo tramontata, se solo opera dell'uomo. Ma un cosiddetto "uomo di Dio", pur rimanendo sempre e comunque un uomo e "nulla di umano può ritenere alieno da sé", dovrebbe tremare d'amore, perché scelto a rinnovare il Mistero e a servirlo nel prossimo. E ciò dovrebbe essere visibile, credibile, esemplare. E luminoso esempio di fedeltà, obbedienza e pazienza è, indubbiamente, don Primo Mazzolari, "curato di campagna" e scrittore, dalle cui pagine traboccano una coerenza, un'umiltà e una carità che, solo raramente, sono riscontrabili altrove. Non è assolutamente facile fissare in una definizione la figura di don Mazzolari. È come un prisma dalle molte sfaccettature: parroco, predicatore, conferenziere, scrittore, giornalista, ma soprattutto e sempre sacerdote, uomo di Dio. Egli aveva qualcosa del profeta, che parla senza preoccuparsi dei rischi personali. Certe sue intuizioni, a leggerle oggi, sanno di autentica profezia ma, quando lui le scriveva, scandalizzavano. Se fosse vissuto ancora qualche anno, avrebbe pianto di consolazione nel leggere quanto i padri conciliari hanno detto a proposito della Chiesa dei poveri, della libertà di coscienza, della libertà di dialogo. Non fu mai un uomo di cultura nel senso laico del termine. Una volta, intervenendo in un convegno di teologi, preti e laici, che studiavano con acume, intelletto, profondità di scienza sul tema "Dio" e avvertendolo lontano dalla vita, disse che Dio avrebbe chiesto non quello che di Lui si era detto, ma quel che per amor suo si era fatto. "La cultura" – scriveva – "non libera l'uomo, se l'uomo di cultura non è libero interiormente, se non è disposto a riconoscersi in tentazione di peccato come ogni altro uomo e a rinunciare ai diritti del sapere per assumere soltanto gli impegni, primo fra tutti quello dell'esempio davanti a gli uomini". Il contenuto dei suoi scritti rivelano una chiara influenza degli scrittori cattolici francesi, che agli amava, come Peguy, Léon Bloy, Proust, Maritain…"Ma il suo pensiero, figlio del suo spirito, la cui individualità umana è così spiccata, non si esaurisce nei prestiti culturali". In Italia non fu, certo, molto "lodato". Se fosse stato in Francia e, soprattutto, in America il suo contributo alla letteratura religioso-pastorale sarebbe stato considerato ben più importante e significativo. Le sue esperienze pastorali, i suoi modi di vedere i problemi del momento, le organizzazioni ecclesiastiche – dalla parrocchia, la più antica delle istituzioni, all'azione cattolica per tenere legati alla Chiesa i giovani prima e, poi, a mano a mano, tutti i fedeli con una nuova forma di organizzazione – sarebbero stati discussi, studiati, seguiti.

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In Italia, invece, quasi una clandestina diffusione tra i pochi amici, un alone sospetto per chi ne condivideva il buon giudizio, un impegno perché non suscitassero scalpore. Don Primo seppe stabilire una giusta sintesi fra il passato e il nuovo, fra la cultura e la vita. Grande fu il suo merito nell'avere introdotto nella cerchia della cultura cattolica italiana, pur andando incontro a rischi molto gravi, ad accuse infondate e a dolorose situazioni, sempre accettate con serenità, le esperienze nuove dei cattolici europei, sia nel campo sociologico-pastorale che in quello filosofico-dottrinale. Le sue predilezioni furono per Simone Weil, Mounier e Bernanos. Contro di lui si generò un senso di fastidio e fu temuto come un pericoloso, perché diceva le cose che non si dicono o che si ha paura di dire. Non che fosse un incontrollato, ma la verità, per lui, non aveva limiti umani; il solo limite era la carità, che può fermare un giudizio vero; ma la carità per l'anima e non per gli interessi di chicchessia. Come uomo e come sacerdote era uno di quelli che, visti di persona, stabiliscono subito un incontro diretto, confidenziale con l'interlocutore. Si avvertiva, quasi fisicamente, la sensibilità umana e sacerdotale del suo animo che era, al tempo stesso, polemico e appassionato, con un'ampiezza di comprensione, raramente riscontrabile fra gli uomini del nostro tempo. Il Mazzolari più vivo lo troviamo nel lavoro di parrocchia e qui si scoprono quali fossero il suo metodo, il suo fascino, la sua originalità. Il suo metodo era l'amore e la misura dell'amore è di amare senza misura. La canonica era sempre accogliente e aperta a tutti. L'aria che vi si respirava era di pace, di una semplicità, che allargava il cuore. Temeva la mancanza di rispetto della persona, l'intolleranza, l'intransigenza, l'angelismo, l'integrismo. Nella sua azione pastorale teneva conto della fragilità umana. Cercava quello che c'era di buono nell'esperienza di tutti. Il grave problema della partecipazione del laicato cattolico alla vita della Chiesa don Primo lo affrontò con quella mentalità aperta, che denota la sua preoccupazione di valorizzare ogni cosa e, in special modo, l'uomo, che anche nella Chiesa è stato messo, tante volte, da parte. Nella sua vita aveva avvertito pienamente il Cristo e lo aveva fatto avvertire, oltre che nell'Eucaristia, nella presenza dei poveri. Per questa ragione gli furono mosse le accuse di pauperismo, di demagogismo, di voler dar ragione ai poveri per il gusto di popolarità. Ma era scritto: "Evangelizare pauperibus misit me…" La missione del Cristo era la missione di don Primo. Abolire il povero vuol dire, in definitiva, abolire l'uomo. "Perché – diceva – basta essere uomo per essere pover uomo". La sua attività lo portò, suo malgrado, a trattare anche problemi politici. Sotto il Fascismo fu sottoposto a minacce. Il suo rifiuto a votare il listone unico del 24 marzo 1928 lo aveva messo in cattiva luce ed era stato anche male interpretato il suo ardente desiderio di salvaguardare contro ogni potere politico la personalità e la libertà del credente. "Don Mazzolari – scriveva Nazareno Fabbretti – fu un uomo della resistenza, non in senso generico. Non si contentò di proteggere ebrei o antifascisti, ma diede alla resistenza l'avallo religioso e sacerdotale per la difesa dell'uomo, della verità e della libertà. Per questo fu insultato, percosso, braccato e dovette vivere sette mesi nascosto nel proprio campanile per sfuggire alla

