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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MODENA E REGGIO EMILIA FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA Corso di Laurea in Infermieristica - Sede Reggio Emilia TESI DI LAUREA LA SENSIBILIZZAZIONE DEI FAMILIARI DI PAZIENTI AFFETTI DA GRAVE CEREBROLESIONE ACQUISITA ALLA VALUTAZIONE DEL DOLORE ATTRAVERSO L USO DI SCALE: risultati di una revisione bibliografica e dati di esperienza in Riabilitazione Neurologica Intensiva di Correggio. Relatore Chiar.mo Prof. Giovanna Amaducci Co-relatore Valentina Giorgi Studente Federica Nobili Anno accademico 2010/2011

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDIDI MODENA E REGGIO EMILIA

FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIACorso di Laurea in Infermieristica - Sede Reggio Emilia

TESI DI LAUREA

LA SENSIBILIZZAZIONE DEI FAMILIARI DI PAZIENTI AFFETTI

DA GRAVE CEREBROLESIONE ACQUISITA

ALLA VALUTAZIONE DEL DOLORE ATTRAVERSO L’USO DI SCALE:

risultati di una revisione bibliografica e dati di esperienza in

Riabilitazione Neurologica Intensiva di Correggio.

RelatoreChiar.mo Prof. Giovanna AmaducciCo-relatoreValentina Giorgi

Studente Federica Nobili

Anno accademico 2010/2011

UNIVERSITA’ DEGLI STUDIDI MODENA E REGGIO EMILIA

FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIACorso di Laurea in Infermieristica - Sede Reggio Emilia

TESI DI LAUREA

LA SENSIBILIZZAZIONE DEI FAMILIARI DI PAZIENTI AFFETTI

DA GRAVE CEREBROLESIONE ACQUISITA

ALLA VALUTAZIONE DEL DOLORE ATTRAVERSO L’USO DI SCALE:

risultati di una revisione bibliografica e dati di esperienza in

Riabilitazione Neurologica Intensiva di Correggio.

RelatoreChiar.mo Prof. Giovanna AmaducciCo-relatoreValentina Giorgi

Studente Federica Nobili

Anno accademico 2010/2011

Parole chiave

Grave cerebro lesione acquisita

Dolore

Scala di valutazione

Familiari/caregiver

Empowerment

INTRODUZIONE………………………………………………………………….....

CAPITOLO 1

LE STRATEGIE DI RICERCA……………………………………………………..

CAPITOLO 2

DOLORE NEL PAZIENTE CON GRAVE CEREBROLESIONE ACQUISITA…

CAPITOLO 3I BISOGNI DEI FAMILIARI NEL RICONOSCIMENTO E NELLA GESTIONE DEL

DOLORE DEL PAZIENTE CON GRAVE CEREBROLESIONE ACQUISITA

3.1 I bisogni e i diritti dei familiari nel percorso riabilitativo……………………...

3.2 I familiari e la rilevazione del fenomeno dolore nei pazienti con GCA……….

CAPITOLO 4

IL TIROCINIO FINALIZZATO ALLA TESI: L’ESPERIENZA NELL’UNITA’

OPERATIVA DI RIABILITAZIONE NEUROLOGICA INTENSIVA DI

CORREGGIO…………………………………………………………………….......

CONCLUSIONI………………………………………………………………………

BIBLIOGRAFIA

ALLEGATI

1. Scala Abbey

2. Scale VNS

3. Procedura Dipartimentale sul dolore

4. Carta di S. Pellegrino

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INTRODUZIONE“Il paziente in stato vegetativo non è un vegetale, ma una persona umana. La Corte di Cassazione1 riconosce che

“… chi versa in stato vegetativo permanente è, a tutti gli effetti, persona in senso pieno, che deve essere rispettata e tutelata nei suoi diritti fondamentali, a partire dal diritto alla vita e dal diritto alle prestazioni sanitarie, a maggior ragione perché in

condizioni di estrema debolezza e non in grado di provvedervi autonomamente… a prescindere da quanto la vita sia precaria e da quanta speranza vi sia di recuperare le funzioni cognitive…”.”.

“Il dolore è molto più che un fenomeno fisico” (Minuzzo, 2004). Esso infatti

rappresenta: “… un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata a un

danno tissutale, in atto o potenziale, o descritta in termini di danno” (WHO, 1996),

“esistendo quando la persona che lo sperimenta dice che esiste” (Anelli, 2009).

Da tale definizione emerge la natura multidimensionale ed altamente soggettiva del

sintomo dolore, l’accertamento del quale si basa prevalentemente sul riferimento

diretto della persona. Tale modalità di raccolta del sintomo è impossibile in pazienti

affetti da disturbi della coscienza ed incapaci di comunicare, come i pazienti con

grave cerebrolesione acquisita (GCA)2. Ma il fatto che la persona non possa

esprimere il dolore, significa che neppure è in grado di percepirlo? Intorno a tale

tematica, la comunità medico scientifica, l’etica e la medicina legale si interroga da

molto tempo ed ancora non si è addivenuti a risposte risolutive del problema.

Recenti studi hanno dimostrato che l’elaborazione del dolore a livello cerebrale, nella

persona in stato vegetativo è incompleta (elaborazione dello stimolo nocicettivo solo

a livello primario e non secondario superiore), questo porta gli studiosi a ritenere che

lo stimolo doloroso non raggiunga la coscienza (Schnakers, Zasler, 2007)

Nella persona in stato di minima coscienza, gli studi hanno dimostrato che sono

presenti schemi di attivazione cerebrale al dolore. In questi pazienti gli stimoli

nocicettivi hanno una sufficiente integrazione corticale tale da elaborare

consapevolmente lo stimolo e mantengono comunque alcune funzioni cognitive di

alto livello (Cruse, Owen A, 2010).

Alcuni autori (Ivanhoe, Hartman, 2004) sostengono che il dolore in queste persone è

percepito nella stessa misura in cui lo avvertivano precedentemente al danno subito.

Spesso avvertono, per esempio, mal di testa come lo avverte la maggior parte della

popolazione sana.

Nei pazienti in stato di minima coscienza, il riconoscimento e la valutazione tempe-

stiva del dolore, rappresentano una reale sfida quotidiana per i professionisti sanitari,

1Corte di Cassazione Sezione I Civile, Sentenza n. 21748 del 16.10.20072D’ora in avanti questa sigla verrà utilizzata intendendo come tale grave cerebrolesione acquisita.

1

proprio perché mancano strumenti adatti a valutare il dolore nei pazienti in stato ve-

getativo o comunque non collaboranti e secondo Lord (2009), le attuali e più diffuse

scale di valutazione, non sembrano idonee per una valutazione completa, precisa uni-

voca dei segni e sintomi di dolore nel paziente in stato di minima coscienza.

Secondo l' American Pain Society "…il dolore è considerato il 5° parametro vitale"

(Brugnolli, 2007). L' importanza della rilevazione tempestiva e del trattamento del

dolore è fondamentale, in quanto il recupero funzionale ne può essere compromesso.

Infatti il dolore può ridurre la capacità del paziente di collaborare alle attività riabili-

tative e se queste stesse vengono attuate con il paziente in uno stato di benessere, si

verificano miglioramenti in tempi più rapidi.

Talvolta le manovre assistenziali e riabilitative sono fonte di dolore, e questo viene

percepito sia nei pazienti in grado di comunicare sia nei pazienti incapaci di comuni-

care come per i pazienti in stato vegetativo o di minima responsività.

In modo più specifico ho potuto osservare e raccogliere informazioni su come viene

valutato, gestito e trattato il dolore, nella quotidianità clinica Riabilitativa.

Per prepararmi all’esperienza di tirocinio finalizzata alla tesi ho letto le procedure

presenti nell’ U.O. che sono state strutturate e caratterizzano la presa in carico

infermieristica.

In particolar modo ho preso visione del progetto “La gestione del dolore in ambiente

riabilitativo”, “Il percorso famiglia” e il progetto di ricerca iniziato nel 2009 dal

titolo: “Riconoscere e curare il dolore nel dipartimento riabilitativo” .

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CAPITOLO 1

LE STRATEGIE DI RICERCA

Problema di ricerca:

In seguito all'esperienza alla Casa dei risvegli Luca De Nigris, di Bologna, organiz-

zata come attività di Laboratorio Pedagogico di 1° semestre - 3° anno ( AA

2010/2011), ho potuto constatare che vi era da parte mia un notevole interesse all'am-

biente riabilitativo e a quella specifica tipologia di pazienti.

Approfondendo poi l'argomento durante le lezioni, dalle docenti di neurologia ed in-

fermieristica applicata alla neurologia, mi sono fatta un' idea più specifica di chi è il

paziente con GCA e delle problematiche legate a questa patologia una volta usciti dal

coma.

Incuriosita a coltivare meglio questo interesse, insieme alla professoressa Amaducci

Giovanna, ho deciso di orientarmi verso questo argomento per sviluppare il mio ela-

borato di tesi, iniziando a ricercare in letteratura le considerazioni e le problematiche

infermieristiche sul paziente con GCA.

Essendo il paziente con GCA molto complesso sia dal punto di vista clinico che assi-

stenziale ho dovuto stabilire come prima cosa, su quale momento del suo percorso

volevo soffermarmi, andando a ricercare come vengono definiti i periodi nella fase

acuta e nella fase cronica del percorso riabilitativo.

Stabilito che dopo 3-6 mesi dall'uscita dal coma viene conclusa la fase acuta, ho vo-

luto collocare il mio lavoro di ricerca bibliografica nella cronicità, più lunga e appa-

rentemente più stabile in cui il lavoro dei professionisti è volto verso un possibile ri-

pristino delle capacità perse dopo la lesione traumatica e alla prevenzione delle com-

plicanze tardive nella quotidianità del contesto riabilitativo.

In particolare ho indirizzato le mie ricerche nella gestione del paziente in riabilitazio-

ne, con tutto quello che comporta il lavoro d'equipe, cercando di approfondire meglio

il ruolo dell'infermiere nella relazione assistenziale di presa in carico di questa tipolo-

gia particolare di paziente.

Il problema che personalmente ho riscontrato di maggior importanza su cui fare luce

e su cui la letteratura forniva pareri discordanti è il dolore.

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La domanda che mi sono posta è stata: “Questi pazienti nonostante non riescano a

comunicare provano ugualmente dolore da stimoli interni e/o esterni?”

Tenendo conto che, con la definizione di paziente con GCA si intendono diverse ti-

pologie di paziente, si è scoperto che i pazienti in stato di minima coscienza possono

provare dolore ma non riescono ad esprimerlo verbalmente, mentre i pazienti in stato

vegetativo non percepiscono il dolore perché non arriva lo stimolo nocicettivo alla

corteccia cerebrale.

Quindi da questa considerazione la mia attenzione si è focalizzata maggiormente sul

paziente in stato di minima coscienza e sulle diverse problematiche di gestione del

dolore.

Specifica competenza infermieristica diventa quindi la valutazione di questo sintomo

in modo corretto, in modo tempestivo e uniforme e la possibilità di trattarlo nel modo

migliore per permettere il benessere del soggetto e favorire di conseguenza la sua

predisposizione e risposta riabilitativa migliore alle attività organizzate dall'equipe

durante la giornata.

Gli esperti clinici, che mi hanno guidato e sostenuto in questo percorso di tirocinio,

dunque, per rendere ancora più efficace ed appropriata la presa in carico assistenziale

in ambito riabilitativo hanno compiuto una ricerca bibliografica sulle principali scale

di valutazione che potessero evidenziare il dolore in maniera oggettiva senza creare

differenze tra i pazienti e senza porre pareri discordanti tra gli operatori.

Quindi le principali scale rintracciate sulle principali riviste infermieristiche (ad

esempio: PAINED, NOCEPTION COMA SCALE) erano citate senza mostrare le ef-

fettive ricadute pratiche derivanti dal loro utilizzo clinico.

Grazie alla disponibilità del reparto di Riabilitazione Neurologica Intensiva

dell'ospedale San Sebastiano di Correggio, sono venuta a conoscenza di un progetto

aziendale avviato nel 2009, dal titolo “RICONOSCERE E CURARE IL DOLORE

NEL DIPARTIMENTO RIABILITATIVO” in cui è stata introdotta e approvata una

nuova scala di valutazione del dolore: l'ABBEY PAIN SCALE (APS) specifica per

valutare il dolore nei pazienti con disturbi di coscienza. E' stata valutata e provata su

un ampio campione di pazienti accolti in Riabilitazione Neurologica Intensiva e i

risultati sembrano essere utili e riproducibili secondo il personale sanitario, che ha

somministrato la APS nel periodo di prova. Il passo successivo potrebbe essere

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quello di spiegarla e farla utilizzare anche alle famiglie dei pazienti in stato di

minima coscienza o comunque con GCA, soprattutto nell'ottica di preparare la

dimissione protetta e la gestione domiciliare di questa particolare categoria di

pazienti attivando al contempo capacità e abilità nei caregiver di riferimento.

Una volta a domicilio, infatti, saranno i familiari che dovranno gestire autonomamen-

te il proprio caro e dovranno occuparsi quotidianamente per il mantenimento della

salute, la prevenzione delle complicanze e per la gestione di una serie di bisogni

molto importanti (quali ad esempio: bere, mangiare, movimento, sicurezza, integrità

cutanea, benessere termico, cardiocircolatorio e respiratorio, riposo-sonno, elimina-

zione urinaria-intestinale); tra questi il dolore ha un impatto trasversale su tutti i biso-

gni precedentemente citati a scopo di esempio.

Quindi tra i vari momenti di educazione per la famiglia anche sul dolore bisogna for-

nire le corrette informazioni e creare momenti di confronto e di dialogo tra equipe

medica/infermieristica e familiari in un’ottica di preparazione migliore alla dimissio-

ne protetta e per poter offrire durante la degenza di sperimentarsi in quelle che saran-

no le abilità di valutazione e le gestualità assistenziali che li vedranno garanti per la

quotidianità a domicilio. La degenza riabilitativa può diventare quindi una duplice

palestra: sia per la persona con GCA nello specifico degli obiettivi di riabilitazione

impostati dal fisiatra e seguiti dal fisioterapista di riferimento, sia per il familiare/ca-

regiver di riferimento per potersi allenare, in situazione ancora protetta e con la su-

pervisione di professionisti dedicati come gli infermieri di riabilitazione, a situazioni

che si potrebbero incontrare una volta dimesso il paziente.

Prioritariamente quindi è necessario imparare a conoscere la famiglia e attivare una

doppia presa in carico a favore di persona con GCA e FAMIGLIA perché con le loro

necessità, le loro difficoltà e il rapporto con il loro caro in questo contesto i familiari

diventano a pieno titolo i portatori di bisogni ed esigenze che necessariamente devo-

no essere tenuti in considerazione in un’ottica di partnership e alleanza. Esplorando

meglio il contesto familiare si riescono, infatti, ad affrontare più serenamente certe

problematiche che hanno delle ripercussioni a lungo termine sulla qualità di vita sia

del caregiver che della persona affetta da GCA.

Da queste considerazioni prende avvio il percorso di riflessione che mi ha motivato

ad elaborare la tesi, per la quale ho impostato un P.O., acronimo che sta per PRO-

5

BLEMA/OUTCOME da cui partono le mie ricerche bibliografiche, per arrivare ad

evidenziare le soluzioni che la letteratura propone su un progetto informativo-educa-

tivo per i familiari. Per realizzare questo mi sono inserita in un progetto già avviato e

consolidato da un contesto clinico, in cui ho collaborato affinché si rendesse più con-

creta la mia esperienza sul campo, non avendo avuto la possibilità di frequentare un

percorso di tirocinio standard in un contesto di Riabilitazione.

P: familiari di pazienti in stato di minima coscienza in fase cronica

O: Sensibilizzazione alla valutazione del dolore attraverso l’uso di scale

- riconoscimento tempestivo

- interpretazione corretta del sintomo e differenziazione da altri sintomi

- precisione nella rilevazione

- completezza

- appropriatezza nel trattamento

Scopo

- Informare i familiari di pazienti in stato di minima coscienza per aumentare la capa-

cità di gestione autonoma della valutazione del fenomeno dolore.

- Sensibilizzare i familiari di pazienti in stato di minima coscienza alla valutazione

del dolore attraverso l’uso di scale, anche a domicilio.

Quesiti

Come i familiari di pazienti in stato di minima coscienza valutano la presenza di

dolore?

I familiari sono in grado di riconoscere le manifestazioni di dolore?

I familiari conoscono quali sono i segni e/o sintomi significativi di dolore della

persona da loro assistita?

I familiari di pazienti in stato di minima coscienza conoscono l’uso di scale per la va-

lutazione del dolore?

