RI.F.A.RE. - IL RIUTILIZZO DEI FANGHI E DELLE ACQUE REFLUE IN AGRICOLTURA

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Raggruppamento temporaneo di scopo tra UNISCO Network per lo sviluppo locale e Legambiente Puglia per il riutilizzo dei fanghi e delle acque IL RIUTILIZZO DEI FANGHI E DELLE ACQUE REFLUE IN AGRICOLTURA Mario Adda Editore In partnership con

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Pubblicazione realizzata nell’ambito del Progetto RI.F.A.RE. - POR Puglia 2007-2013 Fondo Sociale Europeo - Avviso BA/08/2009 – Asse IV Capitale Umano – “Informazione e sensibilizzazione in materia di sostenibilità ambientale”. Il volume rappresenta il momento di sintesi dei contenuti illustrati nei diversi incontri di formazione/informazione realizzati nel contesto del progetto al fine di fornire uno strumento di approfondimento e di ricerca sul tema della salvaguardia del suolo in un’ottica ambientale sostenibile nel tempo.

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Raggruppamento temporaneo di scopo tra UNISCO Network per lo sviluppo locale e Legambiente Puglia

per il riutilizzo dei fanghi e delle acque

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In partnership con

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A. Angiuli, A. Bonifazi, G. Brunetti, D. Caniani, G. Ciola,V.D. Colucci, M.C. De Mattia, D. Guariglia, R.F. Iannone,

F. Lacarbonara, G. Ladisa, N. Longino, I.M. Mancini, S. Masi, M. Piscitelli, N. Senesi, M. Spilotros, C.M. Torre, E. Trulli

il riutilizzo dei fanghi e delle acque reflue

in agricoltura

L’impianto e il coordinamento del volume sono stati curati daMaria Cristina De Mattia

Aldo Fusaro Massimiliano Piscitelli

Mario Adda Editore

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Il presente volume è stato realizzato con il contributo del Fondo Sociale Europeo

Hanno collaborato alla realizzazione del progetto RI.F.A.RE.M. Avantaggiato, A. Berlen, M. Carnevale, A. De Carli, V. Deruvo, N. Frascella,

V. Grassi, D. Lavacca, D. Lazzazzara, M. Lieggi, M. Livrea, G. Maldera, R. Marseglia, M. Mastropierro, S. Mazzone, F. Mintrone, M. Omero, A. Pellegrino, G. Pesare,

D. Piglionica, A. Poliseno, R. Rodio, G. Trevisi

Libro stampato su carta ecologica certificata FSC

ISBN 9788880829218

© Copyright 2011Mario Adda Editore - via Tanzi, 59 - Bari

Tel. e Fax +39 080 5539502Web: www.addaeditore.it

e-mail: [email protected]

Tutti i diritti sono riservati aProvincia di Bari – FSE POR PUGLIA 2007 - 2013

Impaginazione: Sabina Coratelli

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Il progetto RI.F.A.RE. ha rappresentato per l’Amministrazione Provin-ciale di Bari ed il territorio barese un’opportunità di fare rete tra istituzioni ed organizzazioni dedite allo sviluppo locale, puntando in particolare al miglio-ramento formativo di tutti coloro che operano con e per l’ambiente.

Negli ultimi tempi si sta assistendo ad una sempre maggiore attenzione verso le tematiche ambientali in raccordo con il mondo della formazione. È ormai tempo di porre le basi per un forte coordinamento tra tutti finalizza-to alla sensibilizzazione e all’informazione dei cittadini e degli imprenditori agricoli verso le tematiche ambientali legate all’utilizzo dell’ambiente du-rante il loro lavoro; è inoltre necessario diffondere le tematiche ambientali del riciclo anche tra i ragazzi e i cittadini in generale, affinché possano farsi promotori di buone pratiche ambientali ed eco-sostenibili.

Il ciclo di incontri di formazione-informazione organizzati nei comuni di Corato (per l’area nord-barese), Mola di Bari (per l’area metropolitana di Bari) e Monopoli (per l’area sud-barese) ha coinvolto oltre 70 partecipan-ti, tra operatori agricoli (imprenditori agricoli, artigiani, coltivatori diretti), studenti universitari, esperti e professionisti del settore, ma anche cittadini interessati alle tematiche ambientali che “consumano ambiente”.

I partecipanti hanno avuto l’opportunità di informarsi e formarsi sui temi della raccolta dei reflui e del relativo recupero al fine di salvaguardare il suolo in un’ottica ambientale sostenibile attraverso un ciclo di incontri di ap-profondimento in cui esperti e specialisti del settore (Università degli Studi di Bari, Politecnico di Bari, ARPA Puglia, Legambiente Puglia) hanno illustrato possibili azioni concrete, fonti normative e di finanziamento.

Il coinvolgimento di realtà istituzionali e imprenditoriali pugliesi nella “RI-FIERA” rappresenta invece l’occasione per illustrare ai cittadini le buone prassi eco-sostenibili e diffondere una nuova cultura legata alla salvaguardia ambientale.

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È essenziale definire obiettivi strategici ed attuare un approccio di pre-venzione innovativo per ridurre l’impatto delle nostre attività sul sistema am-biente, diffondendo e rendendo accessibili le leggi, i regolamenti e le migliori pratiche per gestire al meglio le risorse del nostro territorio, aumentando la quantità di materiali e prodotti riciclati e riutilizzati e prevenendo ogni forma di inquinamento ambientale nell’esercizio delle attività agricole ed impren-ditoriali; in una espressione di sintesi, coniugare la formazione con il mondo del lavoro e l’esigenza di uno sviluppo sostenibile e duraturo per tutti noi cittadini.

Mary rinaAssessorealLavoroeFormazioneProfessionale

dellaProvinciadiBari

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Il progetto RI.F.A.RE. nasce da un’attenta osservazione effettuata sul territorio della Provincia di Bari legata alla problematica del riutilizzo dei fanghi e delle acque reflue. La gestione delle acque reflue e dei fanghi bio-logici prodotti dalla depurazione delle acque rappresenta una vera e propria emergenza ambientale. Ogni giorno vengono prodotte centinaia di tonnellate di fanghi che contengono tutti gli elementi rimossi dalle acque durante il trat-tamento: sostanze organiche, sali, metalli, ma anche eventuali composti e ma-teriali non biodegradabili o addirittura tossici; ma, se trattati e gestiti secondo norma, i reflui, i fanghi e le acque reflue raffinate, possono arrecare un grande vantaggio soprattutto al comparto agricolo potendo sostituire in tutto o in par-te sia la concimazione chimica che l’apporto irriguo da fonte idrica primaria.

Riutilizzare i fanghi e le acque significa quindi ottenere enormi van-taggi sia economici che ambientali. Cinquanta Paesi nel mondo, tra cui Stati Uniti ed Israele, hanno colto l’opportunità del riuso delle acque reflue, in par-ticolare per lenire i problemi legati alla scarsità dell’acqua, conosciuti anche dalla nostra regione.

Con il progetto RI.F.A.RE., UNISCO e Legambiente Puglia hanno in-teso avviare un momento di approfondimento, di sensibilizzazione e di in-formazione rivolto soprattutto al mondo agricolo, cercando di dare tutte le indicazioni per trasformare le acque reflue ed i fanghi di depurazione in ri-sorse ponendo grande attenzione alle problematiche legate al suolo e ad un miglioramento complessivo della qualità dell’agricoltura. È stato realizzato un importante ciclo di incontri, seminari e meeting, condotto da esperti del settore e rivolto inprimis a tutti gli imprenditori agricoli e coltivatori diretti della Provincia di Bari, ma anche a cittadini e studenti, al fine di realizzare una vera e propria campagna di formazione e sensibilizzazione su un tema, quale quello delle acque reflue e dei fanghi, di estrema importanza e altissimo valore ambientale.

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A conclusione di questo percorso di formazione, informazione e sen-sibilizzazione ci è sembrato opportuno produrre questa pubblicazione con il preciso obiettivo di offrire un utile strumento per gli operatori del settore e per tutti coloro che intendano avvicinarsi a queste tematiche. La proficua collaborazione con Università, centri di ricerca, con docenti ed esperti del set-tore, ha permesso di realizzare un lavoro di estremo interesse che ovviamente non ha il carattere dell’esaustività, ma che certamente può offrire un ottimo spunto di riflessione e di approfondimento su un tema, quale appunto quello del recupero e del riuso delle acque reflue e dei fanghi, di estrema importanza data l’enorme complessità delle questioni ambientali che insistono intorno a questa tematica.

Francesco TaranTiniPresidenteLegambientePuglia

serge D’oriaPresidenteUnIsco

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Il tema della formazione, dell’educazione ambientale e della condivi-sione delle buone prassi per la diffusione di comportamenti sostenibili rappre-senta il vero terreno di impegno per le Istituzioni coinvolte nella protezione dell’ambiente.

Alle fondamentali funzioni tecniche connesse al monitoraggio sulle matrici ambientali, alla vigilanza sul territorio e alla prevenzione dei rischi ambientali, è indispensabile affiancare le attività di comunicazione, informa-zione, formazione ed educazione, che rendono possibile il trasferimento del patrimonio conoscitivo prodotto e delle competenze acquisite verso tutti i potenziali fruitori sociali, svolgendo un prezioso ruolo nella strategia di tutela del patrimonio ambientale del nostro territorio.

Su queste tematiche ARPA Puglia, organo tecnico-scientifico della Re-gione Puglia in materia di protezione dell’Ambiente, è impegnata per offrire il proprio contributo nella realizzazione di quel processo virtuoso che favo-risce il cammino della sostenibilità, supportando sia la promozione di una cultura scientifica dell’ambiente, sia l’adozione di pratiche di tutela dell’am-biente partecipata da parte della società.

È in questo contesto che si inscrive la collaborazione dell’Agenzia al Progetto RI.F.A.RE., nato e condotto per promuovere la sensibilizzazione de-gli operatori del settore agricolo sul tema della raccolta dei reflui e del relativo recupero al fine di salvaguardare il suolo in un’ottica ambientale sostenibile nel tempo.

Questa pubblicazione, che rappresenta il momento di sintesi dei con-tenuti illustrati nei diversi incontri di formazione/informazione realizzati nel contesto del progetto, ha lo scopo di fornire agli operatori uno strumento di riferimento che coniuga l’approfondimento delle corrette procedure e delle modalità di gestione sotto l’aspetto tecnico-scientifico con la tematica della sostenibilità.

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ARPA Puglia ha accolto l’invito dell’Associazione UNISCO e del Co-mitato Regionale di Legambiente Puglia a mettere a disposizione il proprio patrimonio di competenze e conoscenze tecniche su una tematica così rile-vante per il proprio territorio, nella convinzione che la necessità di promuo-vere strategie e interventi mirati allo sviluppo sostenibile – che favoriscano un’armonizzazione tra sviluppo economico, partecipazione sociale, protezio-ne dell’ambiente e tutela della salute – rappresenti una priorità e si inscriva a pieno titolo nel proprio mandato istituzionale.

giorgio assennaToDirettoreGeneraleARPAPuglia

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La primaria importanza della risorsa idrica non è mai stata posta in discussione da alcuna civiltà. L’acqua, H2O, è da sempre sinonimo di vita. L’essere umano può fare a meno di tutto tranne che dell’acqua e del cibo che a sua volta non sarebbe producibile in assenza di acqua.

È in questo scenario che oggi più che mai si colloca l’attenta discussio-ne sull’emergenza ambientale e del diritto mondiale alimentare. Ma l’acqua non è una risorsa inesauribile, ed è per questo che ogni uomo ha il dovere di razionalizzarne l’uso e di sfruttarne al meglio ogni suo processo evolutivo anche quando la stessa rischia di essere considerata un rifiuto poiché conta-minata. In questo contesto si innesta il sano principio pragmatico trasmessoci dalla saggezza del mondo rurale in cui “nulla si distrugge ma tutto si trasfor-ma e si riutilizza”.

Nasce così la saggia intuizione del riutilizzo delle acque reflue, debita-mente depurate, in agricoltura.

La frenetica e disattenta quotidianità vissuta oggigiorno impone però la necessità di sollecitare i più a vivere momenti di riflessione e formazione che facciano riscoprire il gusto del “riutilizzo”; ecco perché le AcliTerra, da sempre attente a difendere e promuovere i valori del welfare rurale, hanno intravisto nel progetto RI.F.A.RE. la giusta opportunità per tutti gli operatori agricoli di riqualificarsi, nel rispetto delle normative vigenti, nel ruolo sempre più indiscusso di “sentinelle a difesa del territorio e dell’ambiente, nonché di cavalieri custodi del creato”.

Il riutilizzo dei fanghi in agricoltura rappresenta una opportuna risposta al problema dello smaltimento degli stessi, assumendo un’efficace valenza agronomica ed economica nel sostituire le canoniche concimazioni chimi-che e, in alcuni casi, organiche; così come il riutilizzo a fini irrigui delle ac-que reflue debitamente depurate e/o trattate, rappresenta una valida risposta all’emergenza ambientale sul risparmio idrico, oltre che alla salvaguardia del suolo e delle colture.

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L’interesse e l’attenzione prestata dal ragguardevole numero di aziende agricole partecipanti al progetto ha confermato la felice intuizione di Legam-biente Puglia e UNISCO, enti promotori, di avviare un’azione di partenariato con AcliTerra Puglia e Arpa Puglia.

L’augurio è che sulla scia di tale positività possano alimentarsi nuove opportunità di sensibilizzazione e formazione per i tanti operatori del settore, cuore indiscusso di un’economia reale di cui l’intera società non può fare a meno, ma a forte rischio sopravvivenza per le scarse attenzioni prestate dalle istituzioni e dalle stesse comunità locali.

ToMMaso LoioDicePresidenteprovincialeAcliTerraBari

VicePresidenteVicarioAcliTerranazionale

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INDICE

Introduzione generaleAldoFusaro .................................................................................................. 15

sezione IPROCEDURE

Riutilizzo delle acque reflue depurate tra norme tecniche, stato attuale e scenari futuri nelle province pugliesiMariacristinaDeMattia ............................................................................ 21

Utilizzo dei fanghi di depurazione in agricoltura: normativa di riferimento e prospettive futureFilomenaLacarbonara ................................................................................ 43

Tutela dell’ambiente ed esigenze dell’agricolturaAlessandraAngiuli ....................................................................................... 69

La gestione dei rifiuti agricoliRobertoFrancescoIannone ......................................................................... 81

sezione IIGESTIONE

Reflui urbani di depurazione: qualità agronomica e interazione con il suoloGennaroBrunetti,nicolasenesi ............................................................... 101

Stato dell’arte ed applicazioni sperimentali per l’utilizzo di acque reflue trattate in agricolturaIgnazioM.Mancini,salvatoreMasi,EttoreTrulli,Donatellacaniani,VitoD.colucci,MassimilianoPiscitelli .................................................... 129

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Indirizzi pianificatori e tecnologici per l’impiego in agricoltura dei fanghi di depurazioneIgnazioM.Mancini,EttoreTrulli,salvatoreMasi,Donatellacaniani,niclaLongino,MassimilianoPiscitelli ...................... 175

sezione IIISOSTENIBILITà

Il problema dell’integrazione del piano e delle procedure di VAScarmeloM.Torre,AlessandroBonifazi .................................................... 199

I deserti antropogenici: effetti del diserbo chimico e della frantumazione dei banchi calcarei sulla biodiversità del paesaggio agrario pugliese con particolare riferimento agli oliveti secolari Gianfrancociola ....................................................................................... 225

Combattere il degrado delle risorse naturali per una agricoltura sostenibileGaetanoLadisa .......................................................................................... 239

Le risorse idriche in Italia: aspetti quantitativi e qualitativiMarinospilotros,DanielaGuariglia ......................................................... 251

Glossario .................................................................................................... 267

Indice normativa di riferimento ................................................................. 271

Lista degli acronimi ................................................................................... 275

Gli Autori ................................................................................................... 277

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Introduzione generale

L’obiettivo di questo volume è quello di fornire un utile strumento di approfondimento e di ricerca su un tema di estremo interesse e di valenza fondamentale riguardo alle problematiche ambientali del territorio pugliese. Parlare di fanghi e di acque reflue, infatti, significa intrecciare una serie di piccole e grandi questioni ambientali che vanno dall’uso dell’acqua agli sca-richi urbani, passando attraverso le criticità connesse all’impiantistica per il trattamento ed affinamento, sino al tema della difesa del suolo e della possibi-lità di riuso in agricoltura delle acque affinate e dei fanghi. Data la complessi-tà di tali importanti temi e la necessità di informare e sensibilizzare il mondo agricolo, i tecnici del settore e i cittadini su di essi, si è dato vita al Progetto RI.F.A.RE. (RIutilizzo dei Fanghi e Acque REflue) con il preciso scopo di realizzare anche un ciclo di formazione su argomenti poco dibattuti ed invece attualmente di estrema rilevanza.

Il progetto RI.F.A.RE si è articolato in una prima fase di approfondi-menti, di studio ed analisi svolte durante le attività seminariali nei mesi di settembre, ottobre e novembre 2010 per concludersi con la realizzazione di un evento finale denominato “RI-FIERA”, e con la redazione di questa pub-blicazione. I destinatari “privilegiati” di questa pubblicazione ed, in genera-le, dell’intero progetto RI.F.A.RE, sono sopratutto gli operatori del mondo agricolo; l’intento è stato quello di offrire loro un’opportunità non solo di formazione, ma anche di confronto, scambio di esperienze e di diffusione di conoscenze al fine di contribuire a costruire una cultura ambientale e sosteni-bile del nostro territorio.

Come anticipato, la complessità e vastità delle questioni afferenti alle tematiche in esame ha richiesto, per questa pubblicazione, un grande sforzo di sintesi, cercando di fornire gli elementi essenziali per una informazione in-tegrata da evidenze normative, tecniche e scientifiche con l’intento di mettere

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a disposizione un utile strumento per chi voglia proseguire in un lavoro di ri-cerca o approfondimenti d’interesse comune dettati anche solo dalla curiosità.

L’impostazione generale del lavoro rispecchia la complessità dei temi affrontati attraverso l’articolazione dei contributi, redatti dai docenti ed esper-ti coinvolti, inseriti in tre Sezioni dedicate a specifici ambiti di interesse per una progressiva trattazione degli argomenti.

La prima sezione denominata Procedure costituisce un’ampia disamina sulla normativa di riferimento a partire dalle disposizioni di fonte comunita-ria, passando per gli sviluppi della legislazione nazionale sino all’importate ruolo della disciplina regionale di settore, con ampi e specifici approfondi-menti sullo stato dell’arte in Puglia. Inoltre, questa sezione si arricchisce di due importanti contributi di taglio squisitamente giuridico, che affrontano da un lato il tema più generale della regolamentazione delle problematiche ambientali nel nostro ordinamento – a partire dalle definizioni costituzionali sino alla normativa specifica di settore – e dall’altro affrontano una completa disamina della normativa legata alla gestione dei rifiuti in agricoltura.

La seconda Sezione, denominata Gestione, affronta più specificatamen-te gli aspetti tecnici del tema in esame in tre digressioni. La prima affronta gli aspetti propriamente connessi ai parametri chimico-agronomici dei reflui ur-bani e delle loro interazioni con il suolo soffermandosi sulle proprietà fisiche del suolo stesso; la seconda e la terza hanno un taglio prettamente ingegneri-stico: una è rivolta alla trattazione delle tecniche e delle tecnologie disponibili per un corretto e sicuro utilizzo delle acque reflue, con ampio spazio dedicato alle caratteristiche operative dei processi da impiegare per il recupero degli effluenti secondari urbani, ed una trattazione sulle sperimentazioni condot-te dall’Università della Basilicata; l’altra si occupa degli aspetti legati alla pianificazione ed alla tecnologia per l’impiego in agricoltura dei fanghi di depurazione.

Nella terza ed ultima Sezione, denominata sostenibilità, si è dato spazio a quattro contributi diversi, ma che tuttavia permettono di allargare gli oriz-zonti della informazione e della conoscenza verso temi più generali, ma di eguale importanza quali: la democrazia ambientale, la gestione del territorio e la ricerca in campo agronomico. L’impostazione dei contenuti nel primo intervento viene affrontato il tema della “EnviromentalDemocracy”, ossia della Democrazia Ambientale, introducendo approfondimenti sulla procedu-

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ra di Valutazione Ambientale Strategica (detta V.A.S.), alla quale secondo norme vigenti devono essere sottoposti gli atti pianificatori di qualsiasi setto-re (acque, rifiuti, urbanistica, ecc.). Il secondo contributo, invece, affronta il tema della desertificazione del suolo analizzando il caso specifico dello spie-tramento nel territorio dell’Alta Murgia. Infine, il terzo, realizzato dall’Isti-tuto Agronomico Mediterraneo (IAM) di Bari, espone la preziosa esperienza dell’Istituto a partire dal tema della desertificazione, che è stata oggetto di una approfondita ricerca nell’ambito di un progetto realizzato nel 2008, per poi, presentare le principali aree di intervento e di studi messe in campo dall’Isti-tuto stesso. A conclusione di questa sezione si allega una specifica indagine statistica relativa ai principali indicatori ambientali d’interesse per le proble-matiche in esame.

Infine, il presente lavoro si arricchisce di un appendice contente: l’In-dicedellanormativadiriferimento”, un breveGlossario della terminologia ambientale più utilizzata ed una ListadegliAcronimi riportati nella trattazio-ne dei contributi al fine di agevolarne la loro lettura.

aLDo FusaroDirettoreLegambientePuglia

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sezione IPROCEDURE

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Maria crisTina De MaTTia

Riutilizzo delle acque reflue depurate tra norme tecniche, stato attuale e scenari futuri nelle

province pugliesi

soMMario:1.Definizionied introduzioneallenorme tecniche;1.1.controlli relativial trattamentodelleacquereflueprimadelreimpiego;2.IlriutilizzodelleacquereflueaffinateinPuglia;2.1.Lapia-nificazionediscenarifuturinelleprovincepugliesi;3.Vantaggidelriutilizzodiacquerefluedepurate;4.conclusioni.

1. Definizioni ed introduzione alle norme tecniche

Il Decreto Legislativo del 11 maggio 1999, n.152 (vecchio Testo Unico di norme sulla tutela delle Acque) promuoveva l’individuazione di “misureteseallaconservazione,alrisparmio,alriutilizzoedalriciclodellerisorseidriche” in linea con la Legge n.36/1994 sulle risorse idriche (detta Legge Galli). Il cosiddetto Testo Unico sull’Ambiente, il D.Lgs. 152/2006, in merito al riutilizzoedalriciclodellerisorseidriche, riprende i contenuti del vecchio Testo Unico sulle Acque e ne dispone anch’esso l’attuazione (art. 99, comma 2,TITOLO III, CAPO II).

La materia del riutilizzo delle acque reflue depurate è stata disciplinata con il Decreto Ministeriale (D.M.) n.185 del 12 giugno 2003, “Regolamen-torecantenorme tecnicheper il riutilizzodelleacquereflue”, dal Ministero dell’“AmbienteedellaTuteladelTerritorioedelMare”, in attuazione dell’arti-colo 26, comma 2, del decreto legislativo 11 maggio 1999, n.152, ancora vigente.

Ai sensi dell’art. 3 del D.M. Ambiente 185/2003 citato, è ammissibile riutilizzare acque reflue depurate che rispondano a determinati requisiti diqualità a seconda della loro “destinazione d’uso” che può essere di tipo:• irriguo - per l’irrigazione di colture destinate sia alla produzione di

alimenti per il consumo umano ed animale sia a fini non alimentari, nonché per l’irrigazione di aree destinate al verde o ad attività ricreative o sportive;

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22 Maria crisTina De MaTTia

• civile - per il lavaggio delle strade nei centri urbani; per l’alimentazio-ne dei sistemi di riscaldamento o raffreddamento; per l’alimentazione di reti duali di adduzione, separate da quelle delle acque potabili, con esclusione dell’utilizzazione diretta di tale acqua negli edifici a uso ci-vile, ad eccezione degli impianti di scarico nei servizi igienici;

• industriale - come acqua antincendio, di processo, di lavaggio e per i cicli termici dei processi industriali, con l’esclusione degli usi che com-portano un contatto tra le acque.Assumono importanza le definizioni fornite dal DM n.185/2003 citato;

si intende per:“a)recupero:la riqualificazionediun’acquareflua,medianteadegua-

to trattamentodepurativo,alfinedi renderlaadattaalladistribuzioneperspecificiriutilizzi;

b)impiantodirecupero:lestrutturedestinatealtrattamentodepura-tivodicuiallaletteraa),incluseleeventualistrutturediequalizzazioneedistoccaggiodelleacquerefluerecuperatepresentiall’internodell’impianto,primadell’immissionenellaretedidistribuzionedelleacquerefluerecupe-rate;

c)retedidistribuzione:lestrutturedestinateall’erogazionedelleac-querefluerecuperate,incluseleeventualistruttureperlaloroequalizzazione,l’ulterioretrattamentoelostoccaggio,diversedaquelledicuiallaletterab);

d)riutilizzo:impiegodiacquarefluarecuperatadideterminataqualitàperspecificadestinazioned’uso,permezzodiunaretedidistribuzione, inparzialeototalesostituzionediacquasuperficialeosotterranea.”

Il settore irriguo e quello industriale rappresentano ambiti di reimpie-go delle acque reflue affinate, con una tempistica procedimentale più spedita rispetto agli usi di tali acque nel campo civile;basta por mente alla questione dell’utilizzo di tali acque, negli impianti di scarico dei servizi igienici, che presuppone la progettazione e costruzione di reti duali di adduzione e distri-buzione, separate da quelle delle acque potabili, per le quali, come è noto, vige una rigorosa disciplina per essere “destinate al consumo umano”1.

Rimane, oltretutto, inammissibile l’utilizzazione diretta in generale del-le acque reflue negli edifici a uso civile come negli altri impieghi.

1 Le acque “destinate al consumo umano” devono rispondere ai requisiti stabiliti nel D.Lgs. n° 31/2001 e ss.mm.e ii.

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Riutilizzodelleacquerefluedepurate 23

Le attività produttive, invece, richiedono determinati standard più o meno vincolanti a seconda del reimpiego cui sono destinate le acque reflue recuperate. La fattibilità di un riutilizzoirriguo di acque reflue recuperate, in particolare, deve essere pianificata nel rispetto della vigente disciplina, sem-pre nel limite di assicurare il “risparmio idrico” e, comunque, del non supera-mento del “fabbisogno” delle colture e delle aree verdi afferenti le zone ser-vite dagli impianti di depurazione urbani, che si intende destinare al recupero delle acque.

Le esigenze gestionali, di manutenzione e di monitoraggio di un siste-ma di distribuzione di acque reflue recuperate sono di solito le stesse di un sistema di distribuzione idrica.

È necessario ricordare cheil riutilizzo per uso irriguo è, inoltre, subor-dinato al rispetto del “Codice di Buone Pratiche Agricole, di cui al DecretodelMinistroperlePoliticheAgricoleeForestalin.86del19aprile1999 e ss.mm.ii.

Al fine del raggiungimento dei requisiti di qualità ai quali attenersi, rispettando norme igienico-sanitarie ed esigenze dei processi produttivi, le acque reflue urbane depurate devono, dunque, subire un trattamento di “affi-namento” all’interno del sistema impiantistico di recupero.

1.1. Controlli relativi al trattamento delle acque reflue prima del reimpiego

Per assicurare un adeguato trattamento delle acque reflue urbane, le di-sposizioni sopra richiamate hanno precisato anche le modalità ed i contenuti delle attività di vigilanza, monitoraggio e controllo.

I limiti di cui alle tabelle in Allegato.5 al D.Lgs. 152/99, (riproposto nella Parte III dell’Allegato.5 al D.Lgs. 152/2006), rappresentano, infatti, i valori massimi che devono rispettare le concentrazioni delle sostanze chimi-che ed organiche contenute in uno scarico “finale”, ovvero a fine processo di depurazione e prima che l’impianto immetta l’effluente nell’ambiente (corpo idrico superficiale o suolo).

Rientra nelle attribuzioni dell’ARPA il controllo periodico – secondo la capacità o potenzialità (in Abitanti Equivalenti) – degli impianti depurativi urbani dislocati sul territorio regionale, da 12 a 24 controlli annui previsti dalla legge vigente su ogni depuratore. Oltre ai controlli istituzionali, l’ordi-

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namento prevede i controlli interni, cosiddetti “autocontrolli”, che devono es-sere svolti dal “Soggetto Gestore” degli impianti, nonché del Servizio Idrico Integrato (S.I.I.) in un Ambito Territoriale Ottimale2 (A.T.O., che in Puglia è unico con un solo gestore riconosciuto, ovvero la Società AQP SpA).

Similarmente un impianto di recupero delle acque reflue è soggetto al controllo interno ed al controllo da parte dell’autorità competente, ai sensi dell’Art. 7 del D.M. 185/2003 (controlloemonitoraggiodegli impiantidirecupero), con verifica del rispetto delle prescrizioni contenute nell’autoriz-zazione. La verifica dei livelli di conformità dei parametri caratteristici delle acque reflue depurate in uscita dai depuratori urbani, nei casi in cui dovessero presentare anomali valori dal punto di vista microbiologico o chimico, sareb-bero sottoposte alle prescrizioni per l’immediato adeguamento.

Se un depuratore si avvale, nel ciclo di depurazione, anche di un im-pianto di affinamento, a maggior ragione assume rilevanza il controllo dei parametri allo scarico in uscita, nonché quello dei valori caratteristici all’in-gresso dell’impianto di recupero.

Il D.M. 185/2003, quindi, prevede il rispetto di precisi requisiti minimi di qualità delle acque reflue recuperate per i parametri peculiari in uscita dagli impianti di recupero o di affinamento, prima del loro reimpiego. In particolar modo, per il “riutilizzo in agricoltura” sono dettati Limiti di rispetto (Tabel-la.1) e Valori guida con limiti di riferimento (Tabella.2) per alcuni parametri derogabili da parte delle Regioni.

2 Per le definizioni dettagliate di un AmbitoTerritorialeottimale e del servizio Idrico Integrato si rimanda alle leggi nazionali e regionali di riferimento, ovvero la L.n°36/1994 (cd. Legge Galli “Dispo-sizioniinmateriadirisorseidriche”, abrogata con l’entrata in vigore del D.Lg.152/2006, ad esclusione dell’art.22, comma 6) e la Legge Regionale 6 settembre 1ato 999, n. 28 e ss.mm.ii.

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Tabella1- Limiti per il riutilizzo in agricoltura

PARAMETRI unità di misura Valori limite

SEZIONE1Solidi sospesi totali (SST) mg/L 10BOD5 mg/L 20COD mg/L 100

Escherichia Coli UFC/100mL10 su 100 ml (80% dei campioni)100 (valore puntuale massimo)

Salmonella assenteSEZIONE2pH 6-9,5SAR 10materiali grossolani assentiConducibilità elettrica µS/cm 3000Alluminio mg/L 1Arsenico mg/L 0,02Bario mg/L 10Berillio mg/L 0,1Boro mg/L 1 Cadmio mg/l 0,005Cobalto mg/L 0,05Cromo totale mg/L 0,1Cromo VI mg/L 0,005Ferro mg/L 2Manganese mg/L 0,2Mercurio mg/L 0,001Nichel mg/L 0,2Piombo mg/L 0,1Rame mg/L 1 Selenio mg/L 0,01Stagno mg/L 3Tallio mg/L 0,001Vanadio mg/L 0,1Zinco mg/L 0,5

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PARAMETRI unità di misura Valori limite

Cianuri totali (CN) mg/L 0,05Cloro attivo libero mg/L 0,2Solfuri (come H2S) mg/L 0,5Solfiti (come SO3) mg/L 0,5Solfati (come SO4) mg/L 500Cloruri mg/L 250 Fluoruri mg/L 1,5 Fosforo totale (P) mg/L 2Azoto totale mg/L 15Azoto ammoniacale (NH4) mg/L 2Grassi e olii animali/vegetali mg/L 10Olii minerali mg/L 0,05Fenoli mg/L 0,1Pentacloro fenolo mg/L 0,003Aldeidi totali mg/L 0,5Tetracloroetilene, tricloro etilene mg/L 0,01Benzene mg/L 0,001Benzo(a)pirene mg/L 0,00001Solventi organici aromatici totali mg/L 0,01Solventi organici azotati totali mg/L 0,01Tensioattivi totali mg/L 0,5Pesticidi clorurati mg/L 0,0001Pesticidi fosforati mg/L 0,0001Altri pesticidi totali mg/L 0,05Trialometani mg/L 0,03Solventi clorurati totali mg/L 0,04Litio mg/L 2,5Molibdeno mg/L 0,01Coliformi fecali 0-200 su 100 ml

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Tabella2- Valore guida e limite per i parametri derogabili dalle Regioni.

PARAMETRI unità di misura

Valore guida (ex tab.1)

Valore limite per parametri derogabili

(D.M. 185/03)pH 6-9,5 5,5-9,5Conducibilità elettrica µS/cm 3000 4000Manganese mg/L 0,2 2Solfati (come SO4) mg/L 500 1000Cloruri mg/L 250 1200Azoto ammoniacale (NH4) mg/L 2 15

L’affinamento delle acque reflue depurate, nei limiti tabellari prescritti, è controllato, assicurando la qualità delle acque ai fini del riutilizzo irriguo e civile.

Eventuali deroghe sono ipotizzabili per i “Cloruri” per i quali il DM185/2003, impone un limite di 250 mg/l. Infatti, secondo quanto previsto dal decreto suddetto, “leregionipossonoautorizzarelimitidiversidaquellidicuiallatabella,previoparereconformedelMinisterodell’ambienteedellatuteladel territorio,…comunque,nonsuperioriai limitiper loscaricoinacquesuperficialidicuiallatabella3dell’allegato.5delD.Lgs.152/06”.

Per il parametro “Cloruri” la concentrazione massima (detta anche C.M.A.), comunque, non superabile è pari a 1.200 mg/l. La presenza di tale sostanza, in concentrazioni superiori ai 250 mg/l nelle acque reflue è limitata ad alcune porzioni del territorio regionale, ove l’acqua distribuita per gli usi civili potabili viene approvvigionata dalla falda e, pertanto, talvolta possiede già un tenore di ione cloro talora superiore al limite suddetto (cfr. in PianodiTuteladelleAcque Puglia).

2. Il riutilizzo delle acque reflue affinate in Puglia.

La situazione esistente nel territorio regionale rivela senz’altro l’evolu-zione subita nel tempo dal settore delle acque e, nello specifico, quello della depurazione delle acque reflue, nonché del parco depuratori urbani esistente. È facile accorgersi, ancora oggi, che la nostra regione ha attraversato un dif-

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ficile periodo di transizione, in cui il governo regionale si è impegnato nel tentativo di ultimare tutti gli adeguamenti nei tempi previsti dalla normativa vigente ed in base alle scadenze, dovute allo stato di emergenza ambientale del settore idrico. Infatti, già con riferimento al D.Lgs. 152/1999, il divieto di recapito dei reflui nelle acque sotterranee e nel sottosuolo (art.30, D.lgs. 152/99) ha evidenziato la necessità di individuare aree idonee al recapito sul suolo (campi di spandimento), laddove non fosse possibile il collettamento nei corpi idrici recettori superficiali (laghi, torrenti, fiumi, canali e mare). Il Ministero dell’Ambiente, a valere sui fondi riguardanti la pianificazione ed il monitoraggio, nonché le refluenze del sistema tariffario del Servizio Idrico Integrato, ha destinato alla Puglia diversi finanziamenti, che hanno indotto una intensa attività di pianificazione e di programmazione.

Il PIano dI InterventI urgentI a stralcIo-Ha rappresentato per la Puglia un impegno importante per l’adeguamento degli impianti di depurazione delle reti fognarie e dei sistemi di collettamento, (previsto al comma 4 dell’art. 141 del-la Legge 388/2000), in considerazione delle caratteristiche del territorio e delle soluzioni impiantistiche adottate per i sistemi depurativi prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 152/99. Finalità prioritaria del piano è stata quella, infatti, di adempiere agli obblighi comunitari in materia di fognatura, collettamento e depurazione di cui agli art. 27, 31 e 32 del D.Lgs. 152/99. Le modalità di adeguamento delle strutture di depurazione che recapitano in corsi d’acqua superficiali, ma soprattutto di quelli recapitanti nel sottosuolo, in funzione della potenzialità nominale degli stessi, devono rispettare dei tempi prestabiliti che prefigurano come termine ultimo, mediante le proroghe decretate, il 31 dicembre 2005. Pertanto, la situazione at-tuale rivela le caratteristiche di un periodo di transizione nel tentativo di ultimare tutti gli adeguamenti nei tempi previsti.Il PIano dIrettore-Questo documento ha espletato l’insieme delle prime di-rettive in merito alla pianificazione relativa alla tutela delle acque nelle more di attuazione del vero e proprio “Piano di Tutela delle Acque” a sensi del d.lgs. 152/99 e che, con il Pianodiinterventiurgenti, ha messo in moto le operazioni di raccolta e integrazione delle informazioni storiche del Settore acque in rela-zione a tutto il territorio regionale.Il PIano d’ambIto - Le “Disposizioni in materia di risorse idriche” hanno riguar-

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dato perlopiù la organizzazione dell’ATO Unico Puglia messa in atto dalla Re-gione insieme al Gestore del Servizio Idrico Integrato (AQP Spa) e all’Autorità d’Ambito (AATO) attraverso il Piano d’Ambito stesso. Il Piano è teso alla rea-lizzazione di una serie di significativi interventi di adeguamento degli impianti di depurazione e potabilizzazione, di rinnovo delle reti e manutenzione straordina-ria delle reti fognanti e di quelle acquedottistiche, mirando alla diminuzione delle perdite nelle reti acquedottistiche, nonchè ad un adeguato approvvigionamento idrico. La maggioranza dei progetti inseriti nel Piano d’Ambito sono quelli che il Gestore aveva preordinato nel proprio piano operativo triennale 2003-2005, sottoposto all’approvazione dell’AATO. La costituzione della AATO ha visto il coinvolgimento nella relativa convenzione di tutti i 258 comuni pugliesi.

Nella metà di marzo del 2003, l’Ordinanza che ha siglato l’accordo di programma tra Governo e Regione Puglia per la tutela delle acque e la gestione delle risorse idriche ha previsto una serie di investimenti destinati a soddisfare il bisogno idrico della regione, adeguare le reti idriche e le in-frastrutture fognarie e depurative, tutelare e ridurre l’inquinamento dei corpi idrici superficiali e sotterranei fino ad eliminare gli scarichi di sostanze pe-ricolose. A questi si aggiungono gli investimenti destinati a monitorare le acque, a promuoverne il risparmio e a riutilizzare le acque reflue depurate. Molti finanziamenti provengono dal vecchio POR (Programma Operativo Regionale) 2000-2006, oggi dal PO-FESR 2007-2013, mentre una altra quo-ta parte deriva da stanziamenti previsti dalla L. 388/2000, dalla L. 488/2001 del Ministero dell’Ambiente o, ancora, da vecchie ordinanze, per l’emergen-za idrica in Puglia, come quelli ricavati dall’OPCM n. 3184 del 22 marzo 2000.

Le modalità di adeguamento del sistema di depurazione richiedono, tra l’altro, tempi lunghi e spesso di non facile soluzione, soprattutto in una regio-ne come la Puglia, che, certamente, non vanta una particolare rete idrografica e spesso i deflussi superficiali di acque piovane o gli scarichi vari rappre-sentano l’unica alimentazione per il “naturale” decorso di acque negli alvei torrentizi. È questo, soprattutto, il caso di alcune aree della regione, in passato sede di grandi fiumi, definite da incisioni profonde della superficie (lame o gravine) ed oggi “ambìto” recapito finale degli impianti di depurazione per alcuni comuni situati nell’entroterra.

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Il sistema di depurazione comunale non ha raggiunto ancora oggi, per quanto detto, uno stato ottimale di conformità, per quanto riguarda i recapiti finali autorizzati dalla legge (il sottosuolo non è più ammesso) e, purtroppo, nemmeno per il rispetto dei valori limite previsti per i parametri caratteristi-ci dello scarico urbano. Ciò si riscontra, in genere, lì dove le scelte passate, avvalendosi di tecnologie superate e non più ammodernate, rischiano di far cadere i Comuni e la Regione in procedure di infrazione comunitaria da parte dell’Unione Europea, con conseguenti sanzioni che penalizzano i già scarni bilanci pubblici.

Per superare i ritardi, la Regione, attualmente, insieme alla Autorità dell’Ambito Territoriale Ottimale (A.ATO) ed al “Soggetto Gestore” del Ser-vizio Idrico Integrato (l’Acquedotto Pugliese) e con il supporto tecnico di controllo dell’ARPA Puglia, ha messo in campo una serie di iniziative per valutare lo stato di fatto del parco depuratori urbani sia a livello di verifica impiantistica dei processi di trattamento che di compatibilità dei recapiti fi-nali prestabiliti, con l’intento di individuare idonee integrazioni o alternative ammissibili.

Principale preoccupazione nell’accertamento delle conformità, attual-mente, riguarda il “tipo” di recapiti finali degli impianti di depurazione. Sono in corso di adeguamento, gli ultimi impianti che immettono ancora l’effluente depurato in sottosuolo; situazione emergente, soprattutto, nelle province di Brindisi e Lecce. Il particolare periodo transitorio di adeguamento del parco depurativo, prorogato di anno in anno fino al termine del periodo di com-missariamento per l’emergenza ambientale acque (a fine dicembre 2010), ha indotto a particolari cambiamenti per quanto concerne il sistema dei processi di depurazione, con l’introduzione in alcuni impianti di nuove tecnologie di trattamento (come quelle che utilizzano Ozono, le MBR, ecc.) ed i nuovi in-dicatori di settore ne rilevano l’alta efficacia.

In Puglia, dunque, si può contare su un sistema di impianti di depura-zione esistente in numero considerevole, che nel tempo si sta consolidando tra depuratori che risultano essere in funzione a regime (con recapito finale a norma di legge) e quelli per cui si è preferita la dismissione con la messa in esercizio di nuovi depuratori urbani per taluni casi specifici.

La pianificazione regionale in atto sul riutilizzo delle acque reflue recu-perate ha come obiettivi:

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a) apportare vantaggi diretti in termini di risparmio quantitativo e, indi-retti, in termini di minor impatto qualitativo degli effluenti, comunque, sversati;

b) migliorare l’equilibrio del sistema idrico;c) descrivere la completa filiera del riutilizzo: il trattamento dei reflui con

annesso affinamento, l’eventuale accumulo dei reflui affinati, l’inter-connessione con la rete finale di distribuzione delle acque affinate e l’utilizzo finale;

d) individuare le caratteristiche principali degli impianti di trattamento e delle reti di distribuzione da destinare prioritariamente al riutilizzo dei reflui.Le reti di adduzione per le acque da riutilizzare, per l’uso di tipo civile,

devono essere separate da quelle potabili, richiedendo, pertanto, la messa in atto di un lungo processo di costruzioni nell’ambito delle infrastrutture e degli edifici abitativi; come già detto di più immediata fattibilità è senz’altro, inve-ce, il riuso di tipo irriguo o quelloindustriale.

Ruolo fondamentale nella realizzazione del recupero di volumi da riu-tilizzare e da destinare al riuso irriguo o industriale, ricopre la pianificazione di scenari futuri che possono concretizzarsi attraverso una corretta program-mazione e progettazione degli interventi, l’esercizio e la gestione sia degli impianti di depurazione urbani che di quelli di affinamento connessi.

La Regione Puglia ha attuato i primi adempimenti con l’attività del Commissario Delegato per l’Emergenza Ambientale Acque in Puglia (2000-2010), con la realizzazione di uno “studioperilriutilizzodelleacquereflueaffinatenellaregionePuglia” (2002) detto anche “Pianostraordinarioperilriusodelleacquerefluecondotta da ricercatori del Politecnico di Bari e dalla struttura commissariale, che hanno verificato, in base al parco depuratori ur-bani, la possibilità di recupero di alcuni volumi di acqua reflua depurata entro tempi relativamente brevi per un ammontare del 52% del refluo prodotto; successivamente, si sono raggiunte le prime disposizioni al fine di adeguare o realizzare i relativi impianti di affinamento già esistenti o progettati a seguito delle programmazioni e pianificazioni in corso d’opera.

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iL Piano sTraorDinario Per iL riuso DeLLe acque reFLue DePuraTe

I contenuti dello studio condotto per la Regione Puglia, su incarico del Ministero dell’Ambiente e Tutela del territorio - Direzione per la qualità della vita, da parte della Sogesid Spa, in collaborazione con professionisti e accademici del Politec-nico di Bari, vertono sulla“definizionedegliinterventinecessariperl’ottimizzazionetecnica,economicaefunzionaledelrecuperodelleacquereflueaifinidellororiutilizzo”.Lo studio è stato articolato in differenti fasi per livelli di approfondimento su:- identificazione delle aree di domanda e confronto con i punti di offerta (di ac-

que da utilizzare);- analisi delle migliori tecniche di affinamento dei reflui;- analisi dei costi di affinamento e gestione degli impianti con tale processo; - identificazione dei progetti che sono risultati potenzialmente realizzabili;- analisi di alcuni casi studio.Esso si compone di diversi Tomi ciascuno dei quali tratta i seguenti argomenti specifici:

• Il riuso dei reflui depurati • Processi e tecnologie per il miglioramento qualitativo dei reflui urbani depu-

rati ai fini del riuso• Vincoli tecnici, agronomici ed ambientali per il riuso a scopo irriguo dei

reflui urbani depurati • Definizione e dimensionamento dei trattamenti integrativi ai fini del riuso dei

reflui urbani depurati• Analisi dei costi dei trattamenti integrativi ai fini del riuso dei reflui urbani

depurati• Valutazioni tecnico-economiche per il riuso dei reflui urbani depurati• Analisi delle componenti di costo per le valutazioni tecnico-economiche per

il riuso dei reflui urbani depurati • Casi studio per il riuso dei reflui urbani depurati di alcuni centri urbani signi-

ficativi della Puglia.I “casi studio” condotti su alcuni impianti di trattamento nelle province di Bari, Brindisi, Foggia e Lecce hanno evidenziato la possibilità, in tempi relativamente brevi, di un riutilizzo in totale pari al 52% delle acque reflue depurate corrispon-dente a 27,84 Milioni di mc in volume recuperabile.

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Nelle more d’approvazione del Piano di Tutela delle Acque della Pu-glia, infatti, la Regione disponeva, con la DeliberazionedellaGiuntaRegio-nalen.662del23maggio20063, i primi provvedimenti in materia di riuti-lizzo delle acque reflue depurate. Con tale deliberazione, dunque, venivano definite con precisione le possibilità di reimpiego sia attraverso processi già esistenti per il riuso industriale ed irriguo sia per altri depuratori urbani da integrare con affinamento attraverso interventi specifici, di cui può prendersi visione, in particolare, nei due elenchi-tabelle in allegato alla deliberazione dalla seguente denominazione:

1- Impiantidiaffinamentogiàrealizzati – ovvero trattasi di impianti, per processo di affinamento, idonei a licenziare acque per il riuso irriguo e per i quali esisteva già un comprensorio attrezzato destinato a ricevere tali reflui, anche per il comparto industriale. – Tra essi vi erano già previsti affinamenti in provincia di Bari connessi ai depuratori urbani: Bari Est, Bari Ovest, Con-versano, Castellana Grotte, Andria, Alberobello, Molfetta.

2- Impiantidiaffinamentoincorsodirealizzazionee/odiadeguamento – Tra questi vi erano previsti affinamenti in provincia di Bari, per il solo riu-so irriguo, connessi ai depuratori urbani: Andria, Barletta, Castellana Grotte, Molfetta.

I concetti affrontati nelle prime disposizioni regionali sul riutilizzo tro-vano conferma nella LeggedellaRegionePuglian.27del21ottobre20084, all’art.1, lettera b), che modificava quanto previsto dagli adempimenti regio-nali seguiti alla Legge Galli.

Principali norme regionali integrative in tema di riutilizzo delle acque reflue depurate sono quelle contenute nel PianodiTuteladelleAcquedellaregione Puglia, ed in particolare, oltre a misure di intervento figura l’im-portante “Disciplinadegliimpiantidiriutilizzodelleacquerefluedepurate”, che racchiude le prime diposizioni relative al controllo ed alla gestione degli impianti di recupero.

3 D.G.R.n.662del23maggio2006 “Regolamentorecantenormetecnicheperilriutilizzodelleac-quereflueapprovatocondecretodelMinisterodell’AmbienteedellaTuteladelTerritorion.185/03.Adempimenti” Pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Puglia (BURP) n. 67 del 1giugno 2006.4 Legge della Regione Puglia n. 27 del 21 ottobre 2008 “Modificheeintegrazioniallaleggeregionale6settembre1999,n.28(Delimitazionedegliambititerritorialiottimaliedisciplinadelleformeedeimodidicooperazionetraglientilocali,inattuazionedellalegge5gennaio1994,n.36)”.

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iL Piano Di TuTeLa DeLLe acque DeLLa regione PugLia

Con il P.T.A. (Piano di Tutela delle Acque) della Regione Puglia è stata pianifi-cata la disciplina relativa alla tutela delle acque, ai sensi dell’art.121 del D. Lgs.3 aprile 2006, n. 152. Prima adottato e, ad oggi, approvato definitivamente con la Deliberazione del Consiglio Regionale n.230 del 20 ottobre 2009, a seguito della D.G.R. del 4 agosto 2009, n. 1441. Il P.T.A. Puglia contiene nell’Allegato.2 alla Deliberazione di approvazione n.1441/2009, le “LineeGuida” per la realizzazione dei Regolamenti Regionali su alcuni argomenti di specifico interesse tra cui:“Disciplinascarichidiacquerefluedomesticheoassimilateper insediamentiinferioriai10.000AE…”,“Disciplinadelleacquemeteorichedidilavamentoediprimapioggia”“Disciplinadegliimpiantidiriutilizzodelleacquerefluedepurate”Tra esse figura l’importante “Disciplinadegliimpiantidiriutilizzodelleacquerefluedepurate”, che racchiude le prime diposizioni relative alla gestione degli impianti di recupero. Con esso sono state introdotte specificazioni sul tema del riutilizzo delle ac-que reflue depurate, rispetto a quelle riportate nel Decreto Ministeriale (D.M.) n.185/2003, in relazione alle caratteristiche del territorio ed alla gestione del Servizio Idrico Integrato (SII) pugliese. Particolare rilievo è da attribuirsi, infatti, ai “recapiti finali” individuati come destinazione finale alternativa al riutilizzo, qualora il riuso non debba avvenire per disponibilità superiore e nei casi di stati d’emergenza.Nel PTA Puglia vi è l’Allegato14.01 – “Riusodellarisorsaidrica”, in cui viene esposto lo stato di attuazione del riuso in Puglia e le proposte di intervento, la Stima dei volumi idrici recuperabili, la Gestione degli impianti di riuso ed i Va-lori limite per il riutilizzo delle acque reflue in Puglia. Inoltre, la Tabella1.1 del medesimo allegato contiene un Elencoimpiantididepurazionegiàattrezzatiperilriusoeimpiantioggettodipropostaperl’affinamento, che ricalca quello già Deliberato in precedenza, perseguendone gli stessi orientamenti.

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2.1. La pianificazione di scenari futuri nelle province pugliesiLa Regione Puglia ha ripreso nel PTA Puglia, la trattazione delle dispo-

sizioni già presenti nella D.G.R. n. 662 del 23 maggio 2006 citata, aggiun-gendo la specifica lineaguida (in allegato alla DGR n° 1441/2009), al fine di individuare un elenco di impianti depurativi, i cui scarichi finali sono idonei per essere destinati al recupero ed al successivo riutilizzo dei reflui depurati prodotti, ai sensi del Decreto Min. Ambiente 185/2003.

Al riguardo, la previsione di riuso dei reflui, indicata sulla base degli impianti di depurazione esistenti in ogni provincia attraverso i processi di affinamento previsti (in alcuni casi ancora in costruzione), risulta piuttosto bassa, sia in numero che in percentuale rispetto al totale degli impianti; tutta-via il riuso sta assumendo valore certamente significativo per sviluppare una corretta politica del riutilizzo delle acque come può individuarsi facilmente dalle elaborazioni in Figura 1 e Figura 2 riportate di seguito.

Figura 1. Numero di depuratori urbani esistenti disposti per il riuso dei reflui affinati. Fonte: Elaborazione dati in Deliberazione G.R. n. 662 del 23 maggio 2006 e PTA Puglia.

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In Puglia, da alcuni anni è in esercizio un efficace sistema di affinamen-to per la riutilizzazione delle acque reflue urbane in agricoltura; precisamente si tratta di un impianto di affinamento realizzato a Fasano (BR), nel 2001, con accumulo e distribuzione finalizzati al riuso delle acque reflue urbane a sco-po irriguo. Questo preleva, completamente o in parte, le acque in uscita dal presidio depurativo e destinate allo scarico a mare al fine di conferire il grado di qualità imposto dalla normativa vigente (D.M. 185/03; D.Lgs. 152/06) e richiesto per il successivo riutilizzo in agricoltura. Per la corretta gestione dell’impianto, ha assunto un ruolo fondamentale la struttura della domanda irrigua da cui dipende il ruolo funzionale dei processi di trattamento ed accu-mulo ed i relativi costi specifici di acqua affinata e consegnata alle utenze. La dinamica dei costi è risultata fortemente condizionata dai volumi mensili di acqua affinata ed erogata e, dai volumi annuali considerati nella logica della gestione annuale del servizio (Figura 3).

È da evidenziare come nel corso del triennio il costo annuale reale del servizio al punto di consegna delle utenze sia diminuito, passando da 0,93 €/mc nel 2005 agli attuali 0,3 €/mc, di cui circa 0,15 €/mc, rappresenta il costo specifico di affinamento.

Figura 2. Percentuale di impianti depurativi esistenti disposti per il riutilizzo dei reflui urbani. Fonte: Elaborazione dati Piano d’Ambito dell’ATO Puglia.

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Le previsioni, in condizione limite strutturale di funzionamento, in me-dia individuano tali costi rispettivamente in 0,25 €/mc e in 0,10 €/mc (cfr. nel PianodiTuteladelleAcque).

Allo stato attuale, sul costo reale al metro cubo, il costo specifico di affinamento è sostenuto dalle utenze ed i costi energetici e di manutenzione straordinaria sono sostenuti dall’Amministrazione Comunale di Fasano.

Nelle attuali condizioni del sistema (erogazione diretta a domanda) l’impianto può sostenere, senza raggiungere il limite strutturale, una doman-da di acqua affinata fino ad un massimo di circa 1.000.000 mc/anno5 (cfr. nel PianodiTuteladelleAcque).

La concretizzazione, dunque, di una corretta forma di riuso delle acque in Puglia si potrà tradurre nel tempo in una “eloquente risposta” allo stato di deficit del bilancio idrico regionale. Pertanto, l’introduzione in futuro di un regolamento regionale che possa ben disciplinare le iniziative al riguardo rap-presenterebbe, attualmente, l’inizio del monitoraggio di un quadro di risposte che la Regione ha messo, ormai, in campo a seguito dell’emergenza ambien-tale di settore, i cui interventi dovranno concludersi entro giugno 2011.

5 Informazioni ricevute dalla Regione e tratte dal PianodiTuteladelleAcque della regione Puglia.

Figura 3. Andamento del costo specifico della risorsa idrica affinata.

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Sulla base di tali considerazioni la pianificazione di tali scenari futu-ri nelle province pugliesi assumerà importanza e, soprattutto, darà i risultati sperati soltanto se il mondo agricolo risponderà positivamente impiegando la risorsa idrica alternativa derivante dalla depurazione delle acque reflue urba-ne prodotte dalla popolazione.

Alla luce di quanto detto, infatti, anche enti come le Province hanno un ruolo fondamentale, sia nelle fasi procedurali di autorizzazione agli scarichi e, quindi, nel sostenere corrette prescrizioni per i processi di trattamento e affinamento dei reflui, sia in quelle di vigilanza da parte del corpo di polizia provinciale, nonché di verifica delle scelte proposte, onde valutare le oppor-tunità che ne possono derivare in termini di funzionamento dell’intera filiera del riutilizzo sopradetta.

Anche le iniziative dei Comuni in tali prospettive non devono mancare, contribuendo sia in veste di gestore di impianti6, che come ente cittadino per la sensibilizzazione e promozione del riutilizzo dei reflui non solo nell’agri-coltura, ma anche nel settore civile con l’introduzione di disposizioni nella programmazione e pianificazione urbanistica e settoriale a livello comunale.

Una importante conseguenza positiva nella realizzazione del “riutiliz-zo” in Puglia, come lo stesso Piano di Tutela delle Acque regionale ribadisce, è rappresentata dalla riduzione degli scarichi inquinanti. Essendo, infatti, lo scarico delle acque reflue depurate un’attività ineliminabile, il loro riuso per l’irrigazione delle colture agrarie, costituirebbe una mitigazione dell’impatto e fornirebbe un apporto spesso rilevante al soddisfacimento dei fabbisogni idrici non potabili.

3. I vantaggi nel riutilizzo di acque reflue depurate

È noto, innanzitutto, che la Puglia non è una regione ricca di corpi idri-ci; l’apporto proprio del territorio pugliese ai volumi di risorsa idrica impie-gati nella distribuzione idropotabile è stato spesso limitato alle sole acque sotterranee di cui la falda profonda è ricca, mentre in generale l’Acquedotto pugliese, nell’ambito del SII, gestisce acque interregionali per assicurare alla

6 Alcuni pochi depuratori urbani, ad oggi, nella regione Puglia sono ancora in gestione ai Comuni proprietari.

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regione Puglia l’approvvigionamento idrico idoneo. Tutto ciò ha indotto, ad oggi, un devastante depauperamento di acqua dolce dei corpi idrici sotterra-nei, con aggravio del loro stato qualitativo nel tempo, sempre più contraddi-stinto da critici fenomeni di intrusione salina (di acque dal mare) nelle falde idriche superficiali e profonde (DeMattiaMossa,2007).

La tutela quantitativa delle risorse idriche è dettata anche dall’art. 95, comma 1, del D.Lgs. 152 del 2006, è “concorre al raggiungimento degliobiettividiqualitàattraversounapianificazionedelleutilizzazionidelleac-quevoltaadevitareripercussionisullaqualitàdellestesseeaconsentireunconsumoidricosostenibile”. Troppo volte e troppo facilmente viene utilizza-to il termine “sostenibile”, oggi divulgatosi in qualsiasi settore, ma se c’è un comparto davvero risentito, in cui vi è necessità in Puglia di parlare in termini di “sostenibilità”, è proprio quello idrico.

Le misure di intervento previste nel Piano di Tutela delle Acque del-la Puglia riservano, ancora, particolare attenzione al raggiungimento degli obiettivi di qualità posti in essere dalle norme vigenti, contribuendo:a) alla tutela qualitativa e quantitativa delle risorse idriche;b) alla riduzione dei prelievi dalle acque superficiali e sotterranee e alla

riduzione degli impatti sui corpi idrici recettori.Il riutilizzo di acque reflue depurate, pianificato ed in corso di attuazio-

ne in Puglia, se condotto e concretizzato in maniera efficace, consente di sop-perire a diverse esigenze tipiche del nostro tempo e del nostro territorio: da un lato di reperire fonti idriche alternative per fronteggiare la riduzione delle disponibilità di risorsa idrica e dall’altro di ridurre le ripercussioni ambientali, evitando così che il carico inquinante delle acque reflue possa portare ad ul-teriore degrado ambientale (nel qual caso vengano scaricate in recapiti finali convenzionali).

La Regione, in tal modo, per il nostro territorio ad alta vocazione agri-cola, nello scenario futuro potrebbe far fronte sempre alla domanda d’acqua utile a garantire un costante processo produttivo nell’agricoltura, senza per questo necessariamente privare o limitare l’offerta nel sistema idrico di ero-gazione dei volumi di risorsa idrica da destinare al “consumo umano”.

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40 Maria crisTina De MaTTia

4. Conclusioni

Quanto mai oggi, è necessario soffermarsi sui rischi potenziali – ma di breve periodo – e sulle conseguenze derivanti dal mancato compimento degli interventi prospettati negli scenari futuri oggetto di pianificazione. Fonda-mentale importanza, in prospettiva, riveste la conoscenza delle tematiche qui affrontate ed il superamento di dubbiosità o incertezze nel riutilizzo di acque reflue depurate, soprattutto nel mondo agricolo, che in larghe fasce appare ancora molto scettico nel reimpiego di tali acque nella irrigazione.

Le disposizioni vigenti e quelle regionali che sono allo studio in adem-pimento alle lineeguida del PTA Puglia, non possono che rivolgere grande attenzione sull’argomento, al fine di assicurare la disponibilità di una risorsa idrica alternativa, garantendo sempre il “consumatore” sia dal punto di vista quali-quantitativo che da quello gestionale, individuando adeguatamente tutti i soggetti coinvolti nel sistema da mettere in atto, dai controlli alla distribu-zione attraverso corrette responsabilità.

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Riutilizzodelleacquerefluedepurate 41

BibliografiaTesti della normativapubblicatain materia di “Acque”, nazionale e regionale: D.M.185/2003, D.G.R. Puglia n. 662 del 23 maggio 2006, Piano di Tutela delle Acque Puglia, ecc.

M.C. De Mattia , M. Mossa, IlsistemaidricopuglieseelaqualitàelasalvaguardiadelleAcquesotterraneealfinedelloroutilizzoinmomentidicrisidiapprovvi-gionamento, Atti dei Convegni Lincei della VII Giornata Mondiale dell’Acqua, 22 marzo 2007, Roma - Convegno “La Crisi dei sistemi idrici: approvvigiona-mento agro-industriale e civile” - Accademia Nazionale dei Lincei.

REGIONE PUGLIA - Programma regionale di Tutela Ambientale 2003-2006 - BURP n. 19, del 02.02.2005 e sue modifiche ed integrazioni successive.

AA.VV. ARPA PUGLIA - Relazionesullostatodell’Ambiente2004 - Martano Edi-tore - Estratti da capitolo2. ciclodelleAcque, Autore M.C. De Mattia, (pagg. 61-117).

SOGESID S.p.A, PianoDirettore(a stralcio del Piano di Tutela delle Acque) della Regione Puglia - Commissario Delegato per l’Emergenza Ambientale, 2002.

SOGESID S.p.A-AQP, Leggen.388/2000art.141comma4-Programmadi inter-ventiurgentiastralcio, Regione Puglia - Commissario Delegato per l’Emergenza Ambientale, 2002.

Sitografiawww.regione.puglia.itwww.arpa.puglia.itwww.aatopuglia.it

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FiLoMena Lacarbonara

Utilizzo dei fanghi di depurazione in agricoltura: normativa di riferimento e prospettive future

soMMario: 1.normativadiriferimento;1.1.normetecniche;1.2.connessioniconladisciplinadeirifiuti;2.L’utilizzodeifanghiinagricoltura;2.1.Destinazionedeifanghi;2.2.Problematicheeoppor-tuinità;2.3.GliimpattielasituazioneinPuglia;3.Indirizziperlapianificazioneeprospettivefuture;3.1.IlTavoloTecnicoregionale;4.conclusioni.

1. Normativa di riferimento

L’utilizzo di fanghi derivanti dal processo di depurazione delle acque reflue sui terreni coltivati è una pratica incoraggiata dalla normativa comu-nitaria sin dal 1986, anno di emanazione della Direttiva86/278/cEEconcer-nentelaprotezionedell’ambiente,inparticolaredelsuolo,nell’utilizzazionedeifanghididepurazioneinagricoltura, il cui atto di recepimento in Italia è rappresentato dal D. Lgs. 27.01.1992 n. 99. Tale decreto regola le condizioni e le modalità di utilizzo in agricoltura dei fanghi prodotti dal processo di de-purazione dei reflui provenienti da insediamenti civili e produttivi e fissa le limitazioni nelle caratteristiche agronomiche e microbiologiche degli stessi (contenuto massimo di metalli pesanti Cd, Cu, Ni, Pb, Zn, Hg e Cr e conte-nuto minimo di elementi nutritivi N e P totali) per ridurre al minimo i rischi legati alla possibilità che sostanze pericolose possano entrare nella catena alimentare o inquinare il suolo.

I requisiti essenziali per l’utilizzo dei fanghi su suolo agricolo sono:- un preliminare trattamento (ossia un processo di stabilizzazione atto a

contenere / eliminare i possibili effetti igienico-sanitari);- l’idoneità a produrre un effetto concimante e/o ammendante e corretti-

vo del terreno;- l’assenza di sostanze tossiche e nocive e/o persistenti e/o bioaccumu-

labili in concentrazioni dannose per il terreno, per le colture, per gli

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44 FiLoMena Lacarbonara

animali, per l’uomo e per l’ambiente in generale;- adeguate caratteristiche dei fanghi (Allegato I B del Decreto);- adeguate caratteristiche del terreno (Allegato I A).

Nella tabella seguente sono indicate, estratte dagli allegati al Decreto, le concentrazioni massime di metalli pesanti consentite nei fanghi prima del loro spandimento su suolo e le relative caratteristiche dei terreni oggetto di tale spandimento.