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rappresaglia fascista". Caduto il Fascismo, il suo modo di vivere e di parlare servì a qualcuno per accusarlo di essere comunista e di fare il gioco dei comunisti. Egli si difese sempre contro queste menzogne volgari. Non poteva tacere. "E' proprio come cristiano e perché cristiano che non posso essere comunista…". Per portare un contributo più attivo nel campo dell'opera cristiana e in posizione di avanguardia fondò il quindicinale "Adesso". Le idee perseguite dalla rivista furono la concezione anti-temporalistica della Chiesa nella società, distinguendo, nettamente, l'azione cattolica dall'azione politica dei cattolici. I suoi redattori si richiamarono anche ai sensi apostolici per evitare l'imborghesimento del clero e della cattolicità e, cosa molto importante, vollero effettuare la ricerca ed il colloquio con i "lontani" in uno spirito di rispetto, anzi con indulgenza e simpatia. Parecchie persone, urtate da tali impostazioni, cominciarono a far pervenire accuse contro don Mazzolari alla curia di Milano. Lo accusarono di tutto. Don Primo obbedì alla volontà del Cardinale di Milano, Ildefonso Schuster che, con una nota del 14 febbraio 1951, così faceva scrivere su "L'Italia" di Milano: "E' vietato a tutti gli ecclesiastici del clero regolare, anche in altre diocesi, di scrivere o di cooperare con il quindicinale "Adesso". Ma don Primo era un "cuore sincero", di una santità sacerdotale così viva, chiara, evangelica, che non poteva nuocere a nessuna verità". Il dramma, la sofferenza, l'equivoco, l'ingiustizia che lo coinvolsero in questo caso, come in molti altri, derivano soprattutto dal fatto che egli riaffermava come urgente, allora, hic et nunc, ciò che, anni dopo, la Chiesa del Concilio, la Chiesa di Giovanni XXIII e di Paolo VI proporrà come metodo insostituibile e criterio evangelico per ogni rapporto di salvezza con la persona umana singola e con l'intera umanità. Paolo VI, nella sua prima enciclica, proclama la necessità di portare il dialogo oltre tutti gli schemi e i confini, fin dove la verità e la carità lo consentono, assai oltre i termini suggeriti dal nostro timore e dalla nostra pigrizia. L'amore di don Primo Mazzolari rivelava quell'"impazienza" evangelica istintiva ed intuitiva, pagata con una pazienza quotidiana, altrimenti chiamata obbedienza e fedeltà. Don Giovanni Barra gli aveva scritto per invitarlo a tenere alcune conversazioni agli universitari della sua città. "Verrei volentieri – rispose don Primo – ma attendo da un giorno all'altro di essere chiamato a Roma per l'udienza dal Papa". Pochi giorni dopo Papa Giovanni XXIII lo riceveva in udienza particolare. Il Papa, che lo aveva conosciuto in guerra, mentre don Primo era tenente e lui sergente, appena lo vide lo chiamò: "Tenente!...". Don Primo, fattosi coraggio, rispose: "Sergente!..." In quell'occasione il Papa disse di lui: "Ecco la voce dello Spirito Santo della Bassa cremonese". Fu l'ultima gioia del Parroco di Bozzolo. Bibliografia essenziale di Don Primo Mazzolari La più bella avventura, Gatti, Brescia 1934; Il mio parroco, Gatti, Brescia 1934; Il Samaritano, Gatti, Brescia 1938; Tra l'argine e il bosco, Gatti, Brescia 1938; La via crucis del povero, Gatti, Brescia 1939; La pieve sull'argine, I.P.L., Milano 1952; Il segno dei chiodi, I.P.L., Milano 1954; La parola che non passa, La Locusta, Vicenza 1954; I preti sanno morire, Presbyterium, Padova 1958.

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La cultura dell’uscita e dell’incontro

di Don Marcello De Maio SOMMARIO: Premessa. – 1. Il tema dell’evangelizzazione. – 2. Esigenza di abbandono della cultura dello scarto. – 3. Scelta responsabile della cultura dell’incontro… – 4. …e modalità di attuazione.

Premessa Credo che per un obbligo che nasce dal profondo del cuore non è possibile oggi

trattare questioni legate alla morale sociale prescindendo dal pontificato di papa Francesco. Non potendo in poche pagine illustrare la straordinaria ricchezza dell’insegnamento di questi 15 mesi, mi limito a evidenziare alcuni punti che mi sembrano molto importanti.

Ritengo importante soffermarmi anche se brevemente sulla Evangelii gaudium (d’ora in poi: EG), in quanto tale documento ha una forte significato programmatico per tutto il suo pontificato (cfr. EG 25).

1. Il tema dell’evangelizzazione Tutto il IV capitolo (par. 176-258) è dedicato alla dimensione sociale

dell’evangelizzazione. Sono sottolineate l’inclusione sociale dei poveri (par. 186-216) e l’importanza della pace e del dialogo sociale (par. 217-222). Il papa indica quattro pilastri di importanza fondamentale per una convivenza sociale orientata al vero sviluppo (cfr. EG 222-237):

- il tempo è superiore allo spazio, - l’unità prevale sul conflitto, - la realtà è più importante dell’idea, - il tutto è superiore alla parte. Tali principi fondano: - il dialogo ecumenico (par. 244-246), - le relazioni con l’ebraismo (par. 247-249), - il dialogo interreligioso (par. 250-254), - il dialogo sociale in un contesto di libertà religiosa (par. 255-258). Si rifà al documento di Aparecida ed afferma la ricaduta sociale della gioia del

vangelo: antidoto ad ogni forma di esclusione e corruzione. Egli vuole evidenziare il

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«significato autentico e integrale della missione evangelizzatrice» (EG 176). Precisa: «nel cuore stesso del Vangelo vi sono la vita comunitaria e l’impegno con gli altri» (EG 177). È importante cogliere l’immediata ripercussione morale del primo annunzio. Ebbene, tale conseguenza morale è proprio la carità. Non dobbiamo mai dimenticare «l’intima connessione tra evangelizzazione e promozione umana» (EG 178).