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TERMINI MESH E STRINGHE DI RICERCA

Strategia 1 Minimally consciousness state and Pain

Strategia 2 Care giver and needs and brain injury

RISULTATI OTTENUTI:

STRATEGIA RICERCA 1

Banca dati Stringa di ricerca

Items pertinenti

Items consultati in full text (titolo, autore, rivista)

Medline minimally conscious state and pain

4 1. “Pain assessment and management in disordes of consciousness”.C. Schnakers, N. D. Zasler.Curr Opin Neurol, 2007 20:620-626

2. “What is like to be vegetative or minimally conscious?”S. Laureys, M. Boly.Curr Opin Neurol, 2007, 20:609-613

3. “Assessment and detection of pain in noncomunicative severly brain injured patients”.C. Schnakers, C. Chatelle, S. Majereus, O. Gosseries, M. De Val, S. Laureys,Expert Rev Neurother, 2010 Nov; 10 (11): 1725-1731

4.“Pain assessment in non-comunicative patients”.C. Chatelle, A. Vanhaudenhuyse, AN. Mergam, M. De Val, S. Majeurs, M. Boly, MA. Bruno, P. Boveroux, A. Demertzi, O. Gosseries, D. Ledoux, P. Peigneux, E. Salmon, G. Moonen, ME. Faymonville, S. Laureys, C. Schnakers, Rev Med Liege 2008 63(5-6): 429-437

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STRATEGIA RICERCA 2

Banca dati Stringa di ricerca

Items pertinenti

Items consultati in full text

Medline Care giver and needs and brain injury

3 1. “Stress and coping among families of patients with traumatic brain injury: a rewiew of the literature”S. Verhaeghe, T. DefloorM. GrypdonckJournal of clinical Nursing 2005, 14:1004-1012

2."Assessment and Treatment of persistent Pain in Person With Cognitive and Comunicative Impairment"A. Lynn Snow, John L., Shuster Jr., Journal of clinical psychology:in session, 2006 , 62 (11):1379-1387

3. "Family caregiving and traumatic brain injury" C. E. DegeneffeHealt e social work 2001, 26(4): 257-268

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CAPITOLO 2

DOLORE NEL PAZIENTE CON GRAVE CEREBROLESIONE ACQUISITA

“… le persone con disabilitàhanno il diritto di godere del migliore stato di salute possibile, senza discriminazioni

fondate sulla disabilità...”.

Negli ultimi anni grazie alla ricerca, ai progressi della medicina, a cure più idonee e

alle nuove tecnologie si è registrato un incremento di pazienti sopravvissuti dopo

gravi lesioni cerebrali. Si tratta di persone che non sono in grado di provvedere

autonomamente ai bisogni primari della vita e che necessitano di essere sostenute ed

accudite in tutte le loro funzioni, anche le più elementari.

Con D.M. 12 settembre 2005 dell’Onorevole Domenico Di Virgilio è stata istituita la

Commissione tecnico-scientifica sullo Stato vegetativo e sullo stato di minima co-

scienza. In essa sono censiti i casi di pazienti in condizioni di bassa responsività esi-

stenti in Italia stimati in circa 1500 casi; tale numero è destinato a crescere sia in

considerazione dell’accresciuta precocità ed estensione sul territorio della medicina

d’emergenza-urgenza che della prolungata sopravvivenza che ne deriva.

L’incidenza annuale per milione di abitanti (PMP) dello SV da tutte le cause acute

(escluse le patologie congenite e le patologie degenerative a decorso progressivo) a

diversa distanza dall’incidente è, nel Regno Unito 14 a 1 mese, 8 a 3 mesi e 5 a 6

mesi; negli Stati Uniti 46 a 1 mese, 27 a 3 mesi, e 17 a 6 mesi; in Francia 67 a 1

mese, 40 a 3 mesi e 25 a 6 mesi3.

I dati di prevalenza relativi agli Stati Uniti variano tra 40 e 168 casi per milione di

abitanti (PMP) negli adulti e tra 16 e 40 nei bambini. In Austria la prevalenza è di 19

casi PMP, in Danimarca di 1,3 PMP a cinque anni dall’incidente e nell’Irlanda del

Nord di 23 PMP negli SV e negli SMC. La sopravvivenza a lungo termine e il recu-

pero tardivo meritano particolare attenzione negli SV.

Inoltre con D.M. 18 ottobre 2008 è stato istituito dall’Onorevole Eugenia Roccella il

Gruppo di Lavoro sullo stato vegetativo e di minima coscienza per definire un elabo-

rato che, sulla scorta delle conoscenze epidemiologiche e scientifiche possa fornire

un’accurata valutazione delle problematiche relative alla verifica di modalità di co-

3 Commissione tecnico-scientifica sullo Stato vegetativo e sullo stato di minima coscienza “STATO VEGETATIVO E DI MI-NIMA COSCIENZA” Epidemiologia, evidenze scientifiche e modelli assistenziali, a cura di Gianluigi Gigli, Antonio Carolei, Paolo Maria Rossini e Rachele Zylberman DOCUMENTO FINALE (4 dicembre 2009)

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municazione e di elementi di coscienza nei pazienti in stato vegetativo e stato di mi-

nima coscienza e per elaborare un documento aggiornato circa le conoscenze epide-

miologiche che aiutino a caratterizzare le dimensioni della condizione di stato vege-

tativo e di stato di minima coscienza, anche in riferimento alla sua evoluzione ed

all’outcome, precisandone le possibilità di recupero nei diversi tipi di eziologia e nel-

le diverse fasi di malattia.

Ogni anno in Emilia-Romagna circa 1.300 persone sopravvivono ad una GCA dovuta

in quasi la metà dei casi (43%) ad eventi traumatici quali gli incidenti stradali, e ven-

gono ricoverate in stato di coma presso le unità di Rianimazione o Neurochirurgia. In

circa un quarto dei casi, superata la fase acuta, sono necessari ricoveri per program-

mare e attuare i complessi interventi riabilitativi. Per dare una risposta adeguata al

fabbisogno riabilitativo delle persone con GCA e alle loro famiglie, il Servizio Sani-

tario Regionale ha attivato il progetto GRACER (Gravi Cerebrolesioni Acquisite

Emilia-Romagna). Il modello organizzativo, basato sul concetto di rete “Hub & Spo-

ke”, prevede l’individuazione di una struttura ospedaliera altamente specializzata

(Centro Hub) a cui gli ospedali del territorio (Spoke) possono inviare i pazienti quan-

do le condizioni sanitarie lo richiedono. L’idea alla base di questo modello è quella di

proporre Servizi fondati sull’interdipendenza ed integrazione di tutti i centri che co-

stituiscono la rete, in modo da indirizzare i pazienti al livello di cura più appropriato.

Con il termine GCA si comprende una varietà di lesioni cerebrali acute ad eziologia

traumatica e non, caratterizzate da uno stato di coma più o meno prolungato e dalla

contemporanea presenza di esiti quali menomazioni motorie, sensoriali, cognitive e/o

comportamentali.

Le GCA non traumatiche, possono originare da tumori cerebrali, anossia cerebrale,

gravi sindromi emorragiche o ischemiche (patologie cerebrovascolari), infezioni

(encefaliti) ed encefalopatie tossico-metaboliche.

Le GCA di origine traumatica, caratterizzano invece i quadri clinici di quei pazienti

che hanno subito incidenti stradali, incidenti sul lavoro ecc...

Un soggetto colpito da GCA subisce una destrutturazione delle funzioni cerebrali che,

nel suo aspetto più rilevante, si traduce in uno stato di coma.

Lo stato di coma, ha un grading variabile ben definito dalla Glascow Coma Scale

(GCS), che può evolvere in tre direzioni differenti: guarigione, morte del paziente o

10

(SV) il cosiddetto stato vegetativo (Gandolfini, 2010).

I progressi tecnologici, farmacologici e clinici che caratterizzano le prese in carico

specifiche delle terapie intensive e delle rianimazioni hanno incrementato il numero

di pazienti sopravvissuti ad un danno cerebrale

Quanto alle modalità di dimissione vengono riportati di seguito alcuni dati epide-

miologici4 relativi al quinquennio 2002-2006 e riferiti a pazienti residenti in Italia.

Dei 5344 pazienti in stato vegetativo persistente

• 1480 (27,7%) sono deceduti,

• 2072 (38,8%) hanno avuto una dimissione ordinaria al proprio domicilio,

• 369 (6,9%) sono stati ricoverati in Residenza Sanitaria Assistita,

• 55 (1,0%) sono stati seguiti in ADI (assistenza domiciliare integrata),

• 25 (0,5%) sono stati soggetto di una dimissione protetta,

• 170 (3,2%) hanno avuto una dimissione volontaria,

• 573 (10,7%) hanno ottenuto un trasferimento ad altro istituto per acuti,

• 229 (4,3%) hanno ottenuto un trasferimento ad altro reparto nello stesso isti-

tuto,

• 371 (6,9%) sono stati destinati ad altro istituto per riabilitazione.

Da questi dati appare evidente, vista la percentuale maggiore di dimissioni ordinarie

al proprio domicilio, quanto sia fondamentale lavorare efficacemente nella duplice

presa in carico del PAZIENTE/FAMIGLIA.

Sebbene alcuni pazienti vadano incontro ad un buon recupero, molti di essi restano in

uno dei diversi stati definiti genericamente come "disturbi della coscienza" (Cameli,

2010). Questi pazienti, in base alle condizioni cliniche, relative al livello di coscienza

(presenza/assenza di contatto con la realtà circostante) in cui si ritrovano a seguito

del "risveglio" dal coma, possono essere distinti nelle due principali categorie:

STATO VEGETATIVO e STATO DI MINIMA COSCIENZA.

Dalla descrizione dell'American Academy of Neurology, lo stato vegetativo consiste

in una condizione di completa inconsapevolezza di sé stessi e dell’ambiente

circostante, con completa o parziale conservazione di funzioni ipotalamiche e

4Commissione tecnico-scientifica sullo Stato vegetativo e sullo stato di minima coscienza “STATO VEGETATIVO E DI MI-NIMA COSCIENZA” Epidemiologia, evidenze scientifiche e modelli assistenziali, a cura di Gianluigi Gigli, Antonio Carolei, Paolo Maria Rossini e Rachele Zylberman DOCUMENTO FINALE (4 dicembre 2009)

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cerebrali, mentre lo stato di minima coscienza è caratterizzato dalla presenza di

limitata ma evidente consapevolezza di sé e dell'ambiente (Gandolfini, 2010)

L'evoluzione favorevole dallo SV allo SMC, si ha in presenza di minimi

comportamenti caratterizzati da risposte o manifestazioni cognitive, che seppur

inconsistenti sono di una tale durata che si possono differenziare da comportamenti

riflessi. Bisognerebbe quindi effettuare valutazioni estese e ripetute per determinare

se le risposte osservate (ad es. movimento delle dita o apertura/chiusura degli occhi)

si presentano volontariamente o se queste si presentano a seguito di un evento

ambientale specifico o riflesso5.

L'immagine portata di seguito, indica ciò che avviene all'interno del cervello di tre

diversi pazienti in stato vegetativo, stato di minima coscienza e persona sana in

seguito a stimolo nocivo.

5 In seguito alla considerazione dei nuovi dati scientifici in loro possesso, gli esperti del Gruppo di lavoro istituito con D.M. 15 ottobre 2008 e presieduto dal Sottosegretario di Stato on. Eugenia Roccella si sono pronunciati perché lo Stato Vegetativo sia diagnosticato senza connotarlo con gli aggettivi di “persistente” o “permanente”, ma indicando piuttosto la causa che lo ha de-terminato e la sua durata in settimane o mesi. Questo anche perché queste definizioni si sono nel tempo rivelate imprecise, oltre che essere fraintese e usate a sproposito anche dalla stampa.

12

Figura 1. Attivazione cerebrale alla stimolazione nociva. In rosso, le regioni del cervello che si attivano maggiormente durante la stimolazione nociva, nei controlli sani, in stato vegetativo e in stato di minima coscienza, rispetto ad uno stato di riposo.

E' indispensabile giungere a definizioni diagnostiche più rigorose fra SV, SVP e

SMC per comprendere meglio il livello di coscienza e la reattività cerebrale della

persona e di conseguenza impostare il progetto riabilitativo e gli obiettivi di

trattamento specifici.

La definizione più accettata è ormai datata, ma al momento non ancora sostituibile, e

si riferisce alla consapevolezza che l'individuo ha di sé e dell'ambiente. Si sa ancora

poco sull'evoluzione clinica possibile dello stato di coma. I limiti temporali accettati

dalla comunità scientifica internazionale stabiliscono che, lo stato vegetativo, da

transitorio può diventare "permanente" dopo un periodo di 3-6 mesi se la GCA è

conseguente a patologia non traumatica, se invece è di origine traumatica, questo può

avvenire anche dopo 6-12 mesi (Di Virgilio, 2005).

Se invece lo stato del paziente si evolve positivamente, lo stato vegetativo da

transitorio può trasformarsi in stato di minima coscienza.

La terminologia di “Minimally Conscious State” è stata coniata dall’Aspen

Consensus Group nel tentativo di introdurre e definire con un solo termine

13

diagnostico comune le condizioni cliniche successive allo Stato Vegetativo,

caratterizzate da una severa alterazione di coscienza con presenza di una minima, ma

definita manifestazione comportamentale di relazione con il contesto ambientale.

In sintesi il paziente riesce ad eseguire ordini semplici in modo incostante e

fluttuante (Di Virgilio, 2005).

Stern e altri clinici affermano che lo stato vegetativo o di minima coscienza possono

essere considerati un paradosso emozionale per chi si prende cura delle persone

affette da GCA, perché queste stesse particolari condizioni con cui si manifesta la

GCA non permettono di elaborare una strategia di lutto in quanto il paziente non è

morto, presenta dei movimenti involontari ed è indipendente dal supporto

ventilatorio e cardio-circolatorio rispetto a ciò che accadeva nella terapia intensiva

(Chiambretto, 2001).

Un paziente in SV generalmente appare con le seguenti caratteristiche: occhi aperti,

movimenti automatici afinalistici, non comunicante e inattento, reagente al dolore

con movimenti riflessi.

Un paziente in SMC si presenta invece con alternanza sonno/veglia, risposte a semplici

comandi, risposte verbali o posturali si/no, verbalizzazione intellegibile e comportamenti

volontari in risposta a stimoli ambientali.

Lo stato di minima coscienza è evidenziabile attraverso questi criteri diagnostici:

- apertura spontanea degli occhi;

- ritmo sonno-veglia;

- range di vigilanza : ottundimento→ norma;

- percezione: riproducibile ma inconsistente;

- abilità comunicativa: riproducibile ma inconsistente;

- range di comunicazione:

1. nessuna risposta → risposta si/no inconsistente → verbalizzazione →

gestualità;

- attività motoria finalistica, riproducibile, ma inconsistente;

- inseguimento con lo sguardo;

- comportamenti ed azioni intenzionali (non attività riflessa) sulla stimolazione

ambientale;

14

- comunicazione funzionale interattiva:

verbalizzazione, scrittura, risposte si/no, uso di comunicazione alternativa:

o comunicatori facilitanti,

o uso funzionale di 2 oggetti diversi.

Lo stato vegetativo (o di non responsività) invece si differenzia per questi criteri

diagnostici:

Nessuna evidenza di:

- coscienza di sé o di consapevolezza dell’ambiente ed incapacità ad interagire

con gli altri;

- comportamenti durevoli, riproducibili, finalizzati o volontari in risposta alle

stimolazioni;

- produzione o comprensione verbale.

Presenza di:

- apertura degli occhi;

- pattern sonno-veglia EEG più o meno rudimentale;

- funzioni vitali autonome (respiro, circolo, ecc...);

- incontinenza vescicale e rettale;6

- deficit di vario grado della funzionalità dei nervi cranici;

- presenza variabile di riflessi troncoencefalici e spinali;

- motilità oculare assente o erratica;

- rarità dell’ammiccamento;

- schemi motori primitivi;

- rigidità-spasticità;

- posture patologiche.

6Parlare di incontinenza vescicale o rettale per definire i problemi di minzione e defecazione del paziente in SV è in realtà improprio. Infatti, tali pazienti, stante la loro impossibilità a comunicare e a muoversi, possono soltanto esibire svuotamenti vescicali e rettali quando le condizioni di riempimento lo impongono, dimostrando il mantenimento e la regolarità delle funzioni riflesse e la incapacità (temporanea nei casi che recuperano) ad esercitare il controllo encefalico sugli sfinteri.

15

Di seguito una tabella di sintesi che contiene tutti i criteri di diagnosi differenziale

per le 2 condizioni cliniche sopracitate.

Stato COMA SV SMC

Consapevolezza No No Parziale

Apertura occhi No Si Si

Funzione motoria Riflessa/posture Posture,movimenti retrattili, occasionali,

stereotipati, involontari

Non consistente

GCS E 1-2 M1-4 V 1-2

E 4 M1-4 V1-2 E 4 M1 -5 V 1-4

Attività EEG Solitamente lenta attività

cerebrale

Solitamente lenta attività cerebrale

Dati insufficienti

Percezione dolore No No Non conosciuta

Funzione respiratoria

Depressa o variata

Normale Normale

Funzione uditiva Nessuna Breve orientazione Esegue gli ordini in modo non consistente

Funzione visiva Nessuna Breve orientazione Inseguimento con lo sguardo

Comunicazione Nessuna Nessuna Vocalizzazione, comunicazione verbale/gestuale non consistente

Emozioni Nessuna Nessuna o pianto/riso riflessi

Contingente pianto/riso

Diversi studiosi (Di Virgilio, 2005) hanno evidenziato che, in questi ultimi anni, si

sono rivelati tassi elevati di errore diagnostico, anche in centri qualificati.