Concentrazioni massime in metalli pesanti consentite (mg/Kg s.s.)(D.Lgs.99/92)

Elemento Allegato I A (Suoli) Allegato I B (Fanghi) Cadmio 1,5 20Mercurio 1 10Nichel 75 300Piombo 100 750Rame 100 1000Zinco 300 2500

Mentre le analisi sui fanghi vanno effettuate ogni qualvolta interven-gano cambiamenti sostanziali nella qualità delle acque trattate e, comunque, almeno:• ogni 3 mesi per impianti > 100.000 A.E.• ogni 6 mesi per impianti < 100.000 A.E.• 1 volta all’anno per impianti < 5.000 A.E.secondo il protocollo analitico fissato nell’allegato B al Decreto.

Le analisi per i terreni, da effettuare preventivamente all’utilizzazione degli stessi, devono accertare la rispondenza ai parametri indicati nell’allega-to II A e devono essere ripetute almeno ogni tre anni.

Inoltre, con le seguenti caratteristiche dei suoli: - capacità di scambio cationico (C.S.C.) superiore a 15 meq/100 gr- pH compreso tra 6,0 e 7,5i fanghi possono essere applicati su terreni in dosi non superiori a 15 ton/ettaro di sostanza secca nell’arco di un triennio.

Al variare delle condizioni di pH e C.S.C. varia anche la quantità am-

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Utilizzodeifanghididepurazioneinagricoltura 45

missibile di fanghi in un suolo agrario. Infatti, in caso di utilizzazione di fan-ghi su terreni il cui pH sia inferiore a 6 e la cui C.S.C. inferiore a 15, per tenere conto dell’aumentata mobilità dei metalli pesanti e del loro maggiore assorbimento da parte delle colture, i quantitativi di fango utilizzato devono essere diminuiti del 50%. Al contario, nel caso in cui il pH del terreno sia superiore a 7,5 i quantitativi di fango utilizzato possono essere aumentati del 50%.

Nel decreto sono fissati una serie di divieti. È vietato applicare i fanghi ai terreni:a) allagati, soggetti ad esondazioni e/o inondazioni naturali, acquitrinosi o

con falda acquifera affiorante, o con frane in atto; b) con pendii maggiori del 15% limitatamente ai fanghi con un contenuto

in sostanza secca inferiore al 30%;c) con pH minore di 5 e con C.S.C. minore di 8 meq/100 gr; d) destinati a pascolo, a prato-pascolo, a foraggere, anche in consociazio-

ne con altre colture, nelle 5 settimane che precedono il pascolo o la raccolta di foraggio;

e) destinati all’orticoltura e alla frutticoltura i cui prodotti sono normal-mente a contatto diretto con il terreno e sono di norma consumati crudi, nei 10 mesi precedenti il raccolto e durante il raccolto stesso;

f) quando è in atto una coltura, ad eccezione delle colture arboree; g) quando sia stata comunque accertata l’esistenza di un pericolo per la

salute degli uomini e/o degli animali e/o per la salvaguardia dell’am-biente.

Il D.Lgs. 99/92 stabilisce che siano le Regioni ad autorizzare le attività di raccolta, trasporto, stoccaggio, condizionamento ed utilizzazione dei fan-ghi in agricoltura, oltre a stabilire ulteriori limiti e condizioni di utilizzazione in agricoltura per i diversi tipi di fanghi in relazione alle caratteristiche dei suoli, ai tipi di colture praticate, alla composizione dei fanghi, alle modalità di trattamento.

L’utilizzo agronomico dei fanghi è soggetto ad autorizzazione regionale.Con la L.R. n. 29/95 la Regione Puglia ha delegato le Province ad auto-

rizzare lo spandimento dei fanghi nel territorio di competenza.

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L.R.29/95-Eserciziodellefunzioniamministrativeinmateriadiutilizzazionedeifanghididepurazioneinagricolturaattraversole

Amministrazioniprovinciali.

È ammessa l’utilizzazione dei fanghi in agricoltura allorchè si verificano le con-dizioni di cui all’ art. 3 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99, nonché quando il valore residuo dei solidi volatili del fango non risulti superiore al 68% di quello totale ovvero quando sia stato ridotto il contenuto in solidi volatili in misura non inferiore al 33% degli stessi.Oltre i divieti stabiliti dall’ art. 4 del D.Lgs. 99/92, è vietata l’utilizzazione dei fanghi su terreni agricoli nelle aree interdette allo smaltimento così come definite dalle carte tematiche del Pianoregionaledirisanamentodelleacque.È, altresì, vietata l’ utilizzazione dei fanghi su terreni agricoli a distanze pari o inferiori a:- 1.000 m da captazioni idropotabili - 500 m da captazioni idriche a qualsiasi altro uso destinate- 200 m da corsi d’ acqua superficiali- 500 m da autostrade e strade statali- 300 m da strade provinciali- 100 m da strade comunali

Al fine di ottenere l’autorizzazione allo spandimento il richiedente deve indicare:a) la tipologia di fanghi da utilizzare;b) le colture destinate all’impiego dei fanghi;c) le caratteristiche e l’ubicazione dell’impianto di stoccaggio dei fanghi;d) le caratteristiche dei mezzi impiegati per la distribuzione dei fanghi;

L’autorizzazione ha una durata massima di cinque anni. L’utilizzatore deve notificare, con almeno 10 giorni di anticipo, alla

Provincia ed al Comune di competenza, l’inizio delle operazioni di utilizza-zione dei fanghi, indicando:a) gli estremi dell’impianto di provenienza dei fanghi; b) i dati analitici dei fanghi per i parametri indicati all’allegato B;c) l’identificazione sui mappali catastali e la superficie dei terreni sui quali

si intende applicare i fanghi; d) i dati analitici dei terreni, per i parametri indicati all’allegato A;

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e) le colture in atto e quelle previste; f) le date previste per l’utilizzazione dei fanghi;g) il consenso allo spandimento da parte di chi ha il diritto di esercitare

attività agricola sui terreni sui quali si intende utilizzare fanghi;h) il titolo di disponibilità dei terreni ovvero la dichiarazione sostitutiva di

atto di notorietà.

NormeRegionaliintegrativeintemadiutilizzazionedeifanghiinagricoltura

Con la disciplina della Condizionalità (D.G.R. n. 2460/2008) sono state intro-dotte modifiche e limitazioni all’uso dei fanghi in agricoltura rispetto a quelle riportate nel D.Lgs. 99/1992 e nella L.R. 29/1995.In particolare, la quantità di fango utilizzabile deve essere valutata in funzione di diversi parametri, quali la profondità dello strato arabile e le frazioni di scheletro. Sono richieste l’acquisizione preventiva dell’autorizzazione del proprietario del terreno ed una relazione da parte di personale qualificato attestante le caratte-ristiche del terreno. Inoltre, le analisi devono essere eseguite presso laboratori accreditati, con procedure riportate nel D.M. n. 185/1999.Occorre anche tener conto di altre disposizioni regionali che si sono aggiunte a quelle specificatamente indirizzate ai fanghi di depurazione e che, comunque, ne disciplinano l’utilizzo.La DGR n. 19/2007 “Programmad’azioneper le zone vulnerabili danitra-ti.AttuazionedellaDirettiva91/676/cEErelativaallaprotezionedelleacquedall’inquinamentodanitratiprovenientidafontiagricole” nella Parte II “pro-gramma d’azione” ha sancito dei divieti.1. L’utilizzo di liquami e dei materiali ad essi assimilati, nonché dei fanghi de-rivanti da trattamenti di depurazione di cui al decreto legislativo n. 99 del 1992 è vietato: a) entro 10 m di distanza dalle sponde dei corsi d’acqua superficiali, ad esclusio-ne dei canali arginati;b) entro 30 m di distanza dall’inizio dell’arenile per le acque lacuali, marino-costiere e di transizione, nonché dai corpi idrici ricadenti nelle zone umide indi-viduate ai sensi della Convenzione di Rarnsar del 2 febbraio 1971;c) sulle superfici non interessate dall’attività agricola, fatta eccezione per le aree a verde pubblico e privato e per le aree soggette a recupero e ripristino ambien-tale;d) nei boschi, ad esclusione delle deiezioni rilasciate dagli animali nell’alleva-mento brado;

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e) sui terreni gelati, innevati, con falda acquifera affiorante, con frane in atto e terreni saturi d’acqua, fatta eccezione per i terreni adibiti a colture che richiedo-no la sommersione;f) in tutte le situazioni in cui l’autorità competente provvede ad emettere specifici provvedimenti di divieto o di prescrizione in ordine alla prevenzione di malattie infettive, infestive e diffusive per gli animali, per l’uomo e per la difesa dei corpi idrici;g) entro 200 m da strade e centri abitati, a meno che i liquami siano distribuiti con tecniche atte a limitare l’emissione di odori sgradevoli o vengano immedia-tamente interrati;h) nei casi in cui i liquami possano venire a diretto contatto con i prodotti desti-nati al consumo umano;i) in orticoltura, a coltura presente, nonché su colture da frutto, a meno che il sistema di distribuzione non consenta di salvaguardare integralmente la parte aerea delle piante;j) dopo l’impianto della coltura nelle aree adibite a parchi o giardini pubblici, campi da gioco, utilizzate per ricreazione o destinate in genere ad uso pubblico;k) su colture foraggiere nelle tre settimane precedenti lo sfalcio del foraggio o il pascolamento.2. L’utilizzo di liquami è vietato su terreni con pendenza media, riferita ad un’area aziendale omogenea, superiore al 10%; l’utilizzo può essere consentito sui terreni con pendenza fino al 20%, in presenza di sistemazioni idraulico-agra-rie, sulla base delle migliori tecniche di spandimento riportate nel CBPA e nel rispetto delle seguenti prescrizioni volte ad evitare il ruscellamento e l’erosione:a) dosi di liquami frazionate in più applicazioni;b) iniezione diretta nel suolo o spandimento superficiale a bassa pressione con interramento entro le 12 ore sui seminativi in pre-aratura;c) iniezione diretta, ove tecnicamente possibile, o spandimento a raso sulle col-ture prative;d) spandimento a raso in bande o superficiale a bassa pressione in copertura su colture cerealicole o di secondo raccolto.Il Regolamento regionale 18 luglio 2008, n. 15 “Regolamentorecantemisurediconservazioneaisensidelledirettivecomunitarie79/409/CEEe92/43/CEEedelDPRn.357/97esuccessivemodificheeintegrazioni” all’Art. 5 (Misure di conservazione per tutte le ZPS) comma 1l) prevede: “In tutte le zone ZPS è fatto divieto di:…l) utilizzo e spandimento di fanghi di depurazione, provenienti dai depuratori urbani e industriali, con l’esclusione dei fanghi provenienti dalle aziende agroa-limentari, sulle superfici agricole e sulle superfici naturali;”.

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L’applicazione dei fanghi è altresì vietata nelle zone di protezione speciale idro-geologica di tipo A e B individuate nell’allegato 2 della DGRn°1441del4ago-sto2009diapprovazionedelPianodiTuteladelleAcquedellaRegionePuglia, che prevede l’immediata applicazione delle norme inserite tra le “prime misure di salvaguardia” nelle more dell’approvazione del piano.

1.1. Norme tecnicheIl D.Lgs. 99/92 indica una serie di norme tecniche che devono essere

assicurate per il corretto trattamento dei fanghi e l’adeguata utilizzazione in agricoltura.1. Raccolta dei fanghi. La raccolta dei fanghi presso gli impianti di depu-

razione deve avvenire con mezzi meccanici idonei e nel rispetto delle condizioni igieniche per gli addetti a tali operazioni e per l’ambiente.

2. Trasporto dei fanghi. Il trasporto dei fanghi deve essere effettuato con mezzi idonei ad evitare ogni dispersione durante il trasferimento ed a garantire la massima sicurezza da punto di vista igienico-sanitario. In caso di trasporto di altri rifiuti i mezzi devono essere bonificati al fine del successivo trasporto dei fanghi.

3. Stoccaggio dei fanghi negli impianti di produzione e/o di trattamento e/o stoccaggio per conto terzi. Devono essere previsti adeguati sistemi di stoccaggio predisposti in relazione allo stato fisico dei fanghi prodot-ti ed alla loro utilizzazione.

4. Condizionamento dei fanghi. Si intende per condizionamento dei fanghi qualsiasi operazione atta a modificare le caratteristiche fisico-chimico-biologiche dei medesimi in modo tale da facilitarne l’utilizzazione in agricoltura con esclusione delle operazioni proprie del ciclo fanghi ese-guiti presso gli impianti di depurazione.

5. Stoccaggio dei fanghi presso l’utilizzatore finale. Qualora l’azienda uti-lizzatrice intenda dotarsi di un proprio impianto di stoccaggio, questo deve avere capacità e dimensioni proporzionate sia agli ordinamenti colturali prevalenti, sia alle caratteristiche dei fanghi.

6. Applicazione dei fanghi. I fanghi devono essere applicati seguendo le buone pratiche agricole; durante l’applicazione o subito dopo va ef-fettuato l’interramento mediante opportuna lavorazione del terreno. Durante le fasi di applicazione dei fanghi sul suolo, deve essere evitata

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50 FiLoMena Lacarbonara

la diffusione di aerosol, il ruscellamento, il ristagno ed il trasporto del fango al di fuori dell’area interessata alla somministrazione. In ogni caso l’applicazione dei fanghi deve essere sospesa durante e subito dopo abbondanti precipitazioni, nonché su superfici gelate o coperte da coltre nevosa.

1.2. Connessioni con la disciplina dei rifiutiAll’Art. 127 Fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue della

Parte Terza del D.Lgs. 152/2006 e s.m.i. (Testo Unico Ambientale), con rife-rimento al tema in oggetto, testualmente si riporta:1.Ferma restando la disciplina di cui al decreto legislativo 27 genna-io1992,n.99,ifanghiderivantidaltrattamentodelleacquerefluesonosottopostialladisciplinadeirifiuti,oveapplicabileeallafinedelcom-plessivoprocessoditrattamentoeffettuatonell’impiantodidepurazione.Ifanghidevonoessereriutilizzatiogniqualvoltaillororeimpiegorisultiappropriato.2.Èvietatolosmaltimentodeifanghinelleacquesuperficialidolciesal-mastre.

Quindi, al termine del processo di trattamento, indipendentemente dal-la modalità di smaltimento o riutilizzo, il fango deve essere gestito come un rifiuto e deve essere assicurata, pertanto, la tracciabilità delle varie fasi che vanno dalla produzione al trasporto al collocamento a dimora (sia esso riuti-lizzo o meno).

Gli impianti depurativi di reflui urbani non si configurano come im-pianti di trattamento di rifiuti, conseguentemente, al termine del processo di trattamento dei fanghi, gli stessi devono essere allontanati con le tempistiche indicate dalla stessa norma (art. 183 lett. bb depositotemporaneo). I fanghi residuali dei processi depurativi, in quanto rifiuti speciali non pericolosi, de-vono essere allontanati dal luogo di produzione con cadenza almeno trime-strale, indipendentemente dal quantitativo in deposito, o quando il quantita-tivo prodotto ha raggiunto i 30 mc. In ogni caso il deposito temporaneo non può avere durata superiore ad un anno.

In quanto rifiuto, il fango deve essere classificato secondo la codifica (C.E.R.) riportata nell’Elenco dei Rifiuti istituito dall’Unione Europea con la

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Decisione 2000/532/Ce e recepito in Italia a partire dal 1° gennaio 2002 in sostituzione della precedente normativa.

L’elenco dei rifiuti riportato nella Decisione 2000/532/Ce è stato tra-sposto successivamente nel D.Lgs. 152/2006, Parte Quarta, Allegato D.

Il Catalogo Europeo dei Rifiuti (CER) è un elenco armonizzato di rifiuti, oggetto di periodica revisione. Il CER contiene tutte le tipologie di rifiuti, urbani e speciali, pericolosi e non pericolosi. Ogni rifiuto ricompreso nell’elenco è classificato con un codice numerico a 6 cifre (codice C.E.R.):• le prime due cifre individuano le categorie industriali o i tipi di attività

che hanno generato i rifiuti;• le seconde due cifre individuano i singoli processi all’interno delle ca-

tegorie industriali o attività che hanno generato il rifiuto;• le ultime due cifre individuano la singola tipologia del rifiuto generato.

Per i fanghi provenienti dal processo di depurazione delle acque reflue il codice identificativo è il 19, le successive cifre stanno ad indicare le tipolo-gie di trattamento che hanno appunto prodotto le varie tipologie di fango (ad es., il CER 190805 indica i fanghi originati dal trattamento delle acque reflue urbane).

19

RIFIUTI PRODOTTI DA IMPIANTI DI TRATTAMENTO DEI RIFIUTI, IMPIANTI DI TRATTAMENTO DELLE ACQUE REFLUE FUORI SITO, NONCHÈ DALLA POTABILIZZAZIONE DELL’ACQUA E DALLA SUA PREPARAZIONE PER USO INDUSTRIALE

PERICOLOSI1 NON PERICOLOSI

1908 Rifiuti prodotti dagli impianti per il trattamento delle acque reflue, non spe-cificati altrimenti

190805 Fanghi prodotti dal trattamento delle acque reflue urbane

190807* soluzioni e fanghi di rigenerazione delle resine a scambio ionico

1 I codici C.E.R. si dividono in non pericolosi e pericolosi; i secondi vengono identificati graficamente con un asterisco “*”. La pericolosità di un rifiuto viene determinata tramite analisi di laboratorio volte a verificare l’eventuale superamento di valori di soglia individuati dalle Direttive sulla classificazione, l’etichettatura e l’imballaggio delle sostanze pericolose.

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190811* fanghi prodotti dal trattamento bio-logico delle acque reflue industriali, contenenti sostanze pericolose

190812

fanghi prodotti dal trat-tamento biologico delle acque reflue industriali, diversi da quelli di cui alla voce 190811

190813* fanghi contenenti sostanze pericolo-se prodotti da altri trattamenti delle acque reflue industriali

190814

fanghi prodotti da altri trattamenti delle ac-que reflue industriali, diversi da quelli di cui alla voce 190813

1909 Rifiuti prodotti dalla potabilizzazione dell’acqua o dalla sua preparazione per uso industriale

190902 Fanghi prodotti dai processi di chiarifica-zione dell’acqua

190903 Fanghi prodotti dai processi di decarbona-tazione

La connessione tra la norma che disciplina l’utilizzazione dei fanghi in agricoltura e la normativa sui rifiuti implica che nella gestione delle attività possa sovrapporsi la modulistica necessaria comprovante la corretta gestione degli stessi.

Infatti, il D.Lgs. 99/92 impone che i fanghi, proprio perché utilizzati in siti (suolo agrario) diversi da quelli di produzione (impianti di depura-zione) siano sempre accompagnati da una Scheda di accompagnamento, che interessa le fasi di raccolta e trasporto, stoccaggio, condizionamento ed utilizzazione e che deve essere conservata per almeno 6 anni. Per assicurare il rispetto della normativa sui rifiuti, per la sola fase di trasporto il fango deve essere accompagnato anche dal suo Formulario di identificazione del rifiu-to (F.I.R.), che per legge deve essere conservato per 5 anni.

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Scheda di accompagnamento(rispetto della normativa sui fanghi)

Formulario di trasporto(rispetto della normativa sui rifiuti)

• Nelle varie fasi di raccolta e traspor-to, stoccaggio, condizionamento ed utilizzazione, i fanghi da utilizzare in agricoltura devono essere corre-dati da una scheda di accompagna-mento compilata dal produttore o detentore e consegnata a chi prende in carico i fanghi.

• Tale scheda deve essere compilata secondo lo schema riportato nell’al-legato III A.

• L’originale della scheda e le copie devono essere conservate per un pe-riodo di almeno 6 anni.

• Nella scheda sono riportati, fra l’al-tro, i dati sui quantitativi di fanghi prodotti / gestiti in relazione al loro stato fisico, la composizione e le caratteristiche degli stessi, la quota fornita per l’utilizzo in agricoltura.

• Nella fase di trasporto è inoltre ne-cessario accompagnare i fanghi an-che con il Formulario di identifica-zione.

• Tali formulari devono essere con-servati, unitamente ai registri di carico e scarico dei rifiuti, per un periodo di almeno 5 anni dalla data dell’ultimo movimento.

• Nel FIR devono essere indicati: il produttore, l’origine, la tipologia e la quantità di rifiuto, l’impianto di destinazione, il percorso seguito, il destinatario.

Il FIR si compone di n.4 copie (a rical-co), delle quali:

• la prima resta al produttore

• la seconda al trasportatore

• la terza allo smaltitore finale

• la quarta viene restituita al pro-duttore con le annotazioni del trasportatore e dello smaltitore finale

Inoltre, l’utilizzatore dei fanghi è tenuto a istituire un registro, il Registro di utilizzazione, con pagine numerate progressivamente e timbrate dall’autorità competente di controllo, sul quale dovranno essere riportati se-condo le modalità indicate nell’allegato III B:• i risultati delle analisi dei terreni• i quantitativi di fanghi ricevuti – la relativa composizione e caratteristi-

che – il tipo di trattamento subito

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• gli estremi delle schede di accompagnamento• il nominativo o la ragione sociale del produttore, del trasportatore, del

trasformatore• i quantitativi di fanghi utilizzati – le modalità e i tempi di utilizzazione

per ciascun appezzamento.I registri, unitamente ai certificati delle analisi e alle schede di accom-

pagnamento, dovranno essere conservati per un periodo non inferiore a 6 anni dall’ultima annotazione.

Come le operazioni relative al trasporto devono essere accompagnate da un formulario di identificazione del rifiuto (F.I.R.) – art.193 D.Lgs. 152/2006 –, analogamente tutte le operazioni relative alla gestione del fango come rifiu-to vengono annotate su appositi Registri di carico e scarico secondo quanto previsto dall’art.190 D.Lgs. 152/2006.

Il produttore di fanghi destinati all’agricoltura, deve annotare sul regi-stro di carico e scarico: a) i quantitativi di fango prodotto e quelli forniti per uso agricolo;b) la composizione e le caratteristiche dei fanghi rispetto ai paramenti di cui all’allegato I B; c) il tipo di condizionamento impiegato;d) i nomi e gli indirizzi dei destinatari dei fanghi e i luoghi previsti di utiliz-zazione dei fanghi.

I registri sono a disposizione delle autorità competenti e deve esserne trasmessa annualmente copia alla Regione.

Il Registrodiutilizzazione deve avere le pagine timbrate dall’autori-tà competente di controllo e deve essere conservato per almeno 6 anni. Il Registrodicaricoescarico viene vidimato dalla Camera di Commercio e deve essere conservato per 5 anni.

2. L’utilizzo dei fanghi in agricoltura

2.1. Destinazione dei fanghiLa gestione dei fanghi di depurazione rappresenta una delle maggiori

criticità del “ciclo della depurazione”. Com’è noto, la funzione svolta dagli impianti di trattamento delle acque di scarico consiste nel depurare i reflui

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prodotti dall’attività umana al fine di consentirne il riuso e/o lo scarico in corpi idrici ricettori, garantendo in tal modo il conseguimento/mantenimento degli obiettivi di qualità dei corpi ricettori stessi. Il processo di depurazione tuttavia produce volumi significativi di fanghi e tali volumi sono tanto più elevati quanto più spinta è la capacità depurativa degli impianti.

Il fango biologico è una sostanza particolarmente ricca di sostanza or-ganica e nutrienti in rapporto tale da consentirne l’utilizzazione agronomica, pertanto può rappresentare un utile apporto di elementi nutritivi in natura (azoto, fosforo e potassio) e di sostanza organica al suolo, oltre a garantire in tal modo un recupero di rifiuti che altrimenti andrebbero smaltiti in discarica. È tuttavia indispensabile assicurarsi che l’applicazione dei fanghi di depura-zione al suolo non determini una riduzione di funzionalità e/o di utilizzo del suolo rispetto alle condizioni quo ante.

A seconda della loro natura i fanghi possono essere gestiti in vari modi:- collocazione in discarica, cioè a giacimento controllato definitivo,

eventualmente dopo inertizzazione, cioè miscelazione con leganti mi-nerali (cementi, argille) e/o organici (resine, chelanti) che intrappolano, impedendone o limitandone il rilascio, gli elementi e le sostanze parti-colarmente inquinanti contenute nei fanghi. La soluzione vale sia per i fanghi a matrice organica che per quelli a matrice inorganica; il requi-sito fondamentale per il conferimento in discarica di un fango è che la sostanza secca non sia inferiore al 25%;

- smaltimento mediante processi di incenerimento, la soluzione pre-vede che i fanghi possano essere combusti in particolari forni, eventual-mente con recupero energetico, in impianti esistenti dedicati allo smal-timento di rifiuti urbani o in impianti specifici dedicati allo smaltimento dei fanghi (ossidazione in fase umida). Nel primo caso potrebbe essere necessario un preventivo essiccamento termico, mentre nel secondo caso potrebbero essere conferiti fanghi a diverso grado di umidità. In ogni caso va verificata la disponibilità effettiva degli impianti ed i rela-tivi costi;

- recupero per co-incenerimento in regime ordinario, previa verifica della disponibilità di cementifici e centrali termiche a combustibile so-lido dove poter conferire fanghi essiccati termicamente. Il ricorso alle procedure semplificate non è conveniente dal momento che richiede-

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rebbe una qualità dei fanghi così elevata da renderli idonei all’uso agri-colo (sicuramente preferenziale, se la qualità del fango lo consente);

- recupero, in particolari produzioni per l’edilizia, miscelati con argille, o cementi od altri materiali (ciò può valere solo per taluni fanghi di na-tura inorganica) o fatti fermentare insieme ad altri rifiuti organici per la produzione di “compost”2 da destinarsi quale concime per l’agricoltura (naturalmente, trattandosi di un processo di ossidazione biologica, la tecnica vale solo per i fanghi a matrice organica, nel rispetto di determi-nati requisiti di qualità). Tale soluzione permette di far fronte al proble-ma della bassa concentrazione dei solidi e della scarsa stabilizzazione ai fini dello smaltimento in discarica, tuttavia richiede un contenuto in alcuni metalli (zinco e rame, in particolare) più basso nel fango di par-tenza per effetto della perdita in peso della sostanza secca che oscilla tra il 30 e il 50% e, quindi, della maggiore concentrazione degli elementi costituenti;

- recupero diretto in agricoltura, anche qui si sfruttano le caratteristi-che agronomiche di alcuni fanghi organici, provvedendo anche a risol-vere in parte il problema prettamente agricolo di impoverimento del contenuto di sostanza organica dei terreni.

2.2. Problematiche e opportunitàI fanghi di depurazione possono trovare utilizzo in agricoltura purchè

siano rispettate le seguenti condizioni:- devono essere stati sottoposti a trattamento (ossia a stabilizzazione per

contenere / eliminare i possibili effetti igienico-sanitari);- devono essere idonei a produrre un effetto concimante e/o ammendante

e correttivo del terreno, in modo da migliorarne la sua fertilità;- non devono contenere sostanze tossiche e nocive, e/o persistenti e/o

bioaccumulabili, in concentrazioni dannose per il terreno, per le coltu-re, per gli animali, per l’uomo e per l’ambiente in generale.La metodica di recupero che comporta lo spandimento di fanghi (pom-

pabili o palabili) sul suolo agricolo presenta pro e contro.

2 Per il compostaggio la norma di riferimento è sempre il D.Lgs. 99/92 oltre al D.Lgs. 217 del 29/04/2006 – revisione della disciplina in materia di fertilizzanti – che disciplina le caratteristiche che il prodotto finito deve avere.

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Vantaggi Svantaggi

• miglioramento della tessitura del suolo

• apporto di elementi nutritivi o co-munque agronomicamente utili

• risoluzione della problematica dello smaltimento dei fanghi che comun-que dovrebbe seguire vie alternative

• odori da fermentazioni anaerobiche (rischio sanitario)

• presenza di sostanze organiche in-desiderate (rischio biologico)

• presenza di sostanze inorganiche indesiderate (rischio chimico)

• deriva incontrollata (ruscellamenti, percolazione)

• produzione di aerosol, che diventa mezzo di propagazione di odori e colonie batteriche (rischio sanitario)

I vantaggi legati all’impiego dei fanghi in agricoltura derivano dalle loro pro-prietàfertilizzantisia per la presenza di elementi nutritivi utili allo sviluppo del-le piante, come azoto, fosforo, potassio e microelementi; sia per il contenutodisostanzaorganica, che contribuisce al mantenimento delle proprietà fisiche del terreno.

Le problematiche connesse a tale pra-tica risiedono, tuttavia, nel contenuto di metalli pesanti, di microrganismi patogeni e di composti organici nocivi presenti nei fanghi, che possono rap-presentare un rischio per l’ambiente e la salute della popolazione.

L’apporto di sostanza organica al suolo è fondamentale per scongiura-re il processo di desertificazione del suolo a cui la nostra regione, insieme a Sicilia, Sardegna, Calabria e Basilicata, è particolarmente soggetta e vulne-rabile.

La desertificazione è, infatti, quel processo per cui il suolo subisce un fenomeno di degrado progressivo dovuto alla mancanza di vegetazione ed alla perdita di sostanza organica, per la concomitanza di più fattori, quali l’erosione, la contaminazione locale o diffusa, l’impermeabilizzazione, la compattazione, il calo della biodiversità, la salinizzazione, le alluvioni e gli smottamenti. Combinati, tutti questi fattori possono alla fine determinare condizioni climatiche aride o subaride che possono portare irreversibilmen-te alla desertificazione. Sulla base di vari studi condotti in Regione Puglia

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ed in collaborazione con il Comitato Nazionale per la Lotta alla Siccità ed alla Desertificazione, è stata redatta la carta dell’indice delle aree sensibili alla desertificazione (ESAI) ed è emerso una situazione di evidente criticità, allargata all’intero territorio regionale. Infatti, fatta eccezione per lo sperone garganico, dal settore dell’alto Tavoliere a quello del basso Salento la Puglia mostra un elevato indice di sensibilità ambientale alla desertificazione.

Risulta altresì fondamentale assicurare un adeguato apporto di sostanza organica al suolo, laddove sono in atto processi di impoverimento della stes-sa, attraverso ogni strumento a disposizione, tra cui rilevante diventa anche lo spandimento di fanghi.

Il destino dei fanghi nel suolo dipende comunque da numerosi fattori, quali, ad esempio, la natura del suolo, la topografia, il clima, le caratteristiche chimiche ed i componenti del fango, la vegetazione e, soprattutto, la gestio-ne del suolo. Le pratiche agronomiche di gestione, irrigazione, drenaggio, selezione colturale e fertilizzazione influenzano notevolmente i fenomeni di adsorbimento, precipitazione, degradazione microbica e assorbimento da parte delle colture. Processi fisici e chimici quali dissoluzione, ossidazione, riduzione, precipitazione, volatilizzazione, complessazione e mobilità in-fluenzano fortemente la velocità e l’intensità della degradazione dei fanghi applicati al suolo. Ad esempio, la velocità di mineralizzazione e nitrificazione dell’azoto (N) organico è direttamente legata alla popolazione microbica del suolo, all’umidità e alla pressione parziale di ossigeno. Al contrario, condi-zioni riducenti del suolo determinano la trasformazione di azoto in N2, con perdite del nutriente verso l’atmosfera.

2.3. Gli impatti e la situazione in PugliaLaddove lo spandimento su suolo agricolo dei fanghi avvenga senza

rispettare i requisiti e i vincoli imposti dalla normativa, gli impatti legati allo sversamento incontrollato dei fanghi sono correlabili alla presenza di:- metalli pesanti in dosi eccessive- grassi, oli animali e vegetali- oli minerali- tensioattivi- solventi organo-clorurati

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- solventi aromatici- pesticidi organici clorurati- pesticidi fosforati.

In Puglia la produzione di fanghi derivanti da processi di depurazione delle acque reflue civili, identificati come rifiuto con codici CER 19.08.04 e 19.08.05, registrata nel 2009, si aggira intorno a 160.000 tonn/anno, con una tendenza in aumento rispetto alle 112.000 ton/anno del 2005 ed alle 134.000 del 2007. Tale tendenza trova giustificazione nell’adeguamento e potenzia-mento dei presidi depurativi, ai fini del conseguimento di limiti più restrittivi previsti dalla normativa di settore, la cui conseguenza è data da un maggiore quantitativo di sostanza che viene trattenuta e rimossa dal ciclo depurativo.

Rispetto alla produzione totale dei fanghi, dai dati messi a disposizione da AQP risulta che oltre il 60% viene utilizzato in agricoltura, il 33% circa recuperato in impianti di compostaggio e il restante 7% finisce in discarica.

Quantità di fanghi di depurazione utilizzati in agricoltura (intonnellates.s.)

Provincia 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009BA 39.420,11 21.749,31 16.062,52 8.873,55 4.109,90 3.539,78 1.387,62 13,81 0,00 42,88BR n.d. 1.906,50 1.421,70 1.446,25 1.286,53 1.217,70 1.664,98 1.586,51 1.192,29 2.923,17Fg 5.105,21 50.000,00 35.000,00 37.500,00 23.395,97 8.843,28 8.139,02 5.586,20 4.419,80 5.215,60LE 13.056,00 12.456,00 13.451,00 8.186,38 5.556,00 10.767,00 6.764,00 9.172,80 11.619,00 11.238,74TA n.d. 3.995,56 3.797,46 3.408,87 1.600,66 2.480,18 3.002,75 2.851,45 n.d. 4.522,57

Totale 57.581,31 90.107,37 69.732,68 59.415,05 35.949,06 26.847,94 20.958,37 19.210,77 17.231,09 23.942,96

Fonte dati: Relazione sullo Stato dell’Ambiente della Puglia, 2009.n.d.: dato non disponibile

Come si osserva dai dati restituiti nella tabella sopra riportata, le quanti-tà di fanghi smaltite per provincia nel periodo 2000-2009 sono molto variabili da provincia a provincia e, nell’ambito della stessa, danno evidenza di una ge-nerale riduzione nel tempo fino al 2007 fino a mostrare un cambio di tendenza nel 2009, in cui si registra un generale incremento.

Anche in termini di composizione dei fanghi si evidenzia qualche di-scordanza da provincia a provincia. In ogni caso sono ampiamente rispettati i limiti imposti dalla normativa sia in termini di concentrazioni massime di metalli pesanti sia in relazione ai contenuti minimi di elementi nutritivi.

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Vale segnalare, a tale proposito, che a partire dalla fine del 2008 la so-cietà Pura Depurazione, facente parte del gruppo Acquedotto Pugliese, si oc-cupa della gestione unica degli impianti di depurazione delle acque reflue civili presenti in tutto il territorio regionale e, conseguentemente, anche della gestione dei fanghi prodotti. La Società ha affidato con modalità che variano da provincia a provincia la sola attività di conferimento al sito di smaltimento finale (terreni agricoli) riservandosi tutte le attività di individuazione sul ter-ritorio dei terreni e la elaborazione e predisposizione di tutti gli atti tecnico-amministrativi per il riutilizzo agronomico, ad iniziare dalla richiesta di auto-rizzazione alla provincia competente fino al riutilizzo.

In provincia di Foggia, l’utilizzazione in agricoltura dei fanghi nel 2009 è avvenuta individuando molteplici piccoli imprenditori. In provincia di Lecce, l’intera attività di trasporto ed individuazione dei siti di riutilizzo e/o smaltimento è assicurata dallo stesso soggetto imprenditoriale. In provincia di Bari, operano due imprenditori cui è affidato il solo trasporto dei fanghi presso i siti di smaltimento (discarica) e riutilizzo (compostaggio), la cui in-dividuazione e contrattualizzazione è rimasta in capo a Pura. Infine, nelle province di Brindisi e Taranto, opera un unico soggetto imprenditoriale che assicura l’individuazione dei terreni per lo spandimento dei fanghi, si occupa di tutte le autorizzazioni necessarie e cura, altresì, il trasporto dei fanghi su terreni agricoli o presso i centri di compostaggio individuati da Pura per quei quantitativi di fango che non possono essere allocati in agricoltura.

Per quanto la gestione dei fanghi in Puglia avvenga in maniera più con-trollata allo scopo di superare situazioni di criticità che nel passato hanno riguardato più o meno sensibilmente l’intero territorio regionale (fenomeni di spandimento illecito dei fanghi), permangono elementi di criticità dovuti alla presenza di oli minerali nei fanghi, requisito di qualità non richiesto per legge. Per superare la problematica dovuta allo sversamento di oli in pubblica fognatura, bisognerebbe intervenire alla fonte ponendo l’attenzione a tutto il sistema di commercializzazione ed uso dello stesso, dalla vendita al dettaglio fino alle officine ed alle stazioni di servizio che dovrebbero essere dotate di disoleatore prima dello scarico in pubblica fognatura e, nei casi di assenza di tali impianti, bisognerebbe effettuare controlli sui registri di carico e scarico del materiale oleoso. In ogni caso lo scarico di oli in pubblica fognatura non dovrebbe essere consentito nei casi in cui questa sia convogliata in impianti

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di depurazione di soli reflui civili, soprattutto quando vi sia certezza che tale scarico possa comportare una preclusione all’uso agricolo dei fanghi.

Un ulteriore elemento ctitico è rappresentato dall’assenza di un sistema informatizzato che permetta di evitare effetti nel terreno non chiaramente de-terminabili derivanti da spandimenti protratti negli anni, pur nei limiti imposti dalla legge. Emerge, infatti, la necessità di regolare nel tempo l’utilizzazione dei terreni, così come avviene per esempio in Emilia Romagna, dove è previ-sto un periodo di riposo di due anni a valle di uno spandimento protratto per tre anni.

3. Indirizzi per la pianificazione e prospettive future

3.1. Il Tavolo Tecnico regionaleAl fine di gestire al meglio la problematica dei fanghi e di superare le

criticità emerse, soprattutto con l’intento di incrementare le quantità da de-stinare a recupero e di ridurre al minimo il ricorso allo smaltimento in disca-rica, l’Ufficio regionale Tutela delle Acque nel 2008 ha affidato al gruppo di lavoro multidisciplinare costituito da ARPA Puglia, Politecnico di Bari, CNR IRSA e Università di Bari uno Studio di Fattibilità, avente come oggetto la “Redazionedelpianodiemergenzastraordinariodellagestionedei fanghiderivantidalladepurazionedeirefluiurbani,nonchédefinizionedellelineeguidaperl’individuazionedellemiglioristrategiedigestioneordinariadelciclodepurativoaifinidiuncorrettoriutilizzoesmaltimentodelprodottofanghi”.

Lo studio è stato finanziato con fondi CIPE, attraverso l’Accordo di Programma Quadro Regione Puglia e ARPA Puglia, approvato con DGR n° 1073 del 04/07/2008. Gli uffici della Regione Puglia coinvolti sono sta-ti: Assessorato alle OO.LL.PP. – Settore Tutela delle Acque e Assessorato all’Ecologia – Settore Gestione Rifiuti e Bonifiche.

A valle di tale accordo sono state stipulate le convenzioni con i seguenti partner consulenti e costituenti il Tavolo Tecnico (TT):- I.R.S.A. – C.N.R.- Dipartimento di Ingegneria delle Acque e di Chimica (D.I.A.C.) –

Politecnico di Bari

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- Dipartimento di Biologia e Chimica Agro-Forestale ed Ambientale (Di.B.C.A.) – Università degli Studi di Bari

- AQP S.p.A., in quanto soggetto gestore degli impianti di depurazione.Lo studio di fattibilità si poneva il principale obiettivo di redigere un

piano straordinario di emergenza per la gestione dei fanghi di depurazione nell’assetto attuale degli impianti, nonché di fissare le basi per la pianifica-zione ordinaria attraverso la programmazione degli interventi da attuare su-gli impianti di depurazione al fine di aumentarne l’efficienza, migliorando la qualità del fango prodotto e riducendone le quantità da smaltire. Tale studio si è reso necessario in seguito alle crescenti difficoltà nel trovare forme di smaltimento economiche, ambientalmente accettabili ed alternative all’uso agricolo dei fanghi, nelle situazioni in cui le caratteristiche qualitative degli stessi non consentissero tale forma di recupero.

Ulteriore compito del TT è stato di valutare l’impatto di eventuali modi-fiche della normativa vigente regionale sull’uso dei fanghi in agricoltura, te-nendo conto sia dell’esigenza primaria di garantire la protezione dell’ambien-te e della salute, sia della necessità di non appesantire troppo le procedure.

Il progetto si è articolato nelle seguenti fasi:A. Attività di raccolta, integrazione, analisi e valutazione dei dati di-sponibiliB. Attività finalizzate alla predisposizione di un piano di emergenza straordinarioC. Identificazione delle linee guida di pianificazione ordinariaNell’ambito della Fase A: Attività di raccolta, integrazione, analisi e

valutazione dei dati disponibili, sono stati acquisiti da AQP:- dati relativi alla consistenza degli impianti;- dati consuntivi della produzione dei fanghi nel 2007, disaggregati per

impianto e con l’indicazione della forma di smaltimento finale;- dati di esercizio degli impianti, con l’indicazione degli Abitanti

Equivalenti (AE) e delle caratteristiche dell’influente e dell’effluente.Non essendo disponibili dati storici relativi alle caratteristiche analiti-

che dei fanghi prodotti e non essendo possibile procedere ad una campagna di monitoraggio della qualità del fango estesa a tutti gli impianti pugliesi, si è proceduto a predisporre un piano mirato di campionamento, individuando 12 impianti, che per tipologia di refluo trattato e per potenzialità produttiva

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potessero essere rappresentativi di tutti gli impianti gestiti da AQP.La Fase B: Attività finalizzate alla predisposizione di un piano di

emergenza straordinario è consistita in:a. acquisizione di dati sperimentali, relativi alla composizione dei fanghi

prodotti dai 12 impianti individuati;b. valutazione della disponibilità teorica di suoli da destinare all’uso agri-

colo dei fanghi;c. valutazione della produzione di fanghi e loro classificazione.

I dati analizzati hanno evidenziato alcune criticità gestionali che com-portano una ridotta produzione di fanghi rispetto ai valori che ci si sarebbe aspettati considerando il carico degli impianti e l’efficienza di depurazione prevista, oltre a caratteristiche qualitative degli stessi non conformi al loro utilizzo in agricoltura. I fanghi non risultavano idonei all’utilizzo agricolo per una serie di motivi, tra cui principalmente: concentrazione di solidi volatili, prestazioni insufficienti della stabilizzazione biologica che comporta la pre-senza di patogeni e il conseguente sviluppo di cattivi odori, elevata concentra-zione media di azoto totale (per effetto delle notevoli quantità di diverse for-me chimiche di azoto riversate su suoli agricoli che tendono inevitabilmente a produrre fenomeni di inquinamento delle acque sotterranee), assenza di una valutazione della disponibilità dei suoli a ricevere fanghi di depurazione.

Con particolare riferimento a quest’ultimo aspetto, il TT ha valutato per ogni provincia la disponibilità di suoli aventi caratteristiche idonee per lo spandimento dei fanghi. L’individuazione delle aree potenzialmente disponi-bili per il riutilizzo agricolo dei fanghi di depurazione ha richiesto l’impiego di numerose banche dati georeferenziate, gestite con un apposito software. L’analisi è stata condotta considerando tutti i divieti all’utilizzo dei fanghi im-posti dalle normative vigenti, tra cui i tematismi derivanti dalle aree perime-trate ai sensi del Piano per l’Assetto Idrogeologico, delle aree a vincolo idro-geologico PUTT, delle zone di protezione idrogeologica definite nel Piano di Tutela delle Acque. Si è lavorato su una base cartografica dove sono state prese in considerazione le destinazioni d’uso del suolo da Corine Land Cover, da cui sono state escluse le aree non agricole e, per le aree agricole, sono state analizzate le caratteristiche pedologiche dei suoli pugliesi incrociandole con una valutazione della richiesta di nutrienti delle singole colture.

In questa maniera sono state ottenute una serie di carte tematiche con

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riguardo alle tipologie d’uso del suolo, allo spessore di suolo e, conseguen-temente, alle quantità di fango applicabili su tutto il territorio regionale. Tale valutazione ha dimostrato che i suoli pugliesi sono ampiamente sufficienti a garantire l’utilizzazione agricola di tutti i fanghi potenzialmente conformi alla disciplina nazionale e regionale.

Appare chiaro che perché quanto ottenuto teoricamente abbia un ri-scontro pienamente operativo, risulta necessario acquisire l’assenso dei pro-prietari dei terreni, che raramente sono favorevoli a questa pratica. Diventa cruciale, pertanto, il ruolo della Regione che dovrebbe promuovere campagne di sensibilizzazione per incoraggiare all’uso agricolo dei fanghi anche me-diante forme di incentivazione. Nello stesso tempo, le Province e le Autorità di Controllo dovrebbero svolgere azioni capillari e periodiche di vigilanza sui fanghi destinati all’uso agricolo, per fornire agli agricoltori le opportune garanzie sull’origine e sulla qualità dei fanghi.

Fonte dati: Tavolo Tecnico regionale Studio di Fattibilità sui fanghi, 2009.

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Infine, nella Fase C: Identificazione delle linee guida di pianificazio-ne ordinaria sono state individuate le strategie di gestione ordinaria del ciclo depurativo, ai fini del corretto utilizzo e smaltimento dei fanghi prodotti. Tali strategie devono essere principalmente orientate a privilegiare la prevenzione e il recupero rispetto allo smaltimento, nell’ottica di garantire il rispetto della gerarchia dettata dalla nuova direttiva europea sui rifiuti Dir. 2008/98/CE.

I criteri metodologici generali della pianificazione ordinaria prevedono:- interventi di prevenzione sulla linea acque (minimizzazione della pro-

duzione dei fanghi);- interventi di prevenzione sulla linea fanghi (diminuzione della produ-

zione e miglioramento della “qualità”);- uso diretto in agricoltura (uso diretto di fanghi idonei stabilizzati e disi-

dratati);- impulso del compostaggio verde (fanghi in esubero rispetto alla dispo-

nibilità di suoli per un uso agronomico diretto, ma meno stabilizzati, previa verifica del rispetto di concentrazioni più restrittive per i metalli pesanti);

- digestione anaerobica in impianti di depurazione centralizzati (ai fini della massimizzazione della produzione di energia elettrica dal biogas);

- digestione anaerobica in impianti esterni (dedicati al trattamento del-la frazione organica derivante dai trattamenti meccanico-biologici di produzione del CDR dal rifiuto urbano indifferenziato, dove il fango potrebbe essere accettato senza un preliminare trattamento di essicca-zione);

- previsione di impianti centralizzati di trattamento termico (realizzazio-ne di due impianti a livello regionale dedicati al trattamento termico di fanghi non idonei all’uso agricolo);

- recupero di materia ed energia in cementifici, centrali a carbone, centra-li di produzione di energia da biomasse (per i fanghi non idonei all’uso agricolo, previo essiccamento termico);

- trattamenti avanzati e trattamenti tradizionali per l’uso agricolo. Infatti, ai fini della buona pratica agricola sarebbe opportuno non utilizzare di-rettamente fango dopo un trattamento anaerobico a causa della possibi-le presenza di metaboliti aventi effetto fitotossico. È opportuno, quindi, che il fango subisca un trattamento aerobico di finitura prima della sua

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utilizzazione. È necessario anche incentivare la produzione di ammen-dante compostato misto, in quanto il processo di compostaggio aerobi-co assicura un livello migliore di igienizzazione ed un minor impatto olfattivo e costituisce un valido polmone per la produzione di fango nei periodi in cui non può essere immediatamente utilizzato in agricoltura. L’uso di compost sui suoli agricoli pugliesi potrebbe essere incentivato mediante misure economiche a favore degli agricoltori.

Il piano di emergenza straordinario e ordinario per la gestione dei fan-ghi di depurazione delle acque reflue urbane, una volta sviluppato nelle sue linee definitive e approvato, costituirà uno strumento attuativo del Piano re-gionale di gestione dei Rifiuti Speciali, recentemente approvato con D.G.R. 28 dicembre 2009 n. 2668 (BURP n. 16/2010).

4. Conclusioni

Attualmente la direttiva comunitaria che risale al 1986 è in fase di re-visione. Nel Documento ENV.E.3/LM della Commissione Europea del 27 aprile 2000 vengono introdotti numerosi nuovi aspetti, tra cui quelli più ri-levanti riguardano i trattamenti previsti sui fanghi (distinti in convenzionali ed avanzati) da attuare prima dell’utilizzazione in funzione della tipologia di coltura cui sono destinati e della tipologia di applicazione prevista. Il docu-mento prevede limiti più severi per le concentrazioni di metalli pesanti nei fanghi e nel suolo, limiti di concentrazione nei fanghi anche in riferimen-to ad alcune classi di microinquinanti organici (composti organici alogenati (AOX), Alchilbenzeni solfonati lineari (LAS), IPA, PCB, diossine e furani) e adozione di processi spinti di disinfezione. Nel complesso, il documento pone un particolare risalto sugli aspetti igienico-sanitari dell’utilizzazione agricola, prescrivendo trattamenti di igienizzazione particolarmente impegnativi, e sul-la presenza di microinquinanti organici, sui quali esiste una ricca letteratura internazionale relativamente alla presenza nei fanghi di depurazione.

Altre regioni hanno provveduto a disciplinare il riutilizzo agronomico dei fanghi mediante direttive o circolari. Generalmente è stato adottato un ap-proccio più restrittivo e più articolato di quello prescritto a livello nazionale,

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Utilizzodeifanghididepurazioneinagricoltura 67

sia dal punto di vista prettamente tecnico che dal punto di vista ambientale. Per esempio, considerando la presenza di microinquinanti organici nei fan-ghi, si sta effettuando una valutazione sulla loro rilevanza nei suoli nell’eve-nutalità di inserire valori limite. Inoltre, alcune Regioni stanno lavorando alla progettazione di una rete di punti di campionamento finalizzata a costituire un inventario dei livelli di fondo naturale-antropico delle molecole organiche, dal momento che la loro presenza può essere dovuta ad altre fonti di inquina-mento di tipo puntuale o diffuso.

Anche in Puglia, attualmente la norma regionale per lo spandimento dei fanghi in agricoltura è in fase di revisione in quanto è emerso che i parametri da monitorare previsti si sono rivelati insufficienti a valutare le reali caratte-ristiche del fango e, quindi, la presenza di sostanze pericolose eventualmente contenute in esso. La nuova norma si porrà anche l’obiettivo di assicurare l’integrazione con gli altri strumenti di pianificazione regionale esistenti, come il Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico (PAI), il Piano Paesistico Territoriale Regionale (PPTR), il Programma di azione per le zone vulnerabili da nitrati, nonché la normativa vigente sui rifiuti recentemente aggiornata.

BibliografiaARPA Puglia (2010) Relazione sullo Stato dell’Ambiente 2009 Regione Puglia,

Cap. “4.2 Siti contaminati”, pagg 182-199, www.arpa.puglia.it.ARPA Puglia, CNR – Istituto di Ricerca Sulle Acque (IRSA), Dipartimento di

Ingegneria delle Acque e di Chimica (D.I.A.C.) - Politecnico di Bari (Poli.Ba), Dipartimento di Biologia e Chimica Agro-Forestale ed Ambientale (Di.B.C.A.) - Università degli Studi di Bari, AQP S.p.A. (2009) Studio di Fattibilità “Redazione del piano di emergenza straordinario della gestione dei fanghi derivanti dalla de-purazione dei reflui urbani, nonché alla definizione delle linee guida per l’indivi-duazione delle migliori strategie di gestione ordinaria del ciclodepurativo ai fini di un corretto riutilizzo e smaltimento del prodotto fanghi”.

Commissione Europea (2000) “Working document on sludge. 3rd draft”, ENV.E.3/LM, 27 April, 2000.

Direttiva 2008/98/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008 relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive.

D.Lgs. 152/2006 (e ss. mm. e ii.) Norme in materia ambientale.D.Lgs. 99/1992 Attuazione della Direttiva 86/278/CEE, concernente la protezione

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dell’ambiente, in particolare del suolo, nell’utilizzazione dei fanghi di depura-zione in agricoltura.

L.R. 19/1995 Esercizio delle funzioni amministrative in materia di utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura attraverso le Amministrazioni provinciali.

Regione Puglia (2010) Aggiornamento del Piano di Gestione dei rifiuti speciali nella Regione Puglia, BURP n.16 del 26.01.2010.

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Tutela dell’ambiente ed esigenze dell’agricoltura

soMMario: 1.Rapportotraambienteedagricoltura.Generalità;2.Dirittiedobblighiconnessiall’eser-ciziodelleattivitàagricoleetutelaambientale;3.Ilriutilizzodelleacquecomestrumentoefficacedituteladell’ambienteesviluppodell’agricoltura;4.Leproblematicheconnesseallosversamentodeifanghiinagricoltura.

1. Rapporto tra ambiente ed agricoltura. Generalità

Il rapporto tra ambiente ed agricoltura può considerarsi osmotico, atte-so il nesso di causa-effetto tra attività agricole ed ambiente naturale. È neces-sario partire dall’analisi del significato del concetto di “ambiente” nel nostro ordinamento giuridico. Trattasi di nozione alquanto controversa, in quanto trasversale, ma generica.

La prima definizione di ambiente è stata formata, come si vedrà in segui-to, a livello comunitario. Nel diritto interno, invece, non vi è alcuna definizione di ambiente nella Costituzione, mentre è prevista la “tutela del paesaggio e del patrimonio storico ed artistico della Nazione” (art. 9), oltre che la tutela della salute (art. 32 Cost.)1. Ciò in virtù della scarsa conoscenza delle tematiche am-bientali all’epoca di entrata in vigore della Costituzione, unitamente alla quasi assente sensibilità sociale sul tema2. Nella Costituzione, d’altro canto, ampio spazio era attribuito alle esigenze della promozione e del sostenimento dello sviluppo agricolo, in termini di miglioramento produttivo3.

Tali norme sono state successivamente interpretate dalla Corte Costitu-

1 Soltanto una lettura costituzionalmente orientata, posta in essere alcuni anni dopo l’emanazione della Costituzione, ha consentito di leggere unitariamente le previsioni dell’art. 9 e dell’art. 32 Cost., nel senso che la protezione del paesaggio e dell’ambiente sono funzionali alla tutela della salute dell’uomo: coMPorTi, Tuteladell’ambienteetuteladellasalute, in Riv.giur.amb., 1990, 191 ss.2 Cfr. corDini, Principicostituzionaliintemadiambienteegiurisprudenzadellacortecostituzionaleitaliana, in Riv.giur.amb., 2009, 611 ss.3 L’art. 44 Cost. indica, infatti, lo scopo di “conseguire il razionale sfruttamento del suolo”, si promuove la bonifica delle terre, la trasformazione del latifondo, la ricostituzione delle unità produttive, mentre alcun riferimento è fatto a temi come la sostenibilità ambientale o la tutela delle risorse naturali.

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zionale, che, con sentenza n. 614/19874, ha ritenuto che “nelnostroordina-mentogiuridicolaprotezionedell’ambienteèimpostadaprecetticostituzio-naliedassurgeavaloreprimarioedassoluto”.

Il quadro normativo costituzionale considerato è stato “arricchito” dalla riforma del Titolo V della Costituzione, avvenuta ad opera della legge Cost. 18 ottobre 2001, n. 3, che ha inserito per la prima volta il termine “ambiente” nella Costituzione e, intervenendo sugli artt. 117 e 118 Cost., ha attribuito alla potestà legislativa dello Stato la “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” ed alla legislazione concorrente Stato-Regioni la materia della “valorizzazione dei beni culturali ed ambientali”. Sul punto, tuttavia, nell’in-certezza delimitazione tra ambiti di intervento (e non tra materie), la Corte Costituzionale è intervenuta numerose volte, affermando che:- nel settore della tutela ambientale, la competenza esclusiva dello Stato

non è incompatibile con interventi specifici del legislatore regionale che si attengano alle proprie competenze5;

- la tutela dell’ambiente non può essere considerata come materia riser-vata alla rigorosa competenza statale, in quanto investe altre competen-ze che possono essere regionali, dimodoché spetta allo Stato di fissare standard di tutela uniformi sul territorio nazionale e alle Regioni di in-tervenire in concreto, anche con discipline maggiormente rigorose di quelle poste a livello centrale6.Le dissertazioni sinora compiute sulla rilevanza costituzionale dell’am-

biente non risolvono la spinosa questione della definizione del bene giuridico “ambiente” e della nozione di “paesaggio”. Quest’ultima fu accostata alla nozione di “bellezze naturali” da una legge del 19227, mentre fu successiva-mente specificata dalla l. 29.6.1939, n. 1497, orientata alla tutela delle bellez-ze naturali, che tuttavia non conteneva il termine “ambiente”, né quello “pa-esaggio”, ma prevedeva la sua protezione attraverso la tutela di alcuni beni

4 Corte Cost., 30 dicembre 1987, n. 614, in Giur.cost., 1987, 3788.5 Corte cost., 22 luglio 2004, n. 259, in Giur.cost., 2004, 4, che esprime il principio dell’ambiente come “valore trasversale”.6 Corte cost., 18 marzo 2005, n. 108, in Giur.cost., 2005, 27 Trattasi della legge n. 778/1922, che introdusse per la prima volta una protezione generale del pae-saggio, successiva ad una legge del 1905, dedicata alla protezione della pineta di Ravenna. Tuttavia, secondo la dottrina, la nozione di “bellezze naturali” sarebbe alquanto restrittiva rispetto a quella di pa-esaggio: PreDieri, Urbanistica,tuteladelpaesaggio,espropriazione, Milano 1969, 55; sanTini, Rifles-sionisullatuteladelpaesaggiotraesigenzeunitarieedautonomielocali, in Riv.giur.urb., 1991, 433.

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(ville, giardini, parchi), oltre che la tutela di complessi di immobili e bellezze naturali costituenti “bellezze d’insieme”, da proteggere al fine di assicurarne la funzione essenzialmente estetica e visiva8.

Per la corretta interpretazione della nozione di paesaggio, solo il 20 ot-tobre 2000 a Firenze è stata approvata una Convenzione europea, applicabile agli spazi naturali, rurali, urbani e periurbani, che supera la visione puramente estetica e contemplativa del concetto di paesaggio, per riconoscerne il valore giuridico di “componente essenziale del contesto di vita delle popolazioni, espressione della diversità del loro comune patrimonio culturale e naturale e fondamento delle loro identità”.

Successivamente, al fine di integrare il concetto di paesaggio, per ri-comprendervi oltre che funzioni di fruibilità visiva, anche la preservazione degli equilibri ecologici, la Corte Costituzionale specificava che la nozione di paesaggio dell’art. 9 indica un valore storico-estetico che si raccorda con il patrimonio storico-culturale del 2° co. del medesimo articolo e che, in ogni caso, per tutela del paesaggio deve intendersi, altresì, la tutela ecologica9.

La nozione di “bene ambientale” nasce, invece, in Italia con il d.l. n. 657/74, conv. in l. 29.1.1975, n. 5, è ripresa dal d.l. n. 312/85, convertito in l. n. 431/85 (l. Galasso) e rimarcata dal d.lgs. n. 490/1999 (t.u. beni culturali ed ambientali). In tutti i provvedimenti normativi citati, tuttavia, non si faceva riferimento al concetto di “ambiente” in sé considerato, bensì alle sue com-ponenti (cose immobili che hanno un cospicuo carattere di bellezza naturale, ville, giardini e parchi dalla non comune bellezza, bellezze panoramiche, ter-ritori costieri fino a 300 m dalla linea di battigia, fiumi, torrenti e corsi d’ac-qua e fasce entro 150 m dalle sponde o dagli argini, ghiacciai, montagne oltre 1600 metri, boschi e foreste, vulcani, zone di interesse archeologico). Nel successivo Codice dei beni culturali e del paesaggio (c.d. Codice Urbani), va-rato con d.lgs. 22.1.2004, n. 42, viene utilizzato un nuovo termine, quello di “bene paesaggistico”, così annullandosi decenni di evoluzione e riportando al centro dell’attenzione la mera nozione di valore estetico derivante dall’utiliz-zo del termine paesaggio. Il Codice Urbani definisce il paesaggio quale “parte

8 Il regolamento di esecuzione della l. n. 1497/1939 è contenuto dal R.D. 3 giugno 1940, n. 1357. Sulla nozione di “paesaggio”, cfr. Merusi, commentoall’art.9dellacostituzione, in commentariodellacostituzione, a cura di branca, Roma-Bologna 1975, 446.9 Corte cost., 29 dicembre 1982, n. 239, in Foroamm., 1983, II, 103; Corte Cost., 11 luglio 1989, n. 391, in Giur.it., 1990, I, 1, 338.

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omogenea di territorio i cui caratteri derivano dalla natura, dalla storia umana e dalle reciproche interrelazioni”. La salvaguardia di tali valori è affidata alla tutela di aree e immobili ubicati nelle aree vincolate dai piani paesaggistici.

2. Diritti ed obblighi connessi all’esercizio delle attività agricole e tutela ambientale

Nel quadro descritto del Codice Urbani, le attività agricole, boschive e pastorali costituiscono un’eccezione, nel senso che sono consentite anche nelle zone vincolate, a condizione che non nuocciano all’ecosistema in modo permanente. La giurisprudenza al riguardo ha precisato che l’alterazione ac-quista carattere permanente qualora sia di tale durata da comportare per un lungo periodo di tempo o per sempre l’impossibilità della ricostituzione del patrimonio naturale (è sufficiente al riguardo il compimento di qualsiasi ope-ra, anche l’aratura o l’estirpazione di piante10). È pertanto necessario, in caso di compimento di opere, chiedere ed ottenere l’autorizzazione paesaggistica.

Si pone, al riguardo, un problema di individuazione del concetto di “normalità” delle opere agricole in caso di presenza di particolari aspetti del paesaggio agrario, come quello costituito dagli ulivi secolari, che non possono essere eliminati. Quanto al taglio degli alberi, esso è consentito se ha le carat-teristiche del taglio “colturale”, che deve essere “periodico, non indiscrimi-nato, effettuato secondo le prescrizioni di massima della polizia forestale”11.

Torniamo ad esaminare la nozione giuridica di ambiente, che appare alquanto più complessa di quelle sinora delineate.

La Corte costituzionale ha affermato al riguardo che essa comprende “laconservazione,larazionalegestioneedilmiglioramentodellecondizioninaturali,l’esistenzaelapreservazionedeipatrimonigeneticiterrestrioma-rini,dituttelespecieanimaliovegetalicheinessovivonoallostatonaturaleedindefinitivalapersonaumanaintuttelesueestrinsecazioni”, precisando

10 Cass. Pen., 18 giugno 1997, n. 5961, in Riv.pen., 1997, 821. La massima della sentenza era così for-mulata: “Talealterazioneacquistailcaratteredipermanenzaqualoraessasiaditaledurata,dacom-portareperunlungoperiododitempol’impossibilitàdiunaricostituzionedelpatrimonionaturale.nèèindispensabilecheilmutamentoderividastruttureedilizie,essendosufficientequalsiasioperacivileintendendosipertaleanchel’araturaol’estirpazionedipianteovegetazione”.11 Pret. Pen. Avezzano, 21 settembre 1993, in Giur.merito, 1995, 351.

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inoltre che “l’ambienteèunbeneimmaterialeunitario,ancheseformatodavariecomponenti,ciascunadellequalipuòcostituire,isolatamenteesepara-tamente,oggettodicuraetutela”12.

La Cassazione, sezioni civile e penale, invece, ha sposato una nozione più antropocentrica dell’ambiente, che vede al centro dell’attenzione le risor-se naturali “perchélaloroconservazioneèritenutafondamentaleperilpienosviluppodellapersona”13.

In dottrina, la teoria maggiormente seguita sino alle novità normative delle quali si tratterà di seguito, era quella di Giannini, che aveva elaborato una teoria tripartita, secondo la quale “l’ambientesiriferisceatregruppidiistitutigiuridicidistinti:quelliconcernentilatuteladellebellezzepaesaggi-stiche,quindiun’attivitàculturale;quelliconcernenti laqualitàdellavita,quindilalottacontrogliinquinamentieperciòun’attivitàsanitaria;quelliconcernentiilgovernodelterritorioinquantosianodapreservarecertitrattiecologiciequindiun’attivitàurbanistica”.

Una definizione comunitaria di ambiente la si riscontra nel preambolo della Carta europea e nell’art. 3 della dir. CEE 85/337 del 27.6.2005, che considerava l’ambiente come un “sistema biologico complesso interrelato di risorse naturali ed umane, comprensivo, oltre che degli elementi dell’eco-sistema, anche dei beni materiali e del patrimonio culturale, nonché delle componenti socio-economiche provocate dall’interazione tra attività antropi-che ed ambiente naturale”. Tale definizione è quella che più appare idonea a ricomprendere anche il concetto di paesaggio e, quindi, assicura la tutela del binomio agricoltura-ambiente.

È evidente, infatti, che il paesaggio agrario è espressione della forma di occupazione del suolo e della cultura ad esso collegata, rinvenibile anche in interventi di conservazione che ivi si manifestano, ma è anche ancorato al concetto di ambientalità poiché la sua difesa aumenta l’equilibrio biologico-ambientale.