Accettare il primo annuncio significa lasciarsi amare da Dio e amarlo con l’amore che Egli stesso ci comunica. Tutto questo deve avere un effetto fondamentale: «desiderare, cercare e avere a cuore il bene degli altri» (EG 178).

Papa Francesco esorta instancabilmente ad uscire (cfr. EG 179) e segnala alcuni passi decisivi del vangelo1. Il tema dell’uscita ricorre continuamente nell’esortazione apostolica2, ma è un invito che papa Bergoglio ripete molto spesso in tante occasioni3.

Al centro della riflessione di papa Francesco sui temi sociali ci sono le due seguenti affermazioni:

1) «Il compito dell’evangelizzazione implica ed esige una promozione integrale di ogni essere umano» (EG 182). 2) Come già aveva detto san Giovanni Paolo II, la conversione cristiana esige di riconsiderare «specialmente tutto ciò che concerne l’ordine sociale ed il conseguimento del bene comune»4.

2. Esigenza di abbandono della cultura dello scarto Egli da un lato critica la cultura dello scarto, dall’altro esorta ad una cultura

caratterizzata da uscita, incontro ed accoglienza. Ecco alcune sue parole relative alla cultura dello scarto, pronunciate in occasione

della veglia di preghiera nella vigilia di Pentecoste del 2013. «Nella vita pubblica, nella politica, se non c’è l’etica, un’etica di riferimento, tutto

è possibile e tutto si può fare. E noi vediamo, quando leggiamo i giornali, come la mancanza di etica nella vita pubblica faccia tanto male all’umanità intera. Vorrei raccontarvi una storia. L’ho fatto già due volte questa settimana, ma lo farò una terza volta con voi. È la storia che racconta un midrash biblico di un Rabbino del secolo XII. Lui narra la storia della costruzione della Torre di Babele e dice che, per costruire la Torre di Babele, era necessario fare i mattoni. Che cosa significa questo? Andare, impastare il fango, portare la paglia, fare tutto… poi, al forno. E quando il mattone era fatto doveva essere portato su, per la costruzione della Torre di Babele.

1 Cfr. Mt 25, 31-46; Mt 7, 2; Lc 6, 36-38. 2 Cfr. per esempio par. 20, 21, 24, 27, 30, 46, 49, 87, 97, 124, 172, 179, 259, 261, 272. 3 V. omelia, 11-5-2013; Incontro con i seminaristi, i novizi e le novizie, 6-7-2013; omelia 7-7-2013; omelia S. Messa crismale 17-4-2014. 4 GIOVANNI PAOLO II, Ecclesia in America, 22-1-1999, 27, cit. in EG 82.

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Un mattone era un tesoro, per tutto il lavoro che ci voleva per farlo. Quando cadeva un mattone, era una tragedia nazionale e l’operaio colpevole era punito; era tanto prezioso un mattone che se cadeva era un dramma. Ma se cadeva un operaio, non succedeva niente, era un’altra cosa. Questo succede oggi: se gli investimenti nelle banche calano un po’… tragedia… come si fa? Ma se muoiono di fame le persone, se non hanno da mangiare, se non hanno salute, non fa niente! Questa è la nostra crisi di oggi! E la testimonianza di una Chiesa povera per i poveri va contro questa mentalità»5.

Il mattone che ha maggior valore dell’uomo è il denaro. La conseguenza più terribile legata al cattivo uso del denaro è scartare gli esseri umani. Ecco lo scontro tra la cultura dello scarto e la cultura dell’incontro.

Alla radice c’è la riduzione antropologica che considera l’uomo in base ad una sola delle sue funzioni, quella del consumo:

«La crisi mondiale che tocca la finanza e l’economia sembra mettere in luce le loro deformità e soprattutto la grave carenza della loro prospettiva antropologica, che riduce l’uomo a una sola delle sue esigenze: il consumo. E peggio ancora, oggi l’essere umano è considerato egli stesso come un bene di consumo che si può usare e poi gettare. Abbiamo incominciato questa cultura dello scarto. Questa deriva si riscontra a livello individuale e sociale; e viene favorita! »6.

Non possiamo trascurare di evidenziare che espressioni come queste sono molto incisive perché sono accompagnate dalla vita di chi le pronuncia: «Non utilizzando auto di lusso, pagando per l’alloggio ricevuto, riformando la gestione delle finanze vaticane, insistendo con i religiosi perché trasformino le loro case vuote in foresterie, invece di pensare di farne alberghi redditizi»7.

3. Scelta responsabile della cultura dell’incontro… Due temi, molto cari a papa Francesco, tornano nella stessa occasione: nel corso

del videomessaggio per la festa di san Gaetano. È bene tener presente che ogni anno, il 7 agosto, nella memoria liturgica del Santo,

migliaia di fedeli si mettono in fila per passare davanti alla statuetta di San Gaetano, baciare il vetro della piccola nicchia che la contiene e farsi il segno della croce. La fila si snoda attraverso 15 strade della città e dura tutto il giorno. L’attesa può durare anche 10 ore. Come Arcivescovo di Buenos Aires, l’allora cardinal Bergoglio presiedeva la celebrazione nella Festa di San Gaetano e, al termine della Messa, percorreva in senso inverso la fila dei fedeli per parlare con loro, ascoltare le loro storie e benedire i bambini.

Ecco cosa il Papa ha detto in quella occasione nello scorso agosto:

5 Discorso Veglia di Pentecoste, 18-5-2013. 6 Discorso ai nuovi ambasciatori accreditati presso la Santa Sede, 16-5-2013. 7 D. FARES, Papa Francesco e la cultura dell’incontro, in La Civiltà Cattolica 165 (2014), 1, p. 455.

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«Ciò che Gesù ci insegna, innanzitutto, è incontrarsi e, incontrando, aiutare. Dobbiamo saperci incontrare. Dobbiamo edificare, creare, costruire una cultura dell’incontro. Quante divergenze, guai in famiglia, sempre! Guai nel quartiere, guai sul lavoro, guai ovunque. E le divergenze non aiutano. La cultura dell’incontro. Uscire ad incontrarci».

È chiaro che i due temi sono l’uscire e l’incontrarsi. Ciò che va ovviamente sottolineato è l’armonia tra ciò che dice e ciò che ha sempre fatto.

