Riflessioni ecclesiologiche a partire da “La Chiesa” di ... · Pontificia Facoltà Teologica di...
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Pontificia Facoltà Teologica di Sicilia
«San Giovanni Evangelista»
Palermo
Riflessioni ecclesiologiche a partire da “La Chiesa” di Hans
Küng (Queriniana 1969)
Elaborato per il seminario: «La manualistica ecclesiologica postconciliare».
Presentato dallo studente Rocco Gumina n. matr. LE 2011 01
al prof. Rosario La Delfa
Anno Accademico 2012/13
Palermo
2
Indice
- Introduzione pag. 3
- 1 L’essenza e la forma della Chiesa in un mondo che muta pag. 4
- 2 Chi è e cos’è Chiesa? pag. 9
- 3 Chiesa una, santa, cattolica e apostolica pag. 16
- 4 Per una rilettura critica dell’opera “La Chiesa” di Hans Küng pag. 19
- Bibliografia pag. 25
3
- Introduzione:
Il tema specifico del mio elaborato realizzato per il seminario condotto dal prof. Rosario La Delfa
nell’anno accademico 2012/13 presso la Facoltà Teologica di Sicilia «San Giovanni Evangelista» dal titolo
“La manualistica ecclesiologica postconciliare”, è il seguente: « Riflessioni ecclesiologiche a partire da La
Chiesa di Hans Küng ». La mia ricerca ha l’intenzione di presentare, con tutti i limiti di un lavoro di natura
seminariale, le linee ecclesiologiche emergenti dell’opera di Küng del 1969 e di realizzare una rilettura
critica della stessa tramite l’ausilio di due saggi quasi del tutto contemporanei al testo del teologo
tedesco, che sono: la ricerca di Severino Dianich dal titolo Chiesa mistero di comunione del 1975 e la
riflessione di Jürgen Moltmann La chiesa nella forza dello spirito del 1976. La scelta del testo principale di
studio e degli altri due di supporto, è stata realizzata nella logica di recepire alcune istanze
ecclesiologiche all’indomani della celebrazione del Concilio Vaticano II, di tre ambienti ecclesiali e
culturali rilevanti: la realtà tedesca, la valutazione italiana e la visione della comunità protestante. I punti
delle mia riflessione sul tema sono quattro:
1) L’essenza e la forma della chiesa in un mondo che muta: dove presento il presupposto base
del pensiero di Küng circa la chiesa che risiede nel fatto che essa deve essere compresa sempre
nell’orizzonte storico dove è collocata e vive. Infatti, per il teologo tedesco non vi è, né mai può esserci,
una chiesa ideale nell’essenza da ricercarsi nella forma, ma può esistere, invece, una natura da
sviluppare nella forma data dalla storia che permette una continua mutazione dei paradigmi, anche
ecclesiali;
2) Chi è e che cos’è chiesa?: nel quale punto attraverso la riflessione su Cristo, i sacramenti, i
carismi e l’organizzazione della comunità ecclesiale, cerco di mostrare la riflessione di Küng circa
l’identità della chiesa nel mondo mutevole e nella storia che scorre;
3) Chiesa una, santa, cattolica e apostolica: in tale segmento del mio lavoro presento la modalità
ecclesiale nel mondo a partire dalla propria intima essenza, le quattro note caratteristiche, a partire dal
pensiero del teologo tedesco;
4) Per una rilettura critica dell’opera La Chiesa di Küng: in questa parte realizzo una riflessione
critica sul testo di Küng tramite il contributo ecclesiologico proveniente dalla riflessione dei saggi di
Dianich e di Moltmann.
4
- 1 L’essenza e la forma della Chiesa in un mondo che muta
Il mondo nel quale esiste la chiesa si è avviato da tempo a vivere un periodo storico connotato
da grandi sviluppi scientifici in tutti i campi: tecnica, chimica, informatica, cultura ecc. La maggior parte
dei popoli e degli Stati dei cinque continenti della terra possiedono, seppur con diverse capacità, dei
semi per il proprio sviluppo economico e in genere umano al fine di spalancare le porte al futuro
venturo. Dinanzi a tutto questo processo di crescita, cosa fa la chiesa? È aperta al nuovo o cerca di
conservare il più possibile il proprio passato e quello del mondo stesso? Dietro un‘apparente
atemporalità secondo i più, la chiesa è chiamata a vivere l’inquietudine di questo tempo con doveri
antichi e sempre nuovi, come: rinnovato impulso alla questione ecumenica; dialogo con le religioni;
inculturazione della fede nei nuovi scenari e nelle svariate culture. Una chiesa non prigioniera di se
stessa può mutare nella sua forma tramite l’impegno di tutta la comunità verso questi uffici. Il termine
chiesa, infatti, è essenzialmente legato al periodo storico nel quale essa si situa e vive. Proporre una
forma metafisica di chiesa sempre uguale a se stessa nel corso dei secoli, equivale ad una conservazione
a-storica e a-temporale della stessa poiché l’essenza più intima dell’ecclesia è che essa è un elemento
mutevole nella sua forma storica in continua trasformazione. Tale dimensione è l’unica stabile per la
chiesa. Dunque, ogni riflessione su questa deve partire dal dato storico della sua forma e non occorre
rincorrere ipotetiche visioni di comunità ideale prive di fondamento concreto. Infatti, l’essenza della
chiesa la cogliamo nel suo essere concreto qui ed ora. In questo ragionamento, però, occorre evitare il
rischio della separazione tra essenza e forma. Non è mai esistita un’essenza della chiesa perfetta che
oggi o in futuro possiamo raggiungere, ma vi è l’essenza della comunità nella forma storica esistente.
Altresì, non bisogna identificare l’essenza con la forma, poiché si deve ricercare sempre l’essenza della
chiesa nella sua realtà storica che chiamiamo forma1.
Già la storia della chiesa antica ci mostra la veridicità del nostro ragionamento: mentre i padri
apologisti ritenevano l’Imperatore, i suoi burocrati e rappresentanti come emissari di Satana, i padri
dottori mettevano al primo posto le dispute teologiche contro gli eretici; altri ancora interpretavano il
dominio romano come una preparazione al vangelo di Cristo. Inoltre nel cristianesimo antico, alcune
scuole privilegiavano il sacerdozio universale circa la strutturazione della chiesa, talune invece la
successione apostolica e spirituale con a capo i vescovi in quanto ministri d’unità. Ancora, una cosa è
l’immagine e la comprensione della chiesa nel primo millennio cristiano, prevalentemente spirituale,
un’altra invece è quella del medioevo con un impianto giuridico sempre più evidente come base
1 Cfr. H. Küng, La Chiesa, Queriniana, Brescia 1969, pp. 17-22.
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comprensiva della comunità dei credenti in Cristo. Infatti, in tale situazione, la gerarchia ecclesiale è la
manifestazione dell’ordinamento celeste. Inoltre in un primo momento l’imperatore, con il Sacro
Romano Impero, si vede attribuita la direzione della chiesa universale; in un secondo periodo a partire
da Gregorio VII, il papato, per svariati motivi non solo legati alla spiritualità, rivendica la direzione
assoluta della chiesa nel mondo intero. Nell’età moderna, per via della riforma protestante, la
comprensione della chiesa avviene mediante un trattato basato su punti controversi con molteplici e
laceranti scontri tra conciliaristi, gallicani, ultramontani ecc. che ci fanno giungere alle porte del Concilio
Vaticano I. E ancora nel XIX secolo avviene la ripresa di una riflessione maggiormente spirituale che
giuridica sulla chiesa con gli studi di Sailer prima e Möhler dopo. E poi anteriormente al Vaticano II, la
Mystici Corporis di Pio XII che ha presentato la chiesa come corpo mistico di Cristo con grandi e
importanti ricadute sui ministeri e carismi ecclesiali anche dei laici. Insomma di trasformazione in
trasformazione si comprende in maniera sempre diversa e cangiante l’ecclesiologia. Questo ci porta ad
affermare con sicurezza che la comprensione della chiesa è essenzialmente storica e, quindi, occorre
evitare di presentare un’essenza ideale di chiesa staccata da una forma storico-concreta. La chiesa,
infatti, vive nella storia, essa la plasma e la rende feconda se la comunità ecclesiale stessa decide di non
perpetuare nel tempo modelli e schemi superati dalla stessa storia del mondo. Dunque, lo spazio per il
legame chiesa-mondo è dato dalla storia che permette all’essenza chiesa di divenire forma. Ciò
permette di evitare due rischi: di proporre un’ecclesiologia ideale; di ritenersi staccati dalla vita e dalla
storia del resto del mondo, ritenendosi chiusi ermeticamente in una cittadella fortificata2.
