RIMEDONNE Elisabetta I Maria Stuarda · che». Sovrappeso, canta allo stesso modo? «Ci provo, ma...

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Il duello La cattolicissima Mary Stuart, regina di Scozia, imprigionata in Inghilterra, viene condannata alla decapitazione da Elisabetta I nel 1587 Interpreta Elisabetta I in «Maria Stuarda». «Il potere — afferma — rende attraenti, ma avvelena ogni rapporto, non sai mai se amano te o quello che rappresenti» Elisabetta I fu regina d’Inghilterra e d’Irlanda dal 1558 al 1603, anno in cui morì. Il suo regno fu segnato da una straordinaria fioritura artistica e culturale La soprano nel ruolo di Maria Stuarda. Dice: «Elisabetta alla sua epoca aveva più potere della Thatcher. Oggi la regina d’Inghilterra non conta granché» M aria contro Elisabetta. Mariella con Anna Caterina. Mentre il cinema con Elizabeth: the Golden Age ci mostra il nuovo capitolo della saga tra la rivale in catene in lotta con Elisabetta I, che dedicò la sua vita alla corona inglese, irrompono sulla scena altre due regine, stavolta acclamate entrambe, senza conflitti né dissensi. Mariella Devia e Anna Caterina Antonacci, regine del canto italiano, si preparano per Maria Stuarda di Donizet- ti lustrata a nuovo da Pier Luigi Pizzi. È solo la seconda volta, dopo Don Giovanni , che si ritrovano in scena l’una al fianco dell’altra. Si stimano, hanno poco in comune co- me stile vocale e ancor meno come temperamento. An- che la vita in questo momento le separa: Mariella, la voce limpidissima, non si è ancora ripresa dal lutto per la perdi- ta del marito, che suonava la tromba all’Orchestra della Rai; ha una figlia di 35 anni che fa l’assistente alla regia alla Rai. Anna Caterina ha un figlio di 7 anni che le scodin- zola accanto anche ora e fa le domande bellissime dei bambini, «mamma, ma la Terra quando si ferma?»; è bel- la, timida come Mariella, e quando canta sprigiona una straordinaria intensità drammatica. La Devia in Italia è esplosa relativamente tardi, nell’86 a Bologna con I Puritani : «Cantavo sempre al Met di New York». Anna ha avuto «una carriera costruita senza exploit particolari, in Francia ho avuto un Berlioz nel 2003 che mi ha portato alla grande notorietà». Mariella quando si alza il sipario soffre di crisi di panico, Anna non le crede: «Esagera, Mariella. Avrà un po’ di pauretta. Ti viene se non ti senti bene». Maria Stuarda , un unico precedente per entrambe: per Mariella a Roma, per Anna fu il debutto assoluto, a Bari nell’88, dopo il concorso «Callas». Due passioni avvicina- no le protagoniste: il belcanto e il cinema. Mariella ama Katherine Hepburn e Grace Kelly, Anna vota Glenda Jack- son proprio come Elisabetta: «Era giusta, superba, algi- da». Appena potranno, vedranno Cate Blanchett nel film su Elisabetta in guerra con l’Invincibile Armata spagnola di Filippo II. Cate Blanchett nel film indossa vestiti esage- rati come architetture barocche, bianchi pizzi puntuti a forma di raggiera, perle e diamanti accecanti... Mariella si diverte quando si maschera in scena: «Certo a volte il pe- so da reggere è eccessivo, ricordo una Elisabetta al castel- lo di Kenilworth , sempre di Donizetti, a Bergamo, raggiun- si il trono in tre passi, di più non potevo. Non te lo dicono mai quanto pesano i costumi, so solo che ci vollero due sarte. Il problema sono gli ornamenti, le sottane, le stec- che». Sovrappeso, canta allo stesso modo? «Ci provo, ma la fatica è doppia». Anna: «Quando un costume è bello me lo porterei a casa, a Parigi feci carte false per un