La relazione agricoltura-ambiente si ripercuote, con tutta evidenza, sul

12 Corte Cost., 28 maggio 1987, n. 210, inForoit., 1988, I, 329; Corte Cost., 30 dicembre 1987, n. 641, cit., 3788, che, tra gli altri, esprime il principio della connessione tra tutela dell’ambiente e protezione della salute umana: PreDieri, voce Paesaggio, in Enc.Dir., Milano, 1981, 503 ss.; caPaccioLi, DaL Piaz, voce Ambiente(tuteladell’), Partegeneraleedirittoamministrativo, in novissimoDig.It., Appendice, Torino 1980, I, 257 ss.13 Cass. Pen., 15 giugno/28 ottobre 1993, in www.diritto.it.

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regime normativo da adottare per tutelare l’ambiente dai rifiuti e dagli scari-chi direttamente provenienti dall’attività agricola.

Al riguardo, vi sono alcune direttive comunitarie; per citare quelle più rilevanti, si considerino la direttiva 80/68/CEE del Consiglio del 17.12.1979, sulla protezione delle acque sotterranee dall’inquinamento provocato da certe sostanze pericolose, recepita in Italia dal d.lgs. 11.5.1999, n. 152 sulla tutela delle acque dall’inquinamento (c.d. legge acque, che ha sostituito la l. Merli n. 319/76), la direttiva 86/278/CEE del Consiglio del 12.6.1986, recepita dal d.lgs. n. 99/92, per quanto concerne l’utilizzazione dei fanghi in agricoltu-ra sia per conto proprio che per conto terzi, la direttiva 91/271/CEE del 21 maggio 1991, concernente il trattamento delle acque reflue urbane (modi-ficata dalla direttiva 98/15/CE), la direttiva 91/676/CEE del Consiglio del 13.12.1991, recepita dalla legge acque per quanto concerne il monitoraggio, il D.M. 19.4.1999 sul codice di buona pratica agricola, l’istituzione di Zone vulnerabili all’inquinamento dei nitrati (ZVN – di competenza regionale).

È, pertanto, evidente che la politica dell’Unione europea in materia am-bientale persegua politiche di salvaguardia, tutela e miglioramento della qua-lità ambientale e che l’inquinamento delle risorse idriche rappresenti una mi-naccia per l’ambiente acquatico, per le risorse che derivano dall’agricoltura e per la salute umana. La legislazione europea, quindi, seguita dall’intervento del legislatore italiano, ha inteso affrontare la questione delle emissioni, degli scarichi e della perdita delle sostanze pericolose, al fine di ridurre o eliminare i rischi per l’ambiente e per le acque destinate alla produzione di acqua po-tabile.

3. Il riutilizzo delle acque come strumento efficace di tutela dell’ambiente e sviluppo dell’agricoltura

Un punto di contatto a dir poco fondamentale tra le esigenze di tutela ambientale e quelle di sviluppo dell’agricoltura è rappresentato dalla norma-tiva sul riutilizzo delle acque.

È stato più volte riconosciuto che l’utilizzazione dell’acqua per usi umani deve essere privilegiata rispetto ad altri usi; tale affermazione la si ritrovava nella l. n. 36/1994, che affermava, altresì, che “glialtriusisonoam-

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messiquandolarisorsaèsufficienteeacondizionechenonledanolaqualitàdell’acquaperilconsumoumano”. Il codice ambientale (d.lgs. n. 152/2006), poi, all’art. 2, dispone che l’obiettivo primario del medesimo codice sia quel-lo di promuovere i livelli di qualità della vita umana, attraverso la salvaguar-dia ambientale e l’utilizzazione razionale ed accorta delle risorse naturali. L’art. 144 del Codice, ricalcando la disposizione precedente della l. Galli (l. n. 36/1994), dispone che tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche e costituiscono una risorsa salvaguar-data ed utilizzata secondo criteri di solidarietà14, così comportandosi una sorta di deroga alle previsioni dell’art. 822 c.c., che va letto attualmente nel senso che tutte le acque appartengono al demanio statale. Tale regime “pubblico” delle acque ha formato oggetto, peraltro, di una pronuncia “correttiva”, di ri-getto della questione di costituzionalità da parte della Corte Costituzionale15, che ha ritenuto che la pubblicità delle acque attiene al regime di uso di una risorsa naturale che è divenuta limitata, mentre rimane impregiudicato il re-gime pubblico o privato della proprietà in cui essa è contenuto, così “salvan-do” la costituzionalità delle norme impugnate nei confronti della previsione dell’art. 42, co. 2°, della Costituzione16.

D’altro canto l’acqua è considerabile, altresì, come un bene economico, oltre che giuridico; in tal senso, è compito dell’ordinamento giuridico garan-tire un giusto equilibrio tra le esigenze naturalistiche e conservative dell’am-biente e quelle di utilizzazione delle acque. Tali obiettivi sono stati perseguiti attraverso l’istituzione dei piani di tutela delle acque, con l’obiettivo di tener conto dei fabbisogni idrici, ma anche dei problemi ambientali legati alle ac-que; il sistema istituito dal codice ambientale mira a tutelare l’ambiente, la salute, i corretti utilizzi dell’acqua nei settori rilevanti (agricolo, industriale, ecc.)17, anche attraverso il riutilizzo (cfr. al riguardo art. 99, intitolato “Riu-

14 Si cfr. raMPuLLa, Ilgovernoelagestionedelciclointegratodelleacque, in Riv.giur.amb., 2010, 261 ss.; cazzagon, Leacquepubblichenelcodicedell’ambiente, in Riv.giur.amb., 2007, 435 ss.; PaLazzo-Lo, Ilregimedelleacquepubbliche, in Rass.giur.energiaelettrica, 2000, 289 ss.15 Corte cost., 19 luglio 1996, n. 259, in Riv.Dir.agr., 1999, 3. Sul punto, si legga gerManò, Laproprie-tàdelleacquesecondolal.36/1994inmateriadirisorseidriche, in Dir.agricol., 1997, 29 ss.16 Cfr., altresì, bruno, Aspettiprivatisticidellanuovanormativasulleacque, in Riv.dir.agr., 1999, 11; bruno, Lacortecostituzionaledi fronteallapubblicitàdi tutte leacque, in Rass.giur.energiaelettrica, 1997, 155.17 Sul punto, cfr. Di Dio, Difesaedirittodelleacque,primopassoperlasalvaguardiadegliecosistemi, in Dir.giur.agrariaedell’ambiente, 2007, 275.

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tilizzo dell’acqua”). Nella medesima ottica è rivisto, dal nuovo codice am-bientale, il sistema delle concessioni, che attualmente sono rilasciate se non pregiudicano il raggiungimento degli obiettivi di qualità, è garantito il mini-mo deflusso vitale, non sussistono possibilità di riutilizzo delle acque reflue depurate o provenienti dalla raccolta di acque piovane il riutilizzo non sia conveniente sotto il profilo economico.

Ed è l’ultimo profilo considerato quello, per così dire, più “debole” di tutto il sistema, atteso che, all’attuale stato della tecnica, nella maggior parte dei casi non si procede ad adottare pratiche di riutilizzo proprio in ragione del costo, ancora elevato, delle stesse, per i produttori.

Il Codice ambientale, al riguardo (come modificato dal d.lgs. n. 284/1986 e dal d.lgs. n. 4/2008, nonché dalla l. n. 244/2007), contiene una normativa dettagliata, conferisce un assetto complessivo al regime delle ac-que e impiantistico funzionale e detta disposizioni sulle Autorità, nell’ambito della quale l’attenzione sarà incentrata sulla “linea di confine” che sussiste tra la nozione di “acqua di scarico” e quella di “rifiuto liquido”.

Prima del Codice ambientale la normativa di riferimento era costituita, per le acque, dal d.lgs. n. 152/1999 e, per i rifiuti liquidi, dal c.d. “decreto Ronchi”, il d.lgs. n. 22/1997. Tra i due complessi normativi vigeva una sorta di rapporto genere/specie, nel senso che il decreto Ronchi costituiva la nor-mativa di riferimento per la gestione di tutti i rifiuti, mentre il t.u. acque era la disciplina speciale per le sole acque di scarico, originate dagli insediamen-ti domestici o produttivi e direttamente convogliate in corpi ricettori, senza l’intervento di soggetti terzi. Per esemplificare, se l’acqua reflua proveniente da un insediamento era qualificata come rifiuto liquido, essa doveva essere gestita nell’ambito della filiera dei rifiuti (ossia raccolta e smaltita), mentre se acquistava lo status di acqua di scarico, in deroga alle norme del decreto Ronchi, poteva essere riutilizzata18.

Con l’avvento delle nuove regole, contenute nel Codice ambientale, la disciplina pubblicistica non è mutata, ma è cambiato il criterio di indivi-duazione della natura giuridica del bene coinvolto, che è considerato risorsa ancora utilizzabile o rifiuto a seconda della volontà del produttore. L’attuale art. 74 del Codice ambientale dispone, infatti, che è considerato “scarico”

18 Bruno, commentoallasez.II, Ladisciplinadegliscarichi, in gerManò, basiLe, bruno, benozzo, commentoalcodicedell’ambiente, Torino, 2008, 251.

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“qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collegamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore acque superficiali, sul suolo, nel sottosuo-lo e in rete fognaria indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione”. La nozione di scarico ruota, pertanto, attorno a quella di “immissione diretta” nel corpo ricettore. Gli elementi essenziali perché ci possa essere immissione diretta sono costi-tuiti dalla presenza di una condotta tra il luogo di origine del refluo e il corpo ricettore, la mancanza di una interruzione funzionale, l’irrilevanza del nesso temporale continuo tra l’attività che origina il refluo, la sua produzione, la sua conduzione e lo scarico nel corpo ricettore. Anche la giurisprudenza19 ha confermato tale impostazione legislativa, individuando il criterio di discri-mine tra acqua reflua, riutilizzabile, e rifiuto, da smaltire, nel collegamento, nel passaggio immediato del refluo dal corpo produttore al contenitore di destinazione. La medesima giurisprudenza ha, inoltre, ritenuto che il passag-gio tra la disciplina delle acque e quella dei rifiuti si abbia nel momento in cui vi sia l’effettiva separazione del liquame dal sistema di canalizzazione dell’impianto, separazione che avviene esclusivamente attraverso il traspor-to su gomma20.

Dal sistema appena, a grandi linee, descritto, deriva un’evidente scelta del legislatore, che ha delegato al produttore del refluo la scelta della quali-ficazione giuridica da attribuire all’acqua reflua, se scarico o rifiuto liquido. Trattasi di un diritto del produttore che costituisce espressione di una strategia aziendale; se il produttore deciderà di disfarsi del refluo, non dovrà depurarlo, non dovrà rispettare limiti tabellari, non dovrà chiedere alcuna autorizzazione allo scarico, ma dovrà compilare formulari di identificazione, utilizzare tra-sportatori iscritti agli albi appositi, inviare periodicamente i MUD, ecc.

La scelta effettuata potrà essere modificata in qualsiasi momento. La normativa prevede, inoltre, tre casi nei quali il refluo cambi status (e divenga rifiuto) di diritto: quando ci sia una sua modifica sostanziale; quando scada l’autorizzazione allo scarico del produttore e non sia rinnovata; nel caso di rottura dell’impianto di depurazione. In tale ultimo caso la Corte di Giustizia 19 Cass. pen., sez. III, 26 ottobre 2006, n. 35888; Cass. pen., Sez. III, 30 ottobre 2007, n. 40191; Cass., pen., sez. III, 11 febbraio 2008, n. 6417. Sul punto cfr. MonTagna, Ancorasulladistinzionetrarifiuto,rifiutoliquidoescarico, in cass.pen., 2007, 10, 3855.20 Cass. pen., Sez. III, n. 8758/2002, in cass.pen., 2004, 1028.

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ha precisato che la fuoriuscita delle acque reflue da un impianto costituisce un fatto mediante il quale il produttore si disfa del refluo21.

4. Le problematiche connesse allo sversamento dei fanghi in agricoltura

Ai sensi della normativa vigente, è consentito utilizzare i rifiuti liquidi, a seguito di un processo di depurazione posto in essere negli appositi im-pianti, all’uopo autorizzati, al fine della concimazione dei terreni agricoli. L’attività di depurazione delle acque reflue urbane costituisce un segmento del servizio idrico integrato22, che costituisce espressione della esigenza, di carattere generale, già rilevata nella prima parte del presente lavoro, di costi-tuire un sistema coordinato di utilizzo delle risorse e di tutela ambientale e che, per espressa disposizione dell’art. 117 Cost., nel testo novellato nel 2001, compete allo Stato, come peraltro di recente confermato da una sentenza della Corte costituzionale23. La disciplina è contenuta negli artt. 141 ss. del codi-ce ambientale (d.lgs. n. 152/2006). Il processo di depurazione conduce alla produzione dei c.d. “fanghi”, che sono qualificati dal codice ambientale come rifiuti (art. 127). Come ognun vede, la qualificazione dei fanghi come rifiuti è compiuta direttamente dal legislatore, il quale non lascia – come avviene in altri ambiti – la possibilità al produttore di scegliere se qualificare il prodotto del processo di depurazione come bene in senso giuridico ed economico, che cioè può essere riutilizzato e fonte ulteriore di guadagno, oltre che di rispar-mio di risorse, ma decide che il prodotto del processo depurativo è conside-rato un rifiuto.

Tuttavia, è consentito, in alcuni casi, riutilizzare il fango per la conci-mazione dei terreni agricoli. Il problema, che appare alquanto rilevante, si pone nei casi in cui nei fanghi sversati sui terreni agricoli risulti la presenza di sostanze inquinanti. Ove ciò avvenga, in attuazione dei principi di precauzio-

21 Corte Giust., 10 maggio 2007, causa C-252/2005, in www.curia.eu.int.22 Sul punto, cfr. Muraro, LagestionedelservizioidricointegratoinItalia,travincolieuropeiesceltenazionali, in Mercatoconcorrenzaregole, 2003, 2, 407.23 Corte Cost., 20 novembre 2009, n. 307, in Riv.giur.amb., 2010, 341, che ha dichiarato illegittima la norma della legge della Regione Lombardia che separava la gestione della rete dall’erogazione del servizio idrico integrato, in quanto essa viola l’art. 117 Cost., perché si tratta di funzioni affidate com-pletamente allo Stato.

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Tuteladell’ambienteedesigenzedell’agricoltura 79

ne e – soprattutto – di prevenzione24, il proprietario del fondo e il produttore del fango, ove sia individuato o individuabile, sono responsabili della im-mediata bonifica del terreno, e devono porre immediato rimedio al pericolo di inquinamento dei terreni, dei prodotti ivi coltivati, oltre che della falda acquifera sottostante. Ove i soggetti responsabili non provvedano, il codice ambientale prevede la possibilità per le Autorità di imporre i comportamenti necessari attraverso il potere di ordinanza, che costituisce applicazione del principio di prevenzione25.

24 Mentre il principio di precauzione opera in un momento precedente anche al verificarsi del pericolo di danno, in via assolutamente preventiva ed in virtù dello stato delle conoscenze scientifiche, che tuttavia siano ancora incerte (sul punto, cfr. PrincigaLLi, Ilprincipiodiprecauzione:danni«gravieirrepara-bili»emancanzadicertezzascientifica, in Dir.agr., 2004, 145; gragnani, Ilprincipiodiprecauzionecomemodellodituteladell’ambiente,dell’uomo,dellegenerazionifuture, in Riv.dir.civ., 2003, 9), il principio di prevenzione, data una situazione di certezza scientifica in ordine alla nocività di una certa sostanza, comporta l’anticipazione della tutela ad un momento immediatamente precedente alla situa-zione di danno conclamato, ossia al momento del verificarsi di una situazione di pericolo. 25 Così LoTTini, Bonificadisitiinquinatidafanghidirisultadelladepurazionedelleacquereflueurba-ne:trapoterediordinanzaextra ordinemeprincipiodiprevenzione, in Foroamm.TAR, 2007, 1444.

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La gestione dei rifiuti agricoli

soMMario:1.L’imprenditoreagricoloel’ambiente;2.Irifiutiagricoli;3.Lequattroregolesullacor-rettagestionedeirifiuti;4.Ildepositotemporaneodeirifiuti;5.conferimentoetrasportodeirifiutiagricoli;6.Gliulterioriobblighidell’imprenditoreagricolo:registrodicarico,registrodiscarico,ilMUD;7.IlsIsTRI(sistemadicontrollodellatracciabilitàdeirifiuti).

1. L’imprenditore agricolo e l’ambiente

Oltre la metà degli abitanti del pianeta sono agricoltori e gran parte di essi sono organizzati in forma di impresa, ma il rapporto con la terra mai era giunto ad un punto di crisi come accade oggi. La maturazione dell’idea che le risorse non sono illimitate, contrariamente a quanto si pensava nel secolo scorso, si lega alla consapevolezza della necessità di preservare il bene am-biente in cui si esplica l’attività dell’imprenditore agricolo correlato al rico-noscimento delle future generazioni quali soggetti giuridici.

La centralità assunta dalla problematica ambientale1 nei tempi recenti è testimoniata dal riconoscimento formale che essa ha assunto nei diversi ordinamenti nazionali.2 La tutela dell’ambiente è stata dunque elevata a di-ritto fondamentale della persona, quale interesse diffuso funzionale al pieno sviluppo e benessere dell’essere umano.3 Un nuovo sviluppo sociale, in cui la

1 s. PaTTi, Ambiente(tuteladell’), in Digestociv., Torino, 1987, 292 ss.2 Si veda ad esempio la Costituzione Greca del 1975 all’art. 24 afferma: «Laprotezionedell’ambientenaturaleeculturalecostituisceunobbligodellostato…»; quella Spagnola del 1978, all’art. 45 sanci-sce: «Tuttihannoildirittodigoderediunambienteadeguatoallosviluppodellapersonaeildoverediconservarlo»; Anche diverse Costituzioni adottate dai “Paesi socialisti”, prima dei mutamenti istituzio-nali, affermavano principii analoghi. La Costituzione della Polonia del 1952 all’art. 2.2 stabiliva: «LaRepubblicapopolaredellaPoloniagarantiscelaprotezioneeunrazionalemiglioramentodell’ambien-techecostituisceunbenedellanazione»; la Costituzione dell’U.R.S.S. del 1977 prevedeva misure per il risanamento dell’ambiente, definiva la protezione della natura come “dovere del cittadino”; indicava la gestione razionale e la protezione delle risorse naturali, quali compiti assegnati alla competenza del Consiglio dei Ministri.3 Sul mutato approccio nella materia ambientale dell’ultimo decennio interessanti osservazioni emer-gono nel contributo di F. VoLLero, Dirittiumaniedirittifondamentalifratutelacostituzionaleetutelasopranazionale:ildirittoadunambientesalubre, Napoli, 2002, p, 9.

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crescita economica non deve valutarsi in termini solo quantitativi e come fine a sé stessa, ma soprattutto per la qualità e l’incidenza che effettivamente può produrre sull’ambiente e, tramite esso, sulla qualità della vita.

L’espressione ambiente (dal latino ambiens, participio presente di am-bire, letteralmente “andare attorno”) esprime la valenza dinamica del concet-to. L’ambiente quale bene comune, unitariamente inteso,4 esalta il suo valore ideale con il conseguente interesse della collettività alla sua conservazione.5 I beni per essere conservati devono essere gestiti e chi ha la responsabilità diretta o indiretta in simili contesti, deve comportarsi ponendosi il problema, oggi più che in passato, del buon governo del territorio e dell’ambiente. La questione ambientale dell’agricoltura deve essere considerata sotto una plu-ralità di aspetti, poiché nonostante il settore primario sia responsabile della produzione di inquinamento, è altrettanto vero che esso risulta fortemente condizionato da un livello di informazione ambientale alquanto modesto, ca-rente specialmente nel settore agricolo.

L’idea di fondo è quella di un’agricoltura polifunzionale nella quale l’agricoltore diventa soggetto ambientale, protagonista, del rapporto con il mondo rurale nel suo complesso, ove accanto alla politica produttiva si as-socia l’obbligo di controllare l’impatto ambientale delle attività esercitate in osservanza dei principi di derivazione comunitaria,6 recepiti nel codice dell’ambiente (d.lgs. 3 aprile 200, n. 152) che dominano la materia7 nonché

4 Corte cost. 30 dicembre 1987 n. 641, in Foroit., 1988, I, p. 694, con nota di F. giaMPieTro; Si con-sideri la giurisprudenza di legittimità rappresentata da Cass., Sez. un., 25 gennaio 1989, n. 440, in cui l’ambiente viene qualificato come «beneimmaterialegiuridicamentericonosciutoetutelatonellasuaunitarietà», in Riv.giur.ambiente, 1989, p. 475. Anche tra i sostenitori dell’inconsistenza di una nozione giuridica di ambiente (a. MiLeTTi, Tutelainibitoriaindividualeedannoambientale, Napoli, 2005, p. 76) si finisce con il riconoscere l’utilità pratica di un concetto idoneo a sottolineare l’aspetto “relazionale” della problematica ambientale quale punto di sintesi. Per la teoria dei beni naturalmente il richiamo è a S. PugLiaTTi, Beni(teoriagen.), in Enc.dir., V, Milano, 1959, p. 159.5 c.a. graziani, TerraeProprietàambientale, in studi inonoredi a. PaLazzo (dirittoprivato), a. griLLi e a. sassi (a cura di), vol. III, Torino, 2009, p. 360.6 g. oLMi, Agricolturaindirittocomunitario, in DigestoIV, disc.Pubbl., Torino, 1987, p. 123.7 Le politiche di tutela ambientale si fondano sui principi della precauzione (F. giaMPieTro, Precauzioneerischiosocialmenteaccettabile:unalineaguidainterpretativadellaleggen.36/2001, in Dirittoegestionedell’ambiente, 2001, p. 107 ss.; a.M. PrincigaLLi, Ilprincipiodiprecauzione:danni“gravieirreparabili”emancanzadicertezzascientifica, in Dir.agr., 2004, p. 145 ss.; per quanto concerne le onde elettromagnetiche si rinvia al lavoro di c.M. nanna, Principiodiprecauzioneelesionidaradia-zioninonionizzanti, Napoli, 2003, p. 10) dell’azione preventiva, sul principio della correzione in via prioritaria alla fonte dei danni causati all’ambiente, e sul principio “chi inquina paga”, al fine di garan-

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del preminente valore assunto dalla persona nell’ordinamento. L’art. 2137 c.c. dedicato alla responsabilità dell’imprenditore agrico-

lo necessita, dunque, una lettura coordinata con il panorama delle fonti esi-stenti. Il processo di decodificazione8 e depatrimonializzazione9 del diritto civile non risparmiano l’impresa agricola e pongono l’imprenditore agricolo di fronte a nuove e più ampie forme di responsabilità legate alla corretta ge-stione preventiva dei rifiuti agricoli. Lo smaltimento dei rifiuti in agricoltura sta assumendo sempre maggiore importanza anche a causa dell’esigenza di realizzare modelli di agricoltura ecocompatibili e la necessità di integrare la tutela dell’ambiente nella politica agricola. E pensare che un primo tentativo di regolamentazione organica della materia venne intrapreso con la legge 20 marzo 1941, n. 366. I primi timidi approcci del legislatore verso il problema della gestione dei rifiuti erano tesi a risolvere problemi di natura essenzial-mente sanitaria, mancando una percezione comune sulla necessità di avviare adeguate politiche ambientali.

Come ogni attività umana, infatti, l’agricoltura genera dei rifiuti che devono essere “gestiti”.

Nello svolgimento dell’attività agricola vengono prodotte, essenzial-mente, due tipologie di rifiuti: quelli cosiddetti “domestici” e quelli che deri-vano dalle attività agricole vere e proprie. Le stesse attrezzature, le macchine, i prodotti a supporto della pratica agricola, al termine del loro utilizzo, diven-tano a loro volta dei rifiuti da smaltire.

L’impatto che i rifiuti generano sull’ambiente non dipende solo dalla loro quantità ma anche dalla loro qualità: le sostanze pericolose in essi conte-nute, anche se in piccole percentuali, possono infatti causare notevoli impatti sull’ambiente in particolare sulle acque, sull’aria e sul suolo.

tire uno sviluppo sostenibile e di contribuire ad un sensibile e misurabile miglioramento dell’ambiente. Per l’intera produzione della Comunità europea in tema ambientale, si rinvia al sito www.europa.eu.it.8 n. irTi, L’etàdelladecodificazione, Milano, 1986, p. 25; P. PerLingieri, Ildirittocivilenellalegalitàcostituzionale, Napoli, 2006, p. 175.9 C. Dionisi, Versoladepatrimonializzazionedeldirittoprivato, in Rass.dir.civ., 1980, p. 644; P. Per-Lingieri, L’art.2059c.c.unoebino, cit., p. 775; iD, L’onnipresenteart.2059c.c. ela“tipicità”deldannoallapersona,cit., p. 520; iD, Rapporticostruttivifradirittopenaleedirittocivile, in Rass.dir.civ., 1997, p. 104 ss.; iD, Ildirittocivilenellalegalitàcostituzionale, Napoli, 2006, P. 715; iD, scuole tendenzeemetodi. Problemididirittocivile, Napoli, 1989, p. 175; M. PennasiLico, L’operativitàdelprincipiodiconservazione, in Rass.dir.civ., 2003, p. 702.

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2. I rifiuti agricoli

La normativa vigente in materia di rifiuti agricoli è in continua evolu-zione. Il primo intervento degno di nota risale al 1982 (d.P.R. n. 915) a cui ha fatto seguito il Decreto Ronchi, modificato dal D.lgs. del 3 aprile 2006, n. 152 “Norme in materia ambientale”, ulteriormente modificato dal D.lgs. del 16 gennaio 2008, n. 4.

In Italia l’ultima normativa è la legge 27 febbraio 2009, n. 13 nella qua-le si stabilisce all’art. 8-quater che gli Accordi di Programma per la gestione dei rifiuti possono prevedere semplificazioni amministrative da concordare con la pubblica amministrazione, modificando e convertendo in legge il de-creto del 30 dicembre 2008, n. 208 “recantemisurestraordinarieinmateriadirisorseidricheeprotezionedell’ambiente”.

Nel campo di applicazione della normativa sui rifiuti, rientra qualsiasi sostanza od oggetto che è riconducibile alle categorie espressamente indicate dal legislatore ovvero qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore: si disfi; abbia deciso di disfarsi o abbia l’obbligo di disfarsi. I rifiuti possono essere “urbani” o “speciali” a seconda che provengano da abitazioni o da attività produttive.

I rifiuti domestici prodotti nell’abitazione dell’agricoltore sono rifiuti “urbani” per i quali non vi è alcun obbligo, tranne l’onere di corrispondere per il servizio l’imposizione dovuta (es. Tarsu), mentre quelli prodotti in campo e/o in magazzino sono “speciali”. Quest’ultima tipologia di rifiuti non è sog-getta alla TARSU e vanno conferiti, a spese del produttore a terzi autorizzati o al gestore del servizio pubblico in regime di convenzione.10

I rifiuti speciali si suddividono in “nonpericolosi” (es. rifiuti plastici di imballaggio, imballaggi in legno, imballaggi di cartone) e “pericolosi”(es. rifiuti agrochimici, oli esausti di autotrazione, batterie ed accumulatori). Nelle aziende agricole possono essere presenti altri “scarti” la cui gestione è re-golamentata da leggi che non riguardano la normativa sui rifiuti. È il caso dell’amianto, delle carogne animali, dei materiali litoidi (sassi, rocce, etc.), dei materiali vegetali riutilizzati nelle normali pratiche agricole derivanti dalla pulizia dei prodotti vegetali eduli (frutta, verdura, etc.), delle acque di vegetazione e delle materie fecali quali i liquami o altri effluenti zootecnici.

10 P. Ficco, Lagestionedeirifiutiagricoli, in Amb.sicurezza, 2, 1999, p. 87.

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Questi ultimi, che nelle tradizionali pratiche agricole vengono distribu-iti in campo come ammendanti e/o fertilizzanti, vanno dosati oculatamente al fine di evitare effetti dannosi sulla qualità delle acque superficiali e profonde nonché sulle altre componenti ambientali. Il loro utilizzo in agricoltura è re-golamentato dal Testo Unico sulle acque (D.lgs. 11 Maggio 1999, n. 152 e successive modifiche e integrazioni) che costituisce il recepimento della di-rettiva comunitaria 91/676/CEE più nota come Direttiva Nitrati il cui rispetto, oltre che garantire i migliori risultati agronomici ed ambientali, è condizione indispensabile per accedere agli aiuti comunitari ed evitare sanzioni.

3. Le quattro regole sulla corretta gestione dei rifiuti

La finalità delle politiche e della copiosa legislazione sulla corretta ge-stione dei rifiuti si basa sulle cosiddette “Regoledelle4R”: Riduzione, Riuso, Recupero dei materiali e Recupero energetico. La riduzione dei costi di pro-duzione è uno degli aspetti al quale gli imprenditori pongono più attenzione.

Le aziende attente alla “qualità” devono individuare e ridurre gli spre-chi ricorrendo magari all’agricoltura biologica ovvero all’uso di plastiche biodegradabili per pacciamatura o di contenitori di fitofarmaci idrosolubili. Il riuso consiste nell’utilizzare ripetutamente (in più cicli produttivi) mezzi e materiali, allungandone la durata. A tale scopo è opportuno utilizzare per più colture o cicli la stessa plastica di pacciamatura o copertura. Il recupero dei materiali pone l’accento sui vantaggi indiscutibili che offre il riciclo.

I rifiuti di un’azienda possono costituire la materia prima indispensabi-le per l’attività di un’altra, pertanto, possono assumere un valore economico anche abbastanza rilevante. È importante però che questi siano ben separati per tipologia e per quanto possibile “puri”, senza inquinanti rappresentati da rifiuti diversi.

Anche il vetro o le batterie possono essere rigenerati, così come gli oli e i lubrificanti. Per queste tipologie di rifiuti sono stati promossi consorzi speci-fici che curano direttamente il ritiro dai produttori, senza costi aggiuntivi, se non quelli necessari per mantenerli in purezza.

L’utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura realizzata in modo da evitare effetti nocivi sul suolo, sulla vegetazione, sugli animali e

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sulla salute dell’uomo risulta determinante nell’ottica di recuperare i materia-li impiegati dall’imprenditore agricolo.

Per utilizzazione dei fanghi deve intendersi il loro recupero mediante lo spandimento sul suolo e qualsiasi altra applicazione sul suolo medesimo. I fanghi non sono altro che quei residui derivanti dai processi di depurazione delle acque reflue da insediamenti civili, ovvero delle acque reflue di insedia-menti produttivi.

Ad ogni modo, l’utilizzo dei fanghi è subordinato all’accertamento, al momento del loro impiego, di requisiti tabellari normativamente previsti che garantiscono la non compromissione del suolo e dell’ambiente circostante.

In relazione al recupero energetico l’incenerimento in stufe o caminetti domestici della legna derivante dalle potature è consentita dalla legislazione. Ovviamente non deve trattarsi di legno d’opera trattato con vernici o altre sostanze tossiche ma, ripetiamo, di legna di risulta delle operazioni agricole.

Per le altre tipologie di rifiuti il recupero energetico attraverso il proce-dimento di “termovalorizzazione” (l’incenerimento dei rifiuti con il recupero dell’energia prodotta) deve rappresentare l’ultima soluzione, quando non è possibile individuare altre destinazioni o usi. Non deve essere sottovalutato, infatti, l’indirizzo espresso in ambito comunitario secondo il quale è neces-sario prevenire o ridurre, per quanto possibile, l’inquinamento dell’aria, delle acque e del suolo causato dall’incenerimento o dall’incenerimento dei rifiuti, inclusi i rischi per la salute umana.11

L’art. 214 del D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (codice dell’ambiente) così come modificato ultimamente dal D.lgs. 3 dicembre 2010, n. 205, art. 27, pre-vede che i procedimenti e metodi di smaltimento o di recupero siano tali da non costituire un pericolo per la salute dell’uomo e da non recare pregiudizio all’ambiente.

In particolare, ferma restando la disciplina del D.lgs. 11 maggio 2005, n. 133, per accedere alle procedure semplificate, le attività di trattamento ter-mico e di recupero energetico devono, inoltre, rispettare le seguenti condi-zioni: a) deve esserci l’impiego di combustibili da rifiuti urbani oppure da rifiuti speciali individuati per frazioni omogenee; b) i limiti di emissione non devono risultare superiori a quelli stabiliti per gli impianti di incenerimento

11 Direttiva 2000/76/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 4 dicembre 2000 sull’incenerimen-to dei rifiuti.

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dei rifiuti dalla normativa vigente (con particolare riferimento al D.lgs. 11 maggio 2005, n. 133).

Il D.Lgs. 11 maggio 2005, n. 133, «Attuazionedelladirettiva2000/76/cEinmateriadiincenerimentodeirifiuti» tra l’altro, ha recepito le dispo-sizioni della direttiva 2000/76/CE sull’incenerimento dei rifiuti. Il decreto si applica agli impianti di incenerimento e di coincenerimento dei rifiuti (sia non pericolosi che pericolosi) e stabilisce le misure e le procedure finalizzate a prevenire e ridurre per quanto possibile gli effetti negativi dell’incenerimento e del coincenerimento dei rifiuti sull’ambiente, in particolare l’inquinamento atmosferico, del suolo, delle acque superficiali e sotterranee, nonché i rischi per la salute umana che ne derivino.

4. Il deposito temporaneo dei rifiuti

L’art. 183, comma 1, lett. m) del D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Codice dell’Ambiente) individua la fattispecie del deposito temporaneo, che costitu-isce un’eccezione alle fasi che caratterizzano il procedimento di gestione dei rifiuti.

Il deposito temporaneo consiste nel raggruppare i rifiuti, prima del conferimento, nel luogo in cui sono prodotti, cioè in azienda. Deve essere organizzato per tipi omogenei (es.: oli - batterie - filtri) e nel rispetto delle relative norme tecniche, nonché, per i rifiuti pericolosi, in base alle regole che disciplinano il deposito delle sostanze pericolose in essi contenute. Il deposito temporaneo presuppone che il rifiuto non esca mai dall’area entro la quale è svolta l’attività produttiva e può essere effettuato solo dal soggetto che lo ha prodotto.

Tramite la fattispecie del deposito temporaneo, la legge ha voluto te-nere in conto le esigenze delle piccole e medie imprese produttrici di rifiuti, le quali possono così evitare di ricadere nella stringente normativa dettata per i rifiuti nelle ipotesi in cui ne producano quantitativi estremamente li-mitati.

Da ciò si deduce che trattasi, in generale, di una particolare modalità di stoccaggio dei rifiuti, consistente nel raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti, a determinate

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condizioni elencate dalla norma sopra richiamata: 1) i rifiuti depositati non devono contenere policlorodibenzodiossine, policlorodibenzofurani, policlo-rodibenzofenoli in quantità superiore a 2,5 parti per milione (ppm), né poli-clorobifenile e policlorotrifenili in quantità superiore a 25 parti per milione (ppm); 2) i rifiuti devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento secondo una delle seguenti modalità alternative, a scelta del produttore, con cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quan-tità in deposito; quando il quantitativo di rifiuti in deposito raggiunga com-plessivamente i 10 metri cubi nel caso di rifiuti pericolosi o i 20 metri cubi nel caso di rifiuti non pericolosi. In ogni caso, allorché il quantitativo di rifiuti pericolosi non superi i 10 metri cubi l’anno e il quantitativo di rifiuti non peri-colosi non superi i 20 metri cubi l’anno, il deposito temporaneo non può avere durata superiore ad un anno; 3) il deposito temporaneo deve essere effettuato per categorie omogenee di rifiuti e nel rispetto delle relative norme tecniche, nonché, per i rifiuti pericolosi, nel rispetto delle norme che disciplinano il deposito delle sostanze pericolose in essi contenute; 4) devono essere rispet-tate le norme che disciplinano l’imballaggio e l’etichettatura delle sostanze pericolose; 5) per alcune categorie di rifiuto, individuate con decreto del Mi-nistero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministero per lo sviluppo economico, sono fissate le modalità di gestione del deposito temporaneo.

Dello strumento del deposito temporaneo può servirsi, pertanto, solo il produttore dei rifiuti, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti. La norma, dunque, individua due distinte ipotesi di deposito temporaneo: a) quello ri-guardante un quantitativo illimitato di rifiuti, provvedendo al recupero o allo smaltimento entro due mesi per i rifiuti pericolosi e tre mesi per i rifiuti non pericolosi; b) quello riguardante il quantitativo massimo di rifiuti che la ditta può conservare (10 m³ per i rifiuti pericolosi e 20 m³ per i rifiuti non perico-losi), dovendo poi procedere al loro smaltimento entro il termine massimo di un anno.

In realtà, i limiti quantitativi di deposito temporaneo dei rifiuti sembra-no difficilmente raggiungibili da parte dei piccoli imprenditori agricoli. Per tali motivi, la scadenza trimestrale per l’avviamento alle operazioni di recu-pero o smaltimento dei rifiuti diviene per le piccole imprese agricole un costo talvolta insopportabile. La norma andrebbe calibrata con le reali potenzialità

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inquinanti dei piccoli imprenditori agricoli per cui i limiti quantitativi indicati dalla normativa costituiscono un miraggio.

Qualora non vengano rispettate le sopra descritte condizioni di ammis-sibilità, l’attività diventa illegale e penalmente perseguibile in quanto integra attività di deposito incontrollato di rifiuti, sanzionata ai sensi dell’art. 256, comma 2, D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, con la pena: a) dell’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti non pericolosi; b) dell’arresto da sei mesi a due anni e dell’am-menda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti peri-colosi.

La Corte di Cassazione, con la recentissima pronuncia della Sezione penale, n. 15680 del 23 aprile 2010, si è pronunciata in materia di deposito incontrollato di rifiuti precisando che allorché il deposito dei rifiuti manchi dei requisiti fissati dall’art. 183 D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, per essere qua-lificato quale temporaneo, si realizza a seconda dei casi: a) un abbandono ovvero un deposito incontrollato sanzionato, secondo i casi, dagli artt. 255 e 256, comma 2, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152); b) un deposito preliminare, necessitante della prescritta autorizzazione in quanto configura una forma di gestione dei rifiuti; c) una messa in riserva in attesa di recupero, anch’essa soggetta ad autorizzazione quale forma di gestione dei rifiuti. La scelta tra le varie opzioni dipende soltanto dagli elementi specifici della fattispecie con-creta. Pertanto, quando non ricorre un deposito temporaneo, si configura un deposito preliminare se esso è realizzato in vista di successive operazioni di smaltimento, ovvero una messa in riserva se è realizzato in vista di successive operazioni di recupero, mentre si realizza un deposito incontrollato o abban-dono12 quando è definitivo nel senso che non prelude ad alcuna operazione di smaltimento o di recupero.

Nella fattispecie non ricorrono le condizioni per il deposito tempora-neo, sia perché non era stato osservato il divieto di miscelazione, sia perché non tutti i rifiuti ivi raccolti provenivano da scavi in loco. Nell’affrontare l’il-lecito di abbandono di rifiuti non si può prescindere dal prendere in conside-razione, seppur brevemente, la responsabilità che può investire il proprietario (incolpevole) del sito su cui altri abbiano abbandonato rifiuti.

Sempre in materia di deposito incontrollato di rifiuti, ulteriori disposi-

12 M. V. baLossi, Ilpuntosull’abbandonodirifiuti, in Amb.svil., 2010, 2, p. 118.

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zioni si ricavano dalla lettura dell’art. 192, D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152: tale articolo dispone che fatta salva l’applicazione della sanzioni di cui agli artico-li 255 e 256, chiunque effettui attività di abbandono e deposito incontrollato di rifiuti sul suolo “ètenutoaprocedereallarimozione,all’avvioarecuperooallosmaltimentodei rifiutiedalripristinodellostatodeiluoghiinsolidocon ilproprietarioecon i titolarididiritti realiopersonalidigodimentosull’area,aiqualitaleviolazionesiaimputabileatitolodidoloo colpa,inbaseagliaccertamentieffettuati,incontraddittorioconisoggettiinteressati,daisoggetti prepostialcontrollo.Ilsindacodisponeconordinanzaleopera-zioniatalfinenecessarieedil termineentrocuiprovvedere,decorsoilqualeprocedeall’esecuzioneindannodeisoggetti obbligatiedalrecuperodellesommeanticipate”.

Ove poi derivi un inquinamento dell’area, la situazione determinerebbe nuovi scenari. Non di rado avviene che l’imprenditore agricolo, proprietario del suolo ove esercita la proprie attività scopra ad un tratto che quell’area da lui diligentemente sorvegliata in realtà risulta gravemente compromessa, in quanto in precedenza qualche azienda aveva ivi depositato dei rifiuti illegal-mente.

Non può nemmeno escludersi la possibilità che sia un’azienda limitrofa ad effettuare degli scarichi abusivi. In tal caso occorre distinguere l’ipotesi di abbandono dei rifiuti dalla responsabilità per gli obblighi di bonifica ex art. 239, del D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152.13

In questa sede è sufficiente riporre l’attenzione sull’art. 242 del già ci-tato Testo Unico ambientale che individua nel responsabile dell’inquinamen-to l’unico destinatario degli obblighi contemplati dalla norma medesima. Il legislatore ha operato, una preferenza ripudiando qualsiasi forma di respon-sabilità oggettiva.14 Tale scelta comporta che la necessità di individuare il

13 La norma presuppone un fenomeno di vera e propria contaminazione dei luoghi e non un semplice abbandono di rifiuti. Sulla bonifica dei siti contaminati vedi, G. De sanTis, Bonificadeisiticontaminati, in Resp.civ.prev., 2009, p. 1478; W. D’aVanzo, Laresponsabilita`delproprietariodel fondonelladisciplinadell’art.14delD.Lgs.22/97.confrontoconl’art.17eobbligodibonificadeisitiinquinati, in Dir.giur.agr., 2006, I, p. 335; G. ManFreDi, Labonificadeisitiinquinatitrasanzioni,misureripri-stinatorieerisarcimentodeldannoall’ambiente, in Riv.giur.Amb., 2002, p. 667; s. baiona, Nessunaresponsabilitàoggettivaincapoalproprietario«incolpevole»perl’abbandonodirifiutisulfondodisuaproprietà, in Resp.civ.prev., 2009, p. 2127.14 a. graziano, codicedell’ambiente,Annotatocondottrina,giurisprudenzaeformule, a cura di P. De Lise e r. garoFoLi, Roma, 2009, p. 817; a. L. De cesaris, Gliobblighidibonificadelproprietario

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responsabile dell’inquinamento si traduce nel rifiutare ogni automatismo po-nendo l’accento sul dovere da parte delle amministrazioni locali di svolgere un’adeguata istruttoria preliminare.15

Il proprietario incolpevole non può dunque, essere obbligato a provve-dere al ripristino dello stato dei luoghi a proprie cure e spese. Tuttavia, ga-rantita dal privilegio speciale immobiliare, la Pubblica amministrazione potrà recuperare le somme versate nel limite dell’arricchimento di valore, previa-mente notificando il provvedimento di bonifica al proprietario incolpevole, rendendolo edotto del suindicato onere reale. Gli istituti dell’onere reale e del privilegio speciale realizzano spesso una notevole pressione nei confronti del proprietario.16

5. Conferimento e trasporto dei rifiuti agricoli

Nel momento in cui, terminata la fase del deposito temporaneo, si pone il problema di avviare allo smaltimento i rifiuti, sorge l’interrogativo ver-so quali soggetti, l’imprenditore agricolo può rivolgersi. L’agricoltore può scegliere di: a) rivolgersi al locale servizio comunale di raccolta dei rifiuti solidi urbani; b) effettuare il conferimento ad appositi centri di raccolta; c) rivolgersi a gestori privati autorizzati (iscritti all’Albo Gestori Ambientali). Nel primo caso le municipalizzate comunali vanno considerate alla stregua di un qualsiasi operatore privato con cui cercare un accordo sul prezzo della raccolta o della consegna di determinate quantità e qualità di rifiuti.

La seconda opzione può essere utile soprattutto per le piccole e picco-lissime aziende che producono modeste quantità di rifiuti e li conferiscono occasionalmente a centri di raccolta affidati “al gestore del servizio pubblico di raccolta dei rifiuti urbani, con i quali sia stata stipulata una convenzione,

incolpevole, in Riv.Giur.Amb., 2000, p. 340 ss.; r. F. iannone, L’azionedibonificanongravasulproprietarioincolpevoledelsitocontaminato, in Riv.Giur.amb., 2010, 2, p. 379; g. De sanTis, Boni-ficadeisiticontaminati, in Resp.civ.prev., 2009, p. 1478; L. MusuMeci, Bonificadisiticontaminati, Milano, 2008, p. 400; s. D’angiuLLi, Bonificadisiticontaminati, in a. buonFraTe (a cura di), codicedell’ambienteenormativacollegata, Milano, 2008, 245 ss.15 T.A.R. Valle d’Aosta, 20 febbraio 2003, n. 17, in Riv.giur.amb., 2003, pp. 854 ss.; T.A.R. Piemonte, Sez. II, 26 marzo 2004, n. 17, in www.ambientediritto.it.16 Osserva come spesso il proprietario del sito sia indotto ad eseguire interventi di bonifica per non vedersi espropriare il sito, P. giaMPieTro, Lanuovagestionedeirifiuti, Milano, 2009, p. 320.

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purché tali rifiuti non eccedano la quantità di 30 Kg o 30 litri”. Il trasporto di rifiuti speciali non può essere effettuato direttamente dall’operatore agricolo a meno che: 1) non iscriva la ditta e i mezzi adibiti al trasporto alla sezione semplificata dell’Albo Gestori Ambientali; 2) non operi in un territorio ove vige un accordo di programma che consenta il trasporto diretto; 3) non con-ferisca i propri rifiuti speciali al gestore del servizio pubblico di raccolta dei rifiuti solidi urbani.

I rifiuti nel loro percorso devono essere accompagnati da una documen-tazione che ne giustifichi il trasporto alla destinazione. Nel caso di imprese private a cui l’azienda agricola ha affidato il servizio di raccolta e stoccaggio dei propri rifiuti, è necessario il “formulario di identificazione” dal quale de-vono risultare almeno i seguenti dati: nome ed indirizzo del produttore e del detentore; origine, tipologia e quantità del rifiuto; impianto di destinazione; data e percorso dell’instradamento; nome ed indirizzo del destinatario. Una sorta di documento, che permette la “tracciabilità” del rifiuto.

Detto formulario firmato in quattro copie, sia dal produttore dei rifiuti che dal trasportatore, e conservato da entrambi per 5 anni. Una copia del formulario deve rimanere presso il produttore o il detentore e le altre tre, controfirmate e datate in arrivo dal destinatario, sono acquisite una dal desti-natario e due dal trasportatore, che provvede a trasmetterne una al detentore. L’imprenditore agricolo è sollevato da ogni responsabilità sui suoi rifiuti solo al ricevimento della quarta copia del formulario che deve essere compilata e firmata, oltre che dal trasportatore anche dal responsabile dell’impianto di smaltimento finale. Se entro 3 mesi non ha ricevuto questa copia, deve segna-larlo alla Provincia di appartenenza, pena sanzione amministrativa e rischio di accusa di complicità in eventuali smaltimenti illeciti.

La legge 30 dicembre 2008, n. 205 “conversioneinlegge,conmodi-ficazioni,deldecretolegge3novembre2008,n.171,recantemisureurgentiperilrilanciocompetitivodelsettoreagroalimentare”, all’art. 4 quinquies rubricato “semplificazionedegliadempimentiacaricodelleimpreseagrico-le” ha introdotto delle modifiche agli artt. 193 e 212, D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, con riferimento al trasporto dei rifiuti speciali non pericolosi prodotti da attività agricole. È previsto l’esonero dal formulario di identificazione e di iscrizione all’ANGA per i rifiuti speciali agricoli purché ricorrano tutte le seguenti condizioni nel trasporto: a) sia effettuato dal produttore di rifiuti in

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modo occasionale e saltuario; b) sia finalizzato al conferimento al gestore del servizio pubblico di raccolta con il quale sia stata stipulata una convenzione; c) il trasporto non ecceda 30 kg o 30 l.

Ulteriori semplificazioni operative possono essere previste negli accor-di e contratti di programma in materia di rifiuti, stipulati tra le amministrazio-ni pubbliche e i soggetti economici o le associazioni di categoria rappresen-tative dei settori interessati.

6. Gli ulteriori obblighi dell’imprenditore agricolo: registro di carico, registro di scarico, il MUD

Mentre in passato gli imprenditori agricoli, a differenza degli impren-ditori non agricoli, usufruivano di una serie di esenzioni poiché ex art. 6-ter, della legge 24 aprile del 1989, n. 144, per i “rifiuti derivanti dall’esercizio dell’impresa agricola sul fondo o relative pertinenze” per cui i primi non era-no tenuti alla compilazione del registro di carico e scarico, del formulario di identificazione per il trasporto e dell’iscrizione all’Albo gestori per il tra-sporto di rifiuti pericolosi, la situazione sin dall’avvento del Decreto Ronchi è mutata.

L’annotazione della tipologia e della quantità del rifiuto stoccato nel deposito temporaneo deve essere riportato sul “Registro di carico e scarico” entro 10 giorni. Le imprese che non producono più di 10 tonnellate di rifiuti non pericolosi all’anno e 2 tonnellate di pericolosi possono affidare la tenuta del Registro alle organizzazioni professionali. In questi casi l’imprenditore agricolo comunica all’organizzazione la produzione del rifiuto, conservando copia delle comunicazioni fatte per eventuali controlli.

L’organizzazione a sua volta provvederà ad annotare la formazione del rifiuto sul registro entro 30 giorni. Tali registri, se di nuovo acquisto, vanno vidimati presso le Camere di Commercio competenti; in caso siano detenuti prima dell’entrata in vigore del D.lgs del 13 febbraio 2008, n. 4 e vidimate dall’Agenzia delle Entrate, è consigliabile contattare la Camera di Commer-cio competente per territorio, al fine di accertare l’interpretazione legislativa della norma citata. Ulteriore obbligo per l’imprenditore agricolo è il Mud (Modello Unico di Dichiarazione ambientale).

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Il Mud (Modello Unico di Dichiarazione ambientale) è un modello at-traverso il quale devono essere denunciati i rifiuti prodotti dalle attività eco-nomiche, i rifiuti raccolti dal Comune e quelli smaltiti, avviati al recupero o trasportati nell’anno precedente la dichiarazione.

Le aziende agricole che producono rifiuti pericolosi, e con un volume d’affari annuo superiore agli 8.000 euro, hanno l’obbligo di comunicare il Mud entro il 30 aprile di ogni anno, per via telematica o cartacea, alla Camera di Commercio. Ne sono esonerate, quindi, le aziende che non producono ri-fiuti pericolosi, quelle con un volume d’affari inferiore agli 8.000 euro e che hanno in essere un accordo/contratto di conferimento al gestore del servizio pubblico. Per coloro che disattendono quest’obbligo o compilino in modo incompleto o inesatto il Registro e/o il Mud, sono previste delle sanzioni pe-cuniarie.

Le Camere di Commercio, su richiesta degli interessati, forniscono i modelli cartacei e/o su supporto magnetico (scaricabili anche tramite Inter-net). Se ne consiglia il ritiro annualmente poiché lo stesso è soggetto a mo-difiche.

7. Il SISTRI (Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti)

Il 13 gennaio 2010 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il D.M. 17 dicembre 2009 “Istituzione del sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti, ai sensi dell’articolo 189 del D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e dell’articolo 14-bis del Decreto legge n. 78/2009 convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102”.

Il SISTRI (Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti)17 nasce nel 2009 su iniziativa del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare nel più ampio quadro di innovazione e modernizzazione della Pubblica Amministrazione per permettere l’informatizzazione dell’intera fi-liera dei rifiuti speciali a livello nazionale e dei rifiuti urbani per la Regione Campania ai fini del tracciamento. La gestione informatica degli adempimen-

17 s. MagLia, M.V. baLossi, Primeosservazionialdecretosistri(D.M.17dicembre2009), in Amb.svil., 2010, 2, p. 110; b. aLberTazzi, IlnuovosIsTRI.comecambianoiMUD,iregistrieiformulari, Rimini, 2010, p. 34.

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ti ambientali prevista dal SISTRI assicura numerosi vantaggi agli Operatori. Infatti, consente un inserimento dei dati più rapido e garantisce una sensibile riduzione degli errori che vengono attualmente commessi nella compilazione cartacea del Formulario di Identificazione dei Rifiuti, del Registro di carico e scarico e del MUD.

Agli utenti del SISTRI vengono consegnati: un dispositivo elettronico per l’accesso in sicurezza dalla propria postazione al sistema, definito dispo-sitivo USB, idoneo a consentire la trasmissione dei dati, a firmare elettronica-mente le informazioni fornite e a memorizzarle sul dispositivo stesso.

Per i trasportatori sussiste un dispositivo elettronico da installarsi su ciascun veicolo che trasporta rifiuti, con la funzione di monitorare il percorso effettuato dal medesimo, definito black box e un dispositivo USB da utiliz-zarsi in modo congiunto; la consegna e l’installazione della black box avviene presso le officine autorizzate, il cui elenco è fornito contestualmente alla con-segna del dispositivo USB e disponibile sul Portale SISTRI; apparecchiature di sorveglianza per monitorare l’ingresso e l’uscita degli automezzi dagli im-pianti di discarica, di incenerimento e dagli impianti di coincenerimento de-stinati esclusivamente al recupero energetico dei rifiuti e ricadenti nel campo di applicazione del decreto legislativo 11 maggio 2005, n. 133. Perché nasce il SISTRI ?

Per garantire una maggiore azione di contrasto dei fenomeni di illegali-tà in primo luogo; per conoscere, in tempo reale, i dati relativi alla filiera dei rifiuti e per utilizzarli ai fini di specifici interventi repressivi; per semplificare le procedure attraverso la informatizzazione dei processi e l ’eliminazione di taluni adempimenti (Registro di carico/scarico, Formulario, MUD), con con-seguente riduzione dei costi per le imprese. Tale sistema è nato sullasciadelsistemadicontrolloadottatoincampaniadurantel’emergenza,ilcosiddettositra,chehamostratoevidentilacuneeproblematichedifunzionamento.

La gestione del SISTRI è stata affidata al Comando Carabinieri per la Tutela dell’Ambiente (NOE) che dovrà, altresì, garantire la messa a disposi-zione dei dati sulla produzione, movimentazione e gestione dei rifiuti.

Dal sistema sarà, così, possibile ricavare i flussi di informazione che consentiranno di adempiere agli obblighi informativi previsti dalla normativa comunitaria. Il SISTRI18 sarà interconnesso telematicamente con: l’Ispra –

18 aa.VV, Manualeambiente, Milano, 2010, p. 659; c. boVino, Tracciabilitàdeirifiuti:ilsIsTRIela

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Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale – che fornirà, attraverso il Catasto Telematico, i dati sulla produzione e la gestione di rifiuti alle Agenzie Regionali e Provinciali di Protezione dell’Ambiente. Le Agenzie Regionali e Provinciali di Protezione dell’Ambiente, a loro volta, provve-deranno a fornire i medesimi dati alle competenti Provincie. Il SISTRI sarà interconnesso anche con l’Albo Nazionale dei Gestori Ambientali, tramite il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, in ordine ai dati relativi al trasporto dei rifiuti.

L’articolo 1 del Decreto ministeriale individua: a) le categorie di soggetti tenuti a comunicare, secondo un ordine di gradualità temporale, le quantità e le caratteristiche qualitative dei rifiuti oggetto della loro atti-vità attraverso il SISTRI, utilizzando i dispositivi elettronici indicati al successivo articolo 3; b) le categorie di soggetti esonerate da tale obbligo; c) le categorie di soggetti che possono aderire su base volontaria al SISTRI.

Sono obbligati ad aderire le imprese e gli enti produttori iniziali di rifiu-ti pericolosi; le imprese e gli enti produttori iniziali di rifiuti non pericolosi di cui all’articolo 184, comma 3, lettere c), d) e g), del D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, con più di dieci dipendenti, lettera c) i rifiuti da lavorazioni industriali; lettera d) i rifiuti da lavorazioni artigianali; lettera g)i rifiuti derivanti dall’at-tività di recupero e smaltimento di rifiuti, i fanghi prodotti dalla potabilizza-zione e da altri trattamenti della acque e dalla depurazione delle acque reflue e da abbattimento dei fumi; i Comuni, gli Enti e le Imprese che gestiscono i rifiuti urbani nella territorio della Regione Campania; i commercianti e gli intermediari di rifiuti senza detenzione; i consorzi istituiti per il recupero e il riciclaggio di particolari tipologie di rifiuti che organizzano la gestione di tali rifiuti per conto dei consorziati; trasportatori professionali le imprese di cui all’art. 212, comma 5, del D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 che raccolgono e trasportano rifiuti speciali; il terminalista concessionario dell’area portuale e l ’impresa portuale ai quali sono affidati i rifiuti in attesa dell’imbarco o allo sbarco per il successivo trasporto; i responsabili degli uffici di gestione merci e gli operatori logistici presso le stazioni ferroviarie, gli interporti, gli impianti di terminalizzazione e gli scali merci ai quali sono affidati i rifiuti in attesa della presa in carico degli stessi da parte dell’impresa ferroviaria o dell’impresa che effettua il successivo trasporto; le imprese che raccolgono e

fasetransitoria, Milano, 2010, p. 1.

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trasportano i propri rifiuti pericolosi di cui all’art . 212, comma 8, del D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152; le imprese e gli enti che effettuano operazioni di recupero e smaltimento di rifiuti. In conclusione, questa riforma in chiave tecnologica dell’intero sistema dovrebbe permettere una riduzione drastica (addirittura del 50%) dei costi fino ad ora addebitati a MUD, Registro c/s e FIR. Ma una “rivoluzione” di questo genere, nonostante l’impegno di tutte le parti coin-volte, non poteva essere realizzata nel poco tempo originariamente indicato dal decreto istitutivo. E così, dopo una serie di proroghe di termini – forte-mente volute dal mondo imprenditoriale – il SISTRI è divenuto operativo il 1° ottobre 2010 per tutti i soggetti obbligati ma solo per coloro che, avendo aderito, hanno anche ricevuto in consegna i dispositivi elettronici necessari per poterlo utilizzare.

Pertanto, con un terzo correttivo SISTRI (il D.M. 28 settembre 2010, che ha seguito il D.M. 15 febbraio 2010 e il D.M. 9 luglio 2010) è stata estesa a tre mesi (1° ottobre-31 dicembre 2010) la fase transitoria a “doppio regime” (convivenza delle vecchie modalità “cartacee” di adempimento e impiego del SISTRI) durante la quale saranno applicate, nell’eventualità, le sole “vecchie” sanzioni previste per gli artt. 190 e 193 del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, Testo Unico Ambientale (TUA). In virtù di un’altra proroga, è stata anche spostata al 30 novembre 2010 la data prevista per il completamento della distribuzione dei dispositivi USB e l’installazione delle blackbox.

Dopo innumerevoli sollecitazioni da parte di Confartigianato, il Mi-nistro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo, con il Decreto 22 dicembre 2010, ha sottoscritto una nuova proroga per l’entrata in operatività del Si-stema Sistri estesa fino al 31 maggio 2011. Il decreto allunga pertanto il periodo transitorio – che originariamente era previsto dal 1° ottobre al 31 dicembre 2010 – fino al 31 maggio 2011 di ulteriori 5 mesi. Si ricorda che il periodo transitorio è caratterizzato dalla sussistenza del sistema cartaceo con il Sistema Sistri.

Per quanto riguarda la dichiarazione MUD relativa al 2010, il decre-to interviene abolendo la scadenza del 31 dicembre 2010 contenuta nell’art. 12, comma 1, del DM 17 febbraio 2009 che prescriveva l’obbligo d’invio di una comunicazione semplificata (“mini-MUD”). In sua vece viene disposto l’obbligo di comunicazione entro il 30 aprile 2011. Le informazioni relative ai rifiuti prodotti e smaltiti nell’arco del 2011 e gestite con modalità cartacea

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prima della attivazione del Sistri dovranno essere comunicate entro il 31 di-cembre 2011. Non sono ancora state fissate le modalità tecniche di comuni-cazione.

Tuttavia, a seguito di recenti incontri intercorsi con le Organizzazioni imprenditoriali, il Ministero dell’Ambiente ha dichiarato di ritenere pratica-bile l’ipotesi di una dichiarazione, denominata “Scheda SISTRI”, individuan-do, per ciò che attiene alle informazioni richieste, lo schema MUD del 2002. La modalità d’invio della dichiarazione sarà, tuttavia, solamente telematica, tramite accesso Web al portale SISTRI.

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Sezione iigestione

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Gennaro Brunetti, nicola SeneSi

Reflui urbani di depurazione: qualità agronomica e interazione con il suolo

Sommario: 1. Introduzione; 2. Composizione dei reflui urbani; 3. Interazioni tra reflui urbani e suolo; 3.1. Proprietà fisiche del suolo; 3.2. Salinità e sodicità; 3.3. Gli elementi nutritivi; 3.3.1. Azoto; 3.3.2. Fosforo; 3.3.3. Potassio; 3.4. Elementi traccia; 3.5. Composti organici naturali e di sintesi; 3.6. Pato-geni; 4. Conclusioni.

1. introduzione

Le acque reflue più comunemente usate in agricoltura come fertirriganti sono costituite per la maggior parte dai reflui urbani, dagli effluenti di indu-strie agro-alimentari ed altre industrie e dai reflui zootecnici, depurati a vari livelli tramite una serie di trattamenti in successione. L’applicazione al suolo adibito ad uso agricolo dei reflui provenienti da impianti urbani di depurazio-ne rappresenta un efficace metodo di recupero di una preziosa fonte di acqua e di elementi nutritivi, utili per le colture. inoltre, tale opzione di smaltimento evita i potenziali rischi per la salute umana e per l’ambiente globale connessi al loro sversamento diretto nei corsi d’acqua. in condizioni climatiche aride e semi-aride, tipiche degli ambienti mediterranei, in cui la disponibilità di acqua per l’irrigazione rappresenta un prerequisito essenziale per lo svilup-po dell’agricoltura, l’opportunità di usare il refluo per l’irrigazione assume un’importanza pari alla necessità del loro smaltimento. in tali condizioni inoltre le limitate fonti di acqua di elevata qualità sono rese maggiormente disponibili per altri usi.

Le acque reflue differiscono dalle comuni acque naturali usate per l’irri-gazione per la presenza di elementi fitonutritivi quali azoto, fosforo e potassio e di sostanze organiche più o meno biodegradabili e/o fitotossiche, per il mag-gior contenuto in sali inorganici solubili, soprattutto cloruri e bicarbonati di sodio, ed elementi traccia fitonutritivi e/o fitotossici, nonché per la possibile presenza di microorganismi patogeni, quali batteri, virus e parassiti in varie

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concentrazioni. La specifica composizione del refluo assume pertanto parti-colare importanza ai fini della sua destinazione per l’irrigazione.

Un corretto utilizzo agronomico dei reflui deve tenere conto di molte-plici fattori. il rischio connesso a distribuzioni inopportune non è solo quello della perdita di elementi nutritivi, ma anche di rilascio di sostanze inquinanti nel suolo, nell’atmosfera e nelle acque. Dal punto di vista agronomico, ci sono vari aspetti che concorrono a rendere particolarmente importante una corretta distribuzione dei reflui negli attuali ordinamenti agricoli.

il suolo è il recapito principale e preferito dei reflui civili, agricoli e dell’industria agro-alimentare sia per esigenze irrigue che per necessità di smaltimento. il suolo, in quanto sistema fisicamente, chimicamente e biologi-camente attivo, possiede la riconosciuta e convalidata proprietà di agire quale “filtro” dinamico, o “vivente”, nei confronti del refluo applicato, grazie alla molteplicità delle azioni fisiche, chimiche e biologiche che può esercitare. Pertanto, più che di effetti del refluo sul suolo, ovvero del suolo sul refluo, appare opportuno considerare il tipo e l’entità delle interazioni che vengono ad instaurarsi, in maniera dinamica, tra il suolo ed il refluo. tali interazioni dipenderanno, ovviamente, sia dalla composizione e dalla quantità di refluo applicato, che dalle specifiche proprietà fisiche, chimiche e biologiche del suolo considerato.

sulla base delle precedenti considerazioni, saranno dapprima presi bre-vemente in esame i principali parametri fisici, chimici e biologici che caratte-rizzano i reflui, limitatamente a quelli di origine urbana per i quali è possibile fare delle generalizzazioni. i reflui di industrie agro-alimentari e gli effluenti zootecnici più tipicizzati e quindi soggetti a trattazioni più specifiche, non saranno presi in considerazione in questo testo. nella seconda parte, si tratte-rà poi più diffusamente delle molteplici e specifiche interazioni che possono aver luogo tra il refluo ed il suolo, con accenni anche agli effetti sulle colture agrarie e sulle acque superficiali e profonde.