4. …e modalità di attuazione

Avviandoci alla conclusione, ricordiamo che il Papa, per servire la cultura dell’incontro, evidenzia tre punti. Esprime una certezza, ci fa fare una richiesta e ci lascia un incarico.

La certezza: dobbiamo essere «guidati dall’umile e felice certezza di chi è stato trovato, raggiunto e trasformato dalla Verità che è Cristo e non può non annunciarla»8.

La richiesta da fare: «La Vergine Maria è nostro modello. [...] Le chiediamo che ci insegni a incontrarci ogni giorno con Gesù. E quando facciamo finta di niente, perché abbiamo molte cose da fare e il tabernacolo rimane abbandonato, che ci prenda per mano. Chiediamoglielo! Guarda, Madre, quando sono disorientato, conducimi per mano. Che ci spinga a uscire all’incontro di tanti fratelli e sorelle che sono nella periferia, che hanno sete di Dio e non hanno chi lo annunci. Che non ci butti fuori di casa, ma che ci spinga ad uscire di casa. È così che siamo discepoli del Signore. Che Ella conceda a tutti questa grazia»9.

Ecco l’incarico che ci lascia: «Esistono in America Latina e nei Caraibi pastorali lontane, pastorali disciplinari

che privilegiano i principi, le condotte, i procedimenti organizzativi... ovviamente senza vicinanza, senza tenerezza, senza carezza. Si ignora la rivoluzione della tenerezza che provocò l’incarnazione del Verbo. Vi sono pastorali impostate con una tale dose di distanza che sono incapaci di raggiungere l’incontro: incontro con Gesù Cristo, incontro con i fratelli. Da questo tipo di pastorali ci si può attendere al massimo una dimensione di proselitismo, ma mai portano a raggiungere né l’inserimento ecclesiale, né l’appartenenza ecclesiale. La vicinanza crea comunione e appartenenza, rende possibile l’incontro. La vicinanza acquisisce forma di dialogo e crea una cultura dell’incontro»10.

Padre Fares evidenzia tre parole che ben sintetizzano anche con la loro carica espressiva il pensiero del Papa sulla cultura dell’incontro.

Quello di papa Francesco è un pensiero campana. Come la campana maggiore convoca, semplice nella sua complessità di accordo polifonico, così il pensiero di 8 Omelia s. Messa con i vescovi, 27-7-2013. Segnala Lc 24,13-35. 9 Ivi. Tornano i due principi dell’uscire e dell’incontro. 10 Incontro con i vescovi del Celam, 28-7-2013. Ci sono ancora le due categorie della vicinanza e dell’incontro.

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papa Bergoglio crea cultura di incontro perché risuona, convoca tutti, proprio come fa una campana, e li invita ad accorrere al dialogo, all’incontro.

Inoltre, quello di papa Francesco è un pensiero scarpa (una scarpa nera, consumata). Infatti, si tratta non di un pensiero illuministico, gnostico, ma di un pensiero che esce all’incontro, accompagna, si mette nel fango, si mette in pellegrinaggio col suo popolo.

Infine, si tratta di un pensiero amichevole. Si tratta di un’amicizia a vari livelli: quello del cameratismo (pensiamo ai gesuiti, compagni di Gesù) o alla fratellanza (ecco il nome di Francesco, forte richiamo a tale dimensione) e predilezione (è un pensiero che discerne a partire dal magis, cioè dal bene comune migliore e per la maggior gloria di Dio)11.

11 D. FARES, Papa Francesco, cit., p. 460.

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Benigno Zaccagnini: la politica come servizio

di Federico Di Panni

Carismatico. Leale. Sincero. Generoso. Disponibile. Questi sono solo alcuni dei tanti aggettivi attribuibili a Benigno Zaccagnini, “Zac” per gli amici, una delle personalità politiche di maggior rilievo dell’Italia del ‘900. Un uomo politico che è stato capace di riunire sotto un’unica bandiera, quella del Bel Paese, personaggi della compagine politica opposta alla sua, come per esempio Arrigo Boldrini, e che è stato capace di lavorare con loro per il bene comune, ben diversamente da oggi, di fronte ad un’Italia in fiamme devastata dall’incomprensione tra lo Stato e la politica vera, divisa così al suo interno, se non civilmente, quanto meno politicamente. Benigno Zaccagnini si interessò alla vita politica sin da giovanissimo, influenzato però non da ego smisurato o da potente spirito di auto-affermazione, bensì dal desiderio di mettere le sue idee, la sua vita, se stesso in gioco in favore del popolo italiano. Questa sì che è disponibilità! E su questo principio neanche il miglior satirista potrebbe azzardare una parola senza rimanere deriso. Dopo essersi laureato in medicina e chirurgia nel 1937 ed essersi specializzato successivamente in pediatria, militò in prima linea come partigiano nel Comitato di Liberazione Nazionale e dopo aver stretto un forte legame di amicizia con Arrigo Boldrini, capo dell’allora Partito Comunista Italiano, conquistò a buon diritto il titolo di capo dell’assemblea costituente del mondo cattolico. Infatti, fu proprio quest’ultimo che fece emergere in Zaccagnini la sua forte tendenza antifascista, come lui stesso poi disse più volte, in base all’influenza di alcuni personaggi del mondo cattolico ravennate, come don Giovanni Minzoni, don Giovan Battista Montini, Giuseppe Donati, Igino Righetti e quei pochi altri che non erano scesi a compromessi con il fascismo e che, per l’opposizione al regime, vennero destituiti o comunque neutralizzati. Sicuramente avvenimenti ed esperienze come la lettura del famoso settimanale “Il Romagnolo” di don Giuseppe Sangiorgi, la perdita del lavoro da parte di suo padre che si era dichiarato apertamente antifascista o la brutale uccisione di don Minzoni fecero crescere la personalità politica di Zaccagnini, spingendolo sempre più contro l’ideologia fascista. Infatti, mentre la Santa Sede consigliava alla diocesi di Ravenna di scendere a patti con il fascismo al fine di rovesciarlo dall’interno, come degli infiltrati, salvo poi finire col passare al nemico, e così di seguire l’esempio che avevano seguito quasi tutte le altre diocesi italiane, essa rispondeva col netto rifiuto di sottomettersi alla Casa del Fascio da parte dei suoi esponenti più rilevanti. Fu, quindi, in base a queste considerazioni che Zaccagnini pensò di non agire solo religiosamente, ma di procurare un cambiamento di rotta nella storia dell’Italia, entrando in politica e mutando poi per sempre, lasciando così un punto fisso nello

