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Per iniziare bene la giornata ho biso-gno di un caffè. Dirò di più, ho bisogno di un buon caffè. Il profumo, il gusto rendono unica questa esperienza. I sensi si amplificano e si dilatano, pronti a ricevere gli stimoli che pro-vengono dall’esterno. Per un attimo mi ritrovo in una dimensione atempo-rale ed inizio a pensare. Il luogo in cui questo piacere viene consumato è di fondamentale importanza. L’architet-tura si intreccia con il gusto contri-buendo a rendere unica ed irripetibile, ogni volta diversa, la sensazione di piacere e di appagamento. Come mai i miei sensi, e tra di essi il gusto, sono legati allo spazio? Cosa mi assale? Che tipo di sensazioni provo quando il mio corpo interagisce con gli oggetti che mi circondano?
Il tema di questo numero si interroga sul rapporto tra l’architettura e il cibo, la tavola. Vediamo da qualche anno un consolidamento tra queste due discipline sino ad assistere ad uno sconfinamento quando il cuoco del ristorante El Bulli di Barcellona, Fer-ran Adrià, viene invitato ad esporre a Documenta di Kassel nel 2007. Anche nel campo vitivinicolo molti architetti vengono chiamati a ripensare gli spazi: Stati Uniti, Austria, Spagna, ma anche le nostre regioni e la nostra provincia accolgono opere di architet-ti. Il gusto fisico si associa così ad un gusto estetico, compositivo. Si verifica
quel processo che la parola sinestesia spiega molto bene: “figura retorica che prevede l’accostamento di due sfere sensoriali diverse”. Si affinano così i sensi.
In realtà gusto e architettura non sono legate esclusivamente da ragioni formali come lo spazio e gli ambienti che contengono vino e cibo, ma anche da aspetti metodologici. Così come in cucina anche l’architettura [e più in generale tutte le arti] si fonda
sul comporre, il mettere insieme armonicamente elementi distinti e farne un tutt’uno. Così come non è inusuale trovare tra architetti e pro-gettisti la passione per il ‘buon cibo’ e il ‘buon bere’. Forse è per questo che ogni sopralluogo, ogni progetto, ogni inaugurazione o semplice gita domenicale ad architetture sparse qua e là finisce con ‘le gambe sotto il tavolo’. Quasi sempre in una buona osteria. Come quella volta, in Vicolo delle Botti a Brescia dove a fine cena firmando l’Antologia di Spoon River, la buona Nanda Pivano disse: “Architet-ti.?!...brutta razza...” Era il suo modo di dare consigli.
In copertina: Eugenio Dabbeni
Wührer, viale Bornata
[...] IN UNA GIORNATA D’INVERNO, RIENTRANDO A CASA, MIA MADRE, VEDENDOMI IN-FREDDOLITO, MI PROPOSE DI PRENDERE, CONTRARIAMENTE ALLA MIA ABITUDINE, UN PO’ DI TÈ. RIFIUTAI DAPPRIMA, E POI, NON SO PERCHÉ, MUTAI D’AVVISO. ELLA MANDÒ A PRENDERE UNO DI QUEI BISCOTTI PIENOTTI E CORTI CHIAMATI PETITES MADELEINES, CHE PAIONO AVER AVUTO COME STAMPO LA VALVA SCANALATA D’UNA CONCHIGLIA DI SAN GIACOMO. ED ECCO MACCHINALMENTE OPPRESSO DALLA GIORNATA GRIGIA E DAL-LA PREVISIONE D’UN TRISTE DOMANI, PORTAI ALLE LABBRA UN CUCCHIAINO DI TÈ, IN CUI AVEVO INZUPPATO UN PEZZETTO DI MADELEINE. MA, NEL MOMENTO STESSO CHE QUEL SORSO MISTO A BRICIOLE DI BISCOTTO TOCCÒ IL MIO PALATO, TRASALII, ATTENTO A QUANTO AVVENIVA IN ME DI STRAORDINARIO. UN PIACERE DELIZIOSO M’AVEVA INVA-SO, ISOLATO, SENZA NOZIONE DELLA SUA CAUSA. M’AVEVA SUBITO RESI INDIFFERENTI LE VICISSITUDINI DELLA VITA, LE SUE CALAMITÀ, LA SUA BREVITÀ ILLUSORIA, NEL MODO STESSO IN CUI AGISCE L’AMORE, COLMANDOMI D’UN’ESSENZA PREZIOSA [...].
MARCEL PROUST
L’ARCHITETTURA, IL CIBO E LA TAVOLA
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«DA ARCHITETTO MI CHIEDO: COS’È LA “MAGIA DEL REALE”? UNA FOTOGRAFIA DI HANS BAUMGARTNER (ANNI TRENTA), SCATTATA NELLA CAFFETTERIA DI UN PENSIONATO STUDENTESCO.QUEGLI UOMINI SIEDONO AI TAVOLI; E SI TROVANO BENE. MI CHIEDO: SONO IN GRADO IO, IN QUANTO ARCHITETTO, DI PROGETTARE ATMOSFERE COME QUESTE? SONO IN GRADO DI RESTITUIRE LA STESSA INTENSITÀ E DENSITÀ? E SE SÌ, IN CHE MODO?»
PETER ZUMTHOR - «ATMOSFERE» (MONDADORI ELECTA SPA, 2007, MILANO)
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INSERTO A CURA DI PAOLO MESTRINER, GIULIANO VENTURELLI E CINZIA REBONI;COMITATO SCIENTIFICO PAOLO MESTRINER E GIULIANO VENTURELLI; COORDINAMENTO REDAZIONALE CINZIA REBONIHANNO COLLABORATO:MICHELA BIGNOTTIFABRIZIO GALLANTIANTONIO GARDONIORIZIO MODELLIANTONIO RAPAGGICAROLINA ROVATIUPO COMUNICAZIONE VIABIZZUNOFOTOGRAFIEOTTAVIO TOMASINI (PAGINE 10, 11, 12, 13, 46, 47)FOTO ARCHIVIO MORETTI (PAGINE 41, 42, 43, 45)FOTO ARCHIVIO VIABIZZUNO (PAGINE 52, 53)ARCHIVIO STUDIO ASA (PAGINE 15. 16. 18. 19)CORRADO BORSONI (PAGINE 20, 21, 22, 23)ARCHIVIO CHERUBINI GROUP (PAGINE 25, 26, 27, 28)ARCHIVIO STUDIOAURA (PAGINE 30, 31, 33)ARCHIVIO FLOS (PAGINE 48, 49)ARCHIVIO ORIZIO MODELLI (PAGINE 62-63)FOTOLIVE (PAGINE 8, 9)ENRICO UMMARINO E MARIA PAOLA GABUSI (PAGINE 80, 81)
IN COPERTINA FOTOGRAFIA DI OTTAVIO TOMASINI
INSERTO REALIZZATO DA PUBLIADIGESUPPLEMENTO AL NUMERO ODIERNO DI BRESCIAOGGIDIRETTORE RESPONSABILE MAURIZIO CATTANEOSOCIETÀ EDIZIONI BRESCIA S.P.A. PRESIDENTEALBERTO STELLACONSIGLIERE DELEGATOALESSANDRO ZELGERPROGETTO GRAFICO ED IMPAGINAZIONE LA STANZA BORDEAUX (BRESCIA)STAMPA TIBER (BRESCIA)CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÀ PUBLIADIGE S.R.L. BRESCIAVIA ERITREA 20/A, TEL. 030.2911211REGISTRAZIONE DEL TRIBUNALE DI BRESCIAN. 11/2009 DEL 18/02/2009, RESPONSABILE DEL TRATTAMENTO DEI DATI (D. LGS. 196/03) È IL DIRETTORE RESPONSABILE.
NEL PROSSIMO NUMERO:L’ARCHITETTURA DEGLI INTERNI
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GUEST INCONTRO FLASH FOOD
IERI LA BIRRERIA WÜHRER E LA CANTINA FOLONARIOGGI RISTRUTTURAZIONE E AMPLIAMENTO CANTINE BERSI SERLINIOGGI LA CANTINA PASINI SUL LAGO DI GARDAOGGI NUOVA PASTICCERIA SAN CARLO A BRESCIAECOSOSTENIBILE NUOVO EDIFICIO PRODUTTIVO DELL’AZIENDA BARONE PIZZINIHD HOME DESIGN LA CHIMICA AL SERVIZIO DELLA BELLEZZAL’ETRANGER PETRA: UN PROGETTO COSTRUITO INTORNO AL VINOFOOD DESIGN DESIGN ACHILLE CASTIGLIONI: LAMPADA SPLÜGEN BRÄU FLOSOLFING L’ARREDAMENTO «PIACEVOLMENTE BELLO»LIGHT CIBO E LUCE. PROGETTO DI MARIO NANNI PER IL FESTIVAL DELL’ARTE CONTEMPORANEA DELLA CITTA’ DI FAENZACREAZIONI FANTASIA E “TECNICA” ABBINATA VINCENTECULT CEDRATA TASSONI: LA BEVANDA DAL RICONOSCIBILE COLORE GIALLO
CN IMMOBILIARE BRISE SOLEIL, L’EDIFICIO CHE «GIOCA» CON IL SOLE
MODEL LA BASE DEL MODELLO COSTRUIRE LA TOPOGRAFIACENTRO FIERA DEL GARDA IL BENESSERE IN CASA MOLTO PIÙ CHE UN «PROGETTO»
CARTOONIST SIMEONI, GLI OCCHI E IL BUIO SULLA CITTÀCANTINE FRANCIACORTA LA «SUPER ENOTECA» E LE MIRABILIE DELLA VITERABAIOLI LA STUFA, «AMICA» DELL’AMBIENTECHERUBINI L’ARREDAMENTO «TOTALE»PATERLINI QUANDO LE IDEE DIVENTANO REALTÀINCONTRO TRA ARCHITETTURA E GUSTO: DUE PAROLE CON NERIO BEGHI E LUCA PELLEGRINELLI SULLA “FILOSOFIA SIRANI”IN/ARCH 31.05.2009 TUTTI A LARGO (T)FORMENTONE
COLCOM IL VETRO IN “MOVIMENTO”EUROCARPET SOLUZIONI ALL’ AVANGUARDIA PER ABITAREAQUARIVA UNO SPAZIO SPECIALE AFFACCIATO SUL LAGO
FATTI + PERSONE
SCATTO D’ARTISTA ALESSANDRA DOSSELLI
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Esiste una storia parallela dell’architettura, composta di piccoli frammenti, di pettegolez-
zi, di segreti più o meno ben conservati che accompagna quelle ufficiali, fatte di letture
tipologiche e stilistiche, di comparazioni spaziali, di segmentazione del campo del
progetto in scuole e tendenze, di periodizza-zioni, insomma le storie obbligatorie dei cor-si universitari che abbiamo tutti, più o meno, letto, per poi abbandonarle sugli scaffali dei
nostri studi.Uno di questi aneddoti, se non una leg-
genda vera e propria, sostiene che uno dei sogni mai realizzati da Philip Johnson fosse
quello di realizzare un padiglione le cui pareti sarebbero state costruite utilizzando
bottigliette di Campari Soda. Infatti il colore del liquore, per Johnson, era ciò che meglio evocava l’idea di piacere, e la prospettiva di essere avvolti dalla luce filtrata attraverso
le pareti trasparenti, di color carminio, di un padiglione del genere era ciò che evocava
nel modo più diretto il desiderio di una notte di festa e glamour.
Le intersezioni tra architettura e cibo (e, nel caso di Johnson, ma anche di molti altri
autori, alcol - basti pensare alla piccola gemma dell’American Bar di Adolf Loos a
Vienna) sono numerose. Quello che l’aned-doto riportato rivela, è che quasi sempre
questi rapporti si articolano sul binario della predisposizione: l’intervento del progetto
è immaginato per predisporre i sensi al consumo e all’apprezzamento. Per introdur-
re un elemento di anticipazione e di attesa, che agisce attraverso la vista, il tatto e l’udito
rispetto alle aspettative che poi il gusto e l’olfatto completeranno.
Così come la luce rossiccia dei muri di Campari è un’ottima premessa per la lenta intossicazione da alcol di un cocktail party
della East Coast, non possiamo immaginare un vassoio di ghiaccio e frutti di mare sepa-
rato dall’ambiente art-decò di una brasserie parigina, non possiamo apprezzare i gesti
rapidi e silenziosi di un sushi master se non arrampicati in cima a uno sgabello con un bancone di legno chiaro sotto i gomiti e il
sapore di una pinta di ale sarà diverso senza l’oscurità dei legni e dell’ottone di un pub.
L’ambiente di un bar, di un bistro, di un ristorante e di una trattoria è un meccani-
smo sofisticato di messa in scena, quasi teatrale, del rito dell’alimentazione. Ogni singolo elemento contribuisce a determi-
nare il modo con cui il corpo e il cervello si apprestano a vivere la convivialità dell’atto
del nutrirsi: il suono dell’ambiente; la qualità e intensità delle luci; la localizzazione del
tavolo (“potremmo spostarci in quel tavolo all’angolo, per favore”); gli odori; la forma
delle sedie e dei tavoli; le stoviglie, i bicchieri e le posate; le tovaglie e i tovaglioli; il ritmo del servizio; l’abbigliamento dei camerieri. Questo accade sia che si mangi un fish and chips per la strada o che ci si sieda da Paul
Bocuse. Quello che è il vero successo di un’architettura per il cibo, è quando questa quasi scompare, per lasciare che l’incanto
sia quello dei piatti e delle bevande. Nulla di peggio, anche per un architetto orgoglioso, di quando si dice “il posto è bellissimo, peccato
che si mangi male”.
ARCHITETTURAE CIBO
FABRIZIO GALLANTIARCHITETTO. REDATTORE ABITARE.
PROFESSORE PROGETTAZIONE POLITECNICO DI MILANO, SEDE DI PIACENZA.
L’AMBIENTE DI UN BAR, DI UN BISTRO, DI UN RISTORANTE E DI UNA TRATTORIA È UN MECCANISMO SOFISTICATO DI MESSA IN SCENA, QUASI TEATRALE, DEL RITO DELL’ ALIMENTAZIONE
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Con l’Esposizione bresciana del 1904, allestita tra le mura del Castello, il giovane Egidio Dabbeni (1873-1964) sperimenta per la prima volta la combinazione della scala urbanistica con il linguaggio modernista. Tutto è posticcio ed effimero - stucco, legno, tela, qualche elemento in «cemento decorativo» - ma la sfida professionale appare enorme. L’architetto-ingegnere disegna la planimetria, si occupa degli stands, coordina gli altri progettisti e segue il lavoro di centinaia fra artigiani, decoratori e carpentieri. Se il Castello resta sullo sfondo come un monumento del passato, la cittadella dell’Esposizione vuole essere un manifesto dell’efficienza e dell’intraprendenza: in nome di quel progresso che anima l’ottimismo della neonata industria bresciana.Tra gli imprenditori più accorti, Pietro Wührer e i fratelli Folonari intuiscono che l’architettura è un «marchio» da associare al prodotto: l’Esposizione del 1904 serve anche a questo. Ecco, dunque, che l’abilità dell’ingegnere - unita al forte senso scenografico dell’architetto - si manifesta nella sede della birreria di viale Bornata (1915-1920). Qui Egidio Dabbeni è alle prese con un programma strutturale complesso: il
telaio in calcestruzzo armato è studiato in funzione del ciclo produttivo (i capannoni, l’essiccatoio del malto, la ciminiera) ed è esibito come una griglia portante con tamponature in laterizio, senza camuffamenti e abbellimenti. Un effetto tattile, basato sui ritmi delle linee e delle campiture, che il progettista sostituisce al «pittoresco» della precedente fabbrica, quando la produzione della birra era stata associata all’inevitabi-le kitsch austro-bavarese.Come coniugare il brand industriale con l’architettura moderna? Egidio Dabbeni è pragmatico e agisce con lucido disincanto. Mentre all’edilizia privata riserva di volta in volta le preziosità del Liberty, del neoba-rocco o del neorinascimento, nel caso dell’industria (le officine, le fonderie, le centrali idroelettriche) si attiene agli impaginati scarni e severi, dove valgono la potenza stereometrica, la massività delle forme e la «buona esecuzione».E’ questo anche il caso delle cantine Folonari (1929-1935), poste subito a ridosso del centro storico in un contesto privo di qualità. Egidio Dabbeni non rinuncia - con energici e sicuri tratti - a introdurre dettagli di valore. Basti osservare l’uso sapiente del mattone ANTONIO RAPAGGI
TRA GLI IMPRENDITORI PIÙ ACCORTI, PIETRO WÜHRER E I FRATELLI FOLONARI INTUISCONO CHE L’ARCHITETTURA
È UN «MARCHIO» DA ASSOCIARE AL PRODOTTO
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(come nella birreria Wührer): una pelle esterna eco-nomica ma vibrante. La nicchia concava che si affaccia su via Togni è quasi metafisica nel suo ostentato mini-malismo: sembra un tributo all’estetica del Novecento (per esempio a Sironi), ma certo allude anche a una valenza urbana ovvero al tema dell’angolo posto su un incrocio stradale.E’ una calligrafia del «rotondo» che ritorna in molte opere di Dabbeni - a Brescia come a Gardone Val Trompia - e che forse si spiega con le suggestio-ni borrominiane acquisite ai tempi della laurea a Roma. E poiché l’architetto-ingegnere elabora stilemi diversificati in funzione delle singole tipologie, ecco che il palazzo degli stessi fratelli Folonari (1931) in via Corsica si riappropria delle cadenze neo-eclettiche sulla facciata monumentale. Mentre l’immagine delle cantine comunica la solidità dell’azienda attraverso pochi elementi (un basamento in pietra a bugne, una teoria di finestre ad arco, un coronamento intona-
cato e un lieve aggetto terminale), il linguaggio del palazzo di famiglia preferisce ricorrere a un vocabo-lario d’ascendenza palladiana. Se il mattone celebra il mondo del lavoro, il marmo nobilita la residenza dell’imprenditore.A differenza delle odierne architetture per il gusto - che nel caso delle cantine e delle aziende vinicole tendono a privilegiare i temi della natura, del paesag-gio e della vita in villa -, Egidio Dabbeni opta per una forte connotazione urbana, usando tipologie desunte direttamente dalle fabbriche e dalle officine. Anche il rapporto con la città scaturisce più da un’idea di chiusura che non d’apertura: i prospetti e i profili della birreria Wüher e delle cantine Folonari sono orgoglio-samente ritmati dalle simmetrie dei portali e dalla griglia regolare delle bucature. Maestosità e rigore ne costituiscono la cifra stilistica: qualcosa che ricorda l’aura favolistica dell’Esposizione bresciana del 1904, ma che ormai ha fatto i conti con la realtà.
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IL CORPO CENTRALE DELLA SEDE STORICA È STATO PRESERVATO, AVENDO CURA DI MANTENERE LA CORTE INTERNA COME PUNTO NEVRALGICO DELL’AZIENDA VINICOLA
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La sede dell’intervento si trova a pochi passi da Brescia, nel tessuto di vigneti e specchi d’acqua che contrappunta le colline moreniche della Francia-corta.Il progetto si sviluppa su una superficie di 3.200 mq fuori terra per quanto concerne il restauro delle strutture già esistenti, e in un aumento di circa 2000 mq della parte interrata destinata alle cantine, che denota la parte interamente nuova dell’intervento.Si possono individuare tre livelli di progettazione che contrassegnano tre approcci differenti alle fasi di concetto: il restauro di un convento benedettino del ‘400, il ripristino e la riqualificazione degli edifici creati nel tempo per supportare l’attività vinicola, la progettazione di uno spazio di produzione nuovo ed ipogeo.Il corpo centrale della sede storica è stato preserva-to, avendo cura di mantenere la corte interna come punto nevralgico dell’azienda vinicola.
I portici dell’edificato sono stati chiusi da grandi pareti di vetro scorrevole che mettono in relazione la natura circostante con i vigneti, mentre una pelle di doghe in legno veste i nuovi manufatti.Gli edifici della zona di ingresso sono stati rior-ganizzati in modo da risultare più efficaci verso le esigenze di un’azienda contemporanea: nuovi uffici, magazzino, showroom, spazi predisposti per un uso ricettivo, con locali per la ristorazione, cucine, sale, camere da letto, superfici per l’arte contemporanea.La produzione è dislocata sottoterra, segnando una separazione verticale tra fase ideati e fase produtti-va. Lo scavo della caverna è stato mantenuto grezzo, lasciando visibile nella roccia la sezione stratigrafica del terreno.Il programma di cantiere è stato studiato con una pianificazione sequenziale delle azioni architet-toniche, con l’intento di non ostacolare l’attività produttiva.