2. Composizione dei reflui urbani

La composizione e le caratteristiche chimiche dei reflui urbani variano al variare della natura e della fonte di acqua usata originariamente, del siste-

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ma fognario, della stagione, della natura degli eventuali scarichi industriali che pervengono nelle fognature urbane ed, ovviamente, dei trattamenti a cui il refluo grezzo è stato sottoposto.

i processi di trattamento dei reflui urbani sono classificati conven-zionalmente in primari, secondari, terziari e quaternari (Shuval 1977). Più spinto è il livello di trattamento, più elevata è la qualità dell’effluente che ne risulta e, quindi, il suo valore d’uso. i trattamenti primari consistono ge-neralmente in processi di grigliatura e dissabbiatura, deoleazione e sgrassa-tura, sedimentazione e flottazione, che consentono la rimozione dei solidi organici ed inorganici grossolani e delle sostanze grasse ed oleose presenti nel refluo grezzo. i trattamenti secondari consistono essenzialmente in pro-cessi di decomposizione biologica, aerobica e/o anaerobica, delle sostanze organiche complesse presenti e di igienizzazione del refluo, attraverso filtra-zione, lagunaggio e sedimentazione secondarie, uso di fanghi attivi, ecc. i trattamenti terziari impiegano processi quali clorurazione, microvagliature, microfiltrazione, coagulazione, precipitazione ed uso di carboni attivi ad-sorbenti, consentendo così l’ulteriore rimozione delle particelle sospese più sottili, dei nutrienti e dei fattori di eutrofizzazione, l’ulteriore abbassamento del BoD e della torbidità, nonché l’eliminazione completa dei patogeni re-sidui. i trattamenti quaternari hanno, infine, l’obiettivo di portare l’effluente a livello di acqua potabile, attraverso l’impiego di tecniche più sofisticate, quali l’ultrafiltrazione, lo scambio ionico, l’osmosi inversa, l’elettrodialisi o la distillazione. il livello di trattamento richiesto dipende, ovviamente, dal tipo di uso che dell’effluente si vuole fare, nonché dalle leggi vigenti in materia di smaltimento di acque reflue. nel caso dell’uso in agricoltura per l’irrigazione del suolo a coltura, l’effluente da trattamento secondario può generalmente considerarsi accettabile.

i reflui urbani depurati contengono in genere circa il 99.9% di acqua e lo 0.1% di materiali organici ed inorganici. in tabella 1 sono riferiti gli inter-valli di concentrazione dei principali componenti comunemente riscontrati nei reflui urbani, sia allo stato grezzo che sottoposti ai comuni trattamenti di depurazione secondaria (FeiGin et al. 1991; PettyGrove e aSano 1985). i costituenti e le proprietà più importanti degli effluenti in relazione alle loro interazioni con il suolo, le colture e le acque superficiali e profonde compren-dono: la salinità, la sodicità, gli elementi nutritivi ed in traccia, le sostanze

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organiche di origine naturale e sintetica, i solidi sospesi ed i microorganismi patogeni.

i rischi legati alla salinità ed alla sodicità del refluo vengono in genere valutati attraverso la misura della concentrazione totale dei sali in conducibili-tà elettrica (eCw), del cosiddetto “rapporto di adsorbimento del sodio” (sAR o Rna corretti), nonché dalla concentrazione di alcuni ioni specifici, quali i cloruri, i bicarbonati ed i carbonati, il sodio, il calcio ed il magnesio (FeiGin et al. 1991; PettyGrove e aSano 1985). i reflui urbani contengono in genere una concentrazione di sali superiore a quella dell’acqua originaria, in quanto essi sono introdotti dalle attività domestiche ed industriali e non vengono rimossi dai comuni trattamenti primari e secondari. nonostante le quantità assolute di sali presenti non siano in genere elevate (Tabella 1), esse possono a volte causare un aumento della salinità della fase liquida del suolo e creare problemi per le colture sensibili o poco tolleranti alla salinità. in particolare, il livello di cloruri può risultare elevato nei reflui contenenti effluenti di indu-strie alimentari che spesso usano grandi quantità di sali nei loro processi. Ciò nonostante, il tipico intervallo di concentrazione di cloruri riscontrato negli effluenti secondari (Tabella 1) è al di sotto dei livelli di rischio per la maggior parte delle colture di interesse agrario. Rischi comunque possono insorgere per le colture sensibili (tabacco, fragola, agrumi, pesco, patata, lattuga, ecc.) e per la qualità delle acque sotterranee (accademia nazionale dell’aGricol-tura 1991). La determinazione dei livelli di sodio (sodicità) nel refluo è di particolare importanza a causa del notevole impatto di questo elemento sulle proprietà del suolo e sulla produzione agraria in generale. elevati livelli di sodio possono causare degradazione fisica del suolo a causa della dispersione dei colloidi argillosi e conseguente perdita della struttura del suolo con dimi-nuzioni sensibili della permeabilità. inoltre, concentrazione di sodio elevate possono determinare una reazione alcalina del suolo ed esercitare una tossi-cità diretta su alcune piante. Altrettanto importanti sono le valutazioni degli ioni bicarbonato e carbonato che possono aumentare il rischio da sodio del refluo, causando la precipitazione del carbonato di calcio nel suolo. i livelli di calcio e magnesio riscontrati nei reflui sono generalmente simili a quelli delle acque naturali. La presenza di tali ioni nel refluo riduce i rischi da sodio, migliorandone la qualità per l’uso irriguo, oltre a risultare vantaggiosa sotto l’aspetto nutritivo.

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Tabella 1. intervalli di concentrazione dei principali costituenti di reflui urba-ni grezzi ovvero sottoposti ai comuni trattamenti di depurazione secondaria (FeiGin et al. 1991; PettyGrove e aSano 1985).

Costituenti intervalli diconcentrazione (mg/l)

Reflui grezzi effluenti secondarisolidi totali 1300-200 1200-400solidi sospesi 350-100 100-10solidi disciolti 1000-200 1100-400BoD5 350-100 80-10CoD 1000-250 160-30pH 8.0-7.0 8.1-7.8Azoto totale 85-20 50-10Azoto ammoniacale 50-10 40-1Azoto nitrico 1.5-0 10-0Azoto organico 35-5 ------Fosforo totale 36-4 17-6Potassio 25-5 40-10Cloruri 650-10 200-40Alcalinità (CaCo3 ) 400-50 700-200sodio 460-10 250-50Calcio + Magnesio 150-25 170-30sAR ------ 7.9-4.5grassi e oli 150-35 ------

tra i macronutritivi più importanti presenti nei reflui, e che ne aumen-tano il valore per l’uso irriguo, sono da considerarsi l’azoto, il fosforo ed il potassio. L’azoto risulta presente nei reflui secondari in tre diverse forme che sono, in ordine di importanza: ammoniacale, organico e nitrico (Tabella 1). L’azoto ammoniacale rappresenta spesso l’80% dell’azoto totale ed il nitri-co in genere non supera il 7% nei reflui secondari, nei quali l’azoto nitroso

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risulta presente in tracce. Date le sue importanti proprietà come elemento macronutritivo da un lato, e come potenziale inquinante delle acque superfi-ciali e sotterranee, dall’altro, la valutazione della concentrazione e delle for-me di azoto nei reflui per uso irriguo è essenziale. il fosforo è sempre presente nei reflui secondari in varie forme organiche e come fosfati inorganici (piro- meta- e polifosfati e ortofosfati) (Tabella 1). Le forme organiche di fosforo hanno origine biologica, mentre i fosfati condensati derivano da immissioni di prodotti chimici, quali i detergenti, negli effluenti urbani. il fosforo organi-co ed i fosfati condensati possono in parte trasformarsi in ortofosfati durante i trattamenti del refluo ovvero dopo l’arrivo nel suolo. Le quantità di azoto e fosforo aggiunte al suolo attraverso l’applicazione dei reflui urbani sono spes-so di considerevole entità, tali da raggiungere in alcuni casi valori simili ai li-velli standard di fertilizzazione azotata e fosfatica. Anche il potassio aggiunto tramite il refluo può raggiungere quantità ragguardevoli e tali da consentire la riduzione delle fertilizzazioni potassiche.

La valutazione della quantità di materiali organici presenti nei reflui si esegue in genere attraverso metodi empirici basati sugli indici: (a) BoD (biochemical oxygen demand), che rappresenta la quantità di ossigeno richie-sta per la degradazione microbiologica delle sostanze organiche nel refluo a 20 °C; e (b) CoD (chemical oxygen demand), che rappresenta la quantità di ossigeno necessaria per ossidare la sostanza organica presente col metodo chimico del bicromato. il test di BoD standard effettuato in laboratorio per un periodo di 5 giorni è denominato BoD5 e rappresenta il 70-80% del BoD totale (idelovich e michail 1981). i materiali organici biodegradabili presenti nei reflui sono costituiti, in massima parte, da proteine, carboidrati e grassi che in seguito alla loro biodecomposizione possono causare una diminuzione dell’ossigeno presente nel sistema e quindi l’instaurarsi di condizioni anae-robiche. il valore del CoD è generalmente più elevato di quello del BoD5. Ciò indica la presenza di sostanze organiche persistenti, ovvero scarsamente o per nulla biodegradabili, e di composti riducenti, quali solfiti, solfuri, nitriti e ferro ferroso. il trattamento secondario del refluo riduce notevolmente il livello delle sostanze organiche presenti, abbassando sensibilmente i valo-ri di BoD e CoD (Tabella 1). Le sostanze organiche residue sono presenti per la maggior parte sotto forma di composti solubili e per il resto in forma di sospensioni sottili e/o grossolane. Mentre le sostanze organiche di origi-

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ne biologica aggiunte al suolo col refluo possono avere effetti positivi sulle proprietà e fertilità del suolo, le sostanze organiche di sintesi presenti in trac-cia negli effluenti secondari (Tabella 2) possono rappresentare dei notevoli fattori di rischio di contaminazione per il suolo e per le acque superficiali e sotterranee e di tossicità per le colture. Questi composti organici di sintesi, che comprendono acidi e basi organiche, idrocarburi aromatici polinucleari, fenoli, esteri ftalici, alogenuri alifatici, ecc., sono spesso introdotti nei reflui urbani da scarichi industriali non depurati e non sono biologicamente elimi-nabili nè con i comuni trattamenti delle acque reflue, nè nel suolo. La loro identificazione e valutazione nei reflui da usare in agricoltura risulta pertanto di estrema importanza ed è sempre consigliata.

Tabella 2. intervalli di concentrazione di alcune classi di contaminanti orga-nici riscontrabili comunemente negli effluenti secondari (overcaSh 1983).

Classe intervallo di concentrazione(mg/l)

Alogenuri alifatici 0.16-48Aromatici sostituiti 0.21-18esteri ftalici 0.21-21Aromatici polinucleari 0.16-0.68

nella tabella 3 sono presentati i valori tipici di numerosi elementi trac-cia riscontrati sia nei reflui grezzi che negli effluenti secondari. La presenza di tali elementi e la loro quantità nell’effluente secondario dipende dalla natura e dalla composizione del refluo grezzo e dai metodi di trattamento usati. Ad esempio, il boro è immesso nei reflui attraverso scarichi contenenti detergenti e saponi e risulta tossico per molte piante a valori relativamente bassi (> 0.5 mg/l). Piante tolleranti a concentrazioni più elevate di boro sono, ad esempio, il cotone e l’asparago. in genere, il trattamento secondario riduce il contenuto di elementi traccia nel refluo attraverso la sedimentazione dei solidi sospesi. i valori riferiti in tabella 3 indicano che in genere i contenuti di elementi trac-cia potenzialmente inquinanti per il suolo e per le acque superficiali e sotter-ranee e/o fitotossici sono al di sotto delle soglie di rischio e che tali effluenti possono essere applicati al suolo anche per tempi lunghi senza incorrere in ri-

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schi da inquinamento. La presenza e la quantità di tali elementi va comunque sempre tenuta sotto controllo nel refluo da usare per l’irrigazione, ad evitare che fenomeni di accumulo nel suolo possano indurre fenomeni di fitotossicità ovvero trasferimento nei corsi d’acqua.

Tabella 3. intervalli di concentrazione (mg/l) di elementi traccia negli effluen-ti urbani grezzi e secondari e livelli massimi consentiti nelle acque di irriga-zione (chanG e PaGe 1983; PaGe e chanG 1985).

elemento Refluogrezzo

effluente secondario

Livelli massimipermessia

lungo termine

breve termineb

Arsenico <0.0003-1.9 <0.005-0.023 0.1 10

Boro <0.123-20.0 <0.1-2.5 0.75 2.0

Cadmio <0.0012-2.1 <0.005-0.15 0.01 0.05

Cromo <0.0008-83.3 <0.005-1.2 0.1 20.0

Mercurio <0.0001-3.0 <0.0002-0.001 ---- ----

Molibdeno <0.0011-0.9 0.001-0.0018 0.01 0.05

nichel 0.002-111.4 0.003-0.6 0.2 2.0

Piombo 0.001-11.6 0.003-0.35 5.0 20.0

Rame <0.0001-36.5 <0.006-1.3 0.20 5.0

selenio <0.002-10.0 <0.005-0.02 0.02 0.05

Zinco <0.001-28.7 0.004-1.2 2.0 10.0

a) i valori dei livelli massimi permessi sono riferiti a una dose di applicazione del refluo pari a 1200 mm/anno.

b) Valori da usare su suolo a tessitura fine.

La eccessiva presenza di solidi in sospensione negli effluenti secondari (Tabella 1) può creare problemi per il suolo, occludendone i pori, soprattutto

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nella zona superficiale, causando così una riduzione della velocità di infil-trazione dell’acqua e della conducibilità idraulica, nonché dell’aerazione. i trattamenti di depurazione primario e secondario dovrebbero comunque assi-curare un abbattimento del livello dei solidi sospesi a valori tali da non creare problemi per il suolo.

i reflui grezzi contengono molti microorganismi patogeni, quali batteri, virus e parassiti, che vengono in genere eliminati durante i processi di tratta-mento biologico e di igienizzazione dell’effluente, che rimuovono quasi del tutto anche le sostanze grasse ed oleose presenti.

3. interazioni tra reflui urbani e suolo

La valutazione delle caratteristiche dei suoli è finalizzata all’obietti-vo di contribuire alla definizione delle dosi, delle epoche di spandimento e delle tecniche agronomiche complementari, in grado di conseguire i livelli desiderati di efficienza agronomica dei reflui. La valutazione dei siti destinati all’utilizzo agricolo dei reflui deve essere mirata a comprendere l’influenza che le condizioni litologiche, morfologiche e di drenaggio superficiale pos-sono avere sul trasporto dei nutrienti generati dal processo di degradazione. infatti, l’efficienza depurativa del sistema suolo-pianta, è controllata da un elevato numero di variabili ambientali, legate al clima, alla morfologia del terreno, alle caratteristiche pedologiche, al tipo di copertura vegetale, alle proprietà idrauliche di superficie e di profondità. ne consegue che porzioni diverse del territorio possono caratterizzarsi per il fatto di avere una differente attitudine a ricevere i reflui. A riguardo alcune regioni, da parecchi anni, si stanno dotando di utili cartografie indicanti informazioni sui suoli e le loro at-titudini ai diversi usi. il comportamento idrologico del suolo, inoltre, influen-za l’infiltrabilità ed il ruscellamento dei liquami. La condizione in cui si trova il terreno è fondamentale nella valutazione della possibilità di spandimento da parte del refluo.

il suolo esercita tutta una serie di effetti nei confronti del refluo che ad esso perviene, grazie alla sua intrinseca natura di sistema poroso, dinamico ed attivo sia sotto l’aspetto fisico, che chimico e microbiologico. tuttavia il suo-lo subisce l’azione dello stesso refluo che può, in misura più o meno estesa,

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influenzarne e modificarne, vantaggiosamente o svantaggiosamente, numero-se proprietà e funzioni fisiche, chimiche e biologiche di estrema importanza sia per la fertilità e per la produzione vegetale, che in relazione a potenziali fenomeni di inquinamento, di fitotossicità e di contaminazione delle acque superficiali e profonde.

L’apporto di effluenti al suolo ha come effetto immediato quello di inte-ragire e modificare, sia sotto l’aspetto stechiometrico e quali-quantitativo che termodinamico e cinetico, tutta una serie di complesse reazioni ed equilibri fisici, chimici, fisico-chimici e biologici. Mentre i costituenti solidi più gros-solani del suolo, quali la sabbia e il limo, essendo poco o per nulla reattivi chimicamente e biologicamente, interagiscono col refluo secondo azioni di tipo prevalentemente fisico-meccanico, le frazioni più sottili, quali i minerali argillosi e la sostanza organica, sono coinvolte in misura di gran lunga mag-giore nelle interazioni col refluo, determinandone in misura prevalente la sua stessa accettabilità per il suolo.

Le principali proprietà del suolo implicate nelle interazioni con le acque reflue sono: la tessitura e la struttura, la porosità, la velocità di infiltrazione, la permeabilità o conducibilità idraulica, il tipo di minerali argillosi, la capacità di scambio cationico, il pH e il potenziale redox, il contenuto e la natura del-la sostanza organica, il livello dell’attività microbica, la composizione della fase liquida e del complesso di scambio, il contenuto in elementi nutritivi e in calcare.

3.1. Proprietà fisiche del suoloLe proprietà fisiche del suolo, quali la tessitura (o composizione granu-

lometrica), la struttura (tipo, stabilità) e la porosità sono decisive nel determi-nare i valori di parametri chiave quali la velocità di infiltrazione, la permeabi-lità e la conducibilità idraulica. tali parametri, a loro volta, determineranno i tempi di permanenza e la mobilità del refluo nel suolo, e quindi influenzeran-no indirettamente la tipologia e l’entità delle reazioni chimiche e biologiche che potranno avere luogo tra i componenti del refluo ed il suolo.

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Tabella 4. tipici valori della velocità di infiltrazione (mm/ora) in vari tipi di suoli (FeiGin et al. 1991).

tipi di suolo Velocità di infiltrazionesabbioso >20

sabbioso-argilloso 15 - 10

Limoso-argilloso 10 - 6.5

argilloso 7.5 - 2

La velocità di infiltrazione del refluo nel suolo dipende sia dalla tes-situra (Tabella 4) che dalla struttura, nonché dal contenuto iniziale di acqua nel suolo e dalle dosi di applicazioni del refluo. L’esistenza di una struttura instabile nel suolo può provocare la formazione di croste con notevoli ridu-zioni della velocità di infiltrazione. Allorché la velocità di infiltrazione risulta minore della dose di applicazione, si potrà verificare ristagno o ruscellamento del refluo sul suolo.

La conducibilità idraulica, ovvero la permeabilità del suolo (Tabella 5), dipende prevalentemente dalla tessitura, con valori elevati per terreni sab-biosi e bassi per terreni argillosi. nei suoli caratterizzati da bassi valori di conducibilità idraulica, gli eccessivi tempi di persistenza (ristagno) del refluo nel suolo creeranno condizioni di anaerobiosi con gravi ripercussioni su tutte le proprietà chimiche e biologiche del suolo e sulle sue funzioni di fertilità. suoli con classe di permeabilità moderata e rapida assicureranno invece tem-pi di persistenza adeguati all’instaurarsi delle interazioni tra componenti del refluo, suolo e pianta. infine, i valori di conducibilità idraulica molto elevati determineranno tempi di ritenzione troppo brevi acché le interazioni possano aver luogo con rischi di contaminazione per le acque sotterranee.

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Tabella 5. Classi di permeabilità e conducibilità idraulica del suolo.

Classe di permeabilità Conducibilità idraulica(cm/ora)

estremamente lenta <0.003

Molto lenta 0.003-0.025

Lenta 0.025-0.25

Moderata 0.25-2.5

Rapida 2.5-25.4

Molto rapida >25.4

3.2. salinità e sodicitàgli effetti sul sistema suolo-pianta dovuti alla salinità ed alla sodicità

dei reflui usati per l’irrigazione sono simili a quelli provocati dalle comuni ac-que di irrigazione. simili pertanto sono in entrambi i casi anche le procedure di controllo di qualità, la valutazione dei rischi e le limitazioni d’uso collegati a questi due parametri (Sequi 2005; PettyGrove e aSano 1991).

L’aumento della salinità nella fase liquida del suolo, in seguito all’in-troduzione dei sali presenti nell’effluente usato per l’irrigazione, può deter-minare tre possibili effetti sul sistema suolo-pianta: (a) effetto “osmotico” sulle piante, che dipende dalla concentrazione totale di sali dissolta nella fase liquida del suolo; (b) un effetto negativo sulle condizioni fisiche del suolo, nel caso di elevata concentrazione in sodio e bassa salinità totale; e (c) effetti di tossicità da ioni specifici, che possono essere causati da elevate concentrazio-ni di specifici ioni.

L’effetto “osmotico” sulle colture consiste nel maggiore lavoro che la pianta deve compiere per adattare la concentrazione salina nei suoi tessuti (adattamento osmotico), soprattutto nell’apparato radicale, a quella esterna, al fine di poter assumere l’acqua necessaria dalla fase liquida del suolo. Ciò provoca un abbassamento dell’energia disponibile per la crescita generale e lo sviluppo equilibrato della pianta, con ripercussioni negative sulla produ-zione, allorché si supera il valore soglia di salinità (espresso come conducibi-

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lità elettrica, eCe, nella fase liquida del suolo), caratteristico per ogni specie vegetale. Le diverse piante di interesse agrario hanno valori di tolleranza alla salinità molto diversi, variando dalle più sensibili alle più tolleranti (FeiGin et al. 1991; PettyGrove e aSano 1985; Sequi 1989). Altri parametri che in-fluenzano la risposta della pianta alla salinità sono i fattori climatici, quali la temperatura e l’umidità, la stagione, l’età, lo stadio vegetativo e le condizioni generali di fertilità del suolo. i danni da salinità sono in genere più gravi nei climi molto caldi e secchi, soprattutto per le specie più sensibili.

L’accumulo dei sali nella fase liquida del suolo dipende non solo dalla quantità di sali che ad esso pervengono dal refluo, ma anche dalla frazione di sali rimossa dal suolo per lisciviazione e allontanata tramite un drenaggio adeguato. Pertanto, l’applicazione di una quantità di refluo superiore a quella che può essere trattenuta dal suolo ed utilizzata dalla pianta assicura la rimo-zione di una certa quantità di sali per lisciviazione, evitandone l’accumulo oltre certi limiti prefissati nella fase liquida del suolo. Usando quindi una determinata frazione di lisciviazione, la salinità della fase liquida del suolo raggiungerà, dopo un certo tempo, un valore di equilibrio che si manterrà ab-bastanza costante nel tempo. È stato valutato che, per frazioni di lisciviazioni intorno a 0.15-0.20, l’uso dei reflui con eCw < 0.7 mmho/cm (o ds/m ), non dovrebbe in nessun caso dar luogo a problemi di salinità, mentre per reflui con eCw tra 0.7 e 3.0 mmho/cm (salinità da leggera a moderata) sono preve-dibili limitazioni d’uso, ovvero particolari pratiche di gestione. infine, reflui con eCw > 3.0 mmho/cm sono soggeti a limitazioni d’uso ed attenta gestione per il controllo della salinità nel suolo. Un drenaggio adeguato è comunque sempre richiesto nell’uso a lungo termine di acque reflue per l’irrigazione.

L’elevata concentrazione di sodio nell’effluente esercita effetti negativi sulle proprietà fisiche del suolo, in particolare ne deteriora la struttura, ne riduce la porosità, la velocità di infiltrazione, la permeabilità, e l’aerazione. L’insediamento di quantità eccessive di ioni sodio sul complesso di scambio del suolo (percentuale di sodio di scambio, esP > 15%) determina la dilata-zione del doppio strato elettrico, con conseguente rigonfiamento e dispersione delle argille, perdita della struttura e diminuzione della permeabilità del suolo all’acqua ed all’aria. tali effetti sono causati da elevati valori del sodio e bassi valori della salinità (calcio più magnesio). Valori di salinità elevata riduco-no in parte gli effetti negativi dovuti ad un valore elevato del sodio, mentre

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quando la fase liquida del suolo si diluisce, per intensa lisciviazione o forti piogge, esso diventa più sensibile all’effetto disperdente causato dal sodio, con formazione di croste e conseguenti fenomeni di ristagno, ruscellamento o erosione. L’effetto del sodio è influenzato, oltre che dal calcio e magne-sio, dalla presenza di carbonati e bicarbonati e dalla concentrazione di Co2, che tendono a precipitare ovvero a dissolvere il calcio. Al fine di valutare e prevedere correttamente i potenziali problemi di permeabilità per il suolo è opportuno pertanto usare congiuntamente il valore dell’eCw e del rapporto di adsorbimento del sodio (sAR), possibilmente corretto (adj Rna), cioè tenen-do in conto i fenomeni appena descritti (fig. 1) (PettyGrove e aSano 1985; FeiGin et al. 1991; Sequi 1989).

La natura dei minerali argillosi presenti nel suolo esercita un ruolo im-portante sugli effetti di dispersione provocati dal sodio. La montmorillonite è il minerale più dilatabile e pertanto più sensibile agli effetti negativi del sodio, mentre l’illite è moderatamente sensibile e la caolinite la meno sensi-bile a tali fenomeni. gli effetti dovuti alla sodicità del refluo, in particolare la formazione di croste e la riduzione della velocità di infiltrazione risultano poi particolarmente marcati nei terreni limosi.

Problemi di fitotossicità dovuti alla presenza di ioni specifici spesso accompagnano e complicano i problemi dovuti all’eccessiva salinità e/o sodi-cità del refluo. sotto questo aspetto gli ioni di maggior rilievo sono il sodio ed i cloruri. Le specie di interesse agrario presentano diverse soglie di tossicità per questi ioni, risultando più o meno tolleranti o sensibili. Particolarmente sensibili ai cloruri ed al sodio, per le turbe nutrizionali causate dall’ecces-siva assimilazione di questi ioni relativamente ai nitrati ed al calcio e po-tassio, sono le specie legnose, quali gli agrumi e l’avocado, mentre molto più tolleranti risultano gli ortaggi e le specie da granella, da foraggio e da fibra (PettyGrove e aSano 1985). gli effetti di tossicità dovuti al sodio ed ai cloruri dipendono anche dai sistemi di irrigazione usati, risultando in genere accentuati in condizioni climatiche di elevata temperatura e bassa umidità, per cui l’irrigazione notturna in questi casi riduce notevolmente i rischi di tossicità. nonostante il boro sia un micronutritivo essenziale, effetti di fito-tossicità compaiono per concentrazioni nel refluo al di sopra di 0.5-1.0 mg/l. il boro viene fortemente adsorbito nei terreni ricchi di argilla, che ne abbassa l’attività in soluzione e quindi lo rende meno disponibile per le piante. nei

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terreni argillosi pertanto la fitotossicità da boro risulta fortemente limitata. in tali terreni comunque il boro è estremamente difficile da rimuovere e può accumularsi in notevoli quantità.

3.3. gli elementi nutritivigli elementi nutritivi presenti negli effluenti secondari apportati al suo-

lo ne accrescono la fertilità a vantaggio della produzione vegetale. in alcu-ni casi, comunque, le quantità apportate risultano eccessive per le necessità delle colture e possono causare problemi, stimolando un eccessivo sviluppo vegetativo, dilazionando la maturazione, o riducendo la qualità del prodot-to (PettyGrove e aSano 1985). È consigliabile pertanto effettuare controlli periodici del refluo usato per valutarne la quantità di nutrienti, che in ogni

Figura 1. Curve della salinità e del rapporto di adsorbimento del sodio (sAR) indicanti combinazioni di sAR e di conducibilità elettrica in grado di promuovere condizioni di permeabilità favorevoli o sfavorevoli nel suolo.

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caso vanno considerati come parte della dose di fertilizzanti programmata. i nutrienti presenti nei reflui in quantità importanti per l’agricoltura sono so-prattutto l’azoto ed il fosforo, ed occasionalmente il potassio.

3.3.1. AzotoL’irrigazione con effluenti secondari apporta al suolo considerevoli

quantità di azoto, influenzandone la disponibilità, l’assunzione da parte delle colture, la lisciviazione al di sotto del livello delle radici e le perdite per vo-latilizzazione.

nello strato superficiale dei comuni terreni, l’azoto è presente preva-lentemente (circa 90%) in forme organiche, mentre il resto si trova come ione ammonio, legato ai minerali argillosi in forme non-scambiabili e scam-biabili, e come ione nitrato solubile. Le varie forme di azoto presenti nel terreno fanno parte di un ciclo dinamico, di cui diviene parte integrante l’azoto del refluo, prevalentemente sotto forma di ione ammonio, non ap-pena esso è applicato al suolo. Le quantità di azoto apportate al suolo dai reflui di irrigazione possono raggiungere valori simili o addirittura superiori a quelle applicate con le fertilizzazioni azotate standard (FeiGin et al. 1991). Valori eccessivi di azoto nel suolo, determinati dall’apporto del refluo pos-sono avere effetti positivi negli stadi iniziali della crescita, ma negativi alla maturazione. in alcuni casi l’eccesso di azoto causa riduzione della resa e della qualità dei fruttiferi, ritardo della maturazione nel cotone, riduzione del contenuto in zuccheri della barbabietola da zucchero e in amido della patata (PaGe et al. 1983; Bower and chaney 1974). i principali fenomeni cui può soggiacere l’azoto apportato dal refluo nel suolo sono l’adsorbimento in forme scambiabili da parte del complesso di scambio, la mineralizzazio-ne-immobilizzazione e la nitrificazione-denitrificazione, con assunzione da parte delle piante, ovvero perdita per ruscellamento o lisciviazione o vola-tilizzazione.

L’azoto organico è soggetto nel suolo alla decomposizione microbica in forme inorganiche semplici e disponibili per la nutrizione vegetale, quali gli ioni ammonio e nitrato. i responsabili dei processi di mineralizzazione sono i microorganismi eterotrofi che usano i composti organici che contengono azo-to come sorgente di energia. Poiché il rapporto C/n nella sostanza organica degli effluenti secondari è generalmente intorno a 5, questi materiali risultano

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facilmente decomponibili nel suolo e l’effetto dell’irrigazione con gli effluen-ti risulta simile a quella della fertilizzazione.

Le forme inorganiche di azoto (prevalentemente nH4+ e no3-) che pervengono al suolo attraverso l’irrigazione col refluo, ovvero sono prodotte dalla mineralizzazione dell’azoto organico, oltre a poter essere direttamente assunte dalle piante superiori, possono essere soggette a fenomeni di tempo-ranea immobilizzazione per assimilazione da parte dei microorganismi del suolo. La velocità relativa dei fenomeni di mineralizzazione ed immobilizza-zione dipende dalla quantità e dalla natura della sostanza organica apportata col refluo e presente nel suolo, dal livello dell’azoto inorganico e dalle condi-zioni e proprietà del suolo, quali umidità, aerazione, temperatura e pH.

gli ioni ammonio sono prevalentemente adsorbiti in forme scambiabili dal suolo, ma possono subire anche fenomeni di fissazione in forme non scam-biabili da parte di certi tipi di minerali argillosi, quali le illiti, ovvero volatiliz-zazione in suoli alcalini, o ancora essere soggetti ai fenomeni di ossidazione a ione nitrato (nitrificazione). i batteri responsabili dei processi di nitrificazione nel suolo sono i nitrosomonas e i nitrobacter e la velocità di nitrificazione dipende da diversi fattori, quali i livelli di nH4+ e no3-, l’aerazione, l’umi-dità, la temperatura ed il pH. La nitrificazione avviene con difficoltà nei suoli asciutti, ed aumenta all’aumentare dell’umidità e dell’aerazione in rapporto adeguato. il valore ottimale di temperatura per la nitrificazione si aggira sui 20-40 °C e di pH tra 6 e 8.

L’irrigazione con effluenti secondari influenza il livello dei nitrati nel terreno, nel sottosuolo e nelle acque profonde, al variare della qualità e quan-tità dell’effluente, della fertilizzazione azotata, delle proprietà del suolo, del tipo di coltura e delle condizioni climatiche. i nitrati nel suolo, oltre ad essere facilmente disponibili ed assunti dalle piante, possono essere immobilizzati da parte dei microorganismi ovvero facilmente allontanati per ruscellamento o lisciviazione fino alle acque sotterranee, grazie alla loro elevata solubilità e non adsorbibilità da parte dei colloidi a carica negativa del suolo. nei suoli acidi (pH < 5.5-6), ovvero nei suoli ricchi di minerali amorfi di origine vul-canica, la presenza di materiali a carica positiva e capaci di adsorbire lo ione nitrato rende la lisciviazione dei nitrati minore.

i nitrati possono anche subire nel suolo fenomeni di denitrificazione che portano alla perdita di azoto per volatilizzazione sotto forma di ossidi

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di azoto e, soprattutto, di azoto molecolare. La denitrificazione ha luogo in condizioni di anaerobiosi ed è operata da microorganismi capaci di ridurre gli ossidi d’azoto in presenza di carbonio organico con azione riducente. i valori ottimali di temperatura e pH per la denitrificazione sono rispettivamente tra 50 e 70 °C e tra 6 e 8 unità di pH. il processo è quindi controllato soprattutto dalla disponibilità di carbonio organico e dallo stato di anaerobiosi del suo-lo. La quantità di azoto perduta per denitrificazione può variare da quasi 0 a 90% dell’azoto applicato, a secondo della composizione e proprietà del suolo. in generale, terreni a tessitura grossolana, ben drenati, ed a basso contenuto di sostanza organica presentano bassi livelli di denitrificazione, che assume valori medi nei suoli sabbioso-argillosi e raggiunge valori elevati nei terreni limoso-argillosi e argillosi (PettyGrove e aSano 1985).

3.3.2. Fosforogli effluenti secondari spesso contengono un elevato contenuto di fo-

sforo (Tabella 1) e rappresentano una importante fonte dell’elemento per il suolo, potendo parzialmente, ed in alcuni casi del tutto, sostituire la fertilizza-zione fosfatica. La quantità di fosforo apportata al suolo dai reflui è ritenuta in genere non eccessiva. Un eccesso di fosforo, anche se generalmente non pone problemi per la nutrizione vegetale, può causare, se in forma disponibile, sbi-lanci nutritivi, quali deficienze di Cu, Fe e Zn (FeiGin et al. 1991).

L’applicazione del fosforo tramite l’effluente determina un immediato incremento del livello di fosforo solubile nel suolo, seguito poi da un rapido calo (entro uno o due giorni). tale rapido abbassamento dipende solo in pic-cola parte dall’assunzione del fosforo da parte delle colture, ma soprattutto dai noti fenomeni di immobilizzazione cui è soggetto il fosforo nel suolo. Ciò, in seguito ai processi di adsorbimento anionico da parte dei colloidi del suolo e di precipitazione come fosfati insolubili di Ca nei suoli calcarei a pH > 6.5-7 e di Al e Fe nei suoli acidi a pH < 5.5-6. L’immobilizzazione del fosforo da parte dei microorganismi del suolo è alquanto ridotta, mentre solo una piccola frazione del fosforo apportato (< 3%) viene mobilizzato ed allon-tanato per ruscellamento o per lisciviazione.

3.3.3. Potassioil contenuto di potassio negli effluenti secondari (Tabella 1) non è ge-

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neralmente elevato, per cui l’apporto al suolo tramite l’irrigazione con i reflui solo raramente può soddisfare le esigenze di potassio delle colture, mentre estremamente improbabili sono i casi di eccesso.

il potassio apportato col refluo aumenta il livello dell’elemento pre-sente nella fase liquida del suolo e disponibile per le colture, ma buona parte soggiace facilmente sia ai fenomeni di adsorbimento in forma scambiabile da parte degli scambiatori del suolo, che a fenomeni di fissazione in forme non scambiabili da parte di alcuni minerali argillosi, nonché alla lisciviazione. La capacità di ritenzione del potassio apportato dal refluo dipende soprattutto dal valore della capacità di scambio del suolo (CeC). Maggiore è la CeC, minore è la quantità di potassio mobilizzato lungo il profilo. La lisciviazione risulta maggiore nei suoli a tessitura grossolana, mentre in quelli ricchi in argilla il potassio è prevalentemente trattenuto. Un aumento del pH fino a 6-6.5 in suoli sabbiosi acidi riduce la lisciviazione del potassio (FeiGin et al., 1991). il suolo subisce significative perdite di potassio anche per ruscellamento ed erosione.

3.4. elementi tracciagli elementi traccia sono normalmente presenti in basse concentrazioni

nei sistemi naturali, quali il suolo e le acque. Molti di essi sono considerati micronutritivi essenziali per le funzioni biologiche che svolgono, se presenti in piccole quantità, negli organismi, mentre altri sono ritenuti non essenziali alla vita. tutti questi elementi assumono un carattere tossico per le piante e/o gli animali, allorché sono presenti in quantità disponibili eccedenti determinati valori soglia. il margine tra la concentrazione raccomandata (o accettabile) e quella tossica è in genere molto ristretto. Pertanto, il rischio che nel suolo si possano superare i valori limite è incombente e va sempre tenuto in debita con-siderazione. L’apporto incontrollato di elementi traccia al suolo è sempre da evitare, in quanto, se se ne verifica un accumulo, risulta praticamente impossi-bile rimuoverli. gli elementi traccia, in definitiva, rappresentano un potenziale fattore di tossicità per le colture, e quindi per la catena alimentare, nonché di rischio per la possibile traslocazione nelle acque superficiali e/o sotterranee.

i reflui urbani contengono sempre una gran varietà di elementi traccia in concentrazioni molto variabili a seconda della loro origine e delle attività dell’ambiente urbano da cui provengono. nonostante i sistemi di depurazione

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secondaria dei reflui urbani non prevedano trattamenti specifici tendenti ad eliminare gli elementi traccia, essi risultano in gran parte rimossi, in forme adsorbite o di precipitati, con i solidi in sospensione. in definitiva, essi si concentrano nei fanghi di depurazione, più che negli effluenti. Pertanto, la concentrazione degli elementi traccia nei reflui secondari (Tabella 3) risul-ta in genere ben al di sotto dei limiti richiesti per le acque di irrigazione e le quantità realmente apportate al suolo con tali effluenti sono generalmente bassi. Ciò nonostante, il livello degli elementi traccia è una caratteristica im-portante e molto variabile degli effluenti secondari usati per l’irrigazione e va sempre tenuto rigorosamente sotto controllo analitico sia nel refluo, che nel suolo e nei tessuti vegetali. Poiché gli elementi traccia tendono ad accumular-si nel suolo, irrigazioni con reflui urbani molto prolungate nel tempo possono portare ad incrementi marcati della loro concentrazione nel suolo ed all’insor-gere di effetti tossici dilazionati nel tempo. stime attendibili suggeriscono co-munque che un tipico effluente secondario può essere applicato per circa 100 anni al suolo, alla dose di irrigazione comunemente usata nelle regioni aride e semi-aride di 1200 mm/anno, prima che l’accumulo di qualsiasi elemento traccia nel suolo possa raggiungere la soglia di rischio attualmente proposta per l’elemento (PaGe e chanG 1985).

tra gli elementi traccia comunemente riscontrati negli effluenti secon-dari, il Mn, Fe, Al, Cr, As, se, sb, Pb e Hg sono presenti in concentrazioni talmente basse e/o hanno attività chimica talmente ridotta nel suolo, che il loro apporto col refluo non è ritenuto rischioso per le colture agrarie e l’am-biente in generale. il Cd, Cu, ni, Zn, Mo e B sono considerati invece elementi traccia che possono limitare l’uso dei reflui per l’irrigazione. Ciò, a causa sia della loro concentrazione a volte relativamente elevata nel refluo, che della fi-totossicità dilazionata nel tempo che può insorgere in seguito al loro accumu-lo nel suolo. in certe condizioni, per esempio nel caso di suoli che presentano microdeficienze nutritive come i suoli calcarei, l’apporto di micronutritivi con i reflui può risultare molto vantaggioso per le colture.

gli elementi traccia sono presenti negli effluenti secondari sia nelle par-ticelle solide in sospensione che allo stato dissolto. La frazione associata ai solidi sospesi viene trattenuta dal suolo soprattutto per filtrazione e pertanto si accumula nella zona superficiale, mentre la frazione disciolta si infiltra e penetra nel suolo entrando a far parte della sua fase liquida.

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gli elementi traccia nello stato sospeso e, soprattutto, nello stato dissol-to interagiscono con i componenti del suolo attraverso numerosi e differenti reazioni chimiche, tra cui le principali sono: lo scambio ionico, l’adsorbi-mento specifico (o chemiadsorbimento), la precipitazione e la formazione di complessi (fig. 2). Altri processi cui soggiacciono gli elementi traccia nel suolo sono l’assunzione da parte delle piante superiori e l’incorporazione da parte dei microorganismi, varie reazioni di ossidoriduzione abiotiche e/o bio-tiche ed, eventualmente (As, se, Hg), la volatilizzazione (fig. 2). tutte que-ste reazioni possono verificarsi in parte simultaneamente e sono più o meno reversibili, in dipendenza di diversi fattori cinetici e termodinamici che le influenzano e delle condizioni e proprietà del suolo.

Figura 2. Diagramma schematico dei possibili processi che gli elementi traccia possono subire nel suolo.

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Le principali proprietà del suolo che influenzano la solubilità e quindi la ritenzione degli elementi traccia sono: la tessitura, la CeC, il pH e il con-tenuto in sostanza organica ed in ossidi amorfi di Fe, Al e Mn (FeiGin et al. 1991; PaGe e chanG 1985; chanG e PaGe 1983). il livello di ritenzione di molti elementi traccia sia cationici che anionici aumenta all’aumentare della CeC e del contenuto in argilla e in ossidi di ferro del suolo. Piccole varia-zioni nel pH provocano notevoli variazioni nell’adsorbimento degli elementi traccia sulle superfici dei componenti del suolo. in particolare, la solubilità degli elementi cationici aumenta e quella degli elementi anionici diminuisce, al diminuire del pH. La presenza e la natura della sostanza organica del suolo influenza notevolmente la solubilità di molti elementi traccia che possono formare complessi stabili con ligandi organici.

La maggior parte dei suoli presenta un’elevata capacità di ritenzione nei confronti degli elementi traccia, che si accumulano in gran quantità nello strato superficiale (circa 20 cm). Ciò nonostante, la capacità del suolo a trat-tenere questi elementi non è illimitata e fenomeni di lisciviazione sino alle acque profonde, anche se limitati, sono stati riscontrati soprattutto in terreni con elevata velocità di infiltrazione ed elevata conducibilità idraulica.

3.5. Composti organici naturali e di sintesiPoiché i metodi di trattamento primari e secondari standard rimuo-

vono la maggior parte dei materiali organici presenti allo stato sospeso e dissolto nei reflui grezzi, i valori tipici di BoD e CoD negli effluenti se-condari sono molto minori che nel refluo grezzo (Tabella 1) e le quantità di sostanze organiche apportate al suolo dall’effluente risultano relativamente basse. Per esempio, l’applicazione di 1200 mm/anno di un comune effluente secondario contenente 50 mg/l di C organico ne apporta al suolo 600 Kg/ha all’anno.

La maggior parte dei composti organici presenti negli effluenti sono di origine naturale e, data la loro bassa concentrazione ed il favorevole rapporto C/n, risultano favorevoli alla fertilità del suolo, in seguito al rilascio di azoto e altri elementi nutritivi per mineralizzazione. inoltre, essi esercitano effetti positivi sulla struttura del suolo e sulla sua stabilità. effluenti che presenta-no un elevato valore residuo di BoD possono comunque creare problemi

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riducendo il livello di ossigeno nel suolo con intensificazione dei processi di denitrificazione.

insieme alle sostanze organiche di origine naturale, negli effluenti se-condari è riscontrata la presenza di numerosi composti organici di origine sin-tetica in concentrazioni molto basse (in traccia) e tutti intrinsecamente tossici (Tabella 2). sebbene i processi di trattamento primari e secondari convenzio-nali non prevedono in maniera specifica la rimozione di composti organici in traccia, tali processi riducono notevolmente il loro numero e la loro concen-trazione nel refluo, per cui l’impatto ambientale associato alla loro applica-zione al suolo risulta nettamente inferiore a quello derivante da altre fonti di inquinamento organico, quali i pesticidi ed i loro residui.

i principali processi cui i composti organici in traccia sono soggetti nel suolo, e che ne riducono notevolmente l’impatto ambientale, sono l’adsor-bimento, la volatilizzazione, la degradazione biotica e abiotica e la fotode-composizione. inoltre, tali composti possono in parte traslocare dal suolo alle acque superficiali per ruscellamento ed alle acque profonde per lisciviazione, nonché essere assunti dalle piante superiori e/o dai microorganismi.

gli indici normalmente usati per descrivere e valutare il comportamen-to ed il destino dei composti organici in traccia nel suolo sono simili a quelli usati per i pesticidi: il coefficiente di ripartizione tra acqua e aria, Kw, il coef-ficiente di adsorbimento, Kd o Koc, ed il coefficiente di ripartizione ottanolo-acqua, Kow (chanG e PaGe 1985). L’entità dei fenomeni di volatilizzazione viene valutata attraverso la misura del coefficiente di ripartizione del compo-sto tra la fase liquida e la fase gassosa, Kw . Molti composti aromatici, quali il benzene, il toluene, il cicloesano e l’acido benzoico sono volatili e possono essere in parte rimossi dal suolo per evaporazione. L’aumento della tempe-ratura e della ventilazione aumenta la volatilizzazione, mentre l’aumento del contenuto in sostanza organica la diminuisce. i valori dei coefficienti Kd , Koc e Kow danno una misura dell’adsorbimento del composto organico da parte dei costituenti del suolo ed in particolare della sostanza organica.

i fenomeni di degradazione possono essere di natura chimica, di natura biologica, cioè catalizzati da enzimi ed operati da microorganismi del suolo, e di natura fotochimica (SeneSi 1993). L’entità e la velocità di tali proces-si dipende dalle proprietà chimiche del composto organico, dalle proprietà del suolo e dal tipo di microorganismi presenti. nella tabella 6 sono riferiti

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alcuni esempi di valori di vita media per alcuni composti organici. Alcuni composti organici in traccia apportati al suolo con i reflui, quali i fenoli e i chinoni, possono inibire alcune attività enzimatiche nel suolo e/o ridurre alcune popolazioni microbiche. Alcuni composti organici, quali gli aromatici polinucleari e fenolici, possono anche essere degradati per via fotolitica alla superficie del suolo (SeneSi 1993).

Tabella 6. Valori di vita media relativi alla decomposizione di alcuni compo-sti organici (overcaSh 1983).

Composto Valori approssimatividi vita media

Amminoantrachinoni 100-2200 giorni

Antracene 110-180 giorni

Benzo (a)pirene 60-420 giorni

esteri n-butilftalici 80-180 giorni

tensioattivi nonionici 300-600 giorni

2,4-metilanilina 1.5 giorni

n-nitrosodietilammina 40 giorni

Fenolo 1.3 giorni

Pirocatechina 12 ore

Acido acetico 5-8 giorni

idrochinone 12 ore

Cellulosa 35 giorni

Poiché i valori di BoD e CoD non danno alcuna indicazione sulla composizione delle sostanze organiche presenti nel refluo, nè consentono di identificare i composti organici tossici, la determinazione quali-quantitativa di tali composti va eseguita tramite l’uso di metodi analitici più sofisticati e specifici.

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3.6. Patogenigli organismi patogeni che possono sopravvivere ai moderni trattamen-

ti di depurazione secondaria comprendono numerosi batteri, protozoi, elminti (vermi parassiti) e virus. tali organismi patogeni vengono quindi immessi nel suolo coll’uso degli effluenti di irrigazione.

i tempi di sopravvivenza dei patogeni nel suolo variano da poche ore a parecchi mesi (Tabella 7). Per la maggior parte dei patogeni un periodo di 2-3 mesi dall’apporto nel suolo è sufficiente per ridurne il numero a livelli trascu-rabili. La sopravvivenza dei batteri enterici nel suolo dipende da numerosi fattori. L’aumento dell’umidità del suolo, l’abbassamento della temperatu-ra ed un elevato contenuto di sostanza organica ne favoriscono la sopravvi-venza, mentre condizioni di pH acide o basiche, l’illuminazione solare, e la presenza di microflora antagonista nel suolo la sfavoriscono (FrankenBerGer 1985). i protozoi e gli elminti presentano tempi di sopravvivenza nel suolo si-mili a quelli dei batteri enterici. gli enterovirus sono inattivati nel suolo dalla presenza di cloruri, da elevate temperature ed elevati valori di pH, da specie virucide come l’ammoniaca e dalla microflora antagonista, mentre la sostanza organica e l’argilla esercitano un’azione protettiva sui virus aumentandone i tempi di sopravvivenza.

Tabella 7. tempi di sopravvivenza di alcuni patogeni nel suolo (FrankenBerGer 1985).

organismo tempi di sopravvivenza(giorni)

Coliformi 38streptococchi 35-63streptococchi fecali 26-77salmonelle 15- >280salmonella del tifo 1-120Bacilli della tubercolosi >180Leptospire 15-43enterovirus 8-175

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i patogeni apportati dall’irrigazione coi reflui in genere si accumulano sulla superficie del suolo, ma possono migrare per trasporto da parte di insetti ed altri animali e per ruscellamento, ovvero percolare lungo il profilo del suo-lo ed occasionalmente raggiungere le acque profonde. i principali fattori che limitano la migrazione dei patogeni nel suolo sono l’azione filtrante, la sedi-mentazione e l’adsorbimento da parte della sostanza organica e dei minerali argillosi. L’adsorbimento dei virus da parte del suolo è anche favorito da una elevata CeC, elevati contenuti di argilla e di sostanza organica e bassi valori di pH e di forza ionica nella fase liquida.

4. Conclusioni

Le interazioni poste in atto in seguito all’applicazione al suolo di reflui urbani per scopi irrigui dipendono dalla composizione e proprietà sia del refluo che del suolo, nonché dalle dosi di refluo usato e dalle condizioni geoclimati-che del sito. nel caso di suoli adibiti ad uso agricolo, non si può prescindere dagli effetti esercitati dal refluo sulle colture, attraverso il suolo, così come si devono tenere in debito conto gli effetti sulle acque superficiali e profonde. il refluo apporta al suolo sia acqua che elementi nutritivi, ma anche elementi inor-ganici ed organici in traccia potenzialmente inquinanti per il suolo e le acque e potenzialmente tossici per le colture ed a rischio per la catena alimentare.

Le considerazioni sviluppate in questo testo in merito all’applicazione al suolo adibito ad uso agricolo di reflui urbani che abbiano subito i comuni trattamenti di depurazione definiti “secondari”, portano a concludere che in generale tale pratica presenta sperimentati ed indubbi benefici per la fertilità del suolo e la produzione agraria che si avvantaggia, oltre che dell’acqua, an-che degli elementi nutritivi, soprattutto azoto e fosforo. D’altro canto, è stato ampiamente dimostrato come l’apporto col refluo di elementi inorganici ed organici in traccia non crea, anche sul lungo periodo, rischi di inquinamento per il suolo, di tossicità per le colture e di contaminazione delle acque super-ficiali e profonde.

Ciò nonostante, data la estrema variabilità della composizione e pro-prietà, nonché della gestione dei sistemi interagenti, refluo e suolo, e delle condizioni geoclimatiche dei siti di applicazione, sono in ogni caso suggeriti

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controlli continui a livello analitico, qualitativo e quantitativo, in modo da evitare l’insorgere di fenomeni non desiderati che possono portare a conse-guenze estremamente dannose per il suolo, i corsi d’acqua, le piante, gli ani-mali e la catena alimentare, fino all’uomo.

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iGnazio m. mancini, Salvatore maSi, ettore trulli, donatella caniani, vito d. colucci,

maSSimiliano PiScitelli

stato dell’arte ed applicazioni sperimentali per l’utilizzo di acque reflue trattate in agricoltura

Sommario: 1. Stato dell’arte; 1.1. Le pratiche di riutilizzo; 1.2. I trattamenti per lo scarico; 1.3. Le pro-blematiche igienico-sanitarie associate al riutilizzo; 1.4. La normativa di riferimento; 2. Le tecnologie per il riutilizzo irriguo; 2.1. I trattamenti terziari di affinamento; 2.1.1. La filtrazione su membrane; 2.1.2. Ipotesi di configurazioni impiantistiche; 2.1.3. I trattamenti MBR; 2.2. Tecniche di disinfezione; 2.2.1. Disinfettanti chimici a base di cloro; 2.2.2. Acido peracetico; 2.2.3. Ozono; 2.2.4. Radiazione ultra violetta; 2.3. Confronto fra i costi; 2.4. Impianti sperimentali per il riutilizzo irriguo; 2.5. Pro-spettive future: i processi AOP; 3. Soluzioni sperimentali per il reimpiego degli effluenti secondari; 3.1. Schemi a rilascio controllato; 3.2. Bacini di trattamento unico a deflusso longitudinale; 3.3. Sistemi integrati di impianti di depurazione; 4. Conclusioni.

1. stato dell’arte

1.1. Le pratiche di riutilizzoLa crescente necessità e consapevolezza da parte degli utilizzatori di

proteggere le risorse idriche e l’ambiente, sta portando ad un maggiore recu-pero delle acque reflue e ad un impiego più sostenibile delle risorse idriche convenzionali. La questione rilevante riguarda i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, soprattutto nei mesi estivi quando aumenta la richiesta da parte del comparto agricolo e dei flussi turistici nelle località balneari. L’uso di un trattamento appropriato per la depurazione ed eventualmente per il riutilizzo dei reflui porterebbe quindi ad un significativo aumento dell’acqua disponi-bile e garantirebbe una maggiore tutela dell’ambiente e della salute pubblica (Brenner A. et al, 2000; U.S. EPA, 2004). Appare ovvio quindi che, le acque reflue prima di essere restituite all’ambiente, necessitano di trattamenti di de-purazione per rimuovere diverse sostanze, quali: scarti organici, ammoniaca, azoto e fosforo; inquinanti contenuti nei concimi e pesticidi; ioni solfato; me-talli pesanti (Masi S. et al., 2008), oltre agli inquinanti emergenti che stanno

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destando molto interesse nella comunità scientifica. Le stime suggerite dallo studio di Angelakis A.N. et al. (2008), indicano un potenziale di riutilizzo del-le acque reflue di 2.455 Mm³/anno per l’Unione europea (circa il 2-3,5% dei volumi d’acqua annualmente impiegati nell’Ue per l’irrigazione). La scelta dello schema di trattamento più idoneo per favorire il riutilizzo delle acque re-flue dipende per lo più dalla destinazione finale del refluo recuperato. Diverse sono le linee guida proposte per il recupero delle acque in funzione del tipo di riutilizzo (U.S. EPA 2004, Angelakis A.N. et al., 2008). in letteratura esistono numerose soluzioni impiantistiche per il riutilizzo dei reflui, la quasi totalità impiega trattamenti terziari di filtrazione associati a tecniche di disinfezione alternative al cloro. oltre che i composti patogeni e dannosi per l’ambiente, i processi di affinamento terziari rimuovono anche altre sostanze quali, azoto, fosforo e sostanza organica. tali composti notoriamente sono utilizzati nella pratica di fertirrigazione, quindi, potrebbero essere molto utili nel caso di riutilizzo delle acque reflue in agricoltura (Progetto PON AQUATEC (2002-2007), Masi et al., 2008 e 2010), anziché essere rimossi dai processi terziari. Proprio queste considerazioni sono alla base delle sperimentazioni condotte dall’Università della Basilicata, la quale ha sviluppato approcci gestionali in-tegrati e schemi impiantistici modificati per il riutilizzo irriguo di effluenti urbani secondari.

1.2. i trattamenti per lo scaricoLa depurazione delle acque reflue ai fini dello smaltimento in un corpo

idrico ricettore (superficiale o sotterraneo) viene usualmente attuata in im-pianti di depurazione a fanghi attivi (aerobici a biomassa sospesa) secondo lo schema modificato di Ludzack-ettinger.

La scelta dei processi di trattamento da adottare dipende dal tipo di in-quinanti e costituenti presenti nel refluo e da quali di essi si vuole rimuovere con più attenzione (Tabella 1).

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Stato dell’arte ed applicazioni sperimentali 131

Tabella 1. trattamento da adottare in relazione ai costituenti tipicamente pre-senti nelle acque reflue (metcalF & eddy 2006).

CLASSIFICAZIONEUNITÀ

DI MISURA

COSTITUENTI TRATTAMENTI IDONEI ALLA RIMOZIONE

inquinanti convenzionali mg/l

BoD5, CoD, toC, nH4, no3, no2, ntot, P, sst, solidi colloidali, Batteri, Cisti, oocisti di protozoi, Virus

trattamenti fisici; Processi chimici;trattamenti biologici; Filtrazione;Disinfezione

inquinanti non convenzionali mg/l

VoC, Metalli; tensioattivi; solidi totali disciolti; sostanze organiche refrattarie

Filtrazione in volume e su membrana;Adsorbimento (su carboni attivi); Desorbimento dei gas; scambio ionico; Processi di ossidazione avanzata; Distillazione

inquinanti emergenti mg/l - ng/l

Farmaci e Antibiotici; ormoni sessuali; steroidi; Droghe; Detersivi; Prodotti industriali;Distruttori endocrini

Per rimuovere i contaminanti emergenti si possono applicare tutti i tipi di processi, ma i livelli di rimozione non sono alti e non sono sempre definiti e/o definibili a priori

1.3. Le problematiche igienico-sanitarie associate al riutilizzoL’analisi dello stato dell’arte individua due aspetti fondamentali da te-

nere in considerazione per un corretto riutilizzo delle acque reflue: le proble-matiche igienico-sanitarie-ambientali e le questioni tecnico-progettuali degli impianti. Alcuni degli effetti negativi indotti dall’utilizzo delle acque reflue recuperate possono essere: - i rischi igienico sanitari per la salute e per le comunità, soprattutto

quando l’irrigazione è prolungata, avviene con acque reflue non ido-neamente depurate, vengono irrigate colture che si consumano senza cottura;

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- la contaminazione delle acque sotterranee a causa di un eccessivo sver-samento di nitrati;

- l’accumulo di inquinanti chimici nel suolo, soprattutto metalli pesanti; - la creazione di vettori e habitat favorevoli allo sviluppo di malattie; - l’eutrofizzazione nei canali che trasportano le acque reflue.

i principali rischi sanitari derivanti dall’uso delle acque reflue possono essere causati dalla trasmissione di agenti patogeni agli operatori ed ai con-sumatori, e dall’accumulo di elementi tossici all’interno dei prodotti coltivati che potrebbero entrare nella catena alimentare. i rischi igienico-sanitari deri-vano dalla presenza di agenti patogeni nei reflui ed il rischio aumenta con la presenza rispettivamente di: virus, batteri (ad esempio gli escherichia coli ed i Coliformi), protozoi e nematodi. Con l’applicazione delle giuste tecnologie e di vari accorgimenti, l’utilizzo di acque reflue trattate in agricoltura risulta sicuro. in ogni caso il livello di rischio dipende dai seguenti aspetti (Tabella 2): A) tipo di colture irrigate;B) tecniche di irrigazione utilizzate;C) tipologia dei trattamenti di affinamento applicati.

Tabella 2. Livello di rischio sanitario nel riutilizzo delle acque reflue trattate.

LIVELLO DI

RISCHIOCOLTURA IRRIGATA

TECNICA DI

IRRIGAZIONE

TIPOLOGIA DEI TRATTAMENTI

Alto

– Verdure da consumarsi crude– Frutta cresciuta a livello del

suolo– giardini e parchi pubblici

Aspersione nessun trattamento

Medio– ortaggi da consumarsi cotti– Frutta da albero raccolta nel

periodo irriguo

sommersione infiltrazione Depurazione classica a

Basso– Foraggio consumato dopo

essiccamento– Coltura da semi (mais, soia)

irrigazione localizzata a

goccia

Depurazione classica+ Disinfezione spinta

Molto Basso– Colture da fibre (cotone,

canapa)– Colture energetiche

sub-irrigazioneDepurazione classica+ trattamenti terziari+ Disinfezione spinta

a. Per depurazione classica si intende: trattamento primario + trattamento secondario + disinfezione

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Stato dell’arte ed applicazioni sperimentali 133

Discorso a parte deve essere fatto per i contaminanti emergenti il cui problema principale è che le concentrazioni di questi composti causano effetti ambientali e sugli organismi acquatici con concentrazioni di molto inferiori alle concentrazioni ritenute pericolose per l’uomo (metcalF & eddy 2006); inoltre, i composti xenobiotici (o eCDs), sono causa di malattie riguardanti il sistema endocrino umano (BelGiorno v. et al. 2007). infatti, solo poco più del 60% dei farmaci residui (in concentrazioni di μg/l e ng/l) presenti nelle ac-que reflue, vengono rimossi con il processo a fanghi attivi (metcalF & eddy 2006) generando un sempre più elevato livello di allarme nel settore della depurazione acque. Per rimuovere queste concentrazioni residue si possono applicare tutti i tipi di processi esistenti, ma i livelli di rimozione non sono alti e non sono sempre definiti e/o definibili.

1.4. La normativa di riferimentoLa normativa di riferimento in italia che regola il riutilizzo delle ac-

que reflue è il D.Lgs. 152/2006 o Testo Unico Ambientale (Tabella 3). nello specifico il tUA. definisce tre possibili tipi di riutilizzo: industriale, civile e irriguo. il D.M. 2 maggio 2006, riporta invece le “Norme tecniche per il riutilizzo delle acque reflue, ai sensi dell’articolo 99, comma 1, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152”. La norma individua inoltre, nel relativo allegato, i Requisiti minimi di qualità delle acque reflue recuperate all’uscita dell’impianto di recupero1.

1 Con comunicato pubblicato sulla gU n. 146 del 26-6-2006, il Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio ha diffuso un avviso relativo alla segnalazione di inefficacia di diciassette decreti ministe-riali ed interministeriali, attuativi del tUA. Ad oggi, dunque, il Dm 2.05.2006, risulta inefficace mentre ancora vigente è il precedente DM 12.06.2003, n. 185.

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Tabella 3. Confronto tra i limiti di normativi per lo scarico ed il riutilizzo delle acque reflue.

PARAMETRO UNITÀ DI MISURA

LIMITE PER LO SCARICO

(D.L. 152/2006 e s.m.i.)

LIMITE PER IL RIUTILIZZO

(D.M. 02/05/2006) e (D.M.12.06.2003, n. 185)

pH / 6-8 e (5,5-9,5 d) 6 - 9,5

sAR / 10 e 10

sst mg/l 25 e (35 a) 10

BoD5 mgo2/l 20 e (25 a) (40 d) 20

CoD mgo2/l 100 e (125 a) (160 d) 100

Fosforo totale mgP/l 2 e,b (1 b) (10 d) 2 (10 f)

Azoto totale mgn/l 15 e,c (35,6 d) 15 (35 f)

Azoto ammoniacale mgnH4/l 0,6 (15 d) 2

Conducibilità elettrica ms/cm / 3000 h

Cloro attivo libero mg/l 0,2 d 0,2

escherichia Coli UFC/100ml < 5.000 d 10 g

a. tab.1-all.P.iii, limiti di emissione per gli impianti di acque reflue urbane b. tab.2-all.P.iii, limiti di emissione per gli impianti di acque reflue urbane recapitanti in aree sensibili

per A.e.=10.000-100.000, abbassato a 1 mgP/l per A.e.>100.000c. tab.2-all.P.iii limiti di emissione per gli impianti di acque reflue urbane recapitanti in aree sensibili

per A.e.=10.000-100.000, abbassato a 10 mgn/l per A.e.>100.000d. tab.3-all.P.iii, limiti di emissione in acque superficiali e. tab.4-all.P.iii, limiti di emissione per le acque reflue urbane ed industriali che recapitano sul suolof. nel caso di riutilizzo irriguo, i limiti per fosforo e azoto totale possono essere elevati rispettiva-

mente a 10 e 35 mg/l. g. Riferito all’80% dei campioni, con un valore massimo puntuale di 100 UFC/100 ml.h. non deve essere superato il valore di 4000 ms/cm.

2. Le tecnologie per il riutilizzo irriguo

Le problematiche da affrontare per un corretto riutilizzo delle acque reflue, specialmente in agricoltura, si risolvono adottando particolari accorgi-

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Stato dell’arte ed applicazioni sperimentali 135

menti impiantistici che vanno ad agire essenzialmente sul processo di disinfe-zione. Per poter riutilizzare le acque reflue in tutta sicurezza, bisogna sceglie-re tecniche di disinfezione spinte, alternative ai composti del cloro, associate a processi terziari di affinamento (solitamente non presenti nei classici ed obsoleti impianti di depurazione). La legislazione italiana pone indirettamen-te un limite all’utilizzo di cloro-derivati per la disinfezione delle acque reflue, soprattutto nel caso di riutilizzo agricolo: infatti, il limite relativo ai tHM totali (trialometani, sottoprodotti tossici di disinfezione del cloro) fissato in 0,03 mg/l, è difficile da rispettare anche quando l’effluente da sottoporre a disinfezione deriva da un processo di rimozione spinta dei nutrienti, com-prensivo di filtrazione terziaria (antonelli m. et al., 2007). Un’indicazione di massima è riportata in tabella 4.

Tabella 4. trattamenti da adottare per il riutilizzo irriguo.

a. i processi meccanici per l’abbattimento della carica microbica sono costituiti dai sistemi di filtra-zione e dagli MBR.