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spazio e nel tempo, l’esperienza associativa dell’Azione Cattolica, al fine di risollevare le sorti di un popolo oppresso da anni di dittatura. Così si dimostra e si espleta la generosità. Conobbe poi gli orrori della guerra da ufficiale medico nei Balcani, riconoscendo però nella stessa l’occasione di rivedere criticamente tutta la vita passata e di lanciare uno sguardo con la coda dell’occhio alle problematiche del futuro, riscontrando addirittura dei forti consensi tra alcuni dei suoi più intimi amici della compagine militare. Zaccagnini disertò assieme a molti di loro e tornò nel suo paese natio. Dopo essere mancato dalla sua città così a lungo, malgrado tutte le difficoltà e i dubbi che si erano fatti strada nel corso del tempo dentro di lui, tornò entro breve tempo a capo del movimento, scegliendo come nome di battaglia “Tommaso Moro”, adatto più che mai per un uomo estremamente deciso e per uno spirito indistruttibile. Anche l’aspetto umano e relazionale coinvolto nella professione del medico fece sì da incrementare la coscienza politica dello stesso Zaccagnini, mettendolo a contatto con la sofferenza umana e con il forte bisogno di un mondo più giusto e più equo, facendo così di lui non uno statista “ammaestrato” da altri statisti, ma uno statista meno artefatto, più genuino, più concreto, quasi “fatto da sé”. Ecco cosa si dice quando si dice sincerità. Sotto certi aspetti Benigno Zaccagnini può rimandare – con i dovuti ‘distinguo’ – alla figura di Jorge Mario Bergoglio, oggi Papa Francesco: anche lui, avendo vissuto in mezzo alla gente da persona ordinaria, ha imparato a mettersi al servizio del prossimo senza mai dimenticare la propria vita, le proprie esperienze passate, le proprie conoscenze. Zaccagnini e pochi altri dovettero ricostruire praticamente ex novo un’ideologia fondata sulla giustizia, sulla solidarietà e sulla fratellanza, un’ideologia che potesse animare nuovamente l’Azione Cattolica e magari lo Stato intero, a sostegno della prima associazione del laicato cattolico italiano che era stata neutralizzata dal fascismo e per di più senza poter contare su alcun eventuale aiuto da qualche diocesi vicina. Zaccagnini s’avvicinò dunque alla Democrazia Cristiana, della quale divenne poi presidente e, più tardi ancora, segretario. A 34 anni Benigno Zaccagnini fu eletto suo malgrado presidente dell’Assemblea Costituente del nuovo assetto politico italiano, e si battette, tra le altre cose, anche in difesa dell’identità culturale di ogni regione, ed in particolare della sua amata Romagna. Considerando l’intera vita di Benigno Zaccagnini, gli aspetti pubblici della sua attività di medico pediatra e di militante politico della DC, è facile convenire in un punto: ci troviamo di fronte ad uno degli esponenti più rappresentativi dello scenario politico dell’Italia degli ultimi cento anni. Perché? Non è cosa da tutti avere una rilevanza politica tale da essere tenuta in considerazione, sia nel bene che nel male, perfino a distanza di molti anni dalla propria morte, addirittura da associazioni delittuose come le Brigate Rosse o da esponenti del crimine organizzato come il boss mafioso Bernardo Provenzano. La motivazione che, sopra di tutte, ha consacrato Benigno Zaccagnini alla storia è stata non tanto la sua dedizione alla politica in sé come viene considerata comunemente quanto il motivo che lo ha spinto ad entrare in un mondo affascinante e complesso, ossia il suo spirito di sacrificio e di servizio nei confronti soprattutto del più debole, che poi si riscontrano anche nella sua stessa

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professione, così come ebbe coraggio nell’affrontare il nemico del Fascio solo per amore della res publica. Fu decisiva la determinazione nel portare avanti gli ideali che, in fondo, si riconducevano ad un innato spirito patriottico, all’amore per la terra natale, all’impassibilità di fronte agli episodi di corruzione che inquinavano le Camere del Parlamento. Questa è inequivocabilmente ‘lealtà’. Ciò che distingue Benigno Zaccagnini da ogni altro politico italiano della sua epoca è stato, quindi, non una passione generica per la politica in sé quanto la capacità di metterla a servizio dell’uomo realmente, non a servizio di una ristretta cerchia di individui che si presumono superiori al popolo. Zaccagnini è riuscito a sostenere con le sue scelte l’intera nazione italiana, riuscendo addirittura a coinvolgere personalità di altre schiere politiche, come il Partito Comunista Italiano, senza scendere a compromessi, com’è costume dei giorni nostri. Questo è ‘carisma’. Avere un talento e gestirlo a servizio del prossimo: in politica è cosa difficile da realizzare, perché molti non hanno il coraggio di superare le difficoltà del pregiudizio e del qualunquismo. Mancano in Italia i “politici di coscienza” che sappiano adoprarsi in favore dell’uomo, che varino norme di convivenza sociale eque, che siano capaci di accordarsi malgrado le diversità per un intento comune, per il bene di tutti. Mancano testimoni come Benigno Zaccagnini. Bibliografia essenziale Preda A., Dialoghi con Zaccagnini, Roma 2009. Preda A., Zaccagnini identità religiosa e laicità cristiana, Ravenna 2009. Parente U. – F. Salsano, Benigno Zaccagnini. Una vita a servizio della politica, Roma 2013.