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FLAVIO ALBANESE (VICENZA,1951) VIVE TRA VICENZA, MILANO, PALERMO E PANTELLERIA. AUTODIDATTA, HA COSTRUITO LA SUA PROFESSIONALITÀ ATTRAVERSO UNA FORMAZIONE ESTRANEA AI PERCORSI ACCADEMICI, CHE LO HA PORTATO AD OCCUPARSI CON PASSIONE DI ARCHITETTURA, DESIGN, ARTE, FILOSOFIA, LETTERATURA, CUCINA, TUTTE INTERPRETATE SOTTO IL SEGNO DELLA CONTEMPORANEITÀ.COLLEZIONISTA, CERCA DA SEMPRE DI CREARE SPAZI SPERIMENTALI IN CUI L’ARCHITETTURA E L’ARTE SI CONTAMINANO, COMMISSIONANDO OPERE SITE SPECIFIC AD ALCUNI TRA I PIÙ NOTI ARTISTI CONTEMPORANEI.NEL 1987 FONDA CON FRANCO ALBANESE LO STUDIO DI ARCHITETTURA ASA STUDIOALBANESE, CHE ATTUALMENTE CONTA DI OLTRE QUARANTA COLLABORATORI DISTRIBUITI NELLE TRE SEDI DI
VICENZA, MILANO E PALERMO.CON IL SUO STUDIO È STATO IMPEGNATO IN PROGETTI DI DIVERSA SCALA, PREVALENTEMENTE IN ITALIA, MA ANCHE IN EUROPA, ASIA E NEGLI USA: EDIFICI RESIDENZIALI, STRUTTURE RICETTIVE, UFFICI DIREZIONALI, RIQUALIFICAZIONE PAESAGGISTICA E POST-INDUSTRIALE, PROGETTI URBANISTICI, ALLESTIMENTI DI SPAZI CULTURALI E DI EVENTI ARTISTICI, EDITORIA.NEL 2007 VIENE INVITATO A PARTECIPARE AL CONCEPT PER LA RIQUALIFICAZIONE DI PECHINO, SU MASTERPLAN DELLO STUDIO OMA DI REM KOOLHAAS.FLAVIO ALBANESE HA FATTO PARTE DEL COMITATO SCIENTIFICO DI DOMUS ACADEMY, COORDINA L’OFFICINA DEL PORTO DI PALERMO E TIENE CONFERENZE IN TUTTO IL MONDO. DAL MAGGIO DEL 2007 È DIRETTORE DELLA RIVISTA INTERNAZIONALE DI ARCHITETTURA DOMUS.
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LO SCAVO DELLA CAVERNA È STATO MANTENUTO GREZZO, LASCIANDO VISIBILE NELLA ROCCIA LA SEZIONE STRATIGRAFICA DEL TERRENO
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“ UN CONTENITORE CHE, ADAGIATO NATURALMENTE FRA I CAMPI DELLA RAFFA DI PUEGNAGO,
APPARE QUASI SCARNO, SEMPLICE”
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Che la cantina come gesto architettonico diven-tasse negli ultimi decenni un fiore all’occhiello dei produttori vinicoli grandi e piccoli come indispen-sabile gesto per entrare dalla porta principale nel nuovo mercato globale è un dato incontestabile: lo dimostrano le innumerevoli “prove d’autore” documentate dalla più significativa editoria del settore. Ma c’è sicuramente qualcosa di più, e cioè la curiosità e quindi l’impegno più sofisticato dei progettisti, che spesso sul campo (è proprio il caso di dirlo) si trovano a misurarsi con una trasformazione totale del prodotto in uno spazio naturale e in un procedimento che sotto molti aspetti è immutabile durante tutto l’arco della storia dell’uomo.Quando poi, come in questo caso, si è trattato di costruire ex novo proprio in mezzo a terreni di antica tradizione in un luogo paesaggisticamente orgoglioso di sé, l’impegno di chi progetta si fa gusto dell’edificare inventando per la funzione un ruolo che confina con il gesto poetico.Allora più che mai il rapporto tra creazione
e committenza si fa stretto e interattivo: dai grappoli raccolti tutto intorno al prodotto finito pronto per il rito della stappatura e dell’assaggio, il controllo progressivo parte sì dalla vendemmia ma attraversa le molte fasi della produzione esal-tando di volta in volta la ricerca della funzionalità complessiva, della nuova offerta di materiali costruttivi, della vivibilità del lavoro, della sugge-stione degli ambienti.Ecco dunque il tentativo, nel caso delle cantine Pasini, di realizzare un contenitore che, adagiato naturalmente fra i campi della Raffa di Puegnago, appare quasi scarno, semplice, senza concessioni al gesto forzosamente originale come avvenuto in altri casi o al decoro come pura esibizione: ma la apparentemente rigida funzionalità rivela valori espressivi che vengono da pochi accenni nel de-sign e soprattutto dall’uso dei materiali e del loro accostamento espressivo.E la barricaia è come una cattedrale silenziosa, che invita a una meditazione che risale alle origini della civiltà.
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CORRADO BORSONI NASCE A BRESCIA NEL 1954, SI LAUREA IN ARCHITETTURA A VENEZIA NEL 1978 CON ALDO ROSSI. NEL 1980 APRE IL PROPRIO STUDIO A BRESCIA, CITTÀ NELLA QUALE VIVE. SI OCCUPA DI DESIGN INDUSTRIALE, DI ARCHITETTURA D’INTERNI, E DI ARCHITETTU-RA RESIDENZIALE ED INDUSTRIALE. TIENE UN CORSO DI INTERIOR DESIGN ALL’ACCADEMIA DI BELLE ARTI LABA DI BRESCIA.
“LA BARRICAIA È COME UNA CATTEDRALE SILENZIOSA, CHE INVITA ALLA MEDITAZIONE”O
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LA PARTICOLARE FORMA DELL’EDIFICIO SI È PRESTATA ALLA CREAZIONE DI AMPIE VETRATE INCLINATE IN CRISTALLO STONDATO PROVENIENTI DALLA SPAGNA
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Un’ ex concessionaria in un palazzo anni ‘70 diventa la nuova location di uno dei più famosi locali di Brescia, la Pasticceria San Carlo, trasformando la vecchia officina nel moderno laboratorio.La particolare forma dell’edificio si è prestata alla creazione di ampie vetrate inclinate in cristallo ston-dato provenienti dalla Spagna, lo spazio interno lungo e stretto viene esaltato dalla presenza del banco bar di diciasette metri, un austero blocco in cristallo opalino nero che grazie a luci al neon nella parte sot-tostante conferisce un’efficace effetto di sospensione.L’accuratezza degli interni rimanda ad un grande senso di accoglienza. La ricerca estetica è caratte-rizzata dalla scelta dei materiali e dei colori, come le formelle, vassoi alimentari in materiale plastico bicolore bianco e rosso, utilizzate per rivestire alcune pareti interne.L’ambiente riprende i temi dell’architettura anni ‘70, interrotti da punteggiatura composta da oggetti ispi-rati a motivi ornamentali barocchi, come i sostegni dei piani d’appoggio disposti lungo le vetrate laterali realizzate in legno tagliato a laser e finito con un’affa-sciante effetto vellutato chiamato «floccatura».
I tavoli aumentano il contrasto tra decorazione e puli-zia: parte di essi sono realizzati in cemento lavorato a colaggio su cui risulta inciso il logo della pasticceria, sorretto da un parallelepipedo in cemento e da un piede in metallo stampato dalla carattestica forma floreale tema di tutto l’esterno. Le quinte in cristallo che avvolgono questa zona sono intrervallate da tondi in ottone anticato porta fiori e sorrette da fermagli floreali in ottone.Sono di particolare interesse anche i tavoli posizionati all’interno, realizzati con una semplicissima lamiera di zinco fotoincisa che riporta il logo del locale, sor-rette da un fascio di tondini tropicalizzati rastremati al centro.All’interno ci si può sedere su comode poltroncine lineari in pelle nera con bordino bianco, e dal classico piedino di forma conica ad altezza regolabile. Oppure su divani, pezzi unici studiati dall’Architetto: uno dalla forma classica con la seduta e lo schienale rivestiti con fasce di tessuto arricciato bianco e nero a ricreare l’effetto zebratura dei braccioli. L’altro, con la struttura in legno e il rivestimento della seduta in corde intrecciate a ricreare un effetto a «frange».
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OLIVIERO BALDININATO A LONATO (BRESCIA) IL 21/06/56, È RESIDENTE A BRESCIA, IN VIA TORRICELLA DI SOTTO 75. LAUREATO ALLA FACOLTÀ D’ARCHITETTURA DI FIRENZE NEL 1984 , ISCRITTO ALL’ORDINE DEGLI ARCHITETTI DELLA PROVINCIA DI BRESCIA DALL’85 AL N. 907. HA COLLABORATO AL CORSO DI «COMPOSIZIONE» DAL 1985 AL 1990 PRESSO LA FACOLTÀ D’ARCHITETTURA DI FIRENZE (DOCENTE PROF. ARCH. ALBERTO BRESCHI), E DAL 1990 AL 2000 ALLO STESSO CORSO CON DOCENTE PROF. ARCH. FLAVIANO MARIA LORUSSO.STUDIO PROFESSIONALE A BRESCIA, VICOLO DEL CARRO 4. NEGOZIANTE IN BRE-SCIA, IN SOCIETÀ CON PENELOPE (SOC. PRO-FORMA SRL) CON UN NEGOZIO DA UOMO «INTERNO 5» E DI SCARPE-ACCESSORI DONNA «SHOES».TRA LE MOLTEPLICI REALIZZAZIONI DI SPAZI COMMERCIALI, ALLESTIMENTI E ABITA-ZIONI RICORDIAMO QUELLE DI FORTE DEI MARMI, BRESCIA, LOS ANGELES, PADOVA, PIACENZA, BERGAMO, VERONA, RIMINI, MILANO, AREZZO, CREMONA E FIRENZE.
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L’AMBIENTE RIPRENDE I TEMI DELL’ARCHITETTURA
ANNI ‘70, INTERROTTI DA PUNTEGGIATURA
COMPOSTA DA OGGETTI ISPIRATI A MOTIVI
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La collaborazione con l’Azienda agricola Barone Pizzini Piomarta ha portato lo studio a sviluppare e realizzare nel tempo alcuni progetti sia in Fran-ciacorta che altrove.Tra Timoline di Cortefranca e Provaglio d’Iseo sono stati progettati e realizzati dal 2004 e il 2006 alcuni interventi finalizzati all’ampliamento del ri-storante Santa Giulia che si doveva dotare di sale per banchetti, alla sistemazione di quattro camere che fungono da Foresteria dell’azienda e infine alla realizzazione della nuova cantina in località san Carlo di Provaglio.L’AMPLIAMENTO DEL RISTORANTE SANTA GIU-LIAL’ampliamento del ristorante Santa Giulia avviene in un sottotetto al primo piano degli edifici rurali storici della azienda Barone Pizzini a Timoline di Cortefranca.L’obiettivo è quello di ricavare degli spazi modulari per cerimonie e banchetti separabili o collegabili a seconda delle esigenze collegati alla cucina esi-
stente con un office e dotati di spazi per meeting e ritrovo. L’intervento consiste nella riutilizzazione di mq. 1289 del sottotetto sovrastante le aree già utilizzate a ristorante.LE CAMERE DELLA FORESTERIANel corpo più alto dell’immobile storico della can-tina al secondo piano (sottotetto) su una superficie di mq140 vengono ricavate quattro camere che servono da foresteria per i clienti della cantina.Le camere per la stessa natura degli spazi a di-sposizione e degli affacci utilizzabili (l’immobile è vincolato ed individuato in zona A (centro storico) sono molto diverse l’una dalle altre e quindi adat-tate ad un tema scelto (la poesia, la musica, il gio-co, l’immagine).LA CANTINA IN LOCALITÀ SAN CARLOIl nuovo edificio produttivo dell’Azienda Barone Pizzini sorge in comune di Provaglio d’Iseo poco di-
stante dalla sede storica ed è immersa nei vigneti della Franciacorta. La struttura, interrata per due terzi, sposa materiali e tecnologie che rispondo-no in modo naturale alle richieste specifiche del-le destinazioni d’uso del fabbricato: al pianoterra sono ubicati gli uffici, lo shop e la degustazione; dal piano terra al primo interrato (-5.20), a doppia altezza, si estende l’area destinata alla vinificazio-ne; mentre alla quota di -10,40 (secondo interrato) metri è localizzata la barricaia e lo stoccaggio dello spumante in maturazione.Diversi accessi e quote separano i flussi di merci (uve in fase di vendemmia, vetri, cartoni, prodotto in partenza, eccetera), da persone (lavoratori, visi-tatori, acquirenti dello shop, degli uffici, eccetera).Si è cercato di realizzare una struttura a basso consumo energetico, avvalendosi di strategie e soluzioni bioclimatiche e considerando necessa-riamente le esigenze del processo produttivo, che impone una sequenza di percorrenza di lavorazio-ne in caduta, il tutto necessariamente in linea con
un prodotto che vuole essere naturale e biologico.Per rispettare il territorio e la logica che accom-pagna ormai da anni l’Azienda sono stati impiegati materiali del territorio e, quando possibile, natu-rali.Le murature interrate sono realizzate in calce-struzzo, mentre per il piano fuori terra si è optato per una struttura a secco, utilizzando elementi in legno. Per mantenere freschi gli ambienti sot-terranei, è stato adottato un sistema di recupero dell’energia dal terreno composto da una serie di tubi interrati che permettono l’immissione di aria di ricambio negli ambienti mediante ventilatori, mantenendo in tal modo la temperatura stabile. Si sono realizzati impianti di domotica, di recupe-ro delle acque piovane per l’irrigazione delle aree verdi, di fitodepurazione per le acque nere e grigie della cantina e di produzione di energia elettrica con un impianto fotovoltaico.Il senso dell’intervento potrebbe essere riassun-to con questa riflessione: una cantina è un poco come un albero. Nel senso che ne vediamo solo una parte, il resto è nascosto interno alla terra, radicato. Le porzioni dell’albero nascoste gli dan-no alimento e lo spingono verso l’alto. Nella parte della cantina che sta dentro la terra. troviamo la ragione del suo mostrarsi fuori del suo essere edi-ficio, architettura.Da questa sua postura nascosta quasi pudica de-riva la sua energia, la sua freschezza e vivacità catturata alla terra e donata ad una bevanda della terra e dell’uomo: il vino.Atteggiamenti, materiali e tecnologie leggere impiegate per testimoniare le proprie idee, e la coerenza del cammino che sta percorrendo una azienda legata alla propria terra e rispettosa del territorio.
LA STRUTTURA, INTERRATA PER DUE TERZI,
SPOSA MATERIALI E TECNOLOGIE CHE RISPONDONO IN MODO NATURALE ALLE RICHIESTE
SPECIFICHE DELLE DESTINAZIONI D’USO DEL FABBRICATO
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CLAUDIO GASPAROTTI ARCHITETTO STUDIO AURA ARCHITETTURA URBANISTICALAUREA A VENEZIA NEL 1972 CON GIANCARLO DE CARLO. ISCRITTO ALL’ORDINE DEGLI ARCHITETTI DI BRESCIA DALL’ANNO 1973. ESPERTO CASA CLIMA JUNIOR.NEL TEMPO HA LAVORATO E SVOLTO CONSULENZE DI URBANISTICA, ARCHITETTURA E PAESAGGIO PER LA REGIONE LOMBARDIA IL MAGISTRATO PER IL PO, IL COMUNE DI MILANO, COMMISSIONE PRO NATURA ALPINA DEL CAI, SCARL NAVIGLI, COMUNITÀ MONTANE E NUMEROSI COMUNI IN VALLECAMONICA, VALTROMPIA, SEBINO E FRANCIACORTA.PER FONDAZIONI, SOCIETÀ E COMMITTENTI PRIVATI HA SVOLTO LAVORI E CONSULENZE A BERGAMO, BRESCIA, MILANO, ROMA, GROSSETO, ANCONA, TARANTO, URFA (TURKIA), CIMALTENANGO (GUATEMALA), PECK (KOSSOVO). DAL 2001 LO STUDIO HA APPROFONDITO E PERSEGUE PROGETTI CON FINALITÀ ED OBBIETTIVI BIOCLIMATICI. COLLABORAZIONI CON GLI ARCHITETTI GIORGIO MORPURGO, ALFREDO VIGANÒ, GIOVANNI BETTINI, GIULIO PONTI, GIANNI SCUDO, BERNARDO SECCHI, ANDREA TOSI, GIORGIO LOMBARDI, ALESSANDRO ROGORA E STUDIO AZZURRO.SUOI PROGETTI SONO PUBBLICATI DA ELECTA, EDIZIONI PEI, MAGGIOLI EDITORE, EDIZIONI SOLE 24 ORE, EDICOM EDIZIONI, BEMA EDITRICE, GRAFO EDIZIONI.
MARINA TONSI ARCHITETTO STUDIO AURA ARCHITETTURA URBANISTICALAUREA POLITECNICO DI MILANO ANNO 1994. ISCRITTA ALL’ALBO DEGLI ARCHITETTI DAL 1996. ISCRITTA ALL’ALBO CONSULENTI ANAB. ESPERTA CASA CLIMA JUNIOR NEL TEMPO HA FATTO PROGETTI E REALIZZATO LAVORI DI ARCHITETTURA E PAESAGGIO PER COMUNI IN VALLECAMONICA, VALTROMPIA E IN FRANCIACORTA PER FONDAZIONI, SOCIETÀ E COMMITTENTI PRIVATI.DAL 2001 LO STUDIO HA APPROFONDITO E PERSEGUE PROGETTI CON FINALITÀ ED OBBIETTIVI BIOCLIMATICI. CORSI DI AGGIORNAMENTO PER IL RESTAURO DEI GIARDINI STORICI FIRENZE - ROMA (1995 - 96 - 97); CORSO DI BIOARCHITETTURA ANAB MILANO (1996/1997) (2006/2007). TESI: PROGETTO PER UNA SCUOLA PER L’INFANZIA; CORSO DI FORMAZIONE PER PROGETTARE E COSTRUIRE STRUTTURE DI LEGNO E CASE CON LE NUOVE NORME E LE TECNOLOGIE CNC TENUTI DAL PROF. ARCH. FRANCO LANER (MAGGIO 2006); CORSO BASE CASA CLIMA APRILE 2007; CORSO AVANZATO CASA CLIMA MAGGIO 2008.
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La chimica al servizio della bellezza: potrebbe essere questo lo slogan più adatto per definire l’attività di una azienda di Gussago che, senza retorica, dà sostanza e concretezza al mito del «made in Italy»; di quella creatività nazionale che ha fatto e fa la differenza in tutto il mondo. La chimica, quella applicata alla produzione di resine e sostanze trattanti per pavimenti (in cotto, pietra, marmo, eccetera), ha rappresentato il punto di partenza e di sviluppo di Chimica Italia, un’impresa che lavora e crea nello stabilimento di via Donatori di Sangue. E
successivamente, combinando tecnologie moderne e ricerca con materiali e sapien-ze molto antiche, quella stessa scienza ha consentito di dare vita a qualcosa di molto speciale; a prodotti che proposti con i marchi HD (Home Design) e con l’ancora più evocativo Terre&Colors hanno permes-so e permettono di reinventare gli spazi dell’abitare.
In sintesi, l’idea sviluppata e oggi con-tinuamente aggiornata da Ruggero Caratti e da Pierpaolo Smussi (insieme nella foto) prevedeva la realizzazione di un rivestimen-
to plastico multiforme e facile da installa-re, che consentisse di personalizzare gli spazi. C’è voluto del tempo, ma l’idea si è concretizzata e si è evoluta davvero molto, trasferendosi dai pavimenti alle pareti, passando ai soffitti e diventando poi un «vestito» perfetto anche per arredi di ogni genere e materiale.
Oggi questa idea si chiama «pasta di cemento» e ha raggiunto un numero davve-ro incredibile di declinazioni formali e cro-matiche, ma tutto è partito da un materiale molto antico e complesso, quel «pastellone
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veneziano» inventato e ampiamente usato dal Palladio nel Settecento sul quale HD ha iniziato a lavorare e sperimentare insieme ad una prestigiosa realtà veneta dei mosaici.
«Quindici anni fa abbiamo scoperto un mondo - racconta Ruggero Caratti -, e subito il nostro pensiero è stato rivolto all’attua-lizzazione di quel prodotto; alla produzione di qualcosa di simile ma con caratteristiche tecniche migliori per quanto riguarda instal-lazione e manutenzione». La cosa ha iniziato a prendere corpo dopo un’altra esperienza sul campo: una visita a Roussillon, in Provenza,
dove Van Gogh «grattava» la polvere ocra che copre le rocce di questo affascinante luogo, necessaria alla preparazione dei suoi colori. Mescolando gli antichi colori derivati dagli ossidi e dalla pietre con i nuovi materiali, la coppia Caratti-Smussi ha compiuto i primi esperimenti, eliminando il massello di calce e inserendo la polvere di cemento e di altri inerti.
Oggi la visita nella sede di HD regala un’esperienza cromatica davvero speciale: la «pasta», diventata elemento di arredo, assume ogni colorazione, con uno strato di
appena un paio di millimetri e con consisten-ze, «grana» e sfumature infinite per rivestire pavimenti, pareti, mobili, architetture in ogni materiale, dal cemento all’acciaio passando per il cartongesso. È il materiale ideale per personalizzare veramente una casa, un locale o degli elementi d’arredo; e grazie a una sapiente combinazione con le resine che qui sono di casa, può diventare tranquillamente anche il «vestito» di ambienti difficili, come le cucine o i bagni, e caratterizzare senza fastidi strutturali o di sicurezza anche ambienti esterni e molto frequentati. E in più, conserva
L’IDEA MOLTO SPECIALE DELL’AZIENDA DI GUSSAGO: LA «PASTA DI CEMENTO»
38 il fascino del lavoro artigianale, perchè pur trattandosi di un materiale moderno, la messa in opera richiede ancora l’abilità di un posatore che la esegue a mano.
