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1 UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DELL’INSUBRIA Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali Dottorato di ricerca in Scienze Ambientali XXIV ciclo Qualità Ambientale e Rischio Chimico Rilevanza dei determinanti ambientali nella definizione degli scenari espositivi in ambito REACH Dott. Nicola Tecce Tutor: Prof. Domenico Maria Cavallo

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DELL’INSUBRIA

Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali

Dottorato di ricerca in Scienze Ambientali XXIV ciclo

Qualità Ambientale e Rischio Chimico

Rilevanza dei determinanti ambientali nella definizione

degli scenari espositivi in ambito REACH

Dott. Nicola Tecce

Tutor: Prof. Domenico Maria Cavallo

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INDICE

1. Analisi del regolamento REACH e delle applicazioni nella realtà industriale

pag. 4

1.1 Valutazione della sicurezza chimica (CSA) e relazione sulla sicurezza chimica (CSR)

pag. 12

1.1.1 Valutazione dei pericoli per la salute umana

pag. 15

1.1.2 Valutazione dei pericoli che le proprietà fisico-chimiche presentano per la salute umana

pag. 19

1.1.3 Valutazione dei pericoli per l’ambiente

pag. 20

1.1.4 Valutazione PBT e vPvB

pag. 21

1.2 Analisi dei determinanti ambientali nella definizione degli scenari di esposizione

pag. 25

1.2.1 Elaborazione di scenari di esposizione secondo il regolamento REACH

pag. 29

1.2.2 I descrittori d’uso nella costruzione degli scenari di esposizione

pag. 34

2. Valutazione del rischio derivato dall’esposizione a prodotti di combustione di candele profumate e differente matrice paraffinica

pag. 44

2.1 Strategia di indagine e approccio metodologico

pag. 45

2.2 Analisi tossicologica dei principali inquinanti indagati

pag. 50

2.2.1 Formaldeide

pag. 50

2.2.2 Acroleina

pag. 54

2.2.3 Acetaldeide

pag. 57

2.2.4 Particolato atmosferico

pag. 60

2.2.5 Diossido di azoto

pag. 62

2.2.6 Diossido di zolfo

pag. 66

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2.2.7 Benzo(a)pirene pag. 69

2.2.8 Naftalene

pag. 72

2.3 Risultati e discussioni

pag. 75

2.4 Valutazione conclusive

pag. 88

3. Valutazione dell’esposizione occupazionale nei saloni di bellezza californiani

pag. 90

3.1 Background

pag. 91

3.2 Materiali e metodi

pag. 92

3.3 Risultati delle campagne di monitoraggio

pag. 89

3.3 Valutazioni conclusive

pag.102

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1. Analisi del regolamento REACH e delle applicazioni nella realtà industriale

Il regolamento n. 1907/2006 del Parlamento Europeo e del Consiglio (approvato il 18/12/06) pubblicato il 31/12/06 sulla Gazzetta Europea e entrato in vigore il 01/06/07, concernente la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (Registration, Evaluation and Authorization of Chemicals), ha istituito un’Agenzia europea per le sostanze chimiche a Helsinki (European Chemical Agency) e sostituito in totale 40 strumenti legislativi precedentemente in vigore.

Il presente regolamento ha lo scopo primario di assicurare un elevato livello di protezione della salute umana e dell'ambiente, inclusa la promozione di metodi alternativi per la valutazione dei pericoli che le sostanze comportano, nonché la libera circolazione di sostanze nel mercato interno rafforzando nel contempo la competitività e l'innovazione.

Quattro sono i principi chiave su cui è fondato il regolamento REACH: precauzione, obbligo di diligenza, sostituzione e onere della prova. A livello europeo il principio di precauzione (Dichiarazione di Rio del 1992) è stato ufficialmente adottato come uno strumento di decisione nell'ambito della gestione del rischio in campo di salute umana, animale e ambientale e viene definito come una strategia preventiva di gestione del rischio nei casi in cui siano evidenziate indicazioni di effetti negativi, ma i dati disponibili non consentano una certezza scientifica del rischio.

Stando all’obbligo di diligenza invece l’industria deve fabbricare le sostanze, importarle, usarle o immetterle sul mercato con tutta la responsabilità e la cura necessarie a garantire che, in condizioni ragionevolmente prevedibili, non ne derivino danni alla salute umana e all’ambiente. Inoltre, tutte le informazioni disponibili e pertinenti sulle sostanze devono essere obbligatoriamente raccolte (individuazione di proprietà pericolose) e devono essere sistematicamente trasmesse lungo la catena di approvvigionamento le raccomandazioni sulle misure di gestione (incluso la documentazione dei rischi derivanti dalla produzione, dall’uso e dallo smaltimento di ogni sostanza).

Con il principio di sostituzione viene stabilita l’importanza dell’uso di sostanze alternative, meno pericolose per l’ambiente e per l’uomo. Attraverso l’applicazione di tale principio, il regolamento REACH assicura che i rischi presentati dalle sostanze estremamente problematiche siano adeguatamente controllati e che le sostanze stesse siano progressivamente sostituite da altre meno pericolose, ove queste siano tecnicamente ed economicamente disponibili e valide. A tal fine, tutti i fabbricanti, importatori e utilizzatori a valle devono analizzare la disponibilità di alternative, considerando i rischi ed esaminando la fattibilità tecnica ed economica di una sostituzione.

Infine l’ultimo principio è quello dell’inversione dell’onere della prova relativo alla sicurezza delle sostanze chimiche, che è stato trasferito per la prima volta dalle Autorità Pubbliche all’Industria. In pratica, sono i produttori o gli importatori che dovranno

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documentare all’Agenzia Europea delle Sostanze Chimiche (tramite la Registrazione) la possibilità di un uso sicuro delle sostanze, nei processi produttivi come nei prodotti di consumo, dimostrando che la commercializzazione dei prodotti chimici utilizzati può avvenire senza pericoli per la salute umana e l’ambiente.

Con l’entrata in vigore del regolamento REACH tutte le sostanze, in quanto tali o in quanto componenti di un preparato o di un articolo, non sono fabbricate nella Comunità europea o immesse sul mercato (importate) a meno che non siano state prima registrate all’agenzia (Art.1: ”No data, no market”). La stessa agenzia, in base a una valutazione dei rischi, potrà decidere di autorizzare o imporre divieti totali/parziali (o altre restrizioni specifiche) alla fabbricazione, all’immissione sul mercato e all’uso delle sostanze.

L’efficace comunicazione delle informazioni sui rischi chimici e sul modo di gestirli, la trasmissione comune dei dati e la condivisione dell’informazione sulle sostanze è parte essenziale del sistema istituito dal presente regolamento al fine di accrescere l’efficacia del sistema di registrazione, ridurre i costi e ridurre le sperimentazioni sugli animali vertebrati (utilizzo di metodi alternativi ai test, come ad esempio: modelli matematici su relazioni qualitative/quantitative struttura-attività QSAR; relazioni tra sostanze strutturalmente affini “Read-across”; appropriate metodologie in vitro; metodologie basate sulla tossico genomica; studi epidemiologici e altre metodologie pertinenti).

Il regolamento REACH, applicato a tutte le sostanze in quanto tali o in quanto componenti di un preparato o di un articolo fabbricate nella Comunità europea o immesse sul mercato, presenta alcune tipologie di esenzione dall’applicazione di determinati titoli del regolamento.

Di seguito vengono descritte le diverse sezioni raggruppate per categoria: Sostanze già regolamentate

All’interno di questa sezione sono presenti tutte le sostanze soggette a diverse leggi già in vigore: le sostanze radioattive che rientrano nell'ambito d'applicazione della direttiva 96/29/Euratom del Consiglio, del 13 maggio 1996 contro i pericoli derivanti dalle radiazioni ionizzanti; le sostanze utilizzate in medicinali per uso umano o veterinario che rientrano nell'ambito d'applicazione del regolamento (CE) n. 726/2004, della direttiva 2001/82/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 novembre 2001; le sostanze utilizzate in alimenti e alimenti per animali a norma del regolamento (CE) n. 178/2002; le sostanze utilizzate come additivi in prodotti alimentari che rientrano nell'ambito d'applicazione della direttiva 89/107/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1988; i prodotti cosmetici come definiti nella direttiva 76/768/CEE. Sono escluse infine dall’applicazione dei titoli II, V, VI, VII quelle sostanze che vengono utilizzate in medicinali per uso umano o veterinario che rientrano nell’ambito d’applicazione del regolamento (CE) n.726/2004, della direttiva 2001/82/CE.

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Sostanze rientranti nell’allegato IV e V

All’interno dell’allegato IV è redatto un elenco delle sostanze esentate dall’obbligo di registrazione in quanto la disponibilità di dati su tali sostanze è sufficiente per considerarle in grado di comportare un rischio minimo a causa delle loro proprietà intrinseche (ad esempio: glucosio, ac palmitico, ac. stearico, saccarosio, vitamina A, amido, ecc.). Nell’allegato V vengono invece elencate quelle sostanze escluse dall’obbligo di registrazione in quanto la registrazione stessa è considerata non opportuna o non necessaria per tali sostanze e la loro esenzione da detti titoli non pregiudica gli obbiettivi perseguiti dal presente regolamento (ad esempio: sostanze risultanti da una reazione chimica che si produca in connessione con l'esposizione di un'altra sostanza o di un altro articolo a fattori ambientali quali aria, umidità, organismi microbici o luce naturale; le sostanze presenti in natura, se non sono chimicamente modificate, come: minerali, minerali metallici, concentrati di minerali metallici, clinker/cemento, gas naturale, gas di petrolio liquefatto, condensato di gas naturale, gas del processo e relativi componenti, petrolio greggio, carbone, coke; ecc.).

Sostanze R & D (Research & Development)

Il regolamento dispone l’esenzione per 5 o 10 anni dall’obbligo generale di registrazione per le sostanze utilizzate per le attività di ricerca e sviluppo orientate ai prodotti e ai processi. Questa fondamentale esenzione è stata attuata con l’obbiettivo di favorire l’innovazione e lo sviluppo. Sostanze intermedie

Il regolamento REACH non si applica alle sostanze intermedie non isolate e presenta delle particolari limitazioni per le sostanze intermedie isolate in sito e isolate trasportate. Per sostanza intermedia si intende una sostanza fabbricata, consumata o utilizzata per essere trasformata, mediante un processo chimico, in un’altra sostanza (processo di sintesi). Le sostanze intermedie vengono a loro volta suddivise in base alle metodologie di lavorazione, in sostanze intermedie non isolate, sostanze intermedie isolate in sito, e sostanze intermedie isolate e trasportate. Le prime sono quelle sostanze intermedie che durante la sintesi non sono intenzionalmente rimosse (tranne che per il prelievo di campioni) dalle apparecchiature in cui la sintesi ha luogo. Tali apparecchiature comprendono il recipiente di reazione con i suoi accessori e le apparecchiature attraverso cui le sostanze passano durante un processo a flusso continuo, nonché le tubazioni mediante cui le sostanze sono trasferite da un recipiente ad un altro in cui si produce la fase successiva della reazione. Le sostanze intermedie isolate in sito sono sostanze destinate ad essere chimicamente trasformate in una fase successiva, vengono temporaneamente rimosse dal reattore in cui si originano, stoccate all’interno del sito produttivo, o trasferite in altro reattore dello stesso sito per il proseguimento della sintesi. Infine le sostanze intermedie isolate e trasportate sono quelle sostanze definite intermedie perché destinate ad essere ulteriormente trasformate e quindi non più presenti tal quali nell’ambiente, ma sono trasportate tra altri siti o fornite ad altri siti. Il regolamento prevede delle limitazioni all’applicazione su questi ultimi solo nel caso in cui l’intero ciclo di vita della sostanza

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intermedia isolata/trasportata (produzione, trasporto, stoccaggio, utilizzo, smaltimento) avvenga in condizioni rigidamente controllate. Polimeri

Le disposizioni dei titoli II e VI del regolamento REACH non vengono applicate ai polimeri. I produttori/importatori o utilizzatori a valle di polimeri non hanno quindi l’obbligo di registrare e valutare la sicurezza chimica del polimero tranne nei casi in cui il polimero ricada nelle condizioni di autorizzazione obbligatoria da parte dell’agenzia. Per quanto riguarda i monomeri e le altre sostanze contenute nel polimero sono soggette a

registrazione se presenti nel polimero in concentrazione ≥ 2%, e se sono state prodotte o

importate in quantità ≥ 1 t/anno. Rifiuti e sostanze soggette a controllo doganale

Fanno parte di questa ultima categoria di sostanze esentate dagli obblighi imposti dal regolamento REACH i rifiuti, quali definiti nella direttiva 2006/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (che secondo il presente regolamento non sono considerati né sostanze, né preparati, né articoli) e le sostanze in quanto tali o in quanto componenti di preparati o articoli, che sono assoggettate a controllo doganale, purché non siano sottoposte ad alcun trattamento o ad alcuna trasformazione e che siano in deposito temporaneo o in zona franca o in deposito franco in vista di una riesportazione, oppure in transito. Qualsiasi sostanza prodotta/importata (in quanto tale o componente di un preparato) o rilasciata intenzionalmente da un articolo in condizioni d’uso normali o ragionevolmente prevedibili in quantità pari o superiore ad 1 t/anno non potrà essere fabbricata o immessa sul mercato se non nel rispetto di tutte le disposizioni previste dal regolamento REACH che si sostanziano nella registrazione e nella autorizzazione. Con l’entrata in vigore del regolamento, dal 01/06/07, per la durata di un anno, è stata data la possibilità alle aziende produttrici e importatrici di verificare e analizzare i documenti in possesso sulle sostanze chimiche utilizzate, per una sorta di preparazione alla fase di registrazione all’Agenzia che è iniziata difatti dal 01/06/08. Gli importatori/produttori di sostanze in regime transitorio (“phase in”) hanno però avuto accesso a una fase di pre-registrazione che ha permesso di beneficiare di un secondo intervallo di tempo (periodo di transizione) utile a completare le attività necessarie alla fase di registrazione. Il periodo di transizione assegnato dall’agenzia varia a seconda dei casi da tre anni e mezzo, a sei o undici anni, in base alle quantità prodotte/importate e alle caratteristiche delle sostanze (vedi tabella 1 Termine per la registrazione delle sostanze).

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Tabella 1. Termine per la registrazione delle sostanze secondo il regolamento REACH

N°gruppo Sostanze/Volumi Scadenza

1 CMR 1,2 1 (≥ 1 t/a) N, R50-53 2 (≥ 100 t/a)

01/12/2010

2 ≥ 1000 t/a

01/06/2013 ≥ 100 t/a

3 ≥ 1 t/a 01/06/2018

Rientrano nella categoria “phase in” quelle sostanze che soddisfano almeno una delle seguenti condizioni:

- sono comprese nell'inventario europeo delle sostanze chimiche esistenti a carattere commerciale (EINECS3); - sono state fabbricate nella Comunità o nei paesi che hanno aderito all'Unione europea il 1° gennaio 1995 o il 1° maggio 2004, ma non immesse sul mercato dal fabbricante o dall'importatore, almeno una volta nei quindici anni precedenti l'entrata in vigore del presente regolamento; - sono state immesse sul mercato nella Comunità o nei paesi che hanno aderito all'Unione europea il 1° gennaio 1995 o il 1° maggio 2004 prima dell'entrata in vigore del presente regolamento dal fabbricante o dall'importatore e sono state considerata notificate a norma della direttiva 67/548/CEE, ma non corrispondono alla definizione di polimero contenuta nel presente regolamento.

Il periodo di pre-registrazione è terminato il 01/12/2008, dopo il quale la European Chemical Agency (ECHA) ha pubblicato la lista completa delle sostanze pre-registrate. Successivamente a tale dead line tutti i dichiaranti che hanno trasmesso all’Agenzia le informazioni relative alla stessa sostanza soggetta a un regime transitorio, hanno la possibilità di partecipare ad un forum: Substance Information Exchange Forum (SIEF4). Lo scopo di tale forum sarà quello di facilitare il processo di registrazione favorendo lo scambio delle informazioni, e uniformare la classificazione e l’etichettatura delle sostanze. Sono state pianificate due differenti strategie nell’ambito di un SIEF in base all’esistenza o meno di studi sulla sostanza correlata:

1 Sostanze cancerogene, mutagene e tossiche per il sistema riproduttivo, categorie 1 e 2 in accordo con alla direttiva 67/548/CEE. 2 Classificato quale altamente tossico per gli organismi acquatici, può provocare a lungo termine effetti negativi per l’ambiente acquatico (frase R50-R53) in accordo alla direttiva 67/548/CEE 3 EINECS = European Inventory of Existing Commercial Chemical Substances; è un codice di registrazione che indica in maniera univoca una sostanza messa in commercio tra il 01/01/71 e il 18/09/81 all’interno dell’Unione Europea. Il registro fu creato dalla direttiva 67/548/EEC riguardante l’etichettatura delle sostanze pericolose. 4 Ogni SIEF sarà operativo fino al 1° giugno 2018.

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- nel caso in cui un dichiarante ha a disposizione degli studi su vertebrati, ha l’obbligo di condividerli fra i partecipanti, venendo ad un accordo che garantisca che i costi inerenti siano suddivisi in modo obiettivo, trasparente e non discriminatorio; - se viceversa nell’ambito del SIEF non è disponibile uno studio e occorrerà svolgerlo ai fini degli obblighi per la registrazione, ne verrà effettuato uno unico, da parte di uno dei partecipanti che agirà per conto degli altri successivamente ad un accordo. Ovviamente i costi per l’elaborazione dello studio verranno suddivisi in parti uguali.

Ogni dichiarante ha consegnato all’Agenzia le seguenti informazioni per accedere alla fase di pre-registrazione:

- nome della sostanza secondo la nomenclatura IUPAC, o altri nomi chimici internazionali; - altri nomi (di solito nome comune, nome commerciale, abbreviazione); - n° EINECS, n° CAS5, se disponibili; - altri codici di identificazione, se disponibili ; - nome del dichiarante potenziale, indirizzo, nome della persona referente; - scadenza prevista per la registrazione; - fascia di tonnellaggio annua prodotta/importata; - sostanza/e che si intende utilizzare per un approccio “Read across” dei dati o per applicare modelli tipo QSAR.

Per quanto riguarda le sostanze definite “non phase in” non è stato stabilito un periodo transitorio e quindi è valido il principio base del regolamento: “No registration - No marketing”. Da giugno 2008 tutte le sostanze “non phase in” stanno venendo registrate secondo il sistema del regolamento REACH.

La registrazione di una sostanza dovrà essere corredata dalla seguente documentazione:

a) un fascicolo tecnico contenente: - l’identità del o dei fabbricanti o importatori; - l’identità della sostanza; - informazioni sulla fabbricazione e sull’uso o sugli usi della sostanza, tali informazioni si riferiscono a tutti gli usi identificati del dichiarante e se opportuno le pertinenti categorie d’uso e d’esposizione (vedi capitolo 2: Valutazione della sicurezza chimica (CSA) e Relazione sulla sicurezza chimica CSR); - la classificazione e l’etichettatura della sostanza;

5 CAS = Chemical Abstract Service ; è un identificativo numerico che individua in maniera univoca un composto chimico. Il Chemical Abstract Service, una divisione dell’American Chemical Society, assegna questi identificativi ad ogni sostanza chimica descritta in letteratura. Attualmente oltre 30 milioni di composti hanno ricevuto un numero CAS e circa 7000 vengono aggiunti ogni giorno.

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- istruzioni sulla sicurezza d’uso della sostanza - sommari di studio o sommari esaurienti di studio laddove richiesto delle informazioni risultanti dall’applicazione degli allegati da VII a XI del regolamento REACH (prescrizioni in materia di informazioni standard da comunicare ai fini della registrazione e della valutazione); - un’indicazione che specifichi se le informazioni trasmesse sono state esaminate da un consulente tecnico che è stato scelto dal fabbricante o dall’importatore e che ha una adeguata esperienza; - proposte di sperimentazioni se del caso; - per sostanze in quantitativi compresi tra 1 e 10 tonnellate, informazioni in merito all’esposizione; - una richiesta nel caso in cui il fabbricante o l’importatore non vogliano che siano rese disponibili su internet le proprie informazioni, corredata dei motivi per cui la pubblicazione di tali informazioni potrebbe danneggiare i loro interessi commerciali o quelli di altre parti interessate. b) Una relazione sulla sicurezza chimica (quando la sostanza è prodotta o importata in quantitativi pari o superiori a 10 tonnellate all’anno; Negli allegati da VII a X del regolamento REACH vengono precisate quali sono le informazioni standard che devono essere comunicate ai fini della registrazione e della valutazione, riferite a determinate fasce di tonnellaggio. Ogni dichiarante per stabilire di quali dati sulla sostanza necessita e degli eventuali studi da compiere deve quindi seguire le prescrizioni relative alla fascia di tonnellaggio a cui appartiene, che rappresenta l’ammontare effettivo della quantità della sostanza prodotta o importata durante un anno, calcolata come media degli ultimi tre anni solari. Le informazioni richieste per ciascun gruppo risultano essere in proporzione ai relativi quantitativi. Per la sezione di tonnellaggio più basso le prescrizioni standard figurano nell’allegato VII e ogni volta che viene raggiunta e superata la successiva soglia dovranno essere aggiunte le prescrizioni enunciate nell’allegato corrispondente (in ordine VIII, IX e X6 ).

Le fasce di tonnellaggio prese in considerazione sono le seguenti:

- ≥ 1 tonnellata/anno - ≥ 10 tonnellate/anno - ≥ 100 tonnellate/anno - ≥ 1000 tonnellate/anno

6 Va considerato congiuntamente anche l’allegato XI che prevede la possibilità di discostarsi dalle informazioni standard degli allegati precedenti in casi debitamente giustificati.

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Dopo l’avvenuta registrazione all’Agenzia il dichiarante sarà tenuto ad aggiornarla senza ritardi ogni qual volta vengano effettuate delle modifiche alla composizione della sostanza, ai quantitativi fabbricati o importati o presenti negli articoli, agli usi identificati; o se nuove informazioni sui rischi che la sostanza presenta per la salute e per l’ambiente siano stati scoperti, tali da modificare la scheda dati di sicurezza o la relazione sulla sicurezza chimica.

L’Autorizzazione è un’altra fase del regolamento REACH ed è indipendente dalla registrazione. L’obbligo di autorizzazione da parte dell’Agenzia è stato fissato solamente per alcune sostanze estremamente problematiche ed ha lo scopo di garantire il buon funzionamento del mercato interno, assicurando nel contempo che i rischi presentati siano adeguatamente controllati e che queste sostanze siano progressivamente sostituite da idonee sostanze o tecnologie alternative, ove queste siano economicamente e tecnicamente valide. A tal fine, tutti i fabbricanti, importatori e utilizzatori a valle che richiedano autorizzazioni analizzano la disponibilità di alternative e ne considerano i rischi ed esaminano la fattibilità tecnica ed economica di una sostituzione.

L’Allegato XVI del regolamento REACH presenta l’elenco delle sostanze soggette ad autorizzazione. Se quindi un fabbricante, importatore o utilizzatore a valle possiederà una sostanza inclusa in questo allegato dovrà astenersi dall’immettere sul mercato tale sostanza destinata ad un determinato uso e dall’utilizzarla egli stesso, senza averne prima richiesto l’autorizzazione. Le sostanze rientranti nell’Allegato XIV rispondono alle seguenti condizioni: - sostanze classificate come cancerogene/mutagene/tossiche per la riproduzione, categoria 1 o 2, a norma della direttiva 67/548/CEE; - sostanze persistenti, bioaccumulabili e tossiche, e molto persistenti e molto bioaccumulabili secondo i criteri dell’Allegato XIII del presente regolamento; - le sostanze come quelle aventi proprietà che perturbano il sistema endocrino. La domanda di autorizzazione di una sostanza, inoltrata all’Agenzia da un fabbricante/importatore e /o utilizzatore a valle, per essere riconosciuta deve essere corredata delle seguenti informazioni: - identità della sostanza e delle persone che inoltrano una domanda; - una richiesta d’autorizzazione, indicante l’uso per i quali l’autorizzazione è richiesta, compreso l’uso della sostanza in preparati e l’incorporazioni in articoli; - salvo qualora sia già stata presentata nell'ambito della registrazione una relazione sulla sicurezza chimica, relativa ai rischi che comporta per la salute umana e per l'ambiente l'uso della sostanze; - un'analisi delle alternative, che prenda in considerazione i rischi che esse comportano e la fattibilità tecnica ed economica di una sostituzione e che comprenda, se del caso, informazioni circa eventuali attività inerenti di ricerca e sviluppo svolte dal richiedente. - un’eventuale analisi socioeconomica.

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La procedura di Autorizzazione prescinde dal limite quantitativo di 1 t/a e non è pertanto legata alla registrazione. L’Autorizzazione verrà rilasciata dalla Commissione europea se il rischio per la salute umana o per l’ambiente che l’uso di una sostanza comporta a motivo delle proprietà intrinseche è adeguatamente controllato in una Valutazione sulla Sicurezza Chimica e documentato nella Relazione sulla Sicurezza Chimica dal richiedente. Nel rilasciare l’autorizzazione, e nelle eventuali condizioni imposte, l’Agenzia terrà conto di tutti gli scarichi, emissioni e perdite, compresi i rischi derivanti dagli usi diffusi o dispersi, noti al momento della decisione. Una volta che l’autorizzazione è stata concessa, i titolari di essa, come pure gli utilizzatori a valle, avranno l’obbligo di indicare il numero dell’autorizzazione sull’etichetta prima di immettere la sostanza sul mercato per un uso autorizzato. Infine ogni sostanza in quanto tale o in quanto componente di un preparato o incorporata in un articolo può essere soggetta ad una restrizione se vi può essere un rischio non adeguatamente controllato. All’interno dell’Allegato XVII del regolamento REACH sono menzionate le sostanze soggette a restrizioni in materia di fabbricazione, immissione sul mercato e uso, insieme alle condizioni specifiche di tali restrizioni. Nuove proposte di restrizioni sono in corso di analisi dagli Stati membri o dall’Agenzia per conto della Commissione sulla base di dossier che dimostrino i rischi esistenti per l’ambiente e per la salute dell’uomo e delineino un set di misure di riduzione del rischio. 1.1 Valutazione della sicurezza chimica (CSA) e relazione sulla sicurezza chimica (CSR)

Con l’entrata in vigore del regolamento REACH è obbligo effettuare una valutazione della sicurezza chimica (Chemical Safety Assessment) e compilare una rispettiva relazione sulla sicurezza chimica (Chemical Safety Report) per tutte le sostanze soggette a registrazione in quantitativi pari o superiori a 10 tonnellate all’anno per dichiarante7 . La relazione sulla sicurezza chimica deve documentare la valutazione della sicurezza chimica effettuata a norma dell’Allegato I del regolamento REACH, per ogni sostanza, in quanto tale o in quanto componente di un preparato o di un articolo, o per un gruppo di sostanze. Essenzialmente una valutazione della sicurezza chimica mette in relazione i pericoli derivati dalle caratteristiche fisico-chimiche di una determinata sostanza con i dati di esposizione della popolazione o dell’ecosistema potenzialmente colpito. L’obiettivo è quello di individuare e stimare, tramite un’attenta analisi, il rischio relativo all’impiego della sostanza e se opportuno agire di conseguenza per la sua riduzione nel caso questo superi i livelli di soglia stabiliti. Di fondamentale importanza in questa fase operativa del regolamento REACH è lo scambio di informazioni tra il produttore/importatore e gli operatori situati a valle nella

7 Sotto le dieci tonnellate all’anno per dichiarante la valutazione della sicurezza chimica non è obbligatoria, la registrazone deve essere corredata delle informazioni standard descritte nell’allegato VI.

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catena di approvvigionamento (imprese utilizzatrici delle sostanze) per una corretta esecuzione della valutazione della sicurezza chimica, e per il conseguente adempimento di tutti gli obblighi imposti dal regolamento. La valutazione della sicurezza chimica più precisamente è basata su un raffronto degli effetti nocivi potenziali di una sostanza con l’esposizione conosciuta o ragionevolmente prevedibile dell’uomo e/o dell’ambiente a tale sostanza, in considerazione delle misure di gestione dei rischi e delle condizioni operative attuate e raccomandate. L’insieme di tali condizioni operative e le misure di gestione dei rischi descrivono il modo in cui una sostanza è fabbricata o utilizzata durante il suo ciclo di vita, e il modo in cui il produttore/importatore controlla e raccomanda agli utilizzatori a valle di controllare l’esposizione delle persone e dell’ambiente. L’insieme di queste informazioni danno origine a quelli che vengono definiti: Scenari di Esposizione (ES = Exposure Scenario). Gli scenari di esposizione vengono realizzati dal produttore/importatore per ogni singola sostanza o preparato durante la valutazione della sicurezza chimica. La conoscenza degli usi della sostanza porta quindi a definire, con relativa affidabilità, l’esposizione umana e ambientale.

Nel regolamento REACH l’insieme degli usi propri da parte del produttore (della sostanza in quanto tale o in quanto componente di un preparato o di un articolo) e gli usi da parte degli attori a valle della catena di approvvigionamento, durante l’intero ciclo di vita della sostanza, vengono contrassegnati con il termine di: “usi identificati8” . Essi devono essere indicati e descritti all’interno di un fascicolo di registrazione e corredati di uno scenario di esposizione.

Il produttore/importatore che assume anche la figura del fornitore, una volta raccolti i dati relativi agli usi identificati e valutata la sicurezza chimica (CSA) tramite l’analisi degli scenari d’esposizione con i pericoli potenziali della sostanza, definisce la presenza o meno del rischio e nel caso in cui il rischio è controllato (tramite le misure di gestione nelle condizioni d’uso) ha l’obbligo di elaborare il report (CSR) da consegnare all’Agenzia per la registrazione e trasmettere agli utenti a valle le informazioni sui rischi per l’utilizzo e il commercio legale della sostanza. Tali informazioni possono essere formalizzate in una scheda di dati di sicurezza (MSDS = Material Safety Data Sheet) che diventa obbligatoria nel suo formato (Allegato II del regolamento REACH) nel caso di sostanze pericolose, ma che è oggi comunque il mezzo più usato per la trasmissione di qualunque informazioni sulle sostanze. Tale scheda di dati di sicurezza costituisce un meccanismo per poter trasmettere le informazioni di sicurezza appropriate sulle sostanze e sui preparati (comprese le informazioni inserite nella relazione sulla sicurezza chimica) all’utilizzatore o

8 All’interno del presente regolamento viene fatto riferimento a degli scenari di esposizione standard precedentemente valutati e codificati nelle rispettive TDG (Technical Guidance Documents) riferiti o comunque correlati alle principali aree industriali (ad esempio: industria Tessili, della carta, delle vernici, del cuoio, ecc.).

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agli utilizzatori situati immediatamente a valle nella catena di approvvigionamento, in modo da fornire una completa informazione sui pericoli e renderne sicuro l’impiego raccomandando l’applicazione delle misure per ridurre i rischi identificati.

D’altra parte la trasmissione al proprio fornitore dell’elenco degli usi della sostanza durante il suo ciclo di vita, è un diritto dell’utilizzatore a valle, al fine di renderli “usi identificati” (analizzati nel CSA e descritti nel CSR e nella scheda dati di sicurezza) e ottenere così la possibilità di adoperare e commercializzare la sostanza nel rispetto del regolamento.

Il livello di dettaglio che deve caratterizzare la descrizione di uno scenario d’esposizione, sopra definito, varia considerevolmente secondo i casi, in funzione dell’uso che è fatto di una sostanza, delle sue caratteristiche di potenziale pericolosità e del volume di informazioni di cui dispone il fabbricante o l’importatore.

Gli scenari di esposizione devono portare a descrivere le misure idonee per la gestione dei rischi per tutti i diversi specifici processi o usi di una sostanza. Uno scenario d’esposizione può di conseguenza coprire una vasta gamma di processi o usi diventando quello che viene definito all’interno del regolamento una: “categorie d’esposizione”.