Da quanto detto compendiamo che la chiesa si realizza in una storia che per via dello scorrere
del tempo è sempre nuova e di conseguenza la stessa autocoscienza ecclesiale sarà cangiante. Giungere
a questo con equilibrio e riuscire ad evitare nella teoria e nella prassi ecclesiale forme di tradizionalismo
e/o modernismo, non è affatto semplice. Bisogna evitare un attaccamento al passato in maniera
morbosa, ma anche una ricerca esasperata e a-storica dell’aggiornamento. La possibile soluzione a tale
situazione di apparenti e possibili estremizzazioni, è contenuta nell’evento immutabile della chiesa che è
il dato Cristo con la sua opera da vivere, come nel passato e nel futuro, qui e ora a partire dalla storia.
L’evento Cristo Gesù è assolutamente e perennemente primordiale per la chiesa, tralasciarlo
significherebbe rinnegare il proprio fondamento costitutivo. Una chiesa aperta all’aggiornamento con a
centro il Figlio di Dio e la sua opera, è una comunità che realizza nell’oggi storico la chiesa voluta da Dio
nella quale essenza e forma si auto-comprendono sinergicamente senza confusioni e/o oscuramenti.
Pertanto, perno stabile per la fermezza della chiesa nel tempo è la sua origine che vede negli scritti
dell’Antico e del Nuovo testamento la base fondante; e così una riflessione seria sulla Scrittura è norma
per comprendere al meglio il passato, vivere il presente e ipotizzare nella forza dello Spirito Santo dato
2 Ibidem, pp. 23-33.
6
in dono la presenza della chiesa nel futuro. Inoltre è opportuno precisare che i racconti del Nuovo
Testamento non rappresentano l’età dell’oro perduta, ma essi interpretati in prospettiva escatologica
sono certezza del legame e della fedeltà a Cristo. La soluzione per l’oggi, infine, non è rappresentata dal
copiare più o meno bene i modelli del passato ma dall’intendere qui e ora con lo Spirito Santo l’evento e
l’opera del Figlio di Dio in terra3.
Nel corso della storia dell’intera umanità non si può ritrovare un’istituzione così duratura e solida
come la chiesa cattolica, la quale dopo duemila anni di esistenza continua ad essere perennemente in
splendida forma. Mentre gli imperi, i regni, le repubbliche, le altre istituzioni si dissolvono, essa continua
a inviare missionari dell’evangelo in ogni parte del globo. Questo dato conduce ad ammirare la chiesa
come realtà e oggetto che va osservato per quello che riesce ad essere nel corso del tempo nonostante
grossi problemi, divisioni, rotture, cadute. Ma si può ammirare la chiesa e non far parte di essa, della
propria vita e della peculiare proposta credente da essa annunciata. Infatti, alcuni tratti, fra i più esterni
e secondari, risultano attrattivi esclusivamente nella loro dimensione psicologica, storica, sociologica,
antropologica ma essi non intaccano minimante l’essenza e il fondamento vero della comunità
ecclesiale. Per cogliere la vera natura non basta avere competenze storiche, scientifiche o culturali in
genere, ma bisogna vivere necessariamente da cristiani. Il sistema istituzionale della chiesa duraturo,
perenne ed esterno può, pertanto, portare a molti occasione di scandalo e frapporsi per la conoscenza
della sua reale essenza. Le crociate, le persecuzioni, le condanne, l’autoritarismo, gli abusi, le liturgie
fiacche possono condurre a distaccarsi da essa o a non conoscerne mai veramente l’identità più vera e
profonda. L’atteggiamento del cristiano credente e maturo, può essere quello di poter liberamente
criticare l’istituzione chiesa eppure farne parte integralmente in maniera libera e propositiva. Tale forma
storico-istituzionale esterna della chiesa spesso si presenta come contrapposizione alla vera natura della
stessa. La non essenza, ovvero il male nella chiesa, è riconducibile all’elemento umano. Esso non deve
sconvolgere gli osservatori anche critici credenti e non. Infatti, per mezzo della non essenza noi
riusciamo a scorgere la vera sostanza di chiesa. Siffatto presupposto ci proietta verso un perenne
processo di modificazione e ricerca del bene che implica per l’ecclesiologia il superamento di ogni
modello alla luce dell’evoluzione storica. Così, solo un’ecclesiologia che contempli essenza e forma
storica del suo oggetto di studio può dare un contributo a tale processo che solo l’occhio del credente
può cogliere nella sua pienezza. I cristiani formano la chiesa perché credono, essi infatti costituiscono
insieme la comunità dei credenti. Questo è l’elemento specifico della natura della chiesa che non potrà
essere compreso nella totalità dal non credente. Il cristiano professa di credere la chiesa per via della
presenza dello Spirito Santo. Ma l’atto di fede è scelta personale e singolare che il discepolo di Cristo
vive tramite la chiesa la quale, dunque, è prima oggetto di fede e successivamente può esserlo di
3 Ibidem, pp. 24-39.
7
ammirazione e/o critica. Naturalmente noi crediamo la chiesa non perché essa coincida con Dio e con le
sue “azioni” e “decisioni”, ma perché vi è in essa lo Spirito di Dio che agisce. Nella comunità ecclesiale
oltre allo Spirito Santo, operano gli uomini i quali sono peccatori, pellegrini, sofferenti ecc. e per questo
che la chiesa è peccatrice (elemento umano) e santa (elemento divino). Inoltre la chiesa esiste se ci sono
dei credenti: con questa affermazioni ogni forma di idealizzazione è esclusa. Senza la comunità
credente, l’individuo non può realizzare la sua opzione di fede. In tal modo chiesa e fede sono correlate
fra di loro in un’istanza dialogica fra singolo, comunità e credo che si fecondano l’un l’altro. Questa è
l’essenza della chiesa che deve rimanere nell’avvicendarsi della storia e dei modelli sempre nuovi e
cangianti4.
La chiesa è nel mondo presente, vive, agisce, si racconta con gli uomini e con i mezzi che la storia
gli pone qui e ora. Nel Nuovo Testamento il mondo viene delineato come realtà negativa, legato con filo
doppio al peccato, alle tenebre. I cristiani, oggi come ieri, alla stoltezza di questo mondo devono
presentare la follia della croce come evento di luce e salvezza. In questo versante la comunità dei
credenti non si è mai ritirata dal mondo rispetto ad altre forme comunitarie e religiose. Dinanzi a questo
l’opzione non è la fuga, ma l’annuncio della redenzione, dell’amore di Dio per tutti gli uomini e per il
creato intero che non è stato abbandonato a se stesso. Così gli occhi dei credenti vedono il mondo in
maniera ambivalente: una parte coperta dalle tenebre del peccato e un’altra riconciliata e salvata in
Cristo. Il cristiano e la chiesa in tale dualità, devono mantenere un atteggiamento di libertà per poter
marcare la distanza dal mondo che non è Dio. A partire dalla seconda generazione di cristiani, possiamo
ritrovare la dimensione del proprio vivere in Cristo come servizio al mondo. Nel contesto odierno della
secolarizzazione bisogna una rinnovata riflessione sull’uomo, su Dio e sul creato che possa indicare per i
nostri tempi una nuova relazione vitale chiesa-mondo. Gli studi e le analisi sociologiche, antropologiche,
storiche e psicologiche così diffuse ai nostri giorni sono importanti per la chiesa nel suo rapportarsi al
contesto attuale. Ma la risposta più genuina ci viene dal Nuovo Testamento, nel quale il rapporto chiesa-
mondo è connotato spesso dal servizio della prima verso il secondo. Oggi servire significa abbandonare
le proprie, presunte, posizioni di forza; vuol dire ancora essere consapevoli di non poter risolvere da sé i
problemi dell’umanità intera. Infatti, la chiesa serve il mondo già quando lo conosce con intelligenza per
quello che è e lo presenta a Dio per la redenzione. La comunità dei credenti in prima istanza è per il
mondo, poiché vive in esso e dunque un distacco disinteressato fra i due non può compiutamente
avvenire. La chiesa, pertanto, non può ritirarsi dal mondo, ma deve vivere in esso con la proposta Cristo
da realizzare a partire dal servizio per l’intera umanità. L’ecclesia ha un obbligo verso il mondo, perché
se essa vivesse solo per sé non sarebbe mai totalmente la comunità di Cristo. Servizio della chiesa per il
mondo significa anzitutto missione della minoranza (cristiani) nei confronti della maggioranza (umanità
4 Ibidem, pp. 43-58.
8
intera). Il mondo potrà ascoltare o meno, ma la comunità esiste per via della sua molteplice
testimonianza alle genti. In tal modo la chiesa ha un avvenire che si radica a partire dalla propria origine
che per lei è passato, presente e futuro: l’evento Cristo Gesù. L’avvenire della comunità credente
riempie il suo presente connotato dall’essere nomade per via dei cambiamenti storici e sociali. È
l’annuncio della risurrezione del Cristo, il presente e l’avvenire che la chiesa offre come servizio al
mondo5.