Questa è la risposta perfetta per rendere speciali e «caldi» gli ambienti minimali, ma anche per esaltare la sugge-stione di architetture antiche. Ed ha trovato applicazione in spazi prestigiosi. Se infatti l’azienda gussaghese ha firmato (solo per fare qualche citazione) gli interni del Mega-
store Armani di Milano o della nota beauty farm Villa Paradiso, per quanto riguarda le residenze private ha curato il look delle case (sempre per citarne qualcuna) di Paolo Maldini, Laura Pausini, Eros Ramazzotti e Amadeus. Insomma, un grande successo che ha già superato i confini nazionali. «Ab-biamo importanti contatti con architetti di Dubai per interventi nel settore alberghiero - sottolinea Pierpaolo Smussi -, e un altro canale di peso è rappresentato dall’India: i
nostri prodotti sono piaciuti moltissimo, e verranno utilizzati in una serie di inse-diamenti residenziali di alto livello la cui costruzione è affidata ad un’impresa di Milano».
Insomma, la strada è aperta, e divente-rà probabilmente ancora più interessante con l’apertura il prossimo anno di uno show room a Milano, e con la presentazione di una nuova idea, per ora ovviamente segre-ta, al prossimo Salone del Mobile.
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UN «VESTITO» PERFETTO PER ARREDI DI OGNI GENERE E MATERIALE
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La versatilità del materiale inventato e costantemente reinventato dalla Home Design (che non viene venduto, ma rigorosamente posato dal personale della stessa azienda) sta aprendo spazi sempre più interessanti. Grazie alla possibilità di combinare forme e consistenze con le luci, questo rivestimento «olistico» è l’ideale per il completamento di «Spa» e centri relax. Mentre per via della
leggerezza si rivela per esempio ideale nella costruzione di bagni modulari a destinazione alberghiera: un settore promettente. E infine, grazie al ridottissimo spessore di piani di calpestìo e pareti, l’installazione non richiede costose e complicate demolizioni quando si tratta di operare su superfici già esistenti.Ma leggerezza significa anche resistenza? Oggi sì: resistenza al calpestìo e agli agenti atmosferici. E sicurezza in ogni condizione di tempo. Un esempio deriva dal primo «vestito» per esterni di uno spazio pubblico (quelli solo privati non mancano di certo), e arriva da Sirmione, dove HD ha curato l’allestimento del Ristorante Tancredi, realizzato sul vecchio molo di proprietà di un famoso tenore del primo Novecento: Pasero Tancredi.
UN RIVESTIMENTO IDEALE PER SPA, ALBERGHI E RISTORANTI
«LA COSA HA PRESO CORPO DOPO UNA VISITA ALLE CAVE DI ROUSSILLON, DOVE VAN GOGH “GRATTAVA” LA POLVERE OCRA PER PREPARARE I SUOI COLORI»
PUR TRATTANDOSI DI UN MATERIALE MODERNO,
LA MESSA IN OPERA RICHIEDE ANCORA L’ABILITÀ DI UN POSATORE
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“IL PROGETTO VUOLE ESSERE UNA REINTERPRETAZIONE DELLE ANTICHE DIMORE DI CAMPAGNA TOSCANE IN CUI IL DISEGNO DELLE COLTIVAZIONI, IN QUESTO CASO I VIGNETI, ERA PARTE INTEGRANTE DEL DISEGNO ARCHITETTONICO”.
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Petra, come “pietra” in latino. Come la solidità dell’impegno su cui hanno fondato il loro progetto Francesca e Vittorio Moretti, figlia e padre. Come i frammenti ritrovati in questi suoli a testimonianza di un lontano passato che dalla civiltà micenea conduce sino all’Etruria e da questa alla Francia. Come la pietra sacra del genius loci, lo spirito del luogo che è stato qui in-dagato, interpretato e infine narrato attraverso l’esperienza dei sensi ap-plicata al risultato e coincidente con i vini: Petra IGT Toscana, Ebo Doc Val di Cornia DOC, Quercegobbe Igt Toscana, Zingari Igt Toscana ed un pregiato olio extravergine d’oliva.
Un progetto ambizioso che preten-de di interpretare il territorio, coglierne i caratteri che lo rendono unico facen-done un’area viticola eccezionale. Per esserne all’altezza, Vittorio Moretti ha affidato l’indagine agronomica al prof. Attilio Scienza, massimo esper-to di zonazione, mentre la struttura è stata progettata da Mario Botta che ha attribuito alla cantina lo status di una vera e propria architettura del lavoro e
dell’accoglienza. Il progetto dell’azienda Petra è la
”messa in forma” di uno schema ini-ziale che Vittorio Moretti, imprenditore e produttore, ha affidato all’architetto Mario Botta.
Questo schema prevedeva una di-stribuzione degli spazi e delle funzioni secondo il ruolo che Vittorio Moretti attribuisce ad una cantina. Nel suo pensiero, essa è prima di tutto luogo di trasformazione e di invecchiamento, ma anche luogo di accoglienza e quindi di scambio di culture e di esperienze. Non da ultimo, è veicolo di comunica-zione dei valori dell’azienda, del vino e del produttore.
Per questo motivo, Petra può essere definita un’architettura al servizio del-le esigenze tecnologiche ed espressive del produttore. L’aspetto sorprendente è la conferma dell’attualità di un prin-cipio che ha regolato la grande archi-tettura in ogni tempo:
IL RAPPORTO CON L’AMBIENTE E CON LE FUNZIONI DI LAVORO E DI VITA È LA CONDIZIONE FONDANTE DI UN’ARCHITETTURA DI QUALITÀ.
PETRA È STATA PROGETTATA DALL’ARCHITETTO SVIZZERO MARIO BOTTA, PER LA PRIMA VOLTA IMPEGNATO A TROVARE UNA SOLUZIONE COSTRUTTIVA CHE ESPRIMESSE AL MEGLIO LE ESI-GENZE DI UNA CANTINA. IL SUO PROGETTO SI PRESENTA CON LA FORTE IMMAGINE PLASTICA DI UN CILINDRO IN PIETRA SE-ZIONATO CON UN PIANO INCLINATO PARALLELO ALLA COLLINA E DUE CORPI EDILIZI PORTICA-TI AI LATI. “IL PROGETTO – DICHIARA MARIO BOTTA - VUOLE ESSERE UNA REINTERPRETA-ZIONE DELLE ANTICHE DIMORE DI CAMPAGNA TOSCANE IN CUI IL DISEGNO DELLE COLTIVAZIONI, IN QUESTO CASO I VIGNETI, ERA PARTE INTEGRANTE DEL DISEGNO ARCHITETTONICO”. IL CILIN-DRO IN PIETRA DEL CORPO CENTRALE È INFATTI CIRCONDATO DA UNA ZONA VEGETATIVA CHE CREA UN EFFETTO CROMATICO MUTEVOLE A SECONDA DELLE STAGIONI. NEL COMPLESSO, L’EDI-FICIO SI CONNOTA COME UN “GRANDE FIORE” CHE SI ESTENDE LUNGO TUTTA LA COLLINA RIDEFINENDONE IL PAESAGGIO. PER LA COSTRUZIONE, MARIO BOTTA SI È AVVALSO DEL SUPPORTO DELLO STAFF TECNICO DELLA DIVISIONE EDILIZIA DEL GRUPPO MORETTI CHE HA CURATO ED ESEGUITO INTERAMENTE IL PRO-GETTO DI FABBRICAZIONE. NELL’AZIENDA PETRA, VITTORIO MO-RETTI HA RICERCATO L’IDEALE EQUILIBRIO TRA LA NECESSARIA QUALITÀ PRAGMATICA DI UN EDIFICIO CREATO AD ESATTA MISURA DEL CICLO PRODUTTIVO E L’ASPETTO ESTETICO DI UN LUOGO CHE NASCE COME ESPRESSIONE E DISVELAMENTO DEL TERRITORIO DA CUI TRAE IDENTITÀ. UN ENTUSIASMANTE PERCORSO CHE IN UN SOLO PROGETTO HA VISTO LA SINTESI ESPRESSIVA DI UN IM-PEGNO IMPRENDITORIALE CHE VITTORIO MORETTI HA PROFUSO CON LA STESSA COERENZA DI INTENTI NEL CAMPO DELLE CO-STRUZIONI COSÌ COME NEL COMPARTO VITIVINICOLO.
MARIO BOTTALUGANO, AGOSTO 2003
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PETRA: IL PROGETTO ARCHITETTONICO
IL RAPPORTO CON L’AMBIENTE E CON LE FUNZIONI DI LAVORO E DI VITA È LA CONDIZIONE FONDANTE DI UN’ARCHITETTURA DI QUALITÀ
UNA CANTINA A SUVERETO
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LA TRAMA GEOMETRICA DELLA VIGNA CONTRASTA L’ANDAMENTO OROGRAFICO ONDULATO DEL SUOLO SOVRAPPONENDO UN DISEGNO RAZIONALE CHE EVIDENZIA LA MISURA, LA BELLEZZA, LA PROFONDITÀ DEL PAESAGGIO.
Quando Vittorio Moretti mi chiese di di-segnare questa cantina per i nuovi vigneti di Suvereto, mi è parso di capire che, al di là degli aspetti funzionali, cercasse soprat-tutto un’immagine capace di comunicare la passione e l’impegno necessari a sorreggere questa sua avventura.
Produrre un buon vino, estrarre dal-la terra e dal sole il meglio di quanto sia possibile è un impegno che ha ac-compagnato la sto-
ria dell’uomo. Il confronto con la terra nel tentativo di piegarla ai propri intendimenti è un lavoro che chiede dedizione, fatica, com-petenze.
Coltivare la vigna impone una visione di ampio respiro che si prolunga nel tempo sull’arco di alcuni decenni, richiede un con-trollo del paesaggio dove il territorio interes-sato non tollera incertezze o approssimazio-ni. Le nuove colture, nell’allinearsi rigoroso in filari, esigono tracciati geometrici precisi, interassi regolari fra i vitigni, inclinazioni del suolo e orientamento controllati.
I vigneti hanno una straordinaria capacità di incidere sul disegno della campagna con i loro reticoli geometrici inattesi che danno ordine e leggibilità ad un territorio a volte disordinato e incerto. La trama geometrica della vigna contrasta l’andamento orografico ondulato del suolo sovrapponendo un dise-gno razionale che evidenzia la misura, la bel-lezza, la profondità del paesaggio.
È nella prospettiva di un simile riordino del territorio ai piedi della campagna collina-re di Suvereto che ho intrapreso il progetto per questa nuova cantina.
Ho immaginato il nuovo intervento inserito nelle pendici della montagna con il solo fron-te a valle fuori terra posto su un pianoro al-lungato dove si svolgono le attività di ingresso immerse fra le vigne che lo accolgono.
L’allineamento del fronte costruito se-gna il cambiamento di direzione dei vigneti; perpendicolari alla costruzione sulle pendici della collina retrostante e ordinati secondo filari posti a quarantacinque gradi nei terri-tori dalla pianura a valle; è la posizione della costruzione che articola il cambiamento del disegno dei filari. Il fronte allungato orizzon-tale dell’edificio a un solo piano fa sì che la profondità del volume resti nella collina, dove il terreno è riordinato secondo la pendenza naturale.
Al centro del lungo fronte costruito si innalza dalla quota di ingresso, un volume
cilindrico rivestito di pietra che nella parte superiore è sezionato con un piano inclina-to parallelo alla collina. È questa del cilindro sezionato un’immagine forte che si presenta come anello di pietra sopra il territorio colti-vato, una presenza inattesa, un volto geome-trico, totemico nuovo e nel contempo arcaico, facilmente leggibile, quasi fosse un logo, an-che da lontano; una forma compiuta, un’im-magine che per la perentorietà del disegno plastico contrasta l’andamento della superfi-cie ondulata dei vigneti che lo circondano.
Il cilindro accoglie all’interno le attività di ingresso e al centro i serbatoi della vinifica-zione (bellissimi nel loro acciaio rosettato) e ai livelli superiori l’arrivo dell’uva vendem-miata, la zona di pigiatura e le attività legate alla produzione e ai controlli.
Al pianoterra, nella profondità oltre il cuo-re centrale e lo spazio riservato alle botti in rovere per l’invecchiamento del vino, Vittorio Moretti ha voluto una lunga galleria che pe-netra la montagna fino ad arrestarsi di fronte ad una parete di roccia dove nel cuore della collina diviene un luogo conclusivo, uno spa-zio di incontro o forse di riflessione lontano
dal cuore tecnico di produzione delle stanze iniziali. È questa galleria un percorso miste-rioso che porta idealmente verso il ventre della montagna, un cordone ombelicale che ci lega alla terra madre.
Ora, ricordo uno schema che Vittorio Mo-retti mi aveva portato al momento dell’im-postazione del progetto; uno schizzo con appuntato un cerchio con ai lati due braccia rettangolari. È esattamente quanto il proget-to ha elaborato nel disegno finale; la canti-na di Suvereto è la messa in forma di quello schema iniziale.
Talvolta, anche le immagini che a prima vista appaiono sorprendenti e misteriose nascono dall’incontro fra un segno semplice primario e il filtro di una memoria ancestrale che d’improvviso riconosciamo come un va-lore che ci appartiene e nel quale ci identi-fichiamo.
Forse, fra le qualità più sorprendenti e fra i segreti più preziosi dell’opera di architettu-ra dobbiamo annoverare quella particolare capacità di dare immagine anche a quelle emozioni sfuggevoli e incerte che tessono il territorio della memoria.
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In occasione del progetto della Bir-reria Splügen Bräu del 1960 a Milano, Achille Castiglioni affermava che questo locale avrebbe dovuto essere «molto milanese», e siccome secondo lo stes-so architetto «i milanesi sono bauscia e gli piace farsi vedere», questi andavano messi in vetrina.
La birreria, ristorante e tavola calda, distrutta nei primi anni Ottanta, era sorta a Milano, in corso Europa, al piano terra di una costruzione di Luigi Caccia Domi-nioni.
L’insegna esterna, luminosa e di-sposta in verticale, era stata disegnata da Max Huber, autore tra l’altro di tutta la parte grafica del locale, dalle iscrizio-ni sulle posate, sui bicchieri e sui piatti, sino all’impaginazione delle liste dei vini e del menù.
Una perfetta fotografia del locale può essere ricavata dalla descrizione che Lo-renzo Berni fece su Panorama il 10 ago-sto 1981: «Così la memoria, nella birre-ria Splügen, correva su un immaginario vagone ristorante in cui gli alti schienali delle panche delimitavano lo spazio for-mando a un tempo separées e piccoli palchi: lo stare, il parlare, il cibo con i
tavolini disposti su tre livelli diversi ri-acquistavano una loro ancestrale dimen-sione di spettacolo. Nel raffinato vagone dai listoni di noce, dalle lastre di trachite intarsiate con ardesia grigia, dagli ottoni lucidati alle formelle in ceramica fino alla famosa lampada dal riflettore metallico a sezione ondulata...».
La lampada a cui ci si riferisce è ap-punto la lampada poi prodotta in serie a partire dal 1961, con il nome di Splügen Bräu.
Nata per risolvere le esigenze speci-fiche dell’illuminazione dei tavoli, è sta-
ta pensata con un riflettore in alluminio lucidato ondulato per poter massimizza-re la superficie disperdente del calore. Grazie alle camere d’aria che venivano a formarsi all’interno del riflettore stesso, era così possibile ridurre notevolmente il surriscaldamento della sorgente lumi-nosa. Questa particolare conformazione del riflettore ha peraltro contribuito a renderla perfettamente riconoscibile, tanto da risultare un vero e proprio clas-sico dell’illuminazione a sospensione da tavolo, ancora oggi ricca di fascino ed appeal.
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L’OGGETTO, PRODOTTO IN SERIE DAL 1961, PRESE IL NOME DALLA BIRRERIA MILANESE
ERA NATA PER RISOLVERE LE ESIGENZE SPECIFICHE DELL’ILLUMINAZIONE DEI TAVOLI
QUEL «RIFLETTORE METALLICO» COSÌ RICCO DI FASCINO
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Sono oggetti che si differenziano, pensati per dare benessere a chi li vive, con un occhio all’estetica e all’influenza che esercitano sulle persone. Nascono così gli arredamenti, gli oggetti design, i complementi di illuminazione ideati da Olfing, giovane azienda bresciana nata formalmente agli inizi del 2009, ma forte di un’esperienza decennale nel campo della progettazione di arredi.
«Cerchiamo di offrire lavori sempre esclu-sivi, sviluppati e personalizzati sull’esigenza del
cliente, e adattati all’ambiente in cui dovranno “vivere”», dice l’architetto Massimo Palazzani, socio titolare di Olfing.
Il segreto, alla fine, sta tutto nella soddi-sfazione del cliente: «E’ nel piacere dei fruitori che abbiamo la prova di aver centrato l’esigenza pratica di funzionalità con l’aspettativa estetica». La filosofia che si nasconde dietro i tavoli che abbinano la calda maiolica con l’acciaio non trattato, dietro i decori, i materiali e i disegni degli arredi è quella del «piacevolmente bello»,
sensazione trasmessa da un mobile che sappia abbinare un piacere estetico a quello offerto dal comfort.
Olfing cura la progettazione degli arredi e ne segue la realizzazione, affidata a selezionate dit-te o a realtà artigianali, puntando ad intercettare in anticipo tendenze e linee creative.
L’ARREDAMENTO «PIACEVOLMENTE BELLO»L’AZIENDA DI VIA PUSTERLA
CURA LA PROGETTAZIONE DEGLI ARREDI E NE SEGUE
LA REALIZZAZIONE
LISA CESCO
51Su questa lunghezza d’onda sono nate, ancora un
decennio fa, le creazioni con riccioli in ferro verniciato, secondo un gusto neo-barocco che andava in contro-tendenza rispetto alle linee essenziali, minimal e hi-tech allora in voga, offrendo un messaggio di rotondità e piacere che reinterpretava nel moderno le forme del passato, e che di lì a qualche anno si sarebbe afferma-to nel gusto diffuso.
«Ora i percorsi di ricerca che stiamo seguendo guardano all’anima che è dentro gli oggetti, per interpretarli secondo un’estetica nuova, esplorando
la perfezione nel moderno, nell’essenza minimale del materiale», spiega Palazzani.
Fra i materiali si spazia dalla maiolica di tradizione antica al moderno plexiglas, con una particolare atten-zione al disegno - che diventa l’elemento caratteriz-zante del mobile o dell’oggetto - e all’interazione che si creerà fra gli arredi e la persona che li abita.
Così sono stati ideati, ad esempio, letti come la serie «Metamorfosi», che nella testata imbottita dalle diverse forme - raccolta in un «Abbraccio», sfilata nelle «Fiamme», riappacificante come un «Orizzonte» oppure «Arabeggiante» - vuole creare emozioni, quasi in una sfida giocosa con il fruitore, chiamato a sceglie-re lo stato d’animo in cui si riconosce di più.
Fra le esperienze di arredo complessivo di spazi interni va invece annoverato il progetto realizzato a Milano, in via Savona, su locali di rappresentanza che fungono come spazio per l’esposizione fuori Salone del mobile: in questo caso la scelta è stata quella di intervenire arredando in modo neutro, lavorando su pavimenti, illuminazione, finiture della volta, per con-sentire allo spazio di accogliere di volta in volta i diversi stili delle esposizioni di mobili.
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Sono stati progettati da Olfing i tavoli che face-vano bella mostra nelle conferenze stampa della Nazionale di calcio durante la Confederation Cup di questa estate. In base ad un accordo con la FIGC i tavoli, realizzati con una struttura in ferro bianco e un piano trasparente in plexiglas, e impreziositi dallo scudo simbolo dell’Italia, saranno utilizzati a Casa Azzurri anche durante i Mondiali di calcio in Sudafrica nel 2010, dove serviranno per le conferenze stampa e le intervi-ste ai giocatori. Nel piano di sviluppo di Olfing c’è anche l’idea di aprirsi a collaborazioni con archi-tetti, designer e studi professionali, per curare progetti di arredamento di realtà commerciali o direzionali. Olfing punta anche ad allargare la propria attività fuori provincia: in questa prospet-tiva verrà presentato a breve il catalogo completo della produzione che illustra filosofia, attività e prodotti dell’azienda.
IL TAVOLO DELLA NAZIONALE DI CALCIO
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Il futuro presente si è consumato a Faenza tra il 23 e il 25 maggio 2008: il festival dell’arte contemporanea che si è svolto nella cittadina ravennate e che ha visto numerosi tra critici, artisti, architetti, progettisti e aman-ti del settore animare le strade del centro fino a tarda sera.
L’evento d’apertura della manifestazione è stata una cena a cui Mario Nanni ha partecipato in qualità di progettista di luce e di buongustaio.
Nel salone delle bandiere del Comune di Faenza, il cui progetto di allestimento è stato curato dall’architetto Gabriele Lelli, Mario Nanni ha abbinato una luce ad ogni piatto.
L’amore per il cibo e la capacità di leggere nell’arte culinaria una manifestazione della progettazione, sono stati tra gli spunti che hanno aiutato Mario Nanni a tro-vare la luce giusta per accompagnare la cena creata dal maestro Uliassi. Il progetto di luce ruotava attorno a quattro grandi messaggi: come si è accolti, dove ci si trova, con chi ci si trova, cosa si mangia.
L’ospitalità è un rito per il padrone di casa e Mauro Uliassi accoglie i suoi ospiti con la magia di una lanterna portata a mano: il capo chef e i suoi collaboratori alla luce mobile delle lampade in bronzo di Viabizzuno che oscillavano al ritmo della loro andatura hanno accom-pagnato gli invitati al loro tavolo.