Da sottolineare è l’esistenza anche di “categorie (o gruppi) di sostanze” le cui proprietà fisico-chimiche, tossicologiche ed eco-tossicologiche sono simili o seguono uno schema regolare data la loro affinità strutturale. Queste categorie di sostanze hanno l’obiettivo di facilitare e alleggerire il carico di lavoro complessivo per la valutazione della sicurezza chimica gravante sul produttore/importatore. Infatti fornendo delle giustificazioni a riguardo il produttore/importatore di una sostanza può utilizzare la valutazione della sicurezza chimica di una sostanza appartenente alla stessa categoria di sostanze della propria, per valutare e documentare che i rischi legati all’utilizzo sono adeguatamente controllati, senza il bisogno di ripetere altri studi.

Un utilizzatore a valle dispone della facoltà di utilizzare una sostanza in modo diverso dagli usi identificati descritti dal produttore/importatore nella registrazione relativa, ma con l’obbligo di preparare a sua volta un CSR che tenga conto dei propri e “nuovi” rischi apportati all’uomo e all’ambiente e di presentarlo all’Agenzia . Tutti gli attori della catena di approvvigionamento, dopo la registrazione della sostanza, devono possedere il pertinente “Chemical Safety Report” (e se del caso la relativa scheda dati di sicurezza) aggiornato e disponibile in caso di controlli da parte delle Autorità nazionali e/o dell’Agenzia.

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Una valutazione della sicurezza chimica effettuata dal fabbricante o dall’importatore di una sostanza comprende le fasi seguenti: 1) valutazione dei pericoli per la salute umana; 2) valutazione dei pericoli che le proprietà fisico-chimiche presentano per la salute umana; 3) valutazione dei pericoli per l’ambiente; 4) valutazione PBT e vPvB; Se con l’analisi dei risultati delle prime 4 fasi il fabbricante o importatore conclude che la sostanza o il preparato risponde ai criteri di classificazione come sostanza pericolosa a norma del nuovo regolamento (CE) n. 1272/2008 o che si tratta di una sostanza PBT o vPvB (Allegato XIII del regolamento REACH), la valutazione della sicurezza chimica deve anche comprendere le ulteriori fasi seguenti:

5) valutazione dell’esposizione: 5.1) creazione di scenari d’esposizione o, se del caso, creazione di pertinenti categorie d’uso e d’esposizione; 5.2) stima dell’esposizione; 6) caratterizzazione dei rischi. Per quanto riguarda effetti particolari, come la riduzione dello strato d’ozono, il potenziale di creazione di ozono fotochimico, forte odore e degradazione per i quali le procedure prima menzionate (punti da 1 a 6) non possono essere applicate, i rischi legati a tali effetti sono valutati caso per caso e il fabbricante o l’importatore include una descrizione e una giustificazione complete delle valutazioni nella relazione sulla sicurezza chimica e le include in sintesi nella scheda di dati di sicurezza. Nella valutazione invece del rischio derivato dall’uso di una o più sostanze incorporate in un preparato speciale (ad esempio le leghe), si tiene conto del modo in cui le sostanze costitutive sono legate nella matrice chimica. Successivamente sono prese in esame tutte le fasi per affrontare una valutazione della sicurezza chimica. 1.1.1 Valutazione dei pericoli per la salute umana

Lo scopo della valutazione dei pericoli per la salute umana è quello di stabilire i livelli di esposizione alla sostanza al di sopra dei quali l’uomo non dovrebbe essere esposto. Questo livello di esposizione è noto come livello derivato senza effetto (DNEL = Derived-No-Effect-Level).

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La valutazione dei pericoli per la salute umana prende in considerazione il profilo tossicocinetico (vale a dire, assorbimento, metabolismo, distruzione ed eliminazione) della sostanza e i seguenti gruppi di effetti: 1) effetti acuti (tossicità acuta, irritazione a pelle, occhi e vie respiratorie e corrosività); 2) sensibilizzazione (a pelle e sistema respiratorio); 3) tossicità a dose ripetuta (effetti cronici); 4) effetti CMR (cancerogenicità, mutagenicità e tossicità per la riproduzione). Sulla base di altre informazioni disponibili altri effetti sono considerati se necessario. La valutazione dei pericoli si articola in 4 fasi principali: 1) raccolta e valutazione di informazioni non sull’uomo; 2) raccolta e valutazione di informazioni sull’uomo; 3) classificazione ed etichettatura; 4) determinazione del DNEL. Nella raccolta e valutazione delle informazioni vengono identificati tutti i dati conosciuti a riguardo dei pericoli connessi con il loro effetto con l’obiettivo di determinare la relazione quantitativa dose (concentrazione) – risposta (effetto). Nella raccolta dei dati e nella presentazione della valutazione sulla sicurezza chimica all’interno del CSR vengono identificate le diverse fonti: test in vitro, in vivo e altre. I risultati dei test (ad esempio DL50, NO(A)EL o LO(A)EL9 ), le condizioni in cui essi sono stati realizzati (ad esempio la durata dei test o la via di somministrazione della dose) e le altre informazioni pertinenti sono presentati in unità di misura riconosciute a livello internazionale per quell’effetto.

Non sempre è possibile determinare la curva che esprime la relazione quantitativa dose – risposta, ad esempio per gli effetti acuti, dove in genere è sufficiente determinare se, e in quale misura, la sostanza ha la capacità intrinseca di produrre l’effetto.

I risultati ottenuti dalle prime due fasi nella valutazione dei pericoli per l’uomo vengono utilizzati per la classificazione e l’etichettature appropriate delle sostanze, sulla base dei criteri enunciati dal nuovo regolamento (CE) n. 1272/2008 relativo alla classificazione, all’etichettatura e all’imballaggio delle sostanze e delle miscele10.

9 DL50 = dose-letal 50% degli individui ; NO(A)EL = No-Observed-(Adverse)-Effect Level ; LO(A)EL = Lowest-Observed-(Adverse)-Effect Level 10 Il regolamento REACH inizialmente non includeva i criteri di classificazione ed etichettatura ma faceva riferimento alla precedente direttiva 67/548/CEE per le sostanze e alla direttiva 1999/45/CE per i preparati. Attualmente è stato affiancato dal nuovo regolamento del Parlamento e del Consiglio definito CLP, basato sul GHS (Globally Harmonized System of Classification and Labelling of Chemicals) che ha cambiato anche gli strumenti di comunicazione del pericolo (nuove tipologie di Schede Di Sicurezza). È entrato in vigore il 20 gennaio 2009 e si applica in tutta l’Unione europea.

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La fase 4 è il fulcro della valutazione dei pericoli per la salute umana ed è realizzata integrando i risultati delle prime tre fasi.

Il DNEL è quello che viene utilizzato dai produttori, importatori e utilizzatori a valle per dimostrare che la produzione, l’importazione e l’uso della sostanza non abbia effetti avversi sulla salute umana e che i rischi siano adeguatamente controllati. Tecnicamente utilizzando il valore del DNEL è possibile dimostrare che l’esposizione identificata per la sostanza sia sotto un sicuro livello di esposizione basato sulla sicurezza e sulla salute (“safe, health-based exposure level”).

La determinazione del DNEL è fondamentale nella valutazione della sicurezza chimica ai fine della protezione della salute umana perché è difatti il punto di partenza per la caratterizzazione del rischio all’interno della valutazione della sicurezza chimica e viene utilizzato anche per la comunicazione dei pericoli legati alle sostanze all’interno della scheda di dati di sicurezza.

Il DNEL è un concetto nuovo nella valutazione del rischio, ed è una sorta di complessivo NO(A)EL per una data esposizione (via d’esposizione, durata e frequenza) e per una data popolazione umana esposta.

La derivazione del DNEL è imposta dal CSA per ogni sostanza prodotta/importata/utilizzata in quantitativi pari o superiori a 10 tonnellate; e per ogni fascia di tonnellaggio il livello minimo di informazioni richieste per la sua derivazione è specificato negli allegati da VII a X e nell’allegato IX del REACH. Mentre nella precedente legge veniva richiesta una valutazione generale della sicurezza e una caratterizzazione del rischio per tutti i relativi effetti tossicologici potenziali per una determinata sostanza, con l’entrata in vigore di tale regolamento si richiede solamente la stima del rischio derivato dagli “usi identificati” della sostanza, evitando così l’esecuzione di studi superflui e molto costosi.

Comunque persino al più basso livello di tonnellaggio i dati indispensabili per la valutazione corretta della sicurezza chimica includono diversi studi che devono permettere la derivazione di una stima quantitativa della dose senza effetti avversi (per esempio un NOAEL su studi di tossicità a dose ripetuta in 28/90 giorni, sulla riproduzione o sullo sviluppo) tali da identificare un successivo DNEL sia pure approssimativo ma precauzionale. Ad ogni fascia superiore di tonnellaggio il più alto numero di informazioni che vengono richieste può influenzare il DNEL (aumentando la precisione e l’accuratezza del risultato), ed è per questo che deve sempre essere riconsiderato. Sulla base del risultato delle fasi 1 e 2, uno o più DNEL sono determinati per la sostanza, in funzione: della via o delle vie d’esposizione più probabili (orale, dermica o per inalazione) e per l’esposizione complessiva da tutte le vie; della durata (breve termine, medio termine, lungo termine) e della frequenza dell’esposizione.

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Può essere anche necessario definire più DNEL per ogni popolazione umana interessata dall’esposizione (ad esempio lavoratori, consumatori e persone che possono subire un’esposizione indiretta attraverso l’ambiente) ed eventualmente per alcune sottopopolazioni vulnerabili (ad esempio bambini, donne incinte, ecc.), per riuscire a definire l'insieme di tutti i pericoli potenziale derivati dall’uso della sostanza. Nell’individuazione del DNEL si tiene conto di alcuni parametri influenti: 1) l’incertezza che deriva dalla variabilità dei dati sperimentali e dalle variazioni nelle e tra le specie; 2) la natura e la gravità dell’effetto; 3) la sensibilità della (sub)popolazione umana a cui si riferiscono le informazioni quantitative e/o qualitative sull’esposizione. Per coprire le variabilità e le incertezze che ci sono nella valutazione di dati sperimentali di effetto rispetto alle reali situazioni di esposizione umana il regolamento stabilisce l’uso obbligatorio dei fattori di valutazione (AF = assessment factor) utili a correggere e ad assumere le giuste precauzioni nel calcolo del DNEL . Ogni fattore di valutazione, con il rispettivo valore di default, deve essere usato in caso di assenza delle relative informazioni sperimentali specifiche sulla sostanza nei rispettivi campi: relazioni inter-specifiche e intra-specifiche, relazioni tra le durate dell’esposizione (estrapolazione di una tossicità sub/semi-cronica da una sub-acuta, cronica da sub/semi-cronica, cronica da sub-acuta), differenti vie d’esposizione (per es. la differente via d’esposizione reale dell’uomo alla sostanza e la via d’esposizione impiegata nel test) e infine le relazioni dose-risposta (es. questioni relative all’affidabilità delle curve dose-risposta, incluso l’estrapolazione LOAEL/NOAEL e la gravità degli effetti). I fattori di valutazione devono essere applicati direttamente sul calcolo del DNEL come indica la formula:

DNEL = N(L)OAEL/Overall AF

Per rispettare il principio di precauzione del regolamento è stabilito che il più basso valore di DNEL calcolato per le diverse vie d’esposizione, effetti e popolazioni è utilizzato per la successiva caratterizzazione del rischio e per la comunicazione a valle della catena d’approvvigionamento .

Per determinati “end point”, specialmente mutagenicità e cancerogenicità, le informazioni disponibili per una sostanza possono non consentire di stabilire una soglia e quindi un preciso DNEL (sostanze definite “no-threshold”). In questo caso viene considerato che persino a un bassissimo livello di esposizione il rischio residuo non può essere escluso e nella valutazione della sicurezza chimica viene utilizzato il valore del DAEL (Derived Acceptable Effect Level) al posto del DNEL.

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Invece per la derivazione del DNEL per tutte le altre sostanze dove può essere stabilito un limite di soglia preciso nella curva dose-risposta (sostanze definite: “threshold”) è proposto dal regolamento un approccio a gradi, il quale sopporta diversi livelli crescenti di approfondimento e specificità, in base alla diversa fascia di tonnellaggio, e quindi di informazioni richieste, nella quale la sostanza è inclusa.

Nell’approccio a gradi il primo step richiede il calcolo del valore DNEL identificato come “simple DNEL”, di facile derivazione, ideale per non esperti nel settore e soprattutto attuabile con bassi costi a favore delle piccole medie imprese. Lo scopo è quello di fornire un primo screening della valutazione dei pericoli potenziali. Il grado 2 richiede uno “standard DNEL”, e nei gradi 3 e 4 sempre più specifici DNEL (vie d’esposizione e periodo d’esposizione specifici) e rispettive differenti tipologie di dati sono pretese.

Nella realtà possono anche capitare alcuni casi di esposizione combinata: vie differenti di esposizione per lo stesso target di popolazione. Per questi casi sono state prodotte delle linee guida che aiutano a valutare i pericoli per la salute umana e il rispettivo rischio chimico combinato. Ad esempio per la classe dei lavoratori spesso si ha un’esposizione cutanea associata anche a un’esposizione per via inalatoria, e il corrispondente DNEL dovrà essere derivato in modo tale da coprire entrambe le vie d’esposizione, in una sorta di esposizione globale (“aggregated internal exposure”).

Infine per quanto riguarda gli effetti sulla salute un DNEL dovrebbe essere calcolato sia sugli effetti sistemici che locali11 .

In due usi finali particolari non è presente l’obbligo nell’ambito della valutazione della sicurezza chimica di considerazione sui rischi per la salute umana:

1) uso in materiali a contatto con prodotti alimentari che rientrano nell’ambito d’applicazione del regolamento CE n° 1935/2004; 2) uso in prodotti cosmetici che rientrano nell’ambito d’applicazione della direttiva 76/768/CEE. 1.1.2 Valutazione dei pericoli che le proprietà fisico-chimiche presentano per la salute umana La valutazione dei pericoli che presentano le proprietà fisico-chimiche ha lo scopo principale di stabilire gli effetti sulla salute umana derivati dall’uso della sostanza. Le informazioni richieste dal regolamento aumentano all’aumentare della fascia di tonnellaggio a cui la sostanza appartiene, anche se difatti già nella fascia più bassa tutte le

11 Per la via d’esposizione per inalazione il DNEL è espresso solamente in mg/m3, perciò non vi è differenza tra gli effetti sistemici e locali; mentre per la via dermica la dose degli effetti locali viene espressa in mg/cm2 e per gli effetti sistemici in mg/giorno o in mg/Kg corpo/giorno, perciò il DNEL può essere derivato per entrambi gli effetti

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proprietà fisico-chimiche intrinseche della sostanza sono misurate. Con le informazioni successive si vuole di fatto ottenere un maggiore livello di approfondimento particolarmente incentrato sul destino ambientale della sostanza.

Le informazioni sulle proprietà fisico-chimiche relative alla valutazione dei pericoli per la salute umana richieste per tutte le sostanze sottoposte a registrazione sotto REACH (Allegato VII del regolamento riferito alle sostanze fabbricate o importate in quantitativi pari o superiori a 1 tonnellata all’anno) sono: stato della sostanza a 20 °C e 101,3 Kpa, punto di fusione/congelamento, punto di ebollizione, densità relativa, pressione di vapore, tensione superficiale, idrosolubilità, coefficiente di ripartizione n-ottanolo/acqua, punto di infiammabilità, infiammabilità, proprietà esplosive, temperatura di autoinfiammabilità, proprietà comburenti e granulometria.

Gli effetti potenzialmente pericolosi che vengono presi in rassegna durante una valutazione della sicurezza chimica di una sostanza sono:

1) Esplosività; 2) Infiammabiltà; 3) Potere ossidante. Per ogni proprietà fisico-chimica è valutata la capacità intrinseca della sostanza di produrre l’effetto, risultante dalla fabbricazione e dagli usi identificati. Tutti i dati usati per la valutazione di ogni proprietà fisico-chimica specifica devono essere presentati nel CSR con i relativi risultati dei test, e le condizioni con le quali i test sono stati eseguiti. Le informazioni ottenute permettono anche di determinare se una sostanza deve essere classificata e etichettata a norma della nuovo regolamento (CE) n. 1272/2008 per le sue proprietà fisico-chimiche pericolose e quali frasi di rischio e sicurezza devono venire applicate.

1.1.3 Valutazione dei pericoli per l’ambiente

L’altro obbiettivo fondamentale della valutazione della sicurezza chimica è quello di determinare i pericoli per l’ambiente con lo scopo di identificare la concentrazione per ogni sostanza al di sotto della quale è prevedibile che non vi siano effetti nocivi per l’ambiente. Questa concentrazione è nota come concentrazione prevedibile priva di effetti (PNEC = Predict-No-Observed Concentration) e viene utilizzata durante la caratterizzazione del rischio per i pericoli legati all’ambiente (vedi paragrafo 3.2.6 “Caratterizzazione dei rischi”).

La valutazione dei pericoli per l’ambiente implica l’esame degli effetti potenziali sull’ambiente, nei comparti: 1_acquatico (sedimenti inclusi), 2_terrestre e 3_atmosferico; compresi gli effetti potenziali che possono prodursi 4_per accumulazione nella catena alimentare (biomagnificazione).

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Inoltre, sono presi in considerazione gli effetti potenziali 5_sull’attività microbiologica dei sistemi di trattamento delle acque reflue.

La valutazione dei pericoli per l’ambiente comporta tre fasi esecutive:

1) Valutazione delle informazioni; 2) Classificazione ed etichettatura; 3) Determinazione della PNEC. La valutazione delle informazioni ha l’obbiettivo di determinare la relazione quantitativa dose (concentrazione) – risposta (effetto) relativa all’esposizione della sostanza da valutare su organismi viventi del sistema ecologico potenzialmente colpito.

I risultati dei test pertinenti effettuati o ricercati in letteratura (ad esempio LC50 o NOEC12), le condizioni in cui essi sono stati realizzati (ad esempio la durata dei test o la via di somministrazione), insieme alle informazioni utilizzate per valutare il destino ambientale (e quindi il comparto ambientale dove la sostanza prevedibilmente andrà a depositarsi in base alle sue caratteristiche fisio-chimiche determinando un’esposizione per gli organismi viventi e esplicando i suoi effetti potenzialmente tossici) e tutte le altre informazioni pertinenti sono presentati nel CSR, e i rispettivi valori devono essere presentati in unità di misura internazionale.

Sulla base delle informazioni disponibili, per ogni settore ambientale è determinata la PNEC, che può essere calcolata applicando un fattore di valutazione appropriato ai risultati dei test di tossicità biologici (ad esempio LC50 o NOEC); effettuando quindi un’estrapolazione da dati di tossicità sugli organismi che popolano un ambiente agli effetti complessivi che possono colpire un dato ecosistema studiato. Questo fattore di valutazione quindi esprime la differenza tra i valori degli effetti derivati per un numero limitato di specie da test di laboratorio e la più generale PNEC per il settore ambientale13 .

Anche in questa valutazione bisogna procedere con molta attenzione all’analisi dei dati per ottenere una concentrazione prevedibile priva di effetti affidabile e il più possibile reale.

12 LC50 = Letal-Concentration sul 50% degli individui ; NOEC = No-Observed-Effect-Concentration. 13 In generale, più la durata delle prove è lunga più i dati sono completi e tanto minori sono il grado d'incertezza e la dimensione del fattore di valutazione. Un fattore di valutazione di 1 000 è di norma applicato al più basso dei tre valori a breve termine L(E)C50 derivati da specie che rappresentano i tre livelli trofici diversi (alghe, Dafnia e pesci) e un fattore 10 al più basso dei tre valori NOEC a lungo termine derivati da specie che rappresentano livelli trofici diversi (alghe, Dafnia e pesci). Questo fa capire come per la definizione della PNEC sia meglio lavorare su studi a lungo termine, “end point” cronici, che rispecchiano meglio le conseguenze all’interno di un ecosistema.

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1.1.4 Valutazione PBT e vPvB La valutazione PBT e vPvB14 ha lo scopo di determinare se la sostanza corrisponde ai criteri enunciati nell’allegato XIII del regolamento REACH, e nel caso in cui essa corrisponda, di caratterizzare le emissioni potenziali di tale sostanza. La valutazione dei pericoli che viene effettuata per le sostanze PBT e vPvB, che prende in considerazione tutti gli effetti a lungo termine e la stima dell’esposizione a lungo termine delle persone e dell’ambiente, è distinta dal resto delle valutazioni che si effettuano per le altre sostanze.

Detta valutazione si divide in due fasi principali:

1) confronto con i criteri dell’allegato XIII; 2) caratterizzazione delle emissioni. I criteri dell’allegato XIII definiscono quando una sostanza rientra nella classificazione di PBT o vPvB. I seguenti criteri espressi in tabella 2 vengono applicati solamente per la valutazione delle sostanze organometalliche e non per le sostanze inorganiche.

I test sulla persistenza sono basati sui fenomeni degradativi biotici (biodegradazione operata da microrganismi, metabolismo operata da organismi superiori) e abiotici (fotodegradazione ad opera della luce, degradazione chimica come l’idrolisi e le reazioni di ossidoriduzione) nei comparti ambientali. Un primo screening sulla biodegradabilità di una sostanza può essere svolto con il test definito “10-day window” (OECD test guidelines N.301 A-F) . Se il risultato è positivo la sostanza è considerata immediatamente facilmente biodegradabile. Tutti gli altri test relativi alla persistenza si rifanno ai test descritti negli OECD test guideline n° 307÷309.

Per bioconcentrazione si intendono i fenomeni di arricchimento, in un organismo vivente, attraverso le stesse superfici che consentono gli scambi di gas respiratori; per bioaccumulo i fenomeni di arricchimento per tutte le vie possibili (contatto, ingestione, oltre che per respirazione), e infine per biomagnificazione i fenomeni per cui si osservano livelli di arricchimento crescenti passando dalla preda al predatore.

Per la valutazione del criterio di bioaccumulabilità di una sostanza la valutazione è basata sui dati misurati relativi alla bioconcentrazione in specie acquatiche. I dati utilizzati possono riguardare specie d’acqua dolce e specie d’acqua di mare.

I fattori di bioconcentrazione, mostrati in tabella 2, indicano se le sostanze organiche sono o meno suscettibili di un elevato arricchimento nelle matrici biologiche, con tutte le implicazioni che da questi fenomeni possono derivare. Nel caso di sostanze che si bioconcentrano attraverso meccanismi di diffusione passiva nei sistemi acquatici, il Kow

14 PBT = Persistency –Bioaccumulative-Toxic; vPvB = very Persistent-very Bioaccumulative.

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(coefficiente di ripartizione di una sostanza tra le due fasi rispettivamente ottanolo e acqua) può essere usato per calcolare il fattore di bioconcentrazione: BCF. E’ stato stabilito che se

una sostanza presenta un logKow > 4,5 è potenzialmente bioaccumulabile negli organismi acquatici.

Per la valutazione della tossicità stabilita con i crtiteri CMR bisogna rifarsi a studi epidemiologici o effettuati per sostenere l’etichettatura secondo le norme del nuovo regolamento (CE) n. 1272/2008. Se la sostanza studiata corrisponde ai criteri PBT o vPvB viene effettuata una caratterizzazione delle emissioni, comprendente gli elementi pertinenti della valutazione dell’esposizione, descritta nel prossimo paragrafo. Il regolamento suggerisce che quando la disponibilità di dati raccolti e le informazioni indicano che la sostanza è un potenziale PBT o vPvB, la valutazione dettagliata deve essere svolta un passo alla volta (“stepwise approach”), iniziando dal criterio di persistenza per poi procedere al bioaccumulo e infine alla tossicità. Questo tipo di approccio è intenzionato principalmente a evitare inutili test sugli animali, e l’esecuzione di studi complessi e lunghi. Difatti, sostanzialmente una sostanza viene definita PBT o vPvB quando adempie a tutti e tre i criteri di classificazione, o al massimo se solamente uno è marginalmente soddisfatto15 .

Nei casi in cui il criterio di persistenza non può essere verificato per l’assenza di dati disponibili derivanti da test condotti in condizioni adeguate, strumenti aggiuntivi possono essere utilizzati per derivare il comportamento nell’ambiente (come appunto il grado di stabilità di una sostanza rispetto a determinati processi di trasformazione degradativi) e quindi gli effetti sugli organismi viventi (come la tossicità) di una sostanza, come ad esempio modelli predittivi validati (QSAR = Quantitative-Structure-Activities-Relationships). Il modello QSAR, ha lo scopo di quantificare, per mezzo di equazioni matematiche, l’effetto prodotto su una struttura biologica da una sostanza (prevedendo la sua tossicità), in funzione delle sue caratteristiche strutturali (forma, dimensione, simmetria, numero e tipo di legami, ecc.) o di proprietà fisico-chimiche (come ad es. per i parametri idrofobici il Kow e per i parametri elettronici il Ka , ecc.), esprimibili anch’esse in termini quantitativi. Invece il modello QSPR è utilizzato per derivare le proprietà fisico-chimiche di una sostanza dalle sua specifica struttura molecolare (utilizzato in alternativa a misure sperimentali). Se test sulla bioconcentrazione di una sostanza su organismi acquatici non sono disponibili, ci si affida ad alternative per la stima del potenziale bioaccumulo basate sul coefficiente di ripartizione ottanolo/acqua (Kow). Una misura del Kow è solitamente già disponibile per molte sostanze “phase-in”, ma nei casi in cui la misura sperimentale sia

15 E’ stato stabilito che se una sostanza soddisfa i criteri di persistenza e bioaccumulo soltanto il valore del test sulla tossicità cronica NOEC sopra a 0,01 mg/L può escludere una sostanza dall’essere considerata PBT

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complessa, dispendiosa e laboriosa, esso può anche essere stimato indirettamente (insieme ad altre grandezze) con metodi di calcolo teorici utilizzando modelli predittivi validati come il QSPR. Tali modelli sono di grande aiuto per effettuare una valutazione della sicurezza chimica senza dover per forza svolgere numerosi e costosi test su organismi viventi (a volte anche difficili da realizzare, come ad esempio le indagini sulla cancerogenesi delle sostanze).

Tabella 2. Criteri PBT e vPvB in accordo con l’Allegato XIII

PBT vPvB

Persistenza il periodo di emivita nell’acqua di mare è superiore a 60 giorni, o il periodo di emivita in acqua dolce o di estuario è superiore a 40 giorni, o il periodo di emivita in sedimenti marini è superiore a 180 giorni, o il periodo di emivita in sedimenti d’acqua dolce o di estuario è superiore a 120 giorni, o il periodo di emivita nel suolo è superiore a 120 giorni.

il periodo di emivita in acqua di mare, acqua dolce o acqua di estuario è superiore a 60 giorni, o il periodo di emivita in sedimenti d’acqua di mare, d’acqua dolce o d’acqua di estuario è superiore a 180 giorni, o il periodo di emivita nel suolo è superiore a 180 giorni.

Bioaccumulo il fattore di bioconcentrazione (BCF) è superiore a 2000.

il fattore di bioconcentrazione è superiore a 5000.

Tossicità16 la concentrazione senza effetti osservati (NOEC) a lungo termine per gli organismi marini o d’acqua dolce è inferiore a 0,01 mg/l, o la sostanza è classificata come Cancerogena (categoria 1 e 2), Mutagena (categoria 1 e 2), o Tossica per la riproduzione (categoria 1, 2 o 3), o esistono altre prove di tossicità cronica, identificata dalle classificazioni T, R48, o XN, R48 a norma del regolamento(CE) n. 1272/2008.

17

16 In accordo con l’EU TDG (2003) i dati di effetto su test a breve termine, solitamente disponibili, come L(E)50 sugli organismi acquatici, possono essere utilizzati per condurre una selezione iniziale sulla potenziale tossicità di una sostanza; per procedere se del caso a successive analisi approfondite. Una sostanza viene considerata potenzialmente tossica se il suo L(E)50 sugli organismi acquatici è inferiore a 0,1 mg/L. 17 Inoltre una sostanza soddisfa il criterio di tossicità anche quando ci sono sostanziali evidenze di una tossicità a lungo termine (es. effetti di distruzione endocrina), o quando ci sono evidenze di tossicità cronica.

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Essendo però modelli predittivi bisogna sempre tener conto della loro approssimazione, soprattutto nello studio di alcune sostanze molto problematiche per la salute umana e per l’impatto sull’ambiente. L’uso di questi modelli per produrre dati è fortemente sostenuto dall’Agenzia e dallo spirito del regolamento, proprio per evitare l’uso di migliaia di essere viventi, soprattutto vertebrati. Qualora però la produzione di ulteriori informazioni per la valutazione della sicurezza chimica sia comunque necessaria per riuscire a caratterizzare con esattezza una sostanza come PBT o vPvB, e richieda esperimenti su animali vertebrati, il dichiarante deve presenterà obbligatoriamente una proposta di sperimentazione all’Agenzia. Se la sostanza in esame corrisponde ai criteri PBT o vPvB, è effettuata una valutazione dell’esposizione (caratterizzata dalle emissioni), descritta di seguito nel paragrafo 1.2. 1.2 Analisi dei determinanti ambientali nella definizione degli scenari di esposizione La valutazione dell’esposizione, ha lo scopo di stabilire una stima quantitativa o qualitativa della dose/concentrazione della sostanza rilasciata nei vari comparti ambientali e un’identificazione delle probabili vie attraverso le quali l’uomo o l’ambiente sono o possono essere esposti. La valutazione prende in considerazione tutte le fasi del ciclo di vita della sostanza risultanti dalla fabbricazione e dagli usi identificati e contempla eventuali esposizioni riconducibili ai pericoli individuati nella prima parte della valutazione sulla sicurezza chimica. La valutazione dell’esposizione comprende le due seguenti fasi:

1) creazione di scenari d’esposizione o creazione di pertinenti categorie d’uso e d’esposizione; 2) stima dell’esposizione. Gli scenari d’esposizione costituiscono il punto fondamentale del processo di realizzazione di una valutazione della sicurezza chimica. La novità introdotta con il regolamento REACH nella valutazione dell’esposizione è l’iteratività del processo. La prima valutazione si basa sulle informazioni disponibili relative ai pericoli nonché sulla stima dell’esposizione corrispondente alle ipotesi iniziali formulate sulle condizioni operative e sulle misure di gestione dei rischi dando luogo alla creazione di uno “scenario d’esposizione iniziale”. Se queste ipotesi iniziali conducono a una caratterizzazione dei rischi stando alla quale i rischi per la salute umana e l’ambiente non sono controllati in modo adeguato, è necessario svolgere un processo iterativo con la modifica di uno o più fattori nella valutazione dei pericoli o dell’esposizione allo scopo di dimostrare un controllo adeguato. La revisione della valutazione dei pericoli può comportare la produzione di informazioni supplementari circa i pericoli; mentre la revisione della valutazione dell’esposizione può comportare un’appropriata modifica delle condizioni

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operative o delle misure di gestione dei rischi nello scenario d’esposizione o una stima più precisa dell’esposizione. Lo scenario d’esposizione derivante dall’iterazione definitiva viene definito: “scenario d’esposizione definitivo”. Gli scenari d’esposizione comprendono ogni produzione della sostanza nella Comunità Europea e tutti gli usi identificati. In modo particolare uno scenario d’esposizione abbraccia, se necessario, una descrizione degli elementi seguenti: 1) Condizioni operative: - i processi coinvolti, compresa la forma fisica sotto cui la sostanza è fabbricata, trasformata e/o utilizzata; - le attività dei lavoratori relative a tali processi e la durata e la frequenza della loro esposizione alla sostanza; - le attività dei consumatori e la durata e la frequenza della loro esposizione alla sostanza; - la durata e la frequenza delle emissioni della sostanza nei vari comparti ambientali e i sistemi di trattamento delle acque reflue e la diluizione nel comparto ambientale ricevente. 2) Misure di gestione dei rischi: - le misure di gestione dei rischi per ridurre o evitare l’esposizione diretta o indiretta della popolazione (compresi i lavoratori e i consumatori) e dei vari comparti ambientali alla sostanza; - le misure di gestione dei rifiuti per ridurre o evitare l’esposizione della popolazione e dell’ambiente alla sostanza durante lo smaltimento e/o il riciclaggio dei rifiuti. Nella seconda fase, l’esposizione è stimata per ogni scenario d’esposizione elaborato e comporta fondamentalmente tre elementi: - la stima delle emissioni; - la valutazione del destino della sostanza e delle sue vie di trasferimento nell’ambiente; - la stima dei livelli d’esposizione. La stima delle emissioni tiene conto delle emissioni che si producono durante tutte le parti pertinenti del ciclo di vita della sostanza risultanti dalla fabbricazione e dagli usi identificati, ed è effettuata nell’ipotesi che le misure di gestione dei rischi e le condizioni operative descritte nello scenario d’esposizione siano state realizzate. Devono successivamente anche essere effettuate una caratterizzazione degli eventuali processi di degradazione, trasformazione o reazione e una stima della distribuzione e del destino ambientali. Infine è effettuata una stima dei livelli d’esposizione per tutte le popolazioni umane (lavoratori, consumatori e persone soggette a un’esposizione indiretta attraverso l’ambiente) e i settori ambientali di cui è noto o si può ragionevolmente prevedere che saranno esposti alla sostanza. Queste stime devono tenere conto delle variazioni spaziali e temporali dei modelli d’esposizione.