- 2 Chi è e cos’è Chiesa?
5 Ibidem, pp. 269-284.
9
Chi è e che cos’è chiesa? Per trovare una risposta a tali quesiti radicali sulla comunità ecclesiale,
dobbiamo cercare d’intendere l’essenza fondante della stessa. Il termine ekklesìa nei vangeli appare
appena due volte in contesti molto problematici. L’espressione regno di Dio, invece, compare più di
cento volte solo nei sinottici. Infatti, esso è il tema prevalente della predicazione di Gesù che non ha un
significato materiale, bensì escatologico. Pertanto, il regno di Dio non ha una dimensione religioso-
politica che anche l’uomo può disporre, ma è il Padre che chiama, invita e salva con una rivelazione
prettamente religiosa. L’annuncio di tale regno non è per la perdizione dei molti, ma per la salvezza di
tutti, ricchi o poveri, giovani o anziani, intelligenti o ignoranti. Così la misericordia è il tratto costitutivo
dell’avvento del regno del Signore. L’annuncio di questo, poi, non comporta una vita morale diversa, ma
una scelta radicale per Dio profondamente ancorata nel mondo. Gesù non ha chiesto a tutti di lasciare
moglie e marito; il Cristo non ha fondato comunità estranee al mondo, ma con la sua vicenda ha
annullato ogni distanza tra sacro e profano. Il Dio presente nella predicazione del suo regno, non vuole
un culto e un legalismo esteriore, ma soprattutto demanda una dimensione interiore: non solo
l’adulterio, ma anche il pensiero impuro; non solo l’omicidio, ma anche la collera ecc. La scelta per Dio,
quindi, è assolutamente irrevocabile e totale: non è questione di rispettare norme o formulare nuove
leggi, ma di vivere nell’amore di Dio sino ad amare i propri nemici6.
Qual è la relazione tra Gesù e la chiesa? Nel Gesù pre-pasquale non possiamo ritrovare nessuna
intenzione di voler fondare una comunità con una particolare struttura, ma il suo messaggio è rivolto a
tutti: ad Israele e al mondo intero. I seguaci del Cristo, fra questi anche i dodici, non vengono presentati
come membri di una particolare e settaria comunità, né tantomeno si afferma una loro appartenenza a
qualcosa per poter raggiungere la salvezza o l’essere membri di un nuovo popolo da contrapporsi
all’antico. Indubbiamente, però, la vita e la vicenda del Gesù terreno sono fondanti per la chiesa. La sua
predicazione, il suo messaggio, la sua testimonianza sono fondamentali per comprendere
successivamente il fattore che ha unito gli apostoli e i primi credenti. Da quando, poi, i primi seguaci del
maestro hanno creduto alla sua resurrezione, è nata la chiesa. Da quel momento occorre parlare di una
esistenza della comunità ecclesiale fatta di uomini e donne che hanno creduto all’incredibile: la nuova
vita dell’uomo-Dio Cristo Gesù. È il fattore globale Cristo che con la sua pasqua fonda la chiesa. Non è
importante tanto la modalità con la quale tale evento sia avvenuto, ma il fatto che un gruppo di uomini
crede nella risurrezione e si organizza per annunciare sino ai confini del mondo Cristo Gesù e il suo
messaggio di salvezza. Così la nuova comunità comincia a svilupparsi e accetta nuovi membri a partire
dal battesimo e dal dono dello Spirito Santo. Gli appartenenti a tale nuovo e particolare gruppo si
ritengono chiamati da Dio, eletti, santi e membri della comunità dell’Altissimo. Con il termine ek-klesìa,
6 Ibidem, pp. 61-69.
10
pertanto, si indicano coloro che sono convocati da Dio per costituire la sua vera comunità. La chiesa,
dunque, sin da subito si contraddistingue per essere assemblea dei chiamati. Questo termine, inoltre,
aiuta a capire l’identità della stessa in quanto non è realtà statica e metafisicamente data, ma chiamata,
invitata, adunata e quindi in perenne movimento. Tale chiesa è presente dove ogni comunità si raduna e
non solo nell’intera aggregazione dei gruppi locali. In esse c’è veramente tutta la chiesa e tutta la fede
che quindi permettono la sponda concreta e visibile al concetto di universalità di chiesa. Insomma la
vera comunità ecclesiale non è data dalla somma di chiese, ma si trova realmente la chiesa di Dio nella
singola realtà7.
Tra l’annuncio del regno di Dio e il suo compimento escatologico c’è la possibilità di commettere
l’errore nel considerare la chiesa identica al regno. Tale abbaglio non deve essere commesso: l’ecclesia
annuncia il regno, lo profetizza, prega per il suo definitivo compimento, ma non è il regno. Non la chiesa,
ma il regno di Dio è perfetto e raggiunge tutto l’universo e tutti gli esseri animati a partire dall’uomo.
Tuttavia la chiesa non è abbandonata da Dio, tutt’altro. Essa, infatti è primizia del regno nonostante sia
ancora macchiata dalla morte e dal peccato; è la comunità di coloro che attendono con ansia e fede il
regno definitivo che viene da Dio. Inoltre, la chiesa è prefigurazione del regno del Signore, in quanto
annuncia, testimonia e si sforza di vivere la predicazione di Gesù. Suddetto annuncio essa deve
proiettarlo a tutte le genti, al mondo intero, ma anzitutto al proprio interno. La chiesa, pertanto, si
presenta come una realtà provvisoria che testimonia il futuro e definitivo regno di Dio, poiché essa non
è fine a stessa. Le sue istituzioni, strutture, organizzazioni sono provvisorie e in vista dell’eskaton
definitivo. La chiesa, così, deve porsi in un atteggiamento privo di pretese: non è lei a produrre il regno,
ma Dio glielo dona e manifesta. A decidere non sarà la capacità organizzativa o intellettiva, ma la facoltà
di sapersi aprire alla fede in Dio che ci permetterà di spostare le montagne. Una delle più idonee sintesi
della predicazione del Figlio è il termine servizio: la chiesa non potrà e dovrà mai presentarsi come
istituzione politico-religiosa, ma come serva del mondo e dell’umanità nel nome di Cristo Gesù. Una
chiesa che dimentica la croce per ricercare la vittoria; una chiesa che vuole vincere e dominare sul
mondo è una comunità che non prefigura il regno. Una chiesa, invece, che vive e annuncia la croce del
Cristo all’umanità intera nella debolezza troverà la forza. Essa in tal modo annuncerà Cristo e per fare
questo non potrà utilizzare mezzi intimidatori o di forza, ma metodi di carità e servizio poiché il Figlio è
disceso per i malati e non per i sani. Essa non dovrà mai atteggiarsi a comunità di eletti né rifiutare il
contatto con ogni tipo di peccatore, ma dovrà con forza denunciare il peccato che mortifica l’uomo. La
chiesa continua a predicare il vangelo di Cristo. Sintesi dell’insegnamento del Maestro è la radicalità
della scelta per Dio, la conversione; non, dunque, la ricerca del comportarsi eticamente nel miglior
modo possibile. Conversione significa sottomettersi a Dio, rivolgere completamente la propria esistenza
7 Ibidem, pp. 70-87.
11
a Lui. La chiesa non dovrà mai scambiare tale radicale obbedienza al Dio-Amore come un atto nei suoi
confronti. La comunità ecclesiale stessa se vorrà essere veramente fedele, sarà chiamata ad ubbidire alla
croce di Cristo fino all’estreme conseguenze8.