La correttezza e la precocità della diagnosi medica costituiscono però la premessa

imprescindibile perché il paziente possa usufruire precocemente ed efficacemente di

cure fisioterapiche personalizzate e standard assistenziali adeguati alla sua

condizione. La diagnosi medica, generalmente, si basa sulla profondità e lunghezza

del coma, sulla durata dell’amnesia post traumatica, sul tempo di risposta, sui dati

derivanti dal neuroimaging, sugli studi elettrofisiologici e sulle misure di

funzionamento del tronco cerebrale.

16

I criteri clinici che supportano la diagnosi di SV e SMC, sono ad oggi più facilmente

verificabili, poiché è possibile, oltre ad utilizzare un'osservazione clinica

formalizzata e sistematica, anche diverse scale di valutazione funzionale dello stato

di coscienza ampiamente disponibili in letteratura supportate dall'osservazione

guidata e puntuale del comportamento di questi pazienti.

Le scale funzionali per valutare lo SMC e lo SVP consentono di fare, in una discreta

percentuale di casi, una diagnosi differenziale più specifica tra stato di minima

coscienza e stato vegetativo (Di Virgilio, 2005).

Le indagini strumentali, benché non aumentino con certezza la specificità diagnostica

possono tuttavia offrire importanti elementi di conferma.

Il contributo della neurofisiologia alla valutazione di uno stato vegetativo e di

minima coscienza è assai rilevante perché consente di ridurre sempre più possibili

errori diagnostici.

Le modalità neurofisiologiche con le quali è possibile valutare adeguatamente gli SV

e gli SMC sono:

− elettroencefalogramma (EEG);

− potenziali evocati somato-sensoriali, che hanno un valore predittivo molto

elevato;

− Tomografia ad Emissione di Positroni (PET)

− Risonanza Magnetica Nucleare Funzionale ( RMNf)

Comunque, sia l'esame obiettivo neurologico esperto che l'osservazione sistematica e

ripetuta, hanno un'importanza prioritaria nel formulare diagnosi di SV vs SMC.

Inoltre i pazienti con disturbo prolungato della coscienza devono essere sottoposti

periodicamente ad un accurato esame neurologico, che include l’applicazione di

scale di valutazione come la DRS (Disability Rating Scale), Glascow Coma Scale,

LCF (Level of Cognitive Functioning) e soprattutto scale di misura comportamentale

come la Coma Recovery Scale-Revised (CRS), non senza rilevare che le risposte

comportamentali di pazienti con basso livello di coscienza sembrano più facilmente

eccitabili in presenza di stimoli a valenza affettivo-relazionale ad esempio stimoli

visivi che innescano ricordi emotivi .7

73^ Conferenza Nazionale di Consenso, Buona pratica clinica nella riabilitazione ospedaliera delle persone con GCA – Documento della Giuria; SALSOMAGGIORE TERME (PR), 5 e 6 Novembre 2011 consultabile all’indirizzo http//www.consensusconferencegca.com, ultimo accesso 4/1/2012

17

Tutte queste osservazioni impongono prudenza nel trarre conclusioni diagnostiche

affrettate e soprattutto definitive ed obbligano a tenere atteggiamenti prudenti e

virtuosi dal punto di vista clinico, assistenziale e riabilitativo.

La diagnosi corretta, nonostante l'attenta applicazione di questi criteri, spesso è resa

più difficile dalla fluttuazione del livello di minima coscienza (Di Virgilio et al.,

2005).

Tenendo conto che lo SMC può anche essere intermittente/fluttuante e con lunghi

periodi di regresso clinico, si può comprendere che esistano difficoltà diagnostiche e

non sia affatto semplice discriminare tra SMC e uno SV.

Infine la diagnosi medica non dovrebbe limitarsi a rilevare uno stato clinico, ma

dovrebbe ricercare informazioni utili ad orientare l’intervento riabilitativo nella

scelta di modelli di intervento di maggiore efficacia.

Il rischio di una diagnosi peggiorativa è particolarmente elevato nei pazienti che si

trovano nella transizione fra SV e SMC, poiché l'andamento del recupero nello SMC

può essere più lungo e può essere associato a recuperi tardivi.

Diventa doveroso quindi, essere prudenti nel formulare una diagnosi, evitando di

pronunciarsi dando sentenze di "irreversibilità" che non trovano riscontri scientifici

definitivi. Non si deve inoltre, dimenticare che esiste una grande confusione a livello

di pubblica opinione sui disturbi della coscienza, con la possibilità di generare

illusioni, sogni, delusioni e disperazione: che diventano un enorme "male sociale" e

non giovano a nulla, soprattutto isolano la famiglia nel momento del rientro a

domicilio (Gandolfini, 2010).

Una buona gestione medica inizia dunque, facendo una corretta diagnosi. Così come

una buona presa in carico infermieristica inizia attivando il processo a spirale che è la

progettazione assistenziale, costituita dalle varie fasi che sono nello specifico:

accertamento, valutazione, diagnosi, pianificazione, attuazione e valutazione.

Quando il livello di severità della lesione cresce, l’estensione di possibili danni a

lungo termine, fisici, cognitivi e psicosociali aumentano e ciò rende più complesso il

processo della presa in carico integrata.

Infatti l’accertamento o assessment è la prima fase del processo evolutivo definito

proprio per questo motivo a spirale; è una raccolta dati mirata a determinare le

condizioni cliniche del paziente e il suo stato funzionale sia per quanto riguarda il

18

passato che il presente. E’ la fase in cui l’infermiere usa un atteggiamento funzionale

all’indagine e utilizza fatti, principi, teorie, concetti astratti, deduzioni e

interpretazioni per aggregare i dati del paziente e validare con le proprie osservazioni

ciò che il paziente afferma o porta nel vissuto di malattia. La fase di accertamento si

ripete in ogni contesto interattivo con il paziente. L’infermiere deve effettuare

osservazioni attendibili e distinguere i dati importanti da quelli irrilevanti; inoltre

organizza e classifica i dati rilevati in modo utile, eventualmente riferendosi ad un

quadro concettuale del nursing fondato su una certa teoria; identifica le informazioni

mancanti e colma le lacune.

L’obiettivo dell’accertamento infermieristico è quello di acquisire un quadro

complessivo della situazione del paziente e di quali interventi si dovranno adottare

(Dadomo, 2007).

La fase di accertamento non è solo una raccolta dati con la registrazione delle

informazioni sulle schede della cartella infermieristica integrata: richiede infatti

buone capacità di utilizzo del pensiero critico e buone conoscenze di base per

stabilire quali informazioni sono necessarie e dove acquisirle.

La valutazione infermieristica è una fase cruciale del processo assistenziale, spesso è

vissuta dal professionista come un “fare burocratico” perché le scale di valutazione e

le schede da aggiornare sottraggono tempo all’assistenza. In realtà la valutazione è

un processo continuo di tenuta, integrazione e interpretazione di nuove informazioni

per poter stilare in modo prospettico la progettazione personalizzata dell’assistenza,

secondo le priorità peculiari di ciascun paziente.

La raccolta dati richiede la competenza di saper osservare e interpretare la realtà

della persona/famiglia, applicando i modelli e le teorie infermieristiche di riferimento

per lo specifico ambito clinico.

Si rende quindi necessaria un’attenzione particolare a quegli strumenti che

permettono di valutare i bisogni della persona assistita, di condividerne la

classificazione, di migliorarne la misurazione oggettivabile e codificarne il

significato utilizzando un linguaggio condiviso.

Inoltre l’uniformità tra le metodologie di raccolta dati migliora il confronto tra

professionisti, l'omogeneità e la garanzia della continuità assistenziale e soprattutto

pone le basi per interventi mirati all'educazione terapeutica rivolta principalmente ai

19

famigliari.

Nella fase riabilitativa i professionisti sanitari devono gestire i pazienti che

provengono da Unità operative intensive. Quindi devono disporre di adeguate risorse

strutturali e di personale esperto, che permetta il monitoraggio delle funzioni vitali

nell’immediata fase post-acuta; la gestione delle condizioni di salute; la nutrizione

parenterale ed enterale (laddove possibile); la presa in carico globale del paziente con

adeguati protocolli diagnostico terapeutici. Inoltre vengono attuati interventi di

riabilitazione foniatrica, training deglutitorio, rieducazione respiratoria, riabilitazione

neuropsicologica, riabilitazione e gestione dei disturbi comportamentali, terapia

occupazionale, terapia ortottica, riabilitazione urologica e assistenza sociale per la

creazione di connessioni e reti con le strutture territoriali.

L’intero percorso riabilitativo deve essere accompagnato da un’equipe

multidisciplinare e multi-professionale che fornisca terapie individuali e di gruppo,

che includa un team neuropsicologico dedicato sia al paziente che alla famiglia.

Sono tante dunque, le difficoltà che conseguono ad una GCA, e automaticamente la

presa in carico diviene più complessa, sopratutto nel momento in cui si riscontrano

deficit nella comunicazione verbale del paziente.

Tra i tanti aspetti da trattare in questi pazienti la gestione del dolore risulta un punto

ancora da chiarire ed affrontare adeguatamente.

A mio parere, non bisogna sottovalutare la sintomatologia dolorosa in un individuo,

ma è necessario occuparsene in modo più specifico e sistematico, anche se non è

sempre facile da comprendere, soprattutto in pazienti che non possono comunicare

verbalmente.

Da un punto di vista fisiologico, il dolore origina dall'eccessiva stimolazione dei

diversi recettori situati sia dalla superficie esterna sia a livello dei tessuti interni

dell'organismo, e da qui trasmessa per via nervosa ai centri superiori della corteccia

cerebrale. Quando ci si accosta al letto del paziente per valutare il dolore in un

determinato momento, spesso ci limitiamo ad associare il fenomeno dolore a

comportamenti che l'individuo mette in atto.

Determinati segni/sintomi possono indirizzarci a considerazioni errate riguardo al

problema che abbiamo davanti, rispetto a quello che invece realmente manifesta il

paziente. Alcuni meccanismi fisiologici che si presentano, possono infatti, essere

20

"ingannevoli" riguardo la diagnosi.

Per esempio: un'alterazione dei parametri vitali (PA, FC, TC) non indica

necessariamente che sia quello il problema, ma questi caratteristici segni possono

essere un campanello d'allarme per indicare un disturbo più specifico, come la

presenza più o meno grave di una colica renale, una contrattura muscolare. Non

bisogna quindi fermarsi in superficie ma analizzare più in profondità le cause del

disturbo che il paziente avverte e che ad occhio esterno può sembrare dolore.

A mio parere è realmente complesso dare giusta interpretazione a segni/sintomi di

dolore, nei pazienti con GCA o deficit cognitivi, rischiando di fermarsi ad un

approccio superficiale di riscontro del dolore senza andare poi a rintracciarne le

cause profonde per poi trattarle ed eradicarle.

Un'altra difficoltà, che si potrebbe presentare, riguarda i pazienti che non mostrano

alcun segno di movimento volontario in risposta a stimoli nocivi; ciò generalmente,

porta ad una conclusione affrettata di non presenza di dolore nel paziente.

L'Associazione Internazionale per lo Studio del Dolore (IASP, 1994) definisce il

dolore come ''una spiacevole esperienza sensoriale ed emotiva associata a danno

tissutale reale o potenziale.''

Come sottolineato dalla IASP, l'incapacità di comunicare verbalmente non nega la

possibilità che un individuo provi dolore o abbia bisogno di adeguati trattamenti

antidolorifici.

Questo significa che il dolore può anche essere riportato in assenza di danni ai tessuti

o di cause fisiologiche e questo di solito accade per motivi prevalentemente

psicologici. Si tratta di una sensazione in una parte o più parti del corpo, spesso

spiacevole e quindi un'esperienza emotiva. Il dolore e la sofferenza non sono

intercambiabili. Tuttavia, il concetto di sofferenza è sorprendentemente mal definito

e gli viene data relativamente poca attenzione nel campo della medicina.

Il dolore e la sofferenza continuano ad essere argomento di confronto da parte dalla

comunità scientifica, legale ed etica per le correlazioni con la pratica clinica.

Quello che sorge spontaneo chiedersi, quindi, è se questi pazienti in SMC e SV

riescano a percepire o no il dolore.

Nello SVP le vie periferiche del dolore (dai recettori periferici alle vie spinali

comprese) sono assolutamente indenni. A livello centrale il dolore è integrato

21

soprattutto a livello dei nuclei talamici, con un’altra importante stazione a livello

della sostanza grigia periacqueduttale (acquedotto di Silvio, fra 3° e 4° ventricolo).

Quest’ultima struttura è infatti in network con le strutture del sistema limbico (paleo

encefalo), che costituisce la stazione più antica (potremmo dire primordiale) della

sensazione dolorosa. Infatti al fine di percepire il dolore è poco influente la corteccia

cerebrale. Sul piano anatomo-clinico ciò significa che questi pazienti, dotati

dell’integrità della gran parte delle strutture idonee al dolore, hanno altissima

probabilità di sentire dolore, ma non sono in grado di manifestarlo all’esterno,

essendo la corteccia cerebrale gravemente compromessa. Quindi essendo le vie

neurologiche deputate a percepire il fenomeno dolore, ampiamente conservate, è

accettabile pensare che possano percepire dolore ma non sono in grado di

comunicarcelo (Gandolfini, 2010).

E’ possibile anche affermare che alcune persone in questo stato hanno dimostrato di

sentire dolore. Cosa che non può essere ignorata quando si tratta di decidere del loro

trattamento e che implica un approccio differente anche dal punto di vista

sociosanitario. Proprio per questo il gruppo di lavoro ritiene opportuna una terapia

antidolorifica durante tutte le manovre diagnostiche o terapeutiche che possano

evocare dolore nei pazienti. Studi recenti di neuroimaging funzionale e di

neurofisiologia clinica mostrano che in alcuni di questi pazienti è possibile evocare

risposte che testimoniano di una residua possibilità, più o meno elementare, di

percepire stimoli provenienti dall’ambiente con successiva analisi e discriminazione

delle informazioni. E’ importante comunque ricordare che allo stato attuale delle

conoscenze, le precise basi anatomiche e fisiologiche della coscienza non sono

conosciute, mentre sono sempre maggiori le evidenze che collocano alcune delle

attività della coscienza anche in sedi del sistema nervoso centrale diverse dalla

corteccia cerebrale (principale sede del danno nello stato vegetativo). Non vi è

certezza assoluta neanche sul fatto che il paziente in stato vegetativo non possa

provare qualche forma di sofferenza.

La gestione del dolore e della sofferenza nei disturbi di coscienza è impegnativa,

perché, per definizione, i pazienti in stato vegetativo (VS) o stato di minima

coscienza (MCS) non possono verbalmente o non verbalmente comunicare i loro

sentimenti ed esperienze. Rilevare il dolore nei pazienti con GCA rappresenta

22

dunque una reale sfida clinica con implicazioni anche etiche e deontologiche per i

professionisti competenti che affiancano la persona/famiglia durante il percorso

riabilitativo.

Anche l’esame della letteratura scientifica riguardante la percezione del dolore nei

pazienti in SV e in SMC è stata oggetto di revisione recente secondo il metodo

Cochrane nella stessa indagine della Società Italiana di Neurologia già ampiamente

riportata a proposito della prognosi. Negli ultimi anni una letteratura specifica ha

esaminato il tema della percezione del dolore nello SV e nello SMC, generalmente

confrontando queste due popolazioni di pazienti tra loro e rispetto a soggetti sani,

mediante studi con tecniche avanzate neurofisiologiche e di neuroimmagini.

I due studi più importanti con PET hanno però mostrato risultati contraddittori.

Infatti, mentre Laureys (2002)8, ha dimostrato che la stimolazione elettrica dolorosa

del nervo mediano in 15 soggetti con SV era in grado di attivare aree cerebrali

primarie deputate alla percezione del dolore, quali il tronco-encefalico, il talamo e la

corteccia somato-sensoriale primaria, Kassubek (2003), usando una metodologia

simile, dimostrava in 7 pazienti con SV l’attivazione di aree somato-sensoriali sia

primarie che secondarie, come la corteccia cingolare anteriore e l’insula, considerate

le aree critiche per la percezione cosciente del dolore, nelle sue componenti affettive

e cognitive.

La differenza tra i due studi potrebbe essere secondaria alla diversa cronicità delle

due popolazioni di pazienti con SV, quella di Laureys a distanza di un mese circa

dall’evento acuto e quella di Kassubek con una durata dello SV di circa un anno e

mezzo. La disconnessione tra le aree cerebrali secondarie e primarie del primo studio

potrebbe, infatti, essere secondaria alla persistenza di edema cerebrale e più in

generale al danno cerebrale secondario caratteristico della fase post-acuta.

Altri studi PET hanno comunque dimostrato una sindrome da disconnessione globale

tra le aree cerebrali secondarie e primarie deputate alla percezione del dolore

(Giacino, 2006), così come più recentemente Boly et al., (2008)9 confermavano una

riduzione dell’attivazione di tutte le aree della “matrice corticale” del dolore nei

8Commissione tecnico-scientifica sullo Stato vegetativo e sullo stato di minima coscienza “STATO VEGETATIVO E DI MINIMA COSCIENZA” Epidemiologia, evidenze scientifiche e modelli assistenziali, a cura di Gianluigi Gigli, Antonio Carolei, Paolo Maria Rossini e Rachele Zylberman DOCUMENTO FINALE (4 dicembre 2009)9 Ibidem

23

pazienti in SV.