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In particolare la stima dell’esposizione tiene conto degli elementi seguenti:

- dati sull’esposizione rappresentativi e rilevati in modo adeguato; - impurezze e additivi principali nella sostanza; - la quantità nella quale la sostanza è prodotta e/o importata; - la quantità destinata ad ogni uso identificato; - le misure di gestione dei rischi attuate o raccomandate, compreso il grado di contenimento; - la durata e la frequenza dell’esposizione secondo le condizioni operative; - le attività dei lavoratori relative ai processi e la durata e la frequenza della loro esposizione alla sostanza; - le attività dei consumatori e la durata e la frequenza della loro esposizione alla sostanza; - la durata e la frequenza delle emissioni della sostanza nei vari comparti ambientali e la diluizione nel comparto ambientale ricevente; - le proprietà fisico-chimiche della sostanza; - i prodotti di trasformazione e/o di degradazione; - le vie d’esposizione probabili e il potenziale d’assorbimento nelle persone; - le vie di trasferimento probabili nell’ambiente e la distribuzione ambientale e la degradazione e/o trasformazione; - la dimensione (geografica) dell’esposizione; - il rilascio/la migrazione della sostanza a seconda della matrice. Nella valutazione dell’esposizione sono presi in particolare considerazione, quando sono disponibili, i dati sull’esposizione rappresentativi e rilevati in modo adeguato. Di particolare interesse è l’uso di modelli previsionali appropriati per la stima dei livelli d’esposizione nei settori ambientali e occupazionali.

Un modello previsionale può essere descritto come un insieme di relazioni matematiche che cercano di simulare i processi che avvengono in un sistema ambientale (ripartizione, trasporto e trasformazione), allo scopo di fornire dati qualitativi e/o quantitativi sul destino di una sostanza introdotta nell’ambiente. Tale definizione comprende quindi una serie di approcci modellistici che partono da semplici equazioni (indici e sistemi di classificazione) fino a modelli molto complessi che descrivono intere regioni (modelli multimediali valutativi di ripartizione multi-compartimentale o a scala regionale ) o ambienti specifici, come il suolo o le acque superficiali (modelli sito-specifici), o modelli che descrivono la circolazione delle sostanze su scala globale (modelli a scala planetaria).

Con l’uso dei modelli l’obiettivo è quindi riuscire ad ottenere una concentrazione ambientale prevedibile (PEC = Predict-Environmental-Concentration) utile per la successiva caratterizzazione del rischio per l’ambiente. Parallelamente l’utilizzo di modelli previsionali occupazionali e dei consumatori hanno come scopo la determinazione dell’esposizione inalatoria, dermica ed orale delle categorie

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di esposizione dei lavoratori e dei consumatori di sostanze (singole o presenti in preparati o articoli). Nella valutazione dell’esposizione possono anche essere presi in considerazione dati di monitoraggio pertinenti, relativi a sostanze con uso e modalità di esposizione analoghi o proprietà analoghe. La fase finale di una valutazione della sicurezza chimica è rappresentata dalla caratterizzazione dei rischi, che ha come obiettivo quello di stabilire il rischio concreto legato alla produzione/importazione e agli usi identificati che coprono l’intero ciclo di vita di una sostanza per l’individuazione di misure precauzionali aggiuntive di gestione o restrizioni nei diversi utilizzi. La caratterizzazione dei rischi è effettuata per ogni scenario d’esposizione e prende in considerazione le popolazioni umane (esposte come lavoratori o consumatori o indirettamente attraverso l’ambiente e, se del caso, a una combinazione dei fattori) e i settori ambientali di cui è nota o si può ragionevolmente prevedere l’esposizione alla sostanza, in base all’ipotesi che le misure di gestione dei rischi descritte negli scenari d’esposizione siano state attuate. Inoltre, il rischio ambientale complessivo causato dalla sostanza è esaminato integrando i risultati relativi a rilasci, emissioni e perdite complessive da tutte le fonti in tutti i comparti ambientali. Fondamentalmente la caratterizzazione dei rischi consiste in: - un confronto tra i valori di esposizione di ogni popolazione umana (noti o probabili) e i DNEL appropriati; - un confronto delle concentrazioni ambientali previste in ogni settore ambientale e la PNEC; - una valutazione della probabilità e della gravità di un evento che si produca a causa delle proprietà fisico-chimiche della sostanza. Per ogni scenario d’esposizione, i rischi per le persone e l’ambiente possono essere considerati adeguatamente controllati, nell’intero ciclo di vita della sostanza risultante dalla fabbricazione o dagli usi identificati, se: - i livelli d’esposizione stimati (per l’uomo e per l’ambiente) non superano il DNEL o la PNEC; - la probabilità e la gravità di un evento che si produca a causa delle proprietà fisico-chimiche della sostanza sono trascurabili. Per gli effetti sulle persone e i settori ambientali per i quali non è stato possibile determinare un DNEL o una PNEC, si procede a una valutazione qualitativa della probabilità che gli effetti siano evitati nella definizione dello scenario d'esposizione.

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Per le sostanze che corrispondono ai criteri PBT e vPvB, il fabbricante o l'importatore utilizza le informazioni ottenute dalla stima dell’esposizione, quando applica nel suo sito e raccomanda agli utilizzatori a valle misure di gestione dei rischi che riducano al minimo le emissioni e l'esposizione della popolazione e dell'ambiente, nell'intero ciclo di vita della sostanza risultante dalla fabbricazione o dagli usi identificati. Una volta stabilito che l’utilizzo della sostanza non presenta alcun rischio per la salute umana e per l’ambiente la valutazione della sicurezza chimica può ritenersi ultimata con successo, e il produttore/importatore, o se del caso l’utilizzatore a valle, hanno l’obbligo di stilare una relazione (CSR) che documenti l’intero lavoro svolto. 1.2.1 Elaborazione di scenari di esposizione secondo il regolamento REACH La raccolta di informazioni per l’elaborazione di uno scenario d’esposizione (ES) deve garantire che tale scenario soddisfi il suo obiettivo ai sensi del regolamento REACH. Lo scenario d’esposizione (ES) rappresenta la base per una stima quantitativa dell’esposizione e lo strumento di comunicazione all’interno della catena di approvvigionamento. Per fornire una base sufficiente per la stima dell’esposizione deve contenere i parametri principali che determinano il rilascio e l’esposizione (determinanti ambientali). Deve inoltre soddisfare i requisiti degli utilizzatori a valle (DU downstream users), che sono i principali destinatari dello scenario d’esposizione (ES exposure scenario) attraverso la scheda di dati di sicurezza (SDS safety data sheet) estesa.

Di seguito in tabella 3 viene riportato il formato standard di uno scenario d’esposizione finale che gli importatori o utilizzatori di sostanze devono seguire per la comunicazione delle informazioni derivate dalla valutazione dell’esposizione.

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Tabella 3. Formato standard di uno scenario d’esposizione in ambito REACH

1. Titolo breve dello scenario d’esposizione

2. Processi e attività descritti nello scenario d’esposizione

Condizioni operative d’uso 3. Durata e frequenza dell’uso

Specificare per lavoratori, consumatori, ambiente (se del caso)

4.1 Forma fisica della sostanza o del preparato; rapporto superficie/volume di articoli Sostanza liquida, gassosa, in polvere, in granuli, in forma solida massiccia. Area per quantitativo di articolo contenente la sostanza (se applicabile).

4.2 Concentrazione della sostanza nel preparato o nell’articolo

4.3 Quantità usata per tempo o attività Specificare la durata per lavoratori, consumatori, ambiente (se del caso)

5. Altre condizioni operative d’uso pertinenti Per esempio: - Temperatura, pH, apporto di energia meccanica; - capacità di ricezione dell’ambiente (per esempio, flusso d’acqua nella rete fognaria/nel corso

d’acqua; dimensioni del locale x tasso di ventilazione); - usura per quanto riguarda gli articoli (se del caso); condizioni relative alla durata d’uso degli

articoli (se del caso)

Misure di gestione del rischio 6.1 Misure di gestione del rischio relative alla salute umana (lavoratori o consumatori)

Tipo ed efficacia di singole opzioni o combinazione di opzioni sull’esposizione da quantificare

[opzioni da riportare con la terminologia indicata nella guida]; specificare la via d’esposizione

(orale, dermica, per inalazione).

6.2 Misure di gestione del rischio relative all’ambiente Tipo ed efficacia di singole opzioni o combinazione di opzioni da quantificare [opzioni da riportare

con la terminologia indicata nella guida]; specificare se per acque reflue, gas di scarico, protezione

del suolo.

7. Misure di smaltimento dei rifiuti In fasi diverse del ciclo di vita delle sostanze (compresi i preparati o gli articoli al termine della durata d’uso);

Informazioni sull’esposizione stimata e guida per gli utilizzatori a valle (DU) 8. Stima dell’esposizione e riferimento alla sua fonte

Stima dell’esposizione derivante dalle condizioni descritte sopra (punti 3-7 e le proprietà della

sostanza; fare riferimento allo strumento di valutazione dell’esposizione utilizzato; specificare le vie

d’esposizione; specificare se riferita a lavoratori, consumatori o all’ambiente).

9. Guida per l’utilizzatore a valle (DU), per valutare se opera entro i limiti descritti nello scenario d’esposizione (ES) Indicazioni che descrivono in che modo l’utilizzatore a valle (DU) può valutare se le sue condizioni

operative sono conformi alle condizioni descritte nello scenario d’esposizione. Questo può essere

basato su un insieme di variabili (e un algoritmo adatto) che assieme indichino il controllo del

rischio, ma che nel contempo siano flessibili per i rispettivi valori di ciascuna variabile. Se

rilevante: possono essere inclusi anche altri metodi suggeriti all’utilizzatore a valle (DU) per

verificare se egli opera entro i limiti specificati nello scenario d’esposizione (ES).

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Il processo di preparazione dello scenario d’esposizione (ES) può variare caso per caso a seconda delle informazioni disponibili, ma in particolare, quando si dispone inizialmente di poche informazioni, il processo generale seguirà le 14 fasi illustrate nella figura 1.

Figura 1. Processo di preparazione dello scenario d’esposizione standard

Lo schema standard nella figura precedente, basato su categorie predeterminate e su scenari d’esposizione iniziali predeterminati, ha lo scopo di favorire la coerenza e una struttura informativa armonizzata nei diversi mercati.

Il quantitativo di sostanza prodotta e immessa sul mercato da parte di un fabbricante è distribuito in uno o più segmenti di mercato attraverso uno o più livelli della catena d’approvvigionamento, fino a quando la sostanza non raggiunge la sua destinazione finale.

Durante ogni fase del ciclo di vita può verificarsi l’esposizione di persone o dell’ambiente. Di conseguenza, una frazione più o meno grande della sostanza viene persa attraverso le emissioni e, quindi, non entrerà nella successiva fase del ciclo di vita. La Figura 2 visualizza il percorso verticale di una sostanza attraverso il mercato.

Nella stima dell’esposizione il fabbricante deve tener conto delle fonti e delle diverse vie attraverso cui la sostanza può determinare l’esposizione dell’uomo e dell’ambiente.

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Ciò vale, in particolare, per i) le emissioni multiple nell’ambiente locale dovute ai prodotti diversi e ai segmenti di mercato a cui il fabbricante rifornisce il prodotto e per ii) i vari prodotti che possono determinare un’esposizione dei consumatori.

Il singolo fabbricante è tenuto soltanto a considerare esposizioni multiple per il quantitativo di sostanza che immette sul mercato. Per le sostanze con un uso diffuso o dispersivo può essere utile considerare volontariamente l’esposizione e le emissioni della stessa sostanza fabbricata o importata da altri dichiaranti.

Tra le varie fasi del ciclo di vita la sostanza può essere trasportata, stoccata e maneggiata. Si presume che le emissioni dovute allo stoccaggio, alla manipolazione, al reimballaggio e al riempimento, compresi i trasferimenti locali, siano comprese nella relativa fase del ciclo di vita della sostanza. Per quanto riguarda il trasporto, invece, si suppone che le perdite siano dovute soltanto agli incidenti. Il regolamento REACH non considera la fase del trasporto.

L’esposizione è determinata sia dalle misure di gestione del rischio sia dalle condizioni operative. Modificare le condizioni operative può servire a contribuire al controllo del rischio (come fanno le RMM) o, al contrario, creare il bisogno di introdurre nuove misure di gestione del rischio (RMM).

Di conseguenza, il fabbricante o l’importatore dovrebbe sempre esaminare le misure di gestione del rischio e le condizioni operative in stretta correlazione le une con le altre. Sia le condizioni operative (OC) sia le misure di gestione del rischio (RMM) riguardano un insieme di azioni, usi di strumenti, stati di parametri o specifiche emissioni di sostanze che in parte si sovrappongono, ma che differiscono nel loro intento: mentre l’impatto sull’esposizione è soltanto un effetto collaterale delle modifiche apportate alle condizioni operative, le misure di gestione del rischio sono mirate a prevenire, ridurre o limitare l’esposizione.

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Figura 2. Fasi del ciclo di vita di una sostanza

È importante valutare e comunicare in che modo le condizioni d’uso (la combinazione di condizioni operative e misure di gestione del rischio) influenzeranno l’esposizione in termini quantitativi. Perciò, l’effetto di riduzione dell’esposizione deve essere espresso in termini quantitativi (nei limiti del possibile), in maniera tale che possa influenzare la stima dell’esposizione nel corso della valutazione della sicurezza chimica (CSA). Questo valore può indicare l’efficacia assoluta di una misura di gestione del rischio oppure indicare la variazione relativa dei risultati delle misure di gestione del rischio già in atto.

Le misure di gestione del rischio (RMM) che riducono l’esposizione in un compartimento ambientale o di un gruppo di persone possono determinare un aumento dell’esposizione di

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altri compartimenti o gruppi (per esempio, un impianto di ventilazione sul luogo di lavoro privo di un controllo delle emissioni adeguato dal punto di vista ambientale). Le condizioni operative (OC) possono avere un impatto diverso su compartimenti o gruppi differenti (per esempio, i quantitativi critici per volta o per attività in relazione al luogo di lavoro e all’ambiente). Infine, la riduzione dell’esposizione durante una fase del ciclo di vita può accrescere l’esposizione durante un’altra fase del ciclo di vita (per esempio, lo smaltimento di residui acquosi sotto forma di rifiuti anziché attraverso il sistema fognario). Queste interrelazioni devono essere fondate su principi comuni di equilibrio di massa.

La valutazione effettuata nell’ambito di un CSA può, per esempio, portare alla conclusione che le pratiche di gestione del rischio consolidate in un determinato mercato o settore dell’industria non sono sufficienti per controllare il rischio di una particolare sostanza. In questi casi, il fabbricante o l’importatore di una sostanza suggerirà misure di gestione del rischio aggiuntive o alternative. Viceversa, l’utilizzatore a valle può rilevare l’inadeguatezza di misure di gestione del rischio che gli sono state comunicate e di conseguenza ne dà conto agli attori a monte della catena d’approvvigionamento. 1.2.2 I descrittori d’uso nella costruzione degli scenari di esposizione Ai sensi del regolamento REACH, ogni fabbricante e ogni importatore di sostanze con l’obbligo di elaborare una stima dell'esposizione è tenuto a sviluppare, valutare e comunicare tutti gli scenari di esposizione riguardanti l'intero ciclo di vita della sostanza. La mappatura di tutti gli usi della sostanza all'interno di un settore di mercato può essere spesso riutilizzata per un insieme di sostanze, o può persino essere creata collettivamente da diversi fabbricanti/importatori. Il sistema dei descrittori degli usi risulta quindi indispensabile alla standardizzazione della descrizione d’uso delle sostanze ed ha l’obiettivo di facilitare:

- l'identificazione degli usi da fornire nei fascicoli di registrazione; - l’elaborazione di uno scenario d'esposizione standard da parte dei fornitori, in base a una comunicazione a monte e a valle della catena d'approvvigionamento; - l’elaborazione di titoli brevi per scenari d'esposizione. I descrittori degli usi aiutano i fornitori e gli utilizzatori a strutturare le comunicazioni tra loro. Grazie ai titoli brevi l'utilizzatore a valle dovrebbe essere in grado di stabilire rapidamente se uno scenario d'esposizione ricevuto è adatto a coprire i suoi usi. Nella stessa ottica i descrittori degli usi possono aiutare l'utilizzatore a valle a descrivere in modo strutturato un uso che desidera rendere noto al fornitore Sette gruppi principali di attori svolgono un ruolo durante il ciclo di vita della sostanza: fabbricanti, importatori di sostanze chimiche (compresi metalli e minerali), società che

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miscelano e mescolano sostanze chimiche (formulatori) per produrre miscele, distributori, utilizzatori finali industriali, utilizzatori finali professionali e consumatori18. Il sistema di descrittori degli usi si basa su cinque elenchi distinti di descrittori che, in combinazione tra di loro, formano una breve descrizione dell'uso o un titolo di uno scenario d'esposizione:

- la categoria del settore d'uso (SU) descrive in quale settore economico si usa la sostanza. Ciò comprende la miscelazione o il reimballaggio di sostanze a livello del formulatore nonché usi finali industriali, professionali e del consumatore19;

- la categoria del prodotto chimico (PC) descrive in quali tipi di prodotti chimici (= sostanze in quanto tali o in miscele) la sostanza sia infine contenuta quando viene fornita per gli usi finali (da utilizzatori industriali, professionali o consumatori);

- la categoria di processo (PROC) descrive le tecniche di applicazione o i tipi di processo definiti dal punto di vista professionale

- la categoria di rilascio nell’ambiente (ERC) descrive le ampie condizioni d'uso (durata d’uso) dal punto di vista ambientale;

- la categoria degli articoli (AC) descrive il tipo di articolo in cui la sostanza è infine stata lavorata. Ciò comprende anche miscele nella forma essiccata o reticolarizzata (ad esempio, inchiostro da stampa essiccato su giornali, rivestimenti essiccati su svariate superfici).

La tabella 4 contiene un elenco dei settori d'uso. I tre gruppi di utilizzatori principali e i descrittori chiave sono elencati nella parte superiore della tabella. Rappresentano il livello minimo di dettaglio che si prevede un dichiarante fornisca nella descrizione del settore d'uso, e sono importanti per il valutatore in quanto agevolano la valutazione dell'esposizione (ad esempio, attraverso la selezione degli strumenti adeguati). La tabella 2 contiene anche una selezione delle categorie armonizzate a livello internazionale NACE (Nomenclature générale des Activités Economiques dans les Communautés Européennes) per la classificazione delle attività nell'industria e nei servizi. Scopo di queste categorie è aiutare i fabbricanti/importatori (M/I) a tracciare una mappa del proprio mercato oltre i propri clienti diretti nei settori di formulazione. Questa mappa può aiutare nell'elaborazione di scenari d'esposizione adatti a coprire tutti gli usi finali della sostanza in quanto tale o in quanto componente di una miscela, e le successive tappe del suo ciclo di vita. 18 L'importazione e la distribuzione non sono considerate usi e di conseguenza non vengono presi in considerazione in questa analisi. 19 Per uso finale di una sostanza in quanto tale o in quanto componente di un preparato si intende l’ultimo uso prima che la sostanza entri in una matrice di un articolo, sia consumata nell’ambito di un processo per reazione e/o entri nei rifiuti, nelle acque reflue o sia emessa nell'aria. Usi che sono esclusivamente volti a rendere la sostanza un componente in un preparato non sono considerati usi finali. Si fa questa differenziazione per evitare che ogni fase di miscelazione in una catena più estesa di preparatori sia descritta separatamente.

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Tabella 4. Settori d’uso nella costruzione degli scenari espositivi

Descrittori chiave: gruppi di utilizzatori principali

SU 3 Usi industriali: usi di sostanze in quanto tali o in preparati presso siti industriali SU 21 Usi di consumo: nuclei familiari (= popolazione in generale = consumatori) SU 22 Usi professionali: settore pubblico (amministrazione, istruzione, intrattenimento, servizi,

artigianato)

Descrittori supplementari: settori d’uso finali Cod. NACE

SU1 Agricoltura, silvicoltura, pesca A SU2a Attività minerarie (tranne le industrie offshore) B SU2b Industrie offshore B 6 SU4 Industrie alimentari C 10,11 SU5 Confezione di articoli in tessuto, pelle e pelliccia C 13-15 SU6a Lavorazione di legno e prodotti in legno C 16 SU6b Produzione di pasta per la fabbricazione della carta, carta e prodotti di carta C 17 SU7 Stampa e riproduzione di supporti registrati C 18 SU8 Produzione di prodotti chimici di base su larga scala (compresi i prodotti

petroliferi) C 19.2+20.1

SU9 Fabbricazione di prodotti di chimica fine C 20.2-20.6 SU 10 Formulazione [miscelazione] di preparati e/o reimballaggio (tranne le leghe) C 20.3-20.5 SU11 Fabbricazione di articoli in gomma C 22.1 SU12 Fabbricazione di materie plastiche, compresa la miscelazione (compounding) e

la conversione C 22.2

SU13 Fabbricazione di altri prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi, per esempio intonaci, cemento

C 23

SU14 Attività metallurgiche, comprese le leghe C 24 SU15 Fabbricazione di prodotti in metallo, esclusi macchinari e attrezzature C 25 SU16 Fabbricazione di computer e prodotti di elettronica e ottica, apparecchiature

elettriche C 26-27

SU17 Fabbricazione di articoli generici, per esempio macchinari, apparecchiature, autoveicoli e altri mezzi di trasporto

C 28-30.33

SU18 Fabbricazione di mobili C 31 SU19 Costruzioni F SU20 Servizi sanitari Q 86 SU23 Elettricità, vapore, gas, fornitura di acqua e trattamento delle acque reflue C 35-37 SU24 Ricerca e sviluppo scientifici C72

Il numero di categorie è stato limitato ai settori noti più ampi per rappresentare i maggiori utilizzatori di sostanze chimiche. Se un fabbricante o un importatore considera necessario descrivere l'uso in maggiore dettaglio o descrivere usi in un settore non riportato, deve applicare i codici NACE (e le corrispondenti frasi). Il vantaggio che deriva dall'uso dei codici/terminologia NACE consiste nel fatto che questi sono armonizzati e ben noti alle società europee.

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La categoria del prodotto chimico caratterizza l'uso di una sostanza in base al tipo di prodotto per l'uso finale (ad esempio, lubrificante, detergente, adesivo) nel quale è noto che la sostanza viene impiegata (Tabella 5). Non ha lo scopo di caratterizzare la funzione tecnica specifica della sostanza in quanto tale (ad esempio, stabilizzatore UV, inibitore di corrosione, pigmento, ritardanti di fiamma). La ragione di ciò è che, rispetto alla funzione in quanto tale, la categoria del prodotto comprende più informazioni sull'esposizione potenziale della sostanza. Ad esempio, stabilirà una differenza in termini di esposizione se una sostanza (ad esempio un solvente) viene usato in prodotti di depurazione dell'aria (PC3) o in prodotti detergenti (PC35). Le categorie del prodotto sono utili per mappare le catene d'approvvigionamento includendo ad esempio il flusso di massa di una sostanza attraverso il mercato nella valutazione ambientale.

Sulla scorta delle conoscenze in possesso e, possibilmente, di ulteriori informazioni fornite dai clienti, il fabbricante/importatore (M/I) assegna una o più categorie di prodotti che rispecchiano le miscele d'uso finale in cui è noto che la sostanza verrà utilizzata. Gli usi di cui il fabbricante non è al corrente, per esempio, forniti tramite distributori o tramite una catena più lunga di formulatori, possono essere comunicati al fabbricante stesso dagli utilizzatori a valle nel corso del processo di attuazione del regolamento REACH. Diverse associazioni di utilizzatori a valle hanno mappato le aree principali d'uso e pubblicato tabelle d'uso sui propri siti web (ad esempio CEPE, A.I.S.E., COLIPA, FEICA), che rappresentano inoltre un riferimento utile per i fabbricanti e gli importatori (M/I).

Tabella 5. Categorie del prodotto chimico (PC) nella costruzione degli scenari espositivi

Categoria del prodotto chimico (PC)

PC1 Adesivi, sigillanti PC2 Adsorbenti PC3 Prodotti deodoranti per l’ambiente PC4 Prodotti antigelo e prodotti per lo sbrinamento PC7 Metalli di prima trasformazione e leghe PC8 Prodotti biocidi (per esempio, disinfettanti, antiparassitari) PC9a Rivestimenti e vernici, diluenti, sverniciatori PC9b Additivi, stucchi, intonaci, argilla da modellare PC9c Colori a dito PC11 Esplosivi PC12 Fertilizzanti PC13 Combustibili PC14 Prodotti per il trattamento di superfici metalliche, compresi i prodotti galvanici e galvanoplastici PC15 Prodotti per il trattamento delle superfici non metalliche PC16 Fluidi per il trasferimento di calore PC17 Liquidi idraulici PC18 Inchiostri e toner PC19 Sostanze intermedie PC20 Prodotti quali regolatori di pH, flocculanti, precipitatori, agenti neutralizzanti PC21 Sostanze chimiche da laboratorio

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PC23 Prodotti per la concia, la tintura, la finitura, l'impregnazione e la cura delle pelli PC24 Lubrificanti, grassi e prodotti di rilascio PC25 Liquidi per la lavorazione dei metalli PC26 Prodotti per la tintura, la finitura e l'impregnazione di carta e cartone compresi candeggine e altri

coadiuvanti tecnologici PC27 Prodotti fitosanitari PC28 Profumi, fragranze PC29 Prodotti farmaceutici PC30 Prodotti fotochimici PC31 Lucidanti e miscele di cera PC32 Preparati e composti polimerici PC33 Semiconduttori PC34 Tinture tessili, prodotti per la finitura e l'impregnazione di materie tessili; compresi candeggine e

altri coadiuvanti tecnologici PC35 Prodotti per il lavaggio e la pulizia (tra cui prodotti a base di solventi) PC36 Depuratori d'acqua PC37 Prodotti chimici per il trattamento delle acque PC38 Prodotti per la saldatura (con rivestimento di fondente o con flussante all’interno), prodotti fondenti

per saldare PC39 Cosmetici, prodotti per la cura personale

Le tecniche di applicazione o i tipi di processi hanno un impatto diretto sull'esposizione prevedibile e, di conseguenza, sulle misure di gestione del rischio necessarie. La tabella 6 contiene un elenco di categorie di processo che rispecchiano il potenziale di esposizione professionale generale delle tecniche e dei processi interessati. La suddivisione in categorie risponde ai seguenti criteri: i) quantità e forma di energia applicata in un processo (per esempio, calore, energia meccanica, radiazione), ii) superficie sostanza disponibile per l'esposizione (polverosità del materiale o spessore degli strati di materiale) e iii) principale livello di misure di contenimento e di controlli tecnici da prevedere.

Tabella 6. Categorie di processo (PROC) nella costruzione degli scenari espositivi

Categorie di processo (PROC)

PROC1 Uso in un processo chiuso, esposizione improbabile PROC2 Uso in un processo chiuso e continuo, con occasionale esposizione controllata PROC3 Uso in un processo a lotti chiuso (sintesi o formulazione) PROC4 Uso in processi a lotti e di altro genere (sintesi), dove si verificano occasioni di esposizione PROC5 Miscelazione o mescolamento in processi in lotti per la formulazione di preparati e articoli

(contatto in fasi diverse e/o contatto significativo) PROC6 Operazioni di calandratura PROC7 Applicazione spray industriale PROC8a Trasferimento di una sostanza o di un preparato (riempimento/svuotamento) da/a

recipienti/grandi contenitori, in strutture non dedicate PROC8b Trasferimento di una sostanza o di un preparato (riempimento/svuotamento) da/a

recipienti/grandi contenitori, in strutture dedicate

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PROC9 Trasferimento di una sostanza o di un preparato in piccoli contenitori (linea di riempimento dedicata, compresa la pesatura)

PROC10 Applicazione con rulli o pennelli

PROC11 Applicazione spray non industriale PROC12 Uso di agenti di soffiatura nella produzione di schiume PROC13 Trattamento di articoli per immersione e colata PROC14 Produzione di preparati o articoli per compressione in pastiglie, estrusione, pellettizzazione PROC15 Uso come reagenti per laboratorio PROC16 Uso di materiali come fonti di combustibili; probabile un'esposizione di piccola entità al

prodotto incombusto PROC17 Lubrificazione in condizioni di elevato consumo energetico e in un processo parzialmente

aperto PROC18 Ingrassaggio in condizioni di elevato consumo energetico PROC19 Miscelazione manuale con contatto diretto, (con protezione individuale PPE) PROC20 Fluidi per il trasferimento termico e a pressione in sistemi chiusi a uso dispersivo e

professionale PROC21 Manipolazione con basso consumo energetico di sostanze presenti in materiali e/o articoli PROC22 Operazioni di lavorazione nell'ambito di processi potenzialmente chiusi con minerali/metalli a

temperature elevate. Ambiente industriale PROC23 Operazioni di lavorazione e trasferimento in processi aperti con minerali/metalli a temperature

elevate. PROC24 Lavorazione ad alta energia (meccanica) di sostanze integrate in materiali e/o articoli. PROC25 Altre operazioni a caldo con metalli PROC26 Manipolazione di sostanze inorganiche solide a temperatura ambiente PROC27a Produzione di polveri metalliche (processi a caldo) PROC27b Produzione di polveri metalliche (processi a umido)

Dopo che il dichiarante ha eseguito la mappatura degli usi e delle condizioni d'uso di una sostanza (inclusa la conseguente durata d'uso negli articoli), si possono assegnare le categorie di rilascio nell’ambiente corrispondenti agli usi pertinenti per le diverse fasi del ciclo di vita e ai gruppi di utilizzatori principali. Le categorie di rilascio nell’ambiente, insieme alle categorie dei prodotti, possono agevolare il dichiarante nel suddividere il volume presente sul mercato in gruppi di usi con un livello di dettaglio sufficiente. Le categorie di rilascio nell’ambiente (Tabella 7) indicano le caratteristiche di un uso basato su sei aspetti relativi alla prospettiva ambientale, comprese quelle caratteristiche che consentono l'analisi del flusso di massa nel ciclo di vita di una sostanza: a) Il destino tecnico previsto (scopo) della sostanza durante l'uso stabilisce a quale livello una sostanza viene consumata dall'uso, quanto si preveda sia rilasciata con gli scarichi, con le emissioni nell'atmosfera o nei rifiuti, oppure sia prevista entrare nella successiva fase del ciclo di vita. Le possibilità considerate in un ottica generale sono:

• La sostanza entra prevedibilmente a far parte di un articolo (comprese miscele essiccate/reticolarizzate) in quanto svolge una funzione nell'articolo o perché rimane all'interno dell'articolo (da una fase del ciclo di vita precedente) senza alcuna funzione.