Il progetto strutturato da Mario Nanni prevedeva un climax ascendente nelle quattro fasi della serata. All’ac-compagnamento con la lanterna seguiva la luce posi-zionata solo sotto le sedute attorno ai tavoli in modo tale da inquadrare appena i tratti del luogo, sempre fedeli al concetto di accoglienza, e questa luce veniva accesa dai camerieri quando si prendeva posto a tavola.
La messa a fuoco continuava con la luce posizio-nata al centro del tavolo, che permetteva di scrutare e conoscere i volti dei compagni di cena; nel momento in cui gli ospiti si accomodavano si accendevano le lampa-de da tavolo: la vela, la scatola della luce, la lanterna a seconda del tavolo in cui ci si sedeva.
La luce più diffusa entrava in scena solo con la pri-
ma portata: dall’alto delle tessere montate a parete si apriva un fascio di luce che inquadrava la circonferenza dei tavoli rotondi, proprio come se gli stessi tavoli fosse-ro il piatto di portata.
La luce ha espresso quindi la messa a fuoco sem-pre più precisa dei momenti e delle azioni enfatizzandoli e impreziosendoli, fino ad arrivare a raccontarli con la luce della liv che compariva a soffitto nel periodo ma-gico del cambio di portata. Quando veniva servita la pie-tanza si innescava l’ombra di luce della liv, che copriva con i suoi riflessi di luce bianca l’intero banchetto: lam-padine vaganti, lucciole colorate, riflessi di acqua e di luce sfondavano il soffitto della grande sala e davano il giusto tono onirico e di aspettativa che contraddistingue l’attesa di ogni cambio di portata.
Cibo e luce in sintonia, ritmo di sapori e di colori, danza di movimenti tra camerieri e ombre: questo è sta-to il gusto della cena del 23 maggio.
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L’AMORE PER IL CIBO E LA CAPACITÀ DI LEGGERE NELL’ARTE CULINARIA UNA MANIFESTAZIONE DELLA PROGETTAZIONE, SONO STATI TRA GLI SPUNTI CHE HANNO AIUTATO MARIO NANNI A TROVARE LA LUCE GIUSTA PER ACCOMPAGNARE LA CENA CREATA DAL MAESTRO ULIASSI.
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La fantasia abbinata alla sapienza costruttiva, la creatività mai disgiunta da una solida conoscenza dei materiali e delle tecni-che sono la modalità operativa prediletta da “Creazioni” Srl, impresa di costruzioni edili e ristrutturazioni.
Fin dall’inizio l’impegno del gruppo si è rivolto alla soddisfazione di tutte le richieste,
anche le più esigenti, e questa è diventata una sorta di “missione”, che viene realizzata con regole ferree e passi precisi: “Cerchiamo innanzitutto di capire le esigenze del cliente, i suoi gusti, cosa piace e cosa no, perché sono questi i cardini essenziali attorno a cui ruota
l’opera di progettazione”, spiega Domenico Pisciali, titolare di Creazioni insieme a Ivan Begni. Poi si inizia con le prime bozze di progetto, i rendering per far capire come sarà il lavoro compiuto, mostrando i materiali che si andranno ad usare, scegliendo insieme i campioni di pittura, in modo che il cliente possa accostarsi quasi “fisicamente” all’ope-
ra da realizzare. “Nel progettare un’abitazione bisogna
usare la fantasia, ma anche la conoscenza dei materiali e delle tecniche: oggi i prodotti e le tipologie di costruzione sono tantissime e in continuo cambiamento, ma tutto ciò che
FANTASIA E “TECNICA”, ABBINATA VINCENTE
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proponiamo è stato prima testato da noi, grazie alla conoscenza maturata quotidianamente sui cantieri”.
Secondo questa filosofia è stato realizzato uno dei più recenti interventi di Creazioni, la ri-strutturazione di una casa in centro storico a De-senzano, al terzo piano di una palazzina edificata 35-40 anni fa. L’interno è stato completamente reinventato “giocando” con materiali nuovi e pre-giati: per il rifacimento dei pavimenti (realizzati da Edilravera) di cucina, soggiorno e bagno è sta-to impiegato super gres che ha una resa analoga alla pelle, rendendo gli interni caldi e accoglienti. Nelle due camere, invece, si è optato per listoni di parquet in rovere sbiancato, mentre in bagno l’attenzione ai dettagli si è concentrata sul piatto doccia con mosaico in foglia d’oro, che riprende l’andamento delle mattonelle, con un’alternan-za di file in pelle e file a mosaico. A completare
l’insieme sono i sanitari molto tecnici, proposti dal gruppo Coma, che fanno del bagno la stanza più avanguardistica.
“Trattandosi di un appartamento a tetto, abbiamo sfruttato le particolari pendenze usando controsoffittature per creare forme geometriche all’interno delle stanze: la parte centrale del soffitto è stata resa piatta e valorizzata da colori più carichi e da faretti, mentre nel perimetro cir-costante sono state lasciate le tipiche pendenze a tetto e si sono mantenute tonalità cromatiche più neutre”.
Nel rinnovamento della casa un ruolo da protagonisti lo hanno avuto i colori, attraverso le diverse cifre cromatiche delle pareti, che vanno dal panna all’argento, dal grigio all’oro, rese me-diante pitture con resine perlescenti che vengono lavorate sia a spatola che col pennello, per dare toni luministici ed effetti diversi.
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SOLUZIONI INNOVATIVE, “GIOCANDO”
CON MATERIALI NUOVI E PREGIATI
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TRA GLI INTERVENTI PIÙ RECENTI, LA RISTRUTTURAZIONE DI UNA CASA IN CENTRO STORICO A DESENZANO
Fiore all’occhiello dell’abitazione, il terrazzino da 20 metri quadrati con vista mozzafiato sul lago di Garda è stato comple-tamente riprogettato con pavimento in teck - la stessa tipologia di legno che si usa per l’esterno delle navi - una zona d’ombra con piccolo giardino e, per illuminare l’insieme, dei led a pavimento che creano un’atmosfera suggestiva, cui contribuisce anche l’arredo con soffici divani bianchi. A fare da pendant interno è l’ampio finestrone con vista lago, che è stato valorizzato con una nuova ripar-tizione degli ambienti, in cui la cucina è stata resa più spaziosa e impreziosita da arredi sulla tonalità bianco laccato, con finiture degli sportelli di apertura in foglia d’argento realizzate dallo studio “Visioni” di Guidizzolo (Mantova), che ha condiviso il progetto di
ristrutturazione con Creazioni e fornito anche gli arredamenti.
Ad esaltare le scelte stilistiche degli in-terni è la luce, che filtra da impianti appositi e da faretti a incasso curati da Zani e Ranze-nigo, e che diventa l’elemento vivificante dei dettagli. “Il bello si palesa grazie alla giusta luce, diversamente certe sfumature o parti-colari sfuggono allo sguardo, e l’intero lavoro risulta diverso”, spiega Pisciali.
Dal punto di vista tecnico, invece, è innovativa la soluzione adottata per il riscal-damento e raffreddamento degli ambienti, tramite impianto a soffitto con bocchette d’aria, che consente di scegliere temperature diverse in ciascuna stanza.
Per dare un saggio di questa e delle molte altre attività svolte, Creazioni sarà pre-
sente alla manifestazione Progetto Casa alla fiera del Garda di Montichiari, dal 19 al 21 e dal 24 al 27 settembre, con uno stand di 140 metri quadrati, “il doppio rispetto a quello dello scorso anno - osserva Pisciali -. Come impresa di costruzioni sarà l’occasione per presentare il nostro gruppo, tutti gli interven-ti in cui siamo specializzati, dalla costruzione alla ristrutturazione di case, appartamenti, uffici, cui vanno aggiunti finiture, pavimenti, luci, controsoffitti e complementi d’arredo, grazie alla collaborazione avviata con aziende del territorio”.
Nel 2008, al suo esordio in fiera, Crea-zioni ha riscosso un grande successo di pub-blico - con visitatori competenti ed esigenti - che quest’anno punta a replicare.
Su speciali cubi girevoli i visitatori
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“Creazioni” Srl è un’impresa di costruzioni e ristrutturazioni che ha sede a Ghedi, in via Garibaldi 19, ed è stata fondata nel 2005 da Domenico Pisciali e Ivan Begni, forti della loro esperienza pluriennale nel settore edile. Progettare, costru-ire e realizzare sono le tre finalità principali del gruppo, che si declinano su diversi scenari, dalle ville agli appartamenti privati, dai negozi agli uffici, dalla piccola ristrutturazione di case consumate dal tempo alla costruzione ex novo di immobili di prestigio. Grazie a un gioco di squadra cui collaborano figure professio-nali specializzate nei diversi settori, l’attività di Creazioni spazia dai lavori edili in genere alla progettazione, la consulenza, gli arredamenti con rendering. Al centro viene sempre posto il cliente, con cui ci si confronta passo dopo passo in tutti i momenti dell’intervento, che vanno dalle prime bozze di disegno alla scelta di finiture e materiali, fino al risultato finale della casa arredata in ogni particolare.
PROGETTARE,COSTRUIRE,REALIZZARE
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UNO STAND A PROGETTO CASA, PER “TOCCARE CON MANO” TUTTE LE COMBINAZIONI POSSIBILI
potranno “toccare con mano” le diverse lavora-zioni e i materiali, mentre in alcuni spazi verranno ricreati ambienti come cucine e interni, soffitti e pavimenti, per vedere l’effetto reale delle diverse soluzioni realizzative adottate, spiegate attraver-so schermi video con immagini. Il punto di forza dell’allestimento sarà lasciare libero il visitatore di osservare, toccare e abbinare i diversi materiali nelle molteplici combinazioni possibili, sperimen-tando un’interattività che nei tradizionali show room non è tradizionalmente contemplata.
Il cuore dello stand sarà lo spazio centrale, dominato da un grande tavolo in ferro su cui ci si potrà sbizzarrire combinando diverse piastrelle e coperture. Sempre con lamine di ferro sarà un’in-solita pavimentazione, su cui verranno applicate foto resinate per meglio orientare i visitatori alla scoperta di spazi e proposte.
Oltre alla competenza e alla preparazione tecnica, uno dei punti di forza delle proposte di “Creazioni” è il lavoro di gruppo con cui vengono studiati gli interventi, per offrire soluzioni “chiavi in mano” curate nei minimi dettagli. Fondamentale, quindi, è lo scambio di esperienze e la collabora-zione a livello tecnico e ideativo avviata con diverse realtà del territorio, che saranno presenti nello stand di Creazioni in fiera a Montichiari. Fra queste lo studio atelier d’interni “Visioni” di Guidizzolo (Mantova), esperto nelle rifiniture, decorazioni e soluzioni di arredamento, e la Tekno Pitture di Volta mantovana, specializzata nelle tinteggiature. Parte essenziale del team di lavoro sono la Edilravera di Villanuova sul Clisi, specializzata nella realizzazione di pavimenti e rivestimenti, la Edilgarda di Padenghe che collabora per tetti in legno, gazebo e pavimenti in legno, l’azienda Coma di Bedizzole, che cura gli impianti idro termo sanitari e l’arredobagno, Sistemi Italia di Rezzato, realtà esperta nella carpenteria in ferro, l’azienda Zani e Ranzenigo di Collebeato che cura l’illuminazione.
L’IMPORTANZA DEL “LAVORO DI GRUPPO”
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Quante cose al mondo puoi fare? Costruire? Inventare? Ma tro-va un minuto per me!
Chi non ricorda questo jingle utilizzato per un noto spot televisi-vo? Si tratta dello spot pubblicita-rio della Cedrata Tassoni, bevanda analcolica dal caratteristico e ri-conoscibile colore giallo, prodotto dalla Cedral Tassoni, che ha sede in Salò.
Lo spot, oltre ad essere molto famoso, è anche il secondo più lon-gevo ad oggi della televisione italia-na. Il primo spot girato per Carosel-lo e in onda dal 1973 al 1977 aveva per motto «è buona e fa bene» e aveva Mina come testimonial, che ha prestato voce ed immagine. Mina in quegli anni era famosissima, aveva appena partecipato a «Mille-luci» (1972) ed era molto presente su radio e media.
La campagna pubblicitaria che è più rimasta impressa è tuttavia quella degli anni ‘80 «per voi e per gli amici Tassoni» (stesso claim del 1977).
Il jingle, composto da Massi-miliano Pani, è rimasto lo stesso,
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CEDRATATASSONI:LA BEVANDA DI CULTO DAL RICONOSCIBILE COLORE GIALLO
GIULIANO VENTURELLI
IL CELEBRE SPOT È IL SECONDO PIÙ LONGEVO DELLA TELEVISIONE ITALIANA
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anche se dal 1987 non è più cantato da Mina, che in quell’anno firmò un contratto in esclusiva per una nota marca di whisky.
Il jingle fu affidato da Massimi-liano Pani ad una corista, Simonet-ta Robbiani, la cui voce ricordava molto quella di Mina; in tempi più recenti la voce utilizzata è stata quella di Giulia Fasolino.
Oltre a questi aneddoti però va ricordato che la Cedrata Tassoni vanta una lunga storia. Inoltre, ol-tre ad essere un prodotto, è anche un marchio, tanto da essere stata oggetto di studio in una tesi all’Uni-versità di Pavia (anno 2005/2006) in cui si proponevano strategie per il rilancio della cedrata.
Un grande interesse dunque at-torno a questa bevanda che più che una bibita sembra essere un vero e proprio oggetto di culto.
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MINA COME TESTIMONIAL PRESTO’ LA SUA VOCE E LA SUA IMMAGINE
GIÀ NEL XVIII SECOLO ESISTEVA IN SALÒ, IN LOCALITÀ PIAZZOLLA, LA SPEZIERIA BARBALENI, CHE REALIZZAVA, MEDIANTE SAPIENTE DISTIL-LAZIONE DI INFUSI IDROALCOLICI DI SCORZE E FRUTTI DI CEDRO, GLI ALCOLATI DI BASE INDISPENSABILI PER LA PREPARAZIONE DELLA PRO-PRIA SPECIALITÀ GALENICA, IL LIQUORE ACQUA DI TUTTO CEDRO A GRA-DAZIONE MODERATAMENTE ALCOLICA.AD INIZIO SECOLO LA SPEZIERIA DIVIENE FARMACIA E NEL 1868 È AC-QUISTATA DAL MARCHESE NICOLA TASSONI, CHE LA TRASFORMA IN STABILIMENTO FARMACEUTICO. NEL 1884 LA PROPRIETÀ PASSA A PA-OLO AMADEI, CHE DECIDE DI DARLE UN PRIMO PIÙ AVANZATO CARAT-TERE INDUSTRIALE. DIVIDE INFATTI LA FARMACIA DALLA DISTILLERIA E DA LUI PERTANTO, INTERPRETE DELLE SECOLARI TRADIZIONI, PRENDE IMPULSO A FINE SECOLO LA «CEDRAL TASSONI», DESTINATA A DIVENIRE UN’AZIENDA ALIMENTARE ATTENTA A TUTTE LE POSSIBILI SOLUZIONI OFFERTE DAL FRUTTO DEL CEDRO E DI CUI L’ACQUA DI TUTTO CEDRO RAPPRESENTA LA PRIMA GENITURA.
DALLA SPEZIERIA BARBALENI ALLA FARMACIA DEL MARCHESE TASSONI
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Le trasparenze del vetro, la solidità dell’acciaio, le suggestioni della luce sono il segno qualificante del complesso «Brise Soleil», un edificio che gioca con i riflessi del sole già nel nome, che si richiama ai frangisole, elementi-chiave della cifra architettonica della struttura.
Il progetto, promosso dalla società «CN Immo-biliare» dei soci Cibaldi e Nember, si è sviluppato su via Triumplina dove un tempo esisteva un vecchio capannone (dinanzi all’ex Idra), demolito per costruire il nuovo edificio polifunzionale a destinazione com-merciale, direzionale e ricettiva.
Di forma cubica, la struttura ormai ultimata si
estende su una superficie complessiva di 9 mila metri quadrati fuori terra distribuiti su tre piani (e circa 7 mila nei due piani interrati adibiti a parcheggio). Le facciate esterne risaltano per le lastre di vetro a co-pertura dell’edificio, pensate, come spiega l’architetto progettista Giordano Pedrazzoli, «per dare un senso tecnologico al complesso: non a caso l’edificio sorge in una zona altamente tecnologica, che richiama la tradizione delle ferriere e dei nostri materiali tipici, come l’acciaio e il vetro».
Ad impreziosire la struttura esterna con rive-stimenti in vetro, infatti, sono solide lame in acciaio che sostengono i pannelli frangisole orientabili e la
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BRISE SOLEIL, L’EDIFICIO CHE «GIOCA» CON IL SOLE
CN IMMOBILIAREDI CIBALDI E NEMBER
IN VIA TRIUMPLINA, DOVE UN TEMPO SORGEVA UN VECCHIO CAPANNONE, ORA È NATO UN NUOVO EDIFICIO TECNOLOGICO
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LA STRUTTURA DI ESTENDE SU UNA SUPERFICIE DI 9 MILA METRI QUADRI FUORI TERRA, DISTRIBUITI SU TRE PIANIgronda.
Già nei dettagli esterni è possibile decifrare le priorità su cui è stato plasmato l’edificio, che sono la funzionalità, il comfort, la versatilità, senza rinuncia-re ad un’immagine di modernità che strizza l’occhio alle linee di design. «L’idea progettuale è nata dalla “funzione”, e quindi dalla ricerca della collocazione ottimale delle diverse destinazioni», dice il proget-tista.
Seguendo questo criterio il piano terra ospita un’ampia piastra commerciale da 3500 metri quadrati per negozi e attività correlate. Un enorme scalone conduce al primo piano, dove sono situati una struttura ricettiva con ristorante e servizi, oltre a qualche unità direzionale, che si snodano attorno a una grande piazza coperta di circa 800 metri quadrati, dell’altezza di 8 metri, sormontata da una cupola di vetro che offre una particolare fonte di luce dall’alto. La piazza interessa due piani, il primo e il secondo, quest’ultimo interamente dedicato alle attività direzionali, per le quali sono state studiate particolari soluzioni distributive che assicurano la massima autonomia e indipendenza degli spazi dalle destinazioni limitrofe. Un’attenzione speciale è stata dedicata all’isolamento acustico, sia con l’esterno che fra una unità e l’altra, grazie a vetrate isolanti e altri accorgimenti tecnici per garantire un ottimale schermo acustico.
«Nelle unità direzionali abbiamo privilegiato grandi open space e fonti di luce, a partire dalla scelta dei vetri - dice Pedrazzoli -. Soluzioni che conferiscono luminosità, comfort e vivibilità a un palazzo di prestigio che ha come valore aggiunto
due peculiari punti di forza: la massima visibilità data dalla posizione sull’arteria urbana più impor-tante, dove passano ogni giorno 17-18 mila auto, e la vicinanza con il bacino d’utenza dell’Università, in particolare Ingegneria con cui l’edificio è collegato da un passaggio diretto».
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L’edificio polifunzionale «Brise Soleil» è stato realiz-zato nel pieno rispetto della normativa sul risparmio energetico, grazie all’impiego di materiali e procedi-menti tecnici (come l’ampio spessore di coperture e tetto) che assicurano il corretto isolamento termico della struttura. Soluzioni innovative sono state spe-rimentate nella scelta dei vetri di rivestimento, dotati di filtri selettivi a controllo di calore e schermati dai frangisole.Peculiare il sistema di riscaldamento, con la diffu-sione di aria calda e fredda dal soffitto, oltre che di aria primaria purificata, un’opzione che consente la massima praticità e funzionalità (l’edificio è collega-to al teleriscaldamento). A contribuire all’isolamento delle unità direzionali sono anche i «pavimenti gal-leggianti», con la superficie calpestabile che poggia su speciali supporti che fanno da trait d’union fra solaio e pavimento, consentendo la massima flessi-bilità per far passare fili e impianti elettrici e posizio-nare le prese dove è necessario.
CAMMINANDO SUI «PAVIMENTI GALLEGGIANTI»
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Nella realizzazione di un modello ar-chitettonico occorre tener presente dal principio che la sua funzione è assolu-tamente determinante nella scelta del fattore di scala e dei materiali, nonchè della tecnica costruttiva e dei dettagli da evidenziare.
Una volta decisa la scala si passa ai materiali più idonei per la sua rappre-sentazione.
Materiali con superfici ruvide o ela-borate non sono adatti alla realizzazione di modelli in scale ridotte, 1:500 o infe-riore; un legno dalla venatura profonda ad esempio, impedisce la giusta lettura della base e della dimensione di un edi-ficio.
Texture leggere e toni chiari tenden-ti al bianco sono generalmente indicati per dar risalto alle forme tridimensionali della base.
In ogni caso è consigliabile provare colori e materiali all’inizio del processo di costruzione per stabilire quali siano i più consoni ad esprimere al meglio l’idea progettuale.
Nell’elaborazione di un modello si incontrano due fasi fondamentali dell’at-tività scultorea; queste si possono defi-nire come «l’arte del porre», legata alla manipolazione di creta e materiali affini, e «l’arte del levare», per quanto riguarda pietre, legno e materie dure.
