Ricostruire l'Italia con forme e colori nuovi C · Arti (contro il qual e Togliatti scriss uen...

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Arte di Simona Maggiorelli Ricostruire l'Italia con forme e colori nuovi C , è ancora tempo fino al 22 luglio per andare a vedere in Palazzo Strozzi a Firenze una delle mostre più belle di quest'anno. Parliamo de La nascita di una nazione, la retrospettiva sugli anni del dopo guerra e della ricostruzione che Luca Massimo Barbero ha curato distillando alcune delle opere più intense e significative di quel pe- riodo. Pur coprendo un arco di tempo lunghis- simo, il critico e curatore (come gran parte degli artisti rappresentati qui) procede per «arte del levare», proponendo una propria lettura. Di sala in sala, attraverso opere di autori che hanno contribuito a reinventare la cultura del Paese con forme nuove e colori, sviluppa un proprio filo del pensiero, leggendo in profondi- tà la tumultuosa ricerca che portò in Italia alla nascita dell'astrazione con un linguaggio nuovo e timbri originalissimi, dai tagli di Fontana ai sacchi di Burri, ai monocromi che per Manzoni, Castellani e altri furono una coraggiosa «scelta di libertà». Tanto più forte in un contesto come quello nostrano dove persino la sinistra aveva perso ogni rapporto con l'avanguardia essendosi chiusa nel greve orizzonte del realismo sociali- sta imposto da Togliatti che, seguendo Zdanov, aveva scomunicato l'arte astratta. La mostra di Barbero lo racconta scegliendo deliberatamente un incipit retorico come La bat- taglia di ponte dell'ammiraglio (1955) di Renato Guttuso, quadro oggi inguardabile, per la sua ro- boante esaltazione dell'eroismo con un realismo così ottuso da ridurre a feticcio quell'episodio di storia garibaldina. Il contrasto è evidentissi- mo con il luminoso comizio dipinto da Giulio Turcato, che Barbero ha "crudelmente" scelto di esporre a poca distanza dalla patacca di Guttuso. Per quanto abbia ancora qualcosa di schematico (strascichi della fascinazione per l'astrattismo ge- ometrico di Mondrian?), quest'opera di Turcato evita ogni retorica scegliendo una figurazione bidimensione, quasi del tutto astratta, senza ingabbiarla in una algida costruzione prospettica, facendo in modo che siano i rossi, i bianchi e la scala dei gialli e di marroni a dare al quadro il ritmo vivo e vitale della manifestazione di piazza. Per molti artisti di quella generazione fare arte era intrecciato all'impegno politico che li aveva guidati durante la Resistenza. E va riconosciuto a Giulio Turcato il coraggio della propria indipendenza di pensiero, di non Comizio di Giulio Tur- cato (1950). A destra Luciano -abro Italia (1968) fino al 22 luglio in mostra in Palazzo Strozzi, a Firenze essersi fatto irretire dagli anatemi e dalle censure. Continuò a fare ricerca con spirito partigiano anche come animatore del Fronte Nuovo delle Arti (contro il quale Togliatti scrisse un vele- noso corsivo su Rinascita), contribuendo poi all'elaborazione teorica del gruppo Forma 1, che si definiva marxista e al contempo rivendicava l'autonomia dell'arte dall'ideologia, la possibilità di abolire il soggetto del quadro, la libertà di spe- rimentare forme nuove fuori dalla mimesis. Ma è soprattutto con Fontana e Burri che l'a- strattismo tocca livelli altissimi in Italia, sfidando l'incomprensione e le censure. Il Grande sacco del 1952 fu anche oggetto di una interrogazione parlamentare di Umberto Terracini (Pei) quando Palma Bucarelli lo espose alla Galleria nazionale di arte moderna a Roma, come si ricorda in uno dei saggi contenuti nel catalogo Marsilio. La mostra fiorentina ripercorre quell'avventura con sale esaltanti che raccolgono capolavori di entrambi gli artisti, rievocando il senso di svolta che assunse il loro lavoro, fin dal 1947, quando Lucio Fontana era da poco tornato dall'Argen- tina e Alberto Burri era stato liberato dal campo di detenzione in America. Opere come Sacco nero e bianco o Sacco nero e oro (1953), ora in Pa- lazzo Strozzi, sono emblematiche di quel lavoro 62 LEFT 13 luglio 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato 14/07/2018 Pag. 62 N.28 - 13 luglio 2018 diffusione:57256 tiratura:78653

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Arte

di Simona Maggiorelli

Ricostruire l'Italia con forme e colori nuovi

C, è ancora tempo fino al 22 luglio per andare a vedere in Palazzo Strozzi a Firenze una delle mostre più belle di quest'anno. Parliamo de La nascita di una nazione, la retrospettiva sugli anni