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• La sostanza è destinata a reagire durante l'uso, pertanto non è più disponibile per ulteriori fasi del ciclo di vita o emissioni nell'ambiente.

• La sostanza è destinata a fungere da coadiuvante tecnologico, e in quanto tale viene rilasciata da un processo industriale (ad esempio un tensioattivo nella finitura tessile, un solvente dalla verniciatura spray) oppure da un uso non industriale (ad esempio solventi o tensioattivi da prodotti detergenti) nelle acque reflue, nelle emissioni nell'atmosfera e/o nei rifiuti.

b) La fase del ciclo di vita in corrispondenza del quale si verifica un uso (fabbricazione, formulazione o uso finale), determina la misura in cui si può prevedere la minimizzazione di perdite (indotte dall'interesse economico dell'attore nel non perdere prodotti che può vendere, e dall'uso di apparecchiature specializzate per lavorazione di sostanze chimiche). c) La dispersività d'uso (uso presso siti industriali sorgenti puntiformi e/o un uso ampio dispersivo nelle applicazioni professionali e di consumo) determina la distribuzione delle emissioni nel tempo e nello spazio. d) I sistemi di applicazione contenuti durante l'uso finale (ad esempio, impianti idraulici con fluidi funzionali contenuti; sistemi chiusi per pulizia di tessili o parti metalliche) limitano il rilascio potenziale nell'aria e nell'acqua. e) L'uso indoor o outdoor di una sostanza determina fino a che punto i rilasci nell'aria e nell'acqua possono essere potenzialmente trattenuti per il trattamento, e fino a che punto le condizioni meteorologiche aumentano il rilascio di sostanze dagli articoli. f) Per articoli usati in condizioni che favoriscono il rilascio (quali abrasione di pneumatici o pastiglie dei freni) si può prevedere che la frazione rilasciata nell'ambiente sia relativamente elevata. Ciò si applica anche ad articoli nei quali il rilascio di sostanze è persino prevista (ad esempio, da articoli profumati). In questo criterio rientra anche la lavorazione di articoli con tecniche abrasive (ad esempio, sabbiatura o asportazione dello strato superficiale ad alta pressione). Una valutazione della sicurezza chimica deve comprendere non solo gli usi di una sostanza, ma anche i conseguenti cicli di vita delle sostanze inglobate nella o sulla matrice dell'articolo. Pertanto, per le sostanze pericolose trasformate in articoli, il fabbricante o l'importatore della sostanza può ritenere opportuno specificare i tipi di articoli che sono previsti negli scenari d'esposizione (ES).

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Tabella 7. Categorie di rilascio nell’ambiente (ERC) nella costruzione degli scenari espositivi

Categorie di rilascio nell’ambiente (ERC)

ERC1 Produzione di sostanze

ERC2 Formulazione di preparati

ERC3 Formulazione in materiali

ERC4 Uso industriale di coadiuvanti tecnologici in processi e prodotti, che non entrano a far parte di articoli

ERC5 Uso industriale che ha come risultato l'inclusione in una matrice o l'applicazione a una matrice

ERC6a Uso industriale che ha come risultato la produzione di un'altra sostanza (uso di intermedi)

ERC6b Uso industriale di coadiuvanti tecnologici reattivi

ERC6c Uso industriale di monometri per la produzione di termoplastiche

ERC6d Uso industriale di regolatori di processo per processi di polimerizzazione nella produzione di resine, gomme, polimeri

ERC7 Uso industriale di sostanze in sistemi chiusi

ERC8a Ampio uso dispersivo indoordi coadiuvanti tecnologici in sistemi aperti

ERC8b Ampio uso dispersivo in indoor di sostanze reattive in sistemi aperti

ERC8c Ampio uso dispersivo interno che ha come risultato l'inclusione in una matrice o l'applicazione a una matrice

ERC8d Ampio uso dispersivo outdoor di coadiuvanti tecnologici in sistemi aperti

ERC8e Ampio uso dispersivo outdoor di sostanze reattive in sistemi aperti

ERC8f Ampio uso dispersivo outdoor che ha come risultato l'inclusione in una matrice o l'applicazione a una matrice

ERC9a Ampio uso dispersivo indoor di sostanze in sistemi chiusi

ERC9b Ampio uso dispersivo outdoor di sostanze in sistemi chiusi

ERC10a Ampio uso dispersivo outdoor di articoli e materiali di lunga durata a basso rilascio

ERC10b Ampio uso dispersivo outdoor di articoli e materiali di lunga durata con rilascio elevato o intenzionale (compresa lavorazione con abrasivi)

ERC11a Ampio uso dispersivo indoor di articoli e materiali di lunga durata a basso rilascio

ERC11b Ampio uso dispersivo indoor articoli e materiali di lunga durata con rilascio elevato o intenzionale (compresa lavorazione con abrasivi)

ERC12a Lavorazione industriale di articoli con tecniche abrasive (basso rilascio)

ERC12b Lavorazione industriale di articoli con tecniche abrasive (rilascio elevato)

La tabella 8 fornisce un ampio elenco di tipi di articoli con rilascio non intenzionale. L'obiettivo è la caratterizzazione basata sui materiali. Per consentire anche una descrizione della durata d'uso in articoli complessi composti da molteplici materiali, sono stati comprese nell'elenco categorie per veicoli e macchinari. La tabella 8 contiene anche un elenco di esempi di articoli contenenti sostanze destinate a essere rilasciate. Le sostanze destinate a essere rilasciate devono essere registrate ai sensi del regolamento REACH e pertanto hanno uno status specifico nei sistemi dei descrittori d'uso. Non sarà possibile né necessario elencare in dettaglio tutti i tipi di articoli in cui la sostanza può finire. Tuttavia, il dichiarante deve considerare nella propria valutazione della

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sicurezza chimica (CSA) i rischi potenziali derivanti dalla sostanza nel corso della durata d'uso dell'articolo (e successive fasi di smaltimento), e può trovarsi in condizione di dover comunicare a valle della catena di approvvigionamento le misure per limitare l’esposizione/i rilasci da articoli (ad esempio rilasci di prodotti chimici per tintura e finitura da prodotti tessili). Pertanto il dichiarante necessita di sviluppare informazioni sullo scenario d'esposizione per tipi di articoli rappresentativi per la propria sostanza. L’elenco è tutt’ora in corso di sviluppo da parte di ECHA. Tabella 8. Categorie di rilascio nell’ambiente (ERC) nella costruzione degli scenari espositivi

Categorie di articoli complessi senza rilascio intenzionale

AC1 Veicoli

AC2 Macchinari, apparecchi meccanici, articoli elettrici/elettronici

AC3 Batterie elettriche e accumulatori

AC4 Articoli in pietra, gesso, cemento, vetro e ceramica

AC5 Stoffe, tessuti e abbigliamento

AC6 Prodotti in pelle

AC7 Prodotti metallici

AC8 Prodotti di carta

AC10 Prodotti di gomma

AC11 Articoli in legno

AC13 Prodotti di plastica

Descrittore d'uso per articoli con rilascio intenzionale di sostanze

AC31 Indumenti profumati

AC32 Gomme per cancellare profumate

AC33 Voce rimossa dopo il meeting REACH CA nel marzo 2008.

AC34 Giocattoli profumati

AC35 Articoli di carta profumati

AC36 CD profumati

AC38 Materiali per l'imballaggio di parti metalliche, che rilasciano inibitori di grassi/della corrosione

La documentazione delle attività durante la fabbricazione e l'uso di una sostanza in una struttura gerarchica ad “albero” può facilitare la relazione e la comunicazione dal punto di vista della catena di approvvigionamento, e consentire il collegamento degli usi ai flussi di massa della sostanza. La base dello schema è rappresentato dalla fabbricazione della sostanza che successivamente si ramifica nella formulazione di svariati prodotti chimici. Gli usi in una categoria del prodotto chimico si diramano a loro volta nuovamente in svariati usi industriali, professionali e di consumo, che sono potenzialmente seguiti dalla durata d'uso negli articoli.

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Il sistema dei descrittori d'uso supporta la documentazione in una struttura gerarchica in modo da rappresentare le 8 combinazioni possibili tra fasi di ciclo di vita (fabbricazione, formulazione, uso finale o durata d'uso) e gruppi di utilizzatori principali (lavoratori industriali, professionisti o consumatori).

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2. Valutazione del rischio derivato dall’esposizione a prodotti di combustione di candele profumate e differente matrice paraffinica Il presente studio ha avuto l’obiettivo di valutare la possibile esposizione ad agenti chimici ed il conseguente rischio per i consumatori in diversi scenari di utilizzo di candele in alcuni ambienti domestici ritenuti maggiormente rappresentativi o peggiorativi in termini di esposizione, in accordo con il crescente interesse scientifico sulla contaminazione dell'aria indoor e sullo studio delle principali sorgenti di sostanze inquinanti negli ambienti di vita confinati. In alcune precedenti ricerche, sono state misurate le emissioni di benzene, toluene, etilbenzene, xileni (BTEX), idrocarburi policiclici aromatici (IPA), aldeidi, ossidi di azoto, monossido di carbonio (CO), dibenzodiossine (PCDD), dibenzofurani (PCDF) e particolato atmosferico (PM) derivanti dalla combustione di candele. La valutazione del rischio per la salute della popolazione non ha evidenziato la presenza di particolari criticità nel caso della maggior parte degli inquinanti indagati. Nello specifico nello studio di Lau et al. 20 sono state determinate concentrazioni massime di PCDD/PCDF, benzo(a)pirene e alcuni VOC in ambienti indoor a bassa volumetria, prossime all’1% dei limiti utilizzati come riferimento nella valutazione del rischio. Nello studio di Fan e Zhang21 sono stati determinati i fattori di emissione per il particolato atmosferico ottenendo valori compresi tra 0,35 ± 0,06 mg/g e 9,04 ± 4,0 mg/g. Il diametro aerodinamico delle particelle è risultato inferiore a 1 µm, con un intervallo prevalente compreso tra 0,1 e 0,3 µm. Nello studio di Lee e Wang 22 è stata invece valutata la composizione delle emissioni per differenti materie prime utilizzate nella produzione di candele. Nello specifico è stato determinato che le candele a base di gel sono caratterizzate da maggiori emissioni di contaminanti atmosferici rispetto a candele paraffiniche e di cera d’api.

Altri lavori presenti in letteratura 23,24 hanno inoltre sperimentalmente determinato i livelli di emissione delle particelle nei fumi di combustione delle candele, in numero e massa. Nello studio di Zai et al.25 sono state caratterizzate le differenze nei fattori di emissione in funzione della tipologia di fiamma durante la combustione, ottenendo valori pari a 4,05

20 Lau C, Fiedler H, Hutzinger O, Schwind KH, Hosseinpour J. Levels of selected organic compounds in materials for candle production and human exposure to candle emissions. Chemosphere 1997; 34: 1623-1630. 21 Fan CW, Zhang J. Characterization of emissions from portable household combustion devices: particle size distributions, emission rates and factors, and potential exposures. Atmos Environ 2001; 35: 1281-1290. 22 Lee SC, Wang B. Characteristics of emissions of air pollutants from mosquito coils and candles burning in a large environmental chamber. Atmos Environ 2006; 40: 2128–2138. 23 Guo Z, Mosley R, McBrian JA, Fortmann R. Fine particulate matter emissions from candles. Proceedings of Engineering Solutions to Indoor Air Quality Problems Symposium. Air and Waste Management Association, Sewickley, PA, 2000: 211–225. 24 Belosi F, Santachiara G. Candele profumate: un caso rilevante di inquinamento indoor? It J Occup Environ Hyg 2008; 33: 152–159 25 Zai S, Zhen H, Jia-song W. Studies on the size distribution, number and mass emission factors of candle particles characterized by modes of burning. J Aerosol Sci 2006; 37: 1484–1496.

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1012 ± 0,73 1012 particelle/g di candela combusta per combustione con fiamma stabile e valori pari a 1,49 1012 ± 0,32 1012 particelle/g per combustione con fiamma instabile (corrispondenti a fattori di emissione per il PM10 rispettivamente di 0,055 ± 0,004 mg/g e 1,08 ± 0,32 mg/g).

Anche nel caso delle concentrazioni ponderali le emissioni sono state fortemente influenzate dalla tipologia di fiamma. Nello specifico sono state determinate concentrazioni in massa variabili tra i 2 mg/m3 e 17 mg/m3 26 e concentrazioni in numero di particelle ultrafini tra 104 particelle/cm3 e 106 particelle/cm3, mentre particelle con diametro aerodinamico maggiore hanno avuto un basso riscontro sperimentale.

In altri due studi è stato valutato l’impatto dell’utilizzo di differenti tipologie di stoppini contenenti zinco, piombo e relativi composti sulle concentrazioni di tali metalli pesanti nei rispettivi fumi di combustione. In particolare le emissioni di piombo sono state comprese tra 0,5 µg/h e 66 µg/h e tra 1,2 e 124 µg/h per lo zinco 27. Nell’altro studio 28 sono state invece riscontrate concentrazioni medie di piombo decisamente superiori (770 µg/h). In una valutazione modellistica delle potenziali concentrazioni indoor raggiungibili durante l’uso di tali candele sono stati determinati valori medi di esposizione a piombo pari a 9,9 µg/m3, con valori massimi pari a 42,1 µg/m3. Il confronto di tali risultati con il relativo limite di riferimento ha permesso di evidenziare che le candele con stoppini contenenti piombo possono comportare durante il loro uso potenziali rischi per la salute della popolazione generale. 2.1 Strategia di indagine e approccio metodologico Sono state sottoposte ad indagine tre tipologie di materie prime (paraffina, intermedio e ‘slack’), caratterizzate da un diverso contenuto percentuale di sostanze altobollenti e differenti candele commerciali colorate caratterizzate anche dalla presenza di fragranze (corteccia, frangipane, rabarbaro e aloe). La determinazione dei fattori di emissione ha riguardato i seguenti inquinanti: sostanze organiche volatili apolari quali benzene, toluene, etilbenzene e xileni (BTEX), sostanze organiche volatili polari quali aldeidi leggere (acetaldeide, formaldeide, acroleina/propionaldeide, butirraldeide, benzaldeide), IPA (naftalene, acenaftilene, acenaftene, fluorene, fenantrene, antracene, fluorantene, pirene, crisene, dibenzo-a,h- antracene, benzo(g,h,j)-perilene, benzo-a-antracene, benzo-b-fluorantene, benzo-k-

26 Ott W, Siegmann H. Using multiple continuous fine particle monitors to characterize tobacco, incense, candle, cooking, wood burning, and vehicular sources in indoor, outdoor, and in-transit setting. Atmos Environ 2006; 40: 821–843. 27 Van Alphen M. Emission testing and inhalational exposure-based risk assessment for candles having Pb metal wick cores. Sci Total Environ 1999; 243: 53–65. 28 Nriagu J O, Kim M. Emission of lead and zinc from candles with metal-core wicks. Sci Total Environ 2000; 250: 37–41.

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fluorantene, benzo-a-pirene, indeno(1,2,3-cd)pirene, CO, ossidi di azoto (NOx), biossido di zolfo (SO2) e PM. La misura dei fattori di emissione è stata effettuata in una camera di combustione steady-burning appositamente progettata e realizzata per standardizzare le variabili sperimentali e rendere riproducibili i risultati.29 La valutazione del rischio è stata in seguito sviluppata solo sulle sostanze con caratteristiche rilevanti di tossicità acuta e/o cancerogenicità, in combinazione con l’entità dei livelli di emissione determinati sperimentalmente in camera di combustione. E’ stata quindi condotta un’indagine tossicologica approfondita sulle seguenti sostanze: formaldeide, acroleina+propionaldeide, acetaldeide, benzene, naftalene, benzo(a)pirene, CO, NOx, SO2 e PM, al fine di selezionare i rispettivi valori di soglia utili ad una valutazione del rischio specifica per gli ambienti di vita.

Tale selezione è avvenuta tramite una raccolta sistematica di tutte le informazioni rilevanti nella letteratura scientifica e nella documentazione prodotta da organismi internazionali e nazionali utilizzando i seguenti criteri: - privilegiando i riferimenti internazionali; - privilegiando valori di soglia specifici per gli ambienti indoor; - privilegiando limiti short-term (< 24 ore), data la sporadicità dell’utilizzo di candele da parte dei consumatori; - scegliendo i limiti più restrittivi, in ottemperanza al principio di precauzione. I limiti di esposizione e i rispettivi riferimenti, utilizzati nel successivo confronto con le concentrazioni predette, sono illustrati in tabella 9. Tramite la costruzione di scenari espositivi con il modello matematico validato single-compartment mass balance ConsExpo 4.130, sono state stimate le concentrazioni indoor dei contaminanti riportati in Tabella 9 sulla base dei rispettivi fattori di emissione e parametri chimico-fisici. Il modello scelto è stato creato appositamente per la caratterizzazione dell’esposizione inalatoria dei consumatori a sostanze rilasciate dall’utilizzo di articoli e rientra nell’elenco dei modelli certificati dalla comunità europea, consigliati per l’attuazione delle indicazioni del regolamento europeo REACH 31. 29 Le prove sperimentali riguardanti la determinazione dei fattori di emissione di differenti inquinanti atmosferici sono state effettuate dal Laboratorio di Analisi Chimiche del Dipartimento di Chimica, Materiali ed Ingegneria Chimica del Politecnico di Milano. Sulla base delle prove sperimentali effettuate per la determinazione dei fattori di emissione è stato deciso, in ottemperanza al principio cautelativo, di utilizzare nella stima modellistica i valori più elevati. Solamente per l’inquinante Benzo-a-pirene è stato considerato il set di dati completo per l’approccio probabilistico di 2° grado tramite il modello ConsExpo. 30 Delmaar JE, Park Z, Van Engelen JG. Consumer Exposure and Uptake Models. ConsExpo 4.1. Program Manual. National Institute for Public Health and the Environment (RIVM). 2005. 31 European Chemical Agency, ECHA. Guidance on information requirements and chemical safety assessment, Chapter R.14: Occupational Exposure Estimation Guidance for the implementation of REACH, 2008.

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Tabella 9. Limiti di esposizione per le sostanze investigate

Sostanza indagata Limite consigliato Tipo Riferimento

formaldeide 0,1 mg/m3 Cronico WHO, 2010 acroleina 0,2 µg/m3 Cronico Index Project, 2005

acetaldeide 0,2 mg/m3 Acuto Index Project, 2005 benzene 5 µg/m3 Cronico D.M. 60, 2002 naftalene 3 µg/m3 Cronico IRIS, 1999

benzo(a)pirene 1 ng/m3 Cronico EU, PAH, 2001 CO 10 mg/m3 Cronico D.M. 60, 2002 NO2 200 µg/m3 Acuto WHO, 2010 SO2 350 µg/m3 Acuto D.M. 60, 2002

PM2.5 25 µg/m3 Cronico WHO update, 2008 PM10 50 µg/m3 Cronico WHO update, 2008

Per soddisfare il principio cautelativo è stato ipotizzato uno scenario reasonable worst-case 32,33 in accordo con le linee guida del regolamento REACH, per la valutazione delle concentrazioni raggiunte anche nelle condizioni operative più improbabili. Lo scenario peggiorativo è stato strutturato con le seguenti variabili: combustione contemporanea di 4 candele per la durata di 4 ore, volumetria minima di un ambiente indoor (25 m3, equivalente alla volumetria di una stanza da bagno), ventilazione minima (0,1 ricambi/ora) 34, 35. La simulazione modellistica è stata condotta considerando un tasso di rilascio dell’inquinante (sotto forma di gas/vapori) costante, che approssima meglio la situazione reale di rilascio per i composti selezionati. La stima delle concentrazioni di PM è stata invece realizzata ipotizzando un rilascio costante assimilabile alla vaporizzazione di un composto non volatile, sottoposto ad una velocità di sedimentazione governata dalla legge di Stokes.

Di seguito sono riportate le equazioni che governano la modellazione delle concentrazioni in ambienti confinati nel modello ConsExpo 4.1. Le equazioni 1 e 2 sono utilizzate per la determinazione delle concentrazioni atmosferiche degli inquinanti gassosi. 32 Ahrens A., Theo P. Environmental exposure scenarios: development, challenges and possible solutions. J Expo Sci Environ Epidemiol 2007; 17: 7–15. 33 European Chemical Agency, ECHA. Guida alle prescrizioni in materia di informazione e alla valutazione della sicurezza chimica, Formato dello scenario d'esposizione parte D: creazione dello scenario d'esposizione, 2010. 34 Chao CY, Wan MP, Law AK. Ventilation performance measurement using constant concentration dosing strategy. Build Environ 2004; 39: 1277–1288. 35 Gilbert NL, Guay M, Gauvin D, Dietz RN, Chan CC, Le´vesque B. Air change rate and concentration of formaldehyde in residential indoor air. Atmos Environ 2008; 42: 2424–2428.

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/(1 )

qtA w to f rC eair qV

−× −

×=

[1] esposizione t < tr

/( )

(1 )A to r qt q t tr r

C e eair

qV

wf − − −

= × − ××

[2] esposizione t > tr

dove:

Cair : concentrazione atmosferica contaminante indagato [kg m-3] tr : tempo di rilascio [s] Ao : quantità del prodotto usato [kg] wf : frazione in peso del composto all’interno del prodotto [adimensionale] V : volumetria della stanza [m3] q : ventilazione della stanza (number of air changes per time) [s-1] t : tempo di esposizione [s]

Le equazioni 3 e 4 sono invece utilizzate per stimare le concentrazioni atmosferiche di inquinanti particellari.

1( ) ( , )C t A t d

air airVδ δ= ∫

[3]

( ) ( ) ( )( , ) (1 exp( ( ) ) exp( ( )( ))

( )

R v vairborne s sA t q T q t T

air vent spray vent sprayv h hsqvent h

δ δ δδ

δ= − − + × − + −

+

[4]

dove:

h : altezza della stanza [m] qvent : ventilazione della stanza [s-1] V : volumetria della stanza [m3] δ : diametro della particelle emesse [µm] vs : velocità di sedimentazione (Legge di Stokes) [m s-1] Rairbone : rilascio in massa delle particelle [g s-1] Tspray : tempo di emissione spray [s] t : tempo di esposizione [s]

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La determinazione gravimetrica del particolato nelle prove sperimentali in camera di combustione, in classi dimensionali con taglio aerodinamico (cut off 50%) di 0,25, 0,5, 1, 2,5 e 10 µm, ha evidenziato una netta preponderanza (circa 90% sul totale) di particelle emesse nell’intervallo granulometrico inferiore a 0,25 µm, conformemente a quanto riscontrato in letteratura (Fan CW, Zhang J. 2001). E’ stato quindi scelto di considerare la totalità del particolato emesso durante i test di combustione come appartenente a questa classe dimensionale, sempre in ottemperanza ad un criterio cautelativo (difatti la permanenza del PM e la penetrazione nell’albero respiratorio è correlata in modo inversamente proporzionale al diametro aerodinamico delle particelle che lo compongono).

Per le tre matrici paraffiniche sono state utilizzate le seguenti velocità di combustione, determinate sperimentalmente: 3 g/h per la matrice intermedio, 3,6 g/h per la matrice paraffina e 3,4 g/h per la matrice ‘slack’. Per le candele profumate è stato invece utilizzato un valore sperimentale medio pari a 5 g/h.

Uno dei limiti dell’utilizzo del modello ConsExpo 4.1 risiede nell’impossibilità di stimare la variabilità spaziale (specie in verticale) delle concentrazioni predette. Tale aspetto risulta rilevante quando si applichi il modello in uno scenario reale. In questo caso l’esposizione andrebbe stimata in zona respiratoria, a un’altezza media di 1,5 m dal suolo, considerando la variazione delle concentrazioni, che potrebbero essere maggiori vicino alla sorgente di emissione o presentare una stratificazione verticale, in funzione dei fattori di diffusione in atmosfera, delle proprietà chimico-fisiche della sostanza, dei fattori vettoriali di ventilazione e delle caratteristiche strutturali dei locali considerati. Il modello utilizzato è tuttavia un utile strumento di screening quando si vogliano ottenere stime dell’ordine di grandezza delle concentrazioni e della conseguente esposizione. Campionamenti e metodi analitici

BTEX

Gli inquinanti appartenenti alla categoria dei BTEX sono stati campionanti tramite prelievo attivo dei fumi di combustione, prodotti in camera sperimentale, su cartucce di carbone attivo (Carbotrap 349), con un flusso pari a 50 cm3/min per 4 ore. La metodologia è rappresentativa e confermata dalla scheda NIOSH 1501 standard (NIOSH 2003 c). Una preliminare purificazione dell’aria di entrata della camera di combustione è stata necessaria per annullare le concentrazioni di background già presenti in aria ambiente (utilizzo di filtri a carbone) tipicamente più alte di quelle prodotte dalla combustione di candele. Nella fase post-campionamento, ogni cartuccia è stata sottoposta a desorbimento termico (estrazione in a Perkin Elmer thermal desorbire, Turbomatrix 100) ed analisi tramite GC / MS (column Restek Rxi-5Sil-MS).

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Aldeidi

La tecnica seguita per il campionamento e determinazione delle aldeidi nei fumi di combustione è stata adeguata alla metodica NIOSH 2016 (NIOSH 2003a). I gas sono stati prelevati su cartucce contenenti dinitrophenylhydrazine (LpDNPH) con un flusso pari a 1.5 l/min per 30 minuti. Successivamente I campioni sono stati desorbiti con acetontrile e analizzati con tecnica HPLC (C18 column, 5 µm 250 mm, detector UV 360 nm, eluent acetonitrile). IPA

Il campionamento degli inquinanti appartenenti alla categoria IPA è stato eseguito previa filtrazione su politetrafluoro-etilene (PTFE) 0.2 µm (TE 35) ad un flusso di prelievo pari a 0.5 l/min per 2-4 ore. La fase gassosa è stata catturata su cartucce Tenax (Supelco XAD Tube Patch), in accordo alla metodica NIOSH 5515 (NIOSH 2003b). Il desorbimento è stato eseguito in bagno ad ultrasuoni con diclorometano e la successiva analisi è stata effettuata con tecnica GC-MS (selected ion recording SIR mode). Limite di detezione pari a < 1 ppb. PM

Differenti frazioni del particolato atmosferico (50% cut off a 10, 2.5, 1.0, 0.5, 0.25 µm) sono state campionate tramite il “personal cascade impactor sampler PCIS”, con un flusso di campionamento pari a 9 l/min. Il PM è stato raccolto su filtri in PTFE di diametro pari a 37 mm (2.0 µm) con un supporto circolare in polimetilpentene. (SKC Inc., Eighty Four, PA, USA). L’analisi di determinazione quantitativa del PM è avvenuta con metodo gravimetrico. Le membrane sono state sottoposte a condizionamento pre e post campionamento (temperatura 20 ± 1°C, umidità relativa 50 ± 5%) e pesata con bilancia microanalitica. (metodologia ASTM D 6552, weighing imprecision: 18 µg). Altri composto gassosi

I seguenti parametri sono stati misurati in camera di combustione tramite un analizzatore in continuo (Horiba PG 250): O2 with a paramagnetic Zirconia galvanized cell sensor, CO2, CO and SO2 by non-dispersive infrared spectroscopy and NOX by a cross-modulation ordinary pressure chemiluminescence method. 2.2 Analisi tossicologica dei principali inquinanti indagati 2.2.1 Formaldeide La formaldeide è un composto organico che a temperatura ambiente si presenta in fase gassosa, incolore, dall’odore acre, solubile in acqua, altamente reattivo, infiammabile e estremamente irritante per le membrane mucose. Si forma tramite l’ossidazione o la

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combustione incompleta di idrocarburi. Presente nell’aria ambiente in quanto uno dei principali componenti dello smog fotochimico. Rappresenta uno dei più stabili intermedi di ossidazione che si producono in atmosfera a causa della contemporanea presenza di ozono e di residui di idrocarburi derivanti dai processi di combustione (traffico veicolare e riscaldamento). La sua semivita nell’aria urbana varia dai 35 ai 50 minuti in base alla compresenza di quantità variabili di NO2. La formaldeide è anche uno dei principali inquinanti presente in ambienti indoor quali abitazioni e uffici, a causa del fumo di sigaretta e del lento rilascio dai mobili, dato che è presente nel truciolato, nel compensato e nelle colle. Nelle attuali produzioni il suo contenuto è mediamente inferiore rispetto al passato, ma sempre non trascurabile. La formaldeide viene utilizzata anche negli alimenti, nella cosmesi, nei disinfettanti, negli imballaggi, nelle colle usate per la rilegatura di libri e riviste. In campo industriale, la formaldeide trova larghissimo impiego nella fabbricazione di resine sintetiche, colle, solventi, vernici, conservanti, disinfettanti e deodoranti, detergenti e saponi, cosmetici, tessuti. In generale, a seguito del suo amplissimo impiego, è il composto organico volatile (VOC) più diffuso e più noto. Aspetti tossicologici

Grazie alla sua grande solubilità in acqua la formaldeide è rapidamente assorbita nel tratto respiratorio e gastrointestinale e successivamente metabolizzata. E’ stato evidenziato che la formaldeide o i suoi metaboliti possono anche penetrare, in piccole quantità, nella pelle umana attraverso il contatto dermico, inducendo allergia e dermatiti36. Grazie alla sua veloce metabolizzazione, l’esposizione umana a formaldeide non altera la concentrazione endogena nel sangue. Una volta assorbita, viene distribuita nel corpo attraverso metilol-derivati, formati istantaneamente in seguito alla reazione con ammine primarie e secondarie, tioli e ammidi. La formaldeide può reagire anche con le macromolecole biologiche come DNA, RNA e proteine, a formare addotti reversibili o cross-link irreversibili. La formaldeide che non si distribuisce nel corpo viene ossidata e esalata come diossido di carbonio attraverso i polmoni (semivita nel plasma di 1 – 1,5 minuti) o incorporata in macromolecole biologiche. Una piccola quantità di formaldeide viene secreta attraverso l’urina sotto forma di sali e diversi altri metaboliti. E’ stato anche notato che la formaldeide viene prodotta in piccole quantità come un normale metabolita del corpo umano stesso.

36 Bernstein RS, Stayner LT, Elliott LJ, Kimbrough R, Falk H, Blade L.Inhalation exposure to formaldehyde: an overview of its toxicology, epidemiology, monitoring, and control. Am Ind Hyg Assoc J. 1984 Nov;45(11):778-85.

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Gli effetti principali nell’uomo derivati da un’esposizione a breve termine alla formaldeide sono essenzialmente riconducibili a: irritazione agli occhi, naso e gola, lacrimazione, starnuti, tosse e nausea. In tabella 10 sono riportati i diversi livelli di effetto della formaldeide in seguito ad esposizioni di breve durata. Tabella 10. Livelli di effetto per esposizione a formaldeide a breve termine.

L’esposizione dell’uomo a lungo termine a livelli di formaldeide è stato oggetto di numerosi studi nel corso degli anni: in tabella 11 sono riportati i diversi livelli di effetto non cancerogeni derivati da un’esposizione a tempo prolungato.

Tabella 11. Livelli di effetto per esposizione a formaldeide a lungo termine. 37

Recentemente, sulla base di alcuni nuovi studi epidemiologici condotti su lavoratori addetti alla sintesi di formaldeide, la IARC, nel mese di giugno 2004 ha inserito la formaldeide nel gruppo 1 dei cancerogeni, vale a dire nei cancerogeni certi per l’uomo.