Ne consegue che le metodologie co-struttive vengano così contraddistinte:
- per asportazione, scavando la base come fosse una scultura (plastici defini-tivi lavorati con CNC)
- per addizione, stratificazione di la-yer (plastici definitivi lavorati con mac-china Laser)
- per sezioni verticali, per coordinate di punti, ricoperti poi da una pelle/rive-stimento finale (soprattutto gli uso studio in materiale morbido: balsa, cartoncino, policarbonato; realizzati con CNC, Laser oppure manualmente).
I MACCHINARI IMPIEGATI NELLA LA-VORAZIONE PER ASPORTAZIONE
CNC: acronimo di Computerized Nu-merical Control, macchina a controllo numerico, indica la tecnologia che utiliz-za speciali microprocessori per il funzio-namento degli utensili.
Esistono tre tipi di CNC: uno che rea-lizza tagli a fresa, quello che li esegue al laser ed infine il plasma.
Le lavorazioni possibili con il primo tipo sono: fresatura e modellazione dalle forme più semplici a quelle più comples-se; realizzazione di stampi; ogni tipo di foratura, bassorilievo e incisione, anche da immagini fotografiche su piani curvi o inclinati per la resa di verde, mattonelle, cambi di pavimentazione, eccetera.
Essa consente una vasta gamma di opportunità nella realizzazione di plastici architettonici e urbanistici con curve di livello. Tutto ciò può essere ottenuto a partire da file CAD con rilievi (2D o 3D) o file di coordinate di punti.
Una volta approntati i file matematici per ottenere il percorso utensile, la lavo-razione viene eseguita in automatico.
Quasi tutti gli elementi che compon-gono un modello architettonico, disegnati con il CAD (Rhino, 3D Studio), piani, fac-ciate, strutture di edifici eccetera pos-sono essere così prodotti in tempi abba-stanza ridotti.
I vantaggi della CNC sono molteplici: alto grado di precisione e dettaglio, an-che per elementi complessi e nelle scale più piccole; la possibilità di riprodurre qualsiasi forma in qualunque scala.
Grande economia nell’uso dei mate-riali: grazie alla possibilità di posizionare al meglio tutti i pezzi nel disegno al cad x la succesiva produzione; lavorazione di quasi tutte le tipologie di materiali (dal polistirene, polistirolo ad alta densità, ai metalli, alle lastre poliuretaniche di resi-na, legno massiccio, plexiglas, grafite; ad esclusione del vetro e delle pietra); per-fezione dei pezzi e conseguente riduzione della manodopera nella loro finitura.
Si possono realizzare modelli a bloc-co pieno scavato dalla scala 1:5000 fino a 1:200.
Formati con uscita 3D leggibili dalla macchina: stl, dwg, iges, 3ds, parasolid.
Formati bidimensionali: dxf, eps, dwg.Con la lavorazione 3D si può ottene-
re un blocco unico già finito, con la 2D invece solo pezzi che dovranno essere successivamente assemblati. Queste la-vorazioni vengono eseguite da stampisti, per quanto riguarda la 3D; dall’incisoria in genere la 2D.
CNC LASER: asporta utilizzando il calore. Il laser opera molto più veloce-mente della fresa ed è in grado di di ese-guire tagli dai 3/10 di mm fino a 30 mm. Il taglio rimane lucido e gli spigoli risul-
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tano perfettamente a 90°, a differenza della CNC tradizionale in cui gli spigoli risultano sempre con un piccolo raggio. E’ possibile usare quasi tutti i tipi di ma-terie tranne quelle specchiate perchè ri-fletterebbero la luce e quindi sarebbero impossibili da lavorare.
Con il laser si possono eseguire mo-delli che vanno dalla scala 1:200 a 1:50. I formati leggibili dalla macchina sono quelli del CAD ma pure quelli di uscita di programmi grafici come CorelDraw.
Materiali: balsa, cartoncino, polisti-rolo, piombo...
CNC AL PLASMA: utilizza il principio del taglio termico; conferisce calore al materiale metallico fino a portarlo alla temperatura di fusione e rompere così la continuità della lamiera. E’ partico-larmente indicato per il taglio di lamiere sottili in acciaio inossidabile e leghe leg-gere, che grazie alla colonna di plasma sottile e penetrante, riesce a tagliare uti-lizzando potenze elettriche relativamen-te basse. Lo spessore minimo tagliabile è di 0,5 mm; inoltre non da deformazioni termiche sugli spessori sottili, permet-tendo di ottenere una buona qualità dei
tagli a costi contenuti.LAVORAZIONE PER ADDIZIONE.Oltre alla CNC a fresa, la Stereolito-
grafia è una tra le tecniche più diffuse di Prototipazione Rapida (RP). Il modello è ottenuto per sovrapposizione di piani. Il materiale utilizzato è una resina epossi-dica allo stato liquido, solidificata strato dopo strato per mezzo di un raggio la-ser.
La resina può essere: trasparen-te, colorata, caricata con varie polveri, ad esempio la polvere di alluminio per aumentarne la durezza. La porosità è sempre la stessa e la resina può essere verniciata. La RP è in grado di realizzare tutti i tipi di sottosquadri.
Per motivi di costi e di dimensione dei macchinari è indicata per plastici conte-nuti in 50 cm². Il formato usato è stl.
Si possono ottenere dettagli accurati poichè è possibile variare lo spessore dei layer da 0,05 mm a 0,025 mm.
Utilizzando un appropriato program-ma CAD, al file 3D vengono aggiunti dei sostegni e si procede alla suddivisione in una serie di sezioni 2D. Il processo vero e proprio avviene all’interno di una vasca
di resina liquida colpita da un raggio la-ser ad ultravioletti. Ogni sezione viene disegnata individualmente sulla superfi-cie della resina liquida fotosensibile. La resina si solidifica con l’esposizione alla luce UV (processo di polimerizzazione). Ad ogni strato successivo, la piattaforma della macchina si abbassa all’interno del-la vasca. Per evitare che il modello col-lassi all’interno della vasca, vengono co-struiti dei supporti realizzati con lo stesso procedimento.?Per ragioni di tempo di po-limerizzazione il laser non può solidifica-re integralmente la sezione, ma si limita al suo profilo ed ad un certo numero di li-nee che congiungono il perimetro interno con quello esterno. Al termine di questa fase, il particolare è solidificato all’ester-no ma non completamente all’interno. Il post-trattamento consente di completare il processo di polimerizzazione. Quest’ul-timo consiste nell’esposizione del model-lo ad una lampada ad ultravioletti. Com-pletato il post-trattamento si provvede all’asportazione dei supporti e alla finitu-ra del pezzo. Il risultato sarà un modello solido in resina, con una tolleranza di 0.1 mm dal modello CAD.
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NELL’ELABORAZIONE DI UN MODELLO SI INCONTRANO DUE FASI FONDAMENTALI DELL’ATTIVITÀ SCULTOREA; QUESTE SI POSSONO DEFINIRE COME «L’ARTE DEL PORRE», LEGATA ALLA MANIPOLAZIONE DI CRETA E MATERIALI AFFINI, E «L’ARTE DEL LEVARE», PER QUANTO RIGUARDA PIETRE, LEGNO E MATERIE DURE
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IL BENESSERE IN CASA, MOLTO PIÙ CHE UN «PROGETTO»E’ l’appuntamento che da tradizione
apre la stagione autunnale degli eventi espositivi del Centro Fiera di Montichiari, con le sue novità che non deludono mai i visitatori più attenti: Progetto Casa, la Fiera dell’arredamento, dei complementi d’arredo, dell’edilizia e del settore sposi tocca il traguardo della diciassettesima edizione e torna dal 19 al 21 e dal 24 al 27 settembre con le proposte più funzio-nali e moderne per vivere la dimensione dell’abitare.
Quest’anno il tema di ispirazione
dell’evento è l’attenzione al benessere nel-la casa, con la cura dei molteplici aspetti che possono rendere gli ambienti sempre più accoglienti, e fare dell’abitazione uno spazio rilassante, concepito a misura di chi lo vive, come antidoto a stress e ritmi concitati della modernità, promessa di ricarica dopo giornate di lavoro e impegni frenetici.
«L’approccio è di tipo tecnico e spi-rituale, per mettere a fuoco le modalità e i compromessi ottimali per star bene a casa», spiega Salvatore Culcasi, respon-
sabile commerciale del Centro Fiera di Montichiari.
Su una superficie di oltre 25 mila metri quadrati, accanto ai tradizionali espositori dedicati all’arredamento, dalle cucine alle camere e ai soggiorni, ecco quindi fare ca-polino saune, piscine da interno ed ester-no, proposte di domotica per facilitare la vita con automazioni nella casa - dalla luce all’impianto audio, dalla diffusione di profumi al riscaldamento e funzionamento delle cucine - dirette da un unico controllo.
Ci sarà poi uno spazio riservato al
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IL BENESSERE IN CASA, MOLTO PIÙ CHE UN «PROGETTO»feng shui e alla filosofia che insegna a star bene in casa, in sintonia con elementi naturali come le piante d’arredo. Saranno presenti gallerie d’arte che proporranno quadri e opere per personalizzare gli am-bienti (il secondo fine settimana, dal 24 al 27 settembre, si svolgerà in contemporanea in Fiera anche ExpoArte), verranno proposti assaggi di musica d’ambiente composta dal musicista Capitanata, esperto nel wellness e ambient music, accompagnati da incontri aperti al pubblico sul tema.
Non mancherà, infine, l’attenzione al
versante del risparmio energetico, con pannelli solari e fotovoltaici, materiali eco-compatibili e un modello di casa ecologica in legno.
«Gli espositori saranno circa 160-170, nel segno del consolidamento dei risultati degli anni passati, con provenienze da un bacino variegato, che comprende terri-tori come Brescia, Mantova, Cremona, Bergamo, Verona, Trento», dice Culca-si. «La nostra scelta, fin dagli esordi, è stata quella di costruirci un’identità ben delineata, coniugando la passione con la
professionalità, l’attenzione alle esigenze degli espositori con la piacevolezza della passeggiata fra gli stand, senza mai scen-dere a compromessi sulla qualità».
Un’elasticità mentale e concreta che si traduce in una cura particolare nella disposizione degli stand, che quest’anno proporrà inediti accostamenti dei diversi settori, con un mix insolito fra mobili di tendenza, domotica, impiantistica e molto altro, in un percorso che culminerà in chiusura con il sempre apprezzato settore sposi.
LA FIERA DELL’ ARREDAMENTO TOCCA IL TRAGUARDO DELLA 17A EDIZIONE
NON SOLO CUCINE E CAMERE: ECCO SAUNE, PISCINE DA INTERNO ED ESTERNO, DOMOTICA, FENG SHUI ED OPERE D’ARTE
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Progetto Casa si svolgerà dal 19 al 21 e dal 24 al 27 settembre negli spazi del Centro Fiera del Garda di Montichiari. L’esposizione rimarrà aperta al pubblico dalle ore 14 alle 22.30 nelle giornate di sabato 19 e sabato 26 settembre, dalle ore 10 alle ore 22.30 nelle giornate di domenica 20 e domenica 27 settembre, mentre lunedì 21, giovedì 24 e venerdì 25 settembre sarà visitabile dalle ore 17 alle 22.30 (ulteriori informazioni su www.centrofiera.it).Il Centro Fiera di Montichiari che ospita Progetto Casa è per dimensioni il secondo quartiere fieristico della Lombardia: il polo fieristico sorge su un’area di 248 mila metri quadrati di cui 80 mila utilizzabili per le manifestazioni (di questi 51 mila di area coperta e 29 mila di area scoperta, nonchè 168 mila di parcheggi per 11 mila posti auto).Il quartiere fieristico si avvale di dieci padiglioni, strutture multifunzionali per convegni e congressi, 5 sale congressi con 900 posti, servizio di traduzione simultanea multilin-gue, connessione internet Wi-Fi, dieci bar e due ristoranti self-service.
SETTE GIORNI IN FIERA
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Le città sono opere d’arte, un arsenale di sti-li e di forme, ma anche di romanzi e di memorie. «Dietro ogni porta di via San Faustino c’è una storia di Mille e una notte». Gigi Simeoni è uno dei più apprezzati autori italiani di fumetti. A 42 anni vanta una carriera ventennale: è stato uno dei fondatori della gloriosa testata Hammer, fa parte della scu-deria Bonelli, ha già praticato in solitudine l’indi-pendenza creativa. Scrive soggetti e sceneggiatu-re, disegna, padrone assoluto delle idee e del fare. Il suo «Gli occhi e il buio» è un cult quasi introva-bile, che rivela un talento grafico e narrativo fuori del comune nel contaminare i generi (avventura, horror, poliziesco, feuilleton). Un intreccio solido, personaggi a tutto tondo, una ricerca filologica puntuale sullo sfondo di una Milano da Belle Epo-que.
«Avrei potuto ambientare la storia anche a Brescia - ci rivela -. Sarebbe bastato cambiare qualcosa. Brescia è la mia città, che abito e ho visto crescere. E’ una città che si sta scrollando di dosso la sua scomoda nomea di fanalino di coda. Ho tanti amici stranieri che qui si trovano bene. Un senega-lese mi ha detto che tra loro la chiamano la piccola Dakar, perché qui si trovano bene come a casa loro. Per me è un complimento. Mi piacerebbe fosse più viva come cultura del vivere la strada, invece il bre-sciano dopo una certa ora sta bene a casa sua... E’ una città universitaria, ma i ragazzi dove sono? A volte capita però che si dia la sveglia, come nelle notti bianche. E allora in quei momenti vedi gente felice per le strade, quasi sorpresa di trovare una
città bella che non sospettava esistesse. Mi piace ricostruire il passato di Brescia, ma non disdegno di pensarla al futuro con il suo melting pot razziale. Ho in mente un grattacielo di acciaio e cromo die-tro la Pallata. Una scenografia del possibile forse non così lontano, perché no?».
Gigi Simeoni è un cantiere aperto di inven-zioni e di progetti, alcuni dei quali calati proprio a Brescia e provincia. «Fra i miei antenati da parte di madre, due fratelli del bisnonno hanno fatto le Dieci Giornate e sono stati in galera con Tito Spe-ri. Erano conosciuti all’epoca perché per le strade organizzavano degli spettacoli volanti di satira, una sorta di cabaret di strada, sfuggendo alle ronde austriache. E questo è un soggetto che mi porto dentro. Poi ce n’è un altro cui sto gia lavorando. La storia di un ex-maggiore tedesco delle SS che sotto mentite spoglie si iscrive alla Mille Miglia del 1947 per recuperare un tesoro nascosto durante la guerra. Si fa fotografare alla punzonatura in piazza Vittoria e viene riconosciuto sulle pagine della Gaz-zetta dello Sport dalla figlia di un antiquario che lui ha ucciso».
E non è finita. In fase avanzata di stesura è «Stria», in dialetto strega. Altro romanzo a strisce e nuvolette su base rigorosamente storica am-bientato in Val Trompia. «Mi sono ispirato ai luoghi della mia infanzia. Per anni con i miei genitori ho fatto le vacanze a Marmentino, dove ho ascoltato le antiche leggende del posto. Ho già composto una quarantina delle trecento tavole previste».
Gigi Simeoni me le mostra in anteprima. La
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perfezione del dettaglio scenico è curatissima: i cascinali, la pentola per le caldarroste, la pignatta della polenta. La pubblicazione è prevista per l’autunno dell’anno prossimo.
«Disegnare è più lungo che scrivere un libro o girare un film. Implica una precisione documentale estrema. Io sono maniaco di mio, ma anche il lettore non scherza. Fino a qualche tempo fa Tex poteva impugnare una pistola qualsiasi a tamburo, oggi deve essere quella Colt».
Gigi Simeoni riconosce come suo padre professionale l’indimenti-cato Ruben Sosa («un vero guerriero, era un uomo che ti obbligava a seguirlo sul suo terreno, come tutti i geni. So per certo che lui conside-rava il nostro adattarci al fumetto seriale come una sorta di resa, ma ci voleva bene»).
Uno dei suoi totem a sorpresa è Jacovitti e, per quanto riguarda il background culturale, rivela che più che la lettura di fumetti il nutrimen-to viene dal teatro («la gestualità e la corporeità degli attori è fondamen-tale») e dal cinema, il buon cinema italiano. Con Giancarlo Soldi, regista bresciano di «Nero» con sceneggiatura di Tiziano Sclavi, esisterebbe un’intesa per adattare «Gli occhi e il buio» o magari «Stria». Si vedrà, cercasi disperatamente il produttore.
«Il mio primo mestiere - ammette lui con candida modestia - è fare il babbo di quattro adolescenti. Sono sposato con una splendida creatura che fa l’istruttrice di nuoto. Io galleggio a malapena come un turacciolo e seguo le correnti».
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TFOTOGRAFIE COPYRIGHT 2009 SERGIO BONELLI EDITORE / GIGI SIMEONI
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CANTINE DI FRANCIACORTA
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La Franciacorta è una terra di vino, e naturalmente anche di architetture applicate ad una produzione di eccellenza che nel tempo si è guadagnata un posto di rilievo nel panorama internazionale. Da queste parti il «design vinico-lo» è ovviamente rappresentato dalle antiche e suggestive geometrie delle cantine, l’eredità di una sapienza tradizionale che oggi diventa un ulteriore elemento di attrazione. Ma anche, e a maggior ragione, dalle forme che è stato necessario inventare e reinventare per far sì che
i tesori locali, dai più accessibili ai millesimati, possano essere presentati al grande pubblico senza perdere in qualità.
La sintesi delle due esigenze principali, ovvero quella di offrire i prodotti nella cornice
migliore e quella di non snaturarli, è stata tro-vata da tempo a Erbusco, in un contenitore, un wine store, che va sotto il nome di «Cantine di Franciacorta»: non un consorzio, ma sempli-cemente, si fa per dire, una enoteca regionale nella quale si può trovare tutto, ma proprio tutto quanto viene vinificato a partire dai vitigni del territorio compreso tra Cellatica e Paratico.
Affacciato su via Iseo al numero 98 (la strada che collega Rovato al capoluogo Sebino), questo show room dedicato alle mirabilie della
vite è una realizzazione unica, nella quale si è deciso di sacrificare lo spazio nel nome della qualità: non esiste probabilmente in tutta Italia una esposizione che propone rigorosamente tutte le bottiglie presenti nella posizione corica-
LA «SUPER ENOTECA» E LE MIRABILIE DELLA VITE
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ta che, come tutti sanno, va mantenuta per tutelare il contenuto. Così sono serviti ben 500 metri quadri per proporre l’intero assortimento merceologico della settantina di produttori rappresentati.
Qui si trova veramente tutta la Franciacorta, e ci sono tutte le etichette in ogni versione possibile, dal mignon al magnum. Si trova la produzione «norma-le» e quella eccezionale: un caveau custodisce infatti vini introvabili e i risultati centellinati di annate sto-riche. Insomma, una apoteosi anche architettonica creata da formati e colori delle bottiglie: una ricerca di qualità nel campo del design per vestire prodotti di alta gamma.
E continuando a fare citazioni nel campo della creatività, le Cantine di Franciacorta offrono ovvia-mente tutto ciò che serve nel campo dell’«accessori-stica» legata al buon bere: dai taste vin ai misuratori di acidità, passando per oggetti talmente raffinati che sarebbe davvero offensivo definire cavatappi, dagli espositori e naturalmente dai bicchieri; una cristalleria ricchissima che spazia dall’accessibile all’esclusivo.
Detto poi che che questa super enoteca vende
agli stessi prezzi praticati dalle cantine rappresentate nelle rispettive sedi, va ricordato che qui si possono trovare pure selezioni di etichette provenienti da altre celebri regioni vinicole italiane (dalla Val d’Aosta alla Sicilia), e insieme una attrezzata sezione gastrono-mica: la vetrina spazia dal miele biologico e dalle marmellate (sempre bio) del territorio ai salumi e ai formaggi, passando per oli extravergini francioacorti-ni, gardesani e toscani e per le paste più raffinate.
Infine l’elemento di completamento: quel wine bar collegato all’enoteca che in un ambiente insieme informale e raffinato permette ai clienti di assaggiare il «materiale» esposto (un abbattitore di temperatura porta le bottiglie alla temperatura ideale in pochi minuti) abbinandolo agli stuzzichini più adatti alla circostanza.
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UN «WINE STORE» AFFACCIATO SULLA TERRA DEL VINO
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UNA SETTANTINA DI PRODUTTORI
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LA STUFA, «AMICA» DELL’AMBIENTE
Sono capolavori in miniatura che trasmettono un calore antico, che crea atmosfera e riporta con l’immaginazione ai rigidi inverni dei castelli altoatesini, dove at-torno al calore buono delle stufe di maiolica vegliavano gli angeli del focolare.
Oggi come allora, Rabaioli Stufe propone pezzi unici in maiolica, materiale nobile usato già nelle antiche civiltà, per ricreare nelle case la dimensione del focolare come fulcro dell’abitare, rendendole accoglienti ed eleganti, ma soprattutto assicurando la
diffusione di un calore «sano» ed avvolgente.A differenza, infatti, dei tradizionali si-
stemi di riscaldamento che emanano calore in modo convettivo, cioè attraverso un flusso d’aria (con lo svantaggio di sollevare polvere e batteri, aumentare la quantità di ioni positivi negli ambienti e abbattere il normale tasso di umidità), le stufe in maiolica funzio-nano per irraggiamento: durante la combu-stione della legna le mattonelle in maiolica e il materiale refrattario accumulano il calore, per poi cederlo gradatamente alle pareti,
agli ambienti circostanti e agli stessi abitanti della casa sotto forma di calore radiante. «Questo tipo di riscaldamento per radiazione mantiene la temperatura costante nel tem-po, senza il rischio di sbalzi repentini né di spostamenti d’aria, e assicura una ottimale umidità relativa dell’aria», spiega Mauro Rabaioli, titolare della ditta che ha sede a Botticino e da 15 anni opera nel settore dell’installazione di stufe in maiolica modu-lari, essendo esclusivista per la Lombardia delle stufe De Biasi.
