Ricordando

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RICORDANDO INTRODUZIONE Ritornare significa non solo ripercorrere i luoghi, le memorie dell’infanzia e della giovinezza, ma destare la memoria del dolore: dolore di avvenimenti vissuti, di momenti magici che non torneranno più, dolore di non poter rivivere la natura così come era, rabbia, a volte, tanta rabbia, delusione. Insomma, un viaggio mistico che ripropone l’eterno tema mitologico dell’esule e del migrante, nuovo Odisseo sempre in bilico tra tornare e ripartire. Solo l’immagine della Natura, nella sua selvaggia bellezza, è la sola che possa ancora suscitare un alito di dolcezza nel cuore. Roma ottobre 2011 Antonella Piano Fresco ruscello, come una foglia per vie sinuose mi conduci. ----------------------------- Luna di pace pellegrina dalla finestra in alto mi richiami. ------------------------------ Tutto come una danza non danzata ma che freme nei muscoli e nel petto ed è vivo il pensiero e la dolcezza di cose possibili.

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Aforismi e Poesie di Francesco Costantino

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RICORDANDO

INTRODUZIONE

Ritornare significa non solo ripercorrere i luoghi, le memorie dell’infanzia e della giovinezza, ma destare la memoria del dolore: dolore di avvenimenti vissuti, di momenti magici che non torneranno più, dolore di non poter rivivere la natura così come era, rabbia, a volte, tanta rabbia, delusione. Insomma, un viaggio mistico che ripropone l’eterno tema mitologico dell’esule e del migrante, nuovo Odisseo sempre in bilico tra tornare e ripartire. Solo l’immagine della Natura, nella sua selvaggia bellezza, è la sola che possa ancora suscitare un alito di dolcezza nel cuore.

Roma ottobre 2011 Antonella Piano

Fresco ruscello,come una fogliaper vie sinuosemi conduci.

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Luna di pace pellegrinadalla finestrain alto mi richiami.

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Tutto come una danza non danzatama che freme nei muscoli e nel pettoed è vivo il pensieroe la dolcezza di cose possibili.

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Mi sono risvegliato all’imbrunire.Il cielo è azzurroe rosa l’orizzonte.A stormi, a coppie, sole,volteggiano le rondini nel cielo,battono l’ali e planano.Anch’io vorrei librarmi in volo.

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Ho scritto troppe cose e son confuso,non riesco nemmeno a copiarleperché se le rileggo io rivivoin poco tempo troppe emozioni:la gioia la speranza lo sconfortol’ansia il desiderio la folliain un groviglio di sensazionifinchè mi sento vuoto e come morto.Allora lascio tutto e scrivo ancoracolla speranza di vederti prestoe ritrovare un poco di chiarezza.

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Teneramente volge la stagionein questo pomeriggio di settembre.Luce dorata sui tronchi dei pinistanche le membra e ancora si ripetel’illusione e gli occhi dilatativarcano la sognante realtà.

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Per leggere cose di un mondo lontanocosì lontano e bello perché vago

non so perché io brucio quel che toccomonotone le stradee mi manca il respiroe le parole tutte consumatei visi attorno vuoti e inespressivicosì ovunque vada

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tutto ha breve vitavive finché lo cercose lo raggiungo muorecome la predaper il cacciatore.

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Troppi giorni ho passato sotto il soletra l’erba verde e il volo degli uccelliper stare chiuso qui tra quattro mura.Troppe notti ho vegliato colle stellesmarrito con i grilli nella notteper stare chiuso qui, fra quattro mura.

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Dai tetti bianchiverso i campi bianchiun volo silenzioso di colomba.

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L’arista secca stride la cicalala luce filtra biancatra gli ulivi.

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Da qualche parte sarà primavera,se il passero trilla come allora.Da qualche parte sarà primavera,se piove piano piano come allora.Allora erano campi d’erba verde,adesso case strade marciapiedie l’albero un’antenna di metallo;eppure anche qui è primavera,perché mi sento dentro come allora.

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Sera fronte distesa calma nottestelle lacrime vetro tremolantiuomo proteso occhi dilataticoscienza nuda penetra universo.

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A due mani afferro la spadae con un colpo nettospacco in due le mie montagnela mia storiala storia della mia gentee dal profondo di me stessodal ventre delle montagnedalle origini del temporinasco.

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Vivevo la giornata con faticama non volavo sopra la mia vita

A lungo, colla penna tra le dita,sono rimasto a contemplar la vita.Pensieri mi affollavano la menteed alla fine non ho scritto niente.

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Giocando ad occhi chiusi colla vitami son trovato in un vicolo cieco;allora ho giocato ad occhi apertima sempre collo stesso risultato.

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SERA

Trillo smorzato di campanacci lontani vocìo sommesso: ultimi sussulti; poi tutto si placa e si raccoglie sotto l’ampio mantello della sera.