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Alberto Marvelli. Pedalando verso la santità

di Pasquale Dorato Chi è Alberto Marvelli? Mi è stato chiesto di rispondere a questa domanda e con piacere ed umiltà mi appresto a descrivervi questo ragazzo che ha dato tanto a tanti con un unico desiderio: diventare santo. Un sogno ardito, ma è proprio quello che dovrebbe risiedere nel cuore di ogni cristiano e guidarlo nelle scelte di vita che lo accompagnano. Alberto è un ragazzo straordinario e la sua esistenza è una testimonianza di carità e virtù cristiana. Nasce a Ferrara nel 1918, secondogenito di sei fratelli; sin dall’infanzia sarà la sua famiglia fonte di istruzione cristiana. Ma solo dopo la sua adesione, come socio all’Azione Cattolica riesce a maturare la scelta di vivere come un cristiano. Coinvolto in diverse attività, fra catechismo ed incontri all’oratorio, mostra sin da subito diverse qualità. È forte di carattere, fermo, deciso, volitivo, generoso; con un forte senso della giustizia. Un ragazzo attivo anche nello sport, amante soprattutto della bicicletta. Si iscrive all’università e continua a maturare la sua formazione culturale e spirituale nella Fuci. Dopo la laurea in Ingegneria meccanica, Alberto osserverà l’Italia entrare a far parte dell’orribile scenario della Seconda Guerra Mondiale. Il suo posto non sarà sul fronte con i soldati, ma sul fronte con i poveri e i bisognosi. Dopo ogni bombardamento è il primo a correre in soccorso ai feriti, a incoraggiare i superstiti, ad assistere i moribondi. Un faro di speranza sarà questo ragazzo armato solo del suo senso di carità e della sua bicicletta. Alberto, infatti si recava dai negozianti per caricarsi di quanti più viveri e bisogni di necessità primaria per trasportarli in bici a Rimini e dintorni. A volte tornava a casa senza la bicicletta, che aveva venduto per aiutare chi aveva bisogno. Al concludersi della guerra in Italia rinascono i partiti politici e si riformano le istituzioni civili; le imprese a favore degli ultimi compiute da Marvelli non vengono dimenticate. Egli si convince che attraverso la politica potrà rimanere al servizio delle persone. Così accetta, a 26 anni, la carica di assessore, speranzoso di poter offrirsi per le persone come ai tempi della guerra. A 28 anni Alberto Marvelli morirà investito da un camion militare mentre si recava all’elezione della prima amministrazione comunale del dopoguerra. Nel corso della sua esistenza, Alberto ha più volte messo alla prova la sua fede. L’esperienza vissuta durante la guerra l’ha maturato, sia come uomo che come cristiano. Di lui possediamo una raccolta di pensieri, il Diario, pubblicato successivamente alla sua morte. Leggendo queste pagine è possibile evidenziare come la fede cristiana, in questo ragazzo, si sia sviluppata dalle riflessioni di un adolescente a quelle di un giovane adulto.

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Alberto non trascrive tutto di sé nel Diario, ma si affida a quelle pagine nei momenti più bui, chiedendo a Dio consiglio ed aiuto per le scelte che dovrà compiere. Conferisce alle parole il ruolo di esprimere con semplicità e spontaneità quelli che sono stati nel corso della sua esistenza i motivi più profondi che hanno caratterizzato la sua esperienza spirituale, sia nell’intimità con Dio, sia nel rapporto con gli altri. Presenti anche dei commenti delle Sacre Scritture dello stesso Marvelli; commenti instillati di semplicità, riflessioni alla portata di tutti che descrivono il suo stato d’animo e il suo amore verso il Signore. Il suo animo cristiano non è limitato solo alle opere di carità o a riflessioni spirituali, ma anche ad una visione di politica civile correlata alla figura dell’individuo. Cioè Marvelli ci suggerisce la figura, per quanto sia riuscito ad interpretare, che meglio rappresenti il ruolo del politico. Il politico dovrebbe essere una persona sempre disponibile ad ascoltare le persone e in modo particolare i loro disagi. Perché ascoltando, si capisce, e capendo si può agire, in questo caso a favore della comunità per creare la giusta armonia che dovrebbe caratterizzare uno Stato civile per i suoi cittadini. Il politico serve la comunità, come dice lo stesso Marvelli: “Servire è migliore di farsi servire. Gesù serve”. Dunque, la politica non viene denigrata o non considerata da Marvelli, anzi egli ha un’alta considerazione di essa, come testimonia questa frase tratta dal Diario: “Il campo politico è il campo di una carità più grande, la carità politica”. Le gesta di Marvelli verranno riconosciute anche dalla Chiesa: è proclamato beato il 5 settembre 2004 dall’allora pontefice, oggi santo, Giovanni Paolo II. Papa Wojtyla lo descrive e lo celebra come un ragazzo che “decise di abbracciare il Cristo per caricarsi della croce dei poveri”. Un giovane che ha fatto dell’Eucarestia quotidiana il centro della sua vita sociale, civile e politica. Nella preghiera cerca e chiede ispirazione per l’impegno politico convinto della necessità di vivere pienamente nella storia da figli di Dio, per realizzare una storia di salvezza. Dunque chi è il Beato Alberto Marvelli? Così San Giovanni Paolo II: “Un dono d’amore a Gesù per il bene dei suoi fratelli.” Bibliografia essenziale Massani M., a cura di, Il Diario di Alberto Marvelli, Rimini 1978. Lanfranchi F., a cura di, Diario e Lettere di Alberto Marvelli, Alba 1998. Casadei E., a cura di, A. Marvelli, La mia vita non sia che un atto d’amore. Scritti inediti, Padova 2005.

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Alcide De Gasperi e il “mito” dell’Europa unita