Risultati simili di attivazione di aree cerebrali primarie, ma non secondarie in

risposta a stimolazioni esterne venivano ottenuti anche con tecniche di Risonanza

Magnetica funzionale (Laureys, 2005).

A tali considerazioni, il Gruppo di lavoro ritiene opportuno aggiungere che, tuttavia,

Boly et al. (2008) sottolineavano anche l’impossibilità di tracciare una linea di

demarcazione netta tra pazienti in SV e pazienti in SMC a causa della variabilità

attesa nella processazione del dolore in popolazioni di pazienti necessariamente

eterogenee dal punto di vista del danno cerebrale.

Inoltre, anche qualora i dati di attivazione di aree cerebrali primarie e non secondarie

per il dolore (corteccia cingolare, insula, circuito fronto-parietale) volessero essere

interpretati come assenza o riduzione della percezione consapevole degli stimoli

nocicettivi nei pazienti con SV, va sottolineato che l’elevato tasso di errori

diagnostici tra SV e SMC, riportati in letteratura in percentuali che vanno da un terzo

alla metà dei casi di SV cronici (Schnackers et al., 2009), dovrebbe comunque

indurre ad un uso prudenziale degli antidolorifici anche nei pazienti in SV.

Dal punto di vista neurofisiologico, in parziale contrapposizione al ruolo della

corteccia del cingolo nella percezione consapevole del dolore, esistono dati che

dimostrano che la cingulotomia è in grado di alleviare la componente affettivo-

emozionale del dolore, mentre la percezione del dolore resta preservata (Folz e

White, 1962). Allo stesso modo i dati neuropatologici sull’autopsia del cervello di

Karen Ann Quinlan, sopravvissuta per 10 anni in SV, dimostravano che il danno più

grave era situato nel talamo mentre una perdita neuronale da minima a moderata si

riscontrava in insula, giro cingolato e corteccia orbito-frontale.

La descrizione clinica di questo caso riferiva che la paziente ritraeva tutti e quattro

gli arti alla stimolazione dolorosa con la punta di un ago (Kinney, 1994), come del

resto è comune nella maggioranza dei pazienti in SV. In base a queste osservazioni

Klein (1997) concludeva che almeno in alcuni pazienti in SV, con corteccia cingolata

anteriore e talamo integri, è possibile che ci sia una percezione consapevole del

dolore. Esistono altri dati a favore di una percezione sottocorticale del dolore

(Merker, 2007), che trovano conferma nell’esperienza di bambini con idro-

anencefalia, in cui sono preservate reazioni al dolore simili a quelle dei soggetti di

24

controllo normali (Marin-Padilla, 1997; Anand, 2006; Schnakers e Zasler, 2007).

Un accenno merita anche l’ampia letteratura sull’elevata incidenza e prevalenza di

dolore cronico di natura centrale dopo trauma cranico, che è una delle cause

principali di SV e SMC e che è spesso provoca agitazione psicomotoria nelle fasi di

recupero della coscienza (Formisano, 2005; 2008).

Per quanto riguarda gli aspetti operativi, le incertezze della letteratura scientifica

sulla percezione del dolore nei pazienti con disturbi prolungati di coscienza ha

comunque determinato il suggerimento di un trattamento preventivo con

antidolorifici in tutti i pazienti con SV e SMC (Schackers e Zasler, 2007).

Nonostante queste raccomandazioni, il dibattito etico non sembra essere stato finora

influenzato dalle più recenti acquisizioni scientifiche. Infatti, la sospensione di

idratazione e alimentazione in Terri Schiavo non è stata accompagnato dall’uso di

oppiacei (Laureys e Boly, 2007).

Condividendo appieno l’autorevole parere formulato da Boly et al., (2008), secondo i

quali “l’evidenza non è sufficiente per scegliere di non trattare condizioni

potenzialmente dolorose nei pazienti in SV persistente”, il Gruppo di lavoro10 ritiene

opportuna l’instaurazione di una terapia antidolorifica durante tutte le manovre

diagnostiche o terapeutiche che possano evocare dolore nei pazienti in SV o in SMC.

Il Gruppo di lavoro raccomanda di estendere la prescrizione degli anti-dolorifici a

tutti i pazienti in SV e in SMC in cui vengano diagnosticate verosimili fonti di dolore

(per esempio: ascessi, ulcere da decubito e mobilizzazione di anchilosi articolari) o in

presenza di reazioni comportamentali suggestive di dolore (spasticità, contratture

muscolari, reazioni di pianto e fenomeni disautonomici vegetativi, come la

tachicardia, la tachipnea, la sudorazione profusa, ecc…).

L’individuazione del fenomeno clinico del dolore consiste, dunque, in un'analisi del

paziente e in una raccolta di informazioni:

1 - se possibile chiedere direttamente al paziente di descrivere la sua situazione;

2 - usare una scala di valutazione standard per l’osservazione del comportamento;

10Commissione tecnico-scientifica sullo Stato vegetativo e sullo stato di minima coscienza “STATO VEGETATIVO E DI MINIMA COSCIENZA” Epidemiologia, evidenze scientifiche e modelli assistenziali, a cura di Gianluigi Gigli, Antonio Carolei, Paolo Maria Rossini e Rachele Zylberman DOCUMENTO FINALE (4 dicembre 2009)

25

3 - se possibile ottenere altri riscontri da familiari e amici sulle esperienze di dolore

passate del paziente;

4 - considerare gli indicatori fisiologici del dolore per esempio: aumento del battito e

della pressione sanguigna, espressioni facciali, linguaggio del corpo, reazioni

affettive tra cui ansia (o anticipazione del dolore) o all'attivazione autonome

associate a reazioni corporee.

Alcuni medici hanno valutato la consapevolezza dei pazienti con deficit cognitivi in

risposta a stimoli nocivi per giudicare se le risposte sono indice di percezione

cosciente o semplicemente per attività riflesse (Schnakers et al, 2007).

Ci sono tre tipi di risposte motorie al dolore dopo stimolazione nei pazienti in stato

vegetativo e di minima coscienza:

1 - flessione o estensione degli arti superiori/inferiori;

2 - possono dimostrare risposte con smorfie, tachicardia, tachipnea causando a volte

diagnosi percepite scorrettamente;

3 - possono tuttavia mostrare reazioni a stimoli nocicettivi, aprendo i loro occhi se

sono chiusi, con il pianto, rossore in viso ecc…

Il dolore e la sofferenza dovrebbero essere considerati in tutte le persone con disturbi

della coscienza e adeguatamente trattati. Strumenti standard come scale

comportamentali sono pertanto raccomandate per diminuire gli errori nel riconoscere

segni di percezione cosciente di dolore.

L'utilizzo di scale comportamentali per i pazienti non in grado di comunicare è a

tutt'oggi oggetto di ricerca per la pratica clinica. Diversi studiosi, hanno sperimentato

varie tipologie di scale di valutazione per poter riconoscere tempestivamente i segni

di dolore, con omogeneità da parte di tutta l'equipe (Chatelle et al, 2008).

E’ necessario utilizzarle non solo in contesti riabilitativi ma ovunque si trovino

pazienti con deficit cognitivi (Chatelle et al., 2008).

Inoltre possono essere utilizzate per più categorie di pazienti, con compromissione

deficit cognitivi o non in grado di comunicare autonomamente.

L'esistenza di una scala del dolore non è utile solamente per una valutazione standard

26

del dolore ma anche per una buona e appropriata presa in carico assistenziale e

riabilitativa dei pazienti.

Infatti la scelta di utilizzare le scale di valutazione migliora le prestazioni di cura

fornite e permette di concentrare gli sforzi sul bisogno reale del paziente in quel

determinato momento, perché gli interventi e i risultati saranno maggiormente

governabili in termini di miglioramenti o peggioramenti avendo riferimenti oggettivi

di partenza. Inoltre, da non dimenticare che, se il paziente è in uno stato di benessere,

sarà più facile che collabori alle diverse attività proposte per raggiungere gli obiettivi

prefissati e quindi miglioreranno non solo le sue capacità di adattamento ma anche la

sua qualità di vita.

Esistono due metodi di valutazione clinica, diversi tra loro, ma complementari e che

quindi devono essere tenuti in considerazione e attivati in parallelo11.

1. Le scale di valutazione standardizzate si fondano su criteri di

somministrazione e di valutazione fissa, in grado di generare un profilo

globale delle funzioni cerebrali della persona con GCA.

2. Le procedure di valutazione quantitativa individualizzata, invece, si

focalizzano su problemi relativi al singolo paziente.

La valutazione comportamentale resta il gold standard nei pazienti con GCA, ma

l’efficacia di un dato strumento di valutazione si fonda sulla sua capacità di misurare

il fenomeno preso in esame, di poterne replicarne i risultati nel tempo e tra i diversi

operatori sanitari e di poter metter in relazione il risultato ottenuto dall’applicazione

della scala stessa con la diagnosi, la prognosi e il trattamento farmacologico,

riabilitativo o assistenziale esso sia.

Malgrado la disponibilità di un ampio range di scale comportamentali, le loro

proprietà psicometriche e l’utilità clinica nei singoli casi variano considerevolmente.

Le procedure di valutazione individualizzata, disegnate per focalizzare questioni

specifiche del singolo caso, possono svolgere un importante ruolo nell’analisi

comportamentale, ma, purtroppo sono ancora sottoutilizzate nel setting clinico.

Un altro ambito strettamente correlato a quello della valutazione del dolore perché ne

11Commissione tecnico-scientifica sullo Stato vegetativo e sullo stato di minima coscienza “STATO VEGETATIVO E DI MINIMA COSCIENZA” Epidemiologia, evidenze scientifiche e modelli assistenziali, a cura di Gianluigi Gigli, Antonio Carolei, Paolo Maria Rossini e Rachele Zylberman DOCUMENTO FINALE (4 dicembre 2009)

27

risulta una sua sotto-specificazione, è il riconoscimento precoce e il trattamento delle

menomazioni parossistiche intese come crisi neurovegetative12.

Le sopra menzionate crisi neurovegetative, sono caratterizzate da sintomi di

iperattività critica del sistema nervoso autonomo, e associate a segni di iperattività

muscolare si osservano nel 10-30% delle GCA, con esordio alla sospensione della

sedazione tipica del periodo di ricovero in Rianimazione e/o nel corso della fase post

acuta riabilitativa intensiva. Queste possono protrarsi anche per settimane o mesi

durante la stessa degenza riabilitativa. Fenomeni che vengono più comunemente

evidenziati in soggetti giovani con danno cerebrale anossico o traumatico in

particolare con lesione assonale diffusa; purtroppo sono spesso mal interpretati e

sono associati ad una maggior frequenza di outcome negativo e/o complicazioni in

SVP o SCM, sviluppo di spasticità o rigidità grave e ossificazioni etero-topiche.

La sindrome è caratterizzata da un insieme di sintomi specifici quali:

• crisi di tachicardia,

• aumento della frequenza respiratoria,

• ipertensione arteriosa,

• febbre,

• ipersudorazione,

• postura in decerebrazione o in decorticazione

• aumento del tono muscolare.

Non è ancora stato raggiunto un accordo da parte della comunità scientifica

internazionale sulla denominazione della sindrome stessa, tanto che viene variamente

definita in letteratura come: disautonomia, tempesta simpatica (sympathetic storm13),

PAID (Paroxysmal Autonomic Instability with Dystonia14).

Il termine proposto più recentemente è quello di IPERATTIVITA’ SIMPATICA

PAROSSISTICA che nelle banche dati può essere ricercato utilizzando l’acronimo

anglosassone PSH.

Secondo l’ipotesi patogenetica più accreditata, la lesione di centri inibitori

diencefalici (talamo-ipotalamici), che regolano normalmente la risposta a impulsi

12Richard P, Goddeau Jr, Scott B Silverman, John R Sims. Dexmedetomidine for the treatment of paroxysmal autonomic instability with dystonia. Neurocrit Care 2007; 7: 217-22013Lemke DM. Sympatetic storming after severe traumatic brain injury. Crit Care Nurse 2007; 27 (1): 30-37 14Richard P, Goddeau Jr, Scott B Silverman, John R Sims. Dexmedetomidine for the treatment of paroxysmal autonomic instability with dystonia. Neurocrit Care 2007; 7: 217-220

28

afferenti o di loro connessioni con lobi corticali, sottocorticali o tronco encefalici

disinnescherebbe reazioni autonome esagerate a stimoli di varia natura.

E’ ipotizzabile l’influenza di trigger ambientali/sensoriali (quali ad esempio:

manovre infermieristiche di aspirazione tracheo-bronchiale, manovre di

mobilizzazione passiva, anche utilizzando strumenti per la movimentazione, posture

viziate assunte nel letto o in carrozzina, ostruzione del circuito del catetere vescicale,

formazione di fecaloma, inoltre stimoli sensoriali non solo nocicettivi ma anche ad

esempio stimoli emozionali, di vissuti e di ricordi attivati da profumi, immagini o

persone).

Vanno comunque escluse altre possibili cause scatenanti quali infezioni, trombosi

venosa profonda, embolia polmonare, paraosteoartropatie (POA) e fratture ossee

misconosciute.

La diagnosi differenziale comprende, invece, epilessia, edema o lesioni espansive

cerebrali, idrocefalo acuto, ipertiroidismo, sindrome neurolettica maligna, sindrome

serotoninergica, ipertermia maligna, sindrome da astinenza da farmaci (quali ad

esempio: baclofene, dopaminergici, oppioidi). Non esistono solide evidenze

scientifiche a supporto dei farmaci utilizzati per il controllo della sindrome. Infatti la

terapia appare volta più a frenare le conseguenze che ad agire sui meccanismi

patogenetici dell’iperattività simpatica ed assume quindi significato prevalentemente

sintomatico. I farmaci consigliati da soli o utilizzati in associazioni varie sono:

- betabloccanti non selettivi (propanolo);

- alfa e betabloccanti (labetalolo);

- alfa 2 adrenergici centrali (clonidina);

- dopamino-antagonisti (bromocriptina);

- oppiacei (morfina, ossicodone, fentanyl);

- fenotiazine (clorpromazina);

- miorilassanti (dantrolene);

- benzodiazepine (lorazepam, clonazepam, diazepam, midazolam);

- GABA-B agonisti (baclofen).

Sintetizzando, a scopi clinici, risultano avere un ruolo prioritario i betabloccanti e

sussidiario invece l’utilizzo degli antispastici, ansiolitici e antidolorifici.

29

Dalle raccomandazioni della Giuria della 3^ Consensus Conference – GCA15 risulta

di fondamentale importanza ai fini della pratica clinica documentare attraverso

specifica segnalazione gli episodi di iperattività simpatica parossistica,

successivamente tenere registrazione della loro frequenza nelle 24 ore per tutto il

periodo della degenza; inoltre risulta importante per la presa in carico di queste

persone che venga indagata in presenza di sintomi da iperattività simpatica

parossistica, ogni possibile causa scatenante potenzialmente prevenibile o curabile.

Altre raccomandazioni riguardano la possibilità di rendere disponibile o facilmente

modificabile un ambiente clinico adeguato (intendendo come tale offrire un

maternage/nursing accurato e guidato con particolare attenzione alla minimizzazione

di fattori ambientali eccessivi, quali rumore, temperatura, ecc…).

Una buona osservazione, condotta al letto di un paziente o sul setting riabilitativo,

unita all'utilizzo di strumenti idonei e approvati all'interno delle varie realtà

riabilitative e ospedaliere possono migliorare notevolmente la qualità di gestione di

un paziente affetto da GCA. In particolar modo, il riconoscimento tempestivo e il

trattamento sintomatologico del dolore, deve essere potenziato, valutandolo sempre

più attentamente e tenendo sempre in considerazione le caratteristiche soggettive

della persona che abbiamo davanti.

153^ Conferenza Nazionale di Consenso, Buona pratica clinca nella riabilitazione ospedaliera delle persone con GCA – Documento della Giuria; SALSOMAGGIORE TERME (PR), 5 e 6 Novembre 2011 consultabile all’indirizzo http//www.consensusconferencegca.com, ultimo accesso 4/1/2012

30

CAPITOLO 3

I BISOGNI DEI FAMILIARI NEL RICONOSCIMENTO E NELLA

GESTIONE DEL DOLORE DEL PAZIENTE CON GRAVE

CEREBROLESIONE ACQUISITA

“La possibilità che una persona torni a domiciliodipende dalla condizione sociale della famiglia

e dalla disponibilità dei familiari a partecipareal lavoro di cura. Accompagnare la famiglia, formarla

e renderla partecipe è un lavoro che accomunaassociazioni, operatori sanitari, non sanitari e

volontari16”.

3.1 I bisogni e i diritti dei familiari nel percorso riabilitativo

Quando la malattia, la sofferenza, la disabilità entrano in una famiglia la cambiano

profondamente, sempre. Coloro che si trovano ad affrontare il drammatico viaggio

nella disabilità più grave devono potersi dotare di tutto quello che può servire loro

per affrontare questo lungo e difficile percorso nel modo migliore. A tutti gli aiuti più

tangibili: ausili, sostegno economico, facilitazioni, leggi, devono necessariamente

aggiungersi il supporto psicologico e sociale.