LASCIARSI MORIRE

Lasciarsi morire come quest’autunno con lenta consapevole agonia sfrondarsi come un albero e mostrare l’anima ignuda come quest’autunno lasciarsi macerare nel dolore come le foglie cadute irrimediabilmente e impallidire come questi colori.

DI VALLATA IN VALLATA

Una fucilata riecheggiante nei boschi di vallata in vallata nell’immobilità sconfinata e ti è caro il rumore dei passi di chi torna dal lavoro un belato o un lontano abbaiare ogni cosa ti è cara ora che si dilata come un sorriso la fronte della sera.

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IMMOBILE PAESAGGIO

Un immobile paesaggio alla finestra ma per la tua presenza al di qua dei miei occhi tutto si dilata come un’immagine sfocata dentro la tua immagine sensibile che dolorosamente si riproduce finchè mi arrendo ai ricordi nel loro ineluttabile fluire.

INCOMPARABILE PIETA’

Incomparabile pietà d’un raggio che t’accoglie e ti stupisci. Incomparabile pietà d’un attimo di tregua: dileguano i ricordi come tuoni in dolente lontananza.

ACQUA NEL DESERTO

Forse ho cercato acqua nel deserto. Non ho trovato e non cerco più.

ARIDO VENTO

Un caldo arido vento brucia l’aria rarefatta lontani richiami sotto la coltre di nuvole asciutte polverose errante in un deserto refrattario un grido inascoltato di cicale morte troppo lenta sui corpi corrosi e riarsi come spoglie d’insetti.

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MARE E TERRA

Il Mare innamorato della Terra le aveva offerto invano i suoi tesori per molti anni piano tra gli scogli le aveva sussurrato il proprio amore e ogni sera la sua lieve brezza mandava per sfiorarla di carezze. Un dì che Amore più lo tormentava in alto in alto la volle abbracciare ma le sue membra in mille rivoli grondavan dai freddi scogli, e quante volte ritentò l’abbraccio altrettante la Terra lo respinse. All’alba infine crollò senza vita, per lunghi giorni quasi non si mosse finchè come uno stagno morto giacque. Da allora il Mare fu in balìa del vento; quando la Terra infine si commosse di tanto amore le restava il sale.

CARNE MIA

Ora la carne mia non ha più peso svuotata di piacere sembra foglia (paglia) ? ora il mattino mi sorprende inerme sazio d’ozio nauseato di tranquillità discorsi come minestre riscaldate e come risalire dall’antica schiavitù quando la vita era senza luce e lo sguardo non arrivava mai all’orizzonte.

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RICORDI DELLA MIA TERRA

Raccolgo i ricordi della mia terra amorosamente come un naufrago raccoglie i suoi relitti sulla riva. Da queste case disseminate dalle cime dei monti fino alle pendici dove il verde a poco a poco succede al bianco limite irraggiungibile comunione dell’irreale fantastico senza dimensione al concreto palpitante e misero da ogni cosa che ho creduto mia finchè non annego sopraffatto.

POETA

Poeta è solo un’aquila ferita cammina sulla terra e mira il cielo; se si solleva e plana è breve volo, chè troppo pesa a lui l’essere uomo.

CICALE

Stridìo di cicale una testa procede inclinata scivolando un braccio fa l’altalena una vecchia stanca nel bacino la gente non si guarda nell’ombra polverosa.

MATTINI In questi mattini

raggianti di luce come le cose dalla fronte luminosa come un girasole ubriaco di gioia tu nasci in me come la speranza da ogni cosa protesa ad oriente.

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AMORE E TEMPO

Amore e tempo corre e mi scavalca da questa mia esistenza circoscritta quando potrò planare verso uno squarcio libero di cielo?

CASA

Se casa è come un abito di affetti dimensione realizzata di se stessi rifugio di memoria io non ho casa.

AGONIA

Lenta agonia di giorni macera il dolore le carni stupite, S’aggrappa al viso con zampe di ragno sostegno la viltà.

ROSSE LE STELLE

Rosse le stelle lucide febbrili. Profonda la notte dall’ampio respiro, ininterrotto coro di grilli sopore fluente nelle membra stanche. Era spuntata rosea la luna maturo frutto profumato ebbro di sole,

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ora morbida luce di latte spande sulla terra.

LA MIA RADICE

La mia radice è nel bosco affondano le ruote i carri nel fango del mio ventre, sulla mia polvere strisciano serpi, s’aggrappano al mio corpo penetrandomi le erbe con fitte radici.

VENTO

Sibila il vento tra i fili straccia le nubi e spazza via le stelle marea montante in crescendo da lontano sugli alberi squassati scomposti in uno spruzzo di foglie. Tra le ondate a tratti trema un belato.