RIUSO IRRIGUO ACQUE REFLUE

OPERAZIONE TRATTAMENTI TECNOLOGIA E PROCESSI

CARATTERISTICHE DELL’EFFLUENTE

PER IL RIUTILIZZO

tRAt

tAM

enti

PeR

iL R

i-U

tiLi

ZZo

iRR

igU

o D

eLLe

A

CQ

Ue

ReF

LUe:

1 +

2

1:Miglioramento delle caratteri-

stiche chimiche, fisiche, biologi-che e batteriolo-

giche

trattamenti terziari di affinamento

– Filtrazione– MBR

Reflui affinati con bassa torbidità e basse concen-trazioni residue di ele-menti nutritivi e sostanze disciolte

2:Abbattimento

della carica mi-crobica

Processi di disinfe-zione spinta

– Chimici– Fisici– Meccanici a

– AoP

Ridotto contenuto micro-bico

sCH

eMi s

Pe-

RiM

etA

Li Possibilità di ri-lasciare sostanze nutritive e ferti-

lizzanti

schemi a fanghi attivi modificati e disinfezione spinta

(Univ.Bas)

schemi sempli-ficati

a rimozione con-trollata

Reflui con concentrazioni variabili di sostanza orga-nica, azoto, fosforo e altri nutrienti, ottime per prati-che di fertirrigazione

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2.1. i trattamenti terziari di affinamento 2.1.1. La filtrazione su membranei trattamenti terziari di filtrazione hanno lo scopo di:

- rimuovere la frazione residua dei solidi sospesi in uscita dal trattamento secondario che può interferire con la successiva fase di disinfezione e può ridurre l’efficienza del sistema di irrigazione utilizzato;

- ridurre la concentrazione di materia organica residua aumentando l’ef-ficacia dell’agente disinfettante e riducendo la produzione di indeside-rati sottoprodotti di disinfezione;

- migliorare la qualità estetica delle acque reflue depurate in termini di torbidità e solidi sospesi;

- rimuovere i sali disciolti (e quindi la conducibilità). Complessivamente le tecnologie di filtrazione su membrana si distin-

guono in: microfiltrazione (MF); ultrafiltrazione (UF); nanofiltrazione (nF) e osmosi inversa (Ro).

i trattamenti terziari possono essere divisi in due gruppi a seconda della capacità di rimozione dei sali disciolti: i trattamenti che rimuovono anche i sali sono la nF e l’Ro.

La rimozione dei sali disciolti si rende necessaria soprattutto quando la concentrazione dei sali nelle acque reflue depurate è tale da danneggiare le colture irrigate. i trattamenti terziari di filtrazione sono molto efficaci tali da generare effluenti con gradi di trattamento molto elevati rispetto i processi convenzionali di depurazione ai fini dello scarico (oron G. et al. 2008.). i trattamenti terziari hanno una efficienza di rimozione molto alta in grado di ri-muovere anche cisti di giardia, cellule batteriche, virus, pesticidi e sali disciolti (metcalF & eddy 2006). nella figura 1 si riporta il confronto fra la dimensioni dei pori delle membrane filtranti, le dimensioni dei costituenti presenti nelle acque reflue ed un convenzionale processo di filtrazione in volume.

nella tabella 5 sono riportate le efficienze di rimozione medie per i processi di micro filtrazione e osmosi inversa in riferimento ai principali co-stituenti delle acque reflue.

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Stato dell’arte ed applicazioni sperimentali 137

Figura 1. tipologie di membrane e capacità di rimozione (metcalF & eddy 2006).

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Tabella 5. efficienza di rimozione di alcune membrane (metcalF & eddy 2006).

EFFICIENZA DI RIMOZIONE [%]

Parametri Micro filtrazione

Osmosi inversa

toC 45-65 85-95

BoD 75-90 30-60

CoD 70-85 85-95

sst 95-98 95-100

stD 0-2 90-98

n-nH3 5-15 90-98

n-no3 0-2 65-85 a

Po3-4 0-2 95-99

s02-4 0-1 95-99

Cl- 0-1 90-98

torbidità >99 40-80

a. L’efficienza di rimozione dei nitrati dipende anche dal materiale con cui è realizzata la membrana per l’osmosi inversa. essa può essere realizzata in cellulosa triacetata (CtA) poco costosa e poco sensibile ai clorati, con efficienze di rimozione dei nitrati intorno al 50-70%; oppure di tipo tFt, molto efficienti nel rimuovere i nitrati fino al 95%, molto costose e suscettibili al cloro disciolto nel refluo (Cheremisinoff N. P., 2002).

La microfiltrazione (MF) e l’osmosi inversa (Ro), in grado di dare ottimi risultati migliorando notevolmente anche il processo di disinfezione, permetterebbero il riutilizzo dei reflui in modo praticamente illimitato nell’ir-rigazione, compresa quella delle colture alimentari (a. Brenner et al. 2000). grazie alle peculiarità delle membrane viste fino ad ora, esse sono oggi sem-pre più impiegate negli impianti di trattamento, sia come supporto alla fase di disinfezione, ma anche in sostituzione di elementi convenzionali del trat-tamento dei reflui come il trattamento biologico e la normale filtrazione. ol-tretutto, con l’avanzare dell’innovazione tecnologica, i consumi energetici si stanno notevolmente riducendo garantendo costi più sostenibili. Un’indica-zione approssimata dei costi energetici è riportata nella tabella 6. si ricorda

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Stato dell’arte ed applicazioni sperimentali 139

che tali costi dipendono da molteplici fattori tra cui: tipo di membrana ado-perata, pretrattamenti subiti dal refluo, tipo di refluo da trattare, pressione operativa delle membrane, ecc.

Tabella 6. Principali caratteristiche operative delle membrane (metcalF & eddy 2006).

TIPO DI MEMBRANA

PARTICELLE RIMOSSE

[mm]

PRESSIONE OPERATIVA

[kPa]

FLUSSO TRATTATO

[l/m2 d]

CONSUMI ENERGETICI

Pressione operativa

media [kPa]

[kWh/m3]

Micro-filtrazione 0,08-2 7-100 400-1600 100 0,4

Ultra-filtrazione 0,005-0,2 70-700 400-800 525 3,0

Nano-filtrazione 0,001-0,01 500-1000 200-800 875 5,3

Osmosi inversa 0,0001-0,001 800-7000 300-5001575 10,2 a

2800 18,2 a

a. secondo Cheremisinoff N. P. (2002) il sistema di trattamento di circa 400 m3/d di acque reflue con osmosi inversa comporta un costo di 300-450 €/d escluso il costo di ammortamento per la sosti-tuzione delle membrane a fine vita. Questo comporta che il costo puro di trattamento con osmosi inversa può essere quantificato in circa 0,7-1,2 €/m3 di refluo trattato (escluso ammortamento), il che lo rende comunque paragonabile a quanto proposto da Metcalf & Eddy (2006).

Per scegliere il tipo di membrana più idonea è inoltre opportuno fare riferimento a prove su impianti pilota. Lo scopo è quello di minimizzare i fenomeni di intasamento e deterioramento anticipato del componente, che comunque dovrebbe essere sostituito ogni 3-5 anni. inoltre, poiché le caratte-ristiche chimiche delle acque reflue variano sensibilmente a seconda del tipo di refluo trattato, risulta molto difficile prevedere l’efficienza di rimozione delle membrane utilizzate, quindi, la scelta tra le varie tecnologie disponibili dovrebbe essere fatta sulla base di preventive indagini sperimentali su im-pianti a scala pilota.

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VAntAggi: A) buona capacità di disinfezione senza l’utilizzo di agenti disinfettanti; B) tiduzione della quantità di agenti chimici coagulanti utilizzati per la

rimozione delle sostanze disciolte; C) minori ingombri di impianto rispetto agli impianti tradizionali (anche

del 50-80%); D) minore richiesta di personale; e) costi di gestione in continuo calo, anche rispetto a sistemi convenziona-

li.

sVAntAggi: A) per aumentare l’efficienza di rimozione può essere necessario effettuare

un pre-trattamento del refluo per ridurre il contenuto di solidi; B) è necessario effettuare la sostituzione ogni 3-5 anni; C) può essere necessario eseguire un trattamento a parte per il corretto

smaltimento del concentrato; D) il sistema a osmosi inversa è molto costoso, soprattutto in riferimento ai

metodi tradizionali; e) l’efficienza di gestione richiede un sistema di controllo costoso.

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Stato dell’arte ed applicazioni sperimentali 141

2.1.2. ipotesi di configurazioni impiantistiche nella tabella 7 si riportano alcune configurazioni impiantistiche che

permettono gradi di affinamento diversi per acque reflue risanate.

Tabella 7. Possibili livelli di trattamento raggiungibili con varie combinazioni di processi di trattamento per il risanamento delle acque (metcalF & eddy 2006).

QUALITÀ CHIMICO-FISICHE DELL’EFFLUENTE

[mg/l]

SCHEMA STADI DEL PROCESSO SST BOD5 COD NTOT NH3 P NTU

A i. fanghi attiviii. filtrazione su sabbia 4-6 4-10 30-70 15-35 15-25 4-10 0,3-5

B

i. fanghi attiviii. filtrazione su sabbiaiii. adsorbimento su

carboni attivi

< 5 < 5 5-20 15-30 15-25 4-10 0,3-3

Ci. fanghi attivi

ii. de fosfatazioneiii. filtrazione su sabbia

< 5-0 < 5-10 20-30 3-5 1-2 ≤ 1 0,3-2

D

i. fanghi attiviii. filtrazione su sabbiaiii. adsorbimento su

carboni attiviiV. osmosi inversa

≤ 1 ≤ 1 5-10 < 2 < 2 ≤ 1 0,01-1

e

i. fanghi attiviii. de fosfatazioneiii. filtrazione su sabbiaiV. adsorbimento su

carboni attiviV. osmosi inversa

≤ 1 ≤ 1 2-8 ≤ 1 ≤ 0,1 ≤ 0,5 0,01-1

F

i. fanghi attiviii. de fosfatazioneiii. microfiltrazioneiV. osmosi inversa

≤ 1 ≤ 1 2-8 ≤ 0,1 ≤ 0,1 ≤ 0,5 0,01-1

2.1.3. i trattamenti MBRAi fini del riutilizzo irriguo delle acque reflue, si stanno sempre più

diffondendo i sistemi MBR (Reattori biologici a membrana), ovvero reat-tori biologici a biomassa sospesa dotati di unità di micro filtrazione (interna

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o esterna al reattore). in sostanza, gli MBR sono in grado di produrre un effluente con qualità confrontabili con quelle di un processo a fanghi attivi dotato di sedimentazione secondaria e micro filtrazione (metcalF & eddy 2006), permettendo il riutilizzo dei reflui trattati dopo la disinfezione. Le per-centuali di rimozione per un MBR sono del 95% per il CoD, del 98% per il BoD5 e maggiori del 99% per i ss (aileen n.l. nG et al. 2007). Altri dati operativi sono riportati nelle tabelle 8-9-10-11.

Tabella 8. Dati operativi di un MBR a membrana immersa.

PARAMETRO UNITÀ DI MISURA INTERVALLO

CoD (Carico di) Kg/m3 d 1,2 - 3,2 a

MLss mg/l 5.000 - 20.000 a

MLVss mg/l 4.000 - 16.000 a

sRt (tempo si residenza) d 5 - 20 a

Portata l/m2 d 600 - 1.100 a

Depressione applicata kPa 4 - 35 a

temperatura °C 10 - 35 b

Ph / 7 - 7,5 b

Frequenza di controlavaggio min 5 - 16 b

Durata controlavaggio sec 15 - 30 b

Portata d’aria per modulo nm3/h 8 - 12 b

Produzione fanghi kgss/kgCoD d < 0,25 b

a. metcalF & eddy 2006B. caPannelli g. 2007

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Stato dell’arte ed applicazioni sperimentali 143

Tabella 9. Prestazioni medie dell’effluente da un MBR a membrana immersa.

PARAMETRO EFFLUENTE

CoD < 30 mg/l a

BoD5 < 5 mg/l a

nH3 < 1 mg/l a

ntot < 10 mg/l a

torbidità < 1 ntU a

sst < 1 mg/l b

escherichia Coli < 10 UFC/100ml c

a. metcalF & eddy 2006B. BelGiorno V. 2010c. ranieri e. 2003

Tabella 10. Costi di gestione degli impianti MBR a membrana immersa (eneA, 2009).

VOCI DI COSTO

INCIDENZA (%) COSTI

Moduli a membrana 35 - 50 3,6-82 €cent/m2 per celle polimeriche

il costo di quelle ceramiche è circa 10 volte superiore

Lavaggi 12 - 35 Variabile in funzione della frequenza di lavaggio, della qualità del refluo, del tipo di membrana

Manodopera 15 - 18

L’introduzione di software per la gestione automatica degli impianti riduce fino al 50% il costo della manodopera, ma aumenta leggermente il costo di investimento

Consumo di energia per la

filtrazione15 - 20 a

a 0,2-0,4 kWh/m3

Per aerazione della membrana: 80-90%

Per il pompaggio del permeato: 10-20%

a. caPannelli g. 2007

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Tabella 11. Confronto tra i costi di realizzazione e di gestione di impianti MBR e a fanghi attivi (BelGiorno V. 2010).

Rapporto di costi MBR / fanghi attivi2.400 A.e. 38.000 A.e.

Costi di impianto 0,68 1,89Costi di gestione 1,34 2,40

VAntAggi: A) funzionamento con alte concentrazioni di MLss; B) maggiori tempi di residenza nel reattore e minore produzione di fanghi

di supero; C) effluente di elevata qualità; D) minori volumetrie di impianto.

sVAntAggi: A) elevati costi di investimento; B) elevati costi di gestione a causa della sostituzione frequente delle mem-

brane, dei consumi energetici e delle operazioni di contro lavaggio; C) smaltimento del concentrato.

2.2. tecniche di disinfezione il processo di disinfezione permette di rimuovere molto efficacemente

la carica batterica presente nelle acque reflue. i microrganismi patogeni pos-sono essere rimossi anche come effetto collaterale dei processi meccanici e biologici a cui sono sottoposte le acque (Tabella 12).

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Stato dell’arte ed applicazioni sperimentali 145

Tabella 12. efficienza di rimozione e di distruzione dei batteri in varie unità di trattamento (metcalF & eddy 2006).

PROCESSO EFFICIENZA DI RIMOZIONE (diretta o collaterale)

Vagliatura grossolana 0 - 5%Vagliatura fine 10 - 20%Dissabbiatura 10 - 25%sedimentazione 25 - 75%Filtri percolatori 90 - 95%ossidazione a fanghi attivi 90 - 98%Disinfezione 98 - 99,999%

in seguito vengono esposte le tecniche di disinfezione che verranno analizzate:

Agenti chimici: cloro e suoi derivati, acido peracetico, ozono; Processi fisici: raggi ultra violetti; Processi meccanici: filtrazione su membrana.

2.2.1. Disinfettanti chimici a base di cloroLe principali forme di cloro utilizzate sono (tabella 13): il cloro gas-

soso (Cl2), l’ipoclorito di sodio (naoCl), l’ipoclorito di calcio (Ca[oCl]2) ed il biossido di cloro (Clo2). ognuno di tali composti, grazie alla presenza del cloro attivo, possiede un’azione disinfettante e ossidante.

Tabella 13. Caratteristiche principali dei disinfettanti a base di cloro.

CARAtteRistiCHeCLORO (Liquido/gassoso)

IPOCLORITO DI SODIO

IPOCLORITO DI CALCIO

BIOSSIDO DI CLORO

MONO CLORO

AMMINEDISINFEZIONE ottima buona ottima bassaSICUREZZA DI IMPIEGO pericoloso sicuro pericoloso sicuroCOSTO basso alto

bassoSOTTOPRODOTTI

altamedia

TOSSICITÀ alta

APPROVVIGIONAMENTO serbatoi pressurizzati soluzione commerciale Prodotto in situ

DISINFEZIONE RESIDUA sì

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Aspetto fondamentale per il processo di clorazione è il grado di misce-lazione iniziale, ovvero il tempo di contatto tra il refluo ed il disinfettante dal momento in cui vengono miscelati. È opportuno che la vasca di contatto sia realizzata con un rapporto tra la lunghezza totale del canale e la larghezza del medesimo pari a L/l > 40 (metcalF & eddy 2006).

Ai fini del solo scarico di acque reflue trattate in impianti biologici a fanghi attivi è, per esempio, sufficiente un dosaggio di 10 mg/l di ipoclorito di sodio con un tempo di contatto minimo di 20-30 minuti tra l’agente disinfet-tante ed il refluo (Bonomo L. 1996). Possono essere invece sufficienti 2 mg/l di biossido di cloro. il biossido di cloro, invece, ha un potere battericida molto forte, infatti 1 g/m3 di Clo2 equivale a 2,63 g/m3 di cloro (ranieri e. 2003). Uno dei problemi principali dei disinfettanti a base di cloro è la formazione di sottoprodotti tossici che, non si riescono a rimuovere completamente neanche applicando i processi terziari di filtrazione (ad esempio l’efficienza di rimo-zione delle nitrosammine è pari al 50-75% (metcalF & eddy 2006). nella tabella 14 si riportano alcuni dosaggi di cloro utili per il riutilizzo dei reflui.

Tabella 14. indicazioni di dosaggio medio di cloro per garantire alcuni limiti allo scarico di coliformi (metcalF & eddy 2006).

DOSAGGIO DI CLOROa PER IL RIUTILIZZO [mg/l]

PRETRATTAMENTO APPLICATO

AL REFLUO DA DISINFETTARE

n° di coliformi prima della di-

sinfezioneMPn/100 ml

n° coliformi dopo la disinfezione, tempo di contatto = 30 minuti

Limite di 23 MPN/100 ml

Limite < 2,2 MPN/100 ml

nessun trattamento 107 - 109 dosaggio richiesto troppo elevato, pro-blemi con i sottopro-dotti di disinfezione

dosaggio richiesto troppo elevato, pro-blemi con i sottopro-dotti di disinfezione

trattamento primario 107 - 109

fanghi attivi 105 - 106 10 - 30fanghi attivi + filtrazione 104 - 106 6 - 20 8 - 30filtrazione su sabbia 102 - 104 5 - 10 8 - 18microfiltrazione 101 - 103 2 - 6 4 - 10osmosi inversa b ~ 0 0 0 - 2

a. i dosaggi sono basati sul cloro combinato.b. Dosaggi basati su cloro libero.

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Stato dell’arte ed applicazioni sperimentali 147

VAntAggi: A) efficace per un ampio spettro di agenti patogeni; B) possiede capacità disinfettanti residue; C) dosaggio flessibile; D) tecnica molto affermata ed efficiente; e) processo economico rispetto i RUV e o3, ma solo se non è necessaria la

declorazione; F) rimuove odori e colori sgradevoli (ma solo per dosaggi non eccessivi).

sVAntAggi: A) genera pericolosi sottoprodotti reagendo con il BoD residuo (tHM,

cloroformio, nitrosammine, ione clorato e bromato); B) il cloro e tutte le sue forme sono corrosive e tossiche per l’ambiente, la

vita acquatica e l’uomo; C) spesso è necessario eseguire la declorazione; D) alcuni composti del cloro sono pericolosi da trasportare, stoccare e ma-

neggiare; e) l’efficacia di disinfezione diminuisce all’aumentare del pH.

2.2.2. Acido peraceticoL’acido peracetico (PAA) può essere una valida alternativa ai disinfet-

tanti a base di cloro, in particolare può essere usato come unico sistema di disinfezione o in sinergia con altri trattamenti, a patto di verificare, oltre la sua efficacia, anche la convenienza economica (le caratteristiche operative sono riportate nella tabella 15). Dal punto di vista dell’utilizzo pratico, non è possibile utilizzare l’acido peracetico puro in quanto estremamente instabile e sensibile alla temperatura, per questo motivo viene venduto in soluzione ac-quosa. il prodotto, pronto all’uso e di facile impiego e dosaggio, è regolabile anche sulla sola portata. La non fitotossicità del prodotto stesso rende inoltre possibile il riuso agricolo.

L’acido peracetico è un liquido incolore, caratterizzato da un odore pungente ed è solubile con un ampia gamma di concentrazioni in acqua ed in molti solventi organici (ranieri e. 2003). La caratteristica più importante dell’acido peracetico è quella di essere un agente ossidante con una trascura-

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bile formazione di sottoprodotti di disinfezione indesiderati, in quanto duran-te l’impiego, esso si decompone principalmente in acido acetico e ossigeno attivo. Come misura cautelativa, è richiesto un pretrattamento di filtrazione e/o chiariflocculazione prima di procedere alla disinfezione con PAA (caret-ti, luBello 2001).

L’impiego dell’PAA si è dimostrato attivo nei riguardi dei batteri, ma ha fornito risultati meno soddisfacenti nei confronti dei virus, delle muffe e dei lieviti (Bonomo l. 1996). All’aumentare del dosaggio, si osserva una di-minuzione del tempo necessario per l’abbattimento totale dei microrganismi. L’efficacia del processo è influenzata dal pH (SanSeBaStiano g. et al. 2001), anche se altri autori affermano il contrario (metcalF & eddy 2006).

Tabella 15. Caratteristiche dell’acido peracetico.

CARATTERISTICHE PARAMETRI OPERATIVI

tempo di contatto 30 - 60 min a, b

titolo soluzione 1 - 15% c

Dosaggio 0,5 - 6 mg/l d

Costo ~ 2,2 €/kgPAA (in soluzione al 15%)

Pretrattamenti Preferibile la filtrazione e

Capacità residue di disinfezione sì

a. i tempi di contatto, nel caso specifico dei batteri, non superano i 5 minuti in un intervallo di tempe-ratura compreso tra i +5° e i +40°C (kemPer 2006). Per quanto concerne invece le muffe e i lieviti, tali valori si possono differenziare significativamente in dipendenza della specie da distruggere e della temperatura d’applicazione: si passa infatti dai 3 minuti per il s. cerevisiae ai 40 minuti per la C. mycoderma (kemPer 2006). Anche per l’escherichia coli le concentrazioni di PAA diminuiscono con l’aumentare del tempo di contatto: si passa da 25 mg/l al tempo 0 a 10 mg/l per 5 minuti ed a 4 mg/l per 15 minuti di contatto (SanSeBaStiano G. et al. 2001). dell’erBa et al. (2004) riportano che dosi di 4-8 mg/l con tempi di contatto superiori ai10 minuti possono essere sufficienti ad abbattere il 99% dell’escherichia coli per rispettare la norma italiana per il riutilizzo irriguo.

b. L’influenza della miscelazione, in corrispondenza dell’inserimento del disinfettante nella vasca di contatto, si è rilevata piuttosto marginale in relazione ai lunghi tempi di contatto e al dosaggio. infatti, in presenza di miscelazione sono necessari più di 25 mg/lPAA per ottenere l’abbattimento dei Coliformi in soli 5 minuti, mentre per tempi di contatto superiori ai 30 minuti, sono sufficienti 10 mg/lPAA per il rispetto dei limiti italiani per il riutilizzo irriguo (liBerti l. et al. 1999).

c. Le concentrazioni impiegate variano generalmente tra il 5-15%. d. si sono ottenuti abbattimenti degli indicatori fecali variabili dalle 2 alle 3 unità logaritmiche (99

e 99,9%) con concentrazioni di acido peracetico comprese tra 1 e 6 mg/l e con tempi di contatto

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Stato dell’arte ed applicazioni sperimentali 149

di 5 e 30 minuti. Dosaggi di 5 mg/l necessitano di tempi di contatto inferiori rispetto a dosaggi di 2 mg/l (antonelli m. et al. 2007). Per determinare l’abbattimento di circa 7 unità logaritmiche di escherichia coli al tempo 0 sono stati sufficienti 25 mg/l di PAA (SanSeBaStiano G. et al. 2001).

e. il PAA non sembra risentire, a differenza di altri disinfettanti, di elevate concentrazioni di solidi sospesi totali, in alcuni casi anche di concentrazioni dell’ordine di 100 mg/l; diverso è il caso della sostanza organica residua che viene ossidata dal PAA a discapito della carica microbica. È comun-que consigliata anche una semplice prefiltrazione su sabbia.

A livello di disinfezione dei reflui, l’PAA non determina particolari problemi igienico-sanitari, ma, nel caso di sovradosaggi, potrebbe indurre un aumento della concentrazione di BoD residuo (ranieri e. 2003). L’acido peracetico mostra avere anche una migliore azione sui biofilm rispetto al pe-rossido d’idrogeno (SanSeBaStiano G. et al. 2001).

VAntAggi: A) alto potente ossidante e disinfettante; B) non genera sottoprodotti tossici; C) bassi dosaggi richiesti; D) capacità disinfettanti residue.

sVAntAggi: A) costo elevato del reagente; B) bisogna comprarlo in soluzione perché è pericoloso da gestire; C) solitamente è necessario un pretrattamento di filtrazione; D) alti dosaggi aumentano il tenore di sostanza organica nell’effluente; e) tempi di contatto lunghi, quindi grandi volumetrie della vasca di disin-

fezione.

2.2.3. ozonoL’ozono (o3) è l’agente disinfettante più energico disponibile in com-

mercio (itt 2009), infatti, il suo potenziale redox (inferiore solo a quello del fluoro) è circa il 52% maggiore di quello del Cloro. L’o3 è in grado di rimuovere le sostanze organiche solubili biorefrattarie al posto dell’utilizzo del carbone attivo, oltre ad eliminare odori e sapori molesti. La sua elevata reattività, con tempi di contatto variabili da qualche secondo alle decine di minuti in acqua (Scaramuzzi g. 2010), lo rende instabile e non conservabile, per cui deve essere prodotto sul posto e subito prima di essere utilizzato (itt

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2009). Le caratteristiche operative sono riportate nella tabella 16.La produzione di ozono avviene in sistemi molto complessi nei qua-

li flussi di ossigeno vengono sottoposti ad elevate differenze di potenziale (15.000-20.000 Volt) che, tramite la scarica elettrica, scindono l’ossigeno per formare l’o3. si possono utilizzare diversi tipi di corrente gassosa in ingresso all’impianto, in particolare: aria filtrata, ossigeno puro, ossigeno liquido e aria arricchita. L’utilizzo di aria per la generazione di ozono è sicuramente più economico in termini di costo di approvvigionamento, ma l’utilizzo di ossi-geno puro è più efficiente in quanto il consumo energetico si riduce di circa un terzo e la produzione di ozono raddoppia (ranieri e. 2003).

A temperatura ambiente l’ozono sotto forma gassosa, tende al colore blu ed è caratterizzato da odore pungente. La presenza di o3 può essere rileva-ta solo quando ha una concentrazione variabile tra 0,01 e 0,05 ppmv (metcalF & eddy 2006).

Tabella 16. Caratteristiche dell’ozono.

CARATTERISTICHE PARAMETRI OPERATIVI

tempo di contatto 5 - 30 min a

Dosaggio 0,5 - 40 mgo3/l b, c

Pretrattamenti Preferibile la filtrazione ed il controllo della temperatura d

Agente disinfettante Da produrre in situ

Costo 1 - 3 € / kgO3 e, f

Capacità residue di disinfezione no

a. La sua azione disinfettante, a causa della sua instabilità, è estremamente rapida, da 1 a 5 minuti; per garantire i limiti per il riutilizzo i tempi salgono a 15-30 minuti.

b. il dosaggio dipende dal tipo di refluo, dal pretrattamento subito e se è previsto il riutilizzo irriguo (vedi Tabella 17). se l’intento è la sola disinfezione, sono sufficienti 1,5 mg/l per abbattere i batteri e 3 mg/l per i virus con un tempo di contatto di 5-15 minuti. Per l’abbattimento del 99,9% (3 unità log) di escherichia coli in acque reflue sono sufficienti 2,2 mg/l per 19 minuti. Un abbattimento del 99,99% di escherichia coli in acqua superficiale si ottiene, invece, con dosi di 0,25 mg/l e tempi di circa 1,5 min (itt 2009).

c. se l’intento non è la disinfezione, ma un supporto alla rimozione biologica del CoD, di solito si stimano circa 2-3 go3/gCoD rimosso (itt 2009).

d. i parametri che possono influenzare l’efficienza del trattamento sono principalmente tre: A) Com-

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Stato dell’arte ed applicazioni sperimentali 151

posizione delle acque che esercita una fondamentale influenza sull’efficienza del trattamento a causa delle sostanze organiche e dei solidi sospesi che presentano una elevata domanda di ozono; B) Sostanza organica: un incremento della concentrazione di CoD riduce le rese di disinfezione in quanto, parte dell’ozono dosato viene consumato per i processi di ossidazione della frazione organica; C) Temperatura, al crescere della quale diminuisce l’efficacia dell’ozonizzazione, proba-bilmente a causa della scarsa solubilità dell’ozono alle alte temperature.

e. Per la disinfezione il costo medio è circa 2 €/kgo3 consumato a seconda del tipo di produzione di ossigeno, dell’energia elettrica consumata e della portata da trattare.

f. Per l’ossidazione della sostanza organica si stimano circa 4-6 €/ kgCoD di costi di esercizio (itt 2009). Questo ovviamente spiega il perché si adoperano combinazioni dell’ozono e di trattamenti biologici come scelte più vantaggiose per l’ossidazione di alti carichi di CoD (pratica che solita-mente non avviene in processi di recupero delle acque reflue, specialmente ad uso irriguo).

si riportano nella tabella 17 delle indicazioni generali di dosaggio di ozono; esse non possono essere assunte come tali per la progettazione, ma sono prettamente indicative per dare un ordine di grandezza di riferimento.

Tabella 17. indicazioni di dosaggio medio di ozono per garantire alcuni limiti allo scarico di coliformi (metcalF & eddy 2006).

DOSAGGIO DI OZONO PER IL RIUTILIZZO a [mg/l]

PRETRATTAMENTO APPLICATO

AL REFLUO DA DISINFETTARE

n° di coliformi prima della disinfezioneMPn/100 ml

n° coliformi dopo la disinfezione, tempo di contatto = 15 minuti

Limite di 23 MPN/100 ml

Limite < 2,2 MPN/100 ml

nessun trattamento 107 - 109 dosaggio troppo elevatob,

efficacia non garantita

dosaggio troppo elevatob,

efficacia non garantitatrattamento primario 107 - 109

fanghi attivi 105 - 106 16 - 30 30 - 40 fanghi attivi + filtrazione 104 - 106 16 - 25 30 - 40

filtrazione su sabbia 102 - 104 12 - 20 16 - 25 microfiltrazione 101 - 103 3 - 8 4 - 8 osmosi inversa ~ 0 0 0,5 - 2

a. Confrontando la tabella 17 (relativa all’ozono) con la tabella 14 (relativa al cloro combinato) si osserva che i dosaggi di o3 sono più bassi, grazie alla maggiore efficacia dell’ozono, anche quando il refluo subisce un pretrattamento di filtrazione spinto su membrana, mentre è più alto nel caso opposto a causa della concentrazione residua di sostanza organica e solidi disciolti.

b. La solubilità dell’ozono in acqua è funzione della temperatura e del pH, la massima concentrazione è di 40mg/l.

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Ad eccezione dei sottoprodotti derivati dallo ione bromato (in presenza dei quali è meglio adottare un altro disinfettante), la maggior parte degli altri sottoprodotti di reazione, anche se tossici, non creano grosse preoccupazio-ni perché sono molto instabili dal punto di vista chimico venendo rapida-mente biodegradati e scomparendo dopo pochi minuti dalle acque ozonizzate (metcalF & eddy 2006). È comunque sconsigliabile l’uso contemporaneo del cloro e dell’ozono. Bisogna inoltre tenere presente che, anche se normal-mente la disinfezione dell’acqua con l’ozono non produce sostanze alogenate, una durata dell’applicazione troppo breve, può causare un aumento del tenore dei precursori dei trialometani.

i costi di produzione sono molto elevati rispetto alla clorazione, tanto che, in termini di costi complessivi dell’esercizio, la spesa viene valutata an-che 5-6 volte maggiore degli altri metodi di disinfezione (metcalF & eddy 2006). il costo effettivo è però funzione anche dell’economia di scala, ovve-ro della quantità totale di ozono necessaria all’intero impianto (ad esempio anche per eventuali deodorizzazioni di altre parti dell’impianto). i costi di gestione, ovviamente, dipendono anche dalla concentrazione di ozono da for-nire per ogni metro cubo di refluo. Valori indicativi per il processo completo sono riportati nella tabella 18.

Tabella 18. Costi di gestione per la disinfezione con ozono (metcalF & eddy 2006).

PROCESSO CONSUMO ENERGETICO [kWh/kgO3]

Pretrattamento dell’aria da ozonizzare 4 - 7Produzione di ozono

– Alimentazione ad aria– Alimentazione ad ossigeno puro

13 - 206 - 14

Unità di ozonizzazione 2 - 7Altre operazioni 1 - 3

ConsUMo totALe medioimpianto ad ariaimpianto a ossigeno puro

20 - 3713 - 31

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Stato dell’arte ed applicazioni sperimentali 153

studi più recenti indicano che i costi di produzione oraria di ozono va-riano secondo leggi di economia di scala; si ha infatti, che all’aumentare del-la produzione di ozono i costi diminuiscono, fino a diventare concorrenziali con altre tecnologie innovative di disinfezione, come ad esempio i raggi ultra violetti. nelle tabelle 19 e 20 si riporta la stima della variazione dei costi di produzione e di ammortamento in funzione della richiesta oraria di ozono.

Tabella 19. Variazione dei costi di produzione e di ammortamento in funzione della richiesta oraria di ozono (itt 2009; Scaramuzzi g. 2010).

PRODUZIONE ORARIA

SPECIFICA [kgO3/h] a

COSTO DI PRODUZIONE

[€/kgO3] b

COSTI DIAMMORTAMENTO

[€/kgO3]

COSTO TOTALE DI PRODUZIONE

[€/kgO3]

1 2,3 c,d 1 3,3

10 1,8 0.3 2,1

500 0,8 0.2 1

a. Produzione di ozono con fornitura di ossigeno puro a condizioni standard di temperatura (t=15°C) e di concentrazione di ozono da ossigeno puro (Co3=7%) e da aria (Co3=2%).

b. si è ipotizzato un costo medio dell’energia di 0,12€/kWh e dell’ossigeno di 0,14€/nm3.c. si stima un consumo di 10m3/h di ossigeno e di 7,5kWh di energia elettrica. d. se si produce ozono con aria, l’energia richiesta è di circa 24kWh/kgo3 con un costo di circa 2,88

€/kgo3.

Tabella 20. stima dei costi di produzione di ozono (itt 2009).

PRODUZIONEORARIA

SPECIFICA

[€/kgO3]

Costo di produzione

totaleManutenzione Raffreddamento

acqua energia Fornitura ossigeno Ammortamento

1 3,3 0,3 0,1 0,5 1,4 1,0

10 2,1 0,1 0,1 0,4 1,2 0,3

500 1 0,05 0,1 0,25 0,4 0,2

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VAntAggi: A) disinfettante molto potente (più dei composti clorati e dei RUV), effica-

ce per batteri, Cryptospiridium, virus e giardia; B) bassi tempi di contatto (10-15 minuti, max 30); C) gli eventuali sottoprodotti generati (organici come l’aldeide, l’acido

acetico e formico; inorganici come i clorati) si decompongono rapida-mente ed è al massimo necessaria la post-filtrazione su carbone attivo;

D) l’ozono residuo si converte in ossigeno aumentando il contenuto dello stesso nell’effluente;

e) controlla le proprietà organolettiche dell’acqua (gusto, odore, colore).

sVAntAggi: A) costi di impianto e di gestione molto alti; B) non ha capacità residue di disinfezione (sconsigliato l’uso di Cl + o3); C) necessita di un pre-trattamento di filtrazione per rimuovere le sostanze

organiche (che ne aumentano i consumi) e particolate (che potrebbero proteggere i microrganismi riducendo l’efficacia di disinfezione);

D) produce sottoprodotti pericolosi e tossici in presenza di bromo, aldeide e chetoni (in presenza di questi è meglio applicare i RUV);

e) l’aria in uscita dall’ozonizzatore deve essere trattata prima del rilascio in atmosfera;

F) deve essere prodotto in situ perché molto instabile.

2.2.4. Radiazione ultra violettaLa disinfezione con raggi UV è un processo di disinfezione di tipo fi-

sico legato al trasferimento di energia elettromagnetica al materiale genetico della cellula modificando il patrimonio genetico del DnA e impedendone la riproduzione. tutto questo avviene in brevissimi istanti e, difatti, si ha la di-struzione dei microrganismi patogeni presenti nell’acqua, anche quelli che possono sopravvivere ad altri processi di trattamento. L’utilizzo della radia-zione ultravioletta, inoltre, non ha conseguenze sul sapore, sull’odore e sulla limpidezza dell’acqua e non dà origine a sostanze residue o sottoprodotti no-civi per la salute.

L’azione biocida si ha in corrispondenza di lunghezze d’onda della ra-diazione comprese fra 250 e 270 nm; in tale intervallo rientrano i raggi UV-C

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Stato dell’arte ed applicazioni sperimentali 155

che hanno quindi un forte effetto germicida e presentano la massima efficacia in corrispondenza della lunghezza d’onda di 253,7 nm (Bonomo L. 1996). i microrganismi sottoposti a RUV rispondono in maniera differente, in parti-colare si ha che i batteri sono i più sensibili, mentre protozoi, virus e spore di batteri sono man mano più resistenti (itt, 2009).

Le caratteristiche operative sono riportate nella tabella 21.

Tabella 21. Caratteristiche dei RUV.

CARATTERISTICHE PARAMETRI OPERATIVItempo di contatto 5 - 20 sec

Dosaggio 5 - 180 mJ/cm2 a, b

Pretrattamenti Filtrazione c

Agente disinfettante Da produrre in situ

Costo 0,08 - 1,15 €/m3

Capacità residue di disinfezione no d

a. Dosi UV pari a 100 e 160 mWs/cm2, rispettivamente per l’effluente chiarificato-filtrato e per quello solo chiarificato, consentono il raggiungimento di circa 2 MPn/100 ml di Coliformi totali (Avicen-ne initiative, Project no. AVi-Ct94-0010, Commissione Unione europea, 1995).

b. in condizioni “ideali” bastano bassissimi dosaggi e brevi tempi di contatto per la rimozione di alcuni batteri (escherichia Coli, salmonella, ecc.) e virus, mentre sono richiesti dosaggi e tempi maggiori per rimuovere cisti, protozoi e uova di elminti (Bonomo L. 1996). nella pratica impian-tistica, ai fini di un sicuro riutilizzo in agricoltura, le dosi consigliate variano tra 60-80 mJ/cm2 per garantire abbattimenti degli escherichia Coli di 2-4 unità logaritmiche con un tempo di contatto di almeno 5-10 secondi (itt 2009).

c. Per una corretta disinfezione, la prefiltrazione è necessaria quando: A) Csst > 30mg/l; B) torbidità >> 2 ntU; C) trasmittanza < 55%. Quando si riutilizzano i reflui per scopi irrigui si consiglia che la concentrazione di ss all’ingresso degli UV sia inferiore ai 10 mg/l.

d. La mancanza di azione disinfettante residua dei raggi UV facilita la ricontaminazione che si po-trebbe ripresentare spontaneamente dopo 12-24 ore nelle acque sottoposte al trattamento UV. se è previsto il riutilizzo dell’acqua per l’irrigazione, esso deve essere abbinato ad un opportuno sistema che garantisca, anche durante lo stoccaggio, un bassissimo livello di inquinamento microbiologico.

Ai fini dell’efficienza di questa tecnologia, assumono un ruolo determi-nante le caratteristiche del refluo. Per ottenere elevati rendimenti di inattivazio-ne batterica, necessari per il riuso dei reflui in agricoltura, l’acqua da disinfetta-re con raggi UV dovrebbe avere una trasmittanza (ovvero la percentuale di UV

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che viene trasmessa dall’acqua) superiore al 75%, una bassa concentrazione di solidi disciolti (fig. 2) ed una bassa torbidità. Queste caratteristiche sono otteni-bili tramite un trattamento terziario (di filtrazione su sabbia o microfiltrazione) posta a monte della disinfezione.

La dose effettiva assorbita dall’acqua è influenzata dai seguenti fattori: A) tipo, rendimento, età e stato delle lampade; B) disposizione delle lampade all’interno del reattore UV; C) idraulica e tempo di irraggiamento nel reattore; D) portata; e) trasmissione della radiazione nell’acqua.

È buona norma adottare condizioni operative prudenziali ipotizzando perdite dell’efficacia superiori al 10% e, in alcuni casi, valori anche più alti (ranieri e. 2003).

Figura 2. Curva dose UV-risposta in funzione della concentrazione di sst (metcalF & eddy 2006).

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La dose UV è espressa dalla seguente relazione: D = I * t dove: D = dose UV (mWs/cm2, J/m2); i = intensità utile (o effettiva) della radiazione UV (mW/cm2, W/m2); t = tempo di esposizione (s).

La valutazione della dose necessaria e anche di quella effettivamente percepita dai microrganismi, così come del tempo minimo di esposizione alla radiazione UV, è problematica da stabilire in quanto dipende da: frequenza e intensità delle radiazioni, numero e configurazione delle lampade, dalla di-stanza tra il liquido e le lampade, dalla turbolenza del refluo, dal tempo di esposizione, dal coefficiente di assorbimento del refluo.

numerosi studi a partire dagli anni ottanta concordano nel confermare la estrema efficacia delle radiazioni UV sulle forme vegetative dei batteri (come Coliformi totali e fecali, escherichia coli) di cui si ottengono abbattimenti del 99,9% già a dosaggi < 20 mW*sec/cm2 (Bonomo L. 1996). Ciò viene ulterior-mente confermato dalle linee guida proposte da US EPA nel 2006: per gli esche-richia Coli si ottengono inattivazioni del 99,999% con dosaggi di circa 10 mJ/cm2 (fig. 3). nelle tabelle 22-23 si riportano altri dosaggi minimi richiesti per l’inattivazione di diversi microrganismi di riferimento.

Figura 3. Dosi UV necessarie per l’inattivazione di alcuni principali microrganismi (Us ePA, 2006).

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Tabella 22. Dosi UV per l’inattivazione dei principali microrganismi di inte-resse.

AGENTE PATOGENO

INATTIVAZIONE[%]

DOSE UV a

[mWsec/cm2, mJ/cm2]

Virus e batteri

1 log (90%) 2 - 6

2 log (99%) 5 - 25

3 log (99,9%) 30 - 40

4 log (99,99%) 55 - 65

Batteriofagi Ms-2 4 log (99,99%) > 90

Protozoi, oocisti 1 log (90%) 80

2 log (99%) 120 - 180

a. L’impianto di Milano s. Rocco utilizza un sistema UV per la disinfezione di circa 345.000 m3/d di acque reflue urbane destinate al riutilizzo irriguo (L’escherichia coli in uscita deve essere < 10 UFC/100ml). il sistema è dotato di 3 canali, ognuno di essi costituito da 3 banchi formati da 7 moduli, per un totale di 1.134 lampade per linea. il consumo elettrico totale del sistema UV è di circa 420kW e fornisce una dose di circa 60 mJ/cm2 con un tempo di esposizione di oltre 6 secondi (Feretra g. 2010).

Tabella 23. tabella teorico-empirica per la determinazione dei parametri di progetto di un impianto UV (itt, 2009).

Livello di disinfezione richiesto di Coliformi Fecali [NTU/100ml] a

SS disciolti [mg/l] b

Trasmittanza [%]

Dose UV [mJ/cm2] c

1000max 30 > 55

20 - 30

200 25 - 37

100max 10 > 60

25 - 35

10 45 - 60

2,2 max 4,5 > 65 80 - 90 d

a. il numero di Coliformi fecali in ingresso è di 105 ntU/100mlb. Concentrazione di sst in uscita dal pretrattamento di filtrazione su sabbiac. i Coliformi Fecali hanno concentrazioni più elevate degli escherichia Coli secondo un fattore mol-

tiplicativo di ~1,2. il valore dei Coliformi totali si ottiene moltiplicando il valore dei Coliformi Fecali per ~4.

d. La torbidità di riferimento è < 2ntU.

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Stato dell’arte ed applicazioni sperimentali 159

in generale più elevato è il livello della disinfezione richiesto e maggio-re deve essere il numero dei banchi da porre in serie in ciascun canale.

Per valori finali di Coliformi totali di 100/100ml sono consigliati alme-no due banchi in serie per canale mentre se il valore finale dei Coliformi to-tali è minore di 5/100ml, il numero minimo di banchi in serie è 3 (itt 2009).

gli impianti di trattamento UV si dividono essenzialmente in due cate-gorie: impianti a canale aperto e impianti in condotta. i primi sono principal-mente impiegati per la depurazione delle acque reflue, mentre i secondi sono tipici degli impianti di trattamento per acquedotti e per potabilizzatori.

Attualmente, esistono varie tipologie di lampade capaci di emettere RUV, alcune sono già comunemente utilizzate, come le lampade a vapori di mercurio a bassa e media pressione (Tabella 24), altre sono in fase di speri-mentazione e studio (come le lampade ai sali metallici; lampade allo xenon; led).

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Tabella 24. Caratteristiche delle lampade a bassa e media pressione (Us ePA, 2006).

PARAMETRO BASSA PRESSIONE

BASSA PRESSIONE

ALTA INTENSITÀ

MEDIA PRESSIONE a

Condizioni di esercizio Basse portateBassa torbidità n.r. Alte portate

Alta torbidità

Lunghezza d’onda emessa [nm]

253,7 (85% della radiazione

totale emessa)

254

254(15-20% della

radiazione totale emessa)

temperatura operativa [°C] 40 - 60 60 - 100 600 - 900

Potenza elettrica richiesta [W/cm] 0,5 1,5 - 10 50 - 250

efficienza di conversione [%] 35 - 40 41 10 - 20

Potenza germicida [W/cm] 0,2 0,5 - 3,5 5 - 30

Perdita di efficienza dopo un anno di funzionamento [%] 30 - 40 n.r. n.r.

Lunghezza lampada [cm] 10 - 150 10 - 150 5 - 120

numero di lampade necessarie a parità di dose fornita alto intermedio Basso

Durata operativa [ore] 4.000 - 16.000 8.000 - 12.000 3.000 - 8.000

a. Le lampade a media pressione costano 4-5 volte in più rispetto quella a bassa pressione, ma la con-venienza dipende dal numero di lampade da utilizzare.

n.r.: non rilevato.

si riporta di seguito l’estratto di uno studio condotto nel 2010 relativo alla stima dei costi di disinfezione con RUV di acque reflue urbane per il riutilizzo irriguo nel rispetto della carica microbica ammissibile dal D.Lgs. 152/2006 (Tabella 25).

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Stato dell’arte ed applicazioni sperimentali 161

Tabella 25. stima dei costi per la disinfezione con raggi UV di acque reflue destinate al riutilizzo in agricoltura in rispetto dei limiti imposti dal D.Lgs. 152/2006 e s.m.i. (Feretra g. 2010).

IPOTESI a Lampade senza sistema di pulizia automatica

Lampade con sistema di pulizia automatica

portata [m3/d]

n° lampade

costo investimento

[€]

costo gestione [€/m3]

n° lampade

costo investimento

[€]

costo gestione [€/m3]

1.300 8 50.000 0,09 4 27.000 0,120

8.600 48 179.000 0,08 32 129.000 0,107

17.300 96 283.000 0,08 64 220.000 0,100

25.600 144 407.000 0,08 90 280.000 0,090

36.700 216 528.000 0,08 120 350.000 0,083

a. Le caratteristiche del refluo ipotizzato, dopo prefiltrazione, sono: Css<10 mg/l; trasmittanza>65-70%; DoseUV=70-80 mJ/cm2; escherichia Coli in ingresso al sistema UV=100.000 UFC/100ml; esche-richia Coli in uscita dal sistema UV=10 UFC/100ml; abbattimento ipotetico del 99,99%.

VAntAggi: A) nessuna produzione di sottoprodotti tossici; B) richiesti brevissimi tempi di contatto (10-30 secondi); C) sistema sicuro da usare, ma sono comunque da evitare le esposizioni

dirette; D) il costo di trattamento è competitivo con la clorazione; e) i reflui così trattati possono essere riutilizzati in agricoltura.

sVAntAggi: A) non ha capacità disinfettanti residue (sconsigliato l’uso di RUV +

Cl); B) l’efficienza è influenzata dalla torbidità e dalla concentrazione di solidi

sospesi: è necessaria la pre-filtrazione; C) le lampade a bassa pressione non sono efficaci per reflui con concentra-

zione di sst maggiore di 30 mg/l; D) difficile stabilire il giusto dosaggio; e) limitata durata delle lampade;

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F) È necessario effettuare la pulizia periodica delle lampade a causa della crescita di batteri sul rivestimento delle lampade.

2.3. Confronto fra i costi Attualmente è difficile eseguire stime attendibili per confrontare i costi

derivanti dall’impiego delle differenti tecniche di disinfezione a causa della velocità di fluttuazione dei prezzi, delle differenze sul prezzo dei materiali e dell’energia, sui costi finanziari degli ammortamenti. Un’indicazione di mas-sima è indicata nella tabella 26.

Tabella 26. Confronto tra i costi di trattamento per tecnologia di disinfezione applicata (itt, 2009).

TECNOLOGIE Cloro UV Ozono Acido peracetico Membrane

COSTO [€/m3] 0,04 - 0,06 0,08 - 0,13 0,05 - 0,18 0,13 - 0,27 0,2 - 0,82

in tabella 27 è riportata una valutazione economica di massima, relati-va ad un impianto per 40.000 abitanti equivalenti.

Tabella 27. Costi approssimativi per il risanamento dei reflui (Us ePA, 2004).

TRATTAMENTI $/m3

stagno di ossidazione 0,18fanghi attivi 0,34fanghi attivi + filtrazione + disinfezione UV 0,42costo addizionale trattamento terziario 0,24costo addizionale di disinfezione 0,07pretrattamento con calce + osmosi inversa 0,75microfiltrazione + osmosi inversa 0,54

2.4. impianti sperimentali per il riutilizzo irriguotra le numerosissime sperimentazioni di letteratura, si riporta di seguito

una breve rassegna non esaustiva delle principali linee di ricerca e configura-

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Stato dell’arte ed applicazioni sperimentali 163

zioni di impianto che si possono adottare per riutilizzare i reflui in agricoltura.

alonSo e. et al. (2001): la sperimentazione, avvenuta utilizzando un refluo secondario urbano filtrato, è consistita nel confronto tra la Micro-fil-trazione e l’Ultra-filtrazione. Per entrambe le tipologie, si è riscontrata una qualità del refluo trattato abbastanza simile, ma la MF ha comportato costi minori. entrambe le tecnologie non hanno garantito un alto abbattimento di azoto e fosforo residuo dal trattamento biologico, tanto che nell’effluente si è riscontrato un significativo contenuto residuo di sostanze nutrienti utili alla fertirrigazione.

Pollice A. et al. (2004): sono state confrontate le performance agro-nomiche di pomodori e finocchi irrigati con acque convenzionali (di falda) e con acque provenienti da un impianto pilota costituito da una filtrazione su membrana a fibre cave applicata ad un refluo secondario di un impianto a fanghi attivi. Dopo due anni di monitoraggio la qualità degli ortaggi coltivati nei due campi è stata la stessa.

gideon oron et al. (2008): l’impianto pilota utilizzato era costituito da due processi di filtrazione su membrana posti in serie: UF e Ro per assicurare rispettivamente la rimozione della componente patogena e della sostanza or-ganica sospesa residua e l’abbattimento della salinità. L’effluente è risultato idoneo all’irrigazione e caratterizzato dalla quasi totale assenza di sali e di sostanze nutritive.

caretti C., luBello C. (2003): è stato eseguito il confronto sulle quat-tro principali tecniche di disinfezione alternative al cloro: PAA; RUV; PAA immesso a monte dell’UV; PAA immesso a valle dell’ UV. Monitorando l’ef-ficienza di abbattimento di Coliformi totali, Coliformi fecali ed escherichia Coli si è constatato che la disinfezione realizzata con PAA a monte dei RUV, è risultata più efficiente e quindi migliore per il riutilizzo dei reflui in sicurezza.

Petala M. et al. (2006): l’impianto pilota è costituito da unità di fil-trazione su sabbia, asdorbimento su carboni attivi e disinfezione con ozono. L’effluente è risultato conforme alle normative Us ePA per l’utilizzo delle acque in ambito urbano (escluso l’uso potabile), per l’irrigazione delle coltu-re alimentari e per le aree ricreative; i costi di gestione sono risultati elevati (0.24 €/m3).

montSe meneSeS et al. (2010): lo studio è consistito nella valutazione

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dell’impatto ambientale del refluo, riutilizzato in ambito irriguo ed in applica-zioni urbane, comparando tre tecniche di disinfezione: ozonizzazione; ozoniz-zazione + perossido di idrogeno; clorazione + UV. L’analisi del ciclo di vita ha indicato che la tecnica di clorazione + UV è risultata la meno impattante (si evidenzia che nello studio non è stata considerata l’attitudine dei disinfettanti a produrre sottoprodotti indesiderati di disinfezione, ndr).

BelGiorno V. et al. 2007: l’impianto pilota realizzato, costituito da una disinfezione con RUV a valle di un sistema in grado di emettere ultra suoni, mirava alla rimozione anche dei distruttori endocrini. oltre a tale effetto si è ri-scontrata una maggiore efficienza della disinfezione grazie all’azione degli Us in grado di evitare lo sporcamento delle lampade UV (naddeo V. et al. 2009).

2.5. Prospettive future: i processi AoPi classici impianti a fanghi attivi non rappresentano un’adeguata solu-

zione per l’abbattimento di alcune sostanze, come gli inquinanti emergenti, a causa della loro estrema complessità. in futuro le tecniche AoP (Processi avanzati di ossidazione), che utilizzano l’accoppiamento o3/UV e o3/H2o2, in seguito al loro maggiore sviluppo ed abbassamento dei costi, saranno più frequentemente utilizzate per l’effettiva distruzione di sostanze tossiche e re-frattarie, batteri e virus presenti nei reflui, garantendo una maggiore sicurezza nel riutilizzo. La loro efficienza di reazione è infatti superiore a quella dei singoli processi costituenti, purché nella progettazione dei reattori si tenga conto del fatto che l’ozono è un gas scarsamente solubile e che è quindi estre-mamente importante il suo contatto con gli altri ossidanti. Questi processi si possono applicare in particolare per la rimozione di: fenoli, clorofenoli, acidi umici e fulvici, alogenocomposti, aldeidi e ossiacidi, composti aromatici ed eterociclici complessi, BtX, VoC.

3. soluzioni sperimentali per il reimpiego degli effluenti secondari

3.1. schemi a rilascio controllatoL’applicazione sperimentale consiste nel modificare i classici schemi

biologici di trattamento in modo da rimuovere le sostanze patogene e danno-se per l’ambiente, rilasciando in modo controllato concentrazioni di sostan-

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ze organiche e di nutrienti utili alla fertilizzazione dei suoli e delle colture. Lo schema è quello proposto dall’Università della Basilicata nell’ambito del progetto Pon “AQUAteC” 2002-2007 (maSi s. et al. 2008). Durante tale periodo, è stata condotta una cospicua attività sperimentale, tuttora in cor-so, mediante la progettazione, realizzazione e gestione di un impianto pilota fisico-chimico (filtrazione su sabbia e disinfezione con acido peracetico) ap-positamente realizzato per il trattamento e riutilizzo irriguo di reflui urbani civili su parcelle agronomiche di prova con uno sviluppo di circa due ettari. il problema che si è affrontato riguarda la realizzazione di schemi di trattamento in grado di rimuovere selettivamente la componente organica rapidamente biodegradabile pur restando stabile alle variazioni delle condizioni ambientali e di carico. L’impianto, schematizzato nelle figure 4-5, è basato su un classico schema di trattamento a fanghi attivi in cui è stato modificato il punto di sca-rico delle acque trattate.

Figura 4. schema semplificato a rimozione controllata (Progetto Pon AQUAteC, 2002-2007).

Figura 5. schema dell’impianto pilota (Progetto Pon AQUAteC, 2002-2007).

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La coltura prescelta per l’irrigazione è stata l’olivo; le piante già piena-mente sviluppate, non erano mai state sottoposte ad irrigazione.

sono state apportate al terreno acque reflue trattate con un notevole contenuto di sostanza organica, fino a 250 mg/l. Con i quantitativi di acqua utilizzati per l’irrigazione (circa 2.000-3.000 m3/ha per anno) sono stati forni-ti circa 125 kg ci carbonio organico, 50 kg di azoto, 50 kg di potassio e 5 kg di fosforo. i quantitativi di azoto e fosforo hanno coperto per circa i due terzi il fabbisogno delle colture.

La disinfezione è stata effettuata con ipoclorito di sodio (5-10 mg/l) e acido peracetico (2-5 mg/l), quantitativi in grado di portare il livello di carica microbica (come coliformi totali) intorno a 1.000 UFC/100ml.

L’irrigazione è stata effettuata in maniera costante portando al limite della capacità di campo i terreni nella stagione primaverile in modo da costi-tuire un “serbatoio” per le esigenze delle piante nei mesi caldi. L’irrigazione goccia a goccia ha permesso di contenere al massimo l’area superficiale ba-gnata ed i relativi problemi di dispersione microbica. i riscontri microbiolo-gici sul frutto e sull’olio prodotto hanno escluso qualsiasi fenomeno di con-taminazione.

il protocollo di analisi ha preso in considerazione i metalli pesanti (Cu, Pb, Cr, Zn, Cd), gli indicatori di salificazione (na, Mg, Ca), i solfati; i cloruri e gli indicatori di contaminazione organica (BtX, iPA). Dall’analisi delle misure, non è stato rilevato alcun valore anomalo o indice di degrado del terreno.

L’intervento di irrigazione si è configurato come una vera unità di trat-tamento in grado di trasformare gli inquinanti residui (sostanza organica e composti nutrienti), in materiale vegetale utilizzabile. L’apporto idrico ha comportato, inoltre, il recupero degli elementi fertilizzanti (azoto e fosforo), contenuti nei reflui civili sottraendoli nel contempo alle acque superficiali per le quali gli stessi sono da considerare elementi inquinanti.

3.2. Bacini di trattamento unico a deflusso longitudinaleL’affinamento degli effluenti urbani secondari da impianti di depura-

zione di bassa potenzialità può essere realizzato in un bacino di trattamento “unico” che opera i processi di chiari-flocculazione e disinfezione in serie di canali o vasche a deflusso longitudinale (Boari et al. 1998). Questi bacini

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Stato dell’arte ed applicazioni sperimentali 167

consentono inoltre di ottenere una funzione di compenso delle portate giorna-liere degli effluenti del depuratore e di fatto operano uno stadio di controllo dell’efficienza depurativa dell’impianto a monte. Una conveniente applica-zione può essere ottenuta in sistemi irrigui che operino la sub-irrigazione. impianti a scala reale sono stati utilizzati per l’irrigazione di campi da golf provvisti di bacini di compenso giornaliero. il bacino (fig. 6) è realizzato con canali disposti in serie, costruiti in scavo o in rilevato ed opportunamente impermeabilizzati. Da una vasca di piccole dimensioni che opera il mescola-mento dei reagenti di coagulazione, i reflui passano nel primo canale che ope-ra come flocculatore e sedimentatore. Un secondo canale consente la raccolta dei fanghi sedimentati estratti mediante l’ausilio di una pompa pneumatica collegata a tubi forati che corrono lungo il fondo della vasca. La fase di di-sinfezione viene condotta in un terzo canale mediante clorazione, aggiunta di cloro gas o utilizzo di lampade UV. oltre alla fase di reazione operata nella zona iniziale, il terzo canale va a costituire la vasca di contatto. nella parte terminale di questo canale si effettua l’estrazione dell’effluente attraverso un impianto di sollevamento.

Figura 6. schema planimetrico di bacini di trattamento deflusso longitudinale per il trattamento di ef-fluenti urbani secondari (Boari et al. 1998).

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3.3. sistemi integrati di impianti di depurazione Le basse portate prodotte dagli impianti di depurazione di ridotta poten-

zialità possono costituire un limite all’applicazione del riutilizzo irriguo non rendendo economicamente sostenibile il sistema. in alcuni casi, sfruttando la vicinanza geografica e le convenienti quote altimetriche, può risultare profi-cuo l’utilizzo integrato dei flussi di reflui provenienti da più impianti di depu-razione. Le problematiche che si presentano nella costruzione dei sistemi che realizzano l’utilizzo congiunto delle acque di scarico di più impianti risultano tuttavia complesse richiedendo elevati costi di investimento e presentando un gravoso impegno gestionale. oltre alle problematiche connesse al trattamento per il raggiungimento dei livelli richiesti di qualità degli effluenti, si aggiun-gono quelli correlati al mantenimento della qualità delle acque nelle opere di trasporto e accumulo. inoltre gli aspetti connessi alle opere di approvvigio-namento e distribuzione sono evidentemente da valutare attentamente. Questi sistemi diventano fattibili quando un incremento di potenzialità può essere ot-tenuto con la disponibilità di una capacità di invaso per l’accumulo stagionale dei reflui nei periodi non irrigui, come piccoli bacini realizzati con le finalità dell’approvvigionamento idrico in aree agricole. in tal caso, le soluzioni im-piantistiche possono prevedere che nei periodi irrigui i reflui affinati vengano impiegati direttamente mentre nei periodi non irrigui gli effluenti seconda-ri, anche non affinati, siono accumulati nell’invaso. A tal fine, si evidenzia che deve attentamente analizzarsi l’opportunità di effettuare il trattamento in impianti centralizzati ovvero presso i singoli impianti comunali. Uno studio condotto per la Regione Puglia (Sogesid, Boari et al. 2004) descrive un siste-ma che prevede l’impiego irriguo integrato dei reflui trattati di alcuni comuni limitrofi dell’alta Murgia barese (Altamura, gravina e santeramo in Colle) che utilizza la capacità di invaso del bacino artificiale del saglioccia. i prin-cipali dati di progetto e lo schema di impianto del sistema, che realizza una potenzialità di circa 130.000 A.e., sono illustrati in tabella 28 e in figura 7.

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Tabella 28. Dati progettuali di un sistema per il riutilizzo integrato degli ef-fluenti urbani trattati di alcuni comuni dell’Alta Murgia (Sogesid, Boari et al. 2004).

4. Conclusioni

La presente memoria descrive e confronta le tecniche e le tecnologie di trattamento attualmente disponibili per un corretto e sicuro riutilizzo delle acque reflue urbane. Per garantire la sicurezza nelle pratiche di riuso, l’analisi della letteratura individua due aspetti fondamentali da tenere in considerazio-ne, ovvero le questioni igienico-sanitarie-ambientali e le soluzioni tecnico-progettuali degli impianti.

territorio comunale

Potenzialità impianti di depurazione

Disponibilità di reflui Capacità di

invaso

Zone irrigue servite Lunghezza delle

condotte di adduzioneperiodo irriguo periodo

non irriguo superficie Fabbisogno irriguo

a.e.x1000 Mm3/stagione Mm3/stagione Mm3 Km2 Mm3/stagione Km

Altamura 64 3.1 1.5 --- 24 7.0 22

gravina in Puglia 42 2.1 1.0 5 3 1.0 6

santeramo in C. 26 1.3 0.6 --- 4 1.5 18

Totale 132 6.5 3.1 5 28 9.5 46

Figura 7. schema di impianto di un sistema per il riutilizzo integrato degli effluenti urbani trattati di alcuni comuni dell’Alta Murgia (Sogesid, Boari et al. 2004).

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Le problematiche da affrontare, specialmente nel riuso agricolo, si ri-solvono adottando particolari accorgimenti impiantistici che agiscono sull’ef-ficacia della disinfezione e sull’introduzione di processi terziari di affinamen-to. Le tecniche di disinfezione analizzate riguardano l’impiego di reagenti chimici (cloro; acido peracetico e ozono), di processi fisici (radiazioni elettro-magnetiche ultra violette) e di processi meccanici (filtrazione su membrana); quest’ultimi impiegati anche nei processi di affinamento.

Ai fini del riutilizzo irriguo delle acque reflue, si stanno sempre più diffondendo i sistemi MBR (Reattori biologici a membrana), ovvero reattori biologici dotati di unità di Micro-filtrazione. i metodi avanzati di trattamento delle acque reflue eliminano la maggior parte dei problemi ambientali così che, le principali preoccupazioni per il riutilizzo delle acque risanate, possano essere mitigati.

È da sottolineare che, oltre i composti patogeni e dannosi per l’ambien-te, i processi di affinamento terziari rimuovono anche altre sostanze quali azoto, fosforo e sostanza organica, che notoriamente sono utilizzate nella pra-tica di fertirrigazione tramite l’impiego di fertilizzanti industriali.

Le sostanze nutritive naturalmente contenute nelle acque reflue, invece, potrebbero essere riutilizzate anziché rimosse, in quanto molto utili nel caso di recupero delle acque reflue in agricoltura. in questo ambito si inseriscono le ricerche e sperimentazioni condotte dall’Università della Basilicata, tese ad introdurre differenti approcci tecnico-gestionali per il riutilizzo in agricoltura di effluenti secondari trattati secondo schemi di trattamento semplificati in grado di rilasciare in modo controllato le sostanze nutritive.

si può comunque affermare che la tecnica di disinfezione che maggior-mente si sta sviluppando, e che viene sempre più adottata negli impianti per il recupero delle acque reflue per l’irrigazione, sfrutta l’azione battericida dei raggi ultra violetti, associata ad un processo di affinamento di prefiltrazione su membrana. in funzione della qualità dell’effluente finale, e della sua de-stinazione d’uso, dalle varie sperimentazioni internazionali, si deduce che, al singolo processo di affinamento e/o disinfezione, si preferirà sempre di più la sequenza di più processi e tecnologie.

infine, l’evoluzione tecnologica e la previsione di un maggiore recu-pero e riuso degli effluenti urbani, comporterà negli anni futuri un’ulteriore diminuzione dei costi di trattamento ed una maggiore sicurezza d’impiego.