abito mozartiano degli Herman, marito e moglie. I costumi eli- sabettiani sono anche un po’ folli, sapendo a Milano che c’è Pizzi, sarà meraviglioso. Adoro i rossi. Mi piace cam- biare. Il nero no, lo porto sempre nella vita». Tutt’e due si vedono mille miglia lontane dal carattere dei loro personaggi. Donne di potere. Anna: «Il potere ren- de attraenti, ma avvelena ogni rapporto, non sai mai se amano te o quello che rappresenti». Mariella: «Una volta c’era la Thatcher, non suscitava grandi simpatie, esercita- va il potere. Elisabetta alla sua epoca ne aveva di più, era come quello di Bush negli Usa. Oggi la regina Elisabetta non conta granché. Le donne non hanno fatto un passo indietro, una volta si riceveva per una questione eredita- ria. Le donne il potere possono esercitarlo anche nell’am- bito familiare, mica c’è niente di male». Se doveste descri- vere le vostre nobildonne, sulle orme di Schiller, a uno studente che non ne sa nulla? Mariella: «Maria Stuarda è ritratta dal momento in cui viene condannata, dall’incon- tro con Elisabetta a quando viene portata al patibolo. Sof- fre soltanto». Un’eroina-vittima o una che, tramando, se l’è andata a cercare? «Maria è vittima anche di se stessa, perché ha comunque intrigato per rendersi libera. Resta il mistero per cui non sai quanto sia innocente e quanto colpevole». Le suscita compassione? «Oddio, in catene non la si vede mai, la sua prigionia avviene in un bel ca- stello in mezzo al bosco, ora si direbbe che è agli arresti domiciliari». Anna: «Anche la mia Elisabetta ha molto sof- ferto, ma nell’infanzia. È una ex bambina abbandonata, malvoluta come poteva capitare ai piccoli principi, un po’ sgraziata fisicamente, è diventata una ragazza rigida, in- telligente, determinata. Ed è passata come la più grande sovrana che si ricordi nella storia della Gran Bretagna». L’età elisabettiana fu contrassegnata da una splendida fioritura artistica, Shakespeare, Marlowe, Ben Jonson, Bacone. Oggi abbiamo voi, gli interpre- ti, la figura del compositore s’è sbiadita. «C’è una creatività di- versa, supportata dalla tecnolo- gia. Qualche autore del nostro tempo c’è ma io non lo canto, mi sono sposata con le arie lun- ghe di Donizetti». «Io invece — dice Anna — Donizetti lo trovo un po’ fuori moda per la mia sensibilità attuale. Mi sento attratta da Berlioz, Gluck, Cherubini. Quanto alla creatività, è un casino, di bellezza ne vedo poca. È un momento storico dove tutto nell’arte va male e l’opera non fa eccezione. All’estero c’è più at- tenzione alla lirica. In Francia si ama la cultura. E infatti ho scelto di abitarci. Ma sono molto contenta di tornare alla Scala. Cantando molto all’estero, incontri giri diversi, di rado sono amici. A Milano sarà una rimpatriata». «Il mio Trittico unito dalla morte» A NTONACCI E D EVIA: CHE R EGINE Prigioniera e decapitata Anna Caterina Antonacci Potente e illuminata Mariella Devia Sorprendente «La Caballé mi mostrò i soli due gesti che sapeva fare. Eppure...» Maria Stuarda LUCA RONCONI RITORNO A PUCCINI P oche volte il Trittico pucciniano, dal debutto nel dicembre 1918 al Metropolitan di New York, è an- dato in scena nella stessa serata. Alla Scala, dal 6 mar- zo, sarà integrale, con la direzione di Riccardo Chailly e la regia di Luca Ronconi. «Se si chiama Trittico — ragiona divertito Ronconi — va rispettato nella sua in- tegrità, pur essendo composto di tre opere complete, di un’ora soltanto ciascuna. Ma complete. E comple- mentari, con alcune costanti tra loro». Come tra le figure delle pale