37 Institute for Health and Consumer Protection Physical and Chemical Exposure Unit, The Index Project, Critical Appraisal of the Setting and Implementation of Indoor Exposure Limits in the EU.

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Dal report finale della IARC38 sui rischi cancerogeni relativi alle sostanze chimiche si evince che sussistono sufficienti evidenze epidemiologiche che la formaldeide provochi il cancro nel tratto nasofaringeo dell’uomo e che ci sono spiccate ma non completamente sufficienti evidenze tra l’esposizione occupazionale alla formaldeide e l’insorgenza della leucemia, inoltre è stata riscontrata una limitata evidenza che la formaldeide provochi il cancro del seno paranasale nell’uomo.

Valutazione delle evidenze dose-risposta

In conclusione la soglia più bassa di effetto a breve termine sull’uomo (identificata dal valore LOAEL) è stata stabilita in corrispondenza di una concentrazione di 0,1 mg/m3 (0,0801 ppm) (Health Canada; WHO), mentre il NOAEL per l’esposizione a lungo termine è stato determinato a 0,03 mg/m3 (OEHHA39). Questo livello, nel caso più cautelativo, è stato diviso per un fattore di incertezza di 30, al fine di considerare le indicazioni che evidenziano la maggiore sensibilità dei bambini (AF = 3) rispetto agli adulti e le variazioni intraspecie (AF = 10). Esperti europei coinvolti nel progetto INDEX (Critical Appraisal of the Setting and Implementation of Indoor Exposure Limits in the EU), hanno proposto un Limite di Esposizione (EL) pari a 0,001 mg/m3 (1 µg/m3) valido sia per gli effetti a breve sia a lungo termine non cancerogeni, essendo stato considerato invariato l’effetto critico (irritazione delle mucose nasali e del tratto respiratorio superiore). Tuttavia vi sono ancora discussioni aperte circa la assoluta validità di detta proposta e, si segnala che, laddove la proposta dovesse essere rivista, è plausibile ipotizzare che il valore aggiornato non si discosti comunque dall’intervallo compreso tra l’unità fino al massimo alla decina di microgrammi per metro cubo di aria ambiente.

A tal proposito si segnala che anche altre istituzioni internazionali indicano livelli di esposizione raccomandati per scongiurare effetti a lungo termine nell’uomo, variabili tra 0,003 mg/m3 (ATSDR)40 e 0,010 mg/m3 (OEHHA)41. L’OEHHA ha stabilito un REL inalatorio per 1 ora pari a 94 µg/m3 in un report sulla tossicità acuta della formaldeide42. Secondo la IARC43 un’esposizione cronica inferiore a un valore soglia di irritabilità delle membrane mucose (pari a una concentrazione di formaldeide nell’aria inspirata ≤ 0,15

38 IARC. Monographs on the Evaluation of the Carcinogenic Risk of Chemicals to Man. Vol 88 Summary of Data Reported and Evaluation. (Last updated: September 7, 2004). 39 Valore presente in tabella 3. 40 ATSDR (1999). Toxicological Profile for Formaledhyde, Agency for Toxic Substances and Disease Registry U.S. Department of Health and Human Services: 423 pp + appendices. 41 OEHHA (2000). Air Toxics Hot Spots Program Risk Assessment Guidelines Part III. Technical Support Document for the Determination of Noncancer Chronic Reference Exposure Levels. Office of Environmental Health Hazard Assessment, Cal/EPA, April 2000. 42 OEHHA. Office of Environmental of Health Hazard Assessment. Air Toxicology and Epidemiology. Determination of Acute Reference Exposure Levels for Airborne Toxicants, Formaldehyde. March 1999. 43 Institute for Health and Consumer Protection Physical and Chemical Exposure Unit, The Index Project, Critical Appraisal of the Setting and Implementation of Indoor Exposure Limits in the EU, 2005.

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mg/m3) determina un rischio di insorgenza di cancro nel tratto respiratorio estremamente basso, praticamente trascurabile. Quest’ultima affermazione potrebbe comunque essere sottoposta a cambiamenti in base alle odierne revisioni. In aggiunta va considerato che i limiti di esposizione per la formaldeide devono tuttavia essere paragonati alla concentrazione di background nelle aree rurali che in linea di massima la popolazione europea è esposta. Di norma le concentrazioni indoor sono pari a: livello mediano ± DS: 26 ± 6 µg/m3; 90th ± DS : 59 ± 7 µg/m3 ; N= 6.44

Sulla base di questo la WHO45 ha stabilito che una concentrazione media pari a 0,1 mg/m3 su un tempo di 30 minuti può essere considerata non dannosa per la maggior parte della popolazione in relazione a possibili effetti sensoriali. Nella linea guida viene tuttavia sottolineato che tale limite può essere utilizzato anche per gli effetti derivati da un’esposizione a lungo termine (come cancro al tratto nasofaringeo e leucemia) nella valutazione del rischio per la popolazione generale. 2.2.2 Acroleina L’acroleina è un’aldeide che a temperatura ambiente si presenta allo stato liquido, con un leggero colore tendente al giallastro, dall’odore acre, solubile in acqua, volatile e infiammabile. Il principale uso dell’acroleina è come intermedio nella sintesi di acido acrilico (dal quale vengono prodotti gli acrilati) e di DL-methionine, un amminoacido usato come integrante alimentare per cibo per animali. Un altro importante uso dell’acroleina è come biocida, in particolare come erbicida (con funzione di alghicida) negli impianti di ricircolo dell’acqua. In ambiente outdoor l’acroleina può essere rilasciata principalmente dai siti di produzione, e da fenomeni di combustioni (fonti come traffico auto veicolare, incendi), ed è presente in atmosfera come uno dei prodotti della foto-ossidazione di inquinanti idrocarburici. Negli ambienti indoor invece le sorgenti primarie di acroleina sono rappresentate dal fumo di sigaretta e dalla cottura dei cibi. Nella valutazione degli scenari espositivi in ambienti indoor derivanti dall’utilizzo di candele, l’obiettivo è quello di determinare se l’acroleina, originata dalla combustione, e quindi allo stato gassoso, può raggiungere concentrazioni che possono destare preoccupazione per la salute umana. Per caratterizzare una tale situazione di rischio potenziale di seguito viene effettuata un’indagine tossicologica della sostanza.

44 Institute for Health and Consumer Protection Physical and Chemical Exposure Unit, The Index Project, Critical Appraisal of the Setting and Implementation of Indoor Exposure Limits in the EU, 2005. 45 World Health Organization for Environment and Health. WHO guidelines for indoor air quality: selected pollutants. 2010. WHO Regional Office for Europe Scherfigsvej 8 DK-2100 Copenhagen, Denmark Bonn Office. WHO Guidelines.

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Aspetti tossicologici

Sulla base delle caratteristiche chimico-fisiche dell’acroleina la via preferenziale di assorbimento per l’uomo in normali condizioni ambientali e comportamentali è quella inalatoria. Studi sull’assorbimento inalatorio hanno indicato che il tasso di ritenzione di acroleina nel tratto respiratorio superiore equivale al 75 - 80%. L’acroleina è risultata essere molto reattiva con le cellule biologiche. La sua reattività è dovuta al doppio legame carbonio-carbonio, polarizzato dal gruppo aldeidico e reso più affine per un’addizione nucleofila. L’acroleina nel sito di contatto tende a reagire immediatamente con gruppi solfidrici e amminici, che possono essere legati a proteine. Ciò implica una bassa distribuzione nel corpo e una conseguente azione sulle cellule (citotossicità) nel solo sito di contatto. I metaboliti dell’acroleina (acido mercapturico e derivati) sono stati ritrovati nell’urina di topi in seguito ad un’esposizione orale, con una percentuale del 10-22% rispetto al totale dell’acroleina assorbita, ma anche in seguito ad esposizioni di tipo inalatorio e intraperitoneale46. La via metabolica ritenuta più probabile prevede la coniugazione con il glutatione.

Effetti sulla salute umana

L’esposizione inalatoria all’acroleina è considerata estremamente tossica per l’uomo, tuttavia non sono attualmente disponibili dati circa l’esposizione umana inalatoria cronica sufficienti per effettuare opportune valutazioni. Alcuni studi di tossicità acuta hanno documentato che l’acroleina può essere causa di intensa irritazione nasale e oculare e altri test tossicologici su animali da laboratorio hanno indicato che i principali siti bersaglio sono costituiti dagli epiteli nasali e polmonari. I differenti livelli soglia di acroleina che causano effetti irritativi sull’uomo e sulla salute umana in generale sono stati stabiliti rispettivamente a 0,7 mg/m3 per la percezione odorosa, 0,13 mg/m3 per l’irritazione degli occhi, 0,3 mg/m3 per l’irritazione nasale, e 0,7 mg/m3 per una diminuzione del tasso di respirazione 47. Attualmente la cancerogenicità dell’acroleina per via inalatoria non è stata determinata per la mancanza di dati adeguati. L’EPA48 ha classificato l’acroleina in gruppo C, come possibile cancerogeno per l’uomo. Tale classificazione è basata sull’aumentata incidenza di adenomi corticali e adrenali in esemplari femmine di ratto e sul potenziale cancerogeno

46 Linhart I, Frantik E; Vodickova L; Vosmanska M; Smejkal J; Mitera J. Biotransformation of Acrolein in Rat: Excretion of Mercapturic Acids after Inhalation and Intraperitoneal Injection. Toxicol Appl Pharmacology. 1996; 136(1): 155-160. 47 Environmental Health Criteria 127: Acrolein pp. 12-14 (1992) by the International Programme on Chemical Safety (IPCS) under the joint sponsorship of the United Nations Environment Programme, the International Labor Organisation and the World Health Organization. 48 U.S. Environmental Protection Agency's Integrated Risk Information System (IRIS) on Acrolein (107-02-8) Available from: http://www.epa.gov/ngispgm3/iris on the Substance File List as of March 15, 2000.

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di un metabolita dell’acroleina. L’acroleina è risultata inoltre mutagena in test eseguiti su batteri. La IARC classifica invece l’acroleina nel gruppo 3, tra le sostanze non classificabili come cancerogeni per l’uomo49. La motivazione risiede nell’inadeguatezza delle evidenze disponibili circa la cancerogenicità sull’uomo e nella incompletezza delle evidenze disponibili per la sua cancerogenicità su animali testati in laboratorio. Anche l’ACGIH classifica l’acroleina come non cancerogeno per l’uomo, inserendola nella propria lista nella classe A4. Valutazione delle evidenze dose-risposta

Una stima quantitativa per il rischio di effetti cronici non cancerogeni è stata sviluppata da dati sugli animali, data l’assenza di informazioni adeguate sull’uomo, ottenendo una RfC50 pari a 2·10-5 mg/m3 (0,2 µg/m3)51 sulla base di un effetto critico costituito da lesioni localizzate a livello del tratto respiratorio superiore e dei polmoni. La RfC è stata derivata tramite l’utilizzo di fattori di correzione pari a 1000 (3 per l’estrapolazione inter-specie; 10 per la variabilità intra-specie; 10 per l’estrapolazione da sub cronica a cronica e 3 per la mancanza di un NOAEL) sulla base di un LOAEL pari a 0,9 mg/m3, ottenuto in uno studio di tossicologia sperimentale da Feron e collaboratori su topi, conigli e cavie52. Non essendo disponibili adeguate evidenze per determinare il potenziale cancerogeno dell’acroleina non esistono limiti di esposizione raccomandati per minimizzare il rischio di possibili effetti cancerogeni sull’uomo. Si evidenzia comunque che, in uno studio svolto da Vincent Y.53 nel 2007, è stata misurata la concentrazione di acroleina in diversi ambienti indoor di 3 città della California (Los Angeles, Placer, Yolo). I risultati ottenuti si collocano in un intervallo da 2,1 a 12,2 µg/m3, corrispondente ad un ordine di grandezza superiore rispetto alle concentrazioni misurate nei rispettivi ambienti outdoor (0,09 ÷ 1,7 µg/m3). Tali valori dimostrano che le fonti indoor di acroleina normalmente riscontrabili negli ambienti di vita possono ingenerare concentrazioni sensibilmente superiori rispetto al limite di esposizione, fissato a 0,2 µg/m3. 49 IARC. Monographs on the Evaluation of the Carcinogenic Risk of Chemicals to Man. Geneva: World Health Organization, International Agency for Research on Cancer, 1972-PRESENT. (Multivolume work)., p. 63 361 (1995). 50 RfC = Inhalation Reference Concentration. Concentrazione dell’aria inalata ritenuta avere un effetto di rischio minimo per un’esposizione cronica per tutto il ciclo vitale. 51 U.S. Environmental Protection Agency's Integrated Risk Information System (IRIS) on Acrolein (107-02-8) Available from: http://www.epa.gov/ngispgm3/iris on the Substance File List. 52 Feron VJ, Kruysse A, Til HP, Immel HR. Repeated exposure to acrolein vapour: subacute studies in hamsters, rats and rabbits. Toxicology. 1978 Feb;9(1-2):47-57. 53 Vincent Y., Seaman, Deborah H. Bennett and Thomas M. Cahill, Origin, Occurrence, and Source Emission Rate of Acrolein in Residential Indoor Air,Departments of Environmental Toxicology and Public Health, University of California, Environmental Science & Technology/Vol. 41, NO. 20,2007.

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2.2.3 Acetaldeide L’acetaldeide a temperatura ambiente è un liquido volatile e incolore. Oltre a possedere un forte odore pungente, è irritante per le membrane mucose ed è altamente infiammabile. E’ un’aldeide molto reattiva ed un forte agente riducente. Tipicamente le concentrazioni più alte di acetaldeide si ritrovano in ambienti indoor, essendo generata in fenomeni di combustione di sigarette, camini e forni a legna. Quantità di acetaldeide possono essere emesse anche dalla cottura di carne, dall’ebollizione del caffè e da alcuni materiali presenti nelle abitazioni come schiume rigide poliuretaniche, colle, lubrificanti, inchiostri. E’ usata anche come conservante alimentare (in particolare per frutta e pesce), esaltatore di sapidità, solvente per gomme sintetiche, nella fabbricazioni di profumi e nelle plastiche. Poiché l’acetaldeide è anche un prodotto del metabolismo umano, rilasciato tramite esalazione, è stata stimata una probabile correlazione tra l’aumento della concentrazione negli ambienti indoor e la presenza di un eccessivo numero di individui. In ambiente outdoor l’acetaldeide è prodotta principalmente dai gas di scarico degli autoveicoli e dalle emissioni atmosferiche di molte tipologie di industrie. Anche la combustione di gas, olio di combustione e carbone può produrre acetaldeide, senza escludere la degradazione di idrocarburi, fanghi biologici e prodotti solidi biologici. Aspetti tossicologici

In seguito ad un’esposizione inalatoria l’acetaldeide viene ritenuta a livello delle mucose del tratto respiratorio umano, con una conseguente e immediata reazione che porta alla realizzazione di legami con gruppi solfidrici legati o meno a proteine, con la successiva formazione di tioli. La percentuale di acetaldeide ritenuta in seguito all’esposizione inalatoria può variare tra il 45 e il 70 %, in base alla durata del ciclo respiratorio. E’stato inoltre dimostrato che l’acetaldeide assorbita per via inalatoria può essere distribuita nel sangue, fegato, reni, milza, cuore e altri tessuti muscolari. Tramite diversi passaggi metabolici, l’acetaldeide viene infine eliminata dal corpo umano sotto forma di tioeteri e disolfidi, mediante l’urina. Sono stati descritti anche fenomeni di ossidazione dell’acetaldeide, dopo inalazione, ad acetato, tramite l’aldeide deidrogenasi (ALDH). L’acetato formato a sua volta entra successivamente nel ciclo dell’acido citrico come acetyl-CoA.

Effetti sulla salute umana

Gli effetti derivati da una breve esposizione ad acetaldeide si rifanno ad una generale irritazione degli occhi e delle prime vie aeree con un’eventuale alterazione delle funzioni respiratorie. In tabella 12 sono riportati i livelli di effetto dell’acetaldeide determinati per esposizioni acute a breve termine.

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Tabella 12. Livelli di effetto per esposizione a breve termine ad acetaldeide.

In tabella 13 sono invece riassunti i diversi livelli di effetto non cancerogeno derivati da un’esposizione caratterizzata da tempi prolungati. I test sono stati effettuati su ratti esposti ad acetaldeide per 4 settimane. Tramite diversi fattori di valutazione (UF uncertainty factor) sono stati ricavati dei valori di sicurezza per l’uomo; tali valori vengono riportati nell’ultima colonna (dove RfC = Refernce Concentration; TC = Tolerable Concentration; REL = chronic non-cancer Reference Exposure Level). Tabella 13. Livelli di effetto per esposizione a lungo termine54.

L’acetaldeide è stata inserita dalla IARC nella categoria 2B (probabile cancerogeno per l’uomo), per le sufficienti evidenze riscontrate sperimentalmente su animali e per le inadeguate evidenze riscontrate sull’uomo55. L’acetaldeide risulta essere inoltre genotossica in vitro e in vivo, mentre sono lacunose le attuali conoscenze circa la citotossicità, la proliferazione cellulare e la formazione di molecole cross-link con DNA e proteine, implicate nella sequenza della cancerogenesi.

54 Le tabelle 2 e 3 presentano scrittura inglese perchè riportate interamente dal report: Institute for Health and Consumer Protection Physical and Chemical Exposure Unit, The Index Project, Critical Appraisal of the Setting and Implementation of Indoor Exposure Limits in the EU. 55 IARC. Monographs on the Evaluation of the Carcinogenic Risk of Chemicals to Man. Geneva: World Health Organization, International Agency for Research on Cancer, 1972-PRESENT. (Multivolume work), p. V71 331 (1999).

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Valutazione delle evidenze dose-risposta

Sulla base degli sudi condotti sull’esposizione inalatoria a breve termine e lungo termine, è stato stabilito che il tratto superiore del sistema respiratorio è principalmente interessato dagli effetti che ne conseguono. Un limite di esposizione (EL = Exposure Limit) pari a 0,2 mg/m3 è stato derivato (e accettato come soglia massima di esposizione dalla commissione del progetto Index) per gli effetti a breve e lungo termine d’esposizione, a partire da un LOAEL suddiviso per un fattore di valutazione di 20056. Essendo considerate analoghe le patologie correlate alle due tipologie d’esposizione il limite identificato risulta di conseguenza valido per entrambe. Tale limite è di un ordine di grandezza superiore rispetto alla concentrazione media determinata negli ambienti indoor (10–20 µg/m3). I processi di valutazione del rischio dovuto all’esposizione ad acetaldeide hanno determinato dei valori di riferimento per la tutela della salute umana, riportati in figura 6. E’stata anzitutto ottenuta una RfC pari a 0,003 mg/m3 da EPA-IRIS, un REL determinato da OEHHA pari a 0,009 mg/m3, e una TC pari a 0,39 mg/m3, determinata da Health Canada. E’ stato inoltre determinato che la genotossicità ed i fenomeni di irritazione causati dall’esposizione ad acetaldeide giocano un ruolo non trascurabile nella cancerogenesi. Nel report della Commissione Europea sul progetto INDEX, sulla base di quanto già esposto, è stato evidenziato che la possibilità di insorgenza di fenomeni tumorali per concentrazioni di acetaldeide nell’aria inalata < 45 mg/m3, valore corrispondente alla soglia di irritabilità delle membrane mucose, è estremamente bassa. Infine il Dipartimento Federale per la tutela della salute canadese (Health Canada) e l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente americana (EPA - 1998) hanno utilizzato una sperimentazione tossicologica di Woutersen e collaboratori del 198657 relativa all’insorgenza di tumori (adenocarcinomi nasali e cellule carcinoma-squamose) in base all’esposizione di ratti ad acetaldeide, per quantificare il potere cancerogeno con approccio stocastico. Health Canada ha quindi calcolato nel 2000 un limite di 28 mg/m3, come la concentrazione alla quale si stima un’incidenza di tumore nel 5% degli individui, mentre l’EPA nel 1998 ha stimato un’unità di rischio relativo per inalazione di acetaldeide pari a 2,2 10-6 per µg/m3. 2.2.4 Particolato atmosferico Nel particolato aerodisperso (total suspended particulate, TSP) sono comprese numerose sostanze organiche ed inorganiche, solide e liquide, derivanti sia da fonti naturali (vulcani, polvere terrestre) sia antropogeniche (centrali termiche, inceneritori, traffico veicolare,

56 200 risulta essere il prodotto dei seguenti fattori di valutazione: 10 per la trasformazione da LOAEL a NOAEL; 10 per le variazioni intraspecie; 2 per la scarsa qualità dei dati risultanti dagli studi. 57 Woutersen RA, Appelman LM, Van Garderen-Hoetmer A, Feron VJ. Inhalation toxicity of acetaldehyde in rats. III. Carcinogenicity study.Toxicology. 1986;41:213-231.

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riscaldamento domestico). Dal punto di vista chimico, nel TSP sono presenti, oltre al carbonio elementare ed organico, metalli, nitrati e solfati; a questi ultimi si deve la componente acida del particolato. Negli USA, la Environmental Protection Agency (EPA) ha raccomandato di misurare la

concentrazione delle particelle con diametro inferiore a 10 µm (PM10) quale miglior indice della contaminazione ambientale pericolosa per l’uomo, in quanto tali particelle risultano “respirabili” e quindi in grado di penetrare in profondità nell’albero respiratorio. In Italia, l’emissione di polveri è stimata nell’ordine di 0,5 milioni di tonnellate anno, delle quali il 39% provenienti dai processi industriali e il 38,5% dai trasporti. Per ciò che attiene ai dati di contaminazione atmosferica, a Torino e Milano nel decennio ’80-’90 l’andamento

è risultato in diminuzione da 200 a 150 µg/m3; nel periodo 1992-1993, tale andamento ha

trovato conferma nel riscontro di valori compresi nell’intervallo 75-125 µg/m3 a Milano, Torino, Modena, Bologna, Roma. La maggior parte delle città italiane mostra livelli di TSP

superiori al valore guida di 60 µg/m3, e per almeno il 5% dei giorni si supera il livello di

125 µg/m3 (Forastiere & Agabiti, 199758). Sono ben studiati gli effetti da inquinamento da polveri nei confronti della funzionalità respiratoria, così come è ben nota l’associazione con l’insorgenza di broncopneumopatia cronica ostruttiva. Come precedentemente accennato, le dimensioni del particolato (granulometria) condizionano la pericolosità del TSP in quando ne influenzano la penetrazione via via più profonda nell’apparato respiratorio: decrementi della funzionalità

polmonare sono stati osservati per esposizioni di 24 ore a livelli superiori a 125 µg/m3 per

la frazione respirabile, e a 180 µg/m3 di TSP totale; un aumento di morbosità e mortalità era stato inoltre rilevato negli adulti per esposizioni a “fumi neri” (Black Smoke)

rispettivamente superiori a 250 e 500 µg/m3. E’ stato sottolineato come le evidenze fornite da studi epidemiologici suggeriscano l’associazione tra l’esposizione a breve termine a TSP (anche per i bassi livelli ambientali comunemente riscontrabili nei paesi ad alto tasso di sviluppo) e l’insorgenza di effetti avversi per la salute umana (WHO, 1999)59. Recentemente l’attenzione si è maggiormente focalizzata sul più fine PM2,5, giudicato quale indicatore più predittivo nei confronti dei rischi per la salute rispetto al PM10. Emergono inoltre evidenze secondo le quali costituenti dello stesso PM2,5, quali solfati e particolato fortemente acido, rappresentino indicatori ancora più affidabili. I dati disponibili non permettono di identificare livelli di concentrazione al disotto dei quali non siano attesi effetti avversi per la salute, ma il recente aggiornamento della WHO sulla qualità dell’aria (Update of WHO air quality guidelines, Michal Krzyzanowski & Aaron

58 Forastiere F, Agabiti N (1997); Epidemiologia delle broncopneumopatie ed inquinamento, tratto da “Ambiente e salute in Italia” – capitolo 5, Il Pensiero Scientifico Editore, Roma 59 WHO (1999); World Health Organization, Air Quality Guidelines. Cluster of Sustainable Development and Healthy Environments (SDE), Dept. of Emergency and Humanitarian Action (EHA), Occupational and Environmental Health Programme (OEH), Geneva CH.

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Cohen 29 May 2008) ha suggerito valori guida per l’esposizione a breve termine (24h, 99percentile) per il PM2,5 pari a 25 µg/m3 e per il PM10 pari a 50 µg/m3. Gli studi condotti dalla comunità scientifica internazionale in questi ultimi decenni hanno documentato profondi cambiamenti sia qualitativi che quantitativi dell’aria negli ambienti di vita confinati (indoor), con un progressivo aumento delle sostanze inquinanti in termini assoluti. Il possibile raggiungimento di concentrazioni critiche congiunto all’elevato numero di ore trascorse negli ambienti indoor dalla popolazione media, può determinare esposizioni rilevanti, tali da non poter escludere possibili effetti avversi sulla salute umana. In uno studio multicentrico europeo (EXPOLIS STUDY)60 sono state monitorate le concentrazioni di PM2,5 nelle abitazioni delle città di Milano, Atene, Praga, Basilea, Helsinki; costatando come nella città italiana si raggiungano livelli medi pari a 37, 4 µg/m3. Tipicamente il PM negli ambienti indoor può derivare dal particolato generato in ambiente outdoor ed infiltrato nei luoghi confinati, da particelle di neo-formazione, generate in seguito ad emissione diretta (combustione) o da reazioni tra precursori gassosi. Quando sono presenti sorgenti indoor di PM caratterizzate da fattori di emissioni considerevoli, le concentrazioni indoor possono superare quelle ambientali (Weschler and Shielda, 1997)61. Le sorgenti di PM indoor includono tipicamente: fumo di sigaretta, emissione da fornelli, cottura dei cibi, agenti utilizzati nelle pulizie domestiche e risospensione dal pavimento in seguito a calpestamento o attività di pulizia (Jones et al, 2000). E’ stato inoltre dimostrato che anche l’utilizzo di candele rientra tra le possibili sorgenti puntiformi di particolato aerodisperso negli ambienti confinati62. Tuttavia, il particolato fine (PM2,5) presente negli ambienti outdoor costituisce un sostanziale contributo alle concentrazioni di particolato atmosferico indoor, in special modo in edifici caratterizzati da una non trascurabile ventilazione meccanica e/o naturale (Thatcher et al, 2000)63. Tali particelle possono infatti penetrare negli ambienti confinati sia tramite moti convettivi (finestre aperte) che diffusionali attraverso fessure (infiltrazioni). Allo stato attuale, le conoscenze circa gli effetti sulla salute umana delle sole particelle generate negli ambienti indoor sono ancora piuttosto ridotte all’interno della letteratura scientifica internazionale.

60 Exposure to air pollutants in offices in Milan and in Europe (EXPOLIS STUDY). ICOH 2003, 7.3. 61 Weschler C.J., and Shielda H.C. Potential reactions among indoor pollutants. Atmos Environ 1997:31: 3487-3495 62 Lee S.C., Wang B. Characteristics of emissions of air pollutants from mosquito coils and candles burning in a large environmental chamber. Atmos Environ 40 (2006) 2128–2138 63 Thatcher T.L., and Layton D.W. Deposition, resuspension, and penetration of particles within a residence. Atmos Environ 1995: 29: 1947-1957

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2.2.5 Diossido di azoto Tra le varie e numerose forme ossidate dell’azoto, i due composti più importanti presenti in atmosfera sono il biossido (NO2) e il monossido (NO), spesso definiti genericamente NOx. Contrariamente a quanto avviene per altri inquinanti, come ad esempio per lo zolfo, la causa determinate delle concentrazioni di ossidi nei fumi non è da ricercarsi tanto nelle concentrazioni di composti dell’azoto nei combustibili, quanto nelle condizioni di combustione: infatti a temperature di 1000-1100°C, l’ossigeno e l’azoto atmosferico si combinano a dare, a seconda delle condizioni, NO o NO2. Dal punto di vista ambientale le forme ossidate dell’azoto svolgono un ruolo di primaria importanza intervenendo ed interferendo nella chimica dell’ozono; ed alcune di esse come il protossido (N2O) presentano addirittura tempi di permanenza in atmosfera notevoli (anche 170 anni). A temperature ambiente l’NO2 si presenta sotto forma di gas rosso-marrone (odore pungente). Dal punto di vista tossicologico e quindi della salute umana, l’NO2 è il composto che risulta di maggiore interesse. Su scala globale, le emissioni naturali di NO2 (azione batterica, vulcanismo, azione della luce, etc.) risultano distribuite uniformemente sulla superficie terrestre, producendo concentrazioni di fondo piuttosto basse; inoltre, superano di molto quelle derivanti da fonti antropogeniche che risultano invece maggiormente concentrate in zone ad alta densità di popolazione. La principale sorgente antropica di questi composti risulta la combustione di carburanti fossili (trasporti 63%, centrali termoelettriche 17%, domestico e agricolo 11%, industria 7,7%, per un totale di 2115·103 tonnellate annue, dati 1993), oltre che le fertilizzazioni azotate. Cucine e stufe a combustione, oltre che fumo di tabacco rappresentano importanti sorgenti indoor di NO2 e possono contribuire significativamente all’esposizione individuale: la

concentrazione media in diversi giorni può superare i 200µg/m3, e nelle cucine, si possono

registrare dei picchi compresi tra 230 e 2055µg/m3 64,65

Le medie annuali stimate nelle zone urbane di tutto il mondo risultano generalmente

comprese tra 20-90 µg/m3.66,67,68 I livelli outdoor urbani variano a seconda delle condizioni atmosferiche, e si possono registrare sui livelli di base, due o più picchi corrispondenti agli

64 Samet, J.M. et al. A study of respiratory illnesses in infants and nitrogen dioxide exposure. Archives of environmental health, 47: 57–63 (1992). 65 Parkhurst, W.J. et al. Influence of indoor combustion sources on indoor air quality. Environmental programs, 7: 257–261 (1988). 66 Air quality criteria for oxides of nitrogen. Research Triangle Park, NC, US Environmental Protection Agency 1993 (EPA Report No. EPA/600/8-91/049aF-cF. 3v). 67 Berglund, M. et al. Health risk evaluation of nitrogen oxides. Scandinavian journal of work, environment and health, 19 (Suppl. 2) (1993). 68 Quality of Urban Air Review Group. Urban air quality in the United Kingdom. London, Department of the Environment, 1993.

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orari di massimo traffico: infatti medie orarie su strade intensamente trafficate possono

superare i 940µg/m3.69

Esistono diversi studi che hanno cercato di approfondire le conoscenze sulle interazioni dell’NO2 con gli altri inquinanti atmosferici: tuttavia, miscele con l’ozono non mostrano alcun effetto additivo sulla salute. Risulta necessario sottolineare che, seppure in linea di principio possano essere ipotizzate delle interazioni, a causa delle conoscenze ancora limitate sulla tossicità degli altri inquinanti atmosferici e per le difficoltà di realizzare studi in merito, tuttora non è possibile definire delle valutazioni quantitative. Si riporta l’aggiornamento della normativa italiana in materia di qualità dell’aria, DM 02/04/2002, n° 60, che recepisce le direttive della UE sull’inquinamento atmosferico.

Tabella 14: Limiti di esposizione NOx

Dalla tabella si evince che il limite di legge per NO2 mediato sull’intero anno è stato fissato a 40 µg/m3 (entrato in vigore il 1 gennaio 2010), e un valore pari a 200 µg/m3 come limite orario per la protezione della salute umana (non superabile più di 18 volte durante il corso dell’anno). Il valore pari a 200 µg/m3 è riportato anche come limite orario nelle Linee Guida sulla Qualità dell’Aria, applicabili anche agli ambienti indoor, dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (aggiornamento 2005).