Tutti i membri della chiesa sono popolo di Dio allo stesso modo. La chiesa non può coincidere
solo con una parte di essa, il clero. Tutto il popolo è, infatti, sacerdotale, regale e profetico. In questo c’è
assoluta eguaglianza tra tutti i battezzati che formano senza distinzione la comunità eletta del Signore.
Il termine laós a partire dal nuovo testamento indica l’intera comunità che comprende fratelli con
ministeri e carismi diversi. In tal senso non potrà, né dovrà mai esserci un fraintendimento clericale della
chiesa. Tutti siamo membra del popolo di Dio perché siamo chiamati a sperare, ad avere fede e a
salvarci. La redenzione, infatti, non è rivolta al singolo, ma alla comunità. La fede del soggetto si
manifesta ed esprime nella fraternità e con essa si redime. È da escludere, così, il fraintendimento
soggettivante della chiesa. Inoltre la chiesa esiste non da sé, ma per via della chiamata libera e di grazia
del Signore. Così anche ogni suo membro, è chiamato come Maria a esprimere il proprio sì dinanzi
all’annuncio di salvezza di Dio. Non ci sarà mai, quindi, un’appartenenza alla chiesa per etnia, censo,
famiglia, tradizione culturale, ma ci potrà essere solo per libera scelta in quanto noi siamo il popolo di
Dio. Tale consapevolezza, poi, va vissuta non in un contesto di comunità ideale e atemporale, ma
nell’orizzonte storico del proprio tempo con tutte le gioie, i dolori, i nuovi linguaggi, i mezzi e le culture
che esso comporta e presenta9.
La chiesa è convocata non da un Dio estraneo, ma da un Padre che la segue perennemente e la
erige continuamente tramite il dono dello Spirito Santo. Tale Spirito non è realtà che discende, che
proviene dalla chiesa, ma è lo Spirito di Dio donato ad essa. La chiesa senza il dono dello Spirito sarebbe
una semplice comunità umana piena di peccatori. Con la presenza di Dio Spirito Santo, essa è santa e
chiamata nei suoi membri peccatori alla santità. Lo Spirito, inoltre, non è alle dipendenze della volontà
della chiesa, ma è libero. Una comunità che è in grado di distinguere con maturità la presenza divina
dello Spirito e la componente peccatrice umana, ci permette anche di capire come il primo è libero e la
seconda invece sottoposta all’azione di Dio. Noi, infatti, crediamo nello Spirito Santo, ma mai a noi
stessi; non professiamo, infatti, di credere nella chiesa, ma la chiesa. Lo Spirito Santo è, quindi, spirito
libero che non agisce solamente a chiamata del credente mediante i ministri ordinati, ma soprattutto
opera liberamente, nel mondo intero e fra tutti gli uomini. Comprendere con tale consapevolezza il dato
religioso non cristiano, significa avere una apertura globale verso l’intera umanità e in direzione di ogni
sua espressione. Uno Spirito che soffia come e quando vuole è anche una presenza che ricerca
incessantemente la pace e la concordia nella comunità credente e fra gli uomini. Lo Spirito libero agisce
8 Ibidem, pp. 91-109. 9 Ibidem, pp. 113-124.
12
nella comunità e fra i singoli chiamandoli ad operare nel più vario modo possibile tramite l’esercizio dei
carismi che sono le peculiari vocazioni dei credenti. La varietà dei carismi esprime non una volontà
dell’uno contro l’altro, ma un’espressione dell’uno per l’altro al fine di costituire un ordinamento
ecclesiastico basato sul carisma che non vuol dire confusione, ma ordine nella diversità. In tutto questo,
però, non dobbiamo dimenticare che senza battesimo e cena del Signore non c’è chiesa10.
La cena del Signore è essenzialmente un banchetto, un ricordo, un rivivere la presenza e la
pasqua di Cristo. Se il battesimo è il primo ed evidente segno di grazia e salvezza dinanzi la comunità, la
celebrazione dell’eucarestia è una festa di comunione e, dunque, l’atto continuamente fondante per la
chiesa. Questa dimensione ci permette di intendere che la comunità locale e la chiesa intera sono il
Corpo di Cristo del quale Lui stesso è il capo. Il Signore è veramente presente nella chiesa a partire dal
fatto che quando due o tre saranno riuniti nel suo nome, Egli sarà con loro. Ma è nell’assemblea liturgica
che il Cristo è pienamente e oggettivamente presente nella comunità. Il Signore quindi è per la chiesa
una guida che la protegge, ma non può essere mai ridotto ad essa. La comunità dei credenti ha fede nel
Cristo, ma non coincide con Lui. La chiesa, altresì, non è nemmeno totalmente il Cristo continuato,
poiché le sue istituzioni in tal modo potrebbero passare per segno del Signore e imporre nel suo nome
qualsiasi cosa. La chiesa non deve, perciò, apparire come Cristo continuato o coincidere con lo Stesso,
ma deve essere più pienamente corpo di Cristo obbedendo a Lui come capo nel nome del suo esempio
di povertà, radicalità, amore11.
Il tema della cena del Signore ci conduce a riflettere sui ministri della chiesa. In prima istanza
tutti i credenti in quanto comunità radunata nel nome di Cristo Gesù, sono ministri. Il punto debole di
molte ecclesiologie è quello di presentare l’ecclesia in una prospettiva gerarchica, davanti il clero e a
seguire il laicato. Il Nuovo Testamento non conosce una netta distinzione tra appartenenti all’ordine
sacro (come poi si dirà) e fedeli, poiché, si è tutti battezzati e dunque morti e risorti nel Signore. Cristo è
il vero, unico e definitivo sommo sacerdote che ha dato anzitutto una dimensione di apostolicità ai
dodici e alla primitiva comunità resa integralmente sacerdotale. Quindi il popolo intero è sacerdotale,
ma cosa significa questo? Oltre ad essere un’espressione utilizzata superficialmente per contrapporre i
laici ai chierici, essa indica in un primo luogo l’assenza di mediazione tra Dio e l’uomo e pertanto un
rapporto diretto con il Redentore. L’uomo, infatti, è coinvolto globalmente dal dono di grazia di Cristo e
agisce in libertà e responsabilità. In secondo luogo non si tratta più di realizzare sacrifici materiali, ma
spirituali. Cristo ha definitivamente pagato e redento le colpe dell’intera umanità; l’uomo è chiamato ad
adorarlo non in un santuario, non tramite l’offerta di beni, ma per mezzo della sua intera esistenza.
Ancora, la dimensione sacerdotale del popolo implica un annuncio della parola di Dio da parte di tutti i
10 Ibidem, pp. 127-142. 11 Ibidem, pp. 145-157.
13
suoi componenti, dove non si tratta di fare riflessioni di alta teologia, ma di testimoniare la vita in Cristo
Gesù alimentata per il tramite della sua parola. Da questa si deduce che il battesimo e la cena del
Signore sono celebrazioni dell’intera comunità: a tutti i credenti è stato affidato il compito di battezzare
e dall’intera comunità segue il comando e il desiderio di mangiare il corpo e il sangue di Cristo. Tale culto
è dimensione dell’intera assemblea e si deduce, pertanto, che vi è una mediazione di essa intesa come
popolo nel rapportarsi anche da singoli al Dio-Amore. Intercessione della comunità che significa
prendersi cura dell’altro, del fratello, dei bisognosi per portare insieme il fardello di tutti: qui si esercita e
vive realmente il sacerdozio universale. Nel Nuovo Testamento la pasqua del Cristo avviene nel
momento della cena e della sua morte e risurrezione. In tutto il racconto di tali eventi non appare mai il
termine sacrificio. Esso compare a partire da alcuni scritti della tradizione della chiesa, come la Didachè,
per cominciare ad indicare i capi della comunità che la guidano e che offrono quasi come dei mediatori il
sacrificio di Cristo. Questo processo conduce ad una clericalizzazione della chiesa come il modello delle
caste sacerdotali dei culti pagani. Non si può mettere in discussione il fatto che a guidare la comunità sia
un sacerdote, poiché tutti i membri della comunità lo sono, ma che esso sia l’unico a poter mediare e
presentare il sacrificio non regge, poiché l’intera comunità è chiamata a farlo. Tutti i componenti del
popolo di Dio sono ekklesia, il Nuovo Testamento in ciò è chiaro e quando in esso si vuole indicare
qualcuno con una funzione particolare si utilizza sempre il termine diakonía. Questa parola nella cultura
greca stava ad indicare una dimensione di inferiorità, di abbassamento fra i gradi della società poiché
essa significava il servire i poveri, gli afflitti ecc. Gesù pone come perno centrale per i suoi discepoli il
servire: chi non si abbassa, chi non è servo, chi non si mette a disposizione dell’altro non potrà seguirlo.