La sofferenza più grave per le famiglie che vivono la realtà delle GCA, ma anche per

la società che li ospita, è data dalla solitudine. Essere lasciati soli accanto al proprio

congiunto in SV o di SMC, essere soli nella propria casa dopo una giornata trascorsa

accanto al proprio paziente in struttura, essere soli di fronte all’imprevedibilità

dell’emergenza è ciò che più di ogni altra cosa atterrisce chi in prima persona, come

caregiver vive questa realtà.

Le conseguenze che si susseguono dopo un trauma cerebrale molto spesso lasciano

deficit cognitivi permanenti che richiedono un percorso di assistenza lungo e

complesso. La presa in carico della persona con GCA va oltre l'utente stesso e si fa

carico anche del sistema FAMIGLIA tant'è che le GCA vengono definite come

“patologia di famiglia” (Ranieri Joelle, 2010).

L'infermiere deve confrontarsi con la difficile accettazione della situazione da parte

dei familiari, che inizialmente non sono preparati a farsene carico. Le difficoltà

maggiori, che sono portate nei momenti di visita medica o di riunione di progetto o

di equipe sono quindi quelle percepite e vissute dai familiari.

16 Seminario permanente sugli stati vegetativi e di minima coscienza. Libro bianco sugli stati vegetativi e di minima coscienza. Il punto di vista delle associazioni che rappresentano i familiari. Roma, 2010

31

I principali bisogni dei caregiver riportati in uno studio recente (Yedidia MJ,

Tiedemann A, 2008) che presenta dati da interviste e 4 focus group rivolti a 40

caregiver, ordinati per priorità sono:

• informazioni sui Servizi disponibili,

• gestione dello stress e strategie di adattamento,

• agevolazioni finanziarie e copertura assicurativa,

• aiuto nelle comunicazioni con i professionisti,

• conoscenze sulla patologia,

• aiuto per avere supporto competente,

• aiuto per imparare le attività di cura e assistenza,

• consultare un avvocato,

• informazioni sui farmaci,

• aiuto per strutturare le indicazioni di fine vita,

• consigli sulla mobilizzazione passiva,

• aiuto per gestire gli affari di famiglia.

I familiari si trovano inaspettatamente a vivere la drammaticità della situazione del

proprio caro davanti ad una realtà spesso a loro sconosciuta, che devono imparare

invece a padroneggiare e gestire: devono maturare un cambiamento di ruolo

veramente importante divenendo anche il principale caregiver di riferimento per la

persona con GCA. I familiari si sentono di fronte alla sofferenza del proprio caro

ingiustamente messi alla prova e ciò li porta ad interrogarsi e a porsi domande sul

senso e significato di una tale trasformazione della propria vita e di quella del

famigliare assistito.

L'obiettivo di rendere più forti le famiglie di questi pazienti con GCA, richiede un

avvicinamento sia psicologico che fisico da parte dell'equipe e diventa poi

fondamentale comprendere quelli che loro percepiscono come bisogni nel percorso

che dovranno affrontare.

Il primo passo, in questo difficile processo di adattamento e accettazione, è la presa

in carico del familiare insieme a quella del paziente offrendo punti di riferimento e

momenti dedicati, quali possono essere le Riunioni di Progetto. Ciò li aiuta a non

sentirsi soli nella loro nuova condizione.

32

I familiari hanno il diritto di essere informati, partecipi e attori delle scelte su tutto

ciò che riguarda la salute del paziente (vedi Carta di San Pellegrino).

[… omiss]

I professionisti sanitari coinvolti, dovranno perciò saper rispondere alle loro

domande e alle loro necessità con sensibilità e competenza.

La presa in carico consente di instaurare un rapporto di fiducia che, secondo alcuni

autori, è un primo passo per poter cogliere eventuali bisogni specifici. (Bond Elaine

A.et al, 2003). Ritengo sia fondamentale, soprattutto nella fase iniziale, agire sul

rispetto e sulla fiducia, attraverso il dialogo e la conoscenza reciproca tra team e

nucleo familiare.

Fra le principali necessità espresse da questi familiari ci sono i bisogni informativi.

La maggioranza dei parenti intervistati riferiscono di voler essere messi al corrente

sulle condizioni di salute del proprio caro a costo di veder svanire le loro speranze,

nel ricevere notizie negative (Bond Elaine, 2003) .

33

Le famiglie cercano informazioni sulla malattia, sui segni, sintomi ed esiti, sul

significato di particolari comportamenti e sulla gestione del loro assistito da parte dei

professionisti. Le informazioni fornite devono essere presentate utilizzando un

linguaggio semplice e una terminologia chiara, comprensibile e coerente con il

livello recettivo della persona in quel determinato momento tale da non confonderla

ma specificatamente orientata alla richiesta del familiare.

Importante è fornire oltre a informazioni verbali, anche materiale cartaceo, riguardo

alla patologia e alla diagnosi o ai trattamenti riabilitativi in modo da far comprendere

esattamente lo stato in cui si trovano i pazienti e rafforzare gli apprendimenti potendo

prendere visione del materiale cartaceo informativo quando se ne senta la necessità o

in momenti di bisogno (Yedidia e Tiedemann, 2008).

L’assistenza a questi pazienti, va concepita in termini di percorso e non di strutture a

ciclo completo. Il processo informativo accompagna le famiglie durante tutto il

percorso riabilitativo, dall'accoglienza alla dimissione organizzando incontri specifici

in un ambiente idoneo garantendo la privacy, orientati a momenti personali formativi,

in cui siano a disposizione professionisti del team.

E' importante sottoporre tutte le informazioni con gradualità e omogeneità da parte di

tutti i professionisti coinvolti a seconda del disagio familiare presente.

Successivamente il professionista deve accertarsi che questi familiari abbiano

recepito correttamente le informazioni ricevute, invitandoli a formulare domande e

chiedere eventuali approfondimenti. Solo con l' apertura al dialogo si possono avere

risposte per far luce sulle difficoltà e sui problemi che ci sono da superare. Tuttavia

non è una strada facile in un momento così difficile.

Da quando le famiglie sono state riconosciute come i principali fornitori di cure per

le persone affette da danni cerebrali, alcuni autori (Verhaeghe et al., 2005) hanno

investigato l’estensione dello stress e del fardello che vivono i familiari.

“Lo stress è concettualizzato da Monat e Lazarus come una caratteristica della

relazione fra individui e ambiente. Uno stressor è uno stimolo che l’individuo

percepisce come una minaccia, perché la persona pensa o sente che l’individuo è

inadeguato, nel senso di incapace di reagire” (Verhaeghe et al., 2005).

Le conseguenze dell'episodio di malattia, hanno chiaramente rilevanza sul grado di

stress nei membri della famiglia. I problemi di personalità, comportamento,

34

emozione ed intelletto della vittima mostrano una forte correlazione con il grado in

cui i membri della famiglia provano pressione, ansia e depressione.

Una persona in stato di minima coscienza ha un impatto maggiore sui

compagni/coniugi rispetto agli altri parenti. La relazione fra partner diventa meno

stabile e lo stress provato è maggiore. I partner esprimono maggiore dolore fisico e

psicologico, hanno punteggi più alti sulle scale di depressione e si trovano di fronte a

situazioni di crisi più spesso dei genitori. Le famiglie giovani con poco supporto

sociale, e problemi finanziari o psichiatrici e/o medici sono le più vulnerabili.

Lo stress genitoriale è maggiore quando ci sono bambini che vivono in casa piuttosto

che figli già cresciuti che vivono da soli. Si osserva anche una differenza fra uomini

e donne, non solo riguardo ai bisogni, ma anche con riguardo a depressione e ansia.

Le donne hanno sempre punteggi più alti di stress e depressione sulle scale.

La ricerca indica quali membri sono più vulnerabili: coniugi, bambini, famiglie con

problemi finanziari o medici. Bisogna trovare interventi adeguati che diano maggiori

attenzioni ai gruppi di persone che hanno priorità.

Un ulteriore studio sulla qualità di vita dei familiari durante la gestione della persona

assistita a domicilio evidenzia che prima della lesione i familiari riuscivano a gestirsi

in modo soddisfacente, mentre dopo il trauma vi è un cambiamento radicale che

rende la qualità di vita meno incoraggiante (Kolakowsky-Hayner, 2001).

Il protrarsi dell'assistenza che le famiglie forniscono, a lungo-termine potrebbero

causare disturbi psicosomatici, depressone, insonnia e perdita di appetito.

Alcuni familiari esprimono un vissuto di isolamento e una delle cause è la mancanza

di condivisione che accresce la fragilità già esistente.

La loro qualità di vita risulta inferiore dal punto di vista della salute rispetto alla

popolazione generale.

3.2 I familiari e la rilevazione del fenomeno dolore nei pazienti con GCA

Dato che l’obiettivo che si persegue per questi pazienti e per la loro famiglia è la

domiciliarietà diventa fondamentale rendere tale sistema in grado autogestire gli esiti

della malattia, percorso di autogestione che inizia proprio nella fase ospedaliera .

La precoce identificazione del caregiver di riferimento diviene perciò cruciale per

dare la possibilità al familiare di rimanere accanto al proprio caro ed incominciare a

35

sperimentare sul campo le proprie capacità di gestione nelle varie attività quotidiane

e di cura. Questi famigliari, infatti, desiderano rendersi utili e si sentono frustrati nel

subire eventuali restrizioni.

Vi è una richiesta di aiuto pratico per poter agire in prima persona sui presidi e sulle

necessità dell'assistito, tanto che in alcune strutture sono stati fatti dei corsi di

formazione ben organizzati. A Correggio il Progetto Famiglia prevede l’educazione

dei familiari rispetto alla gestione dei presidi e delle attività di vita quotidiana, come

ad esempio, il bagno, l'assistenza ai pasti, l'igiene personale o il cambio degli

indumenti e soprattutto la mobilizzazione.

I familiari si affidano ai professionisti per capire come devono gestire comportamenti

problematici, cosa dire e cosa non dire, come adattarsi a un nuovo tipo di

comunicazione-relazione e le strategie più efficaci attraverso l’utilizzo del linguaggio

non verbale. Infatti, il problema più grande pare essere la mancanza di una

comunicazione verbale, che mette in crisi le famiglie quando non riescono a

riconoscere i desideri e le necessità che manifestano i loro cari.

In particolar modo il riconoscimento del dolore, è una vera e propria sfida per i

familiari in quanto non è facile interpretarlo dal loro particolare comportamento di

malessere. Quindi la presenza di un deficit cognitivo aumenta le difficoltà di

rilevazione, da parte dei familiari ed aumenta il loro timore di sottovalutare o non

riconoscere il sintomo manifestato.

I pazienti GCA non sono in grado di esprimere verbalmente il loro dolore perché non

sono in contatto con il mondo esterno o lo sono in maniera discontinua e incompleta.

Spesso sono portatori di una cannula tracheostomica che impedisce loro l'emissione

della voce. Inoltre vi sono pazienti incapaci di raccontare il dolore verbalmente,

perché affetti da lesioni del centro della parola, situato nell’emisfero cerebrale

sinistro. Nonostante la patologia in comune, i soggetti presi in carico sono totalmente

diversi uno dall'altro, non bisogna dare per scontato il comportamento che ognuno di

loro mette in atto per manifestare il dolore percepito. Nell’educazione al familiare è

perciò importante ricordare loro che il proprio caro non ha la possibilità di esprimere

verbalmente il dolore mentre tende ad esternarlo con gesti, espressività, movimenti

oculari, versi vocali e altri modi non sempre facili da interpretare.

La letteratura riporta che i familiari/caregiver tendono a sovrastimare il dolore del

36

loro caro (Brugnolli, 2007). La motivazione a supporto di ciò è che il familiare

diventa molto apprensivo, dopo il triste episodio di grave malattia che ha colpito la

persona e la famiglia, e mette in atto una serie di comportamenti allarmanti per

difendere la persona da situazioni di "pericolo" che non sono in grado di auto-

controllare, non avendone le competenze professionali.

Il professionista invece, riconosce le minacce di pericolo, più rapidamente e sa

intervenire con i tempi adatti. Forse per queste ragioni la percezione del dolore, da

parte di queste due diverse figure che accompagnano la persona nel percorso di

riabilitazione, è notevolmente differente.

Il dolore tuttavia rimane un problema complesso, di difficile valutazione e da non

sottovalutare ai fini dell’adattamento e delle risposte del paziente al percorso

riabilitativo.

Nonostante l' importanza di questo segno/sintomo, in letteratura non viene quasi mai

citato il tema relativo all'insegnamento del dolore ai parenti a domicilio.

Non sempre conoscono strategie e metodi per far fronte al riconoscimento

tempestivo del dolore, ma nel momento in cui accade, si rivolgono direttamente al

medico o all'infermiere.

Da ciò la scelta di educare anche i familiari all’utilizzo di uno strumento di

valutazione del dolore, in particolare la scala Abbey, affinché possano disporre di uno

strumento di rilevazione semplice che li guidi e contenga la loro valutazione

emozionale ed al tempo stesso aumenti la loro autostima rispetto alla loro gestione

competente dell’assistenza.

Per questi pazienti, la regressione, non solo dal punto di vista emotivo come

meccanismo di difesa ma anche dal punto di vista bio-fisiologico, impone la

necessità di essere supportati in gran parte delle loro funzioni quotidiane che devono

essere libere da manifestazioni di dolore per poter essere maggiormente di supporto

ai processi vitali. L’educazione alla rilevazione del fenomeno dolore si configura

allora come imperativo etico prioritario e come condizione fondante la qualità di vita

della persona/famiglia affetta da GCA.

Il supporto da parte dei professionisti riduce lo stress provato e incoraggia il

familiare a comportarsi in modo efficace, mentre i conflitti devono essere evitati

perché inducono stress maggiori, rendono più difficile comportarsi efficacemente e

37

quindi peggiorano la guarigione ottimale del paziente.

Le abilità dei familiari con il tempo migliorano, si evolvono e permettono di essere

sempre più attenti e capaci di cogliere le esigenze da soddisfare del paziente.

Imparano a conoscere i nuovi aspetti del proprio caro, anche riguardo al dolore,

comprendendo le espressioni del viso, fremiti, movimenti articolari, movimenti

oculari ecc.. Questo permette ai parenti di ridurre lo stress e aumentare la fiducia in

se stessi per diventare inoltre più utili.

38

CAPITOLO 4

IL TIROCINIO FINALIZZATO ALLA TESI: L’ESPERIENZA NELL’UNITA’

OPERATIVA DI RIABILITAZIONE NEUROLOGICA INTENSIVA DI

CORREGGIO

“Cambiare vuol dire accettare la dipendenza; la dipendenza di colui che assisteil paziente dagli aiuti, dai volontari o dagli operatori che entrano in casa e che

spesso sono sentiti quasi come una invasione della propria privacy, ma che tantofanno per la famiglia e il paziente; vuol dire accettare la dipendenza dai servizi

che fanno arrabbiare per la loro lentezza e spesso la loro sordità, ma cheforniscono i supporti necessari per il quotidiano; vuol dire accettare la

dipendenza del proprio congiunto di cui il familiare diventa voce, occhi,orecchi, memoria. Viviamo nell’illusione di essere indipendenti, autonomi datutto e tutti, di solito pronti a scappare quando il rapporto con l’altro impone

restrizioni o vincoli alla nostra libertà. Rinunciare a questa illusione è forse ilprimo passo che permette a una famiglia di ricostruire un equilibrio in cui,

nella cura del proprio membro più debole, ci sia spazio per la realizzazione ditutti, in una costruzione comune per la migliore qualità di vita possibile17”

Il giorno 15 gennaio 2012, dopo accordi intercorsi fra la coordinatrice dell’Unità

Operativa di Riabilitazione Neurologica Intensiva, dell'ospedale S. Sebastiano di

Correggio (Tabella 4.1), e la relatrice di tesi, ho iniziato un tirocinio finalizzato alla

elaborazione della tesi.

Scopo del tirocinio finalizzato alla tesi

Osservare e descrivere le caratteristiche della presa in carico dei bisogni della

persone con grave cerebrolesione acquisita, con un focus particolare sull’assessment

del dolore.

Organizzazione del tirocinio finalizzato alla tesi

Affiancamento a una Infermiera Guida, Emilia Ziliani, con ampia esperienza clinica

maturata in questo specifico contesto e che ha partecipato al progetto aziendale sulla

validazione della scala del dolore. Tale affiancamento ha la finalità di:

1. pervenire a una lettura del contesto con focus specifico rispetto al percorso

che viene proposto a questi pazienti e alle loro famiglie nella fase post-acuta

della riabilitazione;

2. partecipazione a momenti cruciali del percorso riabilitativo come sono le

riunioni di progetto e di pre-dimissione;

17Seminario permanente sugli stati vegetativi e di minima coscienza. Libro bianco sugli stati vegetativi e di minima coscienza. Il punto di vista delle associazioni che rappresentano i familiari. Roma, 2010

39

3. allestimento, in collaborazione con il Medico di Unità operativa referente del

progetto, di strumenti per la raccolta dei dati finalizzati alla compilazione del

lavoro di tesi;

4. raccolta dei dati da situazioni cliniche presenti al momento di svolgimento del

mio tirocinio.