di Maria Rosa Valente Quando il 5 giugno 1944, all’indomani della liberazione di Roma, Alcide De Gasperi incominciava, a sessantatré anni, quella che la figlia Maria Romana avrebbe definito la sua “terza vita” entrando a far parte, come ministro senza portafoglio, del primo governo Bonomi, il nostro Paese stava vivendo il momento più drammatico di tutta la sua storia unitaria. E quando, circa un anno dopo, il 10 dicembre 1945, il leader della DC, è nominato Presidente del Consiglio, prima volta di un cattolico alla guida del Governo Italiano, l’Italia era praticamente tutta da rifare. Distruzioni massicce, lutti provocati ovunque dalla guerra, quasi del tutto isolata l’Italia nel contesto internazionale; allo sbando la lira senza il minimo sostegno di riserve valutarie; ancora disorganizzata la “macchina” dello Stato per l’avvenuto trasferimento al nord di uomini e di archivi. Né mancavano, poi, coloro che vedevano con difficoltà la collaborazione al Governo di forze estremamente eterogenee. De Gasperi faceva riflettere che per almeno i due più grandi problemi da affrontare, era necessaria un’eccezionale concordia operativa: 1) il raggiungimento a Parigi di condizioni di pace che non impedissero la rinascita nazionale e permettessero di riprendere nel mondo legami di amicizia e cooperazione; 2) la decisione popolare sulla scelta tra Monarchia e Repubblica e sulla elezione di un’Assemblea Costituente. Oltre a questi due grandi obiettivi, Alcide De Gasperi non rinunciò ad una politica di più vasto respiro: il riscatto del Sud, la politica scolastica, la nascita di una realtà industriale fatta soprattutto di piccole e medie imprese, un’autentica riforma tributaria, la costruzione e la ricostruzione di case per soddisfare le esigenze delle famiglie. Tutto quello, insomma, che di lì a qualche anno avrebbe fatto parlare di “miracolo italiano”. Ma l’impegno più grande, negli otto Governi da lui presieduti, De Gasperi lo dimostrò nella politica estera con una preparazione e una lungimiranza degna solo dei grandi statisti. I problemi così disparati dell’Italia dipendevano, per la loro soluzione, soprattutto dai nostri rapporti con l’estero e la sua condizione di uomo nato in una regione di frontiera (il Trentino), lo predisponeva, come pochi altri, ad una larga apertura verso la cooperazione internazionale. A dare senso a quest’esigenza contribuiva anche la visione solidaristica ereditata dall’esperienza del Partito Popolare. Nei Popolari, infatti, “l’aspirazione alla solidarietà internazionale fu sostanzialmente motivata da giustificazioni morali. La cooperazione fra i popoli è infatti intesa come la forma più alta dell’amore del prossimo”. Fin dalla primavera del 1948 De Gasperi si era impegnato direttamente nella battaglia europeista, sia spinto dai suoi ideali che da motivazioni di carattere pratico. In un discorso al Senato egli così affermava: “…Chiunque fosse ministro degli affari esteri oggi dovrebbe tener conto di questa situazione dell’Italia, vale a dire la mancanza di materie prime

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ed esuberanza, di forze di lavoro: questa è la situazione geopolitica dell’Italia. E questa è la nostra necessità: cioè la collaborazione internazionale, se corrisponde al nostro idealismo, corrisponde anche ad una esigenza pratica, al dover cercare una soluzione, almeno in parte, dei nostri problemi.” E ancora in una lettera del 1950 il Presidente scriveva: “Occorre provvedere alla liberalizzazione non solo dei capitali ma anche degli uomini, senza di questo il problema della disoccupazione non si potrà risolvere; senza il libero trasferimento della manodopera, il problema degli scambi non solo non si risolve ma si aggrava. Ed occorre, infine, provvedere all’integrazione delle politiche economiche finanziarie ed alla cooperazione politica internazionale” e concludeva: “L’unione politica e il processo di unificazione nel campo economico e commerciale sono termini interdipendenti che si ripercuotono l’uno sull’altro.” Egli, quindi, non soltanto postulava una correlazione tra libera circolazione delle merci e libera circolazione dei lavoratori ma giungeva ad indicare chiaramente l’esigenza di un progressivo coordinamento delle politiche economiche nazionali. Era appunto questa la base su cui sarebbe stata avviata la costruzione della prima comunità europea di settore: la Ceca. Sempre in politica estera, e sempre in tema di europeismo, un altro punto importante fu l’efficace attività di De Gasperi per il recupero della Germania alla causa del processo unitario. “La nostra posizione storico-geografica” egli diceva “ci da’ piuttosto il carattere di mediazione nel senso di guadagnare a questa nuova Europa anche la Germania, e di guadagnarla alla forma democratica. La prima difesa comune della pace sta nello spirito unitario che, comprendendo anche la Germania, eliminerà il pericolo della guerra, della rivincita e delle rappresaglie.” Il 15 novembre 1950, a conclusione di un ampio dibattito al Senato, il Presidente del Consiglio illustrava la linea del Governo sul federalismo europeo: “Qualcuno ha detto che la federazione europea è un mito… E se volete che un mito ci sia, ditemi un po’ quale mito dobbiamo dare alla nostra gioventù per quanto riguarda i rapporti fra Stato e Stato, l’avvenire della nostra Europa, l’avvenire del mondo, la sicurezza, la pace, se non questo sforzo verso l’unione? Volete il mito della dittatura, il mito della forza, il mito della propria bandiera, sia pure accompagnato dall’eroismo? Ma noi, allora, creeremmo di nuovo quel conflitto che porta fatalmente alla guerra. Io vi dico che questo mito è mito di pace: questa è la pace, questa è la strada che dobbiamo seguire per la pace. Ma se questa speranza di collaborazione fra i popoli fallisse, ricordatevi che i dittatori, ad un certo punto, rappresentano la reazione contro queste delusioni, rappresentano quasi la forza di salvataggio a cui istintivamente ciascuno si rivolge, isolandosi e ripiegandosi su se stesso, quando si avvede che altre speranze sono spente.” E dopo questa prefazione generica, ecco le linee del Governo: 1) agire per la pace, promuovendo o favorendo la progressiva solidarietà e l’unificazione dei paesi europei, in tutte le forme e in tutti i settori possibili, fino alla creazione di un vincolo federativo; 2) tendere con tenacia e con pazienza a superare difficoltà, esitazioni, lentezze che si oppongono ancora ad una solidarietà europea totale; 3) considerare

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strumento decisivo di solidarietà europea federativa un patto comune di difesa, con un esercito al servizio di tale patto. Operando con queste direttive e con questi propositi, crediamo di poter servire l’ideale e gli sforzi tenaci e lungimiranti degli uomini rappresentativi di tutte le nazioni europee.” Il patto comune di difesa (Ced), che sembrava prossimo alla realizzazione, incontrò infine l’opposizione del Parlamento francese e non vide mai la luce, ma il percorso di pace indicato da Alcide De Gasperi è quello che ha evitato all’Europa, negli ultimi sessant’anni, nuovi conflitti e inutili sacrifici di vite umane. L’ultimo discorso, pronunciato il 21 aprile 1954 (a quattro mesi dalla sua morte), a Parigi, alla Conferenza Parlamentare Europea, tocca un argomento molto caro al mondo cattolico e più volte sottolineato da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI : le comuni radici cristiane dell’Europa. “Se io affermo” diceva “che all’origine di questa civiltà europea si trova il Cristianesimo, non intendo con ciò introdurre alcun criterio confessionale esclusivo nell’apprezzamento della nostra storia. Soltanto voglio parlare del retaggio europeo comune, di quella morale unitaria che salda la figura e la responsabilità della persona umana col suo fermento di fraternità evangelica, col suo culto del diritto ereditato dagli antichi, col suo culto della bellezza affinatosi attraverso i secoli, con la sua volontà di verità e di giustizia acuita da un’esperienza millenaria.” Infine, con lo sguardo rivolto sempre verso l’avvenire, si augura che la “casa comune” sia più tardi aperta generosamente a dei nuovi arrivati e che l’Istituzione possa essere benefica anche per i paesi sottosviluppati. Bibliografia essenziale Andreotti G., Alcide De Gasperi nella storia d’Italia. Discorso tenuto in occasione del centesimo anniversario della nascita di Alcide De Gasperi, Roma 1981. De Gasperi A., Scritti e discorsi, Roma 1990. Arnoulx De Pirey E., De Gasperi, (trad. it. P. Fiorini), Milano 2002.