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iGnazio m. mancini, ettore trulli, Salvatore maSi, donatella caniani, nicla lonGino,

maSSimiliano PiScitelli

indirizzi pianificatori e tecnologici per l’impiego in agricoltura dei fanghi di depurazione

Sommario: 1. Introduzione; 2. Inquadramento normativo; 3. Indirizzi per il trattamento dei fanghi di depurazione ai fini dell’utilizzo in agricoltura; 4. L’impatto ambientale delle pratiche di impiego in agricoltura dei fanghi di depurazione; 5. Limiti all’impiego e potenzialità agronomiche dei fanghi di depurazione; 5.1. Limiti per l’applicazione dei fanghi sui terreni; 5.2. Valutazione dell’idoneità all’impiego dei fanghi di depurazione in agricoltura mediante test di fitotossicità; 6. Schemi impian-tistici di trattamento; 6.1. Processi aerobici di compostaggio; 6.2. Sistemi integrati anaerobico-aero-bico; 6.3. Co-digestione dei fanghi di depurazione con rifiuti organici; 6.4. Trattamenti integrativi; 7. Conclusioni.

1. introduzione

i fanghi costituiscono il principale sottoprodotto degli impianti di depu-razione e sono considerati, in generale, un rifiuto. già il D.L. 22/97, “Decreto Ronchi”, classificava questi materiali come “rifiuto speciale”. Attualmente il riutilizzo in agricoltura si inserisce nel quadro delle pratiche per la gestione dei fanghi che include anche il deposito in discarica controllata e l’inceneri-mento. Deve osservarsi che le fasi di trattamento e smaltimento influenzano notevolmente i costi economici e gestionali degli impianti di depurazione e costituiscono una rilevante problematica per i soggetti coinvolti nelle azioni di pianificazione territoriale.

Lo smaltimento in discarica e l’incenerimento risultano di fatto non idonei; le caratteristiche fisiche e la biodegradabilità dei fanghi di depura-zione nonché le limitazioni normative di carattere ambientale gravanti sulle procedure di ammissione dei rifiuti in discarica e sulle emissioni atmosfe-riche originate nei processi di distruzione termica (Dir. 1999/31/CE, Dir. 2000/76/CE , D.L. 11 maggio 2005 n.133) promuovono l’impiego di tecno-

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logie che ne riducano i quantitativi prodotti e le pratiche che ne consentano il riutilizzo.

Ulteriori operazioni di recupero di materiale e energia sono, rispettiva-mente, la stabilizzazione per l’ottenimento di compost da utilizzare in agri-coltura e la digestione anaerobica, quest’ultima preferita all’incenerimento come tecnica di recupero energetico data la maggiore compatibilità ambien-tale. L’utilizzo dei fanghi in agricoltura rappresenta ad oggi la più interessante tra le alternative considerate poiché ne consente lo smaltimento ad un costo relativamente basso. nondimeno, la crescente attenzione dedicata a questa pratica è dovuta alla più difficile applicabilità delle altre tecniche di smal-timento nonostante le rigide misure di controllo a cui suoli e fanghi sono assoggettati in base alla normativa vigente.

il riutilizzo agronomico rappresenta una soluzione di notevole interesse al problema dello smaltimento, sostituendo, in parte, la concimazione chimi-ca o altri tipi di concimazione organica. oltre alle considerazioni di natura le-gislativa e ambientale occorre tener conto delle questioni di tipo economico, quali la disponibilità di un sistema di smaltimento a basso costo e la riduzione del bisogno energetico per unità di superficie coltivata.

2. inquadramento normativo

il trattamento delle acque reflue produce elevate quantità di fanghi pri-mari e secondari, contenenti frazioni elevate di acqua e piccole percentuali di materiale solido, il che si traduce in consistenti volumi e notevoli costi di smaltimento finale. nella recente legislazione, i “fanghi” di depurazione sono citati dal D.L. 5 febbraio 1997, n.22, quali “rifiuti speciali” e identificati nel Catalogo europeo dei Rifiuti.

L’utilizzo dei fanghi derivanti da trattamenti di depurazione delle ac-que reflue, domestiche o industriali nei terreni agricoli è disciplinato dal D.L. 27 gennaio 1992, n.99, attuazione della Direttiva 86/278/CEE “con-cernente la protezione dell’ambiente, in particolare del suolo”, mentre gli aspetti gestionali generali (raccolta, trasporto, deposito, trattamento, ecc.), dal D.L. 3 aprile 2006, n. 152, recante “norme in materia ambientale” - Parte iV, norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti in-

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Indirizzi pianificatori e tecnologici 177

quinati. tale decreto suggerisce che i fanghi di depurazione devono es-sere sottoposti al regolamento generale dei rifiuti, dove applicabile, e in particolare quando il fango è un residuo al termine del processo completo dell’impianto di trattamento delle acque reflue (art.127). Le linee guida nel D.L. 16 gennaio 2008, n.4 (art 2, comma 12-bis) sottolineano l’opportunità di riutilizzo ogni qualvolta ciò risulti appropriato. il D.L. 99/92, Art. 2, comma 1, definisce:a) Fanghi, i residui derivanti dai processi di depurazione di:

- acque reflue provenienti esclusivamente da insediamenti civili, definiti dalla lettera b), art. 1-quater, Legge 8 ottobre 1976, n.670;

- acque reflue provenienti da insediamenti civili e produttivi: aventi ca-ratteristiche non diverse da quelle possedute dai fanghi di cui al punto a.1. (Tabella 1);

- acque reflue provenienti esclusivamente da insediamenti produttivi, come definiti dalla Legge 319/76 e s.m.i.

b) Fanghi trattati, i fanghi sottoposti a trattamento biologico, chimico o termico, a deposito a lungo termine ovvero ad altro opportuno procedi-mento, in modo da ridurre in maniera rilevante il loro potere fermente-scibile e gli inconvenienti sanitari della loro utilizzazione.

Tabella 1. Attività produttive con produzione di fanghi potenzialmente idonei per essere destinati all’utilizzo in agricoltura.

Descrizione Codice C.e.R.

Preparazione e trattamento di carne, pesce ed altri alimenti di origine animale (Regolamento Ce/1774/2002) 02 02 04

Preparazione e trattamento di frutta, verdura, cereali, oli alimentari, cacao, caffè, tè e tabacco; conserve alimentari; di lievito e melassa 02 03 05

Raffinazione dello zucchero 02 04 03

industria lattiero - casearia 02 05 02

industria dolciaria e della panificazione 02 06 03

Produzione di bevande alcoliche ed analcoliche 02 07 05

Produzione e lavorazione di polpa, carta e cartone 03 03 11

trattamento in loco degli effluenti di allevamento zootecnico 19 08 99

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A garanzia dell’idoneità agronomica dei fanghi e dei suoli e della tutela ambientale e sanitaria, il D.L. n. 99/92 all’art.3 ammette l’utilizzo dei fanghi se concorrono tre condizioni di base: i fanghi siano sottoposti a trattamento; i fanghi siano idonei a produrre un effetto concimante e/o ammendante

e correttivo del terreno; i fanghi non contengano sostanze tossiche e nocive e/o persistenti, e/o

bioaccumulabili in concentrazioni dannose per il terreno, le colture, gli animali, l’uomo e l’ambiente.i suoli interessati dal reimpiego dei fanghi devono essere caratterizzati

da un pH inferiore a 5 e una C.s.C. (capacità di scambio cationico) minore di 8 meq/100g. Per quanto attiene le pratiche di utilizzo devono essere co-munque seguite le indicazioni del codice di “buona pratica agricola” (D.M. 19/04/1999).

L’impiego dei fanghi è comunque vietato (art.7) in siti destinati ad uso pubblico e in prossimità dei centri abitati, in aree allagabili e in terreni ove la falda acquifera è affiorante, su pendii maggiori del 15%, con frane in atto o soggette a vincolo idrogeologico, nelle aree destinate a pascolo o foraggere nonché nelle zone destinate all’orticoltura e frutticoltura i cui prodotti siano a contatto diretto con il terreno e sono di norma consumati crudi; nelle zone di rispetto delle sorgenti di montagna e dei pozzi di captazione di acqua potabile.

3. indirizzi per il trattamento dei fanghi di depurazione ai fini dell’utilizzo in agricoltura

La rimozione del materiale particolato sedimentabile e dei composti biodegradabili nei processi convenzionali di depurazione delle acque reflue producono ingenti quantitativi di fanghi. Questi fanghi contengono un’ele-vata frazione di solidi volatili e di acqua, da cui derivano volumi estrema-mente grandi che comportano significativi costi di trattamento e smaltimen-to. indipendentemente dal loro destino, i fanghi di supero degli impianti di depurazione necessitano di un trattamento a causa del contenuto di sostanza organica ad alto grado di putrescibilità, di metalli pesanti, di microinquinanti organici, di parassiti, batteri e virus patogeni.

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Indirizzi pianificatori e tecnologici 179

La quantità e la qualità dei fanghi da trattare dipendono dalle caratte-ristiche delle acque reflue e dai trattamenti applicati. Le fasi di trattamen-to meccanico e chimico-fisico possono influire in modo considerevole sulla produzione dei fanghi. i dosaggi di reagenti chimici per la precipitazione del fosforo e l’addizione di carbone attivo possono determinare un aumento della produzione dei fanghi. in Tabella 2 sono riassunte le quantità e le caratteristi-che dei fanghi prodotti nelle diverse unità di trattamento.

Tabella 2. Caratteristiche fisiche e produzione dei fanghi di depurazione (va-lori medi, modificato da W.P.C.F., 1982).

tipologia di fanghi di depurazione

Caratteristiche fisiche Produzione

Contenuto di acqua

Densità relativa Volume Massa di

solidi secchi

% ---m3

____________________

1000*ab*giorno

gST____________________

ab*giorno

Fanghi primari 95,0 1,020 1,4 275

Fanghi attivi di supero 98,5 1,005 3,5 496Fanghi misti, primari e attivi di supero 96,0 1,020 3,3 525

Fanghi primari e fanghi attivi digeriti 94,0 1,030 1,3 308

Fanghi biologici da filtri percolatori con sedimentazione secondaria

92,5 1,025 0,4 106

Fanghi da precipitazione chimica 92,5 1,030 2,5 727

La gestione dei fanghi di depurazione può oggi correlarsi con i cicli di gestione dei rifiuti organici biodegradabili prodotti in aree urbane agricole e industriali, provenienti principalmente da: raccolta differenziata dei rifiuti solidi urbani; attività dell’industria agro-alimentare; attività zootecniche.

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Dal punto di vista della pianificazione dei sistemi integrati di gestione dei rifiuti, assumono rilevante interesse e presentano grandi potenzialità nel prossimo futuro la separazione delle linee di trattamento dei fanghi di depu-razione primari e secondari, la centralizzazione degli impianti e il trattamento combinato di rifiuti organici (RsU da raccolta differenziata, agricoli e zoo-tecnici).

La definizione prioritaria nelle scelte progettuali è quella di mantenere separati nel trattamento i fanghi primari da quelli biologici, perlomeno negli impianti di potenzialità medio-grande (Trulli e Boari, 2008). i fanghi primari presentano concentrazioni sensibilmente più elevate di micro-inquinanti, chi-mici e microbiologici che rendono il fango misto non rispondente ai requisiti di qualità del D.L. n. 99/92. i fanghi biologici, per l’elevato contenuto di nutrienti possono più facilmente trovare un idoneo utilizzo sul suolo agri-colo, direttamente o come frazione di un compost di elevata qualità. Altresì, il fango primario risulta più convenientemente trattabile di un fango misto attraverso i processi di stabilizzazione e disidratazione, in particolare di ispes-simento a gravità e digestione anaerobica. La Figura 1 illustra uno scenario di intervento per il trattamento integrato e lo smaltimento di fanghi di depu-razione e rifiuti organici biodegradabili.

Figura 1. schema di processo dei trattamenti dei fanghi di depurazione per il riutilizzo in agricoltura (Trulli e Boari, 2008).

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Indirizzi pianificatori e tecnologici 181

obiettivi di primaria importanza, che si riflettono positivamente nei co-sti economici e ambientali, sono la limitazione della produzione dei fanghi e l’adeguamento della loro qualità per sfruttare le potenzialità delle differenti unità di processo. Le tecniche idonee a tali fini possono essere applicate nei diversi comparti degli impianti di depurazione, sia sulla linea di trattamento delle acque che dei fanghi.

Alla base delle scelte pianificatorie devono essere tenuti in conto, oltre all’efficacia del processo e al contenimento dell’impatto ambientale, anche la presenza di vincoli dovuti alle peculiarità dell’area di intervento: localizza-zione degli impianti; soluzioni tecnologiche adottabili; natura e composizione delle matrici organiche; destinazione finale del prodotto; vincoli normativi; sostenibilità dei costi.

i sistemi integrati sono da tenere in grande considerazione, seppure la valutazione dei costi di investimento e di esercizio sia un aspetto da valutare attentamente, sia per la costruzione di nuovi impianti che nel potenziamento di quelli già esistenti. La disponibilità dei materiali dipende dalla variabilità del numero e dalle dimensioni dei centri di produzione dei rifiuti, dai fattori climatici, dalle quantità di rifiuti prodotti e dalle modalità di smaltimento. i quantitativi sono da valutarsi attraverso un’analisi delle attività presenti sul territorio, tenendo conto che i bacini di raccolta dei materiali da trattare pos-sono essere definiti a livello di singolo centro produttivo o interessare territori comunali o inter-comunali.

4. L’impatto ambientale delle pratiche di impiego in agricoltura dei fanghi di depurazione

L’applicazione di fanghi di depurazione può presentare impatti ambien-tali negativi. A partire dalla Direttiva 86/278/Ce e successive modifiche e integrazioni, è stato introdotto un nuovo approccio alla gestione dei fanghi di depurazione, improntato ad una maggiore attenzione riguardo alle potenziali sostanze inquinanti provenienti dalla depurazione delle acque reflue urbane ed industriali.

La presenza di metalli pesanti o contaminanti organici (PAH, PCB, PCDD, ecc.) può, di fatto, ridurre la possibilità di riutilizzo in agricoltura

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a causa degli effetti tossico-nocivi correlati all’ambiente e di conseguenza alla salute umana. il “Working document on sludge” è stato redatto al fine di promuovere un utilizzo corretto dei fanghi in agricoltura, indicando i principi necessari alla salvaguardia della salute e la protezione dell’ambiente dall’in-quinamento di composti organici complessi.

Una fase spinta di defosfatazione delle acque reflue può comportare un eccesso di fosforo nel fango rispetto al rapporto P/n richiesto dalle col-tivazioni, il che si traduce in una minore efficienza di utilizzo da parte delle colture e un progressivo arricchimento in fosforo del suolo con conseguenti potenziali rischi per i sistemi acquatici.

L’applicazione dei fanghi di depurazione è in generale permessa in suo-li in cui la naturale presenza di metalli pesanti non è elevata. i microrgani-smi del suolo risultano sensibilmente soggetti all’azione dei metalli pesanti che oltre una certa soglia di concentrazione diventano tossici per la comunità microbica, alterandone la crescita e il metabolismo (Mohanty et al., 2000). La tossicità dei metalli dipende da fattori di natura fisica, chimica e biologi-ca. La notevole variabilità della tossicologia è attribuibile all’influenza delle caratteristiche chimico-fisiche del suolo e al diverso livello di tolleranza dei microrganismi (Giller et al., 1998).

il tipo e le modalità di accumulo di metalli pesanti nelle piante variano in funzione del tipo di suolo, della specie vegetale, della fenologia e degli effetti chelanti di altri metalli (Mahler et al., 1980). numerosi processi bio-chimici e fisiologici delle piante risentono dell’influenza dei metalli pesanti. Alcuni di questi, tra cui Cu, Mn, Co, Zn e Cr, se presenti in tracce risulta-no essenziali per il metabolismo della pianta, ma possono diventare tossi-ci se presenti in forme biodisponibili e a livelli notevoli di concentrazione. L’assorbimento di massicce quantità di questi metalli può rappresentare da un lato una sorgente di metalli pesanti nella catena alimentare e dall’altra una di-minuzione delle rese produttive a causa dell’effetto deprimente sulla crescita delle colture (Hall, 2002). La possibile utilizzazione dei fanghi in agricoltura può essere limitata dalla presenza di queste sostanze a causa della elevata tos-sicità e del rischio di ingestione e di bio-accumulo nella catena alimentare. i fanghi di depurazione possono contenere numerosi composti organici tossici (Smith, 2008): prodotti della combustione incompleta (iPA, PCB, PCDD);

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Indirizzi pianificatori e tecnologici 183

solventi, elasticizzanti, ritardanti di fiamma (DeHP); pesticidi; detergenti (LAs e nPe); prodotti farmaceutici e per l’igiene personale (antibiotici, ormoni sin-

tetici, triclosan).tali sostanze possono accumularsi nel suolo, ma la loro persistenza è

caratteristica del singolo composto e dipende da molteplici processi (adsor-bimento, desorbimento, degradazione, volatilizzazione, lisciviazione, etc.). Alcuni composti chimici fortemente adsorbiti risultano apparentemente non disponibili ai microorganismi in quanto vengono desorbiti in soluzione solo in concentrazioni ridotte per poter essere poi disponibili per l’assorbimento da parte dei microorganismi e per il metabolismo intercellulare (O’Connor, 1996).

Per alcuni contaminanti sono disponibili numerose informazioni sul de-stino e sul comportamento di queste sostanze nell’ambiente, mentre per altre, la mancanza di informazioni sui reali effetti che la presenza di questi compo-sti nei fanghi può esercitare sull’ambiente e sulla salute umana rappresenta una fonte di preoccupazione.

La rimozione dei microrganismi patogeni (virus, batteri, protozoi ed el-minti) nelle acque reflue comporta il loro trasferimento nella fase semi-solida dei fanghi. i patogeni più comuni sono Salmonella, Shigella e Campylobacter. L’implementazione dei requisiti previsti dalla direttiva europea 86/278/Cee, dalla disciplina nazionale e dai codici di buona pratica agricola, ha consentito una riduzione significativa della potenziale diffusione di patologie, sebbene il rischio di trasmissione dal fango di depurazione ad un altro recettore, sia esso uomo, animale o pianta, continui ad essere il principale timore per l’opinione pubblica.

5. Limiti all’impiego e potenzialità agronomiche dei fanghi di depurazione

L’applicazione dei fanghi di depurazione in agricoltura consente di otte-nere una serie di benefici ambientali connessi alla sostituzione dei fertilizzan-ti di sintesi, all’apporto di sostanza organica nel suolo, nonché al contributo benefico nell’ambito dei cambiamenti climatici e dell’emissione di gas serra.

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Le caratteristiche del sito di spandimento, le proprietà del suolo (pendenza, permeabilità, pH, profondità della falda, ecc.) influenzano fortemente gli ef-fetti benefici dell’applicazione dei fanghi di depurazione.

i vantaggi derivanti da questa pratica, infatti, sono legati soprattutto: al contenuto in sostanza organica; alla presenza di macroelementi (n, P2o5, K2o); al contenuto di nutrienti (Fe, B, Mn, Zn, Cu, Mo).

in Tabella 3 sono riportati i valori tipici delle principali caratteristiche di qualità dei fanghi di depurazione.

Tabella 3. tipiche composizioni dei fanghi di depurazione (Passino, 1994).

Parametri Unità di misura

Fanghi primari Fanghi biologici

pH unità 5,0 ÷ 8,0 5,5 ÷ 7,5

Alcalinità mgCaCO3 500,0 ÷ 1500,0 500,0 ÷ 1100,0

solidi totali (*) (°) % 2,0 ÷ 7,0 0,83 ÷ 1,16

solidi volatili % di ST 60,0 ÷ 80,0 65,1 ÷ 79,3

Proteine “ 20,0 ÷ 30,0 ---

gelatine e grassi “ 5,0 ÷ 30,0 ---

Acidi organici mgHAc/l 200,0 ÷ 2000,0 1100,0 ÷ 1700,0

Cellulosa “ 8,0 ÷ 15,0 ---

Azoto % di Ntot 1,5 ÷ 4,0 2,4 ÷ 5,0

Fosforo % di P2o5 0,8 ÷ 2,8 2,8 ÷ 11,0

Ferro (#) % di Fe 2,0 ÷ 4,0 ---

Potassio % di K2o 0,8 ÷ 1,8 ---

silice (sio2) “ 15,0 ÷ 20,0 ---(*) fango grezzo; (°) basato sul 60% in peso di materia volatile; (#) escluso ferro solfato.

il contenuto di sostanza organica, oltre alla funzione nutrizionale, con-tribuisce a migliorare alcune proprietà fisico-strutturali del terreno. in termini di rapporto C/n, i fanghi stabilizzati presentano un contenuto in carbonio

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organico simile ai valori riscontrati per la sostanza organica del terreno, pros-simo a 10, che è indicativo di un livello ottimale di umificazione.

il contributo fertilizzante è dovuto alla presenza dell’azoto che però, es-sendo prevalentemente presente in forma organica (50-80%), rende lo span-dimento dei fanghi di depurazione una pratica integrativa ma non sostitutiva dell’impiego di fertilizzanti minerali.

inoltre, la disponibilità per le piante dell’azoto contenuto nei fanghi di depurazione è influenzata dal tipo di trattamento di stabilizzazione cui è stato sottoposto il fango di depurazione: dal punto di vista agronomico un fango sottoposto a digestione anaerobica e disidratato (20÷30% s.s.) risulta meno adatto in termini di disponibilità di azoto, rispetto a un fango in forma liquida digerito aerobicamente (3÷8% s.s.), che contiene azoto in forma ammonia-cale prontamente utilizzabile dalle piante (RPA, WRc, 2010). nonostante ciò l’applicazione di fango disidratato risulta più vantaggiosa dal punto di vista pratico rispetto alla gestione di un fango in forma liquida e si conferma la soluzione più utilizzata in agricoltura.

il fosforo prevale invece nella forma inorganica (60÷85%), rendendo gli apporti di fango molto efficaci nel colmare le carenze nutrizionali del ter-reno rispetto a questo elemento (Sequi, 1989).

Fanno eccezione i fanghi derivanti dalla chiarificazione di acque me-diante trattamento con cloruri di ferro o alluminio, in quanto in questi ultimi lo ione fosfato è precipitato sotto forme insolubili. La bio-disponibilità di fosforo è meno influenzata dal tipo di trattamento cui è stato sottoposto il fan-go. il potassio nei fanghi, nonostante sia contenuto in quantità minori rispetto all’azoto e al fosforo, si caratterizza per un’elevata biodisponibilità essendo prevalentemente presente in forma solubile.

5.1. Limiti per l’applicazione dei fanghi sui terreniLa normativa nazionale definisce le condizioni per l’utilizzo dei fanghi

in agricoltura con il D.L. n.99 del 27 gennaio 1992 che recependo la Dir. 86/278/CE specifica: i valori limite di concentrazione per alcuni metalli pesanti che devono

essere rispettati nei suoli e nei fanghi; le caratteristiche agronomiche e microbiologiche dei fanghi; le quantità massime dei fanghi applicabili sui terreni.

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L’utilizzo dei fanghi, stabilizzati e igienizzati, è consentita qualora la concentrazione di uno o più metalli pesanti non superi nel suolo i valori li-mite fissati nell’allegato i A, e nei fanghi i valori limite per le concentrazioni stabiliti nell’allegato i B, Tabella 4 e Tabella 5.

Tabella 4. Valori limite di concentrazione dei metalli pesanti nei suoli.

ParametriValore limite di concentrazione

(mg/kg di sostanza secca)n. 86/278/Cee D.L. n. 99/92 Working Document on Sludge

6<pH<7 6<pH<7.5 5≤pH<6 6≤pH<7 pH≥7

Mercurio, Hg 1 ÷ 1.5 1 0.1 0.5 1Cadmio, Cd 1 ÷ 3 1.5 0.5 1 1.5nichel, Ni 30 ÷ 75 75 15 50 70Piombo, Pb 50 ÷ 300 100 70 70 100Rame, Cu 50 ÷ 140 100 20 50 100Zinco, Zn 150 ÷ 300 300 60 150 200Cromo, Cr --- --- 30 60 100

in particolare, è richiesto un valore minimo di contenuto in carbonio organico, azoto e fosforo totale rispettivamente pari al 20%, 1,5% e 0,4%. La qualità microbiologica è espressa in funzione del solo parametro “salmonelle” per il quale è fissato un valore limite massimo di 1000 MPn/gss.

Tabella 5. Valori limite dei metalli pesanti nei fanghi per l’utilizzo sul suolo.

Parametri

Valore limite di concentrazione(mg/kg di sostanza secca)

n. 86/278/Cee D.L. n. 99/92Working Document on Sludge

attualità al 2015 al 2025Mercurio, Hg 16 ÷ 25 10 10 5 2Cadmio, Cd 20 ÷ 40 20 10 5 2nichel, Ni 300 ÷ 400 300 300 200 100Piombo, Pb 750 ÷ 1.200 750 750 500 200Rame, Cu 1.000 ÷ 1.750 1.000 1000 800 600Zinco, Zn 2.500 ÷ 4.000 2.500 2500 2000 1500Cromo, Cr --- --- 1000 800 600

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Indirizzi pianificatori e tecnologici 187

oltre al rispetto dei limiti massimi di concentrazione dei metalli pesan-ti, sono previste quantità massime di fanghi utilizzabili per unità d’area nel tempo (Tabella 6). Queste sono legate a parametri chimico-fisici dei suoli, quali pH e C.s.C., che dovrebbero dare ragione della mobilità dei metalli nel terreno e del loro possibile assorbimento da parte delle colture. sulla base dei valori del pH e della capacità di scambio ionico del terreno, viene definito l’apporto annuo ammissibile di fango. La presenza e gli effetti potenziali de-gli inquinanti devono essere verificati con idonei test di fitotossicità.

Tabella 6. Quantità massime di fanghi utilizzabili sul suolo (D.L. 99/92, Allegato I).

C.s.C. pH Quantità annuale(ton/ha)

8÷15 meq/100 g

5 ÷ 6 2.5

6 ÷ 7.5 3.7

pH > 7.5 5

> 15 meq/100 g

5 ÷ 6 3.7

6 ÷ 7.5 5

pH > 7.5 7.5

in accordo con quanto dispone la nota in calce all’Allegato i A del D.L. 99/92, sui terreni destinati all’utilizzazione dei fanghi deve essere eseguito, prima della somministrazione, un test rapido di Bartlett e James (allegato A, rif. 3) per l’identificazione della capacità del suolo ad ossidare il Cr iii a Cr Vi. i terreni che, sottoposti a tale test, producono quantità uguali o superiori a 1 μM di Cr Vi non possono ricevere fanghi contenenti cromo.

È da evidenziare la mancanza di un elenco esaustivo delle sostanze e dei relativi limiti che caratterizzino la pericolosità dei fanghi. tale vuo-to legislativo è stato colmato con la pubblicazione del “Working document on sludge (3rd Draft, 2000)” da parte della Commissione europea, che oltre all’obiettivo di promuovere l’uso dei fanghi di depurazione in agricoltura, in-dividua i principali punti per la sicurezza sanitaria dell’applicazione sui suoli agricoli. il documento fornisce un elenco dei principali composti organici contraddistinti da caratteristiche di tossicità, persistenza, bioaccumulo, ubi-

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quità e propone dei valori limite di concentrazione al fine di limitare fenome-ni di inquinamento (Tabella 7).

Tabella 7. Valori limite dei composti e sostanze organiche persistenti (Working document on sludge, 3rd Draft, 2000)

Parametri Unità di misura Valori limite

Composti organici Composti organici alogenati (AoX ) a mg/kg SS 500

Alchilbenzensolfonato lineare (LAs) “ 2600

Di(2-etilesil)ftalato (DeHP) “ 100

etossilati di nonilfenolo (nPe) b “ 50

idrocarburi policlici aromatici (PAH) c “ 6

B d “ 0.8

Diossine / Furani Policloro-bifenili (PCDD/ PCDF) ng TE/kg SS e 100a sommatoria di lindano, endosulfan, tricoloroetilene, tetracloroetilene,clorobenzeni;b comprende le sostanze nonilfenolo e nonilfenolo etossilato con 1 o 2 gruppi etossi;c sommatoria di acenaftene, fenantrene, fluorene, fluorantene, pirene, benzo(b+j+k)fluorantene,

benzo(a)pirene, benzo(g,h,i)perilene, indeno(1,2,3-c,d)pirene;d sommatoria dei componenti indicati ai numeri 28, 52, 101, 118, 138, 153, 180);e TE tossicità equivalente.

5.2. Valutazione dell’idoneità all’impiego dei fanghi di depurazione in agricoltura mediante test di fitotossicità

Ai sensi dell’art. 3, comma 1, del D.L. 99/92, il rispetto dei limiti di concentrazione di uno o più metalli pesanti per il suolo (All. I A) e per i fanghi (All. I B) “devono essere convalidati da test di fitotossicità di germinazione o di vegetazione che devono essere eseguiti sia alla prima certificazione sia ogni qual volta cambi sostanzialmente la composizione dei rifiuti”, al fine della verifica dell’eventuale presenza di tossicità permanente.

i saggi forniscono dati sulla tossicità permanente osservata sui vegetali dalla presenza di matrici complesse liquide e solide quali fanghi, compost, ammendanti, reflui. il principale parametro di misura è l’indice di germina-zione. il protocollo analitico per l’indice di germinazione è quello previsto dai metodi I.R.S.A.-C.N.R. (1984), test di fitotossicità con Lepidium sativum L. La procedura prevede le seguenti fasi:a) preparazione del campione da testare, 200 g in massa mantenuti ad un

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contenuto di umidità dell’85% per 2 ore; la fase liquida, dopo centrifu-gazione (2340 g per 30 minuti) è filtrata (filtro con porosità 0,45 µm) e l’estratto acquoso è diluito con acqua distillata in rapporto in volume pari al 50% e 75%;

b) preparazione del bianco: 10 semi di Lepidium sativum L., fatti rigonfia-re in acqua distillata per 1 ora, sono disposti su carta assorbente in una capsula di Petri;

c) preparazione dei test: 10 semi di Lepidium sativum L., fatti rigonfiare in acqua distillata per 1 ora, sono disposti su carta assorbente in una capsula di Petri con aggiunta di 1 ml delle soluzioni da testare a diffe-renti concentrazioni;

d) incubazione delle capsule a 27 C° per un tempo di 6÷10 giorni.sono testate 5 concentrazioni del campione per ognuna delle quali sono

utilizzati 5 prove. A fissati tempi di incubazione (2, 4, 6 giorni) si contano i semi germinati e si misura la lunghezza radicale. Per la specifica condizione di prova testata, l’indice di germinazione ig si calcola mediante la formula di seguito riportata; per il calcolo dell’Ig si effettua quindi la media aritmetica tra i valori ottenuti ai due rapporti di diluizione del 50% e del 75%

(1)

in cui: gc è numero medio di semi germinati nel campione; Lc è la lunghezza radicale media nel campione; gt è il numero medio di semi germinati nel bianco; Lt è lunghezza radicale media nel bianco.

il fango stabilizzato, sottoposto al saggio di fitotossicità deve avere un indice di germinazione maggiore del 60% alla diluizione del 30%. Può essere autorizzato l’uso di fanghi che presentano un indice di germinazione inferio-re al 60%, qualora esso risulti superiori al 60% dopo un periodo di almeno 5 giorni di esposizione all’aria a 20°C. in tale caso, i fanghi devono essere utilizzati solo in un periodo che preceda di almeno 30 giorni la semina o la messa a dimora della coltura.

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6. schemi impiantistici di trattamento

6.1. Processi aerobici di compostaggioLe principali applicazioni di reimpiego in agricoltura dei fanghi di de-

purazione prevedono il trattamento con l’ausilio di tecniche quali il com-postaggio. i fanghi di depurazione sono inseriti tra i materiali idonei alla produzione di compost allorquando presentino caratteristiche conformi a quelle previste nell’allegato 1B del D.L. 99/92. Ai sensi del Dlgs n. 75 del 29.04.2010: “Riordino e revisione della disciplina in materia di fertilizzanti, a norma dell’articolo 13 della legge 7 luglio 2009, n. 88”, il compost di qualità, prodotto da scarti organici selezionati alla fonte, è inserito tra gli ammendanti organici soggetti a libero commercio e impiego in agricoltura. L’ammendante compostato misto è un prodotto ottenuto attraverso un processo di trasfor-mazione e stabilizzazione controllato di rifiuti organici che possono essere costituiti “(…) da reflui e fanghi”.

nei sistemi di produzione deve essere previsto il controllo dei flussi di materia, la realizzazione di un efficace processo di stabilizzazione della frazione organica e la garanzia di qualità ambientale del compost, affinché non costituisca un vettore di contaminazione dei comparti suolo/acqua, degli eco-sistemi e della catena alimentare umana e animale.

il fango di depurazione può essere sottoposto al compostaggio da solo o mescolato con materiali di supporto per l’aerazione quali cortecce, paglia, trucioli di legno, rifiuti urbani, e comunque, in misura non superiore al 35% sulla sostanza secca nella preparazione della miscela di partenza. Le caratteri-stiche e la qualità del compost, sono strettamente connesse alle caratteristiche della materia prima impiegata. i rifiuti generalmente destinati al compostag-gio sono eterogenei sia da un punto di vista fisico (pezzatura, consistenza, densità) che chimico (rapporto C/n.). il compostaggio di miscele di rifiuti or-ganici misti richiede quindi una composizione bilanciata delle differenti ma-trici in funzione delle loro caratteristiche (Vismara and Darriulat, 1994). in Tabella 8 sono riportate le caratteristiche dei principali rifiuti compostabili.

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Tabella 8. Parametri caratteristici di miscele di fanghi e rifiuti compostabili.

Tipologia di rifiuto RapportoC/n

Umidità(%)

Densità (tonn/m3)

Fanghi biologici e agroindustriali 8 80 0,9

Residui di origine zootecnica 8 80 0,9

Rifiuti organici umidi 25 > 65 0,45

Rifiuti vegetali 65 40 ÷ 50 0,4

6.2. sistemi integrati anaerobico-aerobicogrande interesse è rivolto all’impiego dei fanghi di depurazione per la

produzione di combustibili gassosi e in particolare di biogas mediante proces-si biologici anaerobici (Murphy and McKeogh, 2004; Ahring, 2005; Berglund and Borjesson, 2006; Lehtomaki, 2006; Amon et al., 2007). su questa linea sono stati sviluppati trattamenti che integrano i processi anaerobici con quelli aerobici ai fini del recupero di materiale in agricoltura e di produzione di combustibili gassosi.

in questi impianti la frazione solida ottenuta dalla separazione solido-liquido del digestato è alimentata ad una fase di compostaggio. A tal riguardo, deve considerarsi che ove il compostaggio consuma energia per l’areazione delle miscele, la digestione anaerobica produce energia rinnovabile; inoltre il processo realizza una buona protezione dai microorganismi patogeni e uti-lizza reattori chiusi che non rilasciano emissioni gassose maleodoranti in at-mosfera. Di contro, gli impianti anaerobici richiedono investimenti iniziali maggiori e gli effluenti necessitano di uno specifico trattamento che può es-sere operato mediante processi biologici. L’integrazione dei due processi può portare a notevoli vantaggi, in particolare legati al miglioramento del bilancio energetico dell’impianto e al ridotto impatto delle emissioni di odori. il post-compostaggio aerobico del digestato, materiale parzialmente già stabilizzato, richiede un minor tempo di processo e comporta così un ridotto impiego di superficie e minori emissioni di anidride carbonica.

i processi anaerobici sono inseriti quale trattamenti di stabilizzazione dei fanghi nell’elenco degli Sludge Treatment Processes, del “Working docu-ment on sludge” (allegato i) al fine della riduzione della sostanza organica,

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della putrescibilità, dei solidi sospesi volatili, e della carica batterica patoge-na, migliorandone la disidratabilità. tra le applicazioni impiantistiche sono inclusi i seguenti trattamenti: trattamenti convenzionali:- stabilizzazione anaerobica termofila (temperatura > 53°C) con un pe-

riodo di ritenzione (Rt) medio di 20 giorni;- digestione anaerobica mesofila (temperatura = 35°C) con un Rt medio

di 15 giorni; trattamenti avanzati (igienizzazione):- digestione anaerobica termofila (temperatura > 53°C) per 20 ore in

batch, senza aggiunta/prelievi nel corso del trattamento;- trattamento termico dei fanghi liquidi per un minimo di 30 minuti a

70°C seguita da digestione anaerobica mesofila ad una temperatura di 35°C con un Rt medio di 12 giorni.Una soluzione ottimale di impiego del biogas è costituita dai sistemi di

cogenerazione che combinano la produzione di calore e di energia elettrica. Un aspetto di rilevante interesse è l’implementazione dei dispositivi di sicu-rezza e prevenzione ai fini di eliminare il rischio di incendi ed esplosioni nelle fasi di trattamento, accumulo e utilizzo del biogas. Per l’impiego del metano da biogas in autotrazione è necessario arricchire il biogas, fino a raggiungere un contenuto di metano pari a circa il 95%. in sistemi combinati può preve-dersi il recupero dell’anidride carbonica per uso tecnico.

6.3. Co-digestione dei fanghi di depurazione con rifiuti organiciil trattamento combinato di due o più substrati organici per via anae-

robica è comunemente chiamato co-digestione. i rifiuti organici ai quali si fa generalmente riferimento per l’applicazione del processo di co-digestione sono le acque reflue e i fanghi organici di origine urbana, zootecnica ed indu-striale, e la frazione organica dei rifiuti solidi urbani (FoRsU), derivante da raccolta differenziata o selezionata. Diversi sono i vantaggi offerti da queste applicazioni: effetto di diluizione dei composti tossici; effetti sinergici sulle attività dei microrganismi; migliori rendimenti per unità di volume; riduzione dei costi di investimento ed esercizio.

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Indirizzi pianificatori e tecnologici 193

Le tecniche di co-digestione anaerobica di fanghi urbani di depurazione e rifiuti organici sono oramai ampiamente conosciute (Boari and Mancini, 1990; Boari et al., 1992). La co-digestione dei fanghi di supero e della FoRsU da raccolta differenziata presenta attualmente un interesse crescente. Con limitate spese di adeguamento di impianto è possibile ottenere l’auto-nomia energetica del processo, oltre che a conseguire un’ottimizzazione dei flussi di rifiuto nei sistemi di gestione integrata, evitando che gran parte dei materiali umidi biodegradabili terminino in discarica o vengano destinati alla termovalorizzazione. La fattibilità del trattamento con una FoRsU selezio-nata meccanicamente deve essere opportunamente valutata in funzione del contenuto di materiale inerte che può rendere problematico lo sviluppo del processo biologico.

il trattamento anaerobico combinato di substrati organici può risultare idoneo in situazioni in cui gli impianti interagiscono con centri produttivi o con aziende agricole con sufficiente superficie utile in cui si possa progettare anche una riconversione delle produzioni in colture energetiche. gli schemi di impianto per la co-digestione sono del tipo: “consortile” presso impianti a servizio di più centri urbani; “centralizzato” presso impianti dei rifiuti o presso impianti dedicati, a

servizio di più centri di produzione.Un aspetto da analizzare attentamente riguarda la miscelazione di sub-

strati “puri” con fanghi e rifiuti caratterizzati dal contenuto di “sostanze in-desiderate”, quali inquinanti inorganici e microbiologici. ove fattibile, un trattamento centralizzato può consentire migliori rendimenti di produzione di biogas ed energetici e la riduzione dei costi di esercizio e di investimento, sep-pure tale soluzione presenti una maggiore complessità gestionale. L’aumento dei rendimenti energetici è attribuibile all’effetto scala, alla possibilità di ali-mentare il digestore con biomasse caratterizzate da potenziali di biogas più alti, dimensioni di impianto più modeste a parità di carico alimentato, l’ado-zione di impianti di cogenerazione più grandi. gli svantaggi sono connessi alle operazioni di trasporto della biomassa all’impianto sia in termini econo-mici che ambientali.

6.4. trattamenti integrativinumerosi trattamenti non trovano attualmente larga considerazione

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applicativa ma tuttavia integrati ai processi convenzionali possono consen-tire di ottenere rilevanti miglioramenti nei rendimenti di trattamento e nelle operazioni di gestione e smaltimento. tra questi si evidenzia il processo di essiccamento termico che trova un’efficace integrazione e un’idonea gestione (Vaxelaire et al., 1999).

7. Conclusioni

L’integrazione delle tecniche impiegate negli schemi di processo con-venzionali con soluzioni impiantistiche innovative, introdotte in seguito al consolidamento della tecnologia e derivanti da nuove indagini sperimentali, può consentire nel breve futuro di riadeguare i sistemi di trattamento dei fan-ghi di depurazione urbani ai più efficienti criteri gestionali e di tutela ambien-tale.

tale obiettivo viene oggi forzato dalle più recenti normative che spin-gono verso la sostenibilità ambientale degli impianti inseriti in rinnovati si-stemi integrati di smaltimento dei rifiuti. Le differenti opzioni di smaltimen-to sono da valutare attentamente in funzione di criteri tecnici e ambientali. L’incenerimento, considerato il processo più completo di stabilizzazione del-le sostanze organiche, richiede tuttavia il controllo delle emissioni gassose e lo smaltimento delle ceneri. i quantitativi dei fanghi inviati allo smaltimento in discarica controllata devono essere integrati necessariamente ai flussi di rifiuti solidi urbani.

il riutilizzo sul suolo agricolo e l’impiego come materiale compostabile costituiscono sul territorio nazionale un’efficace alternativa e deve essere pri-mariamente favorito allorquando le realtà territoriali e i costi di trattamento e smaltimento lo consentano. non devono essere trascurati gli effetti potenziali derivanti dalla diffusione di sostanze indesiderate. Un tale approccio deve essere in ogni caso correttamente pianificato tenendo in debito conto i vincoli normativi, le modalità applicative, in particolare i tempi di applicazione dei materiali ammendanti così prodotti, i costi economici di investimento e di esercizio.

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Sezione iiiSoStenibilità

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Carmelo m. Torre, aleSSandro Bonifazi

il problema dell’integrazione del piano e delle procedure di VAS

Sommario: 1. I concetti di Environmental Democracy e valutazione ambientale di piani e progetti; 2. Il quadro normativo delle valutazioni ambientali; 3. Dalla VIA dei progetti alla VAS dei piani; 4. Analisi e valutazione del piano: due concetti non coincidenti; 5. Un caso: il processo di VAS nel Piano Urbanistico Generale del Comune di Monopoli; 6. Il ruolo della valutazione nell’uso della campagna. L’“appartenenza” della risorsa rurale; 7. Riflessioni finali.

1. i concetti di environmental Democracy e valutazione ambientale di piani e progetti

Introduzione. Una questione rilevante di appartenenzaA chi appartiene l’ambiente? la risposta a questa domanda rappresenta

il nodo da risolvere per dare un senso totalmente compiuto al concetto di en-vironmental Democracy, in italiano, di “democrazia ambientale”.

Rispondere a tale domanda infatti aiuta a interpretare le valutazioni ambientali di piani e progetti nella loro accezione più moderna, a dare un significato al sistema di relazioni azioni-ambiente che rappresenta il punto cruciale di un sistema di pianificazione ambientale multilivello e multiattore, necessario oggi nel perseguimento della sostenibilità dello sviluppo.

la sorpresa più grande potrebbe però essere rappresentata dallo scopri-re che la questione della “legittima proprietà” dell’ambiente può non trovare in maniera scontata una risposta unica. la descrizione dell’ambiente non è univoca, e le differenti descrizioni dell’ambiente non sono equivalenti a causa dell’assenza di tale unicità, e conseguentemente, non lo sono né la pianifica-zione, né le valutazioni che lo interessano.

Ammettere che esistano descrizioni non equivalenti (munda 2007) dell’ambiente significa ammettere implicitamente che queste descrizioni pos-sano nella generalità dei casi non convergere su un unico punto di vista auto-maticamente.

A partire da questo preambolo, in questo contributo si svilupperanno

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i concetti di democrazia ambientale, la sua relazione con la scala di lettura territoriale dell’ambiente, la relazione imperfetta con il concetto di coinvolgi-mento del soggetto interessato, per fornire una chiave interpretativa del con-cetto di “proporzionalità” della valutazione ambientale, di integrazione senza sovrapposizione, come elementi interpretativi del sistema di valutazione delle azioni caratterizzate da impatto ambientale, previste in piani e progetti.

infine questi concetti si ricollegheranno al caso dell’uso del territorio agricolo più in generale, e alla tematica del riuso dei reflui in particolare, og-getto del presente volume.

Dimensione comunitaria dell’Environmental Democracyla democrazia ambientale è stata definita universalmente nella Con-

venzione di Aarhus come il diritto di tutti i soggetti coinvolti alla partecipa-zione ai processi decisionali che riguardano l’ambiente.

tale diritto si esercita attraverso l’uso di strumenti di partecipazione e di informazione della comunità, dei soggetti coinvolti, gli stakeholders, che per molti coincidono con i cosiddetti proprietari dell’ambiente.

Possiamo definire insieme dei soggetti coinvolti l’insieme di tutti coloro che godono di un beneficio, o subiscono un danno, di carattere economico, so-ciale o ambientale, legato all’attuazione di un piano, un programma, un progetto.

l’insieme degli stakehoders non coincide, nel caso più generale, con la comunità, contrariamente a quanto si pensi. il termine stakehoder ha un età plurisecolare. letteralmente significa “colui che possiede il paletto”, e fa riferimento ai pionieri americani, che alla ricerca di nuove terre si cimenta-vano in vere e proprie gare raccontate anche nei film, nelle quali chi arrivava prima a piantare un paletto su un suolo, si aggiudicava il diritto di possederlo. il termine inglese che traduce paletto infatti è “stake”.

Quindi il concetto di stakeholder è legato a quello di proprietà, intesa però come proprietà privata di un suolo, di un immobile, di un progetto.

infatti, i pianificatori progressisti americani, che negli anni ‘60 e ‘70 hanno praticato la pianificazione negoziale (come ad esempio norman Kru-mohlz o John Forrester) intendevano un atto democratico quello di coinvol-gere tutti gli stakeholder, intendendendo, con il termine “tutti”, sia i proprie-tari forti, beneficiari di una trasformazione, che quelli deboli, proprietari di immobili che venivano danneggiati da quella trasformazione.

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Il problema dell’integrazione del piano e delle procedure di VAS 201

la metodologia di valutazione dei tempi era la valutazione costi benefici. la prima legge di tutela ambientale che la considerava, promulgata negli Stati Uniti con il “Flood Control Act” del 1936 – a tutti gli effetti una legge sulla difesa del suolo ante litteram – considerava tra gli stakeholders anche i proprie-tari danneggiati dai disastri ambientali causati da allagamenti e inondazioni.

il Flood control act, limitatamente alla dimensione semplicemente eco-nomica monetaria, considerava già allora benefici e costi sociali, ma già al-lora era criticabile per l’antidemocraticità del suo bilancio, che si riduceva ad una semplice sottrazione dai benefici dei costi, a prescindere da come essi fossero distribuiti, certo non in maniera equipartita.

il concetto di stakeholder è quindi precedente all’esplodere della que-stione ambientale nella pianificazione urbana e territoriale.

Per poter ampliare il campo della democrazia bisogna arrivare alla in-troduzione dei beni pubblici nel concetto di “coinvolgimento”: un famoso articolo di Garrett Hardin del 1968, sulla rivista “Science”, dal titolo “the tragedy of the commons”, segnò nel campo dell’economia una svolta.

in esso si descriveva il comportamento di una comunità di individui, agenti autonomamente uno dall’altro, che tendevano a consumare le risorse comuni nel breve periodo, senza pensare all’effetto della scomparsa della ri-sorsa nel lungo termine.

le risorse ambientali, appunto, la cui proprietà non è attribuibile in ma-niera esclusiva a qualcuno.

i beni comuni del racconto di Hardin sono i suoli soggetti a forme di uso civico per il pascolo: i pastori lasciano pascolare il loro gregge. All’au-mentare del bestiame i profitti aumentano per i pastori, ma il pascolo scompa-re per tutti, e non sono per loro. Si introduceva così il concetto di esternalità ambientale e la necessità del controllo pubblico dell’ambiente.

Venivano quindi descritte le risorse ambientali come risorse limitate, scarse, condivise, che nel tempo andavano ad esaurirsi, di proprietà di tutti, quindi di nessuno (come per l’appunto i commons). tra questi spicca oggi l’acqua, bene comune per eccellenza, oggi tanto richiamato nei dibattiti per le politiche che interessano la sua gestione.

il dibattito sui beni ambientali come beni comuni nasce quindi contem-poraneamente all’avvio delle prime pratiche di valutazione di impatto am-bientale dell’Agenzia di Protezione Ambientale Americana (ePA).

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Quindi il concetto di democrazia ambientale allarga il campo: il suolo, la proprietà, è degli stakeholders, ma l’ambiente, il paesaggio che rappresen-tano la descrizione ambientale di tale proprietà è di tutta la comunità.

Si è passati da una concezione più descrittiva del concetto di proprie-tà, ad una più ampia, in cui i proprietari sono tutti i membri della comunità, e quindi la comunità ha la necessità di dover regolare l’uso della proprietà privata per non mettere a rischio le prerogative di coloro che non hanno pro-prietà fondiaria.

Applicando il ragionamento precedente in un ambito più vasto, potrem-mo spiegare la difficoltà di condivisione dei trattati internazionali sull’am-biente: tra questi, ad esempio la Dichiarazione contro la Deforestazione della Foresta Amazzonica nella Conferenza di Rio del 1992, contraddetta pochi anni dopo proprio dall’allora Presidente del brasile lula, dichiaratosi pronto a cedere parti della più grande distesa verde del mondo.

il governo del brasile, pur non essendo detentore dell’ambiente mon-diale, ha dimostrato in tale frangente di poter non solo decidere del futuro del-la Foresta Amazzonica regolando l’uso dei proprietari delle sue aree boscate, ma anche di gestire il futuro del “polmone dell’umanità” e di tutta l’umanità stessa.

Così come l’interesse comune del Governo dei brasiliani detiene il di-ritto di limitare il vantaggio ottenibile dai soli proprietari, la regola impo-sta dalla comunità mondiale può limitare lo sviluppo economico del brasile, constringendolo alla tutela totale del bacino Amazzonico. Da qui nasce la richiesta di aiuto economico di lula nella gestione della Foresta. in un ottica di democrazia ambientale mondiale, lula afferma, i costi della preservazione amazzonica non possono essere sostenuti solo dai brasiliani.

la criticità del rapporto tra democrazia e ambiente si amplifica allor-quando la sequenza delle decisioni da prendere non ha solo una caratteriz-zazione gerarchica, da una comunità più grande ad una più piccola fino al singolo individuo, ma assume anche una caratterizzazione distributiva delle decisioni tra soggetti dello stesso livello territoriale e gerarchico.

il moltiplicarsi delle competenze sul territorio comporta che l’esito del-le politiche ambientali sia più spesso lo specchio del rapporto di potere tra i differenti decisori, tutti agenti in nome della comunità,

il livello di coinvolgimento va allora rapportato alla scala di definizione

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degli impatti, o dell’ambito di impatto. Dall’articolazione tra livelli di defini-zione o ambiti di definizione deriva la “non equivalenza” delle diverse forme di trattazione di un problema ambientale.

la possibilità di trattazione secondo diverse forme di una questione ambientale, può rappresentare una evidenza esplicita delle forme di “perdita di razionalità collettiva” nelle questioni ambientali.

l’esistenza di una razionalità unanimistica, capace di conciliare effi-cienza, efficacia ed equità nelle decisioni collettive è stata ampiamente negata da Kennet Arrow, nel suo famoso ed antico teorema (1951), detto dell’impos-sibilità (che fa il pari con la “tragedia” di Hardin, e che è stato infine rivisto da Allan Gibbard and Mark Satterthwaite nel 1973).

la valutazione ambientale oltre che supportare le scelte deve in qualche modo conciliare la “non equivalenza” delle visioni ambientali di singoli sog-getti pubblici operanti in nome della collettività, partendo dalla consapevo-lezza di una impossibilità di totale conciliazione dei punti di vista, intrinseca in un contesto pluralista.

Un suolo può essere visto come un paesaggio agrario, o come uno strato pedologico, o come una piattaforma di pascolo, o come un tratto morfologico, e così via. il valore associato a ciascuna di queste interpretazioni in funzione delle decisioni da prendere, e dei soggetti che poi troveranno difficoltà a de-cidere, cambia, ma il suolo, nella sua identità ambientale è sempre lo stesso.

Quest’ultima affermazione ci riporta a Costanza e Folke, che attribu-iscono un valore “primario”, quasi intrinseco e indipendente dall’uomo, ai beni ambientali, che prescinde da valori di uso e di uso sociale, che si artico-lano in priorità dei differenti soggetti, pubblici e privati, che partecipano ai processi decisionali riferibili all’ambiente stesso.

Gli attrezzi del mestiere: informazione, formazione, consultazione, ne-goziazione, valutazione

il breve racconto introduttivo ha avuto lo scopo di illustrare il quadro conflittuale nel quale si muove chi produce valutazioni ambientali.

le procedure di valutazione ambientale usano gli attrezzi possibili per affrontare un contesto nel quale le valutazioni si scontreranno sempre con il non-unanimismo.

Questi, sono la diffusione di informazione tecnica e non tecnica, l’obiet-

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tivo “didattico” della valutazione, in termini di educazione ambientale della/delle comunità, la valutazioine di coerenza delle politiche, dei piani e dei progetti con i quadri ambientali descritti dagli altri attori (che nella procedura di VAS prende il nome di coerenza esterna), la valutazione di efficacia delle politiche, dei piani e dei progetti a perseguire i propri scopi ambientali (che nella procedura di VAS prende il nome di coerenza interna) e la consultazione negoziale tra i soggetti, che sulla base della valutazione possono migliorare la politica, il piano e il progetto.

la valutazione, è quindi necessariamente multidimensionale, fondata su un valore sociale definibile come “complesso” (per dirla con Fusco Gi-rard), si articola in fasi, ha natura procedurale, non è possibile fissarla ad un momento ex post o ex ante.

Gli ostacoli iniziali da superare sono: 1. Difficoltà di scala: informazioni disponibili non coerenti con la scala

territoriale di analisi;2. Difficoltà di conoscenza: quand’anche ci fossero, i soggetti detentori di

informazione non scambiano facilmente le proprie conoscenze; come diceva Forrester in Planning in the face of power, l’ “informazione è potere”;

3. Difficoltà di interlocuzione razionale: i diversi soggetti difendono la loro rendita di posizione non mettendo a disposizione le informazioni citate nel punto precedente. Questo porta ad un conflitto che riduce la razionalità collettiva del processo trattato. Ciò accade in verticale (tra un livello e l’altro) e in orizzontale.nei conflitti sull’uso agricolo del suolo, di cui i versamenti di reflui

sono una conseguenza, esistono tutte le difficoltà elencate. nelle pagine a seguire si fornirà una ipotesi di traduzione operativa

della risoluzione delle problematiche fino ad ora affrontate concettualmente.

2. il quadro normativo delle valutazioni ambientali

Dopo la recente approvazione del D.lgs 4/2008, sulla integrazione del testo unico sull’ambiente, in riferimento alle procedure di valutazione am-bientale (ViA e VAS), si è sanata una situazione di “vacatio legis” che ha

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comportato, tra l’altro, una sanzione per l’italia da parte della Corte di Giusti-zia europea (con la sentenza del novembre 2007, n. C-40/07), per il mancato adempimento di quanto previsto dalla direttiva 42/2001 Ce, sulla valutazione obbligatoria di piani e programmi. Andando oltre il racconto dell’antefatto normativo ora esposto è utile evidenziare alcuni aspetti.

Per quanto riguarda le indicazioni metodologiche, da un punto di vista istituzionale le linee guida (regionali, degli stati membri e della stessa Ue) forniscono indicazioni generalmente orientate a scandire le fasi della valuta-zione o gli ambiti della valutazione, leggendone il carattere processuale, in stretto legame con il piano.

in altri termini è spesso indicato “cosa” e “quando” valutare, ma non “come”.

le metodologie assumono quindi il ruolo di “cassetta degli attrezzi” che l’esperto valutatore affronta attingendo dalla propria esperienza e dalla propria competenza.

l’interesse espresso nella letteratura sugli approcci alla VAS ha contri-buito alla crescita del dibattito sulla valutazione ambientale di piani e politi-che.

in tale ambito, le indicazioni di letteratura prevalenti sul miglioramento delle pratiche valutative forse hanno subito l’influenza del paradigma della post modernità, ponendo l’attenzione soprattutto sull’ integrazione della VAS nei processi decisionali reali e nella flessibilità procedurale, facendo intra-vedere una inadeguatezza della valutazione ambientale vista in senso deter-ministico in maniera forse troppo “sbrigativa”, come afferma Fisher (2003), portando ad una rivendicazione della necessità di valutazioni strutturate.

in relazione a tale problematica, questo contributo vuole rivendicare il ruolo delle valutazioni “strutturate”, o ancora meglio “integrate”, inserite in un processo più ampio di apprendimento sociale, nella costruzione del piano e nella valutazione del piano.

Pur essendo necessario riconoscere che una dimensione puramente tec-nicistica e paradigmatica della Valutazione ambientale appartiene al passato, si ripropone la necessità di una costruzione di procedure valutative capaci di incrociare le istanze di flessibilità degli stakeholders con quelle di tutela dell’ambiente e di promozione dello sviluppo sostenibile. Siffatto processo metodologico valutativo fornisce nuova linfa al concetto di Valore Sociale

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Complesso, visto come misura multidimensionale, non appiattita sul solo aspetto dell’impatto ambientale, ma rivolto alla ricerca del miglior compro-messo tra tutela e sviluppo nelle trasformazioni insediative, che agiscono su capitali sociali, manufatti e naturali, in quadri integrati e complessi tipici dei piani urbanistici più innovativi.

3. Dalla ViA dei progetti alla VAS dei piani

Sia la direttiva Ce 42/2001, che le normative urbanistiche regionali hanno sancito in breve tempo il passaggio dalla ViA alla VAS come strumen-to di analisi e valutazione delle trasformazioni territoriali in funzione della loro interferenza con l’ambiente. Ciò potrebbe essere soprattutto imputato alla necessità di superare i limiti dell’approccio ViA.

le ragioni della limitatezza della valutazione di impatto come stru-mento di verifica ambientale dei piani urbanistici sta, come già anticipato in premessa, nella difficoltà di gestione della complessità del piano, nella mol-teplicità dei suoi interventi e nella continua evoluzione che il suo processo di formazione ha, anche per motivo dell’interazione dei diversi attori coinvolti nel suo processo di formazione.

la logica consolidata e tradizionale della ViA è quella di costituire una barriera alla realizzazione di interventi o di progetti incompatibili con le istanze ambientali del territorio.

tali istanze vengono oggettivate dai metodi, fondamentalmente basati sull’indagine ambientale, la costruzione di indicatori e l’individuazione di aspetti di irreversibilità delle trasformazioni, che trovano luogo nelle fasi di screening, scoping e scaling.

la problematicità dell’applicazione ai piani di tale sequenza è ricondu-cibile ad almeno due aspetti significativi.

il primo aspetto si può rappresentare nella trasformazione (negativa) della neutralità della valutazione di impatto in astrattezza metodologica.

non vi è frequentemente rapporto tra valutazioni così costruite e istanze ambientali reali avanzate dalle comunità insediate: la valutazione di impatto non riesce del tutto a seguire una logica coevoluzionistica, nella quale l’am-biente è un dato dinamico, soprattutto nella logica del piano, nel quale gli

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Il problema dell’integrazione del piano e delle procedure di VAS 207

scenari si evolvono dinamicamente, nel rapporto tra ambiente percepito cul-turalmente e socialmente e ambiente fisico.

lo strumento urbanistico stesso, nel passaggio dalla rigida logica tradi-zionale fondata sulla demarcazione e la perimetrazione dei differenti land use ad una logica che da un lato guarda alla pianificazione strategica, e dall’al-tro tende a separare il trattamento riservato ai grandi quadri territoriali dalle istanze più dettagliate della progettazione urbanistica nella divisione tra piano strutturale e piano operativo/programmatico, richiede una maggiore dinami-cità e adattività della valutazione.

l’incremento di complessità che caratterizza il piano urbanistico, sem-pre più evidente nell’articolarsi della sua dimensione territoriale in componen-ti economiche, fisiche, sociali e ambientali, il fatto che il piano sia un insieme di interventi, una articolazione di azioni, una organizzazione di trasformazioni molteplici e dotate di molteplicità, non può esaurirsi nella logica del fare/non fare tipica della conclusione di una sequenza di valutazione di impatto.

Un piano nelle sue articolazioni con poca probabilità potrà mai essere completamente sostenibile o insostenibile.

la risposta del piano alle istanze della comunità, dell’ambiente, dell’economia è spesso caratterizzata dalla presenza di alcuni interventi che comportano squilibri territoriali, da trade off spesso non risolvibili o compen-sabili, che si accompagnano ad azioni di reale trasformazione in positivo del territorio, ad interventi di valorizzazione ambientale, oltre che immobiliare o infrastrutturale.

Gli squilibri comunque presenti nel piano renderebbero quasi scontata una valutazione di impatto ambientale negativa, giustificabile anche solo da alcune irreversibilità del piano. tale negatività porterebbe ad una bocciatura del piano tout court, senza possibilità di appello.

la valutazione strategica invece parte dal bilancio ambientale per co-struire nuovi scenari, in un processo che accompagna il piano, e quindi non si presenta semplicemente alla fine del percorso per una censura o una asso-luzione.

A sottolineare questa complessità di rapporto tra la valutazione e il pia-no alcune normative evidenziano fortemente quanto la valutazione strategica sia complementare al piano. la recente normativa nazionale e regionale, cioè quella derivante dalle linee programmatiche per la redazione dei PUG in Pu-

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glia, vede la VAS come parte integrante del documento di piano, il cui pro-cesso inizia con l’approvazione del documento preliminare di piano, e finisce con l’adozione e la definitiva approvazione regionale.

il profilo di complessità e di coevoluzione del piano è il punto di riferi-mento della valutazione, che a questo punto si articolerà in momenti non solo di bilancio ambientale, ma anche e soprattutto di condivisione, di riscrittura condivisa delle regole del piano, di caratterizzazione e specificazione degli ambiti della trasformazione (fuSCo Girard 2006).

Questo è lo spirito della valutazione strategica. C’è da chiedersi però se questo passaggio dalla logica rigida e non propositiva della ViA alla logica dinamica e coevolutiva della VAS è presente e leggibile nelle pratiche reali, e non solo nella letteratura e nei richiami alla normativa.

4. Analisi e valutazione del piano: due concetti non coincidenti

nelle pratiche urbanistiche la definizione del quadro conoscitivo ha rap-presentato una fase frequentemente sottoposta a revisione nell’evolversi del processo di costruzione del piano, e sulla quale molta letteratura si è cimentata.

Dalla “rivoluzione ambientale” avviata in italia a cavallo tra anni ‘80 e ‘90 all’affacciarsi dei bilanci partecipativi e della ricerca di sintesi e integra-zioni tra conoscenze esperte e diffuse, la costruzione dei quadri conoscitivi ha pesato al punto di legittimare una posizione nella letteratura del planning che interpreta l’intero processo di piano stesso come “progetto di conoscenza” (BeSio 1994).

Sempre più frequentemente la VAS si configura nell’ambito di piani la cui redazione ha sicuramente compreso analisi di carattere ambientale e socio-ambientale, non necessariamente però finalizzate alla produzione di in-formazioni utili alla redazione di una valutazione, e quindi non sostitutive della valutazione stessa.

tale non sostituibilità della valutazione con analisi ambientali, per quanto ben prodotte, è coerente con il dettato della sentenza pronunciata dalla Corte di Giustizia europea.

infatti, le analisi ambientali e sociali, già presenti in tali strumenti nella nostra realtà, non costituiscono di per sé un percorso di VAS, che a questo

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punto, si deve intendere come processo che rispetto alle conoscenze terri-toriali rappresenta fondamentalmente il momento di sintesi, attraverso una valutazione integrata.

l’interesse suscitato dalla costruzione dei quadri cognitivi ha talvolta spostato l’attenzione dalla valutazione vera e propria degli effetti del piano alla definizione condivisa degli obiettivi del piano stesso, confondendo que-sta ricerca di condivisione con la VAS stessa.

le metodologie diventano in questo caso lo strumento di un mero adempimento, e la verifica di coerenza del piano rispetto agli obiettivi di so-stenibilità diventa una applicazione meccanica.

lo stesso schema DPSiR in questa ottica a volte è utilizzato in una vi-sione meccanicistica della valutazione. la sua sequenzialità, svuotata di una costruzione robusta e condivisa della valutazione, in tali casi non evidenzia il distacco dalle logiche della valutazione monosettoriale, spesso incapaci di cogliere sinergie, di costruire collegamenti tra differenti componenti, ambiti, azioni.

lo schema determinante-pressione-stato-impatto-risposta nei casi meno virtuosi non determina una giusta forma di aggregazione di fattori com-plessi, alla ricerca di una sintesi di valori, ma produce catene di implicazione parallele, che si incrociano raramente.

l’applicazione acritica delle metodologie di valutazione quindi riduce la valutazione stessa ad una forma di processo automatico, invece che esaltar-ne la costruzione creativa.