Dunque non il diritto, non la potenza, non la forza, ma il servizio preforma e conforma l’essere cristiani.
La dimensione, però, non è moralistica, ma basata sull’amore che è Dio il quale si dona. Il servizio
nell’assemblea trova una molteplicità di attualizzazioni tramite la diversità dei carismi. La diaconia e la
dimensione carismatica non sono contrapposte ma complementari e coincidenti. In tali diversità ci sono
i servizi pastorali per la cura e la guida dell’intero popolo che hanno trovato forma nell’episcopato con i
gradi di partecipazione del presbiterato e del diaconato. Tali servizi non implicano un comando e/o un
potere assoluto sulla comunità, ma gli stessi servizi hanno una superiorità e una subordinazione.
Bisogna precisare che non solo coloro che servono la chiesa come guide pastorali sono nella
successione apostolica, ma tutti i membri della comunità lo sono ciascuno secondo il proprio carisma.
Altresì, il potere di gestire la comunità non è affidato esclusivamente a coloro che la conducono con la
dimensione pastorale, altrimenti si rischierebbe la clericalizazione; come anche non può essere
totalmente esercitato dal sacerdozio comune poiché si degenererebbe nella secolarizzazione. Tutti i
cristiani, infatti, sono annunciatori della parola e della morte e resurrezione di Cristo, ma nell’assemblea
adunata tale compito è affidato ai pastori chiamati a questo per il carisma ricevuto. Così i ministeri
pastorali possiedono una superiorità sugli altri che però non deve scadere in un potere assolutistico,
14
poiché le cose della comunità che riguardano tutti devono essere gestite collegialmente. Non è la
comunità che esiste per l’esercizio dell’ufficio pastorale, ma è il ministero pastorale che serve la chiesa.
Inoltre, i gradi del carisma della guida pastorale che conosciamo ci sono stati tramandati dalle istanza
delle comunità palestinesi; non si può escludere in partenza l’organizzazione ecclesiale strutturata da
Paolo. Infatti, prendendo in seria considerazione quest’ultima, specialmente nei contesti odierni di
missione, potremmo riformulare in altre e diverse maniere la costruzione e la conduzione della chiesa
tramite il ministero pastorale12.
La riflessione sul ministero pastorale non può che indicarci un’altra tappa fondamentale del
nostro pensare sulla chiesa: il ministero petrino. Non si può dimenticare il servizio che la comunità di
Roma con il suo vescovo, hanno svolto nei confronti delle chiese emergenti, ieri come oggi, verso l’unità
e l’organizzazione delle varie comunità sparse nel mondo. Come non si può eludere l’atteggiamento
reazionario, apologetico, assolutistico del papato lungo i secoli nei confronti del potere temporale, del
conciliarismo, del gallicanesimo sino a sfociare al Concilio Vaticano I con l’infallibilità del successore di
Pietro. Con il Vaticano II si è faticosamente ripresa una discussione sulla comunione e collegialità fra le
chiese e i loro pastori. Il problema da porsi all’inizio non è la modalità dell’esercizio del ministero
petrino, ma la sua esistenza. La teologia medievale che arriva a compimento nel Vaticano I, presenta un
primato giurisdizionale. È indubbio che nel Nuovo Testamento Pietro abbia una singolarità fra i dodici,
per via del riconoscimento della divinità del Figlio, per il fatto di aver ricevuto delle esplicite esortazioni
dal Risorto ecc. Pietro, quindi, era uno degli apostoli più vicini a Gesù e dopo la risurrezione fu portavoce
di un modello di chiesa che era quello gerosolimitano il quale si scontrò con quello paolino. Circa il
legame con Roma, attualmente non è possibile risalire all’inizio della realizzazione di un episcopato
monarchico nella capitale imperiale. Certo è che nel corso del tempo dovette crescere l’importanza di
Roma fra tutte le chiese. Tale primato con la sua trasmissione, trova fondamento negli scritti
neotestamentari che anche gli ortodossi e i protestanti dovrebbero riconoscere. Il problema di fondo
non è la ricostruzione storica di questa successione, sino ad arrivare a Pietro, ma la fedeltà alla sua
missione. Se nel corso della storia si è maggiormente evidenziato il potere petrino più che il suo servizio
ci sarà un motivo. Infatti, il principe degli apostoli non è chiamato a rincorrere l’imperialismo romano,
ma la diaconia evangelica del dare oltre che la tunica anche il mantello. Il Pietro che non guarda a Cristo,
che cerca d’interessarsi e di controllare tutto non è fedele al dettato del Maestro il quale gli ha detto
«Che t’importa? Vieni e seguimi». Alla grandezza della missione corrisponde l’enormità della tentazione:
non si tratta di un titolo d’onore, di giurisdizione, di dominio, ma di servizio. Solo in questo modo il
12 Ibidem, pp. 213-238.
15
primato petrino potrà ancora rappresentare per i cattolici e per gli altri cristiani, una roccia ferma nel
cammino della chiesa nella storia13.
- 3 Chiesa una, santa, cattolica e apostolica
Il passare della storia, lo scorrere degli eventi segnano, oltre che i tempi, anche la vita della
chiesa. Essa deve sempre trovare nei vari periodi che si succedono una forma adatta. Questa, poi, per
13 Ibidem, pp. 239-266.
16
poter segnare una continuità nella prospettiva dell’essenza, deve poggiarsi e costruirsi sull’unità, sulla
santità, sulla cattolicità e infine sull’apostolicità. Tali quattro note fondanti della chiesa sono
riconosciute dall’intera cristianità. A questo punto, però, bisogna chiedersi: quali sono le caratteristiche
per poter riconoscere l’unità, la santità, la cattolicità e l’apostolicità della chiesa? Possiamo inizialmente
affermare che queste non sono semplicemente dei doni da parte di Dio alla comunità, ma anche delle
dimensioni da vivere e da realizzare. Infatti, a cosa servirebbero tali termini piantati su di una istituzione
senza esperienza viva di vera fede? Esse si concretizzano sempre nel vissuto della fraternità ecclesiale, e
pertanto più che note della chiesa, esse sono segni dell’intera cristianità i quali non formano uno scudo
di difesa apologetico contro le diversità, ma manifestano la peculiarità dell’esistere ecclesiale14.
L’unità della chiesa non significa affatto conformità assolutistica all’unico governo, all’esclusivo
potere, alla sola gerarchia. Essa, invece, si riferisce anzitutto all’unità dei credenti nel battesimo. In un
secondo momento possiamo dire che ogni chiesa locale, nella fede in Cristo Gesù, è unita e costituisce
insieme a tutte le altre comunità, una concordia nella diversità visibile e spirituale. La varie chiese locali,
regionali, nazionali e continentali non devono e non possono rifiutare e/o abbandonare le proprie
tradizioni e i propri usi per una conformità di modi che non significherebbe affatto unità, ma conformità
dittatoriale. Dal Nuovo Testamento riesce ad emergere un’immagine di chiesa che esiste nel tempo
articolandosi attraverso la diversità dei riti liturgici, della lingua, della teologia e persino
dell’organizzazione che conduce alla formulazione di un diverso diritto. Ogni comunità è chiamata ad
esprimere la propria specificità nell’unità data e vissuta tramite lo Spirito. La differenza, però, non deve
mai sfociare nella divisione-opposizione fra chiese che possono segnare delle confessioni opposte che si
scontrano e giudicano per mezzo delle reciproche divisioni e scomuniche. Nella storia noi ricordiamo
soprattutto il caso degli scismi d’oriente e d’occidente. Per la risoluzione di tali separazioni non
possiamo ricercare delle scappatoie come il rifugiarsi in un’unità invisibile o il considerarci come rami di
un grande albero o il ritenerci materialmente come membri di un unico corpo. Queste rotture non
possono essere giustificate al pari del peccato e devono stimolare il nostro impegno e la nostra apertura
allo Spirito verso la reale unità15.