sacre, tra gli elementi del Trittico pucciniano vi è corrispondenza, all’inter- no di un disegno complessivo. «Quando si può trac- ciarne la geometria, vuol dire che un’opera non è de- scrittiva o legata a un ambiente, non è un quadretto di genere, ma è libera e dunque si può legare ad altre, in una continuità nella differenza. Questo nel Trittico pucciniano accade. Mi è sembrato interessante». La regia teatrale ha trasformato i cantanti, li ha resi vivi, credibili, meno melodrammatici. «Il teatro in mu- sica ha un equilibrio difficile. Bisogna curare l’attendi- bilità del personaggio, ma nell’interpretazione il can- tante non può misurarsi con l’attore del teatro di paro- la; la sua è una ricerca di economia di atteggiamenti, più che di gesti. Con il cantante devi lavorare nell’am- piezza delle sue possibilità: Montserrat Caballé, cara amica e grande artista, mi mostrò i soli due gesti che sapeva fare, eppure... Inoltre, l’attendibilità non si può ottenere attraverso una riproduzione, un’imita- zione della realtà: l’opera è davvero un altro mondo». Con la distanza affascinata dell’esteta, Luca Ronco- ni guarda al Tabarro, a Suor Angelica, a Gianni Schic- chi. «A legare i tre personaggi non è l’epoca, che ogni volta cambia, all’indietro. A legarli è il tema della mor- te». Che si attua, per così dire, in tre modi: nel Tabar- ro, di genere drammatico, c’è un delitto; in Suor Ange- lica, genere patetico, un suicidio; nel Gianni Schicchi, comico, un decesso naturale. «Diverso è il modo dei personaggi di rapportarsi all’evento comune, umano, della morte. Diverso è anche il "colore" delle tre ope- re — crepuscolo/tramonto; luce abbagliante che sem- bra guidare l’azione fin dall’inizio come una retta; ca- rattere fiorentino — così come variano le conseguen- ze del loro gesto su chi resta vivo. Come dice il prover- bio: il morto tace e il vivo si dà pace? — ironizza Ron- coni —. E, causa della tragedia o da essa in qualche modo beneficiata, è puccinianamente una donna: nel Tabarro, Giorgetta si attira i guai; in Suor Angelica vi- ta e morte s’incontrano; nello Schicchi, la dipartita di ser Buoso aiuta Lauretta a sposare Rinuccio». Atteggiamenti privati verso un fatto «pubblico», tan- to più comune in quegli anni della Grande guerra del- la quale, tuttavia, nel Trittico non vi è eco. «Chi non l’ha vissuta non lo sa, ma durante la guerra la vita con- tinua, vuol sentirsi addirittura "leggera" . I Pierre Bezu- chov che vanno in giro per i campi di battaglia sono di Tolstoj». Era più sensibile, forse, Puccini a «guerre» letterarie... «Dal punto di vista drammaturgico, natu- ralmente (quello musicale non mi compete), credo che gli autori che lo ispirarono, e cioè i Balasco, i Sar- dou, l’Abbé Prévost, siano assai distanti dai grandi che tra la fine dell’800 e i primi del ’900 scrissero per il teatro, Cechov, Ibsen, Maeterlinck. Se poi pensiamo alla musica, al Wozzeck di Berg da Büchner...». Insom- ma, Puccini non è un rivoluzionario. «Neppure forse aggiornato. Puccini è al posto suo: molto schietto, nul- la di filisteo, non cerca titoli di nobiltà; un occhio al mercato musicale, che non guasta, e un volgarizzato- re della prima ora. E la sua Fanciulla del West antici- pa il musical». P RIMEDONNE Faccia a faccia per Donizetti Una è Elisabetta I, l’altra Maria Stuarda nell’omonima opera del compositore bergamasco: così due star del belcanto si identificano nei loro personaggi Elisabetta I DI CLAUDIA PROVVEDINI DI VALERIO CAPPELLI 18 Eventi Scala Venerdì 7 Dicembre 2007 Corriere della Sera