Tabella 4.1 Principali aspetti di lettura di contesto della unità operativa di Riabilitazione Neurologica Intensiva

L’Unità Operativa di Riabilitazione Neurologica Intensiva appartiene al presidio Ospedaliero di Correggio e fa parte del Dipartimento di Riabilitazione dell’ASL di Reggio Emilia.Direttore Medico di Unità Operativa: Dott. Francesco LombardiCoordinatore di Unità Operativa: Giuseppina BianchiPersonale presente: 15 infermieri, 7 Medici, 10 Operatore Socio Sanitario e 10 Fisioterapisti.Posti letto: 35 + 2 di Day HospitalModalità di accesso: ricovero programmato tramite lista di attesaTipologia di pazienti: sono assistiti pazienti provenienti da Rianimazioni, Terapie Intensive, Neurochirurgie e Trauma Centers.

L’Unità operativa è suddivisa in tre settori denominati Iris, Tulipano e Girasole organizzati secondo intensità assistenziale e dunque a gestione prevalentemente infermieristica, a gestione collaborativa con il personale di supporto ed a gestione prevalente da parte del personale di supporto.L’attività assistenziale sui pazienti è orientata al raggiungimento di obiettivi riabilitativi definiti all’inizio del percorso del paziente, rivalutati in fase intermedia e prima della dimissione al domicilio.Gli strumenti informativi fanno riferimento alla cartella integrata fra medici, infermieri, fisioterapisti e personale di supporto.Bisogni assistenziali prevalenti dei pazienti in carico sono relativi a: attività di Vita Quotidiana quali movimento, igiene e cura del vestiario, alimentazione/idratazione, cardiocircolatoria e respiratoria, liberarsi dalle tensioni, eliminazione intestinale ed urinaria, riposo e sonno, integrità cutanea, coping, comunicazione, educazione terapeutica.

L’expertise degli infermieri è relativa alla assistenza al paziente in stato vegetativo o di minima coscienza in fase di riabilitazione sino alla dimissione ed ai loro familiari.Una persona in SV è portatore di bisogni sanitari: si tratta infatti di persone le cui condizioni cliniche sono generalmente stabilizzate, ma la cui fragilità le pone sempre a rischio di ricadute o complicanze. Infezioni alle vie aree o urinarie, gestione della tracheotomia, della PEG per l’alimentazione, ad esempio, sono aspetti sanitari che anche la famiglia può imparare a gestire nella routine, ma che possono presentare complicanze che devono essere diagnosticate e risolte solo da personale sanitario specializzato. I bisogni sanitari, non possono quindi essere sottovalutati.Ai bisogni sanitari si aggiungono quelli di natura più strettamente assistenziali, che rappresentano la maggior parte delle necessità delle persone in SV. Essere lavati e vestiti tutti i giorni, alzati dal letto e posturati in carrozzina, essere accompagnati fuori dalla propria stanza per poter variare ambiente e quindi colori, suoni, odori rappresenta una necessità che permette di garantire un benessere fisico e una dignità della persona stessa.La famiglia del paziente è l’altro elemento di cui farsi carico. Portatore di un bisogno insaziabile diessere ascoltato, informato, accompagnato, il nucleo familiare, a volte costituito da un’unica persona rimasta tenacemente accanto al paziente, a volte da un gruppo poco coeso sul modo di vivere la realtà vegetativa ma granitico nelle richieste di qualità della cura e dell’assistenza, deve essere accolto e debitamente formato.

40

Ambito della raccolta dati

La valutazione del dolore rappresenta un aspetto importante nella presa in carico

della persona con grave cerebrolesione acquisita ed è per questo motivo che i

professionisti si sono specializzati in tale ambito.

In particolare, nell’Unità operativa di Riabilitazione Neurologica Intensiva è stato av-

viato nel 2009-2010 un progetto di miglioramento dal titolo “Valutazione e tratta-

mento del dolore in ambiente riabilitativo” (Figura 4.1)

Scopo del progetto è migliorare l'assistenza del paziente con un a corretta rilevazione

ed un adeguato trattamento del dolore, attraverso la definizione di indicazioni di

comportamento che siano:

- omogenee e condivise tra gli operatori,

- applicabili nella peculiarità del contesto lavorativo proprio della riabilitazione

- in linea con i dati di letteratura scientifica ed EBN.

L’implementazione del progetto di cui sopra, deriva infatti, dalla necessità di:

- uniformare fra tutti i professionisti sanitari la valutazione e rilevazione del

dolore in modo da renderla oggettiva, condivisa, univoca, tempestiva.

- dotare tutti i professionisti sanitari di un unico strumento, condiviso e valida-

to, per la rilevazione del dolore.

Di non minore rilievo, inoltre, l’entrata in vigore (durante lo svolgimento del lavoro

sperimentale di validazione di strumenti di misurazione del dolore), della legge 15

marzo 2010, n. 38 che recita: "All'interno della cartella clinica, nelle sezioni medica

ed infermieristica, in uso presso tutte le strutture sanitarie, devono essere riportati le

caratteristiche del dolore rilevato e della sua evoluzione nel corso del ricovero, non-

ché la tecnica antalgica e i farmaci utilizzati, i relativi dosaggi e il risultato antalgico

conseguito".

41

Figura 4.1 Fasi del Progetto “Valutazione e trattamento del dolore in ambiente riabilitativo”

Il progetto di miglioramento è stato articolato in diverse fasi (Figura 4.1):

- Fase preliminare (gennaio-febbraio 2009), ha inteso pervenire alla costituzione del

gruppo di lavoro, sino alla stesura di un programma di lavoro condiviso contenete

obiettivi, risultati attesi e tempi previsti.

- Prima fase (marzo-aprile 2009), sono stati raccolti dati relativi alle pratiche attuali

di gestione del dolore mediante somministrazione di un questionario a tutti i

professionisti sanitari con la finalità di indagare la percezione/sensibilizzazione verso

il fenomeno dolore ed il grado di formazione e aggiornamento professionale

42

ricevuto. La raccolta dei dati ha consentito di:

- sviluppare una classificazione delle categorie di pazienti sulla base delle

patologie e della capacità di comunicare il dolore percepito, per le diverse strutture

dipartimentali,

- fare un elenco delle principali tipologie/cause di dolore e le manovre

terapeutiche, assistenziali e riabilitative che inducono dolore.

-individuare gli strumenti di rilevazione del dolore e la loro sperimentazione,

modalità e tempi di utilizzo.

- Seconda fase (marzo-giugno 2009) è stata dedicata alla revisione della letteratura

rispetto a:

- strumenti di rilevazione del dolore in pazienti collaboranti e non collaboranti,

- impatto del dolore sul recupero funzionale,

- aspetti psicologici nella gestione del dolore.

- Terza fase (luglio-dicembre 2009) ha previsto:

- l’identificazione di strumenti di valutazione del dolore e modalità di utilizzo,

- stesura di procedure di valutazione e trattamento combinato del dolore,

derivate dalle già esistenti linee guida nazionali ed internazionali, adattate alle

specifiche necessità e risorse del Dipartimento Riabilitativo,

- avvio della fase sperimentale di utilizzo delle scale di misurazione e relativo

processo decisionale esplicitato nella Flow-chart della procedura.

Questa fase si è conclusa con la validazione della scala ABBEY e la successiva

adozione della procedura dipartimentale La gestione del dolore in ambiente

riabilitativo.

I professionisti del gruppo di progetto, dopo varie ricerche bibliografiche, si sono

trovati a dovere scegliere fra due scale di misurazione riportate dalla letteratura.

Il team coinvolto nel progetto ha scelto di adottare la scala ABBEY (nel paziente non

in grado di comunicare) rispetto alla Nociception Coma Scale, in quanto quest'ultima

non tiene conto dei cambiamenti fisiologici (sindrome neurovegetativa) conseguenti

alla presenza di dolore a carico di: pressione arteriosa, frequenza cardiaca e

temperatura corporea.

43

La procedura Dipartimentale

“La gestione del dolore in ambiente riabilitativo”

Scopo

Migliorare l’assistenza del paziente in riabilitazione con una corretta rilevazione ed

un adeguato trattamento del dolore, attraverso la definizione di indicazioni di com-

portamento che siano:

a) omogenee e condivise fra gli operatori;

b) in linea con i dati di letteratura scientifica EBM/EBN e con le indicazioni

regionali;

c) applicabili nella peculiarità del contesto lavorativo

Ambiti di applicazione

Il campo di applicazione di questa procedura include il Servizi di Rieducazione

Funzionale (RRF) del Dipartimento di Riabilitazione; Unità Operativa di Neuro-

riabilitazione Intensiva e Unità Operativa di Riabilitazione Neurologica Intensiva ed

estensiva, Unità Operativa Riabilitazione Respiratoria dell’Ospedale di Correggio;

Residenza Sanitaria Riabilitativa di Albinea.

Attività

Il dolore dovrà essere considerato come un parametro vitale (PA, FC, temperatura

corporea, eccetera).

La procedura Dipartimentale utilizzata stabilisce di misurare quotidianamente il

dolore rilevato dal personale infermieristico e di supporto, quando vengono valutati

gli altri parametri fisiologici, utilizzando la scala Abbey (per il paziente incapace di

comunicare, (Allegato 2.) o la scala VNS (per il paziente capace di comunicare

(Allegato 2.).

Il paziente viene definito incapace di comunicare il suo dolore quando è in

condizioni di minima responsività o in stato vegetativo o di deterioramento cognitivo

definiti dal valore, sulla scala Level of Cognitive Functioning (LCF), inferiori a 5.

Anche un paziente con LCF maggiore di 5 può essere definito incapace di

comunicare il suo dolore in caso di difficoltà della produzione verbale (afasia o

44

mezzo meccanico che impedisce la parola, come cannula tracheale cuffiata) e non

riesca ad usare forme di comunicazione alternativa.

Figura 4.2 Flow Chart Gestione del dolore nel paziente incapace di comunicare18

Se il paziente non è in grado di comunicare (Figura 4.2), mostra segni e sintomi di

dolore o parametri fisiologici alterati l'infermiere utilizza l'Abbey Scale, rileva il

punteggio e se vi è la presenza di dolore mette in atto manovre definite di primo

approccio. Queste manovre da considerare nel paziente si riferiscono a un cambio

postura, rettoclisi, trattamento del globo vescicale, pervietà delle vie aeree.

Dopo qualche minuto rileva di nuovo il dolore e se è presente il medico prescrive un

trattamento sintomatologico ed estemporaneo del dolore e contemporaneamente

avvia l'iter diagnostico.18Tratta da procedura Dipartimentale “La gestione del dolore in ambiente riabilitativo” (Allegato 2)

45

Monitoraggio del dolore a 45 minuti con Abbey Scale, e se persiste dolore il medico

prescrive ulteriore terapia antalgica estemporanea sintomatologica. La terapia è

basata sul tipo di dolore: lieve, moderato, severo.

Oltre a un trattamento antalgico esistono trattamenti integrati come per esempio

esercizi fisioterapici, cognitivo/comportamentali e di medicina non convenzionale.

Anche il terapista in palestra è tenuto a misurare il dolore a inizio e fine dell'attività

riabilitativa giornaliera. Questo permette di capire se queste manovre possono portare

dolore e quindi malessere dopo le attività svolte o se è un disagio iniziale che non

favorisce dall'inizio la collaborazione alle attività riabilitative.

Nel paziente in grado di comunicare verbalmente (Figura 4.3), si indaga se vi è

dolore e se ne ricercano le cause (Schema PQRST**).

Il medico, anche in questo caso prescriverà un trattamento sintomatologico

estemporaneo del dolore e contemporaneamente avvia l'iter diagnostico.

Successivamente si dovrà monitorare il dolore con VNS dopo 45 minuti e rivalutare

il dolore.

46

Figura 4.3 Flow Chart Gestione del dolore nel paziente capace di comunicare19

Il livello di dolore viene rilevato tutte le mattine durante il giro della terapia, mentre

si misurano gli altri parametri vitali, ed è stato possibile per me osservare lo

svolgimento di questa attività, con l'Infermiera Guida durante il suo turno.

19Tratta da procedura Dipartimentale “La gestione del dolore in ambiente riabilitativo” (Allegato 2)

47

4.2 Esperienza di tirocinio finalizzata alla tesi: i dati raccolti e le strategie

utilizzate

Il mio elaborato di tesi si iscrive all’interno della fase 4 del progetto Aziendale

“Valutazione e trattamento del dolore in ambiente riabilitativo” ed ha come finalità quella di

incominciare a predisporre strumenti informativi per condividere il programma di

gestione del dolore con i familiari di pazienti in stato di minima coscienza in

previsione della loro dimissione.

ANALISI DI SFONDO

Prima di procedere con la raccolta di dati specifici per la finalità della mia tesi, ho

ritenuto opportuno, non avendo fatto tirocinio nel contesto di Riabilitazione

Neurologica Intensiva di Correggio rendermi conto e “toccare con mano”:

- ciò che significa gestione del dolore del paziente con GCA e applicazione della

procedura; affiancando un’infermiera esperta (I Pazienti ed il significato vissuto di

gestione del loro dolore)

- ciò che significa per un familiare/caregiver acquisire informazioni e formazione per

la gestione a domicilio del dolore del proprio caro (La mia partecipazione ad incontri

di progetto)

I Pazienti ed il significato vissuto di gestione del loro dolore

CASO 1:

Uno dei primi giorni ho seguito un paziente parzialmente cosciente che doveva essere

sottoposto ad esame radiografico del ginocchio e dell’anca per precedente frattura dovuta ad

incidente. Nelle manovre di spostamento letto-barella malgrado l'incapacità di comunicare ha

manifestato segni di dolore tramite l’espressione del viso, rossore, chiusura brusca degli occhi,

arricciamento del naso e della bocca. Al ritorno in reparto abbiamo applicato la scala Abbey in

quanto permanevano sudorazione diffusa, rossore e contrattura degli arti. Punteggio ottenuto

10 per cui dolore moderato.

E' bastato poi un cambio di postura degli arti inferiori del corpo per portare sollievo a questo

signore e ridurre la sintomatologia dolorosa: valore della scala Abbey 2, quindi dolore assente.

48

CASO 2:

Un secondo caso a cui ho assistito è stata la medicazione di un ulcera di terzo stadio nel piede

destro di una signora cachettica. Durante la manovra, osservandola, ho potuto calcolare il

punteggio della scala ABBEY e anche in lei ho riscontrato la presenza di un dolore moderato,

in quanto riportava un punteggio pari a 8. La paziente aveva un aspetto teso, atteggiamento di

difesa del corpo, contrazione dei muscoli e una frequenza cardiaca in aumento, 105

battiti/minuto. Dopo questa manovra la paziente si è subito rilassata, ma nei casi in cui si sa già

in partenza che la paziente potrebbe sentire dolore, è necessario somministrare terapia antalgica

preventiva.

CASO 3:

Un altro paziente da me osservato è stato un uomo cosciente ma non in grado di comunicare

per afasia, portatore di cannula tracheostomica, spesso afflitto e demoralizzato. Durante gli

spostamenti letto carrozzina, mediante l'uso del sollevatore passivo, gesticola con gli arti

superiori e nel viso si colgono smorfie di fastidio.

Anche con lui ho applicato la scala Abbey, una volta messo in carrozzina, ma non ho

riscontrato presenza di dolore in quanto come spiegato poi dall'infermiera, il suo

atteggiamento è di sconforto, quindi dolore psicologico e non dolore fisico, per la poca voglia e

demotivazioni ad essere spostato dal letto ed alzato.

La mia partecipazione a incontri di progetto

Il team multidisciplinare riabilitativo fornisce al familiare/caregiver accurate,

personalizzate e tempestive informazioni sui trattamenti e l’assistenza del paziente.

L’educazione del paziente e dei familiari/caregiver inizia all’ingresso per continuare

durante la degenza.

Dopo circa 1-2 settimane dall’ingresso viene organizzata una prima riunione di

progetto in cui sono presenti: il medico referente, l’infermiere, la logopedista, la

fisioterapista ed i familiari/caregiver. Ogni professionista presenta il paziente facendo

riferimento al proprio specifico ambito di competenza, identifica i problemi secondo

priorità e propone obiettivi e relativi interventi possibili, sino ad addivenire a un

progetto terapeutico-assistenziale-riabilitativo condiviso da tutti.

Il coinvolgimento della famiglia già nelle prime settimane, è funzionale sia a

49

raccogliere il maggior numero di informazioni sulla persona del paziente: l'ambiente

in cui ha vissuto, le sue preferenze, le sue modalità di relazione con gli altri, le

persone che lo hanno affiancato sia a dare la possibilità ai familiari di incominciare a

fare domande, esprimere emozioni a tutto il team presente.

Di queste riunioni ne vengono fissate altre durante la degenza sia per monitorare e

verificare l’avanzamento del paziente verso gli obiettivi condivisi, sia per

confrontarsi sulle reazioni del familiare alla malattia del proprio caro e sulle modalità

adattive da questo utilizzate o meno.

In prossimità della fine del ricovero ospedaliero, vengono organizzate delle riunioni

di pre-dimissione in cui si incontrano il medico, l'infermiera ed eventualmente altre

figure professionali con la famiglia e il paziente.