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CoscienzaSociale Laboratorio AC di formazione e partecipazione socio-politica

CHE COS’E’?

Il Laboratorio di formazione e partecipazione socio-politica CoscienzaSociale è un’iniziativa di studio e missione civica dell’Azione Cattolica

della parrocchia “S. Antonio di Padova” di Battipaglia.

L’apprendimento sistematico della Dottrina sociale della Chiesa Cattolica e la sperimentazione di prassi per la sua attuazione sono le attività

essenziali del laboratorio, che intende educare alla morale sociale e promuoverla attingendo alla ricca tradizione del Magistero ecclesiale,

nonché osservare le dinamiche governative della collettività e gli aspetti che incidono sulla qualità della vita.

Il Laboratorio è composto da un gruppo di persone che, in quanto laici di AC, intendono condividere, in forma laboratoriale, l’impegno sociale

e politico a vantaggio della città in cui risiedono.

Le attività collettive del Laboratorio non sono disciplinate da uno Statuto né da un Regolamento che ne ordini i fini e ne determini i mezzi.

L’azione formativa è svolta, pertanto, nel rispetto dello Statuto Nazionale ACI, dell’Atto Normativo Diocesano di AC ed in armonia con la vita

associativa e con gli orientamenti pastorali della parrocchia. L’agenda delle iniziative viene proposta annualmente al Consiglio associativo

parrocchiale.

Il Laboratorio CoscienzaSociale risponde del proprio operato – dando ragione del percorso formativo e delle iniziative di sensibilizzazione

svolte – agli Organi dell’Associazione parrocchiale, ossia all’Assemblea, al Consiglio associativo e al Presidente.

DA DOVE NASCE?

Il Laboratorio CoscienzaSociale nasce dall’elaborazione collettiva dei contenuti morali e storico-culturali volti a stimolare la partecipazione

dei cittadini alla vita pubblica e, in particolare, l’intraprendenza socio-politica dei laici cattolici nella polis. I reiterati propositi formulati

all’interno dei percorsi formativi dell’Associazione a livello diocesano e parrocchiale hanno suggerito la definizione di un percorso costellato

di idee ed azioni, iniziative e progetti in parte maturati nel corso dei vent’anni di presenza e di attività pastorale nella parrocchia “S. Antonio

di Padova” di Battipaglia.

CHI NE FA PARTE?

Fanno parte del Laboratorio CoscienzaSociale i soci di AC che desiderano formarsi alla luce della Dottrina Sociale della Chiesa Cattolica ed

intendono contribuire, con idee progettuali ed azioni concrete, all’animazione sociale e politica della città. Ne è membro di diritto il

Presidente dell’AC parrocchiale. La vita del laboratorio è animata dall’interazione flessibile e funzionale di due figure-chiave: i relatori (per

l’approfondimento dei temi etici e sociali) e gli osservatori (per il monitoraggio della realtà socio-politica locale).

CHE COSA FA?

Il Laboratorio CoscienzaSociale persegue l’obiettivo generale di educare alla cittadinanza responsabile, secondo gli insegnamenti del

Magistero della Chiesa Cattolica, nella ricerca costante del bene comune. Esso mira a sviluppare la consapevolezza civica e la responsabilità

sociale, nonché la partecipazione ‘attiva’ alla comunità urbana di appartenenza. Gli incontri ordinari prevedono, in generale, una fase di

studio della Dottrina Sociale ed un momento di analisi della realtà territoriale, a partire dalla rassegna stampa e dall’esame della

documentazione amministrativa.

Il Laboratorio CoscienzaSociale svolge le azioni seguenti:

- promuove dei percorsi formativi incentrati sulla Dottrina Sociale della Chiesa Cattolica e sul Magistero sociale in generale;

- accresce le occasioni di dibattito e discussione sui temi sociali e politici,predisponendo azioni collettive di stimolo e/o denuncia pubblica, ossia campagne di

informazione nelle istituzioni scolastiche locali d’ogni ordine e grado o presso altri enti morali in relazione ai temi e ai problemi socio-politici;

- cura e sostiene la pubblicazione periodica della rivista ”CoscienzaSociale. Studi e ricerche sul cattolicesimo democratico”;

- potenzia il senso critico circa le dimensioni connesse al benessere equo e sostenibile (ambiente, salute, benessere economico, istruzione e formazione, ecc.);

- ascolta e osserva, esprime e diffonde le percezioni e le rappresentazioni, le opinioni ed i punti di vista a riguardo delle politiche sociali e ambientali attuate

nel territorio comunale;

- offre idee e stimoli, suggerimenti e proposte agli organismi di partecipazione attivi nel territorio comunale (comitati, forum, consulte, ecc.) a riguardo della

vita nei quartieri, dei luoghi di aggregazione, degli spazi verdi pubblici, della qualità viaria, ecc.;

- organizza momenti – sistematici e periodici – di interazione e confronto con le istituzioni pubbliche locali e media con azioni informative il rapporto tra i

cittadini e gli Enti Locali per discutere le scelte concernenti i temi di interesse pubblico.

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Azione Cattolica Italiana – Arcidiocesi di Salerno-Campagna-Acerno – Parrocchia “S. Antonio di Padova”, via Ionio 8/a – 84091 Battipaglia www.acsantonio.altervista.org