Dall’analisi di un campione certo non statisticamente significativo, ma sicuramente significativo1 di procedure VAS prevalentemente relative a piani comunali (dieci piani comunali, prevalentemente strutturali, un piano inter-comunale e uno provinciale) i cui iter di approvazione sono perfezionati e conclusi (Bonifazi e reGa 2007).

emerge un quadro sicuramente incoraggiante per quanto attiene alla costruzione di conoscenza e di consapevolezza ambientale, ma nel contempo

1 Documentazione tratta da: Piano di Assetto territoriale di Arzignano, Piano di Assetto territoriale di bassano del Grappa, Piano di Assetto territoriale di Camposampiero, Piano di Assetto territoriale di Rosà, Piano Generale territoriale di Monza, Piano Regolatore Generale di Cuneo, Piano Regolatore Generale di Pegognaga, Piano strutturale intercomunale di Ferrara, Piani Strutturale Comunale di bolo-gna, Piani Strutturale Comunale di Ravenna, Piano strutturale Provinciale di Padova, Variante Generale al Piano Regolatore di Falconara Marittima, Variante Generale al Piano Regolatore di Chieri.

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si evidenzia una parziale limitatezza degli approcci valutativi (fig. 1), e, tran-ne che in pochi casi, un limitato coinvolgimento di expertise specifiche nel campo delle metodologie della valutazione.

la parte prettamente valutativa dei rapporti ambientali è spesso soc-combente rispetto all’analisi ambientale del piano.

la trasformazione indotta dal piano, è classificata e decodificata attra-verso gli usi del territorio senza svincolarsi dalla settorialità.

il più elevato livello di integrazione si registra nella convergenza di analisi e valutazioni nella rappresentazione cartografica (il webgis è presso-ché uno strumento consolidato nella innovazione dell’iCt). esso però rara-mente viene utilizzato per rappresentare valori, limitandosi a descrivere in maniera integrata il quadro delle conoscenze.

in alcuni casi, tra l’altro, i metodi di valutazione strutturati sono pre-senti sì nel Piano, ad esempio per definire priorità di intervento, piuttosto che nella VAS.

tale uso della metodologia è attribuibile almeno in parte a differenti punti di vista degli staff di redazione dei piani (nell’ambito dei quali è ge-

Figura 1. Metodologie utilizzate per la fase valutativa delle procedure VAS di alcuni piani urbanistici.

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neralmente presente expertise valutativa in senso metodologico), rispetto a quelli degli staff di esperti coinvolti nei processi di VAS analizzati.

la differenziazione delle competenze tra chi redige il piano e chi ef-fettua la valutazione è spesso giustificata in solido dalla istanza di terzietà rispetto al piano richiesta alla valutazione stessa.

Se la VAS però è parte integrante del processo di piano, se parte dalle analisi che il piano, secondo una buona prassi deve aver prodotto, è chiaro la sua terzietà valutativa non si fonda sulla costruzione di una analisi terza, rispetto al piano, ma su una valutazione terza, appoggiata sull’analisi prodotta dal piano stesso.

il piano allora costruisce geografie descrittive dell’ambiente, mentre la VAS costruisce geografie di valori ambientali.

Conseguentemente, il principio di terzietà, che può giustificare diversi-ficazioni tra staff ed expertise, non dovrebbe necessariamente condurre ad un predominio di discipline ambientali nell’expertise della VAS e di discipline urbanistiche nell’expertise del piano.

il caso che ci si accinge a illustrare rappresenta un tentativo di soluzione di questi nodi.

5. Un caso: il processo di VAS nel Piano Urbanistico Generale del Comune di Monopoli

Elementi introduttiviil Piano Urbanistico Generale di Monopoli si appresta ad essere con una

certa probabilità il primo strumento urbanistico comunale in Puglia ad essere accompagnato nella sua adozione da una valutazione ambientale strategica.

esso arriva a circa trenta anni di distanza dal Piano Regolatore Genera-le di luigi Piccinato, il cui approccio, aveva rappresentato sicuramente uno strumento urbanistico caratterizato da non pochi tratti di innovazione.

la procedura di Valutazione Ambientale Strategica è stata avviata dopo l’adozione del Documento Programmatico Preliminare del Piano (DPP) nel gennaio 2007, e in presenza di una bozza del Piano Urbanistico Generale già pronta per la presentazione alla conferenza di copianificazione in sede regio-nale, in ossequio al principio di sussidiarietà e di pari dignità sancito dalla

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modifica del titolo V della Costituzione, e secondo quanto previsto dalle li-nee programmatiche regionali sui piani.

la VAS nelle linee Programmatiche regionali in verità si inserisce tra l’adozione del documento preliminare e quella del piano urbanistico. Per il comune di Monopoli tali linee programmatiche erano giunte ad approvazione quando la fase di costruzione della bozza di piano era già in fase avanzata. in queste condizioni il mandato valutativo non poteva che partire dalle analisi già prodotte nel processo di piano e collateralmente ad esso in altre attività strettamente connesse al piano.

la valutazione infatti aveva già avuto una sua collocazione nel proces-so di piano, in occasione del “PartecipaPUG”, un processo di sperimentazio-ne di e-democracy nell’ambito del quale la conduzione di forum reali e in

Figura 2. la convergenza delle conoscenze costruite nelle fasi di bilancio partecipato e di agenda 21 nella valutazione ambientale strategica del Piano di Monopoli.

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rete aveva condotto da un lato ad una valutazione di scenari per alcuni ambiti strategici del piano, dall’altro ad una valutazione di priorità alle quali dare risposta nella fase di pianificazione operativa (o meglio “programmatica”, secondo la definizione della legge regionale pugliese 20/2001 “tutela ed uso del territorio”).

Quasi contemporaneamente alla fase di partecipazione del “Partecipa-PUG”, era stato avviato il processo di Agenda 21 locale, che non aveva però dato rilevanti contributi al quadro di consapevolezza locale sui temi della sostenibilità. A riprova di ciò gran parte delle informazioni riportate nel rap-porto sullo stato dell’ambiente di A21 erano tratte dal Documento Program-matico Preliminare del Piano.

la figura 2 evidenzia come, nella scansione delle differenti fasi della Valutazione Ambientale Strategica siano intervenuti contributi provenien-ti dalle elaborazioni del Documento Preliminare Programmatico del Piano, dall’Agenda 21 e dal “PartecipaPUG”.

il contributo maggiore ha interessato la definizione di obiettivi di so-stenibilità per la fase di valutazione di coerenza degli obiettivi del Piano, e la costruzione del rapporto sullo stato dell’ambiente. la fase valutativa, ca-ratterizzata dall’uso di metodi strutturati di valutazione, si è invece compiuta completamente nella VAS.

il piano si è quindi dimostrato un momento di raccolta quasi unico di conoscenze, nell’ambito del quale si è prodotto uno sforzo notevole, ad esempio, per organizzare le informazioni ambientali in maniera sistematica, in riferimento a una serie di strumenti che nel trentennio passato dall’appro-vazione del PRG vigente avevano descritto, modificato e normato al livello sovraordinato il quadro dei valori ambientali e culturali espressi nel territorio (in particolare dal Piano Regionale per le Attività estrattive, dal Piano Regio-nale Paesistico, dal Piano Regionale di Assetto idrogeologico).

A queste conoscenze strutturate la VAS non poteva che attingere per limitatezza di tempo e di risorse. il limite di questa presenza di un quadro di conoscenze ambientali e di conoscenze diffuse già disponibile è la mancata organizzazione delle analisi fondate su quelle conoscenze nella prospettiva di una metodologia di valutazione strutturata.

il lavoro dello staff di valutazione a questo punto è stato innanzitutto di rileggere il territorio, e di fornirne una interpretazione valutativa, piuttosto

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che cognitiva, per non rischiare di cadere in una mera riproposizione della lettura già effettuata dal piano.

l’uso dei layer del Sistema informativo del Piano è allora stato fina-lizzato alla costruzione di una Geografia di Valori Ambientali, secondo una prassi consolidata di divisione del territorio in elementi geografici nei quali i differenti piani corrispondono a criteri dal quale fare emergere i valori del sistema ambientale e di quello dei beni culturali (maCioCCo 1988, STellin e roSaTo 1997, malCewzky 1999, orlando et al. 2005).

Le procedure di valutazionela rilettura in questo caso non ha potuto che partire dall’analisi di quali

valori siano in gioco. Di per sé l’informazione ambientale non rappresenta un valore, se essa non diviene elemento di discriminazione, non costruisce differenze in qualche modo misurabili.

la valutazione quindi sostanzia il rapporto sullo stato dell’ambiente, evidenziando lo snodo tra azioni di piano e criticità emergenti, determinando il quadro dei “valori complessi” attribuiti alla trasformazione.

Un primo momento di valutazione, ad opera di parte dello stesso staff responsabile della VAS, è stato sviluppato nell’ambito del progetto “Parteci-paPUG”.

in tale ambito, anche con l’ausilio di mappe mentali rappresentanti l’esito di Focus Group Virtuali e di Forum, sono state individuate alcune cri-ticità e alcune istanze di progettazione territoriale. la valutazione del livello di priorità delle istanze così rilevate è stata invece condotta con l’ausilio di metodi multicriterio fuzzy utilizzate a supporto di approcci alla valutazione degli impatti comunitari e già presenti in letteratura (munda 1995; de mar-Chi et al. 1998; CerreTa e Torre 2000). Di tale fase in questo contributo per brevità si omette la descrizione.

le istanze rilevate sono state poi richiamate nel rapporto sullo stato dell’ambiente della VAS. Per quanto riguarda la metodologia di valutazione vera e propria, invece, attraverso una procedura di valutazione multicriteri basata sull’applicazione dell’Analytic Hierarchy Process (SaaTy 1994) si è stimato il “grado di impattività” della trasformazione insediativa.

il “grado di impattività” diventa la misura della trasformazione e si rife-risce ai cosiddetti “contesti territoriali”; questi ultimi rappresentano di fatto le

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Il problema dell’integrazione del piano e delle procedure di VAS 215

forme di trasformazione o di tutela definite dalle linee di indirizzo program-matiche regionali.

i contesti territoriali sono caratterizzati da un’unica tipologia di azione (tutela, conservazione, recupero, trasformazione), distinti in urbani e rurali.

la parte strutturale del Piano urbanistico Generale individua la delimi-tazione dei contesti. la parte programmatica del Piano urbanistico Generale invece “conforma” i contesti individuando quale incidenza in ciascun contesto potrà avere la trasformazione insediativa, e con quali parametri urbanistici.

i contesti sono riferiti - al completamento dell’insediamento esistente (contesti consolidati);- al nuovo insediamento (contesti di nuovo impianto);- alla tutela paesaggistica e all’extraurbano (contesti rurali).

essi presentano un carattere di rigidità inferiore alle zone omogenee del PRG, e possono caratterizzati da - “prevalente” trasformazione residenziale (contesti residenziali);- “prevalente” trasformazione produttiva (contesti per attività);- “prevalente” trasformazione turistica (contesti per attività turistiche);- “prevalente” trasformazione terziaria (contesti per servizi).

l’elemento di discriminazione tra un contesto e un altro diventa quindi il carattere generale dell’intervento, e la sua misura, attraverso i parametri urbanistici.

Figura 3. Articolazione delle forme qualitative e quantitative della trasformazione.

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le modalità di trasformazione definite dal piano possono avere una di-mensione qualitativa o quantitativa. Sono dimensioni quantitative ad esempio le densità volumetriche ammissibili, i coefficienti di deflusso, gli indici di piantumazione. Sono invece dimensioni qualitative la ammissibilità di de-molizioni, ricostruzioni, ampliamenti dell’esistente, riferibili al patrimonio architettonico edilizio, o a quello infrastrutturale (figg. 3 e 4).

l’AHP è stato applicato utilizzando una valutazione su due livelli ge-rarchici: il livello più alto definisce le tipologie di interventi, così classificati: - interventi a carattere conservativo; - interventi di trasformazione;- interventi di ristrutturazione e ripristino;- interventi di infrastrutturazione.

il livello gerarchico inferiore invece è riferito alle modalità di inter-vento ammissibile contenute nella parte programmatica del piano. Attraverso l’AHP è stato definito il peso di ciascun intervento (secondo livello) e fami-glia di interventi (primo livello).

Figura 4. Peso delle forme qualitative e quantitative della trasformazione attuata nei contesti territoriali del Piano definito con l’ausilio dell’AHP.

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Il problema dell’integrazione del piano e delle procedure di VAS 217

Si è tentato così, attraverso l’uso del metodo gerarchico, di considerare in qualche modo la complementarità delle diverse tipologie di intervento, che nella loro aggregazione creano degli impatti cumulati.

Per ciascun contesto la misura dell’impattività è quindi rappresentata dalla somma dei contributi dati dal peso di ciascun intervento ammissibile. il valore dell’impattività ha come estremi zero (nessun impatto, nessun inter-vento di trasformazione), e uno (compresenza di tutte le modalità di interven-to massime).

il valore dell’indice di impattività massimo riportato dalla valutazione è stato pari a 0,67.

il grado di impattività della trasformazione è stato successivamente in-crociato con le criticità ambientali del territorio, emergenti dal rapporto sullo stato dell’ambiente della VAS.

il rapporto sullo stato dell’ambiente, nella fase di formulazione delle criticità non si è basato solo sulle risultanze delle analisi ambientali, ma ha anche tenuto conto delle valutazioni effettuate nella fase del “PartecipaPUG”.

le criticità emerse dalla fase partecipativa sono le seguenti:

Figura 5. Grado di impattività dei contesti territoriali del PUG definito attraverso un approccio additivo dei contributi di ciascun intervento ammissibile, nei differenti contesti.

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- il degrado del paesaggio;- il consumo di suolo;- il turismo come elemento di presisone antropica;- l’equilibrio tra tutela intesa come insieme di vincoli alla trasformazione

e lo sviluppo inteso come impulso alla trasformazione;- il consumo delle risorse ambientali;- il rischio idrogeologico.

Alle criticità emerse nella fase partecipativa si sono aggiunte: - le aree SiC (per le quali è stato necessario redigere la valutazione di

incidenza ambientale delle azioni di piano dei territori interessati); - il rischio tecnologico (in aggiunta a quello idrogeologico).

il metodo AHP, è stato utilizzato quindi non solo per pesare la trasfor-mazione, ma anche per la costruzione di indici ambientali (SoCCo 2006) qua-liquantitativi delle criticità.

il territorio è stato diviso in sei ambiti:- ambito costiero, a nord del centro urbano;- ambito costiero, a sud del centro urbano;- ambito urbanizzato;- ambito portuale;- ambito agricolo, della piana degli ulivi;- ambito agricolo, della Murgia.

Per ciascun ambito territoriale è stato assegnato un peso relativo a cia-scuna criticità attraverso una procedura AHP. Quindi ogni ambito territoriale alla fine della valutazione è stato caratterizzato da un profilo di criticità diffe-rente, a causa delle differenti incidenze (determinate attraverso la procedura analitica-gerarchica).

i dati delle valutazioni, da un lato l’impatto della trasformazione, e dall’altro il profilo di criticità degli ambiti territoriali, sono stati quindi imple-mentati nel Sistema informativo territoriale.

infine attraverso un overlay si sono generati dei valori di interazione, pari al prodotto del valore medio dell’impatto della trasformazione relativa a ciascun contesto territoriale per il peso di ciascuna criticità in ogni ambito.

la figura a seguire illustra la frammentazione del territorio secondo i valori delle interazioni.

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Il problema dell’integrazione del piano e delle procedure di VAS 219

6. il ruolo della valutazione nell’uso della campagna. l’“appartenenza” della risorsa rurale

il Piano Urbanistico ha affrontato la questione dell’uso sostenibile delle risorse nel territorio agricolo da tre punti di vista:- la lotta alla dispersione insediativa;- la tutela del patrimonio di ulivi secolari;- il riuso delle risorse idriche e il risparmio energetico.

Dei tre argomenti, il più rilevante si è dimostrato quello relativo al lotto minimo edificabile, per il quale la Regione, anche su indicazione di quanto

Figura 6. Peso dell’incidenza delle differenti criticità sugli ambiti definito con l’ausilio dell’AHP.

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previsto dal rapporto ambientale, ha richiesto che in alcuni ambiti rurali di particolare interesse paesaggistico vi fosse un lotto non inferiore ai diecimila metri quadri, a fronte di quello previsto di taglio decisamente inferiore (due-mila metri quadri).

Sul tema del risparmio delle risorse idriche nelle nuove realizzazioni il piano introduce l’obbligo di realizzare servizi tecnologici atti al recupero delle acque piovane e alla gestione sostenibile dei reflui per usi agricoli.

il tema dell’edificazione dei reflui, apparentemente slegato dalla que-stione delle risorse idriche, ha nella realtà un legame rilevante con la questio-ne dell’equilibrio tra carico ambientale e pressione antropica indotta dall’in-sediamento.

infatti la possibilità di una densificazione maggiore dell’insediamento rurale può generare impatti dovuti alla moltiplicazione delle reti tecnologiche e alla produzione stessa di reflui. tale dibattito però è passato in secondo pia-no nei diversi incontri svolti nelle contrade, dove il tema della casa in campa-gna è risultato talmente tanto prevalere dall’aver presentato il maggior punto di scontro nel dibattito che ha interessato sia l’adozione che l’approvazione del Piano.

Sul versante della campagna periurbana, tra l’altro, la valutazione ambientale strategica sottolineava che soprattutto il tema delle acque, e la concentrazione dei punti di deflusso nelle aree agricole collocate all’interno del semicerchio rappresentato dalla viabilità tangenziale al centro urbano (la Strada Statale 16 bis) rappresentava un tema rilevante, da affrontare in fase di pianificazione attuativa, e dal quale poteva dipendere la sostenibilità ambien-tale di tali parti “riurbanizzate” del territorio.

L’“appartenenza” dell’ambiente a tutta la comunità e l’addebitamento dei costi alla sola proprietà fondiaria impongono spesso che i proprietari del territorio agricolo si facciano carico del corretto uso delle risorse rurali.

Da questo punto di vista, la possibilità di avere incrementi premiali di volumetria edificabile per chi adottava tecnologie di gestione delle acque nell’edificazione rurale poteva essere una buona forma di compensazione.

Questi stessi temi sono richiamati nel Piano di Sviluppo rurale, o nel Piano di tutela delle Acque, allorquando si individuano eventuali incentivi per lo sviluppo di tecnologie di uso agricolo del territorio sostenibili. tali incentivi, molto vaghi in un piano di dimensione regionale, diventano norme

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Il problema dell’integrazione del piano e delle procedure di VAS 221

specifiche sulle quai si formano conflitti e consensi nella dimensione locale.Da questo punto di vista vale la pena richiamare il “Principio di propor-

zionalità”.il comma 4 dell’Art. 13 del D.lgs 4/2008 (che norma di fatto le proce-

dure di VAS) recita quanto segue:“nel rapporto ambientale debbono essere individuati, descritti e valu-

tati gli impatti significativi che l’attuazione del piano o del programma pro-posto potrebbe avere sull’ambiente e sul patrimonio culturale, nonché le ra-gionevoli alternative che possono adottarsi in considerazione degli obiettivi e dell’ambito territoriale del piano o del programma stesso. l’allegato Vi al presente decreto riporta le informazioni da fornire nel rapporto ambientale a tale scopo, nei limiti in cui possono essere ragionevolmente richieste, tenuto

Figura 7. territorializzazione dell’incrocio dei valori di impatto della trasformazione con i valori am-bientali dei differenti ambiti territoriali.

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conto del livello delle conoscenze e dei metodi di valutazione correnti, dei contenuti e del livello di dettaglio del piano o del programma.”

il D.lgs 4/2008 quindi richiama il “principio di proporzionalità”, che nel rapporto ambientale si traduce nel mettere in relazione il grado di detta-glio del piano con il grado di descrizione degli impatti.

il principio di proporzionalità può essere un utile riferimento allorquan-do di fronte ad un livello di generalità delle prescrizioni/norma/indicazioni di un piano/programma si può rendere difficoltosa l’individuazione di azioni finalizzate alla riduzione degli impatti più specifiche e dettagliate.

7. Riflessioni finali

nell’esperienza raccontata in questo contributo la principale riflessio-ne relativa al ruolo delle metodologie di valutazione può essere rivolta alla rilevanza che esse hanno assunto nel processo di costruzione di conoscenza.

la conoscenza, infatti, delle dinamiche del piano, delle analisi in esso contenute, diventa la base fondamentale per l’avvio di un processo adattivo, creativo (zeleny 1994) nel quale la valutazione, in assenza di regole metodo-logiche decodificate da norme, tende ad una de-costruzione e ri-costruzione del quadro delle conoscenze già disponibili, a volte attingendo informazioni dagli esiti di bilanci partecipativi, di rapporti ambientali, già prodotti in altri processi (come Agenda 21 o pianificazione strategica), o dal piano stesso nel-le sue fasi preliminari.

tale attività valutativa non può che essere fondata su una forma di sape-re critico che consente un corretto utilizzo delle metodologie, oltre che su una visione non statica del processo valutativo stesso, di certo non relegato ad un mero momento nell’orizzonte delle decisioni.

È evidente che in situazioni come quelle tracciate in questo racconto, viene enfatizzata la rilevanza degli approfondimenti, e degli incroci tra ri-cerca e applicazione operativa della valutazione dei piani, attraverso l’uso di riferimenti metodologici, rispetto ai quali il caso di studio qui illustrato pretende di essere una buona pratica.

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GianfranCo Ciola

i deserti antropogenici: effetti del diserbo chimico e della frantumazione dei banchi calcarei sulla biodiversità del paesaggio agrario pugliese con

particolare riferimento agli oliveti secolari

Sommario: 1. Introduzione; 2. L’adozione di pratiche agricole irrazionali pone la Puglia a rischio di desertificazione; 3. La macinatura dei suoli, una pratica disastrosa che conduce alla desertificazione; 4. La primavera silenziosa della campagna pugliese, effetti del diserbo chimico sulla biodiversità; 5. Adozione di pratiche sostenibili nella gestione del suolo; 5. Conclusioni.

1. introduzione

Da secoli la campagna pugliese ci ha regalato un paesaggio suggestivo, che assume aspetti diversi col succedersi delle stagioni. bellissima è l’immagi-ne degli oliveti secolari in primavera – quelli risparmiati dall’uso dei diserban-ti – che mostrano tutta la bellezza delle fioriture tipiche della flora mediterra-nea. È ancora possibile osservare sistemi agricoli gestiti in maniera estensiva, caratterizzati da una forte naturalità per la ricca varietà floristica, che rappre-sentano habitat ideale e fonte trofica per molte specie animali che vi trovano rifugio. tuttavia nel corso degli ultimi decenni una gran parte di questi sistemi hanno subito notevoli cambiamenti a causa della diffusione di alcune discuti-bili pratiche agronomiche che hanno comportato drammatici effetti sulla bio-diversità, impoverendola, e sul paesaggio, semplificandolo e banalizzandolo. lo spietramento e la macinazione del suolo, il diserbo chimico, l’impiego di acqua salmastra per le irrigazioni, la mancanza di rotazioni nelle coltivazio-ni, ed il ricorso ad altre tecniche agricole irrazionali sta portando alcune aree agricole della Puglia verso un processo di desertificazione. occorre riflettere sulla vera utilità di tali pratiche e sulla necessità di porvi rimedio attraverso il diffondersi di una nuova cultura di difesa e conservazione del suolo, che faccia ricorso a tecniche agronomiche sostenibili.

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2. l’adozione di pratiche agricole irrazionali pone la Puglia a rischio di desertificazione

Quando si parla di deserto tutti immaginano le enormi dune di sabbia che si susseguono in sconfinati paesaggi africani percorsi da beduini che ca-valcano cammelli. in realtà esistono altre forme di deserto più subdole e meno evidenti. la desertificazione si configura infatti in una drammatica riduzione della fertilità del suolo ed è dovuta sia a cause naturali che alle attività uma-ne. Come è noto questo argomento sta suscitando preoccupazione, in quanto i processi di desertificazione si stanno sviluppando su scala globale e a ritmo accelerato interessando gran parte delle regioni mediterranee tra cui il sud italia. il cambiamento del clima risulta la causa naturale più rilevante, seb-bene anche tale modificazione è in larga parte attribuibile alle attività umane. tra le cause determinanti vi sono, anche, senza dubbio, l’eccessiva pressione antropica sugli ecosistemi naturali e l’adozione di inopportune tecniche agricole, come:- la mancanza di rotazione delle coltivazioni o, ancor peggio, la mono-

coltura intensiva;- l’accorciamento dei cicli di coltivazione;- la mancanza di riposo del suolo affinché riacquisti i nutrienti necessari

al ripristino dei normali livelli di produttività;- gli allevamenti e i pascoli intensivi con la conseguente riduzione della

copertura vegetale e compattazione e rimozione di suolo;- la separazione tra allevamento e agricoltura, con la perdita del regolare

apporto di letame, fonte primaria di fertilizzanti naturali utili alla rige-nerazione del suolo;

- gli incendi ed i disboscamenti con la scomparsa della copertura vegeta-le che aumenta le perdite di acqua per evapotraspirazione e l’innesco di processi di erosione del suolo ad opera delle acque e del vento;

- l’utilizzo di acqua salmastra per l’irrigazione.l’agricoltura intensiva impedisce al suolo di rigenerarsi naturalmente e

di riprodurre ciclicamente i principali elementi nutritivi e la sostanza organica necessaria a garantire la sua costante fertilità.

la sterilità del suolo è causata anche dalla sua progressiva salinizzazio-ne. Gli eccessivi apporti chimici (fertilizzanti, pesticidi, regolatori di cresci-

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I deserti antropogenici 227

ta, ecc.) dell’agricoltura intensiva, hanno inizialmente aumentato la produtti-vità dei terreni ma nello stesso tempo hanno generato una progressiva saliniz-zazione con conseguente riduzione della fertilità naturale. la salinizzazione è anche il risultato dell’eccessivo ed irrazionale utilizzo irriguo delle acque sotterranee, che ha favorito la contaminazione salina delle falde acquife-re per ingressione di acqua marina: l’utilizzo di queste acque contribuisce a rendere sterili i suoli. Ciò nonostante l’impiego dell’irrigazione nelle aree semi-aride della Puglia è aumentata negli ultimi decenni, stimolata dall’im-piego di nuove cultivar vegetali dalle forti esigenze idriche, prodotte da ditte sementiere e vivaisti per essere diffuse su scala mondiale e che risulta-no per nulla adatte alle nostre condizioni ambientali. invece tutte le varietà agrarie tradizionali della Puglia (di olivo, mandorlo, fico, vite e ortaggi), sono quelle che generazioni di agricoltori hanno selezionato nei secoli in funzione della resistenza alle limitate disponibilità idriche: tutte queste coltivazioni, infatti, sono state condotte per secoli in condizioni di aridocoltura. Ma ve-diamo il risultato tangibile che scaturisce dallo sfruttamento irrazionale delle aree a clima sub-arido: dal 1900 al 1970 le aree a rischio desertificazione sono cresciute in europa del 40%. in italia le regioni maggiormente a rischio sono Sicilia, Sardegna, Puglia e Calabria. le pratiche agricole irrazionali, il sovrapascolamento, la deforestazione, gli incendi ed i processi di cementifi-cazione ed urbanizzazione concorrono ad incrementare l’estensione di queste aree. ogni anno in italia 30.000 ettari di suoli ad alta fertilità sono sottoposti a cambio d’uso da agricolo ad urbanistico; 3,7 milioni di ettari di suolo nel sud italia risultano degradati a causa di inidonee pratiche agricole.

la progressiva perdita di fertilità del terreno, la riduzione della sostanza organica e della diversità animale e vegetale, il conseguente calo di raccolti e di redditività, sono gli effetti di questo processo che coinvolge gran parte del territorio pugliese, dal Salento all’arco jonico e a gran parte della Capitanata.

Sulla base dei processi di desertificazione e dei cambiamenti climatici in atto si prevede uno spostamento degli ambienti caldo-aridi verso latitudini e altitudini sempre maggiori. occorre intervenire subito per evitare che l’inte-ro paesaggio agrario di Puglia subisca un esodo verso il nord italia. A questo punto non saranno più i tir sulle autostrade a portare gli ulivi verso il nord, ma i cambiamenti climatici e le errate conduzioni agricole attualmente in atto sulle nostre terre.

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3. la macinatura dei suoli, una pratica disastrosa che conduce alla desertificazione

la vulnerabilità alla desertificazione è ulteriormente accentuata dalla pratica dello spietramento, che partita inizialmente nell’Alta Murgia, si è poi diffusa su più vasta scala nella regione dove terra e roccia sono trasformate in fine polvere calcarea.

Questa pratica ebbe origine quando la Regione Puglia emanò la l.R. n. 54 del 31 agosto 1981 che, utilizzando fondi comunitari, finanziava il mi-glioramento delle superfici foraggere rendendo seminabili i pascoli naturali.

Pratica di dubbio valore agronomico, il dissodamento e la frantuma-zione dei banchi calcarei rappresenta un grave danno ambientale. infatti ogni suolo è costituito da una componente minerale ed una componente organica. in quest’ultima è presente flora e fauna microbica, che svolgono un ruolo fondamentale nel ciclo della sostanza organica, di trasformazione dell’azoto e delle altre sostanze nutritive rese così assimilabili dalle radici delle piante. invertebrati, insetti e piccoli mammiferi nel loro insieme compongono un vero e proprio ecosistema in grado di assicurare la fertilità del suolo. Quando tutto ciò è finemente macinato, la componente vivente del suolo viene irrime-diabilmente cancellata e lo stesso risulta trasformato in sostanza prevalente-mente inerte, dando così avvio ad inesorabili processi di desertificazione. la rimozione dei massi e la macinazione del primo strato di suolo con lo scopo di rendere il terreno “fine come borotalco”, predispone lo stesso a fenomeni di erosione e desertificazione prima sconosciuti. infatti il dissodamento e la frantumazione, interrompendo e tappando il reticolo carsico creatosi nel cor-so dei secoli, ostacolano l’infiltrazione della acque superficiali nel sottosuolo riducendo l’alimentazione delle falde sotterranee; le acque che avrebbero do-vuto infiltrarsi scorrono invece superficialmente, portando via humus e suolo fertile, impoverendo i suoli, aumentando lo scorrimento superficiale e inne-scando gravi fenomeni di dissesto idrogeologico. la desertificazione, come in un deserto che si rispetti, avviene anche in forme più subdole, continue e non percepibili, con il vento che trasporta le particelle più leggere e lascia al suolo la inerte farina di roccia.

nell’Alta Murgia la superficie interessata è immensa: oltre 50.000 ha sono stati coinvolti da questo fenomeno, generando dei paesaggi “arlecchi-

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I deserti antropogenici 229

no” con geometrie dettate dagli effetti della macinatura del suolo e dei ban-chi calcarei sottostanti. Altri elementi del paesaggio e del tessuto produttivo devastati dallo spietramento sono i pascoli perduti, tratturelli e muri a secco dissodati e frantumati: questa pratica ha così travolto anche gli aspetti storici e culturali del territorio.

Dai pascoli brulli dell’Alta Murgia agli oliveti secolari dell’Alto Sa-lento il dissesto ambientale non cambia e tutto per l’illusione di poter con-quistare ulteriori strati di terra arabile, senza sapere che in realtà si è solo trasformata la roccia affiorante in una mescola di terra sterile.

4. la primavera silenziosa della campagna pugliese, effetti del diserbo chimico sulla biodiversità

Abbiamo già ricordato che le campagne pugliesi hanno da secoli re-galato un paesaggio quanto mai suggestivo, che assume aspetti diversi col succedersi delle stagioni. Gli oliveti ad esempio in primavera mostrano la magia dei colori più vari delle fioriture della flora mediterranea: il verde del tappeto erboso si macchia con il rosso dei papaveri, il giallo dell’acetosella e l’arancio della calendula. Si possono osservare gli anemoni, le cui corolle variano dal bianco all’azzurro, al violetto, al rosso brillante; l’aglio roseo con le infiorescenze a forma semisferica e le spate giallo-verde del gigaro. Stu-penda è la contrapposizione tra la breve vita della vegetazione erbacea, dei fiori che durano appena una stagione, e la longevità degli olivi secolari che si legge nella maestosità dei tronchi contorti. l’oliveto è luogo insostituibile di sosta per una varietà di uccelli che in esso vi trova, oltre al cibo, tranquillità e protezione. in primavera fanno la loro apparizione l’upupa che nidifica nel tronco cavo degli olivi, la cincia, la capinera, l’averla, il verdone, il succiaca-pre, il codirosso, la sterpazzola, il luì e molte altre specie, tutte insettivore e quindi di grande aiuto per l’agricoltore. nella stagione fredda si vedono pet-tirossi, fringuelli, tordi, merli e storni, che nell’uliveto hanno sempre trovato condizioni di vita e luogo di svernamento ideali. lo storno, temuto dall’uomo per la grande razzia di olive che procura, ha i suoi nemici naturali, tra questi il gheppio, un rapace che nidifica nei casolari abbandonati. in primavera, ne-gli oliveti, scavano le loro gallerie lombrichi e talpe, sul terreno e fra l’erba

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sono presenti cavallette, grilli, coleotteri e molte specie di insetti. nei muretti a secco che segnano i confini dell’oliveto vivono lucertole, ramarri e i gechi, che attendono immobili e con illimitata pazienza, gli insetti di cui si nutrono. tra le chiome degli ulivi, di notte, è possibile scrutare anche il barbagianni e la civetta ed ascoltare i loro versi aspri e striduli. Di notte l’uliveto è visitato anche dal tasso, dalla volpe, dal riccio, dalla donnola che lo attraversano alla ricerca di prede.

l’oliveto, quindi, è sempre stato un ambiente agricolo con forte natura-lità. Ma se questo è ciò che accade negli uliveti non trattati con i diserbanti, negli ultimi decenni il loro numero si è progressivamente ridotto. Sempre più spesso passeggiando tra le strade di campagna, nel periodo in cui l’inverno cede il passo alla primavera, si osservano i campi di un colore strano che non appartiene al verde dell’erba, ma a colori che vanno dalle tonalità del giallo, del rosso, dell’arancio provocate dall’azione dei diserbanti irrorati nei campi. Sono i colori di una campagna resa sterile dove ogni forma di vita è stata can-cellata. negli ultimi anni sta diventando consuetudine impiegare diserbanti chimici nelle aree agricole senza più svolgere l’aratura o lo sfalcio, e così il suolo si presenta duro e compatto come un pavimento, triste e senza vita come un paesaggio lunare.

Se prima ogni filo d’erba si trasformava in carne, latte, uova, formag-gio, oggi per molti l’erba appare come un “flagello di Dio” da distruggere, av-velenare, eliminare ad ogni costo. Si è passati da oliveti che hanno convissuto con la vegetazione spontanea sia erbacea che macchiosa, ad oliveti sterili per la mancanza di buon senso e per una falsa cultura della produttività che ha dichiarato una guerra chimica alla bellezza e alla diversità della vita.

ecco perché con l’avvio della primavera larghi tratti della campagna di-ventano silenziosi e senza vita. Sono drammatici gli effetti di queste pratiche, effetti che non sono solo di natura estetica, ma riguardano l’impoverimento del paesaggio o della biodiversità. Ma anche se non volessimo considerare l’aspetto estetico e la difesa della biodiversità, e volessimo soffermarci solo sul fatto che la campagna è un luogo dove si produce cibo, quella campagna avvelenata dovrebbe far riflettere sul nostro autolesionismo. Se come dice più di qualcuno, siamo quello che mangiamo, allora quella campagna sterile e silenziosa è lo specchio dei nostri tempi, del nostro modo di concepire la bellezza, la diversità della vita e la salute del nostro corpo.

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5. Adozione di pratiche sostenibili nella gestione del suolo

Un’agricoltura a basso impatto ambientale, ha l’obiettivo di migliorare la fertilità del terreno, evitando l’impiego di prodotti che possono conta-minare l’agro-ecosistema e limitando l’utilizzo delle risorse non rinnovabili.

Dall’esigenza di raggiungere questi obiettivi derivano alcune buone norme fondamentali: - evitare le perdite di elementi solubili;- possibilmente utilizzare le leguminose come fonte di azoto;- non impiegare prodotti ottenuti per sintesi chimica;- salvaguardare l’attività degli organismi vegetali e animali che vivono

nel terreno;- contenere i fenomeni erosivi.

Diversi sono i fattori su cui si può agire per migliorare la fertilità del terreno dal punto di vista fisico, e che attengono al miglioramento del rapporto tra aria e acqua nel suolo. Per migliorare le condizioni fisiche di un terreno è fondamentale occuparsi del fattore acqua e della struttura del terreno dalla quale dipende anche la sua porosità. l’apporto di sostanza organica migliora la porosità e la capacità di ritenzione dell’acqua, l’aera-zione del suolo, la vita del terreno, la struttura, la resistenza meccanica, il colore, il pH, la fertilità chimica, favorendo pertanto un migliore sviluppo delle radici.

i microrganismi e la fauna del terreno costituiscono un importante fat-tore della fertilità non solo chimica ma anche fisica. la loro attività dipende in primo luogo dall’umidità, dalla temperatura, dall’aerazione e dalla presenza di sostanza organica.

nell’agricoltura a basso impatto ambientale la fertilità e l’attività biolo-gica dei suoli devono essere mantenute o incrementate, combinando le diver-se tecniche di copertura e protezione del suolo (inerbimento, sovescio, ecc.) attraverso l’impiego dei residui vegetali e derivanti dagli allevamenti ani-mali, con l’obiettivo di contenere al minimo l’impiego di mezzi provenienti dall’esterno dell’azienda. tale modalità di gestione sostenibile del suolo si può conseguire attraverso l’applicazione di diverse pratiche, come:- l’utilizzo di coperture vegetali, rappresentate dall’inerbimento con la

coltivazione di specie da sovescio, in particolare di leguminose, che

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sono in grado di fissare azoto aumentando il contenuto di questo ele-mento nutritivo nel terreno;

- l’incorporazione nei suoli di materiale organico proveniente dalla stessa azienda o da altre aziende che praticano metodi di coltivazione a basso impatto ambientale;

- l’uso di fertilizzanti esterni all’azienda sia organici, sia minerali (di origine naturale), da ipotizzare solo nel caso i sistemi sopra citati non si siano mostrati efficienti nel garantire la fertilità e la normale attività biologica dei suoli.

Inerbimento e lavorazionil’erosione idrica è un problema in molti dei nostri terreni soprattutto

in quelli che presentano un minimo di pendenza. in Puglia la piovosità si concentra in periodi in cui il terreno può essere ancora nudo. l’erosione idri-ca provoca notevoli danni e in alcuni casi può farsi sentire, seppur in tono minore, l’erosione eolica. l’unica difesa in entrambi i casi, è mantenere una copertura vegetante del terreno. Con l’inerbimento le proprietà fisiche del terreno vengono migliorate dalla presenza di un fitto capillizio radicale che si distribuisce uniformemente e più o meno profondamente a seconda delle spe-cie, inoltre la presenza di apparati radicali fittonanti favorisce l’infiltrazione profonda dell’acqua soprattutto nel caso di piogge intense.

la gestione del suolo attraverso le lavorazioni, determina maggiori per-dite di sostanza organica per mineralizzazione, fenomeni di erosione in terre-ni in pendenza ed una minore portanza del terreno, soprattutto subito dopo il verificarsi di piogge. l’inerbimento permanente (gestito con numerosi sfalci per ridurre al minimo la competizione per l’acqua) può rappresentare la giusta soluzione per salvaguardare il contenuto di sostanza organica del suolo.

nei terreni che rimangono nudi dall’autunno alla primavera inoltrata, si verifica una notevole perdita per lisciviazione di elementi nutritivi e di azoto in particolare. il risultato di ciò è doppiamente negativo perché si ha un im-poverimento del terreno ed un inquinamento della falda freatica. Al contrario un terreno coperto agisce in due modi: da un lato ostacola il ruscellamento (scorrimento superficiale) dell’acqua, dall’altro incamera gli elementi nutriti-vi nei tessuti vegetali, bloccandoli momentaneamente sotto forma organica e rendendoli disponibili in seguito con la decomposizione dei tessuti vegetali.

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il cotico erboso va controllato effettuando un primo sfalcio all’inizio della primavera e gli altri in seguito quando lo stesso raggiunge circa 20 cm di altezza.

nel periodo primaverile-estivo, grazie agli sfalci si crea uno strato pac-ciamante che permette di ridurre le perdite di acqua per evaporazione.

Per non ridurre la capacità di ricaccio dell’erba, l’altezza del taglio da terra deve essere di 5-6 cm.

indicativamente, l’inerbimento permanente può fornire 3-6 t/ha/anno di sostanza secca, pari a 0,6-1,8 t/ha/anno di humus.

in sintesi l’inerbimento presenta numerosi vantaggi:- permette di mantenere o incrementare il livello di sostanza organica del

terreno;- favorisce la presenza di organismi utili che aiutano nel controllo di

quelli dannosi;- riduce l’erosione nei terreni in pendenza;- diminuisce il compattamento del suolo causato dal passaggio dei mezzi

meccanici;- permette lo sviluppo dell’apparato radicale anche negli strati superficia-

li di terreno;- diminuisce la perdita di azoto per lisciviazione e, quindi, i rischi di in-

quinamento degli strati profondi del terreno e delle falde; determina una migliore disponibilità del fosforo e del potassio e degli altri elementi nutritivi lungo il profilo del terreno;

- se comprende leguminose, può fornire azoto immediatamente assimila-bile;

- nel caso degli oliveti agevola l’esecuzione della raccolta (più facile spostamento dei teli e movimentazione delle macchine e riduzione dei rischi di infangatura delle olive) e della potatura.

Impiego di materiale organico di origine vegetale o animalePer conservare o migliorare la fertilità del terreno è di grande impor-

tanza l’apporto di sostanza organica. i materiali organici di origine vegetale o animale che possono essere utilizzati per la fertilizzazione, sono numerosi:- letami di bovini, ovini, caprini, equini, ecc.;

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- compost;- pollina;- sovescio;- residui di potatura;- residui dei processi di trasformazione delle olive, quali la sansa e le

acque di vegetazione.tali materiali organici rilasciano gradualmente gli elementi nutritivi,

fornendo gli stessi man mano che sono richiesti dalle piante. i primi due ma-teriali rientrano tra gli ammendanti organici di origine vegetale o animale, ca-ratterizzati da una bassa concentrazione di sostanze nutritive e da un elevato contenuto di sostanza organica e di flora batterica.

È importante che i materiali organici impiegati siano facilmente repe-ribili in zona, soprattutto tenendo sempre presente il rapporto costi-benefici delle somministrazioni.

nell’ottica di ridurre gli input esterni, è rilevante impiegare una tecnica di fertilizzazione che utilizzi al meglio i residui della filiera olivicola, come il materiale di potatura o la sansa vergine e le acque di vegetazione che residua-no dai processi di trasformazione.

Per l’uso delle sanse e dei reflui di frantoi oleari (acque di vegetazione), occorre rispettare la specifica normativa, che stabilisce i limiti di accettabi-lità e le modalità d’uso. A quest’ultimo riguardo, le dosi massime di sansa o acqua di vegetazione tal quali, che possono essere somministrate sono di 50 m3/ha/anno se tali materiali sono stati ottenuti con sistemi a pressione (di-scontinui) di estrazione dell’olio dalle olive e di 80 m3/ha/anno se sono state ottenute con sistemi continui di estrazione dell’olio dalle olive.

le sanse e le acque di vegetazione possono anche essere miscelate con altri materiali per ottenere un compost con un valore fertilizzante maggio-re. A tale riguardo, potrebbe essere utile compostare la sansa e le acque di vegetazione con il materiale di potatura dell’olivo, con l’aggiunta di paglia, materiale sfalciato, letame e/o pollina, ecc., magari direttamente in campo per ridurre i costi del successivo trasporto.

la somministrazione di letame o di altri materiali organici compostati o no (ad es. le sanse) andrebbe fatta in autunno/inverno dopo la raccolta. Se il terreno è gestito mediante lavorazioni e si esegue un intervento in autunno, la distribuzione andrebbe fatta prima di tale intervento.

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in oliveti privi di inerbimento, con produzioni di 30-40 q/ha, la ferti-lizzazione può essere effettuata interrando i residui di potatura trinciati ed apportando annualmente 20-30 t/ha di letame o di compost con composizione equivalente. Per oliveti con produzioni superiori occorre aumentare l’apporto di letame/compost.

Un’altra possibilità consiste nell’alternare l’apporto di letame/compost e l’esecuzione del sovescio (di graminacee e leguminose o di sole leguminose).

Se il terreno è gestito mediante inerbimento o sovescio, è consigliabile triturare i residui di potatura al momento del sovescio o dello sfalcio del pra-to. tale abbinamento, soprattutto con il sovescio, è molto utile per sopperire alla temporanea possibile sottrazione di azoto da parte dei microrganismi de-molitori dei materiali legnosi (materiale di potatura). Sarebbe opportuno ef-fettuare apposite concimazioni che apportino azoto prontamente disponibile (20-30 kg/ha di azoto), somministrando letame o compost, tale apporto per massimizzare l’effetto, andrebbe interrato. l’interramento, anche parziale, potrebbe coincidere con la rottura del prato fatta per “arieggiare il terreno”, che potrebbe essere eseguita ogni 2 anni a filari alterni, raddoppiando le dosi annuali. Se non è necessario effettuare la rottura del prato, e/o se il terreno è a forte rischio di erosione, il letame/compost può essere lasciato in superficie.

Sovescio (concimazione verde)Come già accennato la fertilità può anche essere assicurata attraverso la

pratica del sovescio. in particolare il sovescio apporta sostanza organica nelle situazioni in cui l’impiego di letame o compost risulta non praticabile (es. non reperibili in zona/alti costi di trasporto), in quanto consente apporti di sostan-za organica secca fino a 4-6 t/ha, che corrispondono a 0,4-1,2 t/ha di humus.

in Puglia dove le estati sono lunghe e gli inverni miti, è possibile pra-ticare il sovescio adottando numerose specie erbacee autunno-primaverili (leguminose, graminacee, crucifere, ecc.) seminate singolarmente o in mi-scuglio.

in genere il miscuglio di diverse specie per la costituzione di una co-pertura verde da interrare risulta migliore dell’uso di una singola specie grazie all’effetto complementare offerto dalle diverse piante. Combinando leguminose a radici fittonanti con graminacee a radici fascicolate si ottiene un miglioramento della fertilità sia in termini chimici che fisici (struttura/

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permeabilità/porosità). Una pratica ben radicata, soprattutto negli ambienti semi-aridi, quale quello pugliese, prevede la coltivazione di specie a ciclo autunno-primaverile da sovesciare in marzo o aprile.

le specie con ciclo autunno-primaverile più utilizzate in Puglia sono rappresentate da graminacee e leguminose; molto comuni i miscugli di orzo e favino o di orzo e veccia. Si può scegliere di coltivare sole leguminose nel caso si voglia privilegiare l’apporto dell’azoto massimizzando quindi la fissa-zione di questo elemento. orientativamente, il sovescio con leguminose può rendere disponibili da 50 a 100 kg di azoto/ha.

Gestione delle lavorazioniin particolare affinché la gestione del suolo persegua l’obiettivo di pre-

servare e migliorare le risorse naturali e ambientali, tenendo in conto al con-tempo della necessità di contenere i costi di gestione, bisognerebbe prestare attenzione alla modalità di attuazione ed al numero delle lavorazioni che, tal-volta, possono risultare dannose per la struttura del suolo e per la biodiversità in genere e che costituiscono un onere dal punto di vista finanziario.

Si ribadisce che, per limitare gli inconvenienti delle lavorazioni, si può sostituire la lavorazione autunnale con uno sfalcio delle piante spontanee, in modo da avere il terreno inerbito nel periodo autunno-primaverile; ciò, faci-literebbe l’accesso delle macchine nei campi riducendo i fenomeni erosivi.

6. Conclusioni

le cause che innescano i processi di desertificazione in Puglia sono dovuti in parte ai cambiamenti climatici in atto e in parte a dannose pratiche agronomiche che generano ulteriori danni sulla qualità del paesaggio agrario pugliese.

occorre porre rimedio a ciò attraverso la diffusione di pratiche agro-nomiche di aridocoltura in grado di non depauperare la fertilità del suolo at-traverso l’impiego di specie e varietà native resistenti alla siccità; il recupero di tecniche di lavorazione del suolo (inerbimenti controllati al posto delle lavorazioni meccaniche) e colturali volte alla riduzione dell’erosione; l’uso di fertilizzanti organici.

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Ma per contrastare il rischio di desertificazione occorre anche agire sul-la consapevolezza di ognuno, mediante la giusta informazione e formazione dei cittadini e degli agricoltori sugli effetti negativi di pratiche agricole oggi ampiamente diffuse e sensibilizzando e coinvolgendo la popolazione locale ad un utilizzo consapevole della risorsa idrica. Molte di queste pratiche pur apparendo oggi innovative provengono da una cultura agricola appartenuta ai nostri progenitori.

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glioramenti Fondiari” nelle Murge Alte (Puglia): l’impatto antropico sul paesag-gio carsico e costiero. “il Quaternario” italian Journal of Quaternari Science, vol. 17(2/1): 323-330.

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GaeTano ladiSa

Combattere il degrado delle risorse naturali per una agricoltura sostenibile

Sommario: 1. Il Mediterraneo: un sistema minacciato; 2. Il degrado delle risorse naturali in Puglia; 3. La sostenibilità in agricoltura: una sfida raccolta dall’Istituto Agronomico Mediterraneo di Bari.

1. il Mediterraneo: un sistema minacciato

il Mediterraneo è un’eco-regione ben definita, caratterizzata da una grande diversità di paesaggi, suoli, acque e biodiversità animale e vegetale. il suo paesaggio si è co-evoluto attraverso l’interazione tra le sue caratteristiche geo-climatiche e l’azione costante della presenza umana. lungo queste coste sono sorte le grandi civiltà, è qui che è nata l’agricoltura, qui l’uomo ha pra-ticato per la prima volta l’irrigazione e la coltivazione stanziale delle piante, fornendo così un contributo determinante alla nascita della civiltà moderna. Sistemi tradizionali di gestione del territorio e delle sue risorse, perfettamente adattati alle diversità delle situazioni morfologiche ed ecologiche, hanno rea-lizzato nel Mediterraneo un complesso mosaico di paesaggi ed ecosistemi di differente produttività.

lungo i suoi 46.000 km di costa si affacciano 22 paesi e 430 milioni di abitanti chiamano il Mediterraneo “la loro casa” e da esso traggono sosten-tamento.

Questa enorme pressione antropica, esercitata sin dalle epoche più anti-che, ha inevitabilmente portato ad un intenso sfruttamento delle risorse natu-rali: acqua, suolo e biodiversità.

benché si possa affermare che il paesaggio mediterraneo si sia anda-to modificando proprio sotto l’azione costante della presenza umana condi-zionando, al contempo, le modalità di vita delle popolazioni residenti sulle sue sponde, è innegabile che, negli ultimi decenni, il degrado ambientale in quest’area abbia subito un’accelerazione, mettendo in moto delle tendenze irreversibili. tra queste possiamo evidenziare:

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- la conversione di habitat naturali in terreni agricoli, aree urbane o altri ecosistemi antropizzati;

- le pratiche agricole poco razionali che attraverso l’impiego di fertiliz-zanti, pesticidi, metalli pesanti, stressano incessantemente i nostri suoli;

- la perdita di terreni agricoli a causa della salinizzazione e dell’alcaliniz-zazione;

- l’aumento dell’urbanizzazione sulle regioni costiere (sulla base dei pro-getti in atto, il 50% del litorale mediterraneo rischia di essere cementifi-cato entro il 2025) e il loro conseguente sovrapopolamento e, all’oppo-sto, l’abbandono delle aree marginali dell’entroterra;

- l’inquinamento delle aree costiere e marine, l’erosione dei litorali e l’impoverimento delle risorse ittiche;

- il progressivo impoverimento della biodiversità e l’incombente perico-lo legato al diffondersi di specie esotiche invasive in grado di compete-re con le specie endemiche;

- lo sfruttamento eccessivo delle risorse idriche, già minacciate dall’im-poverimento e dal decadimento qualitativo;

- l’esposizione della regione, sempre più vulnerabile, ad eventi climatici estremi (inondazioni, smottamenti, terremoti, tsunami, siccità, incendi) con impatto diretto e immediato sul sostentamento e sul benessere di larga parte della popolazione. nonostante sia difficile valutare i costi del degrado ambientale, questi

sono chiaramente significativi: secondo stime della banca Mondiale, tali costi assommano ad oltre il 3% del Pil in alcuni Paesi dell’Africa del nord.

il Mediterraneo deve affrontare queste sfide nel nuovo millennio che richiedono sempre più l’applicazione di forme sostenibili dell’uso del terri-torio. la scelta di lungo termine è tra uno sviluppo diseguale e uno sviluppo congiunto basato su un forte senso di destino comune nella regione.

2. il degrado delle risorse naturali in Puglia

nel 2008 la Regione Puglia ha realizzato il Progetto Pilota1 “Attuazione

1 il progetto s’inquadra nell’ambito dell’Accordo di programma, stipulato in data 19 dicembre 2006 (prot. n. DDS/2006/13780), tra il Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del Mare, il

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Combattere il degrado delle risorse naturali 241

sperimentale della nuova Direttiva per la protezione del suolo finalizzata alla lotta alla desertificazione in Puglia” che, in coerenza con le “linee Guida” re-datte dal Comitato nazionale per la lotta alla Siccità ed alla Desertificazione ed applicando sperimentalmente il percorso metodologico indicato nell’am-bito della Proposta di Direttiva per la protezione del suolo del Parlamento europeo e del Consiglio (CoM(2006) 232 del 22.9.2006), ha tracciato un quadro dello stato del processo di desertificazione2 nel territorio regionale, definendone criticità e priorità di intervento.

Accanto a fattori climatici (clima semi-arido con periodi siccitosi pro-lungati ed improvvisi eventi piovosi di forte intensità e con tendenza ad una riduzione delle piogge e ad un innalzamento graduale delle temperature) e pedologici (suoli tendenzialmente poveri di sostanza organica e con marcata tendenza all’erosione), sono stati individuati numerosi fattori antropici in grado di ridurre la resilienza del sistema acqua-suolo-habitat (l’urbanizza-zione massiccia delle aree costiere della regione e la concentrazione nelle stesse aree delle attività produttive industriali e residenziali, la competizione nell’uso delle risorse idriche con altri settori produttivi, la produzione di rifiu-ti e reflui con conseguente inquinamento del suolo e delle acque sotterranee e costiere) diminuendo la capacità dello stesso di rispondere alle determinanti della degradazione. l’intensivizzazione dell’agricoltura (che interessa qua-si l’84% del territorio regionale) può essere considerata una delle principali cause di origine antropica del degrado del suolo e quindi del processo di de-sertificazione in Puglia (ladiSa 2007; reGione puGlia 2008) (fig. 1).

la necessità di mantenere elevate le produzioni (a fronte di una contra-zione generalizzata della Superficie Agricola Utilizzabile che in Puglia, tra il 1982 e il 2007, ha raggiunto il 21%) provoca un aumento degli input di pro-duzione (irrigazione, fertilizzanti, fitofarmaci, meccanizzazione) con impatti sulle acque superficiali/sotterranee e sulle caratteristiche fisico-chimiche del suolo.

Comitato nazionale per la lotta alla Siccità ed alla Desertificazione e la Regione Puglia. il progetto è stato condotto dall’Assessorato all’ecologia della Regione Puglia in collaborazione con ARPA Puglia, iAMb, ineA e CnR-iRSA.2 la desertificazione è “il degrado delle terre nelle aree aride, semiaride e sub-umide secche, attribui-bile a varie cause, fra le quali le variazioni climatiche e le attività antropiche”; la definizione è quella adottata dalla Convenzione delle nazioni Unite per la lotta contro la Siccità e la Desertificazione (Un Convention to Combat Drought and Desertification – UnCCD) entrata in vigore il 26 dicembre 1996 e ratificata, ad oggi, da più di 190 Paesi.

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in particolare si osserva: - il sovrasfruttamento delle acque sotterranee causa – soprattutto nel sud

della Puglia – del fenomeno dell’intrusione salina;- l’irrigazione con acque saline che provoca il rapido decadimento delle

proprietà chimico-fisiche del suolo agrario (le aree del territorio puglie-se in cui tali fenomeni raggiungono ormai livelli più che preoccupanti sono il Salento, l’Arco ionico tarantino ed il litorale Adriatico);

- l’eccessivo uso di fertilizzanti (in Puglia si distribuiscono, in media, poco meno di 70 kg/ha di concimi azotati, ben superiori ai 54 kg/ha somministrati nelle altre regioni del Mezzogiorno) che conduce all’in-quinamento delle falde sotterranee ed alla modificazione delle caratte-ristiche chimiche del terreno;

- l’intensificazione dei cicli produttivi, che conduce ad una riduzione del-la sostanza organica e della fertilità, innescando il conseguente incre-

Figura 1. Flowchart degli effetti dell’agricoltura intensiva sul degrado dei suoli e sul processo di de-sertificazione (fonte: ladiSa 2007, modif.).

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Combattere il degrado delle risorse naturali 243

mento nel consumo di fertilizzanti allo scopo di mantenere i livelli di produttività desiderati;

- la meccanizzazione spinta che è causa del compattamento del suolo con alterazione delle sue proprietà fisiche ed idrauliche; tra le lavorazioni agricole particolarmente impattante risulta essere lo spietramento che altera completamente il profilo originario del terreno creando un suolo “artificiale” che rapidamente perde le caratteristiche di fertilità;

- la sostituzione della vegetazione naturale (arbustiva ed arborea) con colture erbacee a ciclo breve che riducono il pool di sostanza organica del suolo, dipendono dall’irrigazione ed hanno una minor capacità di resistere alla siccità oltre a presentare una minore diversità genetica.Allorché le coltivazioni non possono più essere economicamente so-

stenute, le aree marginali sono abbandonate innescando una serie di processi anche di tipo socio-economico (spopolamento delle aree interne, invecchia-mento della popolazione rurale, riduzione degli occupati in agricoltura). in tali aree, venendo a mancare la funzione di presidio del territorio esercitata dall’agricoltura tradizionale, rapidamente si innescano fenomeni di degrada-zione, spesso connotati dall’erosione e dal dissesto idrogeologico3.

Partendo dall’analisi delle succitate criticità, il Progetto ha individuato specifiche linee d’Azione che stanno trovando concretizzazione in misure operative nell’ambito della Programmazione 2007-13 della Regione Puglia (PSR, Po FeSR, Programma triennale Ambiente) in corso di attivazione.

la prima linea di intervento proposta è quella della “protezione del suolo” che individua azioni per il ripristino della sostanza organica nei suoli pugliesi, la mitigazione dei fenomeni di salinizzazione ed alcalinizzazione, la bonifica dei suoli contaminati, il contrasto ai fenomeni di dissesto anche attra-verso la riqualificazione e l’incremento delle superfici forestali, la limitazione dei fenomeni di compattamento dei terreni agrari.

Altra importante linea di intervento è quella della “gestione sostenibile delle risorse idriche” che individua quali obiettivi prioritari la razionalizza-zione degli usi plurimi della risorsa idrica, il ripristino degli equilibri e della

3 Secondo le indagini condotte dal Ministero dell’Ambiente sono 64 i comuni pugliesi (pari al 24,8% del totale) caratterizzati da un livello di rischio idrogeologico definito “molto elevato” o “elevato”. in particolare è la provincia di Foggia a presentare il dato più rilevante con 38 comuni pari a circa il 59% dell’intero territorio regionale soggetto a rischio, seguita dalle province di lecce, brindisi e taranto e bari.

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244 GaeTano ladiSa

funzionalità del sistema idrogeologico, l’adozione di un piano di gestione congiunta della risorsa idrica che permetta di quantificare le disponibilità di acqua, i fabbisogni delle colture e le limitazioni d’uso necessarie a ottimiz-zare e razionalizzare il consumo della risorsa, l’incremento e miglioramento delle azioni volte al riuso a fini irrigui delle acque reflue depurate, il contrasto dei fenomeni di salinizzazione della falda, l’adozione di tecniche di coltiva-zione eco-compatibili e l’introduzione di colture non idroesigenti.

la linea di intervento “riduzione dell’impatto delle attività produt-tive” definisce azioni volte a limitare gli impatti delle pratiche agricole in-tensive e idroesigenti ed alla diffusione una cultura ambientalista nel tessuto imprenditoriale regionale al fine di favorire un razionale impiego delle risorse disponibili.

la quarta linea di intervento individuata è quella del “riequilibrio del territorio” che si concentra su azioni volte alla messa a punto di una meto-dologia analitico-valutativa di pianificazione integrata, basata su un modello di indicatori di sostenibilità ambientale di stato e di monitoraggio, alla defini-zione e applicazione di procedure di negoziazione con gli attori locali, al re-cupero e riqualificazione dei suoli degradati per processi di dissesto, erosione, salinizzazione, contaminazione, ecc.

infine, è stata definita una linea di intervento orizzontale che si propo-ne di potenziare il sistema di monitoraggio regionale rispetto alle problemati-che della lotta alla desertificazione e alla siccità, di dare vita ad un articolato sistema di formazione e informazione, necessario ad educare gli operatori agricoli, gli imprenditori, i tecnici e l’intera collettività ad un uso sostenibile delle risorse ambientali coinvolgendo gli stakeholders in processi partecipa-tivi decisionali sulle tematiche legate alla siccità e alla lotta alla desertifica-zione, al fine di favorire l’accesso alle informazioni attenuando i fenomeni di conflittualità tra gli stessi.

Da quanto detto, tale Piano d’Azione risulta fortemente incardinato sul paradigma della sostenibilità, un principio che a più di 20 anni dalla sua prima formulazione4, è divenuto sempre più un criterio di base dell’attività econo-mica e sociale, rappresentando una sfida globale da coniugare a scala locale.

4 il concetto di sostenibilità, emerso nei primi anni ‘70, si è diffuso con maggiore enfasi nel 1987, con il Rapporto bruntland in cui era definito come “development that meets the needs of the present without compromising the ability of future generations to meet their own needs.”

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Combattere il degrado delle risorse naturali 245

3. la sostenibilità in agricoltura: una sfida raccolta dall’istituto Agrono-mico Mediterraneo di bari

il CiHeAM (Centre international de Hautes etudes Agronomiques Méditerranéennes) è un organismo internazionale con sede a Parigi, costitu-ito nel 1961 per iniziativa dell’oCSe (organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo in europa) e del Consiglio d’europa. ne fanno parte 13 Paesi dell’area mediterranea: Spagna, Portogallo, Francia, italia, Albania, Grecia, Malta, turchia, libano, egitto, tunisia, Algeria e Marocco.

la missione del CiHeAM è promuovere lo sviluppo sostenibile dell’agricoltura mediterranea.

Per attuarla ha fondato quattro istituti Agronomici Mediterranei (iAM), che hanno sede a bari (italia), Montpellier (Francia), Saragozza (Spagna) e Chania (Grecia), ciascuno dei quali opera in specifici campi di attività.

Articolandosi attraverso attività di ricerca scientifica applicata, forma-zione d’eccellenza ed interventi sul territorio, le azioni dello iAM di bari si indirizzano al raggiungimento dei seguenti obiettivi: • la valorizzazione della risorsa umana come fattore determinante dello

sviluppo sostenibile dell’agricoltura mediterranea;• l’approfondimento, l’ampliamento e la diffusione delle conoscenze

scientifiche come fattore determinante del miglioramento delle tecniche produttive;

• la diffusione della cultura della cooperazione internazionale come fat-tore determinante dello sviluppo socio-economico e della coesistenza solidale dei popoli mediterranei.Agendo in partenariato con circa 50 istituzioni formative e di ricerca

nei paesi membri, il CiHeAM opera per lo sviluppo dei sistemi educativi e l’insegnamento post-universitario, nel campo della ricerca scientifica appli-cata e della progettazione di interventi nell’ambito dei programmi della co-operazione internazionale. l’iAM di bari opera in quattro aree tematiche: 1) “Gestione del suolo e delle risorse idriche”, che propone, come strate-

gia di gestione, l’integrazione tra il risparmio idrico (ottenuto attraverso il miglioramento dell’efficienza d’uso e delle prestazioni dei sistemi irrigui tanto a scala comprensoriale quanto a scala aziendale) e la con-servazione delle risorse acqua (anche mediante l’uso di risorse idriche

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246 GaeTano ladiSa

non convenzionali) e suolo (diffondendo tecniche di protezione dei suo-li dall’erosione idrica ed eolica).

2) “Protezione integrata delle colture frutticole mediterranee”, che pro-muove la gestione sostenibile delle principali affezioni delle piante me-diterranee (agrumi, palme, vite, olivo, fruttiferi) attraverso azioni volte allo studio dei patogeni, alla prevenzione dall’introduzione e diffusione di organismi pericolosi nella regione mediterranea ed alla lotta attiva biologica.