69 Hickman, A.J., Bevan, M.G. & Colwill, D.M. Atmospheric pollution from vehicle emissions at four sites in Coventry. Crowthorne, Department of the Environment, Transport and Road Research Laboratory, 1976 (Report No. CR 695).

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Aspetti tossicologici

A causa delle notevoli difficoltà di studio, sono state condotte poche ricerche sulla cinetica e sul metabolismo del NO2: quelle esistenti descrivono solo parzialmente la sua deposizione e il suo destino, non solo nel tratto respiratorio. Alcune ricerche dimostrano che il 70-90% può essere assorbito nelle vie aeree e l’esercizio fisico aumenta gli assorbimenti e una frazione significativa dell’NO2 inalato risulta rimossa nel tratto naso-faringeo70. Il principale effetto critico dell’NO2 è l’irritazione delle varie parti del tratto respiratorio sia negli animali che nell’uomo. L’NO2 viene assorbito molto bene a livello polmonare e successivamente trasformato in intermedi metabolici senza produrre effetti sistemici. In generale, nei test di esposizione acuta in soggetti sani adulti, è stato necessario

raggiungere concentrazioni superiori ai 1880 µg/m3 (1ppm) per indurre cambiamenti osservabili delle funzioni polmonari71. Poiché queste concentrazioni sono molto lontane dai valori comunemente riscontrati nell’atmosfera, l’attenzione dei ricercatori si è rivolta principalmente allo studio di persone con patologie polmonari preesistenti quali: asma, malattie polmonari ostruttive, bronchiti croniche. Numerose sono le discrepanze riscontrate in letteratura sugli effetti dell’esposizione a NO2: infatti, mentre alcuni studi riportano che soggetti affetti dalle patologie sopra menzionate esposti a basse concentrazioni di NO2 possono sviluppare dei peggioramenti, altre ricerche72

non hanno registrato cambiamenti funzionali a concentrazioni comprese tra i 1880 e i 7520µg/m3, sebbene questi risultati non siano stati ulteriormente verificati tra differenti gruppi di soggetti. In studi dose-risposta Von Nieding et al hanno riscontrato che, in soggetti con malattie croniche di ostruzione polmonare, un singolo respiro a livelli di 3000 µg/m3 aumenta la resistenza respiratoria. A tali concentrazioni, e sotto moderato esercizio fisico, soggetti esposti per 1 ora non hanno mostrato risposte significative rispetto a quelle riscontrate a seguito di esposizioni più prolungate ed a concentrazioni più basse (560µg/m3)73. Questo sembra evidenziare che l’NO2 assorbito per via inalatoria induce una certa resistenza a concentrazioni ambientali non rilevanti, ma non mostra l’atteso andamento monotono nella relazione dose-risposta. Diversi studi dimostrano che in soggetti asmatici, l’esposizione più bassa in grado di produrre un effetto diretto sulla funzione polmonare è definita da una dose di 560µg/m3 per un tempo minimo di esposizione di 30 minuti, durante esercizio fisico intermittente.

70 Bauer, M. A. et al. Inhalation of 0.30 ppm nitrogen dioxide potentiates exercise-induced bronchospasm in asthmatics. American review of respiratory disease, 134: 1203–1208 (1986). 71 Advisory Group on the Medical Aspects of Air Pollution Episodes. Third report: oxides of nitrogen. London, H.M. Stationery Office, 1993 72 Linn, W.S. et al. Dose–response study of asthmatic volunteers exposed to nitrogen dioxide during intermittent exercise. Archives of environmental health, 41: 292–296 (1986). 73 Morrow, P.E. & Utell, M.J. Responses of susceptible subpopulations to nitrogen dioxide. Cambridge, MA, Health Effects Institute, 1989 (Research Report No. 23).

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Non sono stati osservati effetti sintomatici in soggetti asmatici né in quelli sani se esposti a concentrazioni inferiori ai 1880µg/m3. A livelli inferiori ai 940µg/m3 si registrano piccole ma statisticamente rilevanti modificazioni della funzione polmonare in soggetti asmatici. In soggetti sani sono stati riscontrati effetti quando esposti a concentrazioni superiori ai 7529µg/m3 ma non in soggetti asmatici (lievi) esposti alle stesse concentrazioni.

Di recente, alcuni studi hanno cercato di valutare gli effetti dell’inalazione di NO2 in soggetti sani, considerando altri fattori (come il lavaggio bronco-polmonare) rispetto alle variazioni delle funzioni polmonari. I risultati dimostrano che, mentre fino a 2820µg/m3 non si registrano effetti significativi, a concentrazioni elevate comprese tra i 5640µg/m3 e i

7250µg/m3 si osserva una riduzione dell’attività dell’inibitore della α-1-proteasi (che agisce come protettore dagli enzimi proteolitici inibendo il danno polmonare). In generale questi studi indicano come l’NO2 possa potenzialmente influire sulle difese immunitarie e che possa provocare leggere infiammazioni. Comunque le dosi di esposizione e le conclusioni esaminate risultano troppo limitate per disegnare delle relazioni dose-risposta esaustive per gli effetti di questo inquinante sull’uomo. Dall’analisi dei numerosi studi epidemiologici svoltisi negli ultimi anni in diverse città Europee, si possono estrapolare una serie di importanti considerazioni:

Effetti per esposizioni acute

Dagli studi finora citati si evince che raramente gli esperimenti tossicologici descrivono effetti acuti in soggetti sani a concentrazioni inferiori ai 1885µg/m3. Infatti, solo nel caso di esposizioni non inferiori alle 2 ore a concentrazioni non minori di 4700µg/m3 durante attività fisica moderatamente intensa le sperimentazioni hanno provato abbassamenti della funzione polmonare. Uno studio ha dimostrato un abbassamento della funzione polmonare in soggetti affetti da disagi cronici ostruttivi esposti a 560 µg/m3 per 3,75 ore. Gli asmatici sembrano rappresentare il gruppo di soggetti maggiormente sensibili, sebbene numerose incertezze rendano di difficile interpretazione i diversi dati. Sono state, infatti, eseguite numerose ricerche anche queste con risultati diversi, e tuttavia, non necessariamente contrastanti: ad esempio uno studio non riporta effetti per esposizioni di 75 minuti a 7520µg/m3, mentre altri riportano un decremento nel FEV1 dopo 10 minuti di attività fisica durante esposizioni a 560µg/m3.

Effetti per esposizioni croniche

Gli studi sugli animali non dimostrano chiaramente se esposizioni per settimane o mesi a concentrazioni di NO2 inferiori a 1880µg/m3 possano causare effetti non solo nei polmoni ma anche in altri tessuti.

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Sono stati osservati cambiamenti strutturali a partire dal tipo di cellule presenti nella regione tracheobronchiale (640µg/m3) fino ad effetti simili all’enfisema polmonare ma a concentrazioni molto superiori rispetto a quelle ambientali.

In conclusione dallo studio redatto dalla Comunità europea sugli inquinanti indoor e dalle linee guida della WHO viene suggerito quale valore massimo di NO2 in atmosfera una concentrazione pari a 40 µg/m3 (valore cautelativo per la salute della popolazione generale, considerando anche i soggetti maggiormente suscettibili quali bambini, anziani e asmatici). Tuttavia in tali report viene anche asserito come questo valore restrittivo spesso risulterà difficile da rispettare, soprattutto nelle aree urbane con alto traffico veicolare, dove per esempio le concentrazioni outdoor possono raggiungere valori anche di un ordine di grandezza superiori. 2.2.6 Diossido di zolfo Il diossido di zolfo (anidride solforosa, SO2) è un gas incolore, irritante, non infiammabile, molto solubile in acqua e dall’odore pungente. Deriva dall’ossidazione dello zolfo nel corso dei processi di combustione delle sostanze che contengono questo elemento sia come impurezza (ad esempio i combustibili fossili) che come costituente fondamentale. Essendo più pesante dell’aria tende a stratificarsi nelle zone più basse. Il biossido di zolfo merita di essere menzionato anche come il maggior responsabile, insieme al biossido di azoto, del fenomeno delle piogge acide. In ambienti indoor, come per gli altri prodotti di combustione, la concentrazione dipende dalla presenza di sorgenti interne che sono legate all’utilizzo di stufe, forni, impianti di riscaldamento a gas e a cherosene e al fumo di tabacco. I livelli di SO2 negli ambienti confinati sono solitamente molto più ridotti rispetto a quelli riscontrati nell’aria esterna (dell’ordine di alcune decine di µg/m3 e generalmente non oltre i 200 µg/m3), probabilmente perché il SO2 è adsorbito sulle superficie interne, tende ed arredi, e perché è neutralizzato dall’ammoniaca particolarmente presente in ambienti indoor per la presenza dell’uomo. Nell’ambiente esterno le emissioni di biossido di zolfo sono principalmente dovute ai processi industriali di combustione dei combustibili fossili e liquidi (carbone, petrolio, gasolio). Sono rilevanti anche le emissioni dai processi di produzione dell’acido solforico, dalla lavorazione di molte materie plastiche, dalla desolforazione dei gas naturali, dall’arrostimento delle piriti e dall’incenerimento dei rifiuti. In Italia nel 2001 l’emissione di ossidi di zolfo era approssimativamente dovuta per il 60% ai processi di combustione, energetici e dell’industria di trasformazione, per il 23% ai processi industriali, per il 17% ad altre sorgenti. A basse concentrazioni gli effetti del biossido di zolfo sono principalmente legati a patologie dell’apparato respiratorio come bronchiti, asma e tracheiti ed a irritazioni della

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pelle, degli occhi e delle mucose. Esposizioni brevi ma ad alte concentrazioni possono provocare inoltre aumento del ritmo respiratorio e del battito cardiaco, irritazioni agli occhi, naso e gola.

Si riporta l’aggiornamento della normativa italiana in materia di qualità dell’aria,DM 02/04/2002, n° 60, che recepisce le direttive della UE sull’inquinamento atmosferico. Tabella 15. Limiti di esposizione SO2

Periodo di mediazione Valore limite

Valore limite orario per la

protezione della salute umana 1 ora

350 µg/m3

da non superare più

di 24 volte per anno civile

Valore limite di 24 ore per la

protezione della salute umana 24 ore

125 µg/m3

da non superare più

di 3 volte per anno civile

Valore limite per la protezione

degli ecosistemi

anno civile (1 ottobre – 31

marzo) 20 µg/m

3

Dalla tabella si evince che il limite di legge per l’SO2 mediato sull’intero anno è fissato a 20 µg/m3 (entrato in vigore il 1 gennaio 2010), e un valore pari a 125 µg/m3 è stato fissato come limite mediato sulle 24 h per la protezione della salute umana (non superabile più di 3 volte durante il corso dell’anno). Nelle linee guida della WHO del 200574 è stato fissato come limite per l’SO2 mediato sulle 24 h un valore più restrittivo rispetto al precedente, pari a 20 µg/m3; mentre come limite massimo da non superare mediato su 10 minuti di esposizione è stato selezionato un valore soglia di 500 µg/m3. Inoltre vengono di seguito citati alcuni limiti consigliati da differenti enti internazionali: - OEHHA Inhalation reference exposure level 660 µg/m3 (short-term 1h) Office for Environmental Health Hazard Assessment; - ATSDR 0,01ppm (esposizione acuta) (Agency for Toxic Substances and Disease Registry) - EPA, AEGL (4h) 0,52 mg/m3 (Acute Exposure Guideline Levels)

Aspetti tossicologici

Effetti per esposizioni acute

Le informazioni maggiori presenti in letteratura su studi effettuati per rilevare effetti acuti dovuti ad esposizione ad SO2 derivano da test su volontari. La maggior parte di questi studi sono stati svolti sull’arco di tempo di alcuni minuti fino a un massimo di 1 ora.

74 Air quality guidelines for particulate matter, ozone, nitrogen dioxide and sulfur dioxide” Global update 2005 Summary of risk assessment WHO/SDE/PHE/OEH/06.02

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In generale gli effetti sono apparsi sin già dai primi minuti di esposizione75. Gli effetti osservati includono riduzione in FEV (Forced Expiratory Volume) o altri indici di capacità ventilatoria, aumento nella resistenza respiratoria e sintomi come affanno e difficoltà nel parlare. Medesimi studi sono stati effettuati su soggetti sani anche sotto sforzo, ma nessun particolare sintomo oltre a quelli già descritti è stato determinato76. Un ampio range di effetti sensibilizzanti sono stati dimostrati, sia tra individui sani che su soggetti asmatici. Sono state individuate relazioni esposizione/risposta senza però essere stata definita una precisa soglia limite di effetto.77 In soggetti adulti sani, alcuni effetti senza evidenze cliniche, sono stati individuati a 572 µg/m3 di SO2; effetti di diminuzione di circa il 10 % del FEV sono stati segnalati a concentrazioni pari a 1144 µg/m3, e in ultimo una riduzione del 15 % a concentrazioni pari a 1716 µg/m3. In un altro differente studio alcuni effetti nella resistenza respiratoria sono stati individuati a concentrazioni pari a 286 µg/m3 in soggetti affetti da malattie asmatiche. Esposizione oltre 24 h

I principali studi presenti in letteratura per quanto riguarda effetti derivati da esposizioni prolungate sulle 24 h sono basati su studi epidemiologici in coorti di persone esposte tipicamente a differenti inquinanti nello stesso periodo di tempo. Solamente in uno studio redatto da Wong et al, 200278, sono stati indagati gli effetti da esposizione prolungata su 24 h a concentrazioni di SO2 pari a 5-40 µg/m3. Da tale analisi tuttavia si deduce un’assenza di evidenze sintomatiche particolari riscontrate sui soggetti esposti. Inizialmente data la scarsa conoscenza del metabolismo del SO2 valori soglia di concentrazioni venivano estrapolati dalla WHO in parallelo a quelli del PM. Tale approccio portò nel 1987 a fissare come limite soglia sulle 24h un valore pari a 125 µg/m3, applicando un fattore di valutazione pari a 2 ad un LOAEL derivato sperimentalmente. (WHO,1987). Nella seconda edizione delle Linee Guida per la Qualità dell’Aria sono stati però osservati, sulla base di differenti indagini epidemiologiche, effetti diversi per esposizioni correlate a SO2 e PM. Sulla base di queste evidenze è stato quindi deciso di suddividere, negli studi esposizione/risposta, i singoli dati degli inquinanti da trattare.

75 LINN, W.S. ET AL. Asthmatics responses to 6-hr sulfur dioxide exposures on two successive days. Archives of environmental health, 39: 313–319 (1984). 76 BETHEL R.A. ET AL. Effect of exercise rate and route of inhalation on sulfur dioxide induced bronchoconstriction in asthmatic subjects. American review of respiratory disease, 128: 592–596 (1983) 77 LINN, W.S. ET AL. Replicated dose–response study of sulfur dioxide effects in normal, atopic and asthmatic volunteers. American review of respiratory disease, 136: 1127–1134 (1987). 78 Wong CM et al. (2002). A tale of two cities: effects of air pollution on hospital admissions in Hong Kong and London compared. Environmental Health Perspectives, 110:67–77

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Le ultime evidenze in letteratura79 hanno dimostrato come una maggiore riduzione del contenuto di zolfo nelle benzine ha portato a una sostanziale riduzione nelle malattie respiratorie soprattutto in bambini e soggetti asmatici. In uno studio epidemiologico del 200480 su un campione di 12 città canadesi con una media di esposizione pari a 5 µg/m3 (picco massimo pari a 10 µg/m3) sono state riscontrate alcune correlazioni con l’aumento del tasso di mortalità. Anche in un altro studio effettuato da Pope et al.81, è stata rilevata una significativa relazione tra l’aumento del tasso di mortalità e concentrazioni di esposizione medie di SO2 pari a 18 µg/m3 (con picchi pari a 85 µg/m3) in 126 aree metropolitane degli Stati uniti. Va tuttavia considerato che, essendo presenti molte incertezze su queste correlazioni, la veridicità di tale ipotesi risulta non molto probabile. Le correlazioni con trend di concentrazioni simili nel particolato atmosferico andranno verificate con studi epidemiologici aggiornati. In conclusione la presenza di incertezze nel verificare e stimare una soglia di non effetto, e sulla base di un principio cautelativo è stato fissato dalla WHO un limite mediato per l’SO2

sulle 24 h pari a 20 µg/m3. 2.2.7 Benzo(a)pirene Il Benzo(a)pirene è una molecola formata da 5 anelli idrocarburici policiclici aromatici con formula C20H12. Appartiene alla classe dei composti conosciuti come benzopireni, caratterizzati dalla presenza di una molecola di benzene e una di pirene. Il benzo(a)pirene (identificato con l’acronimo BaP) è un prodotto derivato dalla combustione incompleta a temperature comprese tra i 300 e i 600 ºC. A temperatura ambiente si presenta sotto forma di cristallo di colore giallo pallido incolore. Il BaP, come tutti gli Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA), è presente prevalentemente nella vasta gamma dei sottoprodotti di fenomeni di combustione di materia organica. Esistono più di differenti 100 IPA, ed il BpA viene spesso utilizzato come indicatore (marcante) nei diversi studi tossicologici per la valutazione del rischio in ambienti con la presenza simultanea di più inquinanti, per via della sua intrinseca maggiore tossicità. Il catrame minerale è una delle materie principali in cui può essere ritrovato il BaP, oltre che nei fumi esausti, specialmente da combustione di diesel, e in tutti i fumi prodotti da combustione di materiale organico. Negli ultimi anni l’attenzione è ricaduta anche nei residui derivanti dalla cottura di alimenti su fiamma, tra i quali è stata rilevata la presenza di alte quantità di BaP e altri composto cancerogeni.

79 Hedley AJ et al. (2002). Cardiorespiratory and all-cause mortality after restrictions on sulfur content of fuel in Hong Kong: an intervention study. Lancet, 360:1646–1652. 80 Burnett RT et al. (2004). Associations between short-term changes in nitrogen dioxide and mortality in Canadian cities. Archives of Environmental Health, 59:228–236. 81 Pope CA et al. (2002). Lung cancer, cardiopulmonary mortality, and long-term exposure to fine particulate air pollution. Journal of the American Medical Association, 287:1132–1141.

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Il Benzo(a)pirene nel comparto atmosferico è prevalentemente associato alla frazione di particolato atmosferico < 2.5µm, sia per quanto riguarda le sorgenti identificate come mobili (traffico auto veicolare) che per quelle domestiche (emissione da combustione in fiamma). Tale caratteristica è da correlare al peso molecolare e alla tensione di vapore della molecola, che conferiscono una tendenza a migrare dalla fase vapore alla fase condensata al diminuire delle temperature post combustione. Gli IPA con peso molecolare inferiore del BaP (2, 3 o 4 anelli benzenici) di fatto sono presenti in atmosfera principalmente nella fase vapore. Solo in condizioni climatiche molto calde il BaP può essere rilevato nella fase vapore. In letteratura scientifica tale contributo sulla media annuale viene identificato essere minore del 10% e quindi trascurabile ai fini di una analisi statistica. La prima determinazione analitica del BaP risale al 1933, quando venne valutato come componente del catrame da carbone fossile e responsabile dei tumori individuati negli operai incaricati nella pulizia dei camini da forno. Successivamente, nel corso del secolo, data l’alta incidenza di tumori alla pelle anche tra i lavoratori del settore produzione carburante, furono approfondite le ricerche scientifiche e determinate le evidenze di quello che più avanti portò all’identificazione del BaP come cancerogeno certo per l’uomo. Attualmente in letteratura scientifica sono presente diversi studi a conferma della alta cancerogenicità e mutagenicità dei metaboliti del benzo(a)pirene, sulla quale recentemente la IARC ne ha stabilito l’appartenenza appunto alla categoria I A, come cancerogeno certo per l’uomo. Nei successivi paragrafi viene riportato un sommario degli studi più rilevanti sotto l’aspetto tossicologico ed epidemiologico.

Aspetti tossicologici

I primi studi presenti in letteratura scientifica per quanto riguarda il Benzo(a)pirene sono stati presentati nel Dicembre 1972 dalla IARC in occasione del Working Group e successivamente negli anni a seguire 1982 e 1983. Già nel report del 1972 la IARC aveva concluso che il BaP produceva tumori in tutte le specie indagate in laboratorio (ratto, gatto, criceto, porcellino d’india, coniglio, anatra e scimmie) per le quali dati attendibili erano stati riportati per le differenti vie di esposizione (orale, cutanea, inalatoria, intratracheale, intrabronchiale, subcutanea, intraperitonale, intravenosa). Gli effetti osservati furono sia locali che sistemici, tra i quali venne annoverata una forma iniziale di carcinogenesi del tessuto epidermico nei gatti esposti a tale sostanza. Nel 1983 venne concluso che era presente una sufficiente evidenza secondo la quale il Benzo(a)pirene potesse essere ritenuto cancerogeno per gli animali (le principali revisioni su cui vennero baste tali asserzioni furono: Dipple 1976, Freudenthal and Jones 1976, Bingham et al. 1980 and Conney 1982).

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L’ultimo report redatto nel 2010 della IARC (vol. 92) definisce ufficialmente il BaP appartenente alla categoria 1 delle sostanze cancerogene e stila una rassegna degli studi effettuati a livello tossicologico maggiormente rilevanti. Per maggiori dettagli e una cronologia completa di tali studi si rimanda a tale fonte82. Per quanto riguarda il livello di esposizione della popolazione generale in letteratura sono presenti studi effettuati negli anni 90’ determinando un livello medio annuale di BaP all’interno delle aree rurali pari a 0,1 - 1 ng/m3 e nelle aree urbane pari a 0,5 - 3 ng/m3 (le zone caratterizzate da traffico auto veicolare intenso rientrano nella fascia alta di questo range). Da letteratura il worst-case scenario è stato individuato essere nelle immediate vicinanze di zone industriali, dove sono stati monitorati anche livelli massimi pari a 30 ng/m3 di Benzo(a)pirene. Per quanto riguarda i livelli di contaminazione negli ambienti di vita indoor esistono scarsi lavori in letteratura scientifica, ed alcune valutazioni da parte di esperti internazionali suggeriscono un livello medio rapportabile a quello riscontrato nelle aree cittadine prima citate. Negli ultimi anni è stato comunque evidenziato un trend negativo delle concentrazioni di BaP in atmosfera. Questo può essere associato all’implementazione delle misure di legge e alla conseguente riduzione dell’esposizione associata. Dall’analisi degli studi epidemiologici occupazionali è stata derivata un’unità di rischio di insorgenza tumorale pari a 80 – 100 10-6 . Tale indice di rischio è stato valutato per un’esposizione pari a tutto il periodo di vita a una concentrazione di BaP di 1 ng/m3 (utilizzando fattori di incertezza peggiorativi). Adottando l’unità di rischio accettata dalla WHO pari a 87 · 10-6 si ha un rischio associato di 1 · 10-6, 1 ·10–5 e 1 · 10-4 per concentrazioni rispettivamente pari a 0,01; 0,1; and 1,0 ng/m3 di BaP. Il PM10 è stato considerata la frazione più appropriata per il campionamento del BaP in atmosfera, in funzione dei riscontri tumorali incidenti sia nelle prime vie respiratorie che nelle zone bronchiali e polmonari. Non esistono limiti per esposizione acute a breve termine non essendo state determinate evidenze per effetti acuti probabili a concentrazioni ambientali prevedibili. In via dei principi cautelativi per la salute della popolazione generale la Comunità Europea ha dettato un valore di riferimento per quanto riguarda la concentrazione di BaP in aria pari a 1,0 ng/m3 (concentrazione mediata sull’intero anno)83.

82 Monographs on the Evaluation of the Carcinogenic Risk of Chemicals to Humans. Vol. 92. Some Non-heterocyclic Polycyclic Aromatic Hydrocarbons and Some Related Industrial Exposures (2010). IARC. Monographs provide critical reviews of data on carcinogenicity for agents to which humans are known to be exposed and on specific exposure situations. 83 Monographs on the Evaluation of the Carcinogenic Risk of Chemicals to Humans. Vol. 92 (2010). IARC

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Prendendo in considerazione le evidenze scientifiche presenti in letteratura e considerando le differenti incertezze (stima dell’emissione, valutazione delle concentrazioni in aria, tipologia di popolazione esposta, differenti fattori di sicurezza utilizzati negli studi tossicologici e nell’elaborazione statistica degli studi epidemiologici) è stato anche suggerito un range cautelativo di esposizione senza effetti avversi su tutta la popolazione generale pari a 0,5 ÷ 1,0 ng/m3 BaP. Questo limite sarà comunque rivisto nei prossimi 5 anni tramite le conoscenze scientifiche aggiornate. 2.2.8 Naftalene Il naftalene, commercialmente noto anche come naftalina, è un idrocarburo policiclico aromatico (IPA) con molecola planare, formato da due anelli benzenici fusi tra loro (condivisione di 2 atomi di carbonio). A temperatura ambiente è un solido cristallino bianco dall'odore intenso e caratteristico. Poco solubile in acqua, si scioglie abbastanza bene nell'etanolo (77 g/l a 20 °C) e ancora meglio in altri solventi organici. Si ottiene per distillazione dal catrame, dal carbone e dal petrolio. Oltre all'impiego nell'industria chimica principalmente come materia prima per la sintesi dell'anidride ftalica e di coloranti (Acido H), trova uso domestico anche come insetticida, specialmente contro le tarme. L’esposizione occupazionale a naftalene caratterizzata da valori più rilevanti può verificarsi durante la sua produzione, nei processi di trattamento del legno, nelle raffinazioni del carbone minerale e in tutti gli usi che lo vedono indispensabile come “Intermedio” industriale. Il Naftalene è anche un sottoprodotto dei fumi di sigaretta. Le quantità più rilevanti a livello commerciale di naftalene sono estratte dal Carbon fossile (percentuale in peso del naftalene pari a 10% sul totale). Dal 1960 al 1990 ingenti quantitativi di naftalene sono stati prodotti a partire da frazioni pesanti del petrolio greggio durante il processo di raffinazione. Ad oggi il naftalene derivato dal petrolio rappresenta solo una componente minore della produzione globale. Possono essere presenti alcune impurità (sopratutto nel naftalene derivato da petrolio) quali: benzotiofene e composti aromatici solfurati (<2%), indano (0,2%), indene (<2%) e metilnaftalene (<2%). Circa 1 milione di tonnellate vengono prodotte ogni anno e commercializzate nel mondo.

Aspetti tossicologici/epidemiologici

L’esposizione ad elevate concentrazioni in atmosfera di naftalene può danneggiare anche in modo permanente la funzionalità dei globuli rossi nel sangue umano. Tale effetto, conosciuto come anemia emolitica, può essere la conseguenza di una rilevante esposizione

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acuta. Tra i sintomi si inseriscono: affaticamento, mancanza di appetito, irrequietezza, e pelle pallida. Esposizioni continuate a grandi quantità di naftalene possono essere causa di nausea ma anche di: vomito, diarrea, sangue nelle urine, e ittero. I meccanismi d'azione non sono noti ma in generale coinvolgono fenomeni di bio-attivazione elettrofili con produzione di molecole intermedie, quali radicali liberi reattivi84,85. Differenti studi valutati dal US National Toxicology Program hanno dimostrato che l’esposizione cronica di ratti e topi a vapori di naftalene evidenzia attività cancerogene, sulla base di un’aumentata incidenza di adenoma alveolare e bronchiale del polmone. Nella letteratura scientifica sono diversi gli studi effettuati per determinare il suo potenziale cancerogeno sugli animali. Le diverse vie di esposizione utilizzate sui ratti sono state orali, intraperitonali e sottocutanee. L’esposizione a ratti per inalazione è stata associata con l’insorgenza di adenoma nasali, polmonari e alveolari sia nei ratti che nei criceti. Differenti studi effettuati sugli animali hanno suggerito come via preferenziale di assorbimento del naftalene la via orale (tratto gastrointestinale), cutanea e principalmente quella inalatoria (US EPA, 1987; ATSDR, 1993). Non esistono tuttavia studi a conferma del tasso di assorbimento della molecola nell’uomo. È stato dimostrato sperimentalmente che i due principali metaboliti stabili formati a seguito dell’assorbimento del naftalene sono microsomi epatici umani 1-naftolo e 1,2-naftalene diidrodiolo (Tingle et al., 1993). Uno studio effettuato da Eisele at al 1985 ha indicato che le concentrazioni più elevate di naftalina e dei suoi metaboliti nei maiali e mucche conseguentemente ad esposizione sono state ritrovate nei seguenti tessuti, elencati in ordine decrescente di concentrazione: polmoni, fegato, rene, cuore e milza. Il primo step metabolico per l’assorbimento del naftalene consiste nell’ossidazione dell’anello benzenico attraverso il citocromo P-450 ossigenasi e nella produzione di un epossido “intermedio” arenico: 1,2-naftalene ossido. L’esposizione a naftalene provoca cataratta negli esseri umani, ratti, conigli e topi. Gli esseri umani accidentalmente esposti a naftalene per ingestione hanno una tendenza allo sviluppo di malattie quali l’anemia emolitica. Alcuni casi di anemia emolitica sono stati segnalati nei bambini e nei neonati dopo l'esposizione orale o per inalazione di naftalina o dopo esposizione materna nel periodo della gravidanza.

84 U.S. Environmental Protection Agency. Integrated Risk Information System (IRIS) on Naphthalene. National Center for Environmental Assessment, Office of Research and Development, Washington, DC. 1999. 85 U.S. Environmental Protection Agency. Toxicological Review of Naphthalene (CAS No. 91-20-3) in Support of Summary Information on the Integrated Risk Information System (IRIS). National Center for Environmental Assessment, Cincinnati, OH. 1998.

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L’esposizione acuta e cronica a naftalene nelle prime vie respiratorie provoca effetti avversi nelle cavità nasali. Tale tossicità è stata riscontrata nei ratti e nei topi da laboratorio. Ci sono prove di tossicità sullo sviluppo sia su ratti che su topi a dosi che causato tossicità materna evidente. Cellule di topo neonato sono state caratterizzate da una maggiore sensibilità verso effetti citotossici rispetto a quelle di topo adulto. In letteratura sono tuttavia presenti un numero trascurabile di studi sull'induzione di mutazioni geniche da naftalina. Per contro, risultati positivi sono stati ottenuti nei test per la formazione di micronuclei, aberrazioni cromosomiche e ricombinazioni cromosomiche in vitro, che sono coerenti con una clastogenicità potenziale del naftalene. Nelle conclusioni redatte dal Working Program della IARC (vol 82) non è stata evidenziata nessuna prova adeguata a conferma della cancerogenicità del naftalene, esistono solamente alcune prove relativamente sufficienti sulla sua potenziale cancerogenicità su animali da laboratorio. In definitiva l’agenzia internazione per il Cancro IARC ha classificato il naftalene come possibile cancerogeno per l’uomo86. (categoria 2 B). Esposizione orale/ effetti non cancerogeni

Non esistono in letteratura studi dose/risposta adeguati su uomini o animali a riguardo di effetti da esposizione orale cronica da naftalene. Alcuni casi accertati da avvelenamento acuto hanno portato ad anemia emolitica e alcuni effetti al sistema oculare. Gli studi sull’esposizione sub-cronica orale su animali hanno evidenziato effetti quali perdita di peso nei ratti. Tramite tali studi è stato possibile derivare una RfD (Reference Dose) per il naftalene pari a 2·10-2 mg/kg-day87. Tale RfD è il risultato di una valutazione cautelativa del relativo NOAEL di 71 mg/kg day (riferito alla diminuzione media di peso corporeo terminale, > 10% del controllo, nei ratti maschi esposti a naftalina in olio di mais con sonda gastrica, 5 giorni / settimana per 90 giorni, BCL, 1980a) diviso per un fattore di incertezza pari a 3000. L’AF (assessment factor) utilizzato è il risultato della somma dei seguenti fattori di valutazione: - fattore 10 estrapolazione studio sperimentale ratto/uomo; fattore 10 come valutazione della maggiore sensibilità degli uomini rispetto agli animali; fattore 10 per l’estrapolazione da esposizione sub-cronica a cronica, fattore 3 per scarsa attendibilità dei dati (come mancanza di studi cronici e studi su 2 generazioni).