La cattolicità della chiesa indica come espresso fermamente nel Nuovo Testamento la totalità
dell’intera comunità. Quindi l’insieme delle singole e diverse chiese locali sparse in tutta quanta
l’ecumene formano e costituiscono la cattolicità dell’assemblea che però si manifesta nel particolare
esistere delle varie comunità territoriali. Bisogna precisare, però, che la chiesa è cattolica non perché è
diffusa in tutto il globo; non per via della propria multiculturalità; non tramite l’enorme dimensione
numerica dei fedeli e nemmeno attraverso la continuità storica; ma solo per mezzo del suo muoversi e
14 Ibidem, pp. 161-166. 15 Ibidem, pp. 166-173,
17
trasformarsi nella storia essa è veramente cattolica, completa e pertanto veramente universale. Inoltre,
la chiesa non esiste per specchiarsi, non è stata fondata per riferirsi a se stessa ma per essere
missionaria verso l’universalità umana. Una chiesa nazionale, una comunità arroccata nel passato,
un’ecclesia limitata ad un gruppo o ad un’etnia non potrebbe manifestare la vera cattolicità. Altresì, il
numero, la presenza in tutto il mondo, la varietà non producono la cattolicità, ma è essa che genera
tutte queste caratteristiche concrete, culturali e spirituali. La cattolicità, poi, non può essere esclusiva
ovvero non può attribuirsi ad una sola espressione della cristianità, sarebbe un controsenso; ma tutte le
chiese della cristianità possono riconoscere nella prospettiva dell’origine un legame storico, teologico e
spirituale con quella che si definisce chiesa cattolica come il rapporto tra madre e figlie che, pur
provenendo dalla stessa famiglia, litigano fra loro e tuttavia si somigliano tantissimo. La risoluzione di
queste divisioni non potrà essere rappresentata dal fatto che le figlie ritornino dalla madre o che questa
rincorra la sua prole, ma dalla comune base che è l’evangelo. Pertanto la cattolicità se vorrà essere
realmente tale anche oggi e nel futuro dovrà svilupparsi e fondarsi continuamente come “cattolicità
evangelica”16.
La chiesa storica, che viviamo oggi e che i primi cristiani cominciarono a costituire è una
comunità di peccatori e dunque anch’essa peccatrice. Inutile nasconderlo, non si tratta del peccato del
singolo, ma della chiesa che nel corso della storia si è manifestata come assemblea ricolma di peccati di
ogni genere. La soluzione a tale grave problema non può essere, naturalmente, la segregazione dei
membri puri e l’esclusione di quelli peccatori. L’adesione alla chiesa si fonda anzitutto sul fatto che il
fedele accoglie essa qual è, e questa riceve il nuovo figlio nella sua dimensione creaturale indirizzata per
indole verso il peccato. La santità della chiesa, perciò, non consiste nell’alta moralità dei suoi membri,
ma nel dono di grazia e nella presenza in essa dello Spirito Santo di Dio. Questa opera della Trinità ha
originato la comunità dei santi per sola elezione divina. È così la chiesa si caratterizza per essere santa e
peccatrice. Chi vuole vederla dall’alto, cioè a partire da Dio, ricercherà e troverà una comunità ideale
non attualizzabile; chi desidera osservarla dal basso scoprirà un gruppo di uomini deboli e talvolta
corrotti. Chi, invece, ha intenzione di capire veramente la chiesa, deve osservare la sua dimensione
umana e divina, teandrica, che la fa essere casta e meretrice, santa e peccatrice. Tutto questo, però, non
è realtà immobile. L’assemblea dei fedeli è posta nella storia per contemplare il suo Signore ma anche
per vivere e annunciare al mondo una diversità, una peculiarità per via dell’appartenere a Cristo. Quindi
si è in cammino, per strada, in viaggio verso la meta della comunità tutta santa e pura nel Dio-Amore.
Infatti, la chiesa nell’evolversi e svilupparsi della storia potrà sbandare come Israele nel deserto, accadrà
16 Ibidem, pp. 177-190.
18
di perdersi, di dilaniarsi, di non riconoscere più il suo Dio, ma rimarrà indefettibile nella verità poiché il
Signore che l’ha fondata non l’abbandonerà mai.17
L’esperienza degli apostoli è unica e irripetibile. Loro hanno vissuto, ascoltato, parlato con Gesù
Cristo e hanno ricevuto un mandato da Lui e dallo Spirito Santo. Tale situazione non è ripresentabile. La
continuità sta nella missione che hanno ricevuto e trasmesso. La successione apostolica, infatti, non
significa il poter rivivere l’esperienza degli apostoli, ma nel continuare la trasmissione apostolica. Chi è
chiamato a far questo? È l’intera chiesa a dover essere apostolica se desidera fermamente esistere
anche nelle dimensioni della cattolicità, unità e santità. Anche l’apostolicità come le altre note è un dono
e un dovere da vivere a partire dalla testimonianza degli apostoli. Per far ciò occorre confrontarsi con il
Nuovo Testamento il quale ci puntualizza come chi ascolta la parola della Chiesa, e dunque dei suoi
apostoli, ascolta direttamente la parola di Dio. Il Nuovo Testamento è la fonte apostolica originaria con
la quale bisogna confrontarsi e dalla quale necessita attingere se si desidera continuare la successione
apostolica. L’apostolicità, poi, deve situarsi nella condizione storica e per farlo lo strumento privilegiato
e unico è il servizio della predicazione, della condivisione, della prossimità della chiesa per il mondo18.
- 4 Per una rilettura critica dell’opera “La Chiesa” di Hans Küng
Per procedere verso una rilettura critica dell’opera La Chiesa di Küng bisogna anzitutto
presentare in sintesi i punti peculiari di essa che alla luce dei precedenti paragrafi di questo lavoro
17 Ibidem, pp. 191-201. 18 Ibidem, pp. 201-209.
19
possono essere individuati in tre grandi aree che sono: 1) il rapporto chiesa-mondo; 2) l’identità della
chiesa; 3) la modalità della chiesa a partire dalla sua più intima essenza. Circa la relazione chiesa-mondo,
il lavoro di Küng propone alcune riflessioni molto stimolanti a partire dal fatto che la comunità dei
discepoli del Maestro è sempre presente e radicata in un mondo che muta perennemente. Infatti non
esiste, né mai potrebbe concretizzarsi, una chiesa astorica e atemporale senza nessun legame con il
mondo a lei contemporaneo. Pertanto, ogni riflessione sulla chiesa va realizzata tramite un fedele
ancoramento al mondo. L’essenza della comunità ecclesiale non potrà mai consistere in un’idealità
perduta da ricercare, ma va vissuta storicamente nella forma di ecclesia del tempo con la tensione
continua nell’evitare un tradizionalismo sterile ed un aggiornamento esasperato e infecondo. In questo
contesto, per Küng, la chiesa va prima che ammirata, creduta per via della presenza in essa dello Spirito
Santo di Dio. Quindi per quel che concerne il rapporto chiesa-mondo, questo non dovrà mai essere
caratterizzato dalla fuga del popolo di Dio da esso, ma contraddistinto dalla libertà della comunità che si
specifica e realizza nel servizio al mondo; 2) per quanto concerne l’identità della fraternità ecclesiale,
Küng precisa che essa non è il regno di Dio e con questo mai dovrà essere confusa. La comunità
annuncia e prefigura il regno, ma non coincide con esso. Inoltre la chiesa è fondata dall’intera vicenda
pasquale del Cristo che comincia con l’ultima cena e culmina con la sua resurrezione. Altresì, l’assemblea
ecclesiale nello scorrere del tempo non deve mai presentarsi come istituzione politico-religiosa, ma
annunciarsi come la serva del mondo per il quale e nel quale annuncia la salvezza nel nome del
Redentore Cristo Gesù. Segno visibile e unitario, su tutti, di tale servizio diaconale al mondo, è il
ministero petrino. Infine, i membri del popolo di Dio sono allo stesso modo tutti quanti i fedeli
battezzati, i quali ricevono dallo Spirito i doni carismatici per il servizio nella e per la comunità. Suddetti
doni possono trovare diversa strutturazione e attualizzazione, per via del cangiante contesto storico e
sociale nel quale l’assemblea ecclesiale si presenta, si radica e vive; 3) La modalità chiesa a partire dalla
sua intima essenza, per Küng è espressa dalle quattro note caratterizzanti che la modulano nel mondo
in quanto una, per via non dell’autoritarismo unificatore, ma dello Spirito Santo; santa e peccatrice,
poiché la santità vi è per mezzo della presenza nello Spirito Santo di Dio e, invece, il peccato si trova per
tramite dell’uomo che vi aderisce. Chiesa santa e peccatrice da comprendere nell’insieme e mai in
prospettiva divisiva onde evitare falsi idealismi (chiesa solo santa) o presunti allarmismi (comunità di soli
uomini peccatori); cattolicità manifestata non per mezzo del numero di figli o per l’estensione
nell’intero globo terrestre, ma perché essa è radicata come comunione tramite il vangelo
perennemente annunciato; apostolica in quanto tutti i suoi membri, e non solo pochi eletti, esprimono
tale nota caratterizzante.