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71L’irraggiamento prodotto dalle stufe in
maiolica rende salubre l’ambiente domesti-co perché sfrutta un meccanismo analogo a quello del calore prodotto dal sole. In più, si tratta di un calore eco-compatibile e attento al risparmio energetico, dal momento che questo tipo di stufe assicurano un alto rendimento, combinato alla capacità della maiolica di accumulare e immagazzinare calore da cedere lentamente all’esterno. La legna usata come combustibile per la stufa in maiolica offre infatti un rendimento molto
alto perché circa il 90 per cento dell’energia in essa contenuta viene trasformato in ener-gia termica. Inoltre, con solo due cariche al giorno di dieci kg e a distanza di 12 ore l’una dall’altra si riesce a riscaldare una casa di 100-120 metri quadrati in modo uniforme, a temperature attorno ai 20-21 gradi costanti giorno e notte.
Sana, ecologica, amica dell’ambiente, la stufa in maiolica diventa anche un raffinato elemento di arredo, che valorizza lo spazio abitato con forme dal design unico, pensate
per armonizzarsi con lo stile della casa e il gusto del cliente. Ogni stufa è un pezzo unico che risponde a precisi canoni estetici, quasi un’opera d’arte per arricchire gli interni, sia che si tratti di abitazioni tradizionali o di case assolutamente moderne. «L’esperienza del costruttore e del posatore - ricorda Rabaioli - sono l’elemento qualificante per progettare stufe capaci di integrarsi nei diversi contesti, lavorando ad esempio sulla personalizzazio-ne delle mattonelle, in funzione dell’abita-zione che dovrà ospitarle».
PEZZI UNICI IN MAIOLICA PER RICREARE L’ATMOSFERA DEL FOCOLARE
UN RAFFINATO ELEMENTO DI ARREDO, CHE VALORIZZA LO SPAZIO ABITATO CON FORME DAL DESIGN UNICO
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In aggiunta ai molteplici vantaggi offerti dalle stufe di maiolica, non è secondario l’aspetto del montag-gio: Rabaioli Stufe utilizza infatti un sistema di mon-taggio che consente di installare le stufe modulari in maniera semplice e veloce, ed eventualmente di smontarle e spostarle agevolmente qualora fosse necessario. Inoltre, trattandosi di stufe composte da più moduli prefabbricati, è possibile aggiungere degli elementi ai modelli base, aumentandone l’al-tezza e di conseguenza la resa termica. «Calore con stile», non a caso, è il motto scelto da Rabaioli per evidenziare la piacevolezza del tepore irradiato da questa tipologia di stufe, che si carat-terizzano per l’emissione di un calore salubre che agisce direttamente sul corpo e sulla pelle: la ra-diazione emessa dalle stufe in maiolica si colloca nel settore dell’infrarosso, influenzando in maniera positiva il sistema neurovegetativo, e contribuendo ad equilibrare la ionizzazione e l’umidità dell’aria negli ambienti.
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08 Si chiama Nicola Cherubini (nella foto), e da patron di una importante e vincen-te realtà imprenditoriale capace di un approccio totale a tanti temi - dall’abitare ad altissimo livello alla nautica di lusso, passando per il retail di prestigio e per quella versione ricca e completa della «ginnastica» che oggi si chiama wellness - è uno che ama le sfide; purchè l’obiet-tivo sia rappresentato dalla qualità senza compromessi e dalla bellezza.
Così, nel raccontare lo sviluppo di un’impresa di famiglia partita dal settore
dell’arredamento, e che oggi è un vero gruppo capace di produrre in proprio ricer-ca e realizzazioni in una gamma davvero vasta di «prodotti», sorride accarezzando l’idea del prossimo salto in avanti: una grande iniziativa mediatica che nei pros-simi mesi servirà a ribadire la vocazione nazionale ed internazionale del marchio; o meglio degli ormai numerosi marchi della galassia Cherubini Group.
Un «lancio» che accompagnerà la con-clusione del raddoppio dell’attuale sede del gruppo: un bellissimo spazio archi-
L’ARREDAMENTO «TOTALE»
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tettonico che si affaccia su via Triumplina (ingresso da via Branze 44). Un contenitore che, come una metafora della storia Che-rubini, parte dalla grande vetrina dedicata all’arredamento e si eleva inglobando tutti i successivi rami d’azienda. Una sorta di show room allargato che attraverso domo-tica applicata (qui preferiscono chiamarla integrazione tecnologica), arredi e architet-ture rappresenta un illuminante biglietto da visita per questa grande idea bresciana.
Ma partiamo dall’inizio... «Rappresento la terza generazione di una famiglia che ha
iniziato l’attività con un negozio di mobili - racconta Nicola Cherubini -, e quindici anni fa ho provato a percorrere una strada più ampia, che prevedesse un servizio totale alla clientela: volevamo offrire servizi di qualità, ma non rivendendoli come fanno tanti altri, bensì controllandoli completa-mente. Così siamo partiti con una falegna-meria seguita da una seconda, che oggi sono un unico sito produttivo, e ci siamo “svezzati” nel campo del retail acquisendo la realizzazione chiavi in mano dei centri Motorola».
L’avventura era iniziata, e ha continuato ad arricchirsi attraverso un percorso fatto di acquisizioni di partecipazioni, di creazioni di partnership con soci operativi e di grande capacità. E se, restando sempre nel campo dei grandi allestimenti, Cherubini Group si sta per esempio occupando di una campa-gna di restyling dei Centri Tim, la politica dell’acquisizione di competenze ha portato a molte altre iniziative.
Come al progetto Activity, che ha per-messo realizzazioni strepitose superando concetti più tradizionali come «palestra» e
UNA GAMMA DI PRODOTTI DAVVERO VASTA: DAGLI INTERNI AGLI ESTERNI, DAL WELLNESS ALLA NAUTICA
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«PARTIAMO DALLO SPAZIO PER ARRIVARE AL MOBILE E AL COMPLEMENTO»
«centro benessere». Oggi Cherubini Group ha firmato esclu-
sivi spazi che riguardano nomi importanti: da Younique a GetFit, passando per alcuni centri Virgin (compreso quello di Brescia) e per il Body Tuning Ferrari di Maranello.
«Anche in questo settore il nostro è un approccio totale al prodotto - riprende Nicola Cherubini -; ci occupiamo di tutto: dal progetto dell’architetto o del designer alle candele, passando per l’integrazione intelligente e le finiture. Nel caso di in-terventi complessi, come l’allestimento di
un centro fitness, la nostra è la logica del sarto: partiamo dallo spazio per arrivare al mobile e al complemento».
Ma sempre seguendo una precisa filosofia aziendale: «Qui è vietato progetta-re. Noi lavoriamo con architetti e designer per attuare idee; e le concretizziamo benissimo perchè siamo ottimi realizzatori e collaboriamo con i migliori progetti-sti». Infatti, attraverso Formaindustria, il gruppo si occupa ormai anche di ricerca di tendenze e brand identity.
E dato che lo spazio, quello di un club
come quello di una abitazione privata, deve essere funzionale, il gruppo di via Branze ha sviluppato a fondo il tema: «Nel campo di quella che si chiamava domotica - pro-segue Cherubini - siamo degli autentici veterani. Abbiamo avviato già nove anni fa una collaborazione con un’azienda di settore, ma noi realizzavamo già impianti da tempo e oggi collaboriamo con altri importanti nomi di questo settore, oggi come allora per far scomparire dalle case il tavolino dei telecomandi».
Dagli interni agli esterni il passo è
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«DAL PROGETTO DELL’ARCHITETTO ALLE FINITURE: IL NOSTRO È UN APPROCCIO TOTALE AL PRODOTTO»
breve, e l’attività si è estesa anche all’arre-do outdoor, che in questo caso si traduce nelle splendide realizzazioni griffate col marchio Exteta, e all’arredamento d’interni per barche di lusso. Infatti, Intra è la nuova divisione del gruppo dedicata alla nautica: «Abbiamo inserito la nostra capacità ge-stionale in un’azienda di grande peso, che lavora per importanti gruppi del settore - spiega Cherubini - e l’obiettivo è quello di lavorare negli allestimenti interni di yacht e imbarcazioni da crociera di alto livello».
Potrebbe bastare, ma non è ancora
finita, perchè oltre all’evento mediatico di cui accennavamo in apertura e all’am-pliamento della sede, Cherubini Group sta lavorando ad una importante e nuova operazione nel settore delle Spa e del weelness sulla quale, però, c’è ancora un comprensibile riserbo. Per concludere, manca solo un’appendice umana: «Questo risultato - sottolinea Nicola Cherubini - è diventato possibile grazie a mio padre, che ci ha creduto e mi ha offerto la possibilità di raggiungerlo, e per merito della colla-borazione di soci di grande competenza».
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«IL CLIENTE NON DEVE MAI ESSERE LASCIATO SOLO, MA DEVE AVERE SEMPRE IL SUPPORTO DELL’IMPRESA COSTRUTTRICE»
Per realizzare i sogni ci vogliono solidità e concretezza, servono studio, impegno, in-novazione, flessibilità. L’impegno del gruppo Paterlini, forte dell’esperienza maturata nel settore delle costruzioni edili, è quello di trasferire idee nella realtà, partendo dalle fondamenta, cioè da un lavoro progettuale e di dettaglio che viene svolto da un team di ingegneri, architetti e tecnici dedicati.
«La nostra filosofia è quella secondo cui il cliente non deve mai essere lasciato solo, ma deve avere sempre il supporto dell’im-presa costruttrice e della sua squadra, che collabora con i progettisti eventualmente scelti dal committente», spiega Pietro Pa-terlini, presidente e amministratore delegato di Paterlini Costruzioni, che dirige l’azienda di famiglia insieme ai cugini Enrico Paterlini, a capo di Paterlini Real Estate, e Cristoforo Paterlini, alla guida di Paterlini Shares.
«Si tratta di concretizzare quell’am-
pio ventaglio di soluzioni, che vanno dalle campionature alle prove alla scelta dei materiali, per dare soddisfazione alle idee». Un esempio recente di questo metodo di lavoro è stata la realizzazione del complesso alberghiero Le Fay a Gargnano, in località Navazzo, ultimato in soli 18 mesi su commit-tenza di Alcide Leali.
La concezione iniziale del resort, com-posto da 100 camere con ampie terrazze e una Spa che occupa una superficie di 3000 metri quadrati con piscine, era quella di un nucleo ospitale che sapesse dialogare con la natura circostante - secondo il progetto della committenza - rimanendo riparato dagli insediamenti della zona. L’effetto finale
è quello di una pietra preziosa incastonata nella montagna, che rimane in gran parte nascosta. Non visibile agli occhi, ma fonda-mentale per la buona riuscita del progetto è il lavoro svolto da Paterlini in veste di gruppo costruttore, nell’esecuzione degli studi strutturali e statici per l’individuazione tecnico-statica più compatibile con il terreno e l’analisi della tipologia di edificio che ha portato la struttura ad essere «radiografata» e ottimizzata in tutti in suoi aspetti. Il risul-tato è un complesso perfettamente inserito nelle atmosfere incantate della montagna, costruito all’insegna della ecosostenibilità architettonica e tecnologica.
Un procedimento analogo, seppure in un contesto diverso, è stato seguito per l’altra recente realizzazione del gruppo, il THotel, in cui Paterlini ha la duplice veste di com-mittente e costruttore. Situato a Castenedolo in un’area strategica, all’ingresso del casello
Brescia Est dell’autostrada e sulle direttrici della tangenziale, il complesso è realizzato secondo i più criteri costruttivi e con un’at-tenzione particolare al sistema di insonoriz-zazione delle stanze, che vengono completa-mente isolate dai rumori circostanti.
L’edificio è costituito da un volume compatto disposto con l’asse longitudinale in direzione nord-sud, in modo tale che tutte le finestre non si affaccino direttamente verso l’autostrada ma verso le aree verdi adiacenti. Di categoria business, l’albergo è composto da 120 camere doppie distribuite su cinque piani, e dispone di sei sale per meeting servite da un locale guardaroba e relativi servizi di banqueting e buffet, oltre
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QUANDO LE IDEE DIVENTANO REALTÀGRUPPO PATERLINI
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«IL DIALOGO FRA IMPRESA E COMMITTENTE È ALLA BASE DELLA SINERGIA OPERATIVA»
che di una zona Fitness dotata di bagno turco, minipiscina, docce emozionali, zona gym e area spogliatoi. Paterlini ha curato la realizzazione del THotel fornendo anche gli arredi, fissi e mobili.
L’albergo, locato alla THotel, nuovo brand italiano dell’hotellerie con sede a Torino, per le sue caratteristiche peculiari potrebbe anche rientrare nell’interesse di investitori esterni.
«Il valore aggiunto in cui crediamo è la capacità di gestire e realizzare progetti com-plessi, nella consapevolezza che il momento della costruzione si compone di molti sotto-momenti, altrettanto essenziali», osserva Enrico Paterlini, sottolineando la necessità di conoscenze gestionali e d’impresa che si affianchino a quelle tecniche, per seguire il concepimento dell’opera, il progetto di massima, lo studio di fattibilità e il ritorno finanziario-economico, il rendimento atteso, fino ad arrivare all’effettiva costruzione preceduta da un progetto di dettaglio, e accompagnata da una verifica periodica dei budget previsionali per tenere d’occhio costi
e tempi.Il segreto è riuscire a coordinare tutte
queste diverse competenze per arrivare al prodotto finito, senza mai dimenticare la metafora dell’assemblaggio ricordata da Enrico Paterlini: «Le componenti di un prodotto - pensiamo ad esempio a un’au-tomobile - possono essere singolarmente
perfette, ma se assemblate male il risultato finale è pessimo».
Paterlini Costruzioni, che ha consegui-to nel marzo del 1999 la certificazione di qualità europea secondo la norma ISO 9002, e opera quindi in ambiente di qualità con-trollata, punta molto sul rapporto di fiducia instaurato con il cliente, per valorizzare lo scambio di idee e il dialogo fra impresa e committente che è alla base della sinergia operativa. Interessante è anche il rapporto di collaborazione stabilito con la facoltà di Ingegneria dell’Università di Brescia per la sperimentazione di nuovi materiali, e la par-tecipazione al capitale di «Pitagora», società bresciana di engineering, con l’obiettivo di offrire uno strumento prezioso ai clienti e ai loro progettisti.
La consistenza e materialità degli ele-menti costruttivi, però, non devono inganna-re: dietro la realizzazione di un nuovo inter-vento c’è spesso anche una buona dose di creatività, il valore in più che aiuta a trovare le soluzioni migliori. Una capacità inventiva che si combina a sistemi di alta ingegneria,
come quello messo a punto per realizzare una fonderia con profondità di 13 metri sotto i plinti di un capannone già esistente, o quello ideato di recente per raddoppiare gli uffici della società Duferdofin a San Zeno mantenendo operativi quelli già funzionanti, attraverso la creazione di un nuovo edificio che avvolge e integra quello originario.
Al gruppo Paterlini fanno capo tre diverse realtà, strettamente integrate fra di loro: la Paterlini Costruzioni, che rappresenta la so-cietà «storica» - da cui hanno avuto origine le altre società - ed ha come aree d’intervento l’edilizia abitativa, il restauro di edifici monu-mentali, l’edilizia commerciale, direzionale e ospedaliera, la costruzione di complessi in-dustriali e delle strutture di base dei processi produttivi.La Paterlini Real Estate ha invece la fun-zione di ricercare, sviluppare e promuovere le iniziative immobiliari, effettuando studi di fattibilità economico-finanziaria per valutare la correttezza e sostenibilità del progetto im-mobiliare e la convenienza economica su un orizzonte temporale di lungo periodo.Paterlini Shares è la capogruppo che detiene le partecipazioni delle società controllate o partecipate.
Il gruppo Paterlini ha festeggiato nel 2008 i cento anni di attività. Anni intensi di lavoro e sviluppo nel settore delle costruzioni edili, per un’impresa che ha visto la luce ai primi del Novecento, quando i fratelli Cristoforo e Daniele Paterlini, dopo una dura esperienza di lavoro all’estero, decisero di tentare la for-tuna e, tornati in patria, iniziarono a Brescia l’attività in proprio.L’impegno, la serietà e le capacità hanno sempre rappresentato la cifra distintiva del gruppo, che fin dai primi anni non tardò a farsi apprezzare dal mercato, sia pubblico che privato.Nel lungo cammino dell’impresa è stata ma-turata una grande esperienza, si sono affac-ciate occasioni di evoluzione e trasformazio-ni, e oggi il gruppo Paterlini si presenta come una realtà imprenditoriale diversificata, or-ganizzata in centri di eccellenza. Oggi come allora, l’innovazione, la flessibilità e la qualità si coniugano sempre con i principi e i valori dei fondatori, che rappresentano il riferimen-to per le attività produttive del gruppo.
TRE REALTÀ, UN UNICO GRUPPO
INNOVAZIONE, FLESSIBILITÀ E QUALITÀ
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Girovagando per la pianura bre-sciana capita di incontrare un luogo dove gusto e architettura vanno a braccetto. Di fatto sembra di essere in un esposizione quando si varca la so-glia del vecchio portone in legno, anzi, fin da fuori, scendendo i tre gradini in battuto di cemento. Ci si trova in uno spazio dove non si sa se limitarsi a guardare in rispettoso silenzio o ab-bandonarsi ai piaceri del palato. Da subito si ha l’impressione di trovarsi in un luogo unico, autentico e non solo per la location, una vecchia cascina della bassa, ma anche e soprattutto perché si coglie che l’intervento è il frutto di una preziosa sinergia tra tre figure: proprietario, gestore e proget-tista. “Sei qui e non sei da nessun al-tra parte” può essere descritta così la filosofia di questo posto, unico nel suo genere.
Chi conosce la Pasticceria [ridut-tivo definirla così] Sirani sa che da quando opera nel campo del gusto, la ricerca e l’affinamento dei sapori, di come presentarli e di come diffonderli è al centro dei suoi obiettivi. “Da quan-do abbiamo pensato alla nuova sede
di Bagnolo Mella ci siamo anche posti interrogativi su come gestire il gusto” ci racconta Nerio Beghi seduti ad uno dei suoi tavoli in cemento.
È raro trovare luoghi dove la ricer-ca, la progettazione, si incontrano con un’alta corrispondenza tra le parti. Da Sirani sembra infatti di assaporare ol-
tre che le delizie del palato anche gli spazi che Luca Pellegrinelli ha prima pensato e poi realizzato. Una fusione perfetta tra contenuto e contenitore declinata dall’edificio agli arredi che espongono la merce. “Già tre anni fa nella vecchia sede di Montirone abbia-mo interagito con Luca per il packa-ging” prosegue Nerio. Ecco allora che da una semplice esigenza [dove porre i prodotti? come presentarli?] può na-scere un modo nuovo di vivere ed in-tendere la propria professione, che poi è la propria passione.
Questa filosofia si è consolidata e rafforzata per il progetto della nuo-va sede dove l’intento era quello di “un’architettura che andasse incontro al cliente sovvertendo le regole ...; un’architettura che non fa del detta-glio una cosa necessaria, anzi mette in evidenza le giunture”. Ed in effetti è quello che si nota immediatamente nei banconi dei dolci e del gelato, materia-li usati in modo immediato senza trat-tamenti, lasciando le saldature a vista. Come non pensare a Louis Khan e ai casseri dei La Jolla? Collegandolo poi all’intento che ha fatto da base a que-
sto intervento: “ Determinare un gusto e non andare incontro al gusto lascian-do la chiave di lettura al fruitore”. È quello che succede in cucina: compor-re e affiancare i sapori, lasciando al gusto di ognuno l’interpretazione. Al-lora il termine consumare si trasforma magicamente in degustare.
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Il progetto prevede il recupero di un’intera cascina lombar-da, tipica nel suo sviluppo a corte, per convertirla a pastic-ceria e degustazione. L’accesso al complesso avviene in lato ovest dalla via Gramsci attraverso un androne voltato.Al piano terra, nelle ex scuderie (lato nord), viene colloca-ta la pasticceria vera e propria: un unico ambiente ritmato dalle colonne esistenti in pietra e dai soffitti a crociera. Al di sopra si trovano i quattro laboratori super attrezzati con le tecnologie più moderne destinati alla produzione del dolce, del salato, del gelato e del cioccolato.Al piano terra nell’ala ovest trovano collocazione la cucina ed alcuni locali accessori (servizi igienici del personale e magazzino) ed al piano superiore gli spogliatoi del perso-nale con accesso riservato direttamente dalla stessa via Gramsci. Il complesso ovest è asservito completamente allo spazio degustazione (lato sud) ricavato nella ex zona rimessaggio mezzi agricoli.Al centro è stata mantenuta la corte originaria realizzando sul lato est, a chiusura della stessa, un pergolato rivisitato, percorribile dai clienti per raggiungere la sala degustazio-ne, avente sullo sfondo una quinta colorata a celare le cen-trali tecnologiche.La corte mantiene la centralità e rimane nucleo del com-plesso intorno a cui orbita l’intera articolazione delle fun-zioni. Tale centralità viene posta in evidenza attraverso la successione di allestimenti che qui trovano luogo a scandi-re le ricorrenze durante il corso dell’anno.All’interno dei locali sono stati collocati degli arredi dise-gnati e realizzati ad hoc, utilizzando acciaio inossidabile e vetro, linee essenziali e ricerca di semplicità. Una rilettura
dell’arredo tradizionale da pasticceria, tradizione e nuova tecnologia accostati: bilancia a sfioro integrata nel banco, vetrine di esposizione orizzontali, pozzetti a vista per il gela-to e indipendenti per una più efficace qualità finale del pro-dotto. Il tentativo è stato di abbattere quasi completamente le barriere visive tra gli operatori e gli utenti, mantenendo inalterate le caratteristiche di funzionalità delle strutture.Le pareti sono disadorne, tinteggiate alternativamente con tinte forti e colori tenui. Per l’occasione è stato curato ogni dettaglio, persino il packaging è stato realizzato apposita-mente, rivisitando il concetto di confezionamento, al di fuori degli schemi consueti.Si respira qualità. Semplicità, pulizia. Il risultato è una summa di benessere quasi fisico che anticipa la gioia che avrà il palato.Il locale è stato insignito del Premio Innovazione Gambero Rosso 2009.