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  • Il duello

    La cattolicissima Mary Stuart, regina di Scozia,imprigionata in Inghilterra, viene condannataalla decapitazione da Elisabetta I nel 1587

    Interpreta Elisabetta I in «Maria Stuarda». «Il potere —afferma — rende attraenti, ma avvelena ogni rapporto,non sai mai se amano te o quello che rappresenti»

    Elisabetta I fu regina d’Inghilterra e d’Irlanda dal 1558al 1603, anno in cui morì. Il suo regno fu segnatoda una straordinaria fioritura artistica e culturale

    La soprano nel ruolo di Maria Stuarda. Dice: «Elisabettaalla sua epoca aveva più potere della Thatcher. Oggila regina d’Inghilterra non conta granché»

    M aria contro Elisabetta. Mariella con Anna Caterina.Mentre il cinema con Elizabeth: the Golden Age cimostra il nuovo capitolo della saga tra la rivale in catenein lotta con Elisabetta I, che dedicò la sua vita alla coronainglese, irrompono sulla scena altre due regine, stavoltaacclamate entrambe, senza conflitti né dissensi.

    Mariella Devia e Anna Caterina Antonacci, regine delcanto italiano, si preparano per Maria Stuarda di Donizet-ti lustrata a nuovo da Pier Luigi Pizzi. È solo la secondavolta, dopo Don Giovanni , che si ritrovano in scena l’unaal fianco dell’altra. Si stimano, hanno poco in comune co-me stile vocale e ancor meno come temperamento. An-che la vita in questo momento le separa: Mariella, la vocelimpidissima, non si è ancora ripresa dal lutto per la perdi-ta del marito, che suonava la tromba all’Orchestra dellaRai; ha una figlia di 35 anni che fa l’assistente alla regiaalla Rai. Anna Caterina ha un figlio di 7 anni che le scodin-zola accanto anche ora e fa le domande bellissime deibambini, «mamma, ma la Terra quando si ferma?»; è bel-la, timida come Mariella, e quando canta sprigiona unastraordinaria intensità drammatica.

    La Devia in Italia è esplosa relativamente tardi, nell’86a Bologna con I Puritani : «Cantavo sempre al Met di NewYork». Anna ha avuto «una carriera costruita senzaexploit particolari, in Francia ho avuto un Berlioz nel2003 che mi ha portato alla grande notorietà». Mariellaquando si alza il sipario soffre di crisi di panico, Annanon le crede: «Esagera, Mariella. Avrà un po’ di pauretta.Ti viene se non ti senti bene».

    Maria Stuarda , un unico precedente per entrambe: perMariella a Roma, per Anna fu il debutto assoluto, a Barinell’88, dopo il concorso «Callas». Due passioni avvicina-no le protagoniste: il belcanto e il cinema. Mariella amaKatherine Hepburn e Grace Kelly, Anna vota Glenda Jack-son proprio come Elisabetta: «Era giusta, superba, algi-da». Appena potranno, vedranno Cate Blanchett nel filmsu Elisabetta in guerra con l’Invincibile Armata spagnoladi Filippo II. Cate Blanchett nel film indossa vestiti esage-rati come architetture barocche, bianchi pizzi puntuti aforma di raggiera, perle e diamanti accecanti... Mariella sidiverte quando si maschera in scena: «Certo a volte il pe-so da reggere è eccessivo, ricordo una Elisabetta al castel-lo di Kenilworth , sempre di Donizetti, a Bergamo, raggiun-si il trono in tre passi, di più non potevo. Non te lo diconomai quanto pesano i costumi, so solo che ci vollero duesarte. Il problema sono gli ornamenti, le sottane, le stec-che». Sovrappeso, canta allo stesso modo? «Ci provo, mala fatica è doppia». Anna: «Quando un costume è bellome lo porterei a casa, a Parigi feci carte false per un abitomozartiano degli Herman, marito e moglie. I costumi eli-sabettiani sono anche un po’ folli, sapendo a Milano chec’è Pizzi, sarà meraviglioso. Adoro i rossi. Mi piace cam-biare. Il nero no, lo porto sempre nella vita».