L'obiettivo principale è quello di dare a famiglia e pazienti un piano terapeutico

riabilitativo da proseguire a domicilio, fornire un aiuto concreto che supporti la

famiglia e alleggerisca il lavoro a casa.

Una volta condivise le modalità della dimissione ne viene data comunicazione ai

familiari, che dovranno attivare gli opportuni adattamenti.

Al paziente ed al familiare/caregiver è offerta la possibilità di "sperimentare" la

dimissione attraverso l’attivazione di permessi giornalieri finalizzati a fare in modo

che paziente e familiare/caregiver incomincino a rappresentarsi il loro futuro a casa,

anticipandolo gradualmente (week-end terapeutici).

Vengono inoltre effettuate riunioni rivolte solo al team, che possono essere convocate

in qualsiasi momento, su richiesta di uno dei componenti del team stesso o in base

alle necessità dell’equipe al fine di discutere eventuali problematiche assistenziali e

gestionali del paziente che possono rallentare o compromettere l’esito del progetto

riabilitativo. Queste riunioni sono definite di mini-equipe.

50

RACCOLTA DATI

Intervista ai familiari/caregiver di pazienti con GCA

Scopo: descrivere la percezione dei familiari/caregiver circa il dolore del proprio

caro rispetto a:

1. sentimenti provati,

2. conoscenze sul dolore,

3. valore attribuito alla proposta di essere educati alla gestione autonoma della

rilevazione del dolore del loro caro a domicilio.

Campione: familiari/caregiver di pazienti con GCA.

Criteri di inclusione: familiari di pazienti ricoverati da più di un mese, familiari che

parlano correntemente l’italiano e che lo comprendono, familiari di pazienti che

hanno subito deficit neurologici e della coscienza.

Consenso informato: ai familiari selezionati ho chiesto il consenso alla

partecipazione allo studio, spiegando loro, chi ero, cosa facevo e per quale motivo mi

serviva la loro collaborazione. Ho selezionato complessivamente 15

familiari/caregiver, ma di questi solo 11 hanno dato il loro consenso allo studio.

Metodo: intervista semi strutturata, seguendo la seguente traccia per la raccolta dei

dati:

Ambiti delle domande rivolte a familiari/caregiver

Sentimenti provati nel corso di episodi di dolore del proprio caro.

Capacità di riconoscere le manifestazioni di dolore da parte del proprio caro.

Conoscenza sugli strumenti di valutazione del dolore utilizzate in Unità

Operativa e strategie di gestione.

Valore attribuito alla proposta di essere educato dai professionisti dell’Unità

operativa, circa modalità, strumenti e strategie per la gestione del dolore

dell’assistito.

51

Presentazione dei dati

Sentimenti provati nel corso di episodi di dolore del proprio caro

- Difficoltà, diffidenza nell’esprimere i loro sentimenti nei confronti del proprio caro.

- Dopo il momento di sconforto, nonostante le scarse speranze, la maggior parte dei

familiari non si ritirano davanti al triste episodio ma bensì cercano un avvicinamento

con il proprio caro, quasi come se volessero recuperare in quei momenti tutto il

tempo possibile per stare insieme.

- Inoltre è emerso che il rapporto tra parente e paziente si è rafforzato, nonostante le

difficoltà, c'è più amore durante il tempo che si passa insieme.

- Per tutti i familiari il dolore è un sintomo da trattare al primo posto, si preoccupano

se il loro caro soffre e cercano di impedirlo. Bisogna dire però che le conoscenze che

hanno molti di loro sono superficiali.

Capacità di riconoscere le manifestazioni di dolore da parte del proprio caro

- Riferiscono che all'inizio, appena dopo il trauma è stata dura cogliere alcuni aspetti

durante l'approccio relazionale, in conseguenza della paura, dello smarrimento e

dell'angoscia di quei momenti.

- Il dolore non era facilmente percepibile riferiscono alcuni, mentre altri hanno

riferito che è sempre stato chiaro fin dai primi momenti, in quanto certe espressioni o

movimenti erano abbastanza comprensibili (questo dipende anche dalla tipologie di

paziente, dal relativo carattere e da ciò che è accaduto).

- Tutte le persone da me intervistate hanno riferito che con il passare dei giorni sono

diventate più abili nel riconoscere segni e sintomi di dolore differenziandolo dalla

sensazione fastidiosa o altre alterazioni fisiologiche.

- Nonostante manca la comunicazione verbale questi parenti cercano costantemente

un canale comunicativo diverso che permetta a entrambi di capirsi, alcuni con lo

sguardo altri con una stretta di mano, con i gesti o con piccoli sussurri di voce.

- “Nonostante l'inizio turbolento non ho mai smesso di cercare un modo per poter

dialogare con mio marito e questo avvicinamento costante e continuo è servito per

raggiungere più complicità e più attenzione verso di lui”.

-“Non c'è più bisogno di parlare per capirsi basta solo guardarsi, cosa che prima

dell'incidente, con la vita sempre più frenetica e veloce non ci si dava il tempo

52

neanche di guardarsi e capire come stava l'altra persona”.

-“… più il tempo passa e maggiore è la capacità di percepire sempre più cose più

specifiche della nuova relazione con …”

-“… la percezione del dolore con il passare del tempo è sempre più semplice da

cogliere, grazie anche all'aiuto di personale infermieristico…”.

- Acquistata la consapevolezza e la serenità data dall’accoglienza in U.O. e dalla

partecipazione alla riunione di progetto i famigliari sono molto più accorti nel

percepire le espressioni facciali o alcuni movimenti del corpo che i pazienti attuano

per esprimere il loro livello di dolore.

Conoscenza sugli strumenti di valutazione del dolore utilizzate in Unità Operativa e

strategie di gestione

Solo 1 famigliare, degli 11 intervistati, è a conoscenza delle scale di valutazione del

dolore utilizzate in reparto, tutti gli altri riferiscono di non sapere di cosa si tratta e

come fare a utilizzarle.

Valore attribuito alla proposta di essere educato dai professionisti dell’Unità

operativa, circa modalità, strumenti e strategie per la gestione del dolore

dell’assistito.

I familiari sono tutti d'accordo sull’importanza dell'apprendere le conoscenze relative

a questi strumenti che potrebbero aiutarli soprattutto in una fase iniziale in cui le

abilità di riconoscimento del dolore non sono consolidate e strutturate.

Ciò potrebbe aiutare anche le persone più spaventate ad avere una strategia migliore

per guidarli durante l'assistenza che offrono.

Considerazioni sui risultati ottenuti

Pur nella consapevolezza dei limiti di questo studio, tuttavia i risultati ottenuti mi

permettono di supportare la necessità di informare prima e di educare

successivamente il familiare/care-giver all’utilizzo di strumenti di misurazione per la

rilevazione del dolore. Si rende quindi necessario, come per altre procedure insegnate

durante il Progetto Famiglia, iniziare a strutturare possibili interventi di

53

informazione/formazione relativi alla rilevazione e trattamento del dolore dedicati ai

familiari/caregivers, in un’ottica di empowerment e in previsione di una dimissione.

Infatti il Progetto Famiglia, ha la finalità di preparare la dimissione attraverso la

graduale acquisizione di competenze che dovranno essere gestite in autonomia e che

possono essere sperimentate fin dai week end terapeutici.

Strategia per l’informazione dei familiari: il POSTER

I risultati dell’esperienza di tirocinio finalizzato alla tesi, mi hanno consentito di

confrontarmi e riflettere con esperti clinici rispetto alla valutazione e gestione del

fenomeno dolore, fin dall’inizio del mio percorso; da questi ambiti di confronto è

emersa la proposta di introdurre, all’interno dell’opuscolo informativo, già strutturato

e che presenta l’ Unità Operativa, nel paragrafo intitolato: “Il ruolo della famiglia”

una specificazione relativa agli strumenti di rilevazione del dolore utilizzati: scala

VNS e ABBEY.

Inoltre dalla riflessione emersa durante la mia esperienza e condivisa con gli esperti

clinici, che mi hanno supportato relativamente all’obiettivo di sensibilizzare i

familiari alla valutazione del dolore attraverso gli strumenti utilizzati nel contesto, ho

avuto la possibilità di partecipare all’allestimento di un Poster avente la finalità di

dichiarare in modo esplicito le caratteristiche della presa in carico assistenziale-

riabilitativa attivata in Unità Operativa, in merito al fenomeno dolore, presentando le

scale stesse utilizzate nella pratica clinica quotidiana.

Il poster, dopo approvazione della Direzione Sanitaria, sarà appeso alle pareti, in

alcuni punti strategici dell’Unità Operativa di Riabilitazione Neurologica Intensiva

per informare i parenti della possibilità di poter imparare la corretta rilevazione del

dolore attraverso l’uso delle due scale di valutazione che saranno rese disponibili

nella presentazione del Poster stesso.

54

SCALA VERBALE DEL DOLORE (VNS)PERSONA IN GRADO DI COMUNICARE VERBALMENTE

55

ASL REGGIO EMILIAPresidio ospedaliero

San SebastianoCorreggio

In questo reparto valutiamo il DOLORE in tutti i pazienti, ogni giorno

Per qualsiasi informazioni chiedete al personale del repartovi invitiamo a prendere una copia delle scale di

misurazione del dolore dal raccoglitore qui sotto

ABBEY PAIN SCALE

1. VOCALIZZAZIONI es. piagnucolii, gemiti, urla, pianti, altro (specificare__________________________________) 0 1 2 3 2. ESPRESSIONI DEL VISO es. aspetto teso e nervoso, sguardo spaventato, smorfie, altro (specificare________________) 0 1 2 3 3. CAMBIAMENTI NEL LINGUAGGIO DEL CORPO es. protezione di una parte del corpo, atteggiamento di difesa, dondolamento, altro (specificare________) 0 1 2 3 4. CAMBIAMENTI COMPORTAMENTALI es. aumento della confusione, rifiuto ad alimentarsi, cambiamento negli schemi usuali, maggiore aggressività, altro (specificare___________________) 0 1 2 3 5. CAMBIAMENTI FISIOLOGICI es. sudorazione, arrossamento o improvviso pallore, modificazioni significative della frequenza cardiaca e della pressione, modificazioni della temperatura corporea (specificare_______________________) 0 1 2 3 6. CAMBIAMENTI FISICI es. aumento dell’ ipertono e delle contrazioni, blocchi articolari, ferite della cute (specificare____________________) 0 1 2 3 PUNTEGGIO TOTALE CRITERI DI ATTRIBUZIONE DEI PUNTEGGI 0= disturbo non presente 1= disturbo presente di grado lieve 2= disturbo presente di grado moderato 3= disturbo presente di grado severo SCALA DI VALUTAZIONE 0-2 dolore assente 3-7 dolore lieve 8-13 dolore moderato >14 dolore severo SEGNALARE EVENTUALE ELEMENTO SCATENANTE TALE DOLORE (manovre su paziente, posture,trattamento fisioterapico, ecc. )

_______________________________________________________ _______________________________________________________

Prof Inferm. 2008 Oct-Dec;61(4):210-5 “A comparison study between two pain assessment scales for hospitalized and cognitively impaired patients with advanced dementia”

ABBEY SCALEPERSONA NON IN GRADO DI COMUNICARE VERBALMENTE

CONCLUSIONI

Il lavoro iniziato con la Dottoressa Marchetti non si è del tutto concluso in quanto la

proposta del Poster deve ricevere il consenso da parte della Direzione Sanitaria.

I dati raccolti attraverso il lavoro di ricerca nel corso del tirocinio finalizzato alla tesi

confrontati con quanto riportato dalla letteratura supportano la necessità che i

familiari/caregiver siano educati alla valutazione del dolore attraverso l’uso di scale.

Nella consapevolezza, da parte di questi stessi familiari/caregiver di riconoscere il

dolore del proprio caro solo in parte, data la grave disabilità, tutte le persone da me

intervistate hanno riferito che con il passare dei giorni sono diventate più abili nel

riconoscere segni e sintomi di dolore differenziandolo dalla sensazione fastidiosa o

altre alterazioni fisiologiche, questo grazie, sostengono i familiari all’appoggio

competente dei professionisti. Il desiderio espresso dai familiari di essere informati

all’utilizzo di scale di valutazione del dolore consente anche di colmare il gap tra la

sopra-valutazione dei familiari/caregiver e la sotto-valutazione del professionista

riconoscendosi nell’utilizzo di uno strumento unico e condiviso.

Quindi i risultati ottenuti sostengono la necessità e l’utilità di informare prima e di

educare successivamente il familiare/caregiver all’utilizzo di strumenti di

misurazione per la rilevazione del dolore, a dimostrazione, ancora una volta, che

prendere in carico questi pazienti significa prendere in carico anche le famiglie

perché la malattia da grave cerebro lesione acquisita è dalla letteratura definita:

“patologia di famiglia” (Ranieri Joelle, 2010).

56

Bibliografia

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• 2^ Conferenza Nazionale di Consenso, Bisogni riabilitativi ed assistenziali delle persone con disabilità da grave cerebrolesione acquisita e delle loro famiglie, nella fase post-ospedaliera – Documento della Giuria; Verona, 10-11/6/2005consultabile all’indirizzo: http//www.consensusconferencegca.com, ultimo accesso 3/1/2012.

• 3^ Conferenza Nazionale di Consenso, Buona pratica clinca nella

riabilitazione ospedaliera delle persone con GCA – Documento della Giuria; SALSOMAGGIORE TERME (PR), 5-6/11/2010 consultabile all’indirizzo: http//www.consensusconferencegca.com, ultimo accesso 4/1/2012.

• Commissione tecnico-scientifica sullo Stato vegetativo e sullo stato di minima coscienza “STATO VEGETATIVO E DI MINIMA COSCIENZA” Epidemiologia, evidenze scientifiche e modelli assistenziali, a cura di Gigli G., Carolei A., Rossini PM., Zylberman R., DOCUMENTO FINALE (4 dicembre 2009) reperibile all’indirizzo: http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_1378_allegato.pdf,

ALLEGATI

Allegato 1ABBEY PAIN SCALE

1. VOCALIZZAZIONI es. piagnucolii, gemiti, urla, pianti, altro (specificare__________________________________) 0 1 2 3

2. ESPRESSIONI DEL VISO es. aspetto teso e nervoso, sguardo spaventato, smorfie, altro (specificare________________) 0 1 2 3

3. CAMBIAMENTI NEL LINGUAGGIO DEL CORPO es. protezione di una parte del corpo, atteggiamento di difesa, dondolamento, altro (specificare________) 0 1 2 3

4. CAMBIAMENTI COMPORTAMENTALI es. aumento della confusione, rifiuto ad alimentarsi, cambiamento negli schemi usuali, maggiore aggressività, altro (specificare___________________) 0 1 2 3

5. CAMBIAMENTI FISIOLOGICI es. sudorazione, arrossamento o improvviso pallore, modificazioni significative della frequenza cardiaca e della pressione, modificazioni della temperatura corporea (specificare_______________________) 0 1 2 3

6. CAMBIAMENTI FISICI es. aumento dell’ipertono e delle contrazioni, blocchi articolari, ferite della cute (specificare____________________) 0 1 2 3

PUNTEGGIO TOTALE

CRITERI DI ATTRIBUZIONE DEI PUNTEGGI 0= disturbo non presente1= disturbo presente di grado lieve2= disturbo presente di grado moderato3= disturbo presente di grado severo

SCALA DI VALUTAZIONE0-2 dolore assente3-7 dolore lieve8-13 dolore moderato>14 dolore severo

SEGNALARE EVENTUALE ELEMENTO SCATENANTE TALE DOLORE(manovre su paziente, posture,trattamento fisioterapico, ecc. )

_______________________________________________________ _______________________________________________________

Prof Inferm. 2008 Oct-Dec;61(4):210-5 “A comparison study between two pain assessment scales for hospitalized and cognitively impaired patients with advanced dementia”

Allegato 2VNS

SCALA VERBALE DEL DOLORE (VNS)PERSONA IN GRADO DI COMUNICARE VERBALMENTE

Allegato 3PROCEDURA DIPARTIMENTALE

LA GESTIONE DEL DOLORE IN AMBITO RIABILITATIVO

PROCEDURA Pagina 62di 77

LA GESTIONE DEL DOLORE IN AM-BIENTE RIABILITATIVO

Codice PRDIPARTIMENTO DI RIABI-LITAZIONE Rev 1 del

20/01/2011

INDICE

- SCOPO- CAMPO DI APPLICAZIONE- TERMINOLOGIA E ABBREVIAZIONI- DESCRIZIONE DELLE ATTIVITÀ E RESPONSABILITÀ - RIFERIMENTI- INDICATORI- ALLEGATI

LISTA DI DISTRIBUZIONE

Direzione Presidio OspedalieroDirezione di Dipartimento RiabilitativoDirezione Infermieristica Aziendale

Redatto da Verificato Approvato Data di emissio-ne

P. MarchettiL. FranchiniS. MastrangeloS. AbrianiF. FerrariA. BrigantiA. NadaliniN. RossiL. SpagnolattiD. Zoboli

Marchetti PaolaAlbertini Chiara

Lusuardi Mirco __/___/___

firma firma

Revisioni Data Pagine modificate Tipo di modifica__/___/___

1. SCOPOMigliorare l’assistenza del paziente in riabilitazione con una corretta rilevazione ed un adeguato trattamento del dolore, attraverso la definizione di indicazioni di comportamento che siano:

a) omogenee e condivise fra gli operatori;b) in linea con i dati di letteratura scientifica EBM e con le indicazioni

regionali;c) applicabili nella peculiarità del contesto lavorativo

2. CAMPO DI APPLICAZIONEServizi di Rieducazione Funzionale (RRF) del Dipartimento di Riabilitazione;U.O. di Neuroraibilitaizone Intensiva e U.O. di Riabilitazione Neurologica intensiva ed estensiva, U.O. Riabilitazione Respiratoria dell’Ospedale di Correggio;RSR di Albinea.