Adesso proseguiremo la nostra riflessione critica con la presentazione, alla luce di questi tre
punti emergenti dall’opera La Chiesa di Küng, della prospettiva ecclesiologica di Severino Dianich con il
saggio Chiesa mistero di comunione del 1975 e con lo studio di Jürgen Moltmann risalente, nella
20
traduzione italiana, al 1976, nel tentativo di realizzare un dialogo fecondo e ragionato tra queste tre
opere realizzate all’indomani della chiusura del Concilio Vaticano II.
Dianich pone la specificità dell’essere cristiani nel mondo a partire dall’evento della morte e
resurrezione di Cristo. Tale avvenimento non è la morte di un eroe, di un personaggio modello per
l’intera umanità, ma l’unica condizione possibile per cancellare il peccato e ridonare la vita a tutti gli
uomini. I cristiani, pertanto, vivono nel mondo con questa consapevolezza da annunciare. Ciò deve
significare per l’intera comunità credente, l’accettazione della sofferenza, del donarsi interamente come
servizio, del resistere in contesti di privazione e opposizione proprio come il suo fondatore e redentore.
È chiamata a rilevare anche l’allontanamento dal desiderio di gestire il potere, specialmente in contesti
nei quali i cattolici sono maggioranza, e il condividere il martirio di Cristo nelle modalità richieste dalle
differenti circostanze storiche. La pasqua di Cristo mostra, altresì, la dimensione e la capacità
contemplativa che tutti i cristiani oltre le peculiari vocazioni, devono possedere ed esercitare nella
storia, negli eventi, nella loro intera esistenza. Tutto ciò, però, non deve mai essere ridotto alla
questione dell’incontro-scontro chiesa-stato, poiché la realtà mondana per la comunità ecclesiale non è
il nemico da convertire, ma il contenitore nel quale vivere e interpretare il vangelo. Con tale lettura lo
stato laicale riacquista un’enorme forza e consapevolezza per via delle modalità di spesa del proprio
essere: dimensione sociale, politica, economica ecc. In tale modo possiamo dire che la chiesa agisce
politicamente nel mondo solo tramite i laici19.
Per Dianich una delle caratteristiche fondanti della chiesa è quella di comprenderla come una
storia umana inserita in Dio per tramite del suo Cristo e dello Spirito Santo. Tale comunità è
contraddistinta dall’annunciare la gioia del Signore morto e risorto che è realtà base per il regno di Dio.
Questo regno è presentato come portatore di speranza e di gioia, di libertà e di giustizia; è segno di
conversione per gli uomini e di attesa-urgenza per il suo arrivo definitivo. In una prospettiva di sintesi
teologica possiamo dire che il regno è Cristo, il quale è certamente presente nella storia, dunque esso
deve essere costituito a partire dalla sua presenza, ma non coincide con la chiesa. Il regno e l’ecclesia
come sua primaria annunciatrice, hanno una radice storico-teologica precedente al Signore risorto
rappresentata dal popolo ebraico. Senza questo fondamentale aggancio al passato la predicazione del
regno, tramite la comunità, sarebbe avulsa da ogni effettività concreta. Questo popolo è caratterizzato
dal fatto di essere eletto e salvato da Dio; chiamato ad essere sacerdote per testimoniare l’esistenza
dell’unico vero Signore; peregrinante in tutte le sue vicende di liberazione e salvezza. Ora l’annuncio
scaturito dalla pasqua di Gesù genera, se vissuto nella prospettiva integrale e fedele, la comunione che
anzitutto manifesta il legame con Cristo stesso e pertanto l’unione con Lui. Dunque, la chiesa nel
19 Cfr. S. Dianich, Chiesa mistero di comunione, Marietti, Genova 1975, pp. 191-211.
21
predicare il regno mostra l’amore di Dio che deve cercare faticosamente di vivere in prima istanza essa
stessa tramite il modello che indica il vissuto della Trinità. La chiesa, inoltre, è un avvenimento che nasce
dalla fede dei singoli e dell’’intera comunità al dato oggettivo che è la pasqua. L’assemblea ecclesiale
nella storia, deriva dalla testimonianza a tale accadimento che viene immediatamente predicato dalla
chiesa apostolica e in continuità ininterrotta sino ai nostri giorni. Pertanto la parola di Dio è una fonte
primaria per vivere e fare chiesa che legata alla testimonianza dell’intera comunità formano i nuovi
cristiani. La chiesa è anche sacramento dell’unione fra Dio e gli uomini di cui il massimo segno è
l’eucarestia che con i restanti gesti sacri vengono direttamente ricevuti dal Cristo e dalla forza dello
Spirito Santo. La chiesa, altresì, è accadimento interpersonale il quale però deve essere considerato a
partire della singola specificità dei membri per via del dono ricevuto dei carismi. I doni dello Spirito sono
segni dell’avvento del regno di Dio e possono essere liberi o racchiusi in un contesto istituzionale come
l’episcopato, il presbiterato e il diaconato. Questi ultimi hanno un ruolo essenziale per legare la scrittura
alla comunità. Tale ministero, però, è forma espressiva del sacerdozio dell’intera chiesa20.
Circa le modalità della chiesa nel mondo a partire dalla sua intima essenza, Dianich ritiene che la
cattolicità, l’apostolicità e l’unità siano note comprensibili tramite strutture a differenza della santità la
quale non può essere trattata come le altre. La chiesa specie all’inizio della sua storia era realtà
circoscritta, ma chiamata ad una missione universale. Ogni singola comunità sin da subito si distingue
per essere catecumenale, eucaristica, monastica ecc. L’insieme delle diverse modalità trovano unità
nella chiesa diocesana la quale è comunione di diverse comunità. Pertanto ogni vescovo insieme agli
altri e al papato sono segno tangibile della cattolicità della chiesa. Inoltre il mistero di salvezza presente
nella scrittura non ha limiti temporali, infatti il rapporto tra gli apostoli e la chiesa in ogni tempo è dato
non solo dal Nuovo Testamento, ma anche dalla continuità nell’annuncio che genera comunione nello
scorrere della storia. La chiesa nasce e vive sempre per lo stesso vangelo il quale è annunciato dalla
comunità ecclesiale ed è infallibile nella prospettiva dell’evoluzione, ovvero migliore comprensione alla
luce dei tempi, delle verità di fede. Infine, le strutture della comunità esistono per vivere e ricercare
l’unità, la quale deve comprendersi più che come qualcosa da realizzare adesso, nel prospettare
un’istanza per la stessa chiesa e per il mondo.21
Nel saggio di Moltamann La chiesa nella forza dello Spirito Santo, il teologo protestante afferma
che l’ecclesia deve essere compresa a partire dal proprio ufficio esercitato nello scorrere della storia del
mondo. Infatti, la prima parola che la comunità è chiamata ad annunciare è Cristo; questa rimanda ad
una dimensione escatologica ed empirico – storica dell’assemblea, la quale permette l’unione delle
comunità dei santi e dei peccatori e pertanto la coesistenza dell’elemento divino e di quello umano.