TRE REALTÀ, UN UNICO GRUPPO
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O“L’INTERVENTO È IL FRUTTO DI UNA PREZIOSA SINERGIA TRA TRE FIGURE: PROPRIETARIO, GESTORE E PROGETTISTA”
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Largo Formentone, un vuoto urbano nel cuore della città storica, uno spa-zio al quale ormai da decenni si cerca di dare un’identità. Il luogo in questione è il risultato degli interventi di demoli-zioni avvenute tra la fine dell’Ottocento e il 1939, così come puntualmente rico-struiva Franco Robecchi sulle pagine del Giornale di Brescia del 31 maggio 2009, ovvero è un luogo che, si potrebbe defi-nire, storicizzato nelle attuali condizioni morfologiche.
Negli anni Trenta si sono succeduti studi che attraverso differenti modalità si sono preoccupati di dare risposta al «vuo-to» prodotto dalla storia. In particolare si ricorda la proposta di Leonardo Benevolo dei primi anni ‘80 per terminare con la realizzazione nel 2001 della pensilina ad opera dell’architetto Giorgio Lombardi.
Oggi si ritiene la stessa inadeguata e a tal proposito si è aperto un ampio di-battito, iniziato ed alimentato dal galleri-sta Massimo Minini per sfociare poi sulle pagine web della rivista Abitare. Negli scorsi giorni, inoltre, è stato pubblicato in forma definitiva il bando del concor-so di idee che prevede, sostituendo la pensilina, la realizzazione di una nuova struttura per servizi ospitante una sala lettura a supporto delle sedi universi-tarie presenti nelle zone limitrofe, spazi con indirizzo espositivo temporaneo e di intrattenimento ed infine un infopoint e la sede amministrativa del nuovo Distretto Urbano del Commercio.
Vista l’importanza del tema, l’Istituto Nazionale di Architettura sezione di Bre-scia, realtà presente nella nostra città da oltre un decennio e che già era entrata nel merito al problema alcuni anni fa in occasione della realizzazione del pro-getto dell’architetto Lombardi, si è fatto promotore di un incontro-evento che si è tenuto giovedì 16 luglio 2009 ore 21 sot-to la pensilina di Largo Formentone per affrontare ed aprire un dibattitto sul «de-stino» di quest’area. L’ironico titolo «tutti a Largo (T)Formentone e ricordatevi di portare la sedia» riportato sui principali mezzi di comunicazione locale, suggeri-va inoltre un modo senz’altro insolito di utilizzo di questo spazio. Un incontro «in-formale», un caso «bello e pratico» per affrontare un tema architettonico-urbano stando proprio «all’interno» dell’oggetto tema della discussione.
L’intento dell’In/Arch, in questo caso nel ruolo di «mediatore culturale», è sta-to di riunire le autorità cittadine, gli uo-mini di cultura bresciani e tutti i cittadini che hanno voluto confrontarsi dialogando in modo costruttivo offrendo idee e sug-gerimenti che potessero contribuire a ri-dare un’identità forte a questo brano (per
alcuni irrisolto) di città.All’incontro sono intervenuti dai rap-
presentanti dell’Amministrazione comu-nale , ai professionisti, alle personalità del mondo culturale bresciano, invitate
ufficialmente dell’INARCH fino alla gente comune che hanno portato la loro testi-monianza e il loro contributo all’interno dell’interessante dibattito, chi con sedia appresso, chi timidamente a chiederne invece una in prestito; il dibattito equili-brato e costruttivo, ha portato ad alcuni spunti degni di rispetto e fonte di rifles-sioni.
Il dibattito si è aperto con l’intervento del presidente della Circoscrizione Cen-
tro Flavio Bonardi, portavoce anche di altre autorità cittadine invitate ma non presenti a causa di un altro impegno già preso da tempo (l’assessore all’Urbani-stica Paola Vilardi, l’assessore ai Lavori
pubblici Mario Labolani, l’assessore alla Cultura Andrea Arcai). Il presidente ha esposto le motivazioni che hanno portato all’elaborazione del bando di idee di cui sopra, così come l’architetto Paolo Ven-tura, in qualità di presidente dell’Ordine degli architetti, paesaggisti e pianificatori della provincia di Brescia, ha spiegato le scelte e l’iter compiuti per il raggiungi-mento del testo e della tipologia del con-corso. La parola è passata poi all’archi-
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tetto Riccardo Franceschi, presidente di Brixia Sviluppo Spa, che ha sottolineato l’importanza del ruolo degli imprenditori privati negli interventi di riqualificazione urbana i quali dovrebbero contribuire a dare agli edifici «un contenuto al di là della “pelle” fatta dagli architetti». A tal proposito l’architetto ha lanciato un ap-pello a tutti gli imprenditori, quasi una provocazione, per muovere proposte da presentare al Comune di Brescia per l’utilizzo e la gestione della pensilina e spazi prospicienti per i prossimi due anni di «limbo» in attesa che ne vengano giocate le «sorti». Un modo per render-la viva, utilizzata e perché no, divenire un modo nuovo di mostrare una parte dell’imprenditoria bresciana.
Il dibattito si è quindi poi spinto verso il tema centrale dell’incontro: la pensilina di Largo Formentone. C’è chi è favorevole al mantenimento di questa come il gallerista Massimo Minini (auto-re dell’articolo pubblicato su Abitare di maggio 2009) che afferma «bella per-ché inutile, perche è un segno nell’aria, come un disegno, bella perche è uno spazio aperto e ricoperto ed in effetti tra-sparente, uno spazio non violento, uno spazio che ci ricorda alcune differenze delle forme e dei modi, le logge coper-te, la loggia dei Lanzi, come costruivano una volta: degli spazi come delle pause nell’architettura delle città e soprattut-to in una città come brescia, che è una città di grande virulenza costruttiva...»; o come l’architetto Luca Rinaldi, So-printendente per i Beni Architettonici e per il Paesaggio di Brescia, Cremona e Mantova che ritiene la pensilina «un intervento legittimo, un’interpretazione intelligente di questo spazio, un oggetto che richiama la volumetria dell’isolato demolito all’interno di un contesto stra-tificato e complesso con cui è difficile rapportarsi».
C’è chi invece ha proposto una visio-ne più ampia del problema, interrogan-dosi sul futuro dei centri storici, virando e soffermandosi più su alcune questioni urbane bresciane ritenute «maggior-mente critiche» rispetto al Largo For-mentone quale l’architetto Rossana Bet-tinelli, vicepresidente di Italia Nostra, che s’interroga sul futuro delle aree del-le ex caserme, della ex sede del tribu-nale e dei numerosi palazzi di proprietà pubblica vuoti ed inutilizzati.
L’architetto Pierre Alain Croset, professore ordinario della facoltà di Ar-chitettura del Politecnico di Torino, che propone «una moratoria di almeno due anni per dire facciamo vivere questo spazio con moltissime attività, iniziamo ad usare gli spazi per come sono; cer-
chiamo di partecipare in massa, come architetti, a questo concorso, cerchiamo di rispondere, proponendo elementi di riflessione compreso il mantenimento di questa struttura, favorendo il più possi-bile un dibattito non sul fare la più bella struttura possibile, non su un discorso quasi ornamentale bensì sull’utilizzo idoneo del luogo».
E sulla questione della partecipa-zione al concorso interviene anche l’ar-chitetto Paolo Mestriner, docente alla facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, definendolo «lo strumento del concorso» un «dispositivo» vera-
mente efficiente ed efficace, a patto che sia gestito ed organizzato al meglio, cosa che nel nostro Paese non accade spesso. L’architetto sottolinea, inoltre, l’importanza dell’interesse mostrato dalla cittadinanza all’evento «non come progettazione partecipata, in quanto la progettazione è disciplinare e quindi af-fidata ai progettisti, bensì è importante che nasca con e dalle persone, in quanto penso che il vero problema della pensi-
lina sia che in pochi hanno potuto espri-mere il loro parere a riguardo».
L’architetto Paolo Greppi si è in-terrogato invece su alcune questioni «pratiche» del post concorso: in Italia intervenire in un contesto stratificato e complesso come l’area in questione, è sinonimo spesso di lavori interminabili, «scoperte» ed imprevisti continui; la pro-posta che l’architetto lancia è dunque di impostare la progettazione dell’oggetto del bando partendo dal sottosuolo, l’ele-mento che potrebbe serbare le maggiori «sorprese»; ciò che spesso è considerato «l’inconveniente» diviene quindi il tema
forte della progettazione.Da questo incontro sono scaturiti
molteplici proposte e punti di vista; diver-si, legittimi, interessanti.
Attendiamo la conclusione del con-corso con la speranza di poter scorgere in autunno alcuni «frutti» di questa se-rata, auspicando che questo evento sia l’inizio di un nuovo modo di affrontare le tematiche urbane ed architettoniche del nostro territorio.
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IL VETRO IN “MOVIMENTO”Sono i dettagli che creano l’ambiente,
una consapevolezza che si fa tecnica e inno-vazione nelle proposte di Colcom, azienda leader nella progettazione e produzione di dispositivi per il sostegno, il movimento e la chiusura di porte e pannelli in vetro tem-perato, che vengono poi distribuiti in Italia e all’estero.
Cerniere, serrature e fissaggi sono idea-ti da un team di progettisti e tecnici con una cura particolare rivolta proprio ai dettagli, sia funzionali che estetici, per offrire alla
clientela la perfezione nella resa abbinata alla massima semplicità di utilizzo.
Quella stessa cura che è sempre stata l’elemento qualificante dell’attività azienda-le, fin dalla nascita dell’impresa, nel 1961, come piccola officina meccanica denomi-nata Collio Sergio Snc. Nel corso degli anni la vocazione produttiva si è concentrata sulla costruzione di accessori per vetro, suggellata nel 1991 con la nascita ufficiale di Colcom.
L’azienda, con sede a Nave, in via degli
Artigiani 56, realizza soluzioni innovative con una particolare attenzione al profilo design degli articoli proposti, pensati non come un semplice prodotto, ma come un requisito essenziale per valorizzare la vivibilità, la sicurezza e il comfort degli am-bienti. Non a caso uno dei punti qualificanti dell’attività di Colcom è la flessibilità tecnica e produttiva, che consente di venire incontro ai gusti e alle esigenze della clientela, garantendo ad esempio esecuzioni speciali anche su disegno del committente, e se-
LISA CESCO
85guendo con attenzione personalizzata ogni singola necessità.
Il “cuore” creativo dell’azienda è il centro di progettazione R&S, che conta sull’esperienza di disegnatori e tecnici per svolgere tutta la fase progettuale relativa al sostegno e alla movimentazione di pareti di vetro, oltre a realizzare studi per i nuovi prodotti e seguire da vicino i clienti nella progettazione.
I “dettagli essenziali per il vetro tem-perato” - secondo lo slogan che identifica
la mission aziendale - nascono qui, nel segno della capacità innovativa, tanto che sul filone della ricerca è stata avviata una collaborazione continuativa con l’Università di Brescia.
Una volta tradotta l’idea in un progetto, la parte costruttiva con le lavorazioni mec-caniche viene svolta in un’officina dedicata dove trovano spazio linee di lavorazione di ultima generazione. La gestione della produzione è regolata da un sistema “just in time”, per garantire la sicurezza del monito-
raggio a vista dei materiali e l’ottimizzazione dei processi produttivi, mentre i cicli di finitura sono affidati a sistemi automatizzati che ne garantiscono la costante uniformità.
Gli ultimi due “gioielli” nati nel centro di progettazione Colcom si chiamano “Espro” e “Flo”, sono stati ideati con la filosofia della massima funzionalità e praticità di utilizzo, e verranno messi sul mercato da settembre.
“Espro” è un nuovo sistema modu-lare di profili che consente di realizzare vetrate continue, restituendo la “magia” di
FLESSIBILITÀ TECNICA E PRODUTTIVA, PER VENIRE INCONTRO
ALLE ESIGENZE DEL CLIENTE
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10L’azienda nasce nel 1961 da un’iniziativa di Sergio ed Ezio Collio. I primi passi sul mercato sono come piccola officina meccanica, la “Collio Sergio Snc”, che succes-sivamente trasforma la propria attività per dedicarsi alla costruzione di accessori per vetro. Verso la fine degli anni Sessanta sorge il primo capannone e viene proposta la serie “Evergreen”, prodotti snelli e funzionali che incontrano immediatamente un ampio consenso sul mercato. Nei primi anni Ottanta gli articoli dell’azienda bresciana ini-ziano a ritagliarsi una buona riconoscibilità anche all’estero. Nel 1991 la Collio si trasforma e nasce Colcom, che realizzerà, nel 1993, il brevetto delle cerniere automatiche. L’azienda cresce, e nel 2003 inaugura la nuova sede di Nave: l’anno seguente viene costituita Minusco holding, che cura la distribuzio-ne dei prodotti. Le tappe successive sono già il presente, con la nascita nel 2007 di Biloba e Triloba - brevetti internazionali Colcom - le cerniere chiudiporta di nuova concezione per l’installazione di porte a vetro.
Colcom offre i propri accessori all’interno di un sistema di distribuzione gestito at-traverso la consociata Minusco, realtà costituita nel 2004 con contestuale apertura delle filiali Minusco Milano, Minusco Bapumatec e Minusco Iberica. La catena di filiali si arricchisce nel 2005 con l’apertura di Minusco Roma e Minu-sco Sud, e nel 2007 con l’inaugurazione della filiale Minusco Slovacchia. Alla rete distributiva va aggiunta anche Minusco Benelux, ulteriore tassello di una struttura a filiali che rappresenta il network di distribuzione ufficiale di Colcom, attraverso cui vengono proposti in esclusiva i principali accessori per vetro temperato. Un impegno particolare è prestato per garantire l’obiettivo della pronta consegna richiesto dal mercato, con attenzione ai requisiti del “just in time”, in modo da di-
ventare un punto di riferimento per l’instal-latore e per il vetraio. Tutte le operazioni commerciali, inoltre, sono facilitate da un sistema di e-commerce, con cui è possibi-le scegliere, ordinare e ricevere i prodotti (www.minusco.com).
IL PASSATOE IL PRESENTE
IL SISTEMADI DISTRIBUZIONE
L’AZIENDA DI NAVE REALIZZA SOLUZIONI INNOVATIVE NEGLI ACCESSORI PER VETRO
ESPRO, FLO, BILOBA E TRILOBA: I DETTAGLI “ESSENZIALI” PER IL VETRO TEMPERATO
spazi che si dilatano e alleggeriscono, con significativi effetti di continuità estetica tra superfici vetrate e pareti.
Il valore aggiunto sta nella versatilità per ogni contesto, sia commerciale che domestico, dove si possono creare moltepli-ci spazi grazie a nodi a due, tre e quattro vie: i vetri aderiscono tra loro mediante speciali profili in policarbonato o in alluminio ano-dizzato, e i profili, che contengono dispositivi di sostegno e pinze, sono stati studiati per integrarsi al meglio con gli altri accessori Colcom, come le cerniere brevettate Biloba
e Triloba, oltre a serrature, patch fittings e sistemi scorrevoli.
“Flo” è invece un nuovo sistema scorrevole con veletta per porte in vetro, caratterizzato da un sistema compatto, che racchiude in soli 55 mm un meccanismo sofisticato, che consente lo scorrimento dell’anta su una sola ruota per ogni pinza.
Gli atout di “Flo” sono la facilità di regolazione, la silenziosità, la dotazione di un innovativo sistema di ammortizzazione regolabile (che permette di rallentare le fasi di apertura e di chiusura dell’anta in funzio-
ne del peso della stessa), il design sottile ed essenziale che lo rende adatto per qualsiasi contesto architettonico e integrabile con sistemi per vetrate continue, ai quali confe-risce continuità e leggerezza.
I due ultimi arrivati della collezione Colcom si uniscono a molti altri prodotti realizzati dall’azienda di Nave, fra cui Biloba e Triloba, che rappresentano le punte di diamante dell’impegno di progettazione: si tratta di due cerniere idrauliche per la chiusura automatica delle porte in vetro, di concezione completamente nuova, ideate
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per essere utilizzate su porte per esterno e per interno, senza la necessità di installare alcun dispositivo né a pavimento né aereo (pur mantenendo il vantaggio dell’automa-tismo di chiusura) grazie a requisiti tecnici e di efficienza che superano i limiti insiti nei chiudiporta di tipo tradizionale. A differenza di quanto accade con questi ultimi, infatti, non è necessario conoscere in anticipo le caratteristiche della porta su cui le cerniere andranno applicate, perché Biloba e Triloba abbracciano una vasta gamma di portata (le due cerniere di Colcom rispondono alle li-
nee guida di base per i chiudiporta messe a punto dalla commissione tecnica di Anima/Assoferma, e soddisfano anche le caratte-ristiche prestazionali indicate al momento come opzionali (riferimento Norma Uni En 1154:20039).
Per le peculiari caratteristiche inventive di queste applicazioni, Biloba e Triloba sono coperte da brevetto internazionale, ed è in fase di ottenimento la certificazione da par-te dell’ente certificatore internazionale TUV.
Della stessa famiglia è la cerniera 8060 - con medesimo principio di funzionamento
e brevetto -ideale per locali che necessitano di chiusura ermetica, come saune o bagni turchi, con velocità di chiusura regolabile e garanzia di massima sicurezza.
Il segreto di questi traguardi, la molla che spinge verso nuovi risultati è per Col-com l’attenzione alle esigenze del cliente e alle necessità del mercato, sapientemen-te abbinata alla cura di ogni aspetto del prodotto finito, che viene rigorosamente controllato in tutti i suoi passaggi realizza-tivi per verificarne l’affidabilità tecnica e la rispondenza ad alti standard di qualità.
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L’AZIENDA DI VIA VOLTURNO VANTA 45 ANNI DI ESPERIENZA NELLA FORNITURA DI PAVIMENTI, RIVESTIMENTI MURALI, TENDE E TESSUTI
SOLUZIONI ALL’ AVANGUARDIA PER ABITARE
EUROCARPET
La creatività abbinata a una solida conoscenza e ad una continua ricerca sono i requisiti che sopra tutti gli altri connotano l’attività di Eurocarpet, azienda bresciana che vanta quarantacinque anni di esperienza nel-la fornitura di pavimenti, rivestimenti murali, tende e tessuti.
La filosofia seguita dall’azienda è quella dell’eccellenza nella selezione del prodotto migliore e nel continuo perfezionamento del servizio offerto alla clientela: è proprio in questa prospettiva che Eurocarpet ha affian-cato alla tradizionale Home Division, dedicata ai privati, una speciale Project Division pensa-ta per i professionisti - architetti, arredatori, progettisti - per accompagnarli e supportarli nel percorso realizzativo del loro progetto.
La Project Division con i propri operatori specializzati supera una logica di semplice fornitura di materiali e prodotti, per abbrac-ciare una vocazione di consulenza e sinergia
con il professionista, in linea con i più elevati standard qualitativi. Non solo, quindi, un fornitore, ma piuttosto un partner attento alle esigenze del cliente, capace di ottimizzare elementi tecnici, strutturali, ambientali e fattori economici, in risposta alle specifiche richieste del progetto e nel totale rispetto delle sue caratteristiche guida, tra cui resa finale e budget.
Oltre a proporre un’ampia gamma di prodotti tecnici testati e installati, infatti, la Project Division lavora in piena sinergia con le dinamiche e le tempistiche dello studio di progettazione nei diversi settori, per strutture che possono essere di carattere commercia-le, direzionale, alberghiero o residenziale.
«Il punto di partenza è sempre un’analisi dettagliata del progetto, che va contestualiz-zato valutando insieme le esigenze pratiche,
la destinazione e la funzionalità richiesta», dice Werner Vivaldi, socio titolare di Eurocar-pet Srl.
Nella scelta del prodotto migliore e delle sue caratteristiche fisiche ed estetiche gioca un ruolo di primo piano la comprensione del tipo di resa necessaria, sia dal punto di vista tecnologico che sotto il profilo del design e dell’appeal: non è la stessa cosa, ad esempio, realizzare una pavimentazione in laminato per una camera di albergo o per la sede di una concessionaria di automobili, situazioni molto diverse fra loro come tipologia e solle-citazione nell’utilizzo quotidiano.