3) “Agricoltura biologica Mediterranea” si pone come obiettivo di soste-nere lo sviluppo agricolo nel bacino del Mediterraneo attraverso corsi di formazione, attività di ricerca e cooperazione nel campo dell’agri-coltura biologica, occupandosi nello specifico della gestione dei sistemi colturali e della fertilità del suolo, della qualità dei prodotti agricoli e re-cupero dei sottoprodotti, della agro-biodiversità, dei metodi di controllo biologico di infestanti e patogeni delle principali colture mediterranee. Sono inoltre presi in considerazione gli aspetti legati all’economia e marketing dei prodotti biologici e quelli legati alle politiche di sostegno al settore biologico.

4) “Agricoltura Sostenibile e Sviluppo Rurale” si pone come obiettivo il rafforzamento delle capacità istituzionali nell’ambito dell’agricoltura sostenibile e della lotta alla povertà nella regione del Mediterraneo e dei balcani. le sue attività sono volte a sensibilizzare gli operatori agricoli sulle tematiche della sostenibilità dei mezzi di sussistenza nelle aree rurali promuovendo, a livello locale, l’agricoltura e lo sviluppo rurale attraverso il coinvolgimento degli attori interessati, facilitando il dialo-go tra i vari settori produttivi. emerge con evidenza quanto il know-how dell’istituto possa contribui-

re alla diffusione di pratiche sostenibili in agricoltura in grado di raggiungere gli obiettivi del Piano d’Azione precedentemente descritti.

nei suoi quasi 50 anni di esistenza, l’istituto Agronomico Mediterraneo di bari ha stabilito un rapporto unico con gran parte dei paesi che circondano il Mediterraneo basando il proprio modello di cooperazione su principi di lealtà, del rispetto per le culture, religioni e costumi di vita dei popoli.

le cooperazioni avviate dall’istituto Agronomico Mediterraneo di bari (iAMb) con le istituzioni territoriali europee e con i Paesi ‘vicini’ sono fon-

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Combattere il degrado delle risorse naturali 247

date su programmi e progetti basati su di un armonico equilibrio tra sviluppo economico, tutela dell’ambiente e delle sue risorse, puntando ad una coo-perazione duratura e proficua inquadrata nell’ambito di strategie, priorità e programmi pluriennali.

l’istituto opera in collaborazione continua e sistematica con il Ministe-ro degli Affari esteri della Repubblica italiana (MAe), la cui Direzione Ge-nerale per la Cooperazione e lo Sviluppo (DGCS) costituisce il suo principale riferimento. Molto stretta è la collaborazione con l’Unione europea, con gli organismi internazionali della cooperazione allo sviluppo (in particolare con la FAo e la banca Mondiale), con gli organismi scientifici internazionali5, con i governi e le istituzioni scientifiche nazionali dei Paesi Mediterranei ed anche con le Regioni italiane, prima fra tutte la Puglia.

la funzione peculiare che l’iAM di bari svolge nelle attività di coope-razione è quella di stimolo e di catalizzazione. Alla proposta delle iniziative, infatti, si accompagna un’azione a pieno campo mirante a mobilitare tutte le competenze locali – governative, scientifiche, tecniche ed imprenditoriali – affinché collaborino strettamente fra loro nelle fasi di studio e realizzazione, sviluppando il massimo di sinergia.

Alla progettazione degli interventi sono invitate a collaborare le istitu-zioni scientifiche del Paese di volta in volta interessato, le quali possono, così, avvalersi del patrimonio di conoscenze ed esperienze dell’istituto, delle sue competenze specifiche, delle sue strutture, delle sue attrezzature e delle sue risorse umane.

Certamente, lo studio e l’applicazione di innovazioni coerenti con la sostenibilità ambientale, sociale ed economica del sistema agricolo allarga-to sono più difficili nelle regioni dei Paesi emergenti, dove vanno studiate e sperimentate forme di sostenibilità funzionali ad ecosistemi spesso fragili (perché sfruttati per sopperire alle esigenze della popolazione, o perché mar-ginalizzati dalla desertificazione e dalla salinità) rendendole coerenti con le legittime aspirazioni di sviluppo e di sicurezza delle popolazioni.

5 l’istituto Agronomico Mediterraneo di bari è uno dei fondatori del GWP (Global Water Partnership), è membro del suo Comitato tecnico Consultivo per la regione mediterranea ed ha la responsabilità di tutte le sue iniziative in materia di agricoltura irrigua nell’ambiente mediterraneo. È tra i membri fondatori del Consiglio Mondale dell’Acqua (WWC) e nel 1996 è stato scelto come sede del Consiglio per il Mediterraneo. È inoltre sede del segretariato di AgrobioMediterraneo, il Gruppo mediterraneo dell’iFoAM (Federazione internazionale dei Movimenti per l’Agricoltura biologica).

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248 GaeTano ladiSa

Proprio dall’incontro con le realtà di questi Paesi, dall’ascolto degli agricoltori, dalla costruzione di rapporti ancor prima che di progetti condivisi, i ricercatori dello iAMb traggono insegnamenti, “success stories” che cerca-no di trasferire, attraverso processi partecipativi, alla realtà agricola pugliese, sperimentando innovativi modelli di equilibrio fra produttività e funzionalità dell’agricoltura, fra impiego delle risorse naturali e loro durevole salvaguar-dia, per consentire la rigenerazione naturale del capitale ambientale e delle sue funzioni ecologiche nell’interesse delle prossime generazioni.

Un’agricoltura mediterranea sostenibile deve garantire il fondamentale diritto alla sicurezza alimentare per il maggior numero di esseri umani, ma con minori impatti sul suolo, sull’acqua, sulla biodiversità e con minori consumi di materia e di energia. tale fine può essere raggiunto, in un clima di solidale cooperazione politica internazionale e di attiva partecipazione di tutti, se vi sarà una forte espansione delle conoscenze scientifiche e delle innovazioni tecnologiche, nella maturazione delle attitudini e capacità di uomini e donne. Cooperazione, Ricerca e Formazione: una sfida che l’istituto Agronomico Mediterraneo di bari ha raccolto da tempo con responsabilità.

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Combattere il degrado delle risorse naturali 249

BibliografiaCiHeAM – istituto Agronomico Mediterraneo di bari. Siti web: www.ciheam.org;

www.iamb.it. laCiriGnola C., ladiSa G. (2006) – La salvaguardia dell’ambiente mediterraneo at-

traverso la cooperazione. Atti del 3° Convegno nazionale – Piante Mediterranee “le Piante Mediterranee nelle Scelte Strategiche per l’Agricoltura e l’Ambiente” bari, 27 Settembre – 1 ottobre 2006. italian Journal of Agronomy, october-De-cember 2009 Supplement issue Vol.4, no. 4 Suppl. iSSn: 1125-4718.

ladiSa G. (2007) – La desertificazione: priorità per la Puglia. in: la terra è una sola!, pp. 26-33. numero unico, ottobre 2007, bari.

ladiSa G. (2007) – Definizione delle aree sensibili alla desertificazione in Puglia. Atti del Convegno: “la protezione del suolo e la lotta alla desertificazione in Pu-glia”. Valenzano (bA), 7 novembre 2007. Regione Puglia, Assessorato all’eco-logia, bari.

Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del Mare – Regione Puglia Assessorato all’ecologia (2008) – Attuazione sperimentale della nuova Direttiva per la Protezione del Suolo finalizzata alla lotta alla desertificazione in Puglia. ottobre 2008, Regione Puglia, Assessorato all’ecologia, bari.

UneP (1994) – United Nations Convention to Combat Desertification in those coun-tries experiencing serious drought and/or desertification, particularly in Africa. UneP, Geneve.

World Commission on environment and Development (1987) – Our Common Fu-ture. oxford University Press, oxford, United Kingdom.

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marino SpiloTroS, daniela GuariGlia

le risorse idriche in italia: aspetti quantitativi e qualitativi

l’acqua è una sostanza indispensabile per la vita: è il mezzo in cui avvengono tutte le reazioni metaboliche degli organismi viventi e la sua pre-senza è il fattore condizionante più importante per la sopravvivenza nella biosfera. Già questo sarebbe sufficiente per giustificare una sua utilizzazio-ne razionale, tuttavia negli scorsi decenni si è verificato uno sfruttamento eccessivo che ha portato all’impoverimento delle risorse idriche disponibili. Allo stesso tempo si è avuto l’aumento della domanda, rendendo necessaria la gestione sostenibile di questa preziosa sostanza, definita dall’UneP (United nations environment Programme) nella Strategia Mediterranea per lo Svi-luppo Sostenibile “una risorsa scarsa e fragile, distribuita in maniera disegua-le nel tempo e nello spazio”.

Per analizzare la situazione delle acque in italia, sono stati utilizzati i dati pubblicati dall’iStAt nel 2007 e relativi agli anni dal 1990 al 2006.

Una prima informazione riguarda le portate medie annue dal 1990 al 2006, espresse in metri cubi al secondo, determinate nelle stazioni di misura più prossime alla foce, di alcuni corsi d’acqua rappresentativi delle diverse realtà territoriali.

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252 marino SpiloTroS, daniela GuariGlia

Stazione di misura

Fonte: ISTAT- Statistiche ambientali.

Dalla tabella si può notare che i fiumi con la maggiore portata annua media si trovano nelle regioni del nord italia (vedere ripartizioni geografiche riportate in coda), con una portata complessiva di 1794 metri cubi al secondo,

Corsi d’acqua

Denomina-zioni

Regione Sigla Pro-vincia

Comune Distanza dalla foce (km)

Superficiedel baci-no di dominio(km2)

Portata me-diaannua degliultimi trentaanni(metri cubi alsecondo)

Periodo di osservazione (ultimitrenta anni disponibili)

brenta barziza Veneto Vi bassano del Grappa

105 1567 63,2 1960-66 1969-77 1982-83 1987-96 2004-05

Adige boara Pi-sani

Veneto PD boara Pisani 51 11954 188,5 1969-77 1980-86 1989-00 2004-05

Po Pontelago-scuro

emilia Romagna

Fe Ferrara 91 70091 1542,5 1963-06

Arno S.Giovanni alla Vena

toscana Pi Vicopisano 37 8186 78,5 1977-06

tevere Roma-Ripetta

lazio RM Roma 43 16.545 194,9 1976-91 1993-06

Pescara S.teresa Abruzzo Pe Spoltore 9 3.125 43,6 1965-76 1986-03

biferno Altopan-tano

Molise Cb Portocannone 9 1290 10,8 1966-771986-03

Volturno Cancello ed Arnone

Campania Ce Cancello ed Arnone

18 5.558 73,6 1961-75 1979 1992-931995-06

Sele Albanella Campania SA Albanella 10 3.235 47,0 1976-941996-06

tirso Rifornitore tirso ponte

statale

Sardegna SS illorai 592 90 2,99 1967-97

ofanto S. Samuele di Cafiero

Puglia FG San Ferdinan-do di Puglia

25 2.716 10,5 1967-97

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Le risorse idriche in Italia: aspetti quantitativi e qualitativi 253

i due fiumi dell’italia centrale, e cioè tevere e Arno, hanno una portata com-plessiva di 273 metri cubi al secondo, mentre i fiumi del sud italia sono i più poveri: la loro portata complessiva è di 188 metri cubi al secondo. inoltre i fiumi con maggiore portata media annua sono quelli con superficie di bacino di dominio più elevata. Questi dati evidenziano la diseguale distribuzione geografica di acqua nel nostro Paese.

la portata media annua dipende sia dall’estensione del bacino imbrifero, sia dall’entità delle precipitazioni che alimentano il corso d’acqua. in italia le precipitazioni sono nella maggior parte dei casi concentrate nei mesi compresi fra ottobre e marzo. Per garantire la disponibilità di acqua in tutti i 12 mesi dell’anno, sono stati costruiti dei grandi invasi che immagazzinano il deflusso nei mesi piovosi per poi utilizzarlo nel resto dell’anno. inoltre è diffusa la pra-tica del trasferimento di risorse fra compartimenti idrografici, per assicurare quanto più possibile una uniforme disponibilità in tutto il territorio nazionale. Ad esempio la Puglia utilizza l’acqua proveniente dagli invasi della basilicata.

È importante anche analizzare eventuali variazioni della portata media annua di questi corsi di acqua nell’arco di più anni. i dati sono riportati nella tabella seguente:

Portata media annua di alcuni corsi d’acqua - Anni 1990-2006 (metri cubi al secondo)

Differenza tra la portata media annua e la portata media annua degli ultimi trenta anni (valori percentuali)

Fonte: Regioni.

CORSI D’ACQUA

Stazioni di misura

1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006

brenta barziza -42,4 -19,7 6,7 -18,7 -27,0 -37,3 -1,1 …. …. …. …. …. …. …. 4,1 -24,7 ….Adige boara Pisani -23,6 -0,7 -2,2 8,5 -3,8 -15,2 -11,3 -1,4 6,1 16,0 10,2 …. …. …. -3,9 -32,00 ….

Po Pontelagoscuro -41,3 -11,9 -1,7 18,0 23,9 8,4 34,1 -22,0 -14,6 -7,2 27,0 12,6 25,1 -33,5 -7,1 -39,0 -40,2Arno S.Giovanni alla

Vena-39,5 25,8 41,8 -2,7 -14,5 0,8 17,7 -17,0 -25,4 -5,7 -6,9 -5,0 -28,5 -27,6 47,2 56,9 -39,7

tevere Roma-Ripetta -34,6 20,9 ….. -17,6 -6,0 -31,1 -7,4 3,9 -3,9 -8,0 -18,6 -14,3 -32,9 -26,2 -0,5 1,4 -16,5Pescara S.teresa 1,8 2,0 2,1 1,8 1,8 1,7 1,8 1,7 2,2 2,6 2,3 2,2 2,2 2,6 …. …. ….biferno Altopantano 5,2 10,1 12,6 6,4 11,1 5,8 9,5 10,6 6,8 11,6 3,9 1,6 5,0 13,9 …. …. ….Volturno Cancello ed

Arnone…. …. -34,5 -45,8 …. -37,2 -8,8 -20,8 -38,1 -21,1 -57,3 -64,2 -78,5 -46,7 -29,2 18,2 -49,1

Sele Albanella -30,3 -33,2 …. -48,2 …. …. 0,6 -48,8 -30,7 -28,4 -49,2 -63,8 -60,7 -25,7 -33,1 -8,5 -24,2ofanto S. Samuele di

Cafiero-46,6 -55,6 -64,8 -36,3 -15,4 -19,9 -22,7 -42,4 … … … … … … … … …

tirso Rifornitore tirso ponte

statale

-62,5 11,5 -18,1 -58,5 -53,2 -82,2 48,6 -49,5 … … … … … … … … …

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254 marino SpiloTroS, daniela GuariGlia

Si può notare che le percentuali riportate nella tabella hanno, nella maggior parte dei casi, valore negativo, il che indica una diminuzione della portata media annua e quindi un impoverimento delle risorse idriche da essi rappresentate dai relativi corsi d’acqua.

Per valutare le condizioni dei corpi idrici presenti in italia è importan-te anche conoscerne la qualità. in base al testo Unico Ambientale (Decreto legislativo 3 aprile 2006 n 152), la qualità ambientale di un corpo idrico è legata alla sua capacità di conservare i naturali processi di autodepurazione e di sostenere comunità vegetali ed animali ampie e ben diversificate, mentre la qualità per specifica destinazione di un corpo idrico ne individua lo stato adatto ad un particolare utilizzo da parte dell’uomo.

le statistiche iStAt disponibili purtroppo non riportano dati relativi ai corsi d’acqua delle regioni meridionali, tuttavia vengono indicati ugualmente i parametri utilizzati.

indici Classe i Classe ii Classe iii Classe iV Classe Vibe > 10 8 - 9 6 - 7 4 - 5 1, 2, 3lim 480 - 560 240 - 475 120 - 235 60 - 115 < 60

il lim (livello di inquinamento da macrodescrittori) è un indicatore sintetico di inquinamento delle acque superficiali, introdotto dal D.lgs 152/99, attualmente non più in vigore poiché abrogato dal testo unico sull’ambiente (Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152). l’indicatore descrive in modo sintetico la qualità delle acque utilizzando un insieme di parametri definiti macrodescrittori: Percentuale di ossigeno disciolto, bod5, Cod, nH4 (azoto ammoniacale), no3 (azoto nitrico), fosforo totale, escherichia Coli. A valori elevati dell’indice corrispondono livelli di inquinamento elevati.

il biomonitoraggio ambientale si basa sulla risposta quantitativa di de-terminati organismi viventi a diversi livelli di inquinamento e valuta la qualità ecologica dei diversi ambienti. Uno degli indicatori utilizzati per le acque correnti è l’ibe (indice biotico esteso), basato sulle modificazioni della com-posizione delle comunità di macroinvertebrati sensibili sia a fattori di inqui-namento, sia ad alterazioni fisiche dell’ambiente fluviale. i valori decrescenti dell’indice vanno intesi come un progressivo allontanamento dalla condizio-ne “ottimale o attesa”, definita sulla base di una struttura della comunità che in condizioni di naturalità dovrebbe colonizzare quella determinata tipologia

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Le risorse idriche in Italia: aspetti quantitativi e qualitativi 255

fluviale. nel monitoraggio di qualità delle acque è considerato un metodo complementare al controllo chimico e fisico delle acque.

le classi di qualità hanno il seguente significato [Apat, irsa-Cnr (2003)]:• Classe i: Ambiente non alterato in modo sensibile• Classe ii: Ambiente con moderati sintomi di alterazione• Classe iii: Ambiente alterato• Classe iV: Ambiente molto alterato• Classe V: Ambiente fortemente degradato

A questo punto è necessario analizzare il percorso seguito dall’acqua che esce dai nostri rubinetti. l’acqua viene prelevata da una fonte e, attraver-so la rete di distribuzione di un acquedotto, giunge nelle nostre abitazioni, uffici, negozi, scuole ecc., dopo aver subito trattamenti di potabilizzazione. l’acqua utilizzata in ambito domestico viene eliminata attraverso gli scarichi che confluiscono nella rete fognaria. Questa trasporta i liquami fino ad un impianto di depurazione, in cui l’acqua viene depurata e quindi scaricata in un corpo idrico recettore che può essere un mare, un lago oppure un fiume.

i dati quantitativi sono riportati nella tabella seguente.

Volumi di acqua ad uso potabile per regione - Anno 2005 (migliaia di metri cubi)

REGIONI Acqua prelevata

Acqua potabilizzata

Acqua immessanelle reti di

distribuzione

Acqua erogata

italia 8.705.837 2.709.316 7.799.364 5.450.554nord 4.004.541 1.606.200 3.710.515 2.795.911

Centro 1.651.073 307.562 1.533.702 1.055.490Mezzogiorno 3.050.223 795.554 2.555.148 1.599.153

Puglia 174.475 100.266 458.023 245.788

Fonte: istat, Sistema delle indagini sulle acque 2005.

Si può notare che in tutte le aree geografiche del nostro Paese l’acqua prelevata è più di quella erogata; questa differenza è dovuta principalmente alle perdite di rete, per cui una gestione e manutenzione attenta degli acque-dotti eviterebbe sprechi di questa risorsa preziosa. inoltre in Puglia l’acqua erogata è più di quella prelevata perché l’Acquedotto Pugliese utilizza una

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256 marino SpiloTroS, daniela GuariGlia

notevole quantità di acqua proveniente dagli invasi della basilicata.l’agricoltura è l’attività economica maggiomente coinvolta nel con-

sumo di risorse idriche, soprattutto in italia, dove le condizioni climatiche di tipo mediterraneo rendono necessario rimediare alla mancanza di acqua, meteorica o disponibile nel terreno, attraverso l’irrigazione. nella tabella se-guente vengono indicati dati relativi alla superficie irrigata nel nostro paese

Aziende agricole e relativa superficie irrigabile e irrigata per regione - Anno 2003 (superficie in ettari)

Fonte: istat, indagine struttura e produzioni delle aziende agricole, Anno 2003.(a) le aziende totali comprendono le aziende con superficie agricola utilizzata e/o superficie ad arbo-

ricoltura da legno(b) la superficie coltivata comprende la superficie agricola utilizzata e la superficie ad arboricoltura da

legno.

occorre specificare che la superficie irrigabile è la superficie dell’azien-da che, nel corso dell’anno, potrebbe essere irrigata in base alla quantità di acqua disponibile ed alla potenzialità degli impianti a disposizione dell’azien-da, mentre la superficie irrigata è quella che nel corso dello stesso anno viene effettivamente irrigata. Si nota sia a livello nazionale che regionale che la superficie irrigata è minore di quella irrigabile.

È importante anche conoscere il metodo di irrigazione, in quanto un’azienda agricola può utilizzare una o più fonti d’acqua per l’irrigazione.

le fonti si distinguono in: - acque superficiali: poste all’interno dell’azienda (bacini naturali e arti-

ficiali interamente situati nell’azienda o utilizzati da una sola azienda) o

REGIONI Aziende con superficie irrigabile

Superficie irrigabile Aziende con superficie irrigata

Superficie irrigata

numero % su aziendetotali (a)

Valori assoluti

% su superficiecoltivata (b)

numero % su aziendetotali (a)

Valori assoluti

% superficiecoltivata (b)

Italia 710.522 36,2 3.977.206 30,0 622.541 31,7 2.763.510 20,9nord 246.489 51,2 2.382.831 50,1 215.629 44,8 1.740.831 36,6Centro 77.623 24,3 368.849 15,2 62.347 19,5 194.785 8,0Mezzogiorno 386.410 33,3 1.225.526 20,2 344.565 29,7 827.894 13,7Puglia 85.204 30,0 408.050 31,8 74.171 26,1 286.773 22,4

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Le risorse idriche in Italia: aspetti quantitativi e qualitativi 257

al di fuori dell’azienda (laghi naturali e laghetti artificiali, fiumi o corsi d’acqua);

- acquedotto o altre reti comuni di distribuzione: ossia fonti esterne all’azienda diverse dalle acque superficiali al di fuori dell’azienda ed accessibili ad almeno due aziende;

- acque sotterranee ossia fonti situate nell’azienda, o nelle vicinanze, che utilizzano acqua pompata da pozzi forati o scavati o che fluisce libera-mente da fonti naturali o simili;

- acque reflue depurate vale a dire le acque reflue provenienti da impianto di depurazione;

- acque desalinizzate, derivanti da fonti altamente saline che vengono trattate per ridurne la concentrazione di sale prima dell’utilizzazione;

- acque salmastre, derivanti da fonti a basso tenore salino, che possono essere utilizzate direttamente senza trattamento.Dai dati riportati nella tabella si ricava la potenziale pressione sulle

diverse fonti idriche.

Superficie irrigata per tipo di fonte e regione - Anno 2003 (valori assoluti in ettari) - Composizioni percentuali

FONTE SINGOLAREGIONI Acqua

superficialeAcquedotto Acqua

sotterraneaAcque reflue

depurate,desalinizzate e

salmastre

Più di una fonte

Totale

itAliA 38,3 18,6 24,0 0,1 19,0 100,0nord 48,6 18,8 11,6 0,1 21,0 100,0

Centro 36,2 7,9 41,2 0,1 14,6 100,0Mezzogiorno 17,1 20,9 46,2 0,1 15,7 100,0

Puglia 6,9 12,1 67,6 0,2 13,2 100,0

Fonte: istat, indagine struttura e produzioni delle aziende agricole, Anno 2003.

Si può notare che a livello nazionale predomina l’approvvigionamen-to da fonti superficiali (38,3% della superficie irrigata), mentre in Puglia le aziende agricole utilizzano nella maggior parte dei casi la sola acqua sotterra-nea per l’irrigazione (67,6% della superficie irrigata). tale dato è in armonia con quello delle regioni meridionali, in cui l’irrigazione con acque sotterranee

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258 marino SpiloTroS, daniela GuariGlia

riguarda il 46,2% della superficie agricola. È da segnalare anche lo scarso ricorso ad acque reflue, destalinizzate e salmastre che a livello nazionale sono usate solo per lo 0,1% della superficie irrigata.

Come già detto, le acque reflue utilizzate in ambito agricolo sono quelle risultanti dai processi di depurazione dei liquami fognari. esistono diversi gradi di depurazione: se tutti i reflui fognari confluiscono nel depuratore (o in più depuratori) si parla di grado di depurazione completo, se vi confluiscono in parte e per la parte rimanente vengono scaricati direttamente nel corpo idri-co recettore senza subire un trattamento di depurazione, il grado di depurazio-ne è parziale, se i reflui fognari vengono scaricati totalmente nel corpo idrico recettore senza subire un trattamento di depurazione il grado di depurazione è assente. il concetto di confluenza all’impianto di depurazione implica che l’impianto sia in esercizio indipendentemente dalla tipologia di trattamento effettuata dal depuratore.

nella tabella viene indicato il grado di depurazione relativo ai comuni italiani.

Comuni e popolazione residente secondo la presenza del servizio di fognatura e il grado di depurazione delle acque reflue convogliate nella

rete fognaria per regione - Anno 2005 (valori percentuali)

Grado di depurazione nei comuni con il servizio di fognatura

Fonte: istat, Sistema delle indagini sulle acque 2005.

REGIONI Depurazione completa

Depurazione parziale

Depurazione assente

Comuni privi del servizio di

fognatura

totale

numeroComuni

Popolazioneresidente

numeroComuni

Popolazioneresidente

numeroComuni

Popolazioneresidente

numeroComuni

Popolazioneresidente

numeroComuni

Popolazioneresidente

ITALIA 56,4 55,4 37,2 40,8 5,8 3,2 0,7 0,6 100,0 100,0

nord 57,2 60,5 39,0 37,8 3,5 1,6 0,3 0,1 100,0 100,0

Centro 37,8 31,4 51,5 64,9 10,7 3,7 0,1 --- 100,0 100,0

Sud 62,2 61,9 28,3 31,5 7,9 5,1 1,5 1,5 100,0 100,0

Puglia 87,5 95,6 3,1 0,8 0,5 0,0 8,9 3,6 100,0 100,0

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Le risorse idriche in Italia: aspetti quantitativi e qualitativi 259

in italia il 56,4% dei comuni e il 55,4% della popolazione usufruisce della depurazione completa, mentre il 5,8% dei comuni, corrispondente al 3,2% della popolazione, presenta depurazione assente. in Puglia l’87,5% dei comuni ed il 95,6% della popolazione è caratterizzato dal grado di depurazio-ne completo.

Depurare un liquame significa sottoporlo a trattamenti che, imitando i processi naturali dei corpi idrici, determinano l’abbattimento della sostanza organica (misurata in boD5 e CoD) e della carica patogena. in pratica il refluo da depurare viene messo a contatto con popolazioni microbiche che degradano gli inquinanti presenti nelle acque, trasformandoli parte in compo-sti più semplici, parte in nuovi microrganismi che formano i fanghi di risulta dell’impianto di trattamento.

Ci sono diversi livelli di trattamento dei reflui:• trattamenti preliminari, ossia in trattamenti di grigliatura, dissabbiatura

e separazione dei grassi e servono per separare dal liquame le sostanze solide estranee che potrebbero causare problemi agli impianti di depu-razione;

• trattamenti primari, che rimuovono buona parte dei solidi sospesi totali, prevalentemente di natura organica, presenti nel liquame da trattare. Questi trattamenti avvengono per decantazione meccanica nei bacini di sedimentazione, con o senza uso di sostanze flocculanti che aumentano la sedimentabilità delle particelle;

• trattamenti secondari, che abbattono la sostanza organica biodegradabi-le sospesa e disciolta nelle acque di scarico, utilizzando batteri ed altri organismi;

• trattamenti terziari, che consentono di rimuovere efficacemente sostan-ze non eliminate completamente con i trattamenti primario e seconda-rio, quali microrganismi, sali nutritivi, sostanze organiche (si possono attuare la nitrificazione-denitrificazione, la precipitazione del fosforo, la clorazione e altri trattamenti chimico-fisici).

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260 marino SpiloTroS, daniela GuariGlia

Impianti di depurazione delle acque reflue urbane in esercizio e Abitanti equivalenti serviti (Aes).effettivi per tipologia di trattamento e regione

al 31 dicembre 2005

impianti per tipologia di trattamento

Fonte: istat, Sistema delle indagini sulle acque 2005.

in Puglia la maggior parte degli impianti di depurazione giunge fino ai trattamenti secondari, mentre a livello nazionale la maggior parte degli im-pianti svolge i soli trattamenti primari.

i reflui trattati provenienti dai depuratori nella maggior parte dei casi vengono scaricati nei corpi idrici recettori, dove spesso causano inquinamen-to, provocato dall’eccessiva concentrazione di sostanza organica e di nutrien-ti come azoto e fosforo. Questi ultimi sono essenziali per lo sviluppo degli organismi vegetali e, se sono presenti nelle acque in concentrazioni elevate, provocano lo sviluppo abnorme di alghe (fioriture algali), con conseguenze dannose per gli ecosistemi acquatici. Questo spiega perché è necessario eli-minarle dai liquami con i trattamenti terziari. Queste stesse molecole vengono somministrate ai terreni agricoli per migliorarne la fertilità, quindi riutilizzare i reflui trattati in ambito agricolo permetterebbe sia di risparmiare acqua, sia di recuperare preziosi nutrienti che altrimenti andrebbero persi.

Per comprendere meglio i benefici derivanti da tale pratica, è il caso di analizzare il ciclo dell’azoto (n). Questo elemento fa parte di importanti mo-lecole biologiche come proteine ed acidi nucleici. esso è molto abbondante in atmosfera di cui costituisce il 79%, tuttavia può essere assimilato ed utilizzato dagli esseri viventi solo se è combinato con altri elementi.

ReGioni Primario Secondario terziario totale

numero Aes numero Aes numero Aes numero Aes

ITALIA 8.416 4.439.968 5.515 33.863.306 1.692 30.925.703 15.623 69.228.977

nord 6.153 2.514.041 2.680 13.452.864 763 17.922.903 9.596 33.889.808

Centro 1.256 260.465 1.343 6.732.556 378 6.628.755 2.977 13.621.776

Sud 1.007 1.665.462 1.492 13.677.886 551 6.374.045 3.050 21.717.393

Puglia 21 104.053 108 2.433.485 69 1.787.726 198 4.325.264

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Le risorse idriche in Italia: aspetti quantitativi e qualitativi 261

la prima tappa del suo ciclo è la fissazione, cioè il procedimento chi-mico in cui l’azoto gassoso (n2) forma composti chimici assimilabili. il prin-cipale processo naturale di fissazione è realizzato da alghe azzurre, da batteri simbionti di piante (Rhizobium), e batteri non simbionti (Azotobacter, Clostri-dium) che usando azoto ed idrogeno producono ammoniaca (nH3):

n2 g 2n (attivazione dell’azoto)2n + 3 H2 g 2nH3

l’ammoniaca così prodotta viene convertita in nitrito da batteri come quelli del genere Nitrosomonas:

nH3 + ½ o2 g Hno2 + H2o (reazione di nitrosazione)

il nitrito viene trasformato in nitrato da batteri del genere Nitrobacter:Kno2 + ½ o2 g Kno3 (reazione di nitrificazione)

i nitrati così formati vengono assimilati dai vegetali ed utilizzati per sintetizzare amminoacidi e proteine. Queste molecole vengono utilizzate a loro volta dagli animali erbivori e carnivori. le piante e gli animali morti vengono attaccati da vari organismi che trasformano le molecole organiche complesse in composti più semplici e facilmente utilizzabili.

Per esempio gli amminoacidi (es. glicina CH2nH2CooH) vengono de-gradati a biossido di carbonio ed acqua con produzione di ammoniaca in una reazione di ammonificazione, svolta da batteri come quelli dei generi Desul-fovibrio e Clostridium:

C H2nH2CooH + ½ o2 g 2Co2 + H2o + nH3

l’ammoniaca così prodotta rientra nel ciclo attraverso le reazioni di nitrosazione e nitrificazione.

l’azoto viene restituito all’atmosfera da cui e stato prelevato grazie al processo di denitrificazione, in cui i nitrati vengono trasformati in azoto mo-lecolare gassoso:

5C6H12o6 + 24 Kno3 g 30Co2 + 18H2o + 24 KoH + 12n2

in condizioni naturali il ciclo dell’azoto, come quello di tutti gli ele-menti chimici, è chiuso, cioè i prelievi sono bilanciati dalle restituzioni

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262 marino SpiloTroS, daniela GuariGlia

all’ambiente; purtroppo gli interventi umani hanno turbato questo equilibrio, poiché viene immesso nel ciclo più azoto di quanto ne venga effettivamente utilizzato e restituito in atmosfera. in questo caso i principali responsabili degli squilibri sono la fissazione industriale per la produzione di fertilizzanti sintetici, nonché gli sversamenti di composti azotati di rifiuto in atmosfera (prodotti di combustione), nelle acque e al suolo.

Fonte: “Human alteration ofthe global nitrogrn cycle:Causes and consequences” P.M. Vitousek, C.J. Aber, R. W.Howarth, G.E. Likens, P.A.Matson, D.W. Schindler, W.H.Scelesinger, ,G.D. Tilman.

Dai dati della tabella si può notare che i rilasci di origine artificiale superano di ben 80 miliardi di tonnellate i rilasci di origine naturale. tutto questo azoto in eccesso si trasforma in nitrato, che si accumula nelle acque dove come già detto, produce eutrofizzazione e conseguenti fioriture algali.

la necessità di una gestione corretta dei fertilizzanti è nota da tempo, infatti vengono attuate diverse pratiche per ridurre l’eccessivo utilizzo dei nu-trienti. Un primo intervento è l’analisi fisico-chimica del terreno agrario, per conoscerne le caratteristiche fisiche (come la composizione in sabbia, limo e argilla) e chimiche (pH, disponibilità in elementi nutritivi, capacità di scam-bio cationico, rapporto di assorbimento del sodio, ecc.). Sulla base di que-ste informazioni si può determinare un piano di concimazione annuale, che consente di modulare la distribuzione dei fertilizzanti, tenendo conto della disponibilità di nutrienti nel terreno, del potenziale dilavamento realizzato da

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Le risorse idriche in Italia: aspetti quantitativi e qualitativi 263

precipitazioni e/o irrigazioni, del ritmo di assorbimento da parte delle coltu-re in atto. l’obiettivo è massimizzare l’assorbimento da parte delle piante e minimizzare gli sprechi, con vantaggio economico per l’agricoltore e ridotta pressione sull’ambiente.

in contrasto con le buone pratiche di fertilizzazione si considera la bru-ciatura dei residui vegetali, ossia la pratica della rimozione dal campo, me-diante bruciatura, dei sottoprodotti della coltivazione (es. paglie dei cereali, potature, altri residui colturali).

la tabella seguente presenta lo stato di adozione di queste pratiche in italia.

Aziende con pratiche di fertilizzazione per regione - Anno 2003

Pratiche di fertilizzazione

REGIONIAnalisi chimico-fisica del terreno negli ultimi

5 anni

Applicazionedi un piano di

concimazione annuale

bruciatura deiresidui colturali

itAliA 110.278 500.091 131.345nord 59.213 151.305 27.339

Centro 17.499 75.483 15.800Mezzogiorno 33.566 273.303 88.205

Puglia 5.842 63.828 9.758

Fonte: istat, indagine struttura e produzioni delle aziende agricole.

la tabella successiva mostra le quantità di concimi distribuite nel com-plesso e per ettaro di superficie potenzialmente concimabile. i dati relativi ai fertilizzanti si riferiscono al contenuto in elementi nutritivi dei fertilizzanti venduti e non al peso complessivo degli stessi.

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264 marino SpiloTroS, daniela GuariGlia

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Le risorse idriche in Italia: aspetti quantitativi e qualitativi 265

Dalla figura si può notare che l’utilizzo di composti azotati ha registrato un aumento negli ultimi 25 anni, ad indicare la costante necessità di sommi-nistrare questo elemento ai suoli per garantire buone rese colturali. Come già detto, una valida alternativa all’impiego dei concimi sintetici potrebbe essere l’utilizzo di reflui depurati. naturalmente questa pratica deve essere svolta te-nendo conto delle caratteristiche del suolo e delle esigenze delle coltivazioni.

in conclusione il riutilizzo di acque reflue in ambito agricolo deve esse-re considerata una buona pratica per realizzare una gestione sostenibile delle risorse idriche. Alla base vi è la concezione ecologica che considera gli scarti delle attività umane non più come rifiuti di cui ci si deve liberare perché inu-tili, ma come risorse da recuperare e riutilizzare.

Ripartizioni geografichenord: emilia – Romagna, Friuli – Venezia Giulia, liguria, lombardia, Piemonte, trentino – Alto Adige, Valle d’Aosta, Veneto. Centro: lazio, Marche, toscana, UmbriaMezzogiorno: Abruzzo, basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna, Sicilia

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267

Glossario

Abitanti equivalenti serviti (Aes): rappresentano l’unità di misura con cui viene convenzionalmente espresso il carico inquinante organico biodegradabile in arrivo all’impianto di depurazione attraverso il sistema di fognatura esistente.

Abitanti Equivalenti (AE oppure AbEq): si definisce un Abitante equivalente (Ae), ai sensi dell’art. 74 della Parte iii del D.lgs. 152/2006, intendendo “il cari-co organico biodegradabile avente una richiesta biochimica di ossigeno a 5 giorni (BOD5) pari a 60 grammi di ossigeno al giorno”; ovvero si assegna ad un abitante equivalente il carico organico che potrebbe effettivamente attribuirsi ad una perso-na, defluito fino all’impianto di depurazione; vale l’equivalenza: 1 abitante equi-valente = 60 grammi/giorno di boD5. tale definizione è utilizzata nel linguaggio tecnico-scientifico per indicare la capacità di abbattimento del carico inquinante di un impianto di depurazione esistente o per misurarla in fase di progettazione di un depuratore.

Acqua erogata: è l’acqua che giunge al rubinetto di ogni cittadino-utente del Ser-vizio idrico e può coincidere con quella effettivamente consumata dai diversi utenti, salvo perdite d’acqua.

Acqua immessa nella rete di distribuzione: è costituita dall’acqua addotta dagli acquedotti e/o da apporti diretti da pozzi e sorgenti.

Acqua potabilizzata: rappresenta quella parte di acqua prelevata che, non rispettan-do i requisiti di legge, è sottoposta a processi di trattamento fisici e chimici che la rendono idonea per il consumo umano prima di essere distribuita attraverso la rete del servizio idrico.

Acqua prelevata: è l’acqua sottratta all’ambiente attraverso le diverse tipologie di fonti di prelievo (sorgenti, pozzi, fiumi, laghi naturali, bacini artificiali, acque ma-rine o salmastre di superficie). Può alimentare l’acquedotto o direttamente la rete di distribuzione comunale dell’acqua potabile.

Bacino di dominio: bacino idrografico sotteso ad una determinata sezione del corso d’acqua.

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268

Bacino idrografico: area che convoglia tutte le proprie acque in determinati sistemi fluviali.

BOD: (biochemical oxygen demand, domanda biochimica di ossigeno): esprime il quantitativo di ossigeno necessario all’ossidazione biologica del carico organico biodegradabile presente in un refluo. e’, pertanto, una misura indiretta della concen-trazione della sostanza organica presente in un refluo che può essere biodegradata da microrganismi.Convenzionalmente è misurato il bod5, i.e. il consumo di ossigeno dopo un’analisi di 5 giorni. il bod5 pur non corrispondendo al bodu, (bod ultimo, che esprime il quanti-tativo di ossigeno necessario alla completa ossidazione biologica del carico organico presente nel refluo), è più facilmente misurabile e corrisponde all’ossidazione di cir-ca il 60-70% del carico organico biodegradabile complessivo. la scelta della durata dell’analisi pari a 5 giorni è da attribuire alla United Kingdom Royal Commission on Sewage Disposal che tra il 1898 e il 1915 definì il concetto di bod nell’ambito di uno studio sull’inquinamento delle acque dei fiumi inglesi, caratterizzati da una lunghezza tale che il tempo di residenza idraulica risulta inferiore a 5 giorni.

COD (chemical oxygen demand, domanda chimica di ossigeno): esprime il quanti-tativo di ossigeno necessario all’ossidazione chimica del carico organico presente in un refluo. Sebbene sia una misura semplice e immediata (la prova dura circa 3 ore), non fornisce indicazioni sull’entità del carico organico biodegradabile e di quello organico non biodegradabile. Per le acque reflue civili il rapporto bod5/Cod è, in genere, pari a circa 0,5

Concime: qualsiasi sostanza naturale o sintetica, minerale od organica, idonea a fornire alle colture l’elemento o gli elementi chimici della fertilità a queste necessa-rie per lo svolgimento del loro ciclo vegetativo e produttivo, secondo le forme e le solubilità prescritte dalla legge.

Fertilizzazione, pratiche di: includono interventi quali:- l’analisi fisico-chimica del terreno, per la conoscenza delle caratteristiche fisiche (come la composizione in sabbia, limo e argilla) e chimiche (pH), disponibilità in elementi nutritivi, capacità di scambio cationico, rapporto di assorbimento del sodio, ecc.) del terreno agrario;- l’applicazione di un piano di concimazione annuale, che consente di modulare la distribuzione dei fertilizzanti sia nelle quantità complessive sia nel formulato, te-nendo conto della disponibilità di nutrienti nel terreno, del potenziale dilavamento realizzato da precipitazioni e/o irrigazioni, del ritmo di assorbimento da parte delle

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Glossario 269

colture in atto. l’obiettivo è la massimizzazione dell’assorbimento da parte delle piante e la minimizzazione degli sprechi, con vantaggio economico per l’agricoltore e ridotta pressione sull’ambiente. in contrasto con le buone pratiche di fertilizza-zione si considera la bruciatura dei residui vegetali, ossia la pratica della rimozione dal campo, mediante bruciatura, dei sottoprodotti della coltivazione (es. paglie dei cereali, potature, altri residui colturali)

Impianto di depurazione delle acque reflue urbane: si intende una installazione adibita alla depurazione di acque reflue provenienti da insediamenti civili ed even-tualmente da insediamenti produttivi (impianti misti), cui possono mescolarsi le ac-que meteoriche e quelle di lavaggio delle superfici stradali. le vasche imhoff sono da considerarsi impianti di depurazione a tutti gli effetti.

Impianto di depurazione a fanghi attivi: impianto di depurazione in cui la rimo-zione del carico organico biodegradabile avviene ad opera di microrganismi aerobi che lo convertono in tessuto cellulare. la separazione della biomassa avviene me-diante un’unità di sedimentazione.

Fanghi primari: miscuglio acquoso estratto dall’unità di sedimentazione primaria posta a monte del reattore biologico.

Fanghi secondari o biologici: miscuglio acquoso estratto dall’unità di sedimenta-zione secondaria posta a valle del reattore biologico.

Portata di un corso d’acqua (metri cubi al secondo): volume di acqua (in metri cubi) che attraversa una sezione definita di un corso d’acqua in una determinata unità di tempo (secondo).

Processo aerobico: processo biologico operato da batteri aerobi che sopravvivono soltanto in presenza di ossigeno. Processo anaerobico: processo biologico operato da batteri anaerobi che sopravvi-vono soltanto in assenza di ossigeno.

Processo a biomassa adesa: processo biologico in cui i microrganismi colonizzano un mezzo/supporto inerte quali rocce, sabbie o materiali speciali in plastica o cera-mica.

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270

Processo a biomassa sospesa: processo biologico in cui i microorganismi vengono mantenuti in sospensione nel liquido.

Processo di nitrificazione: processo biologico a due stadi attraverso il quale l’am-moniaca viene prima convertita in nitriti e poi in nitrati.

Rete di distribuzione dell’acqua potabile: è il complesso di opere (tubazioni, ser-batoi, impianti di pompaggio, eccetera), relativo all’intero territorio comunale, che partendo dalle vasche di accumulo (serbatoi, vasche di carico) adduce l’acqua ai singoli punti di utilizzazione (abitazioni, stabilimenti, negozi, uffici eccetera).

Rete fognaria: si tratta del sistema di condotte per la raccolta e il convogliamento delle acque reflue domestiche o il miscuglio di queste con acque reflue industriali, assimilabili alle acque reflue urbane, e/o acque meteoriche di dilavamento.

Solidi totali: rappresentano la totalità delle sostanze presenti in una soluzione. Sono definiti come la materia residua in un processo di evaporazione a 105°C.

Solidi volatili: frazione volatile dei solidi totali alla temperatura di 550°C. tale fra-zione è costituita da materia organica.

Trattamenti biologici: la rimozione degli inquinanti avviene principalmente per biodegradazione, attraverso l’azione di biomasse costituite da popolazioni micro-biche.

Trattamenti chimici: la rimozione o la trasformazione dei contaminanti avviene per effetto di reazioni chimiche. e.g.: precipitazione, disinfezione, adsorbimento.

Trattamenti fisici: si tratta di trattamenti in cui prevale l’applicazione di principi fisici. e.g.: grigliatura, miscelazione, flocculazione, sedimentazione, filtrazione.

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271

indice normativa di Riferimento

Normativa InternazionaleConvenzione di Ramsar 2 febbraio 1971: Zone umide di importanza internazionale

Normativa ComunitariaDirettiva 2009/90/Ce della Commissione delle Comunità europee, che stabilisce, conformemente alla direttiva 2000/60/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, specifiche tecniche per l’analisi chimica e il monitoraggio dello stato delle acque.

Direttiva 2008/98/Cee: Direttiva relativa ai rifiuti

Direttiva 2006/118/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006 sulla protezione delle acque sotterranee dall’inquinamento e dal deterioramento.

Direttiva 2006/11/Ce del Parlamento europeo e Consiglio, del 15 febbraio 2006 con-cernente l’inquinamento provocato da certe sostanze pericolose scaricate nell’am-biente idrico della Comunità.

Direttiva 2001/42/Cee: Direttiva relativa alla valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente.

Direttiva 2000/76/Cee: Direttiva relativa alla norme sull’incenerimento dei rifiuti

Direttiva 2000/60/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 ottobre 2000 che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque, modificata dalla Decisione 2001/2455/Ce e dalla Direttiva 2008/32/Ce.

Direttiva 1992/43/Cee: Direttiva relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali della flora e della fauna selvatiche

Direttiva 1991/676/Cee: Direttiva relativa alla protezione delle acque dall’inquina-mento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole.

Direttiva 1991/271/Cee: Direttiva del Consiglio del 21 maggio 1991 concernente il trattamento delle acque reflue urbane. Modificata Direttiva 98/15/Ce della Commis-sione del 27 febbraio 1998.

Direttiva: 1986/278/Cee: Direttiva relativa alla protezione dell’ambiente, in parti-colare del suolo, nell’utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura.

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Direttiva 1979/409/Cee: Direttiva relativa alla conservazione degli uccelli selvatici

Normativa Nazionale D. lgs n. 219/2010:Standard di qualità ambientale nel settore della politica delle acque - Attuazione della direttiva 2008/105/Ce.

D. M. 17/12/2009: istituzione del sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti, ai sensi dell’articolo 189 del Decreto legislativo n. 152 del 2006 e dell’articolo 14-bis del Decreto-legge n. 78 del 2009 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 102 del 2009.

l. n. 205/2008: Conversione in legge, con modificazioni, del Decreto-legge 3 no-vembre 2008, n. 171, recante misure urgenti per il rilancio competitivo del settore agroalimentare.

D. lgs. n. 4/2008: Ulteriori disposizioni correttive ed integrative del Decreto legi-slativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale.

D. lgs. n. 152/2006, Parte iii: norme in materia ambientale - Stralcio delle “nor-me in materia di difesa del suolo e lotta alla desertificazione, di tutela delle acque dall’inquinamento e di gestione delle risorse idriche” (G.U. n. 88 del 14/04/2006 - S.o. n. 96) - testo vigente, aggiornato e coordinato, da ultimo, al D.lgs. n. 56/2009, legge n.36/2010, D.lgs. 10 dicembre 2010, n. 219.

D. M n. 185/2003: Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio. Regola-mento recante norme tecniche per il riutilizzo delle acque reflue in attuazione dell’ar-ticolo 26, comma 2, del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152. (GU n. 169 del 23-7-2003)

D. lgs. n. 133/2005: Attuazione della Direttiva 2000/76/Ce, in materia di inceneri-mento dei rifiuti

D. lgs. n. 42/2004: recante il “Codice dei beni culturali e del paesaggio” ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137 - [Cod. Urbani]

D. M. 19.04.1999: Approvazione del Codice di buone Pratiche AgricoleD. lgs. 490/99: t.U. beni Culturali ed Ambientali

D. M. 27.03.1998: Modificazione all’allegato 1C della legge 19 ottobre 1984, n. 748,

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Indice Normativa di Riferimento 273

recante nuove norme per la disciplina dei fertilizzanti.

l. n. 36/1994 - [legge Galli]: Disposizioni in materia di risorse idriche.

D. lgs. n 99/1992: Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento e rece-pimento della direttiva 91/271/Cee concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/Cee relativa alla protezione delle acque dall’inqui-namento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole. Abrogato dall’art. 175 D.Lgs. 03.04.2006, n. 152 - Attuazione della direttiva 86/278/Cee concernente la protezione dell’ambiente, in particolare del suolo, nell’utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura.

l. n. 144/1989: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 2 marzo 1989, n.66, recante disposizioni urgenti in materia di autonomia impositiva degli enti locali e di finanza locale.

l. n. 431/1985: [legge Galasso]: Conversione in legge con modificazioni del decre-to legge 27 giugno 1985, n. 312 concernente disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale.

l. n. 748/1984: nuove norme per la disciplina dei fertilizzanti.

l. n. 5/1975: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 icem-bre1974, n. 657, concernente la istituzione del Ministero per i beni culturali e am-bientali

l. n. 778/1922: tutela delle bellezze naturali e degli immobili di particolare inte-resse storico.

Normativa RegionaleD.G.R. n. 2668/2009: Piano Regionale di Gestione dei rifiuti Speciali.

D. G. R. n. 1441/2009 - “Piano di tutela delle Acque della Regione Puglia - art. 121 del D. lgs. n. 152/2006”, approvato con Deliberazione del Consiglio Regio-nale n.230 del 20 ottobre 2009, insieme alle “Linee Guida” contenute nell’Alle-gato.2 al PtA tra cui: “Disciplina insediamenti ricadenti all’interno delle zone di rispetto delle opere di captazione per l’approvvigionamento di acque destina te al consumo umano …”; “Disciplina scarichi di acque reflue domestiche o assimilate per insediamenti inferiori ai 10.000 AE e…”; “Disciplina delle acque meteoriche

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di dilavamento e di prima pioggia”; “Disciplina delle zone di protezione speciale idrogeologica”; “Disciplina degli impianti di riutilizzo delle acque reflue depurate”

D.G.R. n. 2460/2008: Disciplina relativa al regime di condizionalità PAC: modifiche e integrazioni

D.G.R. n. 883/2007: Adozione, ai sensi dell’articolo 121 del Decreto legislativo n. 152/2006, del Progetto di Piano di tutela delle Acque della Regione Puglia.

D.G.R. n. 19/2007: Programma d’azione per le zone vulnerabili da nitrati – Attuazio-ne della direttiva 91/676/Cee relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento provocato da nitrati provenienti da fonti agricole

D.G.R. n.1963/2004: Programma regionale di Tutela Ambientale 2003-2006 e sue modifiche ed integrazioni successive (Disposizioni generali sulle Acque) - bURP n. 19 del 02.02.2005.

D.G.R. n.1440/2003: “l.R. n. 17/2000 - art. 4 - Programma Regionale per la tutela dell’Ambiente”. Aggiornamenti e determinazioni.

Decreto CD n. 282/2003: Acque meteoriche di prima pioggia e di lavaggio aree esterne di cui all’art. 39 D lgs 152/99 come modificato ed integrato dal D lgs n. 258/200. Disciplina autorizzazioni.

l.R. n. 25/2001 e s.m.i.: Semplificazione adempimenti per il rilascio della conces-sione per l’estrazione e l’utilizzazione di acque sotterranee per le utenze minori (ag-giornata con l.R. n.36/2001).

l. R. n.20/2001: norme generali di governo e uso del territorio.

l.R. n. 18/1999 e s.m.i.: Disposizioni in materia di ricerca ed utilizzazione di acque sotterranee (aggiornata con atti regionali di successive modifiche e integrazioni qua-li: l.R. n. 14/2004, l.R. n. 9/2001, l.R. n. 7/2000, l.R. n.8/2000, l.R. n. 26/1999).

l.R. n. 31/1995, Art. 14 legge 8 giugno 1990, n.142: Autorità competente al rilascio delle autorizzazioni degli scarichi.

l. R. n. 29/1995: Disciplina relativa all’esercizio delle funzioni amministrative in materia di utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura attraverso le Ammi-nistrazioni provinciali.

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lista degli acronimi

teRMinoloGiA teCniCAA.e. Abitante equivalenteAoP Processi a ossidazione AvanzataAoX Composti organici alogenatiboD5 Domanda biochimica di ossigeno dopo 5 giorni btX benzene, toluene e xileneCDR Combustibile Derivato dai RifiutiCoD Domanda Chimica totale di ossigenoC.S.C. Capacità di scambio cationicoDeHP Di(2-etilesil)-ftalatoeCDs Distruttori endocriniHAc Acetato di idrogenoiPA idrocarburi Policiclici AromaticilAS Alchilbenzeni solfonati lineariMbR bio Reattori a MembranaMF MicrofiltrazioneMlSS Solidi Sospesi nella Miscela liquidaMlVSS Solidi Sospesi Volatili nella Miscela liquidaMPn Most Probable numbernF nanofiltrazionenPe etossilati di nonilfenolonH4 Azoto ammonicaleno2 nitritino3 nitratintot Azoto totalentU Unità di torbidità nefelometrica P FosforoPAA Acido PerAcetico PAH idrocarburi policlici aromaticiPCb (PCDF) Policloro-bifenili

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PCDD Policloro-dibenzo-p-diossineRo osmosi inversaRUV Raggi Ultra ViolettiSRt tempo di Ritenzione dei Fanghis.s. Sostanza seccaSS Solidi SospesiSSt Solidi Sospesi totaliSt Solidi totalite tossicità equivalentetHM trialometani toC Carbonio organico totaleUF UltrafiltrazioneUFC Unità Formanti ColiformiVoC Composti organici Volatili

teRMini noRMAtiVi, CoDiCi e ReGolAMentiCbPA Codice di buona Pratica AgricolaC.e.R. Codice europeo dei RifiutiD.G.R. Delibera di Giunta RegionaleD.l. Decreto leggeD.lgs. Decreto legislativoD.M. Decreto MinisterialeD.P.R. Decreto del Presidente della RepubblicaF.i.R. Formulario di identificazione del Rifiutol.R. legge RegionalePAi Piano Stralcio per l’Assetto idrogeologicoPPtR Piano Paesistico territoriale RegionalePUG Piano Urbanistico GeneralePUtt Piano Urbanistico territoriale tematicoSiC Sito di interesse Comunitariott tavolo tecnico per lo Studio di fattibilità sulla correttta gestione dei

fanghitUA testo Unico Ambientale (D.lgs. 152/2006 e ss. mm. e ii.)VAS Valutazione Ambientale StrategicaZPS Zona di Protezione Speciale, ai sensi della Direttiva 79/409/Cee

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Gli Autori

aleSSandra anGiuli è dott.ssa di ricerca in “Diritto ed economia del mare” (2005) nel Dipartimento di Diritto privato della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di bari, ove è stata altresì assegnista di ricerca dal 2006 al 2010. Docente a contratto di “nozioni giuridiche fondamentali” (9 CFU) nella Facoltà di lettere e Filosofia della medesima Università dall’a/a 2008/2009 a quello in corso. Avvocato, iscritto all’Albo dal 2002, si occupa di diritto ambientale, diritto di famiglia, diritto di proprietà, diritto dei contratti.

alleSSandro Bonifazi, biologo, dopo aver conseguito il Master in ecologia Uma-na presso la Vrije Universiteit di brussel ha conseguito il dottorato di Ricerca in Pianificazione territoriale e Urbanistica presso il Politecnico di bari, presso il quale ha anche tenuto come Professore a Contratto il corso di tecniche di valutazione di impatto ambientale. Attualmente lavora presso l’Ufficio VAS-Via della Regione Pu-glia come consulente di ricerca su incarico dal Ministero dell’Ambiente.

Gennaro BruneTTi è professore associato presso il Dipartimento di biologia e Chi-mica Agroforestale e Ambientale dell’Università di bari. il prof. brunetti è responsa-bile del laboratorio di Chimica Agraria ed Ambientale del Dipartimento. È coautore di numerosi lavori scientifici e coordinatore di alcuni progetti di ricerca finanziati da enti di Ricerca nazionali ed internazionali.

donaTella Caniani è ricercatore confermato di ingegneria Sanitaria Ambientale presso la Facoltà di ingegneria dell’Università degli Studi della basilicata dove svol-ge attività di docenza dei corsi di laurea e di Dottorato di Ricerca. Svolge attività di ricerca nelle tematiche della gestione del trattamento e riuso delle acque reflue e nella gestione di rifiuti solidi urbani.

GianfranCo Ciola, di ostuni, è un agronomo e naturalista esperto in sviluppo ru-rale. Specializzatosi in management ambientale ha maturato esperienze sul territorio come “animatore e facilitatore” per lo sviluppo rurale. Conoscitore degli aspetti am-bientali e del contesto rurale del territorio pugliese, svolge attività di consulente per pubbliche amministrazioni, agenzie di sviluppo, associazioni e imprese, su temi che riguardano la pianificazione e gestione di attività riferite allo sviluppo rurale, alla valorizzazione del territorio e del paesaggio.

ViTo dario ColuCCi è dottore magistrale in ingegneria per l’Ambiente e il territo-rio. nel novembre 2008 è vincitore di una borsa di studio triennale finanziata dalla

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Fondazione enrico Mattei per la frequenza del corso di Dottorato di Ricerca in “Me-todi e tecnologie per il Monitoraggio Ambientale” con sede presso il Dipartimento di ingegneria e Fisica dell’Ambiente dell’Ateneo lucano.

maria CriSTina de maTTia è ingegnere civile idraulico-sanitario. libero profes-sionista dal 1998, nel settore civile ed impiantistico con diverse esperienze nel cam-po della valutazione di impatto ambientale (ViA) e della depurazione delle acque, svolgendo anche attività di sostegno alla didattica per il Politecnico e Centri di for-mazione. Dal 2001 al 2008 ha fatto parte della task Force del Ministero dell’Am-biente, nell’ambito del P.o.n.-Assistenza tecnica del QCS 2000-2006 rivolto alle regioni “obiettivo 1”, inizialmente presso l’Assessorato “Ambiente” (oggi “ecolo-gia”) della Regione Puglia e dal 2002 presso l’ARPA Puglia. Dal 2008 è funzionario tecnico esperto dell’ARPA Puglia nel settore delle Acque in ambienti naturali di acque superficiali e sotterranee, nel ciclo delle acque reflue (scarichi e depurazione) ed in idrogeomorfologia applicata per la classificazione dei corpi idrici superficiali, nonché nella prevenzione dei casi di rischio idrogeologico.

daniela GuariGlia si è laureata in Scienze biologiche presso l’Università degli Studi di bari. Fa parte del circolo legambiente di bari, per il quale si occupa di educazione ambientale e divulgazione scientifica.

roBerTo franCeSCo iannone è consulente in materia ambientale e svolge la pro-pria attività professionale in ambito civile, lavoro e amministrativo. È dottorando di ricerca in Diritto ed economia dell’Ambiente presso il Dipartimento di Diritto Privato dell’Università degli Studi di bari “Aldo Moro” ove è altresì cultore della materia di istituzioni di Diritto Privato per le relative cattedre della Facoltà di Giuri-sprudenza e di Scienze Politiche.

filomena laCarBonara, geologa, dopo aver svolto l’attività di libero professio-nista e diverse esperienze nel campo della programmazione dei fondi strutturali a supporto degli enti locali, dal 2001 e fino al 2008 ha fatto parte della task force del Ministero dell’Ambiente per fornire assistenza tecnica nel campo dello Sviluppo So-stenibile alle regioni dell’obiettivo 1 nell’ambito del QCS 2000-2006, svolgendo la propria attività inizialmente presso l’Assessorato all’Ambiente della Regione Puglia e successivamente presso l’ARPA Puglia, a seguito della sua costituzione. Dal 2008 è funzionario esperto dell’ARPA Puglia nel campo del suolo, rifiuti e bonifica di siti inquinati.

GaeTano ladiSa, laureato in Scienze Forestali nel 1995, ha conseguito il Dottorato di Ricerca in idronomia presso l’Università di Padova. Ha collaborato a vario titolo

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con l’Università degli Studi di bari nell’ambito di progetti di ricerca sulla degrada-zione del suolo in ambiente mediterraneo. Consulente dell’istituto Agronomico Me-diterraneo di bari dal 2002, ha seguito per quattro anni il Piano Forestale nazionale a Malta. È stato consulente scientifico nell’ambito di due progetti di cooperazione sulla gestione sostenibile delle risorse naturali in aree protette (“innoVA” - in-teRReG iii b – ARCHiMeD 2000-06; “inteGRA” interreg/Cards-PHARe) e del Progetto integrato AQUAStReSS (eU 6° Programma Quadro). Attualmente è componente dello staff scientifico del progetto liFe+ nature & biodiversity “Cent.oli.Med.” sulla gestione sostenibile della biodiversità negli oliveti secolari.

niCla lonGino è dottore magistrale in ingegneria per l’Ambiente e il territorio. laureata presso la Facoltà di ingegneria dell’Università degli Studi della basilicata nel giugno del 2008, nel novembre 2009 è vincitrice di una borsa di studio triennale per la frequenza del corso di Dottorato di Ricerca in “ingegneria dell’Ambiente” con sede presso il Dipartimento di ingegneria e Fisica dell’Ambiente dell’Ateneo lucano.

iGnazio manCini è professore ordinario di ingegneria Sanitaria Ambientale presso la Facoltà di ingegneria dell’Università degli Studi della basilicata, dove è stato preside vicario ed attualmente preside di facoltà. Coordina attività di ricerca nelle tematiche della gestione del trattamento delle acque, della gestione e smaltimento dei rifiuti e della bonifica di siti contaminati.

SalVaTore maSi è professore associato di ingegneria Sanitaria Ambientale presso la Facoltà di ingegneria dell’Università degli Studi della basilicata dove svolge attività di docenza dei corsi di laurea e di Dottorato di Ricerca. È delegato del rettore per le attività di placement e direttore del centro di orientamento studenti. Svolge atti-vità di ricerca nel campo del trattamento delle acque, della gestione dei rifiuti, della valutazione di impatto ambientale e della bonifica di siti inquinati. È responsabile scientifico del laboratorio di ingegneria Sanitaria Ambientale.

maSSimiliano piSCiTelli, ingegnere per l’ambiente e il territorio e dottore di ricer-ca in ingegneria per l’Ambiente, si occupa di gestione e trattamento di rifiuti soli-di, reflui civili e industriali, bonifica di siti contaminati, ippc, Via e Vas. Consulente di amministrazioni pubbliche, attualmente ricopre il ruolo di ingegnere ambientale presso la Provincia di bari e collaboratore esperto della struttura commissariale per l’emergenza ambientale in Puglia.

niCola SeneSi è professore ordinario di Chimica del Suolo e Direttore del Diparti-mento di biologia e Chimica Agroforestale e Ambientale dell’Università di bari. il

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prof. Senesi, attuale Presidente della Società italiana Scienza del Suolo (SiSS) e del-la european Conference of Soil Science Society (eCSS), ricopre numerose cariche in società scientifiche nazionali e internazionali, oltre ad essere editore di numerosi testi scientifici e coordinatore di alcuni progetti di ricerca finanziati da enti di Ricer-ca nazionali ed internazionali.

marino SpiloTroS, nato a bari nel 1971, laureato in Scienze Statistiche ed econo-miche presso Università degli Studi di bari, è attualmente Presidente Circolo le-gambiente di bari e fondatore del sito www.euro-jobbing.com. Ha lavorato per la Commissione e Parlamento europeo curando tra l’altro la pubblicazione dell’Annual Report 2003 della Commissione trasporti ed energia e le statistiche sulle modalità di trasporto nella zona Ue. Ha pubblicato diversi articoli su testate nazionali ed internazionale su tematiche quali: trasporto, cooperazione internazionale, ambiente, inclusione sociale.

Carmelo m. Torre, ingegnere civile laureato a bari, dopo aver conseguito il Con-joint Master dell’Università di Cantabria e delle Coventry University in european Construction ha conseguito il dottorato di Ricerca in Metodi di Valutazione per la Conservazione integrata del Patrimonio Architettonico, Urbano e Ambientale presso l’Università Federico ii di napoli. Presidente della Sezione Pugliese dell’istituto nazionale di Urbanistica, è Ricercatore del Politecnico di bari, presso il quale inse-gna Valutazione e Gestione Urbana in qualità di Professore Aggregato.

eTTore Trulli è professore associato di ingegneria Sanitaria Ambientale. Docente nei corsi di laurea in “ingegneria per l’Ambiente e il territorio” tenuti dalla Facoltà di ingegneria l’Università degli Studi della basilicata. Svolge attività di ricerca nelle tematiche della gestione del trattamento e riuso delle acque reflue e della valorizza-zione energetica e del recupero di materiali dai rifiuti. È consulente presso ammini-strazioni pubbliche.