    Tutt’e due si vedono mille miglia lontane dal carattere

    dei loro personaggi. Donne di potere. Anna: «Il potere ren-de attraenti, ma avvelena ogni rapporto, non sai mai seamano te o quello che rappresenti». Mariella: «Una voltac’era la Thatcher, non suscitava grandi simpatie, esercita-va il potere. Elisabetta alla sua epoca ne aveva di più, eracome quello di Bush negli Usa. Oggi la regina Elisabettanon conta granché. Le donne non hanno fatto un passoindietro, una volta si riceveva per una questione eredita-ria. Le donne il potere possono esercitarlo anche nell’am-bito familiare, mica c’è niente di male». Se doveste descri-vere le vostre nobildonne, sulle orme di Schiller, a unostudente che non ne sa nulla? Mariella: «Maria Stuarda èritratta dal momento in cui viene condannata, dall’incon-tro con Elisabetta a quando viene portata al patibolo. Sof-fre soltanto». Un’eroina-vittima o una che, tramando, sel’è andata a cercare? «Maria è vittima anche di se stessa,perché ha comunque intrigato per rendersi libera. Restail mistero per cui non sai quanto sia innocente e quantocolpevole». Le suscita compassione? «Oddio, in catenenon la si vede mai, la sua prigionia avviene in un bel ca-

    stello in mezzo al bosco, ora si direbbe che è agli arrestidomiciliari». Anna: «Anche la mia Elisabetta ha molto sof-ferto, ma nell’infanzia. È una ex bambina abbandonata,malvoluta come poteva capitare ai piccoli principi, un po’sgraziata fisicamente, è diventata una ragazza rigida, in-telligente, determinata. Ed è passata come la più grandesovrana che si ricordi nella storia della Gran Bretagna».

    L’età elisabettiana fu contrassegnata da una splendida

    fioritura artistica, Shakespeare,Marlowe, Ben Jonson, Bacone.Oggi abbiamo voi, gli interpre-ti, la figura del compositore s’èsbiadita. «C’è una creatività di-versa, supportata dalla tecnolo-gia. Qualche autore del nostrotempo c’è ma io non lo canto,mi sono sposata con le arie lun-ghe di Donizetti». «Io invece —dice Anna — Donizetti lo trovoun po’ fuori moda per la mia

    sensibilità attuale. Mi sento attratta da Berlioz, Gluck,Cherubini. Quanto alla creatività, è un casino, di bellezzane vedo poca. È un momento storico dove tutto nell’arteva male e l’opera non fa eccezione. All’estero c’è più at-tenzione alla lirica. In Francia si ama la cultura. E infattiho scelto di abitarci. Ma sono molto contenta di tornarealla Scala. Cantando molto all’estero, incontri giri diversi,di rado sono amici. A Milano sarà una rimpatriata».

    «Il mio Trittico unito dalla morte»

    ANTONACCIE DEVIA:

    CHE REGINE

    Prigioniera e decapitata

    Anna Caterina Antonacci

    Potente e illuminata

    Mariella Devia

    Sorprendente

    «La Caballé mi mostrò

    i soli due gesti che

    sapeva fare. Eppure...»

    Maria Stuarda

    LUCA RONCONI RITORNO A PUCCINI

    P oche volte il Trittico pucciniano, dal debutto neldicembre 1918 al Metropolitan di New York, è an-dato in scena nella stessa serata. Alla Scala, dal 6 mar-zo, sarà integrale, con la direzione di Riccardo Chaillye la regia di Luca Ronconi. «Se si chiama Trittico —ragiona divertito Ronconi — va rispettato nella sua in-tegrità, pur essendo composto di tre opere complete,di un’ora soltanto ciascuna. Ma complete. E comple-mentari, con alcune costanti tra loro».