3. TERMINOLOGIA E ABBREVIAZIONIRRF = Servizi di Rieducazione FunzionaleVNS = scala numerico verbale di valutazione del dolore già in uso nella AziendaLCF = Level of Cognitive FunctioningPDQ = Pain Disability Questionaire

4. DESCRIZIONE ATTIVITA' E RESPONSABILITA'

PremessaLa peculiarità del paziente in riabilitazione

- il recupero funzionale del paziente può essere compromesso dal dolore- Il dolore può ridurre la capacità del paziente di collaborare alle attività

riabilitative- Le stese manovre riabilitative possono causare dolore- Il paziente può essere incapace di comunicare il suo dolore a causa delle

sue menomazioni, quali i deficit cognitivi causati dagli esiti della sua patologia neurologica (stato vegetativo o di minima responsività, afasie, demenza, eccetera)

- Attività Il dolore dovrà essere considerato come un parametro fisiologico. E’ quindi

necessario nei pazinenti ricoverati:

1. misurare quotidianamente il dolore rilevato dal personale IP/OSS, quando vengono valutati gli altri parametri fisiologici, utilizzando la scala Abbey (pz incapace di comunicare) o la scala VNS (pz capace di comunicare)

2. trascrivere la misura del dolore nel foglio di grafica cartaceo o informatico.

3. trattare con farmaci sintomatici per poi accertarne la causa (così come

trattiamo la febbre anche prima di accertarne le cause)

PROCEDURA Pagina 64di 77

LA GESTIONE DEL DOLORE IN AM-BIENTE RIABILITATIVO

Codice PRDIPARTIMENTO DI RIABI-LITAZIONE Rev 1 del

20/01/2011

Segni indiretti agitazione

smorfie viso

sudorazione midriasi

ipertono muscolare

PAZIENTE RICOVERATO INCAPACE DI COMUNICARE IL SUO DOLORE *

Dolore SI

L’infermiere rileva il dolore con la scala ABBEY

Dolore NO

PERSISTE DOLORE

NO

L’infermiere rileva di nuovo il dolore con la scala ABBEY

Il medico prescrive un trattamento sintomatologico e estemporaneo del dolore (Tabella 2)

e contemporaneamente avvia l’ iter diagnostico

L’infermiere verifica la pervietà delle vie respiratorie, vie urinarie, alvo ed eventuali posture scorrette ed effettua le

relative manovre di primo approccio

Monitoraggio a 45 minuti con ABBEY

SI

Tabella 1

Il medico prescrive una ulteriore terapia antalgica estemporanea sintomatologica

SE DOLORE parametri fisiologici alterati e/o segni indiretti (Tabella 1)

Trattamento del dolore sulla base della diagnosi

PROCEDURA Pagina 65di 77

LA GESTIONE DEL DOLORE IN AM-BIENTE RIABIL

PRDIPARTIMENTO DI RIABI-LITAZIONE Rev 1 del

20/01/2011

* il paziente viene definito incapace di comunicare il suo dolore

quando è in condizioni di minima responsività, o di stato vegetativo, o di

deterioramento cognitivo definiti da una LCF inferiore a 5. Anche un paziente con

LCF maggiore di 5 può essere definito incapace di comunicare il suo dolore in caso

di difficoltà della produzione verbale (afasia o mezzo meccanico che impedisce la

parola, come una cannnula tracheale cuffiata) e non riesca ad usare forme di

comunicazione alternative (ad esempio tabelle alfa numeriche).

DOLORE LIEVE-DOLORE LIEVE-

Abbey 3-7Abbey 3-7ParacetamoloParacetamolo 1000 mg 1000 mg

DOLORE MODERATODOLORE MODERATO

Abbey 8-13Abbey 8-13Tramadolo Tramadolo 50 - 100 mg (=20-40 gtt) + 50 - 100 mg (=20-40 gtt) + paracetamoloparacetamolo 1000 mg 1000 mg

DOLORE SEVERODOLORE SEVERO

Abbey 14-18Abbey 14-18

MorfinaMorfina 10 - 20 mg sc 10 - 20 mg scoppureoppure

LorazepamLorazepam 1 fiala in 10 ml di s. 1 fiala in 10 ml di s. fisiologica, in 2 minuti ev +fisiologica, in 2 minuti ev +chetoprofenechetoprofene 160 mg in 100 ml di s.fisiologica, ev160 mg in 100 ml di s.fisiologica, ev

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** PQRST valore qualitativo e non quantitativo, di cui l’IP/OSS può a sua discrezione dare conto nel diario infermieristico e che contribuisce alla diagnosi di cui è responsabile il medico

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SE DOLORE

Causa nota Causa non nota

VNSPQRST**

e VNS

Il medico prescrive un trattamento sintomatologico estemporaneo del dolore (Tabella 1)

e contemporaneamente avvia l’iter diagnostico

Monitoraggio con VNS dopo 45 minuti

PERSISTE DOLORE

trattamento combinato del dolore sulla base della diagnosi

Il medico prescrive una ulteriore terapia antalgica estemporanea e sintomatologica

NO

SI

PAZIENTE RICOVERATO CAPACE DI COMUNICARE

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PAZIENTE AMBULATORIALEVALUTAZIONE DEL DOLOREIl dolore viene valutato:

1. Dal medico durante la visita specialistica con scala VNS (allegata), registrata nel campo numerico già predisposto sul modulo informatico delle visite fisiatriche e neurofisiatriche di MEDOFFICE.

2. Dal terapista in palestra, a inizio e fine del progetto riabilitativo mediante la compilazione del questionario PDQ (Pain Disability Questionair) (allegato) in aggiunta alle scale di valutazione già in uso. Il valore numerico risultato dalle due compilazioni del PDQ saranno dal fisioterapista registrate nell’apposito campo nel supporto informatico GEPRE.

TRATTAMENTO DEL DOLORE: il medico prescrive o conferma la terapia antalgica + eventuale

protocollo specifico per la sindrome dolorosa (trattamenti integrati farmacologici, fisioterapici, cognitivo/comportamentali e di medicina non convenzionale) e un eventuale controllo a distanza

in caso di necessità il terapista (come di prassi) concorda con il medico specialista una visita di controllo durante lo svolgimento del progetto riabilitativo. Se interviene dolore durante un trattamento ambulatoriale in palestra si rimanda alla procedura per urgenze o all’attenzione del Medico di Medicina Generale.

Tabella DOLIEVE-LOREDOLIEVE-LORE

VNS 1-4VNS 1-4paracetamolo 1000 mgparacetamolo 1000 mg

DOLORE MODERATODOLORE MODERATO

VNVNS 4-6S 4-6 tramadolo 100 mg + tramadolo 100 mg + paracetamolo 1000 mgparacetamolo 1000 mg

DOLORE DOLORE SEVEROSEVERO

VNVNS 6-10S 6-10

ossicodone 10-40 mgossicodone 10-40 mg

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5. RIFERIMENTI1. American Pain Prof Inferm. 2008 Oct-Dec;61(4):210-5 “A comparison

study between two pain assessment scales for hospitalized and

cognitively impaired patients with advanced dementia”

2. Society, 2000 American Pain Society. Available from:

www.ampainsoc.org/advocacy/opioids.htm.

3. World Health Organization. Cancer Pain Relief. Geneva: World Health

Organization, 1986

4. Legge 38/2010 "Terapia del Dolore e cure palliative"

5. EFIC (European Federation of IASP® Chapters) l’associazione scientifica

europea contro il dolore.

6. INDICATORI1. Percentuale di pazienti ricoverati in cui viene rilevato il dolore almeno una

volta al giorno: Standard 90% (standard stabilito senza l’aiuto di dati di

letteratura o esperienze in altre organizzazioni) (Dato statistico rilevabile

a cadenza trimetrale o semestrale dal PSC)

2. Percentuale di pazienti che rivcevono una terapia farmacologica perché

riferiscono dolore (sia esso lieve, moderato o severo). (Dato statistico

rilevabile a cadenza trimetrale o semestrale dal PSC)

3. Percentuale di registrazione del PDQ al primo ed ultimo accesso del

paziente ambulatoriale in palestra/numero totale di pazienti ambulatoriali

trattati in plaestra (dato statistico rilevabile da GEPRE a cadenza

semetrale). Standard: 80%.

4. Percentuale di registrazione della VNS su MEDOFFICE/visite fisiatriche e

neurofisiatriche ambulatoriali.

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Allegato 1ABBEY PAIN SCALE

1. VOCALIZZAZIONI es. piagnucolii, gemiti, urla, pianti, altro (specificare__________________________________) 0 1 2 3

2. ESPRESSIONI DEL VISO es. aspetto teso e nervoso, sguardo spaventato, smorfie ,altro (specificare________________) 0 1 2 3

3. CAMBIAMENTI NEL LINGUAGGIO DEL CORPO es. protezione di una parte del corpo, atteggiamento di difesa, dondolamento, altro (specificare________) 0 1 2 3

4. CAMBIAMENTI COMPORTAMENTALI es. aumento della confusione, rifiuto ad alimentarsi, cambiamento negli schemi usuali, maggiore aggressività, altro (specificare___________________) 0 1 2 3

5. CAMBIAMENTI FISIOLOGICI es. sudorazione, arrossamento o improvviso pallore, modificazioni significative della frequenza cardiaca e della pressione, modificazioni della temperatura corporea (specificare_______________________) 0 1 2 3

6. CAMBIAMENTI FISICI es. aumento dell’ ipertono e delle contrazioni, blocchi articolari, ferite della cute (specificare____________________) 0 1 2 3

PUNTEGGIO TOTALECRITERI DI ATTRIBUZIONE DEI PUNTEGGI 0= disturbo non presente1= disturbo presente di grado lieve2= disturbo presente di grado moderato3= disturbo presente di grado severo

SCALA DI VALUTAZIONE0-2 dolore assente3-7 dolore lieve8-13 dolore moderato>14 dolore severoSEGNALARE EVENTUALE ELEMENTO SCATENANTE TALE DOLORE(manovre su paziente, posture,trattamento fisioterapico, ecc. )

_______________________________________________________ _______________________________________________________

Prof Inferm. 2008 Oct-Dec;61(4):210-5 “A comparison study between two pain assessment scales for hospitalized and cognitively impaired patients with advanced dementia”

Allegato 2

SCHEMA PQRST DI VALUTAZIONE DEL DOLORE

domandaPROVOCATO DA

Cosa lo provoca? Cosa lo fa peggiorare o migliorare?

QUALITA’ A cosa assomiglia? Punge? Strappa? Opprime?

IRRADIAZIONE Dove è il suo dolore?Dove si sposta?

SEVERITÀ Quanto è forte?TEMPO C’è sempre o va e viene?

Allegato 3VNSLa scala in uso presso l’Azienda USL di RE e disponibile nei reparti, che rappresenta una sintesi delle seguenti scale:

• VAS (Visual Analogue Scale o scala analogica visiva)• NRS (Numeric Rating Scale o scala numerica)• VRS (Verbal Rating Scale o scala verbale)• PRS (Happy Face Pain Rating Scale o Scala delle espressioni facciali

del dolore ad uso pediatrico)

VAS La scala analogica visiva è la rappresentazione visiva dell’ampiezza del dolore che un paziente dichiara di avvertire.

NRSLa scala numerica una semplice scala che consente al paziente di indicare un

numero tra 0 e 10 per rappresentare il livello del dolore

Esempio di scala numerica

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

VRSLa scala verbale definisce l’intensità del dolore come: dolore assente, lieve, fastidioso, penoso, orribile, atroce.

(PRS) SCALA DELLE ESPRESSIONI FACCIALI DEL DOLOREConsiste generalmente in una serie di disegni raffiguranti diverse espressioni facciali, che rappresentano le variazioni di gravità del dolore.

nessun dolore

il più forte dolore

immaginabile

Lieve: 0-4 Moderato: 5-6 Severo: 7-10

Allegato 4

QUESTIONARIO DISABILITÀ CONSEGUENTE AL DOLORE (PDQ)

Nome paziente_______________________ Data__________________

Istruzioni: queste domande valutano la sua opinione riguardo a come il suo dolore influenza in questo momento le sue attività di tutti i giorni. Per favore risponda a tutte le domande e segni un solo numero su ciascuna scala, quello che meglio descrive come si sente.

1. Il suo dolore interferisce con la sua normale attività lavorativa dentro e fuori casa?

Lavoro normalmente Non sono in grado di lavorare affatto 0___1___2___3___4___5___6___7___8___9___10

2. Il suo dolore interferisce con la cura di se (come lavarsi, vestirsi, ecc..). Mi prendo cura di me stesso da solo Ho bisogno di aiuto per tutte le attività di cura personale 0___1___2___3___4___5___6___7___8___9___10

3. Il suo dolore interferisce con la sua possibilità di spostarsi?Posso andare dove voglio Mi sposto solo per andare dal dottore 0___1___2___3___4___5___6___7___8___9___10

4. Il suo dolore interferisce con la sua possibilità di sedersi e di alzarsi in piedi?

Nessun problema Non posso alzarmi in piedi o sedermi affatto

0___1___2___3___4___5___6___7___8___9___10

5. Il suo dolore interferisce con la sua possibilità di sollevare, afferrare o raggiungere oggetti?

Nessun problema Non è affatto possibile 0___1___2___3___4___5___6___7___8___9___10

6. Il suo dolore interferisce con la sua possibilità di sollevare oggetti dal pavimento, piegarsi,chinarsi o accovacciarsi?

Nessun problema Non è affatto possibile 0___1___2___3___4___5___6___7___8___9___10

7. Il suo dolore interferisce con la sua possibilità di camminare o correre?Nessun problema Non riesco affatto a

camminare/correre 0___1___2___3___4___5___6___7___8___9___10

8. I suoi guadagni si sono ridotti da quando è iniziato il dolore?Nessuna riduzione delle entrate Ho perso tutti i guadagni

economiche 0___1___2___3___4___5___6___7___8___9___10

9. Ha necessità di assumere tutti i giorni medicine per controllare il dolore?Non ho bisogno di nessuna medicina Prendo farmaci per il

dolore tutti i giorni 0___1___2___3___4___5___6___7___8___9___10

10. Il suo dolore la costringe a farsi visitare dal dottore molto più spesso di prima che comparisse?

Non vado mai dal dottore Vado del dottore ogni settimana

0___1___2___3___4___5___6___7___8___9___10

11. Il suo dolore interferisce con la sua possibilità di stare con le persone a lei care quanto desidera?

Nessun problema Non le vedo mai 0___1___2___3___4___5___6___7___8___9___10

12. Il suo dolore interferisce con le attività del tempo libero e i passatempi a cui lei tiene di più?

Nessuna interferenza Non posso svolgere nessuna di queste attività

0___1___2___3___4___5___6___7___8___9___10

13. Ha bisogno dell’aiuto dei suoi famigliari o dei suoi amici per svolgere le attività di tutti i giorni a causa del suo dolore (incluse le attività fuori casa e i lavori domestici?).

Non ho mai bisogno di aiuto Ho sempre bisogno di aiuto

0___1___2___3___4___5___6___7___8___9___10

14. Si sente adesso più depresso, teso o ansioso rispetto a prima dell’insorgenza

del dolore?Nessuna depressione/tensione Ho una forte

depressione/stato di tensione 0___1___2___3___4___5___6___7___8___9___10

15. Ci sono stati d’animo o problemi emotivi causati dal suo dolore che interferiscono nei suoi rapporti con la sua famiglia, nelle sue relazioni sociali o nella sua attività lavorativa?

Nessun problema Gravi problemi 0___1___2___3___4___5___6___7___8___9___10

PUNTEGGIO TOTALE:

L’esaminatore _______________________________

Altri commenti: __________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

Allegato 4

LA CARTA DI SAN PELLEGRINO

RINGRAZIAMENTI:

Ringrazio la mia relatrice, professoressa Giovanni Amaducci e la mia

correlatrice, Giorgi Valentina, per la pazienza, l'impegno e il prezioso aiuto che mi

hanno saputo dare durante la stesura del mio elaborato di tesi.

Le ringrazio per avermi dato coraggio e fiducia, guidandomi con attenzione nei

piccoli e grandi ostacoli che ho dovuto affrontare.

Inoltre ringrazio tutta la mia numerosa famiglia, in particolare mia madre e

mio padre, per essermi sempre stati vicini in questi 3 anni e avermi dato l'appoggio e

la forza per continuare, credendo in me e nella scelta che ho intrapreso. Grazie per

avermi dimostrato il vostro affetto nei momenti di gioia ma anche nei momenti di

debolezza.

Alle mie amiche e amici, che sono stati al mio fianco in questo percorso,

supportandomi con l'affetto di cui avevo bisogno,

GRAZIE DI CUORE!

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