Analogamente, nella scelta di una tenda tecnica o di tendaggi è necessario compren-dere dove verranno posizionati, quale ne sarà l’utilizzo, quali sono le finalità: «Le varianti dei prodotti oggi disponibili sono moltissime, basti pensare che nel settore dei tendaggi ne esistono alcuni particolarmente sofisticati,
dotati di fibre catalitiche in grado di depurare l’aria, e quindi particolarmente indicati per ambienti come ristoranti o ospedali - spiega Vivaldi -. Il nostro impegno è proprio quello di agevolare e indirizzare il professionista nella scelta ottimale dei prodotti disponibili, curando poi direttamente consegna e posa, per un servizio completo di fornitura “chiavi in mano”».
In questo modo il carico di lavoro del progettista viene alleggerito grazie ad uno staff di esperienza, e viene fornito un ampio ventaglio di alternative sulla selezione dei prodotti in base alle specifiche richieste del progetto e al budget disponibile, bilanciando efficacemente il binomio qualità-prezzo: «Il risparmio, infatti, è dato dalla qualità e so-prattutto dalla capacità di centrare l’obiettivo del progetto, individuando il prodotto giusto
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ALLA TRADIZIONALE HOME DIVISION DEDICATA AI PRIVATI È STATA AFFIANCATA LA PROJECT DIVISION PENSATA PER I PROFESSIONISTIper ciascuna specifica realizzazione», affer-ma Vivaldi.
Nell’arco degli anni Eurocarpet ha con-tribuito alla realizzazione e manutenzione di centinaia di strutture direzionali, espositive e residenziali, grazie anche a collaborazioni consolidate con brand internazionali di ec-cellenza nella produzione di pavimenti (come quelli tecnici in gomme, pvc, linoleum), lami-nati, parquet, tessuti d’arredamento, tendag-gi, tende tecniche, da sole, tende meccaniche e relativi accessori, moquette, tappeti e carte da parati (l’azienda è tra l’altro esclusivista per l’Italia per alcuni importanti brand di pavi-menti, laminati, parquet e moquette).
Per offrire proposte sempre più competi-tive e innovative una linea d’azione prioritaria su cui si muove la Project Division è quella della ricerca di nuovi prodotti e del costante aggiornamento sulle ultime novità e tecnolo-gie del mercato: ogni anno vengono sele-zionati e testati in azienda centinaia di nuovi prodotti, su una gamma che va dal gusto classico allo stile contemporaneo.
A seconda delle esigenze della clientela vengono anche messe a punto soluzioni sem-pre diverse e spesso originali: fra queste, solo per citarne alcune, figura la realizzazione di tende da sole ad hoc in grado di adattarsi alle
mansarde o agli abbaini che sempre più di frequente vengono impiegati come ambienti di vita, ospitando spesso camere da letto. O ancora l’ideazione di un meccanismo per fis-sare la moquette senza colle o materiali che lascino traccia, utilizzando invece un sistema di aderenza col velcro. Un’altra soluzione avanguardistica messa a punto da Eurocar-pet è stata quella pensata per la nuova sede dell’Accademia di Yoga a Sant’Eufemia, con la realizzazione di lavorazioni sviluppate appo-sitamente per conferire alle pavimentazioni una tenuta e una speciale consistenza, adatta per eseguirvi in sicurezza gli esercizi fisici.
La convinzione di fondo che ispira le attività della Project Division, non a caso, è quella che dietro una grande opera si na-sconde una moltitudine di dettagli, ad ognuno dei quali va prestata la massima cura perché il risultato finale sia «a regola d’arte». Un criterio valido per tutti i settori, ma ancora di più nell’ambito dell’architettura, dell’arre-damento e del design, dove una lavorazione non può essere solo «bella», perché il fattore estetico di un prodotto da solo non basta, ma va sposato al comfort, alla funzionalità, alla praticità e alla resa tecnica, in modo che la realizzazione possa davvero venire abitata e vissuta, vincendo la sfida di durare nel tempo.
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Eurocarpet nasce a Brescia nel 1964 da un’idea del fondatore, Gualtiero Vivaldi, che avviò l’attività dopo un’esperienza maturata nell’azienda di tessitura di tappeti Vergani & C. di Cantù (che per prima in Italia iniziò la tessitura di tappeti per la pavimentazione to-tale degli ambienti). In quegli anni la moquet-te era un prodotto di lusso non ancora così diffuso, che iniziava ad entrare nelle case di prestigio: non è un caso che a Brescia, nel 1964, Eurocarpet fu la prima azienda iscritta alla Camera di Commercio alla voce merce-ologica «moquette», che fino ad allora non esisteva e venne creata ad hoc.Nel corso dei decenni l’azienda si sviluppa affiancando alle collezioni di moquette an-che i tessuti di arredamento e collezioni di tappeti pregiati. Oggi l’impronta innovativa del fondatore sopravvive grazie al testimo-ne raccolto dai tre figli, che hanno consoli-dato l’esperienza nel settore delle rifiniture d’interni, ampliando la proposta anche agli ambiti dei pavimenti resilienti, rivestimenti murali, parquet e laminati.
Un elemento di riconoscimento di Eurocarpet è la sede, il palazzo a vetri che affaccia su via Volturno, realizzato secondo criteri innovativi nel 1986 e ristrutturato nel 2006.Con questo recente intervento, progettato dall’architetto Giuliano Venturelli, la struttu-ra originale è stata recuperata in una chiave tecnologica avanzata, con una particolare at-tenzione al comfort, all’isolamento acustico e al risparmio energetico.La facciata in ferro e vetrate, avanguardisti-che per gli anni Ottanta, è stata mantenuta nell’impostazione, sostituendo però al ferro l’alluminio e alle vetrate riflettenti delle ve-trate trasparenti, con vetri basso emissivi e schermature solari.Il restyling della struttura si è accompagna-to a un rifacimento dell’impiantistica interna per ridurre i consumi energetici, e a una ri-definizione degli spazi interni per sfruttarli al meglio: grazie alla soluzione dei vetri tra-sparenti tutto l’edificio è diventato un grande «vetrina» capace di dialogare con il contesto circostante.
LA MOQUETTE DEGLI ANNI ’60
UNA «VETRINA» SULLA CITTÀ
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UNO SPAZIO SPECIALE AFFACCIATO SUL LAGO
Gli spazi dell’abitare e del lavoro sono da sempre terreno fertilissimo per l’estro architettonico applicato alla funzionalità. E se in questi due ambiti le «scuole» si molti-plicano e vietare è vietato, quando ci si tra-sferisce nel campo degli spazi del cibo, del buon bere e della conversazione informale la creatività e lo spirito «fusion» si possono ampliare ulteriormente. Come succede (il presente è d’obbligo, perchè questa è davvera una realtà work in progress) in uno dei locali polivalenti più gettonati del Garda bresciano: l’«Aquariva» di Padenghe, una
creatura ormai più che affermata di Ivan e Paolo Favalli.
In questo spazio quasi storico (il gran-de rilancio risale al 2002) inserito nella cornice di West Garda marina, geometrie, invenzioni e materiali diversissimi, estratti dal mondo della nautica come da quello delle terrazze più esclusive, hanno creato e creano una cornice davvero speciale. In principio era il gazebo, potremmo dire riprendendo il racconto della scommessa vincente fatta dai gestori. Poi, attorno a questa struttura basica è stato realizzato
uno spazio che fonde strutture in muratura e vetro all’insegna della leggerezza archi-tettonica e dell’informalità con un bellissi-mo pavimento nautico in legno recuperato dalla demolizione di una nave. Regala le dolci tonalità e le forme del legname «ma-rino» anche lo splendido bancone del bar (altro elemento di recupero), mentre il re-sto dell’arredamento è costituito da un mix di eleganza non pretenziosa, perfetto per un locale che propone l’altissima qualità di uno yacht club e insieme un’atmosfera amicale.
A PADENGHE LA «CREATURA» DI IVAN E PAOLO FAVALLI: UNO DEI LOCALI GARDESANI PIÙ GETTONATIPAOLO BALDI
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Nel ristorante Aquariva diventa un elemento qualificante dell’arredamento anche il campionario (consumabile) di botti-glie da collezione di rum, calvados, whisky e cognac da fare invidia alle enoteche più rifornite: una passerella che fa in qualche modo da prologo alla grande ricchezza-specialità del ristorante, vale a dire le 150 referenze in carta relative allo champagne, una dotazione che piazza questo spazio in riva al Benaco ai primi posti in Italia. Il resto (si fa per dire) è rappresentato da una cucina raffinata che mescola invenzioni
internazionali col pane fatto in casa; e so-prattutto da un elemento fondamentale che è rappresentato dalla speciale atmosfera pulsante che si respira da queste parti.
Ma Aquariva non è solo un vero e pro-prio punto di riferimento estivo: la calda atmosfera del locale è la location ideale anche per le serate invernali, magari accanto allo splendido camino acceso che crea un ambiente assolutamente impaga-bile.
Quest’anno, inoltre, è stato lanciato un nuovo esperimento, che ha avuto un riscon-
tro davvero rilevante: si chiama «Aqua-Lounge» il nuovo riferimento benacense per aperitivi sfiziosi e raffinati, feste private e non, serate e dopocena. Nuovo di zecca, accoglie i clienti in un ambiente elegante e dominante bianco, con un arredamento minimale e bellissimo, sempre affacciato sul lago e a ridosso del locale «madre». Dopo questa prima esperienza, il prossimo anno «AquaLounge» proporrà un calenda-rio di eventi estivi, serate a tema e musica dal vivo, anche in gemellaggio con i migliori locali di tendenza della provincia di Brescia.
DALLO SPLENDIDO BANCONE DEL BAR AL PAVIMENTO IN LEGNO RECUPERATO DALLA DEMOLIZIONE DI UNA NAVE
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E così è successo per il museo a lui dedica-to. Si è infatti inaugurato ufficialmente ai primi di giugno a Louvain-la-Neuve, paese a 25 km da Bru-xelles, il Museo Hergé progettato nel 1996 dall’ar-chitetto francese Christian de Portzamparc.
L’annuncio della sua costruzione fu dato il 10 gennaio 2001 (giorno della nascita di Tintin nel 1929), ma la sua costruzione ha avuto inizio solo il 22 maggio 2007 (giorno del compleanno di Hergé). Il Museo è stato costruito in soli due anni e i lavori, costati 17 milioni di euro, sono stati finanziati dalla seconda moglie di Hergé, Fanny Rodwell.
I disegni anni ’20 di Hergé hanno ispirato il logo del Museo, composto da un mix tra la lettera H (iniziale di Hergé), la forma del Museo e la testa stilizzata di Tintin.
L’edificio ha la sagoma di un prisma allun-gato. La facciata bianca rafforza la sensazione di leggerezza dell’edificio che emerge da una zona alberata e che è collegata al resto della città da una passerella. Le enormi vetrate laterali asso-migliano a delle vignette. Quattro pareti di colori vivaci (giallo, verde, salmone e quadri in bianco e nero) con disegni astratti accolgono il visitatore come omaggio simbolico alle avventure vissute da Tintin. Passerelle ondulate e tetto parzialmen-te vetrato per guadagnare luce solare danno la sensazione di irrealtà ai visitatori che iniziano la visita dai piani superiori.
Il cartoon, intitolato «Camuni», ha come filo conduttore lo stesso tema scelto per la prima edi-zione di «Archeoweek - festival della Preistoria», ossia «L’amore e l’amicizia dalla preistoria ad oggi», concluso nei giorni scorsi.
«L’idea di dar vita con un breve cortome-traggio alle incisioni rupestri della Valcamonica - spiega Bruno Bozzetto - mi ha immediatamen-te affascinato fin da quando mi è stata proposta. L’animazione consiste infatti nel dar vita ad og-getti inanimati, e credo che nulla al mondo, più di queste incisioni, meriti il dono del movimento. Quale strumento, meglio dell’animazione, avreb-be potuto “completare” il recondito desiderio dei loro creatori? Perché al riguardo non ho dubbi: fossero vissuti nella nostra epoca, quegli stessi artisti si sarebbero sicuramente serviti dell’ani-mazione e non di una roccia, come mezzo di espressione. Ecco perché sono rimasto incan-tato da questo progetto, che ha richiesto anche un’animazione molto particolare e stilizzata, il più possibile simile ai disegni delle incisioni».
Fino al 31 ottobre ogni soggetto può pre-sentare un progetto, che dovrà essere inedito, realizzato con qualsiasi tecnica ed in qualsiasi materiale, spedendolo a «Viabizzuno: cos’è per te la luce?», via Romagnoli 10, 40010 Bentivoglio (Bologna).
Il pacco dovrà essere anonimo e dovrà con-tenere, oltre al progetto, una busta bianca chiu-sa contenente il modulo precompilato con i dati del progettista. Su progetto e busta anonima va scritto un nome di fantasia. I progetti selezionati saranno oggetto di una mostra e saranno rac-colti in un libro. La comunicazione dei progetti selezionati verrà pubblicata sul sito www.viabiz-zuno.com. il 1° dicembre 2009. Per informazioni e regolamento: [email protected].
Il mobile è un contenitore su ruote, una sor-ta di armadietto caratterizzato da macroserigrafia colorata a bolle su tre lati, di for-te impatto visivo, in grado di at-trarre e catturare l’occhio specie dei più giovani. Si chiama Babol
ed è un pezzo di arredamento ideale per una casa informale, moderna ed eclettica. Il mobile, con due ante battenti e una struttura in laccato opaco bianco, si muove su quattro ruote e può essere scelto in una delle quattro versioni di-sponibili: con serigrafie in verde acido, blu cina, arancio o nero.
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I GIOVANI PROGETTISTI DELLA LUCE«COS’È PER TE LA LUCE?»
È UNA RACCOLTA DI IDEE SULLA LUCE, APERTA A PROGETTISTI DA ZERO A
QUATTORDICI ANNI.
LE INCISIONI RUPESTRI DIVENTANO UN CARTOON
IL DISTRETTO CULTURALE DI VALLE CAMONICA, FRA LE AZIONI DI PRO-
MOZIONE E DIVULGAZIONE MESSE IN ATTO PER VALORIZZARE IL TERRITORIO
CAMUNO, HA DECISO DI AFFIDARE AL CARTOONIST BRUNO BOZZETTO E AL
SUO STUDIO LA REALIZZAZIONE DI UN CARTONE ANIMATO, CHE HA
COME SOGGETTO LE INCISIONI RUPESTRI DELLA VALLE CAMONICA.
IL MUSEO DI TINTIN«A FORZA DI CREDERE NEI SOGNI
L’UOMO LI TRASFORMA IN REALTÀ» HA AFFERMATO UNA VOLTA HERGÉ,
PSEUDONIMO DI GEORGE RÉMY (1907-1983), PADRE DEL NOTO FUMETTO
DEL REPORTER GIRAMONDO TINTIN.
Nata il 26 agosto 1959 con il duplice nome di Morris Mini-Minor e Austin Seven, la pic-cola trazione anteriore inglese ha da quel momento cominciato a far parlare di sé e ancora oggi continuiamo a parlarne e a guidarla.
In realtà il mezzo secolo di vita della Mini va diviso in due parti: i primi 41 anni della Mini classica, che vanno dal 1959 al 2000, e gli ultimi 9 anni della Mini del Gruppo Bmw, dal 2001 ad oggi.
Anche se non ha inventato la trazione anteriore, né la costruzione monoscocca, né il motore trasversale, la piccola Mini è riuscita a racchiudere in sé tutte queste componenti che ne hanno fatto la fortuna e che hanno permesso di produrne 6 milioni di esemplari in 50 anni di vita.
MEZZO SECOLO DI MINICINQUANT’ANNI NON SONO CERTO UN TRAGUARDO DA POCO PER UN’AUTOMOBILE,
SOPRATTUTTO SE SI TRATTA DI UNA VETTURA CHE HA FATTO EPOCA COME LA MINI.
MILLE BOLLE IN SALOTTO MINA CANTAVA LE «MILLE BOLLE BLU»
E, CON UNO STILE IRONICO E GIOIOSO, EMMEBI INDUSTRIA MOBILI, UN’AZIENDA
DI CESANO MADERNO, NEL MILANESE, LE TRASFORMA IN UN PEZZO
DI ARREDAMENTO.
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All’orizzonte c’è la prospettiva che proprio la Fondazione, la cui sede si affaccia sul mare di Vesima (Genova), tra Voltri ed Arenzano, diventi sede permanente in Italia del più antico ateneo degli Stati Uniti.
«Alla fine dell’anno ci sarà un’accelerazione del programma di collaborazione che ci lega ad Harvard - ha detto Piano -, così come ad altre 12 università del mondo e nella seconda fase del programma si prospetta questa possibilità. Har-vard ha già una sede in Italia, a Firenze, dedicata ad attività umanistiche. Quella di Genova sarebbe incentrata sulla “poetica del costruire”».
L’architetto genovese, ormai «cittadino del mondo», ha anche auspicato che la Fondazione si apra alla visita di studenti delle scuole elementari genovesi affinchè «questo luogo serva ad insemi-nare in città la voglia di architettura».
È il giardino sonoro urbano, un percorso mul-tisensoriale all’interno del Parco Sempione che ha lo scopo di ricondurre i visitatori all’ascolto dei suoni della natura. Realizzato presso il laghet-to, a ridosso della Triennale, il giardino sonoro è costituito da una serie di altoparlanti ambientali, che diffondono le composizioni del sound designer Lorenzo Brusci: musiche in grado di amplificare la percezione dell’ambiente circostante, che nelle città è spesso soffocata dal rumore. «La progett-tazione sonora degli spazi pubblici è un vettore di benessere e di utilità sociale e individuale» ha spiegato Gianluigi Chiodaroli, presidente di SCF Consorzio Fonografici, che ha realizzato il progetto in collaborazione con la Triennale, la Nuova Acca-demia delle Belle Arti e il Politecnico di Milano.
«rappresenta un pro-dotto dell’estrema creati-vità del design italiano»: è quanto è emerso dall’in-contro con l’architetto David Fisher, israeliano di nascita ma italiano di adozione, che ha presentato in occasione dell’Eire - la Fiera a Milano del Real Estate - il suo in-novativo progetto di edificio in movimento basato sul concetto di architettura di-namica. La Torre girevole, con i suoi piani che ruotano indipendentemente intor-no a un asse centrale, sarà inoltre il primo edificio re-alizzato in fabbrica, tramite moduli preassemblati che vengono poi installati in loco. A questo si aggiunge il lato «verde» del proget-to che verrà realizzato a Dubai: l’edificio infatti sarà autosufficiente dal punto di vista energetico.
Si tratta dell’unico elettrodomestico, inse-rito nella sezione «Abitare», tra i 100 prodotti scelti per l’annuario in cui sono raccolti i migliori esempi del design italiano. Indesit Moon ha già ricevuto numerosi premi internazionali: dal «Pro-dotto dell’Anno» nel Regno Unito agli Ert Industry Awards, il Good Design Award del Chicago Athe-neum, il Grand Prix de l’Innovation di Parigi, lo Ja-nus de l’Industrie assegnato dall’Institut Français du Design e lo Zlota Villa assegnato da «Villa», prestigiosa rivista polacca di interior design.
Il risultato è «Fasten your seatbelts», un even-to che ha permesso loro di presentare al pubblico milanese i prodotti realizzati in serie: da un kit per conservare i ricordi, a una molletta da bucato mul-tiuso con tanto di luce integrata, dalla scarpa che si trasforma in sandalo, fino a borse di ogni forma e dimensione. I 58 designer che hanno partecipato al progetto hanno affrontato il lavoro a contatto con le aziende, dimostrando di essere pronti per il mercato reale dopo tre mesi di confronto con la produzione.
Al termine, sono stati realizzati i prototipi che sono poi stati messi in vendita durante l’iniziativa. Punto di partenza del progetto è stato il corso di Concept Design Studio, all’interno del master inter-nazionale del Politecnico di Milano in Product Servi-ce System Design.
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IL GIARDINO SONORO URBANOUN’OASI NELL’INQUINAMENTO
ACUSTICO DI MILANO.
HARVARD SBARCA A GENOVASI RAFFORZANO I RAPPORTI TRA
LA FONDAZIONE RENZO PIANO E L’UNIVERSITÀ DI HARVARD,
GIÀ LEGATE DAL 2001 DA UN ACCORDO DI COLLABORAZIONE.
L’idea, nata nel 1969, era di «trovare un articolo che semplificasse il lavoro del consumatore». «Cambiare colore d’inchiostro senza cambiare la stilo», diceva lo slogan.
Una biro che ha fatto storia: immancabile nell’astuccio degli scolari, degli studenti e degli insegnanti, che usavano il colore rosso per correggere i compiti. Disponibile in punta media (blu) o punta fine (arancio), la biro tradizionale comprende quattro colori: blu, nero, rosso e verde. Per i suoi 40 anni, la mitica Bic ha prodotto, in edizione limitata, una serie con 4 colo-ri acidi: blu oltremare, viola profondo, rosa «girly» e verde acido. Fondata nel 1945, la società Bic fab-brica ogni giorno 24 milioni di articoli di cartoleria. E nel 1950 che Marcel Bich ha lanciato la famosa biro Bic, la classica Cristal, a prezzo abbordabile.
I 40 ANNI DELLA «4 COLORI» BICIL DESIGN NON È MAI CAMBIATO. E LA BIC A 4 COLORI SOFFIA QUEST’ANNO SULLE SUE 40 CANDELINE.
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