    Come tra le figure delle pale sacre, tra gli elementidel Trittico pucciniano vi è corrispondenza, all’inter-no di un disegno complessivo. «Quando si può trac-ciarne la geometria, vuol dire che un’opera non è de-scrittiva o legata a un ambiente, non è un quadrettodi genere, ma è libera e dunque si può legare ad altre,in una continuità nella differenza. Questo nel Tritticopucciniano accade. Mi è sembrato interessante».

    La regia teatrale ha trasformato i cantanti, li ha resivivi, credibili, meno melodrammatici. «Il teatro in mu-sica ha un equilibrio difficile. Bisogna curare l’attendi-bilità del personaggio, ma nell’interpretazione il can-tante non può misurarsi con l’attore del teatro di paro-la; la sua è una ricerca di economia di atteggiamenti,più che di gesti. Con il cantante devi lavorare nell’am-piezza delle sue possibilità: Montserrat Caballé, cara

    amica e grande artista, mi mostrò i soli due gesti chesapeva fare, eppure... Inoltre, l’attendibilità non sipuò ottenere attraverso una riproduzione, un’imita-zione della realtà: l’opera è davvero un altro mondo».

    Con la distanza affascinata dell’esteta, Luca Ronco-ni guarda al Tabarro, a Suor Angelica, a Gianni Schic-chi. «A legare i tre personaggi non è l’epoca, che ognivolta cambia, all’indietro. A legarli è il tema della mor-te». Che si attua, per così dire, in tre modi: nel Tabar-ro, di genere drammatico, c’è un delitto; in Suor Ange-lica, genere patetico, un suicidio; nel Gianni Schicchi,comico, un decesso naturale. «Diverso è il modo deipersonaggi di rapportarsi all’evento comune, umano,della morte. Diverso è anche il "colore" delle tre ope-re — crepuscolo/tramonto; luce abbagliante che sem-bra guidare l’azione fin dall’inizio come una retta; ca-

    rattere fiorentino — così come variano le conseguen-ze del loro gesto su chi resta vivo. Come dice il prover-bio: il morto tace e il vivo si dà pace? — ironizza Ron-coni —. E, causa della tragedia o da essa in qualchemodo beneficiata, è puccinianamente una donna: nelTabarro, Giorgetta si attira i guai; in Suor Angelica vi-ta e morte s’incontrano; nello Schicchi, la dipartita diser Buoso aiuta Lauretta a sposare Rinuccio».

    Atteggiamenti privati verso un fatto «pubblico», tan-to più comune in quegli anni della Grande guerra del-la quale, tuttavia, nel Trittico non vi è eco. «Chi nonl’ha vissuta non lo sa, ma durante la guerra la vita con-tinua, vuol sentirsi addirittura "leggera" . I Pierre Bezu-chov che vanno in giro per i campi di battaglia sonodi Tolstoj». Era più sensibile, forse, Puccini a «guerre»letterarie... «Dal punto di vista drammaturgico, natu-ralmente (quello musicale non mi compete), credoche gli autori che lo ispirarono, e cioè i Balasco, i Sar-dou, l’Abbé Prévost, siano assai distanti dai grandiche tra la fine dell’800 e i primi del ’900 scrissero per ilteatro, Cechov, Ibsen, Maeterlinck. Se poi pensiamoalla musica, al Wozzeck di Berg da Büchner...». Insom-ma, Puccini non è un rivoluzionario. «Neppure forseaggiornato. Puccini è al posto suo: molto schietto, nul-la di filisteo, non cerca titoli di nobiltà; un occhio almercato musicale, che non guasta, e un volgarizzato-re della prima ora. E la sua Fanciulla del West antici-pa il musical».

    P R I M E D O N N E

    Faccia a faccia per Donizetti

    Una è Elisabetta I, l’altra Maria Stuarda nell’omonima

    opera del compositore bergamasco: così due star

    del belcanto si identificano nei loro personaggi

    Elisabetta I

    D I C L A U D I A P R O V V E D I N I

    D I V A L E R I O C A P P E L L I

    18 Eventi Scala Venerdì 7 Dicembre 2007 Corriere della Sera

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