86 IARC Monographs on the Evaluation of Carcinogenic Risks to Humans. Volume 82 (2002) Some Traditional Herbal Medicines, Some Mycotoxins, Naphthalene and Styrene 87 U.S. Environmental Protection Agency's Integrated Risk Information System (IRIS) on Naphthalene (91-20-3). Available from: http://www.epa.gov/iris/index.html on the Substance File List as of July 21, 2003.

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Esposizione inalatoria/ effetti non cancerogeni

Anemia emolitica e cataratta sono gli effetti principali derivati da un’esposizione cronica negli uomini a naftalene accertati in letteratura scientifica. Adeguate evidenze sperimentali su animali o uomini sono mancanti. Alcuni studi su gatti esposti a naftalene per via inalatoria hanno indicato lesioni nasali (hyperplasia of respiratory epithelium and metaplasia of olfactory epithelium) con effetti critici tali da individuare una RfC (Reference concentration. NTP, 1992 a). È stata derivata una RfC per esposizione cronica pari a 3·10-3 mg/m3 dividendo il valore sperimentale LOAEL di 9,3 mg/m3 per un fattore di valutazione pari a 3000. Anche in questo caso gli AF sono la soma dei seguenti fattori cautelativi: fattore 10 per estrapolazione da gatto a uomo; fattore 10 per la maggiore suscettibilità umana rispetto alle cavie da laboratorio; fattore 10 per l’estrapolazione da LOAEL a NOAEL e infine fattore 3 per una mancanza di dati attendibili, come studio di tossicità su 2 generazioni e studi cronici inalatori su altre specie animali.

Esposizione orale e inalatoria/ effetti cancerogeni

I dati presenti in letteratura sono stati indicati come inadeguati per valutare una potenziale associazione tra l’esposizione a naftalene e l’insorgenza di fenomeni tumorali nell’uomo. Alcuni studi hanno comunque evidenziato la formazione di tumori nel tratto respiratorio di gatti sottoposti a esposizioni croniche di naftalene, e risposte citotossiche e genotossiche in cavie di topo. Tali evidenze non sono state sufficientemente rilevanti per correlare tali risultati all’uomo.

2.3 Risultati e discussioni

Nelle tabelle 16 e 17 sono rappresentati i fattori di emissione ottenuti sperimentalmente dalle prove in camera di combustione (rispettivamente per le candele profumate e a differente matrice paraffinica).

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Tabella 16. Fattori di emissione determinati dalla combustione di candele profumate (Adapted from Gelosa et al. 2007)

Inquinate Corteccia Frangipane Rabarbaro Aloe

CO (mg/g) ND ND ND ND

NOX (mg/g) ND ND ND ND

SO2 (mg/g) ND ND ND ND

Benzene (µg/g) 0,125 0,086 0,084 0,01

Toluene (µg/g) 0,113 0,025 0,230 0,05

Ethylbenzene (µg/g) 0,127 0,14 0,174 0,05

Xylenes (µg/g) ND ND ND ND

Naphtalene (ng/g) <0,01 0,01 0,037 <0,01

Acenapthylene (ng/g) <0,01 <0,01 <0,01 <0,01

Acenafthene (ng/g) <0,01 <0,01 <0,01 <0,01

Fluorene (ng/g) <0,01 <0,01 <0,01 0,04

Phenanthrene (ng/g) 0,068 0,02 0,059 0,03

Anthracene (ng/g) <0,016 0,01 0,022 <0,01

Fluoranthene (ng/g) 0,032 <0,01 0,074 0,015

Pyrene (ng/g) 0,032 <0,01 0,097 <0,01

Chrysene (ng/g) <0,01 <0,01 0,74 <0,01

Benzo-A,H-Anthracene (ng/g) <0,01 <0,01 <0,01 <0,01

Benzo (g,h,j)- Perylene (ng/g) <0,01 <0,01 <0,01 <0,01

Benzo-a-Antrhacene (ng/g) <0,032 0,02 <0,01 <0,01

Benzo-b-Fluoranhtene (ng/g) <0,01 <0,01 <0,01 <0,01

Benzo-k-Fluoranthene (ng/g) <0,01 <0,01 <0,01 <0,01

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Benzo-a-Pyrene (ng/g) <0,01 <0,01 0,34 <0,01

Indeno-1,2,3 CD (ng/g) <0,01 <0,01 <0,01 <0,01

Formaldehyde (µg/g) 2,49 2,91 2,54 2,32

Acetaldehyde (µg/g) 0,73 1,11 0,83 1,09

Acrolein + Propionaldehyde (µg/g)

2,54 2,02 0,95 1,05

Butirraldehyde (µg/g) 0,44 0,3 ND 0,38

Benzaldehyde (µg/g) 0,41 0,55 ND 0,3

PM0.5 (µg/g) 12,77 10,77 13,3 8,87

PM0.5-1 (µg/g) 0,10 0,09 0,01 0,19

PM1-2.5 (µg/g) 0,31 0,1 0,01 0,19

PM2.5-10 (µg/g) 0,09 0,16 0,26 0,08

Tabella 17. Fattori di emissione determinati dalla combustione di materie prime

Inquinante Paraffina Intermedio ‘Slack’

CO (mg/g) 2,57 4,09 2,58

NOX (mg/g) 0,78 0,60 0,75

SO2 (mg/g) <0,1 0,60 2,77

Benzene (µg/g) 0,01 (0,01-0,02) 0,4 (0,33-0,45) 0,05 (0,03-0,05)

Toluene (µg/g) 0,02 (0,01-0,04) 0,5 (0,34-0,59) 0,1 (0,05-0,15)

Ethylbenzene (µg/g) 0,02 (0,02-0,02) 0,1 (0,07-0,15) 0,03 (0,02-0,03)

M+p xylene (µg/g) 0,03 (0,02-0-03) 0,11 (0,09-0,13) 0,08 (0,06-0,12)

O xylene (µg/g) 0,02 (0,02-0,02) 0,06 (0,04-0,07) 0,04 (0,03-0,04)

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Naphtalene (ng/g) 20 (14-25) 130 (84-180) 55 (50-60)

Acenapthylene (ng/g) 0,3 (0-0,4) 1,5 (1,4-2) 0,5 (0,1-1,5)

Acenafthene (ng/g) 0,2 (0-0,3) 5 (1-11) 1,5 (0,1-3)

Fluorene (ng/g) 0,01 (0-0,2) 5 (1,5-11) 0,3 (0,1-0,8)

Fenanthrene (ng/g) 0,4 (0-0,5) 6 (4,4 - 8,5) 2 (1 - 7)

Anthracene (ng/g) 7 (5-8,4) 10 (0,5 - 18) 10 (4 - 14)

Fluoranthene (ng/g) <0,01 0,5 (0-0,5) 0,1 (0 - 0,8)

Pyrene (ng/g) 0,1 (0,05-0,1) 2 (1 - 2,5) 0,8 (0,1 - 1,7)

Crysene (ng/g) <0,01 <0,01 0,5 (0 - 1,7)

Benzo-A,H-Anthracene (ng/g)

<0,01 <0,01 <0,01

Benzo (g,h,j)- Perylene (ng/g) <0,01 <0,01 <0,01

Benzo-a-Antrhacene (ng/g) <0,01 <0,01 0,5 (0 - 1,1)

Benzo-b-Fluoranhtene (ng/g) 1 (1-2) <0,01 4 (0 -8,6)

Benzo-k-Fluoranthene (ng/g) <0,01 <0,01 5 (0 - 13)

Benzo-a-Pyrene (ng/g) <0,01 <0,01 5 (0,3 - 8)

Indeno-1,2,3 CD (ng/g) <0,01 <0,01 <0,01

Aldehydes (µg/g) <0,1 <0,1 <0,1

PM0,25 (µg/g) 2,51 96,2 238

PM0,25-0,5 (µg/g) 0,39 3,55 26,2

PM0,5-1 (µg/g) 1,89 3,84 3,65

PM1-2,5 (µg/g) 1,01 0,93 3,14

PM2,5-10 (µg/g) 1,17 1,31 0,16

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I fattori di emissione per i BTEX sono risultati comparabili tra quelli determinati per le materie prime (0,01 ÷ 0,5 µg/g) e per le candele profumate (0,01 ÷ 0,23 µg/g). I fattori di emissione per la categoria degli IPA sono risultati significativamente più elevati per le materie prime (in particolare matrice intermedio e ‘slack’) che per le candele profumate (base costituente delle candele profumate è difatti una cera paraffinica). In termini di fattori di emissione per le aldeidi le candele profumate sono risultate in questo caso più critiche. Da un confronto con i risultati presenti in letteratura si può notare come le concentrazioni determinate sperimentalmente siano risultate sino a 2 ordini di grandezza superiori (Lau et al. 1997). A riguardo delle emissioni di Benzene i valori confermano quanto presente nello studio effettuato da Okometric 2007, con valori nello stesso ordine di grandezza. La massa di particelle con diametro aerodinamico (50 % cut off) pari a 0.5 µm (PM0.5) è stata la predominante tra le differenti frazioni monitorate (circa il 90 % del totale del PM) sia per le candele a differente matrice paraffinica che per quelle profumate. (in accordo con il precedente lavoro effettuato da Fan & Zhang 2001).

Vengono di seguito riportati i valori delle concentrazioni indoor di alcuni degli inquinanti considerati più critici in termini di rischio, ottenuti dalle simulazioni tramite scenari espositivi con il software ConsExpo 4.1, a partire dai fattori di emissione e dai parametri chimico-fisici delle sostanze generate durante i test di combustione, per le differenti tipologie di candele indagate.

Nella tabella 18 e 19 sono esposti i risultati derivanti dalla modellazione degli inquinanti formaldeide, acetaldeide, acroleina+propionaldeide e PM per le 4 tipologie di fragranze indagate (corteccia, frangipane, rabarbaro e aloe). Le variabili prese in considerazione per la costruzione degli scenari sono: volumetria dell’ambiente confinato, ventilazione e durata dell’esposizione. In tutte le tabelle riportate di seguito i valori in grassetto definiscono le concentrazioni ambientali che superano i livelli di esposizione di riferimento determinati dallo studio aggiornato della letteratura scientifica.

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Tabella 18. Aldeidi e PM - Scenario fragranze con 1 candela combusta (valori in µg/m3)

INQUINANTI

FRAGRANZE

Corteccia Frangipane Rabarbaro Aloe

VENTILAZIONE (ACH)

VOLUME

(m3)

25 40 25 40 25 40 25 40

formaldeide

0,1 0,87 0,55 1,02 0,64 0,89 0,56 0,81 0,51

0,5 0,56 0,35 0,66 0,41 0,58 0,36 0,53 0,33

acetaldeide

0,1 0,26 0,16 0,39 0,24 0,29 0,18 0,38 0,24

0,5 0,17 0,10 0,25 0,16 0,19 0,12 0,25 0,15

acroleina

0,1 0,89 0,56 0,71 0,44 0,33 0,208 0,37 0,23

0,5 0,58 0,36 0,46 0,29 0,21 0,135 0,24 0,15

PM

0,1 4,67 2,92 3,90 2,43 4,60 2,87 3,26 2,04

0,5 3,02 1,89 2,52 1,57 2,97 1,86 2,11 1,32

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Tabella 19. Aldeidi e PM - Scenario fragranze con 4 candele combusta (valori in µg/m3)

INQUINANTI

FRAGRANZE

Corteccia Frangipane Rabarbaro Aloe

VENTILAZIONE (ACH)

VOLUME

(m3)

25 40 25 40 25 40 25 40

formaldeide

0,1 3,49 2,18 4,08 2,55 3,56 2,23 3,25 2,03

0,5 2,26 1,41 2,64 1,65 2,30 1,44 2,10 1,31

acetaldeide

0,1 1,02 0,64 1,56 0,97 1,16 0,73 1,53 0,95

0,5 0,66 0,412 1,008 0,63 0,75 0,47 0,99 0,62

acroleina

0,1 3,56 2,23 2,84 1,77 1,33 0,83 1,47 0,92

0,5 2,30 1,44 1,83 1,14 0,86 0,54 0,95 0,59

PM

0,1 18,68 11,68 15,6 9,72 18,4 11,48 13,04 8,16

0,5 12,08 7,56 10,08 6,28 11,88 7,44 8,44 5,28

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Successivamente in figura 3inquinanti a partire dai dati funzione della volumetria e d

Figura 3. Concentrazioacroleina+propionaldeide (cscenari con 1 (1c) e 4 (4riferimento (EL).

Nelle tabelle 20 e 21 e in figmodellistica delle concentrazparaffina, intermedio e ‘slackventilazione.

Tra i differenti scenari viconcentrazioni massime ragionevolmente peggiore (ambientali e condizioni dpeggiorative rispetto a quellbase di queste assunzioni.

82

3 sono riportati gli andamenti delle concentrazi dati di emissione medi delle candele con fragratria e della ventilazione degli ambienti confinati.

ntrazioni predette di formaldeide (a), (c) e PM2.5 (d) (media delle 4 fragranze).

4 (4c) candele combuste. Linea in rosso equi

figura 4 sono rappresentati rispettivamente i ricentrazioni di NOx, SO2 e PM da combustione di

‘slack’ in funzione della volumetria dell’ambiente

ari visualizzati nelle figure 3 e 4 è possibilime raggiunte rispettivamente dagli inquiniore (reasonable worst-case) caratterizzato dalle vaoni d’uso precedentemente indicate e ritenute quelle reali. Nella tabella 22 sono illustrati i va

entrazioni stimate degli fragranze profumate, in

, acetaldeide (b), . Confronto tra gli

o equivale ai limiti di

i risultati della stima ne di differenti matrici: biente confinato e della

ssibile determinare le inquinanti nel caso alle variabili strutturali, enute particolarmente

ti i valori ottenuti sulla

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Tabella 20. NOx , SO2 e PM - Scenario matrici paraffiniche con 1 candela combusta (valori in mg/m3)

INQUINANTI

MATRICI

Paraffina Intermedio ‘Slack’

VENTILAZIONE (ACH)

VOLUME

(m3)

25 40 25 40 25 40

NOx 0,1 0,197 0,123 0,126 0,079 0,179 0,112 0,5 0,127 0,080 0,082 0,051 0,116 0,072

SO2 0,1 0,025 0,016 0,126 0,079 0,668 0,418 0,5 0,016 0,010 0,081 0,051 0,432 0,270

PM 0,1 0,002 0,001 0,022 0,014 0,065 0,040 0,5 0,001 0,001 0,014 0,009 0,042 0,026

Tabella 21. NOx , SO2 e PM - Scenario matrici paraffiniche con 4 candele combuste (valori in mg/m3)

INQUINANTI

MATRICI

Paraffina Intermedio ‘Slack’

VENTILAZIONE (ACH)

VOLUME

(m3)

25 40 25 40 25 40

NOx 0,1 0,788 0,492 0,504 0,316 0,716 0,448

0,5 0,508 0,32 0,328 0,204 0,464 0,288

SO2 0,1 0,101 0,064 0,504 0,316 2,672 1,672

0,5 0,064 0,041 0,324 0,204 1,728 1,08

PM 0,1 0,007 0,004 0,089 0,056 0,259 0,162

0,5 0,004 0,003 0,058 0,036 0,167 0,104

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Figura 4. Concentrazioni prmatrici paraffina (a, b, c)ventilazione e del volume de(4c) candele combuste. Linea

88 Il valore di riferimento del NOcombustione di candele tende a gerispetto a quelle di NOX (Lee SC,

84

ioni predette di NOX 88 (a, d, g), SO2 (b, e, h) e P

b, c), intermedio (d, e, f) e ‘slack’(g, h, i), ime dell’ambiente confinato. Confronto tra gli scen. Linea in rosso equivale ai limiti di riferimento (EL

l NO2 non è immediatamente riferibile alle concentrazioni de a generare emissioni caratterizzate da concentrazioni di Ne SC, Wang B 2006).

e PM (c, f, i) per le , in funzione della

li scenari con 1 (1c) e 4 EL).

ioni di NOX, poiché la i di NO2 3-4 volte inferiori

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Tabella 22. Concentrazioni atmosferiche (µg/m3) reasonable worst-case scenario

Candele profumate (media fragranze)

formaldeide acetaldeide acroleina +

propionaldeide PM2.5

3,56 µg m-3 1,31 µg m-3 2,57 µg m-3 16,59 µg m-3

Materie prime

paraffina intermedio ‘slack’

NO2 788 µg m-3 504 µg m-3 716 µg m-3 SO2 101 µg m-3 504 µg m-3 2672 µg m-3

PM2,5 7 µg m-3 89 µg m-3 259 µg m-3

La valutazione che consegue dai risultati ottenuti, sulla base della revisione critica delle attuali conoscenze tossicologiche e dei limiti di esposizione che ne derivano, è utile per asserire quanto segue.

Candele profumate

Per la valutazione delle emissioni derivate dalla combustione di candele con fragranze, è stato determinato che:

- le concentrazioni stimate per formaldeide, acetaldeide, benzene, naftalene, benzo(a)pirene in tutti gli scenari ipotizzati non hanno superato i limiti di riferimento (elencati in tabella 9) anche considerando lo scenario peggiore per quantità di candele utilizzate, volumetrie e ventilazione degli ambienti;

- le concentrazioni stimate per acroleina+propionaldeide, nelle diverse condizioni caratterizzanti gli scenari, hanno superato in taluni casi il valore di riferimento considerato più cautelativo (0,2 µg/m3 per l’acroleina). Nella simulazione dello scenario la concentrazione media di acroleina+propionaldeide (mediata su tutte le fragranze) è risultata di 2,57 µg/m3. Si evidenzia tuttavia che, per l’acroleina, l’effetto critico prevedibile per un’esposizione short-term derivato dall’uso di candele è di tipo irritativo, anche se è stato scelto di utilizzare nella valutazione del rischio un limite di esposizione cautelativo stabilito per esposizione cronica life-time. Inoltre le analisi di laboratorio per la determinazione analitica delle emissioni derivanti dalla combustione delle candele, non hanno permesso di discriminare le differenze quantitative tra i due inquinanti acroleina e propionaldeide, ma solamente la loro somma. In un precedente studio89 è stato stabilito un rapporto medio sperimentale tra propionaldeide e acroleina, emesse da campioni di differenti candele, pari a 3:1. Alla luce di quanto detto, è possibile ipotizzare che la 89 Okometric, GmbH, 2007. Testing of selected organic contaminants in exhaust gases from burning container candles. The Bayreuth Institute of Environmental Research, Draft Report

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concentrazione di acroleina effettivamente rilasciata dalla combustione di candele profumate possa essere presumibilmente un quarto di quella determinata sperimentalmente. Su tale base la concentrazione approssimate di acroleina raggiungerebbe lo stesso ordine di grandezza del valore di soglia consigliato e sarebbe inferiore di un ordine di grandezza rispetto ai livelli di fondo presenti negli ambienti di vita indoor e compresi tra 2,1 e 12,2 µg/m3 90. Ciò evidenzia che la presenza di altre sorgenti (cottura dei cibi, alcune tipologie di riscaldamento domestico, differenti sorgenti a fiamma libera, fumo di sigaretta) ha un impatto maggiore sulle concentrazioni indoor e sulla conseguente esposizione (Figura 5).

- la stima delle concentrazioni di PM non ha portato al superamento del limite di esposizione consigliato per il PM2.5 (25 µg m-3) in nessuno degli scenari presi in considerazione. È stato scelto di utilizzare il limite per la frazione del PM2.5 in quanto il particolato emesso dalla combustione delle candele selezionate (particelle con diametro aerodinamico prevalentemente inferiore a 0,25 µm) è compreso in tale frazione e non sono ancora stati proposti limiti per frazioni caratterizzate da diametri aerodinamici inferiori a 2,5 µm.

Figura 5: Scenario espositivo worst-case per formaldeide, acetaldeide e acroleina derivato dall’utilizzo di candele profumate in ambienti indoor e livelli di background presenti

90 Vincent Y, Seaman DH, Bennett M, Cahill V. Origin, Occurrence, and Source Emission Rate of Acrolein in Residential Indoor Air. Environ Sci Tech 2007; 41: 20–28.

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Materie prime

La valutazione delle emissioni derivate dalla combustione delle tre tipologie di materie prime utilizzate per la produzione di candele permette di affermare quanto segue:

- La valutazione effettuata per il CO non ha portato al superamento del limite pari a 10 mg/m3 richiesto dal DM 02/04/2002, n° 60;

- Le concentrazioni di NOX dello scenario worst-case sono state superiori (stesso ordine di grandezza), per tutte e tre le matrici paraffiniche, rispetto al limite di 200 µg/m3 (tabella 9) consigliato dalla WHO per il solo NO2 e imposto dal DM 60 del 02/04/2002 come limite mediato su un’esposizione massima di un’ora. Poiché precedenti dati di letteratura (Lee SC, Wang B. 2006) hanno evidenziato un rapporto NOX/NO2 compreso tra 3 e 4, le concentrazioni indoor di NO2, nel caso peggiore, dovrebbero essere prossime al limite per esposizioni acute. Va inoltre rilevato che le concentrazioni medie di NO2 riportate in letteratura all’interno di nuclei abitativi in zone urbane italiane sono pari a 62 µg/m3 91 e quelle raggiunte durante il periodo invernale in aree urbane di molte città europee possono variare dai 20 ai 200 µg/m3, persistendo per diversi giorni consecutivi e raggiungendo concentrazioni massime pari a 2000 µg/m3 92. In conformità a queste asserzioni, è possibile affermare che l’utilizzo di candele in scenari di utilizzo worst-case può contribuire, in combinazione con altre sorgenti, al superamento del limite esposizioni acute a NO2 negli gli ambienti di vita.

- Le concentrazioni ottenute dalla stima modellistica dei fattori di emissione per l’SO2 hanno portato al superamento del limite orario pari a 350 µg/m3 consigliato dal D.M. n° 60, 2002, solamente per la matrice ‘slack’ (circa un ordine di grandezza nello scenario worst-case). Tale superamento conferma la presenza in questa matrice di alcune molecole di idrocarburi con un maggior contenuto di zolfo.

Le concentrazioni indoor di SO2, in ambienti ad uso residenziale, riportate in alcuni recenti studi in letteratura hanno determinato livelli medi pari a 10 µg/m3 e concentrazioni massime per brevi periodi fino a 100 µg/m3 93. In conformità a tali evidenze, è quindi rilevante il contributo apportato ai normali livelli indoor dalla combustione di candele prodotte con matrice ‘slack’, derivato in un’ipotesi di scenario worst-case. Occorre comunque rilevare che il raggiungimento della concentrazione peggiore (2,67 mg/m3 per la matrice ‘slack’) è poco probabile in scenari reali. 91 Simoni M. Carrozzi L, Baldacci S, Scognamiglio A, Angino A, Pistelli F, Di Pede F, Viegi G. 2002. Acute respiratory effects of indoor pollutants in two general population samples living in a rural and in an urban area of Italy. In: Proceedings of the 9th International Conference on Indoor Air Quality and Climate, 1, 119–124. 92 World Health Organization. WHO air quality guidelines for particulate matter, ozone, nitrogen dioxide and sulfur dioxide: global update 2005 (Summary of risk assessment). 93 Lee K, Scott A. Interpersonal and daily variability of personal exposures to nitrogen dioxide and sulfur dioxide. J Expo Sci Environ Epidemiol 2004; 14: 137–143.

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- Nel caso del benzene, gli scenari ipotizzati non hanno portato al superamento della concentrazione di riferimento di 5 µg/m3.

- La stima delle concentrazioni indoor di naftalene ha determinato una concentrazione massima evidenziata nello scenario worst-case per la matrice intermedio pari a 0,11 µg/m3. Tale concentrazione non ha superato il valore limite di 3 µg/m3 consigliato dall’EPA per l’esposizione a naftalene.

- Per quanto riguarda il benzo(a)pirene, le concentrazioni predette per la sola matrice ‘slack’, nella valutazione peggiore (con 4 candele contemporaneamente combuste) hanno superato il limite di esposizione consigliato per la popolazione generale (1 ng/m3). La massima concentrazione stimata per lo scenario worst-case è stata di 4,76 ng/m3.

Occorre tuttavia considerare che la tossicità del benzo(a)pirene, non è tale da far presupporre effetti acuti o sub-acuti in seguito ad esposizioni a basse dosi. Il limite preso in considerazione è stato infatti sviluppato per garantire un livello di rischio cancerogeno ritenuto accettabile, per esposizioni croniche life-time.

Inoltre il benzo(a)pirene presenta un intervallo di concentrazioni negli ambienti outdoor delle aree urbane dei paesi industrializzati compreso tra 0,5 e 3 ng/m3 (zone limitrofe a strade con intenso traffico autoveicolare). Le concentrazioni ambientali sono quindi già prossime o superiori al limite di legge.

- La stima delle concentrazioni di PM ha portato al superamento del limite di esposizione consigliato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per il PM2,5 (25 µg/m3). La stima modellistica, eseguita con i criteri cautelativi precedentemente descritti, ha confermato la possibilità di incorrere in concentrazioni che comportino un rischio per la salute umana per sola esposizione indoor ai fumi di candele prodotte con matrici ‘slack’ e intermedio. Le concentrazioni di PM predette in seguito a combustione della matrice intermedio hanno superato il limite consigliato solamente nel worst-case scenario. Al contrario, la matrice ‘slack’ è risultata costantemente superiore al valore soglia consigliato, anche in scenari di utilizzo meno conservativi. 2.4 Valutazioni conclusive Il presente studio ha valutato, mediante stima modellistica, le concentrazioni indoor di inquinanti atmosferici derivanti dalla combustione di diverse tipologie di candele profumate e di alcune materie prime utilizzate per la realizzazione di candele commerciali, in relazione ai limiti di legge o ai valori di soglia consigliati da organismi internazionali / nazionali. La stima delle concentrazioni atmosferiche generate dalla combustione di candele profumate in ideali ambienti indoor ha permesso di evidenziare, nello scenario peggiore (combustione contemporanea di 4 candele, piccola volumetria dell’ambiente confinato,

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scarsa ventilazione) un possibile superamento dei livelli di acroleina consigliati per gli ambienti indoor. Va tuttavia specificato che tale valore consigliato è stato proposto per proteggere la popolazione generale dal rischio di sviluppare il cancro in seguito ad esposizioni per 24 ore al giorno per l’intera durata della vita. Tale scenario non è ipotizzabile poiché l’utilizzo di candele profumate da parte dei consumatori è da considerarsi sporadico e di una durata di poche ore. Inoltre, si auspicano futuri studi che approfondiscano lo specifico impatto delle emissioni di acroleina negli ambienti indoor, poiché nel presente studio non è stato possibile discriminare analiticamente l’acroleina dalla propionaldeide. Tra gli altri inquinanti studiati, solo il particolato fine ha raggiunto concentrazioni atmosferiche dello stesso ordine di grandezza del livello consigliato per gli ambienti di vita. Pertanto l’utilizzo di candele profumate può generare, nel caso peggiore, emissioni di particelle fini in grado di elevare in modo non trascurabile i livelli indoor di PM2.5, come già indicato in uno studio precedente 94.

La combustione delle principali materie prime utilizzate per la produzione di candele ha invece generato livelli stimati superiori ai valori consigliati per NOx, SO2 e PM2.5. In questo caso la scelta della materia prima risulta determinante come criterio per la gestione del rischio e, nello specifico, limitare le emissioni di SO2 e PM2.5. Se infatti i livelli di emissione di NOx sono tali da generare concentrazioni stimate superiori ai valori consigliati per gli ambienti di vita per tutte le matrici studiate, nel caso di SO2 e PM2.5, tali valori sono leggermente superati in seguito alla combustione della matrice intermedio e superati di un ordine di grandezza nel caso della combustione della matrice ‘slack’.

In conclusione, i risultati ottenuti mediante stima modellistica consentono di evidenziare la possibilità che, in condizioni particolarmente critiche di utilizzo di candele profumate, si generino concentrazioni di aldeidi prossime o superiori ai livelli consigliati per gli ambienti confinati. Per quanto concerne le materie prime, la combustione di prodotti realizzati con elevati tenori di ‘slack’ può generare elevate concentrazioni di particolato fine e SO2 anche in condizioni di utilizzo non ritenute particolarmente peggiorative di quelle reali.

94 Baxter LK, Clougherty JE, Laden F, Levy JI. Predictors of concentrations of nitrogen dioxide, particulate matter, and particle constituents inside of lower socioeconomic status urban homes. J Expo Sci Environ Epidemiol 2007; 17: 433–444.

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3. Valutazione dell’esposizione occupazionale nei saloni di bellezza californiani

Durante la collaborazione con il California Department of Public Health è stato possibile focalizzare l’attenzione sulle tematiche di esposizione e valutazione del rischio negli ambienti occupazionali. Il progetto è stato coordinato dall’unità operativa di Occupational Health e sviluppato dalla divisione del California Safe Cosmetics Program. Il Dr. Michael J. DiBartolomeis è stato il supervisore del progetto. Lo studio è rivolto alla valutazione dei possibili rischi per la salute dei lavoratori connessi all’esposizione a formaldeide nei saloni di bellezza ubicati nell’area della Baia di San Francisco (San Francisco city, Berkeley, Oakland e Richmond). La recente preoccupazione espressa dall’agenzia federale statunitense OSHA (Occupational Safety and Health Amministration) concernente l’uso di particolari prodotti cosmetici per il trattamento di stiratura chimica dei capelli (“Keratin-based treatments”), ha spronato la divisione di Occupational Health dello stato della California ad approfondire la questione e determinare, tramite una serie di campagne di monitoraggio ed analisi sulla composizione chimica dei prodotti, la reale pericolosità dell’attività. Il California Safe Cosmetic Act of 2005 è la legislazione vigente nello stato della California nell’ambito dei cosmetici. La presenza di formaldeide nei prodotti commercializzati in quantità superiori allo 0,1 % in massa e l’emissione dello stesso gas in concentrazioni superiore a 0,1 ppm in atmosfera, obbliga le aziende produttrici a contrassegnare gli articoli come pericolosi (tramite un’idonea etichettatura e scheda dati sicurezza correlata) e ad assicurare le corrette gestione dei rischi negli ambienti di lavoro (utilizzo di adeguati dispositivi di protezione individuali, sistematiche campagne di monitoraggio nei luoghi di lavoro, visite mediche degli esposti, formazione delle operatrici per il corretto uso del prodotto durante il trattamento estetico dei capelli). Il prodotto di interesse tossicologico su cui si è focalizzato lo studio in questione è diffuso a livello commerciale con il nome “Brazilian Blowout Solution”. Le analisi chimiche sulla composizione hanno avuto l’obiettivo di verificare l’assenza di formaldeide come dichiarato dalla casa produttrice 95 (il prodotto è pubblicizzato difatti come “formaldeide free”), e le campagne di monitoraggio atmosferico hanno permesso di determinare le concentrazioni ambientali e personali di formaldeide raggiunte durante il trattamento estetico dei capelli. I dati sperimentali raccolti nello studio in oggetto e le conseguenti valutazione sono attualmente sotto revisione da parte di NIOSH96 e OSHA California. Presto i risultati ufficiali e le conseguenze legali di essi saranno resi pubblici in territorio californiano.

95 La formaldeide velocizza e migliore il trattamento di stiratura chimica, avendo la capacità di alterare i legami tra le proteine presenti nei capelli. 96 NIOSH: National Institute for Occupational and Safety Health

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3.1 Background Nel settembre 2011 sulla base di diverse segnalazioni ricevute dal dipartimento di Occupational Health sono state pianificate ed effettuate una serie di indagini conoscitive per la valutazione della presunta pericolosità del prodotto denominato “Brazilian Blowout”, utilizzato nei saloni di bellezza californiani per il trattamento chimico di stiratura dei capelli. Le indagini sperimentali hanno visto la collaborazione dei laboratori del California Department of Public Health (CDPH) con quelli dell’Occupational Safety and Health Adminstration (OSHA).