20 Ibidem, pp. 15-127. 21 Ibidem, pp. 128-186.
22
Quindi la speranza di Cristo è posta al centro del radunarsi e del vivere ecclesiale nel corso delle
trasformazioni storiche. Ciò conduce ad una comunità ricompresa nell’ottica della sua perenne
conversione. Così, tramite la prospettiva escatologica bisogna interpretare il mondo in una visione di
provvisorietà che spinge la chiesa a seguire e comprendere sempre i segni dei tempi. Inoltre, il
cristianesimo con la secolarizzazione moralizza l’intera società per via del fatto che esso è perituro
segno di speranza per gli uomini. Dunque, la chiesa nel mondo deve intendersi dal suo fondamento che
è la missione sempre accludente l’ottica futura della gloria finale. La chiesa, pertanto, è invitata a
condividere il mandato messianico del Figlio, il quale ha fatto conoscenza del dolore per redimere il
mondo. Esperienza che non può essere preclusa alla chiesa stessa. La comunità dei fedeli in Cristo in
ogni tempo è costretta a ribadire il proprio mandato nella prospettiva dell’essere tra il foro di Dio e
quello degli uomini e con la convinzione di stare davanti al Signore, all’intera umanità e al futuro
veniente. In tal modo ogni inquietudine del mondo, lo è anche per la chiesa. Essa può essere compresa
nell’ottica sociologica, storica, fenomenologica, ma la sua reale essenza è quella di ecclesia di Cristo.
Tale dato le permette di essere missionaria e non dipendente da realtà statali e/o nazionali; ecumenica e
non provinciale per via della presenza unificante di Cristo; politica poiché essa agisce nel mondo per la
liberazione globale dell’uomo con ricadute sociali ed economiche22.
Circa l’identità della chiesa, Moltmann, nota nella sua opera come essa sia la comunità di Cristo e
pertanto l’ecclesiologia si sviluppa solo a partire dalla cristologia, le quali insieme vanno tenute distanti
da anacronismi legati a fattori liturgici, linguistici e/o culturali in genere. Il Signore con la sua pasqua
salva ed elegge la chiesa suo popolo che forma il corpo il quale contempla Lui come capo. Dunque,
l’ecclesia esiste come assemblea che condivide la croce e la resurrezione di Cristo, che alimenta ogni
conversione personale e di gruppo. La comunità ponendo al centro la croce, manifesta tutta la sua
intenzione di voler annunciare la giustizia e la liberazione dal peccato per il mondo. Così, essa, ha anche
una dimensione politica, poiché prendersi cura degli ultimi è un fattore sociale, economico e politico in
generale. La Pasqua è una ri-creazione per tutti gli uomini, i quali vengono stimolanti e orientati verso
una fratellanza che coinvolge tutti e mette da parte la gestione del potere per scopi individuali. Così,
contemplare e vivere in Cristo risorto, significa fare festa e gioire in un atteggiamento non di servitù ma
di amicizia che provoca delle conseguenze ecclesiologiche ed etiche per l’intera umanità. Altra
caratteristica importante per Moltmann è la speranza della chiesa fondata sull’attesa messianica
dell’Antico Testamento che ha trovato realizzazione nel Nuovo. Tale speranza è da sempre rivolta agli
ebrei e ai pagani i quali possono riconciliarsi per tramite della comunità ecclesiale. Israele per la chiesa,
però, non rappresenta semplicemente un’altra religione, ma anche la provenienza e per molti versi la
22 Cfr. J. Moltmann, La chiesa nella forza dello Spirito, Queriniana, Brescia 1976, pp. 15-95.
23
fratellanza per via del credere nell’unico e vero Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Compito dei
cristiani è quello di predicare la salvezza, ma anche quello di preoccuparsi con serietà dei miseri e degli
uomini in genere con una visione volta alla salvezza e non al dominio imperiale. Altri tasselli fondanti per
il cristianesimo, per il teologo protestante, sono: il dialogo fecondo con le altre religioni;
l’indigenizzazione della fede; la ricerca di un continuo cammino di desacralizzazione, secolarizzazione e
democratizzazione della chiesa e del potere politico. Per il teologo protestante, inoltre, la forza dello
Spirito Santo conduce la chiesa oggi e nel futuro a basarsi su Cristo crocifisso e risorto. Questa presenza
divina permette di celebrare i sacramenti e fra essi i più importanti sono il battesimo e la cena del
Signore. I sacramenti indicano che Cristo agisce per mezzo dello Spirito Santo nella comunità ecclesiale
di tutti i tempi. Con la cristianizzazione della società dopo i primi secoli di persecuzione, la scelta
cristiana è meno personale è più basata sull’etica e sulla tradizione culturale che portano la fede in
Cristo ad essere una religione civile. Comunque in ogni epoca con il battesimo si è espresso il senso della
missione dei credenti come dimensione vocazionale e tramite la cena del Signore, invece, il segno del
ricordo della morte e resurrezione di Cristo il quale nel banchetto esercita il suo essere sacerdote, re e
profeta. È una cena che non ricorda semplicemente la morte e la resurrezione come evento passato, ma
apre le porte all’avvento del regno qui e ora. La celebrazione di questo sacramento ha una dimensione
che lega tutti i membri della comunità. Non vi è infatti un singolo ministro, ma è l’intera adunanza che
celebra il mistero come festa da comprendere in maniera cangiante in un mondo che muta sempre. A
partire da questi due sacramenti fondamentali per la chiesa, possiamo affermare che essa si costituisce
in quanto struttura per annunciare la pace nel nome del Signore. All’interno e all’esterno di essa si
svolgono dei compiti dell’intera comunità e degli uffici nella comunità i quali devono tutti essere
calibrati alla luce del servizio, della diaconia in Cristo. Infine, per Moltmann, le quattro note
caratteristiche della chiesa, sono segni per riconoscerla nel mondo in virtù dell’unità per la libertà; della
santità per la povertà; dell’apostolicità a partire dalla croce e della cattolicità per la vicinanza agli
oppressi23.
Il contributo ecclesiologico che proviene dall’opera di Dianich e da quella di Moltmann, risulta
importante per permettere di riflettere sul testo La Chiesa di Hans Küng nel tentativo di sviluppare
ulteriormente la comprensione della comunità ecclesiale presente in essa. Nell’ottica del rapporto
chiesa-mondo, il riferimento a Cristo crocifisso, morto e risorto come perno del dirsi ecclesiale all’intera
umanità è molto importante, poiché esso permette di riconoscere veramente la chiesa per quello che è:
assemblea chiamata a celebrare, annunciare, vivere, soffrire e contemplare alla luce della pasqua. Infatti
il mondo, per la chiesa, non è altro che il contenitore nel quale condurre a compimento tale missione
affidatagli dal Signore. Pertanto la comunità ecclesiale si comprende nella storia a partire dal proprio
23 Ibidem, pp. 99-463.
24
ufficio esercitato in essa e con il porre al centro Cristo si evince anche la perenne missione e conversione
della stessa comunità dei fedeli. Circa l’identità e la modalità della chiesa, bisogna aggiungere che essa è
un’assemblea umana e storica resa diversa da tutte le altre dall’opera dello Spirito Santo. Da ciò si
deduce la missione dell’annuncio della libertà, della giustizia, della pace e della gioia che la comunità
realizza a partire dalla consapevolezza storica del popolo ebraico e dell’approdo definitivo che è la
Trinità. In questo i sacramenti del battesimo e della cena del Signore sono in assoluto primaria alla
chiesa per capire se stessa a partire dalla cristologia, dall’albero di vita che è Cristo Gesù.
Tali spunti insieme al fatto che il saggio di Küng appare in alcuni tratti eccessivamente votato alla
ricerca del senso storico, quasi si scade in uno storicismo, e alla generalità delle proposte e posizioni per
un cambiamento che sia comprensibile e attualizzabile nell’oggi concreto e temporale della chiesa,
permettono di farci dire che quest’opera appare ricca, stimolante e con un impianto ecclesiologico
generale ben fondato e ampio, ma a volte anche particolarmente estrema in alcuni punti e generalista in
altri.
- Bibliografia
- S. Dianich, Chiesa mistero di comunione, Marietti, Genova 1975
- H. Küng, La Chiesa, Queriniana, Brescia 1969.
25
- J. Moltmann, La chiesa nella forza dello Spirito, Queriniana, Brescia 1976.