del dopo guerra e della ricostruzione che Luca Massimo Barbero ha curato distillando alcune delle opere più intense e significative di quel pe-riodo. Pur coprendo un arco di tempo lunghis-simo, il critico e curatore (come gran parte degli artisti rappresentati qui) procede per «arte del levare», proponendo una propria lettura. Di sala in sala, attraverso opere di autori che hanno contribuito a reinventare la cultura del Paese con forme nuove e colori, sviluppa un proprio filo del pensiero, leggendo in profondi-tà la tumultuosa ricerca che portò in Italia alla nascita dell'astrazione con un linguaggio nuovo e timbri originalissimi, dai tagli di Fontana ai sacchi di Burri, ai monocromi che per Manzoni, Castellani e altri furono una coraggiosa «scelta di libertà». Tanto più forte in un contesto come quello nostrano dove persino la sinistra aveva perso ogni rapporto con l'avanguardia essendosi chiusa nel greve orizzonte del realismo sociali-sta imposto da Togliatti che, seguendo Zdanov, aveva scomunicato l'arte astratta. La mostra di Barbero lo racconta scegliendo deliberatamente un incipit retorico come La bat-taglia di ponte dell'ammiraglio (1955) di Renato Guttuso, quadro oggi inguardabile, per la sua ro-boante esaltazione dell'eroismo con un realismo così ottuso da ridurre a feticcio quell'episodio di storia garibaldina. Il contrasto è evidentissi-mo con il luminoso comizio dipinto da Giulio Turcato, che Barbero ha "crudelmente" scelto di esporre a poca distanza dalla patacca di Guttuso. Per quanto abbia ancora qualcosa di schematico (strascichi della fascinazione per l'astrattismo ge-ometrico di Mondrian?), quest'opera di Turcato evita ogni retorica scegliendo una figurazione bidimensione, quasi del tutto astratta, senza ingabbiarla in una algida costruzione prospettica, facendo in modo che siano i rossi, i bianchi e la scala dei gialli e di marroni a dare al quadro il ritmo vivo e vitale della manifestazione di piazza. Per molti artisti di quella generazione fare arte era intrecciato all'impegno politico che li aveva guidati durante la Resistenza. E va riconosciuto a Giulio Turcato il coraggio della propria indipendenza di pensiero, di non

Comizio di Giulio Tur-cato (1950). A destra Luciano -abro Italia (1968) fino al 22 luglio in mostra in Palazzo Strozzi, a Firenze

essersi fatto irretire dagli anatemi e dalle censure. Continuò a fare ricerca con spirito partigiano anche come animatore del Fronte Nuovo delle Arti (contro il quale Togliatti scrisse un vele-noso corsivo su Rinascita), contribuendo poi all'elaborazione teorica del gruppo Forma 1, che si definiva marxista e al contempo rivendicava l'autonomia dell'arte dall'ideologia, la possibilità di abolire il soggetto del quadro, la libertà di spe-rimentare forme nuove fuori dalla mimesis. Ma è soprattutto con Fontana e Burri che l'a-strattismo tocca livelli altissimi in Italia, sfidando l'incomprensione e le censure. Il Grande sacco del 1952 fu anche oggetto di una interrogazione parlamentare di Umberto Terracini (Pei) quando Palma Bucarelli lo espose alla Galleria nazionale di arte moderna a Roma, come si ricorda in uno dei saggi contenuti nel catalogo Marsilio. La mostra fiorentina ripercorre quell'avventura con sale esaltanti che raccolgono capolavori di entrambi gli artisti, rievocando il senso di svolta che assunse il loro lavoro, fin dal 1947, quando Lucio Fontana era da poco tornato dall'Argen-tina e Alberto Burri era stato liberato dal campo di detenzione in America. Opere come Sacco nero e bianco o Sacco nero e oro (1953), ora in Pa-lazzo Strozzi, sono emblematiche di quel lavoro

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di tessitura di una storia nuova del Paese a cui l'artista umbro contribuì creando un immagina-rio fatto sì di buchi neri e tele lacere, ma anche di rosso sangue e vitale nonostante le ferite; fatto di nero caravaggesco e ribollente come la pece che sutura le crepe e cura creando forme nuove dalle macerie. Lontano anni luce dal neorealismo retorico e propagandistico, Emilio Vedova - qui rappresen-tato da un lampeggiante e dinamico Scontro di situazioni (1959) - cercò il segno dell'impegno in una pittura astratta fortemente gestuale in dialettica aperta con Lucio Fontana. Su un filone di riscoperta di tradizioni "primitive" si muo-veva Mirko Basardella con il suo immaginario etnografico e un tentativo di ricreazione fabuli-stica delle radici culturali. Ma lo sviluppo di una nuova identità artistica capace di guardare alle scoperte della scienza creando immagini nuove trovò soprattutto in Fontana il suo campione. A Firenze si ricorda il suo viaggio a New York e la sua capacità di immaginare la metropoli come nuova Venezia trasfigurata nel rosso corallo del concetto spaziale del 1962, dove i grattacieli sono linee verticali tremolanti nella luce. L'artista che aveva dato vita ai primi concetti spaziali nel 1947, per poi passare ai tagli nel 1958, usò il

rame per rappresentare «grattacieli di vetro che paiono delle grandi cascate di acqua». Il con-fronto con la modernità è uno degli elementi di forza della sua pittura, Fontana non accettava paraocchi ideologici. La sua figura resta quella di un fulgido extraterrestre in una generazione di artisti stretti nella morsa fra ideologia comu-nista e le sirene di una società consumistica e di massa, che si avviava verso il boom. Accardi, Attardi, Consagra, Guerrini, Perilli erano alla ricerca di una strada per uscire dal post cubismo. Mimmo Rotella invece fece suo il linguaggio della comunicazione di massa ma i suoi collage composti con manifesti strappati di Mussolini denunciano la ferocia fascista, non si piegano alla logica del consumo come poi farà la Pop art. Si arriva così fino al 68 e dintorni, passando per l'Arte povera di Pistoletto, Kounel-lis, Paolini e altri artisti che risposero all'euforia del boom con la ricerca di una qualità semplice, di una dimensione umanistica e poetica che si esprimeva utilizzando con fantasia materiali po-veri. È proprio del 1968 l'Italia a testa in giù di Luciano Fabro che insieme alle mappe mondiali tessute da Alighiero Boetti chiude il percorso de La nascita di una nazione, aprendo la ricerca ad un orizzonte globale.

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