Le segnalazioni sono avvenute sulla base dei sintomi riscontrati da svariate operatrici del settore successivamente all’utilizzo di tale prodotto. I principali segni evidenziati dopo analisi medica hanno incluso: difficoltà respiratorie, irritazione agli occhi e lacrimazione, secchezze delle fauci, perdita dell’olfatto, cefalea, vertigini, epistassi, perdita del tatto e diverse forme di dermatite. L’analisi della scheda dati di sicurezza allegate all’articolo commercializzato sotto indagine non presentava alcuna specifica in termini di criticità di rischio legate all’utilizzo e nessuna avvertenza per la presenza di ingredienti etichettati come pericolosi. Il dipartimento di Occupational Health CDPH ha successivamente pianificato 6 campagne di monitoraggio ambientale con l’obiettivo di determinare i livelli di concentrazione atmosferiche di formaldeide realmente raggiunti durante l’utilizzo del prodotto “Brazilian Blowout”. La valutazione dell’esposizione, in relazione con i valori limite professionali indicati a livello internazionale è stata utile ai fini della caratterizzazione del rischio occupazionale per le operatrici del settore e all’analisi dell’adeguatezze delle misure di gestione delle condizioni operative 97. 3.2 Materiali e metodi Bulk Sample

Il primo approccio tecnico ha riguardato l’analisi chimica per l’identificazione della composizione di alcuni campioni del prodotto acquistati in diverse aree dello stato della California.

97 Recentemente è stato pubblicato in letteratura scientifica un lavoro di indagine tossicologica ed esposizione a formaldeide derivata dall’uso di prodotti Hair Straightening. I valori ottenuti confermano le criticità in termini di rischio analizzate nello studio svolto dal CDPH. correlate all’utilizzo del prodotto sotto indagine “Brazilian Blowout” solution. Tale lavoro è il seguente: J. S. Pierce, A. Abelmann, L. J. Spicer (2011): Characterization of Formaldehyde Exposure Resulting from the Use of Four Professional Hair Straightening Products, Journal of Occupational and Environmental Hygiene, 8:11, 686-699.

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Dai risultati sperimentali ottenuti è stata evidenziata la presenza critica di alcune aldeidi (come acetaldeide, glutaraldeide) ed in particolar modo sono state discriminate concentrazioni elevate dell’inquinante formaldeide. Sulla base di quanto evidenziato in tabella 13 è stato emesso a livello statale un alert di seguito riportato: “Caution by salon workers. There are meaningful risks to salon workers when they are confronted with these hair smoothing products”.

La determinazione quali-quantitativa della composizione del prodotto “Brazilian Blowout” e di altri prodotti simili venduti con la stessa finalità, è avvenuta in laboratorio con tecnica HPLC in fase inversa e GC massa. Sono state effettuate analisi su un totale di 61 campioni generici definiti “hair smothing” (37 dei quali corrispondenti al prodotto “Brazilian Blowout solution”) acquistati in 45 saloni di bellezza differenti. Tabella 23. Formaldeide percentuale in differenti prodotti commercializzati in California per il trattamento di stiratura chimica dei capelli

N. campioni % media

HCOH

% max

HCHO

% min

HCHO

Brazilian Blowout Smoothing solution “Formaldehyde Free”

37 8,8 11,8 6,8

Keratin Express Brazilian Smoothing Treatment

7 1,2 1,2 1,0

Keratin Complex, Smoothing Therapy 3 1,9 2.3 1.7 Brazilian Keratin Treatment, Marcia Teixeira

4 1,6 2 1.2

Chocolate, extreme de-frizzing treatment

2 2.0 2.2 1.9

Qod Gold Solution 1 2 / / Kera Green Keratin and Protein Hair treatment

2 1,5 1,6 1,4

JK's Smoothing Treatment 1 < LOD / / Bio Ionic Kera Smooth Anti Frizz 2 <0,01 0,01 <0,01 Pravana Naturceuticals Keratin Fusion 2 <0,01 <0,01 <0,01 Il limite soglia di formaldeide fissato per legge a 0,1 % in massa nei prodotti cosmetici è stato superato da tutti i campioni analizzati. I prodotti “Brazilian Blowout solution” sono risultati tuttavia superiori di 2/3 fattori rispetto alle concentrazioni medie degli altri brand. Air Sample

I campionamenti atmosferici hanno previsto l’utilizzo di linee di prelievo attive (portata pari a 0,1 l/m – 0,3 l/m) su cartucce adsorbenti rivestite di 2,4-dinitrofenilidrazina (metodica NIOSH 2016).

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La formaldeide reagendo con la 2,4-DNPH si trasforma nel corrispettivo 2,4-dinitrofenilidrazone, rimanendo così intrappolata all’interno della cartuccia chemo-adsorbente. Le successive analisi di laboratorio con desorbimento in acetonitrile e determinazione in HPLC in fase inversa (rilevatore UV) hanno permesso di determinare le concentrazioni monitorate. Le campagne di monitoraggio atmosferico hanno interessato un totale di 6 saloni di bellezza. Durante i monitoraggi effettuati in ogni centro estetico sono state valutate le concentrazioni raggiunte per un singolo trattamento in atto e unico nella giornata di campionamento. Le fasi monitorate durante il trattamento sono state: i) applicazione della soluzione “Brazilian Blowout”, ii) asciugatura con calore emesso da asciugacapelli professionale, iii) trattamento finale con soluzione ammorbidente e piastra riscaldante a 400°C. I punti di prelievo hanno interessato l’esposizione professionale dell’operatrice durante l’utilizzo del prodotto nelle sue 3 fasi e alcuni punti centro ambiente posizionati nelle vicinanze della postazione di lavoro e in aree più distanti dalla zona di emissione, in modo da ottenere una stima della potenziale distribuzione in atmosfera dell’inquinante 98. Exposure scenario

I determinanti dell’esposizione considerati nell’analisi degli scenari sono stati: - ventilazione dell’ambiente di lavoro (generale o localizzata); - volumetria della stanza (eventuali dispositivi di separazione delle postazioni di lavoro); - durata del trattamento e quantitativo del prodotto utilizzato in base alla massa di capelli da trattare; - numero di trattamenti effettuati contemporaneamente (o in successione) nello stesso ambiente di lavoro; - utilizzo di particolari dispositivi di protezione individuale (guanti, maschere facciali) La valutazione dei risultati ottenuti dalle campagne di monitoraggio è avvenuta tramite il confronto critico con i rispettivi limiti di esposizione occupazionali emessi da OSHA. In tabella 24 sono riportati anche i limiti occupazionali 99 per la formaldeide emessi negli USA da differenti autorità competenti.

98 Recentemente è stato pubblicato un lavoro effettuato nello stesso ambito dello studio svolto dal CDPH, che conferma le criticità correlate all’utilizzo del prodotto sotto indagine “Brazilian Blowout” solution. J. S. Pierce, A. Abelmann, L. J. Spicer (2011): Characterization of Formaldehyde Exposure Resulting from the Use of Four Professional Hair Straightening Products, Journal of Occupational and Environmental Hygiene, 8:11, 686-699. 99 Formaldehyde Conversion factors: at 760 mmHg and 20 °C, 1 ppm = 1.249 mg/m3 - 1 mg/m3 = 0.801 ppm; at 25 °C, 1 ppm = 1.228 mg/m3 and 1 mg/m3 = 0.814 ppm.

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Tabella 24. Limiti di esposizione occupazionali per formaldeide emessi da enti americani

Agency OEL100 Average Time Concentration

(ppm)

OSHA PEL101 TWA102 8h 0,75

AL (Action Level) TWA 8h 0,5 STEL 15 min 2

NIOSH REL TWA 8h 0,016

REL-C 15 min 0,1 ACGIH TLV103 Ceiling 0,3

I limiti proposti da NIOSH e ACGIH104 risultano di un ordine di grandezza inferiore rispetto a quelli suggeriti da OSHA. La motivazione risiede in un approccio di calcolo più cautelativo, giustificato dalla confermata cancerogenicità dell’inquinante in indagine. 3.3 Risultati delle campagne di monitoraggio Di seguito sono descritte le 6 campagne di misure effettuate nei saloni di bellezza con i rispettivi risultati. Caso 1

Il centro estetico monitorato presentava una superficie media (circa 40 m2) con un soffitto poco superiore ai 3 metri di altezza. Erano presente solamente alcuni ventilatori da soffitto e nessun impianto di ventilazione generale o localizzata. Una porta è stata lasciata aperta durante il trattamento per aumentare i ricambi d’aria. La stanza presentava 6 postazioni di lavoro e non erano presenti divisori tra di esse. L’operatrice indossava i guanti in nitrile come unico disposizione di protezione individuale. Sono stati effettuati un totale di: 3 prelievi a livello personale e 4 prelievi centro ambiente: - La prima fase di trattamento dei capelli caratterizzata dall’applicazione del prodotto “Brazilian Blowout solution” è stata pari a 27 minuti. L’esposizione a formaldeide determinata per questa attività è stata pari a 1,12 ppm. - Il tempo di asciugatura con calore emesso tramite asciugacapelli professionale è stato pari a 17 minuti e la concentrazione di esposizione relativa è stata determinata essere pari a 1,75 ppm. - Per il trattamento finale con piastra professionale riscaldata il tempo di campionamento è risultato essere pari 34 minuti e una concentrazione di formaldeide determinata in laboratorio pari a 1,35 ppm.

100 OEL = Occupational Exposure Level 101 PEL = permissible exposure level 102 TWA: Time-Weighted Average 103 ACGIH TLV-C: Limite di esposizione ceiling pari a 0,3 ppm; 104 ACGIH: American Conference of Governmental Industrial Hygienists

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- Il valore di formaldeide mediato per un esposizione totale pari a 78 minuti per la somma delle tre attività è stato pari a 1,36 ppm. Il valore di esposizione formaldeide mediato sulle 8 ore lavorative105 è quindi risultato essere pari a 0,221 ppm. - I due campionamenti centro ambiente effettuati nei pressi dell’entrata del saloon a una distanza superiore ai 3 metri dalla sorgente puntiforme hanno determinato rispettivamente: 85 minuti di prelievo attivo per una concentrazione di formaldeide risultante pari 0,289 ppm; e 25 minuti per una concentrazione pari a 0,237 ppm. - Gli altri due campioni centro ambiente prelevati per 45’ ciascuno nelle vicinanze (< 1m) dell’operatrice sono risultati essere rispettivamente pari a: 0,144 ppm e 0,116 ppm. Dai risultati ottenuti per il Caso 1 indagato possiamo effettuare le seguenti valutazioni: - l’esposizione dell’operatrice mediata sulle 8 ore lavorative è stata pari al 44 % del TLV- TWA e al 30 % del PEL indicato da OSHA. - l’esposizione short-term con concentrazioni più elevata di formaldeide (relativa ad un’esposizione monitorata per 17 minuti) corrisponde alla fase di asciugatura con fon professionale ed è pari al 90 % del relativo TLW STEL OSHA (2 ppm), e superiore di 6 volte al TLV-Ceiling suggerito dell’ACGIH. - nessuno dei 4 campioni raccolti nei pressi dell’entrata ha superato sia il limite TLV- ceiling suggerito da ACGIH.

Caso 2

Il secondo saloon indagato presentava dimensioni medie (pari circa a 50 m2) con 8 postazioni separati da pareti mobili. Ogni stanza presentava la parete frontale e posteriore completamente aperta per permettere un maggior ricambio d’aria. Non era presente un sistema di ventilazione generale o localizzata. L’operatrice indossava i guanti in nitrile come unico disposizione di protezione individuale. Sono stati effettuati un totale di: 3 prelievi a livello personale e 2 prelievi centro ambiente: - L’applicazione della soluzione (primo step del trattamento) è stato caratterizzato da un tempo di esposizione pari a 19 minuti ed una concentrazione risultante di formaldeide pari a 0,442 ppm. - Il secondo step (asciugatura con fon professionale) è stata monitorata per un totale di 15 minuti e la concentrazione risultante di formaldeide è stata pari a 0,561 ppm. - Il trattamento finale con soluzione ammorbidente e piastra riscaldante è durato 13 minuti ed ha conseguito un’esposizione pari a 0,211 ppm.

105 Tutti le concentrazioni di formaldeide TWA 8h sono state derivate tramite un approccio di medie-ponderate per l’intero periodo di trattamento monitorato, considerando le rimanenti ore lavorative caratterizzate da una concentrazione pari a 0 ppm di formaldeide. Tale approssimazione non considera un’esposizione post-trattamento (tempo di diminuzione dell’inquinante in atm considerato per convenzione caratterizzato da una decrescita logaritmica nel tempo). Ref.: OSHA: Section II: Chapter 1-Personal Sampling for Air Contaminants. In OSHA Technical Manual (OTM), 2008

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- La concentrazione media sul totale di tempo del trattamento (47 minuti) è stata pari a 0,416 ppm e il relativo valore TWA su 8 ore è stato pari a 0,041 ppm. - Due campionamenti sono stati posizionati a livello personale su una seconda operatrice in una dei compartimenti adiacenti. Il primo è stato prelevato per un tempo pari a 16 minuti per una concentrazione di formaldeide inferiore al LOD dello strumento analitico. Il secondo campione è stato caratterizzato da un tempo di esposizione di 57 minuti e l’esposizione è risultata essere pari a 0,121 ppm. - Due campionamenti centro ambiente a distanza superiore ai 3 metri dalla sorgente puntiforme sono stati pianificati ed effettuati. Rispettivamente i risultati sono stati: 41 minuti di prelievo e 0,045 ppm di formaldeide determinata, 57 minuti di prelievo e 0,112 ppm di formaldeide. Dai risultati ottenuti per il Caso 2 è possibile trarre le seguenti considerazioni: - L’esposizione totale dell’operatrice mediata sulle 8 ore lavorative è stata minore al 10 % del TLV-TWA e meno del 5 % del PEL indicato da OSHA. - L’esposizione short-term con concentrazioni più elevata di formaldeide (relativa ad un’esposizione monitorata per 15 minuti) corrisponde al campione effettuato durante l’attività di asciugatura ed è risultato essere pari al 28% del relativo TLW STEL OSHA (2 ppm), e superiore del 50 % del TLV-Ceiling suggerito dell’ACGIH. - I campionamenti centro ambiente non hanno evidenziato nessun superamento del limite TLV-Ceiling suggerito dell’ACGIH

Caso 3

Il terzo salone indagato aveva un superficie molto ampia (più di 60 m2) con un soffitto alto circa 6 metri. L’ambiente era dotato di un impianto di ventilazione generale. L’operatrice indossava i guanti in nitrile come unico disposizione di protezione individuale. Sono stati effettuati un totale di: 3 prelievi a livello personale e 1 prelievo centro ambiente: - L’applicazione della soluzione (primo step del trattamento) è stato caratterizzato da un tempo di esposizione pari a 17 minuti ed una concentrazione risultante di formaldeide pari a 0,205 ppm. - Il secondo step (asciugatura con fon professionale) è stata monitorata per un totale di 18 minuti e la concentrazione risultante di formaldeide è stata pari a 1,09 ppm. - Il trattamento finale con soluzione ammorbidente e piastra riscaldante è durato 16 minuti ed ha conseguito un’esposizione pari a 0,373 ppm. - Il valore di formaldeide mediato per un esposizione totale pari a 51 minuti per la somma delle tre attività è stato pari a 0,57 ppm. Il valore di esposizione formaldeide mediato sulle 8 ore lavorative è quindi risultato essere pari a 0,061 ppm.

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- Un campionamento centro ambiente è stato effettuato nei pressi di una delle altre postazioni di lavoro presenti nel saloon a una distanza superiore ai 3 metri dalla sorgente puntiforme. Il risultato è stato pari a: 50 minuti di prelievo attivo per una concentrazione di formaldeide risultante pari 0,17 ppm. Dai risultati ottenuti per il Caso 3 è possibile trarre le seguenti considerazioni: - L’esposizione dell’operatrice mediata sulle 8 ore lavorative è stata circa pari al 10 % del TLV- TWA e al 7 % del PEL indicato da OSHA. - L’esposizione short-term con concentrazione pari a 1,09 ppm di formaldeide (relativa ad un’esposizione monitorata per 18 minuti per l’attività di asciugatura con fon professionale) è risultata essere inferiore al relativo TLV STEL OSHA (2 ppm), e superiore di 3 volte al TLV-Ceiling suggerito dell’ACGIH. - La concentrazione di formaldeide monitorata nella postazione centro ambiente non ha portato al superamento del limite TLV-Ceiling suggerito dell’ACGIH

Caso 4

Il salone dove è stato svolto il sopralluogo era caratterizzato da una superficie totale relativamente bassa (inferiore ai 40 m2), con 6 postazioni di lavoro totali. Ogni postazione presentava un sipario alto circa 1,5 m. La stanza era dotata di un sistema di ventilazione generale. L’operatrice monitorata indossava come unico sistema di protezione individuale guanti in nitrile. Sono stati effettuati un totale di: 4 prelievi a livello personale e 2 prelievi centro ambiente: - La prima fase di trattamento dei capelli caratterizzata dall’applicazione del prodotto “Brazilian Blowout solution” è stata pari a 32 minuti. L’esposizione a formaldeide determinata per questa attività è stata pari a 1,19 ppm. - Il tempo di asciugatura con calore emesso tramite asciugacapelli professionale è stato pari a 28 minuti e la concentrazione di esposizione relativa è stata determinata essere pari a 1,78 ppm. - Per il trattamento finale con piastra professionale riscaldata il campionamento è stato caratterizzato da un tempo di prelievo pari a 48 minuti e una concentrazione di formaldeide determinata in laboratorio pari a 1,29 ppm; - Il valore di formaldeide mediato per un esposizione totale pari a 108 minuti per la somma delle tre attività è stato pari a 1,38 ppm. Il valore di esposizione formaldeide mediato sulle 8 ore lavorative è quindi risultato essere pari a 0,310 ppm. - I due campionamenti centro ambiente sono stati effettuati nei pressi dell’entrata del saloon a una distanza superiore ai 3 metri dalla sorgente puntiforme. I risultati sono stati rispettivamente: 75 minuti di prelievo attivo per una concentrazione di formaldeide risultante pari 0,287 ppm; e 31 minuti per una concentrazione pari a 0,321 ppm.

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Dai risultati ottenuti per il Caso 4 indagato possiamo effettuare le seguenti valutazioni: - l’esposizione dell’operatrice mediata sulle 8 ore lavorative è stata pari al 62 % del limite AL e al 41 % del PEL indicato da OSHA. - l’esposizione short-term con concentrazioni più elevata di formaldeide (relativa ad un’esposizione monitorata per 28 minuti) corrisponde alla fase di asciugatura con fon professionale ed è pari al 89 % del relativo TLW STEL OSHA (2 ppm), e superiore di circa 6 volte al TLV-Ceiling suggerito dell’ACGIH. - uno dei 2 campioni raccolti nei pressi dell’entrata ha superato il limite TLV-ceiling suggerito da ACGIH.

Caso 5 Il quinto salone indagato aveva un superficie media (circa 40 m2) con un totale di 7 postazioni di lavoro. Non presentava nessun dispositivo di separazione tra le singole postazioni e soprattutto era assente un impianto di ventilazione (generale e localizzata). Durante il monitoraggio una delle finestre del locale è stata lasciata aperta per aumentare la ventilazione. L’operatrice indossava i guanti in nitrile come unico disposizione di protezione individuale. Sono stati effettuati un totale di: 3 prelievi a livello personale e 1 prelievio centro ambiente: - L’applicazione della soluzione (primo step del trattamento) è stato caratterizzato da un tempo di esposizione pari a 18 minuti ed una concentrazione risultante di formaldeide pari a 0,412 ppm. - Il secondo step (asciugatura con fon professionale) è stata monitorata per un totale di 22 minuti e la concentrazione risultante di formaldeide è stata pari a 1,51 ppm. - Il trattamento finale con soluzione ammorbidente e piastra riscaldante è durato 16 minuti ed ha conseguito un’esposizione pari a 0,293 ppm. - Il valore di formaldeide mediato per un esposizione totale pari a 56 minuti per la somma delle tre attività è stato pari a 0,809 ppm. Il valore di esposizione formaldeide mediato sulle 8 ore lavorative è quindi risultato essere pari a 0,094 ppm. - Un campionamento centro ambiente è stato effettuato nei pressi di una delle altre postazioni di lavoro presenti nel saloon a una distanza superiore ai 3 metri dalla sorgente puntiforme. Il risultato è stato pari a: 45 minuti di prelievo attivo per una concentrazione di formaldeide risultante pari 0,22 ppm. Dai risultati ottenuti per il Caso 5 è possibile conseguire quanto segue: - l’esposizione dell’operatrice mediata sulle 8 ore lavorative è stata pari al 19 % del TLV- TWA e al 12 % del PEL indicato da OSHA. - l’esposizione short-term con concentrazioni più elevata di formaldeide (relativa ad un’esposizione monitorata per 22 minuti) corrisponde alla fase di asciugatura con fon

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professionale è risultata essere pari al 75 % del relativo TLW STEL OSHA (2 ppm), e superiore di circa 5 volte al TLV-Ceiling suggerito dell’ACGIH. - Il campionamento centro ambiente è risultato essere pari al 73 % del relativo ACGIH TLV-ceiling.

Caso 6

Il centro estetico monitorato presentava una superficie molto ampia (maggiore di 60 m2) con un soffitto superiore ai 3 metri di altezza. Era presente un sistema di ventilazione generale e una finestra è stata lasciata aperta durante il trattamento per aumentare i ricambi d’aria. L’operatrice indossava i guanti in nitrile come unico disposizione di protezione individuale. Sono stati effettuati un totale di: 4 prelievi a livello personale e 2 prelievi centro ambiente: - L’applicazione della soluzione (primo step del trattamento) è stato caratterizzato da un tempo di esposizione pari a 28 minuti ed una concentrazione risultante di formaldeide pari a 0,286 ppm. - Il secondo step (asciugatura con fon professionale) è stata monitorata per un totale di 15 minuti e la concentrazione risultante di formaldeide è stata pari a 0,532 ppm. - Il trattamento finale con soluzione ammorbidente e piastra riscaldante è durato 31 minuti ed ha conseguito un’esposizione pari a 0,181 ppm. - Alla fine del trattamento con piastra è avvenuto un’ulteriore asciugatura con fon professionale per 15 minuti, corrispondente a una concentrazione di formaldeide pari a 0,084 ppm. - Il valore di formaldeide mediato per un esposizione totale pari a 74 minuti per la somma delle tre attività (è stata escluso dal calcolo l’attività con piastra a fine trattamento) è stato pari a 0,291 ppm. Il valore di esposizione formaldeide TWA 8h è quindi risultato essere pari a 0,044 ppm. - Due campionamenti centro ambiente sono stati effettuati ad una distanza superiore ai 3 metri dalla sorgente puntiforme. I risultati sono stati pari a 95 minuti di prelievo attivo per una concentrazione di formaldeide risultante pari 0,047 ppm e 75 minuti di monitoraggio per 0,045 ppm di formaldeide. Dai risultati ottenuti per il Caso 6 è possibile trarre le seguenti considerazioni: - L’esposizione dell’operatrice mediata sulle 8 ore lavorative è stata pari al 9 % del TLV- TWA e meno del 6 % del PEL indicato da OSHA. - L’esposizione short-term con concentrazioni più elevata di formaldeide (relativa ad un’esposizione monitorata per 15 minuti) corrisponde alla fase di asciugatura con fon professionale è risultata essere pari al 26 % del relativo TLW STEL OSHA (2 ppm), e superiore del 50 % del TLV-Ceiling suggerito dell’ACGIH.

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Vengono di seguito riportati i valori ottenuti dalle campagne di monitoraggio per i 6 casi studio indagati.

Tabella 25. Concentrazione medie di formaldeide (valori espressi in ppm) determinate a livello personale durante le campagne di monitoraggio in 6 saloni di bellezza californiani

1° attività (applicazione) tempo/conc.

2° attività (asciugatura) tempo/conc.

3° attività (piastra 400°) tempo/conc.

Esp. totale tempo/conc.

concentrazione TWA (8h)

Caso 1 27’ 1,12 17’ 1,75 34’ 1,35 78’ 1,36 0,221 Caso 2 19’ 0,442 15’ 0,561 13’ 0,211 47’ 0,416 0,041 Caso 3 17’ 0,205 18’ 1,090 16’ 0,373 51’ 0,570 0,061 Caso 4 32’ 1,190 28’ 1,780 48’ 1,290 108’ 1,38 0,310 Caso 5 18’ 0,412 22’ 1,510 16’ 0,293 56’ 0,809 0,094 Caso 6 28’

0,286 15’

15’ 0,532 31’

0,181 74’

0,291 0,044

0,084

Tabella 26. Concentrazioni medie di formaldeide (in ppm) determinate in posizioni centro ambiente durante le campagne di monitoraggio in 6 saloni di bellezza californiani.

Zona < 1m (tempo/concent.)

[TWA 8h]

Zona > 3m (tempo/concent.)

[TWA 8h] Caso 1 45’

45’ 0,144 [0,014] 85’

25’ 0,289 [0,051]

0,116 [0,011] 0,237 [0,012] Caso 2

- - 41’

57’ 0,045 [0,004]

0,112 [0,013] Caso 3 - - 50’ 0,170 [0,019] Caso 4 -

- 75’

31’ 0,287 [0,004]

- 0,321 [0,021] Caso 5 - - 45’ 0,220 [0,020] Caso 6

95’

75’ 0,047 [0,009]

0,045 [0,007]

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In Figura 6 sono rappresentadi bellezza correlati alle 3 att

In Figura 7 sono rappresencampioni personali e centro TWA calcolati per un esposi

106 Sulla base di un principio cautpiù elevati.

0,00

0,20

0,40

0,60

0,80

1,00

1,20

1,40

1,60

1,80

2,00

Caso 1 Caso 2

form

ald

eid

e p

pm

0,00

0,20

0,40

0,60

0,80

1,00

1,20

1,40

1,60

1,80

2,00

Caso 1 Caso 2

form

ald

eid

e p

pm

101

resentati i valori short-term monitorati sperimentalmle 3 attività caratterizzanti il trattamento dei capelli.

presentati i valori mediati sulla durata dell’intero entro ambiente (postazioni > 3 m dalla sorgente

esposizione di 8 ore.

io cautelativo sono stati presi in considerazione i valori cen

o 2 Caso 3 Caso 4 Caso 5 Caso 6

1° at

2° at

3° at

OSHA TL

WHO EL 0,

NIOSH REL

California Sa

0,1 ppm

so 2 Caso 3 Caso 4 Caso 5 Caso 6

Esp. to

TWA 8

centro

TWA 8

OSHA

OSHA

NIOSH R

entalmente nei 6 saloni apelli.

intero trattamento per i ente 106) con i rispettivi

ori centro ambiente risultati

attività (applicazione)

attività (asciugatura)

attività (piastra 400°)

TLV STEL 2 ppm

EL 0,08 ppm

REL-C 0,1 ppm

Safe Cosmetic Program

sp. totale trattamento

A 8h trattamento

ntro ambiente

A 8h centro ambiente

A PEL 0,75 ppm

A AL 0,5 ppm

SH REL 0,016 ppm

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3.3 Valutazioni conclusive Sulla base della revisione critica dei risultati ottenuti dalle campagne di monitoraggio in 6 saloni di bellezza californiani e dalle analisi sulla composizione del prodotto diffuso commercialmente con il nome di “Brazilian Blowout solution”, è possibile asserire quanto segue: - Le concentrazioni percentuali in massa di formaldeide presenti nei campioni analizzati sono risultate sempre superiori al valore limite pari a 0,1 % imposto dal California Safe Cosmetic Act of 2005 (valore medio riscontrato pari a 8,8 %). Le concentrazioni atmosferiche di formaldeide determinate a livello personale durante i monitoraggi nei saloni di bellezza sono risultate sempre superiori al limite imposto dal California Safe Cosmetic Act of 2005 pari a 0,1 ppm. - Dalle campagne di monitoraggio effettuate a livello personale nei 6 saloni di bellezza è stato evidenziato come le tre attività caratterizzanti il trattamento di stiratura chimica dei capelli (applicazione, asciugatura e stiratura con piastra) presentino concentrazioni confrontabili e dello stesso ordine di grandezza. La fase di asciugatura è risultata la più critica in termini di esposizione a formaldeide, con una concentrazione media pari a 1,204 ± 0,56 ppm e massima pari a 1,78 ppm. Le concentrazioni determinate sperimentalmente sono prossime al limite suggerito da OSHA per esposizioni short-term pari a 2 ppm e sempre superiori al limite short-term suggerito da NIOSH REL-C (pari a 0,1 ppm). - L’analisi degli scenari di utilizzo valutati in un’ottica cautelativa di worst-case evidenzia la presenza di alcuni determinanti critici per la valutazione dell’esposizione. Durante i monitoraggi effettuati in ogni centro estetico sono state valutate le concentrazioni raggiunte per un singolo trattamento in atto e unico nella giornata di campionamento. La possibilità di effettuare multi trattamenti contemporanei e/o continuativi durante le 8 ore lavorative può determinare un incremento delle concentrazioni negli ambienti di lavoro rispetto a quelle derivate sperimentalmente in questo studio. La valutazione del rischio correlato all’uso del prodotto “Brazilian Blowout” è influenzata altresì dai seguenti determinanti: i) quantitativi maggiori di prodotto usato durante le singole applicazioni sulla base delle caratteristiche della massa di capelli da trattare, ii) manualità dell’operatrice nell’uso del prodotto (funzione anche del tempo impiegato per ogni singola attività). - Dall’analisi dei risultati ottenuti non è stato possibile determinare una correlazione tra la presenza di impianti di ventilazione generale nell’ambiente lavorativo e le concentrazioni determinate a livello personale e centro ambiente durante il trattamento di stiratura dei capelli. E’ tuttavia chiaro come l’esposizione determinata a vicinanza dell’operatrice alla

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sorgente di esposizione possa solamente essere contrastata da una ventilazione forzata localizzata. - Il monitoraggio effettuato nel caso di indagine numero 6 per l’attività di asciugatura supplementare con fon post-trattamento (15’ minuti di esposizione per una concentrazione di formaldeide rilevata pari a 0,084 ppm) ha evidenziato l’assenza di rilascio in atmosfera di ulteriore formaldeide successivamente all’utilizzo della piastra a 400°. - Le concentrazioni di formaldeide determinate nelle postazioni centro ambiente sono risultate essere sempre inferiori al limite OSHA AL pari a 0,5 ppm. In un ottica cautelativa di worst-case scenario caratterizzato da multi-trattamenti contemporanei e/o continuativi nell’arco della giornata, è tuttavia ipotizzabili il raggiungimento di concentrazioni critiche in termini di esposizione. - E’ possibile concludere che il trattamento dei capelli con il prodotto “Brazilian Blowout” in particolari condizioni d’uso può rilasciare in atmosfera formaldeide in concentrazioni superiori ai limiti occupazionali emessi da OSHA e NIOSH (per esposizioni short-term e TWA 8h) costatando l’eventualità di un significativo e non trascurabile rischio per le operatrici professionali all’interno dei saloni di bellezza. Sulla base della legislazione californiana nell’ambito dei prodotti cosmetici e dello studio in oggetto effettuato dal CDPH in collaborazione con OSHA California, la casa produttrice del prodotto “Brazilian Blowout” verrà obbligata ad evidenziare sulle etichette degli articoli commercializzati la dicitura di pericolosità riferita alla presenza dell’inquinante cancerogeno formaldeide tra gli ingredienti utilizzati, e corredare il prodotto con una scheda dati di sicurezza e idonee misure di gestione del rischio associato.