NON UNA PIANA CERTEZZA

Non una piana certezza costruita: a un tramonto sterminato peso incombente di un mistero di cui fai parte, vuote occhiaie passate dall’aria, marmorei zigomi dolorosi del nulla.

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IMPROVVISA NEBBIA

Improvvisarapidafluente

dall’orizzontequasi per magia

si alza la nebbia d’aprilee sfiora i campi

docile alla brezza.Di nascosto

i passerial sole velatotrillano saluti.Fra mille erbe

odoripalpiti

sussurrifreme gravido

il grembo della terra.

FREMITI D’ALI

Fremiti d’ali aliti di brezza smaglianti colori nuvole vaganti nel mattino gioia della terra che si sveglia aneliti di vita nel tuo ansioso seno. Fra le chiome tue fluenti di quali giochi la brezza si diletta.

SENZA UN APPIGLIO

Senza un appiglionitida la fronte della seradissanguatada un arco di collinaprofili di palme e cipressigià stelle vividetrafiggono l’aria senza palpitocome sentimenti fintisenza traccia.

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FORSE

Forse ti ho conosciutatra gli ombrosi fremiti d’un boscomentre coglievi ciclaminio sei spuntata da una cascatadi rilucenti perle in controluceo forse t’ho conosciuta una mattinadavanti ad una chiesao forse in un orizzontedi naviganti collineforse ti portò il ventotra il murmure sommessodei pini alla montagnao fu una seranell’intimità d’un paesinomentre la vita piega su se stessaed ogni cosa approda e trova pace.

PIOGGERELLA D’APRILE

La pioggerella d’aprilescende finissimasull’erbetta tremolantedi mille minutissimi diamanti.Lasciati i loro tiepidi guancialifantasmi ridenti di fanciulleanimano le finestre ed i balconipoi fuggono danzandoverso i prati.

QUANDO

Quando il tuo profilospia l’orizzonteove immoto si rifugia il tempoè l’ora della malinconia.E’ l’ora della dolcezzaquando un alitorigonfia i tuoi capelli.

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SOLO BUGIE

Solo bugie t’ho dettofino ad oraperché più t’amoe più sono arroccato e amore e sofferenzae occhi vitreie tempie dolentid’impotenza.

DOMANI

Domani quanto cicalarequalcuno tirerà i filivita di fumocielo serenoestasi bugielaggiù / infinitoamoremai piùse mescoli tuttosi dissolve.

PINI

I pini intornofanno ampia cornicezampillo di verdeil cipresso rappreso nell’azzurro.Tra i mandorli fioritiè un’altalena di brevi volitra cinguettiifremiti d’erbae un tremolìo vagantedi farfallee un brulichio di esserinascosti.

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SONO CERTO

E sono certo ormaidi non amartiperché sono semprea mani vuotee sono certo ormaidi non amartiperché non ti salvodalla stupiditàsi sono certo ormaidi non amartiperché non semino di fioriil tuo camminoperché sopporto che ci separiamo

AMO L’AMORE MIO

Amo l’amore mioche sta tornandoamo l’amore mioche non mi vedeamo l’amore mioche non mi sentepenso all’amore mioche non mi pensavedo l’amore mioche non mi vedesento l’amore mioche non mi sentedomani le diròche l’ho pensatavista e sentita

MEZZOGIORNO D’ESTATE

Mezzogiorno d’estatetra gli uliviintrisi di lucesecca come il friniredelle cicalenell’ampia concasenza un orizzontenell’ora senza tempo

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scandita dai colpisecchi di una zappa.

DALL’ALTURA

Dall’alturasotto il cielocristallinoil sole autunnalenella vallediscioglie l’angosciacome i rami del salicesul pantanoma scendiove in un crogiuolola natura mesce caldi colorie nel grembolievita la terrai suoi succhi vitalie sentirai un riflussodi sangue prigionierodelle vene come della vallei desiderie le tue viscerecome i rami del ficoaggrovigliati.

MEGLIO

Meglio fare finta di capirelasciarsi trapassare come vetroda luce e rimanere freddi.

MIRAGGIO

Miraggio in un desertonon so se mi esaltio se m’illudiora più non mi conoscotutto ritorna in discussionee ti diverti a mescolarle carte dell’avvenire.

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I MIEI GENITORI

Dopo la morte di nostra madre,tante persone, a noi figli, raccontavanoepisodi della sua vita,esprimendo stima e rispetto.Ma noi sapevamo già tutto quello che c’era da sapere:era nostra madre.

Caro padre,non hai scopertoda dove veniamochi siamoe dove andiamo.Lo so perché altrimentime lo avresti detto:tu semplicementesei venuto al mondosei vissutoe te ne sei andato.Caro padre.

Il giorno che morì nostra madre,noi quattro figliseduti su una panchina dell’ospedale,piangevamo in silenzio.Avevamo trentuno ventinoveVentisei e ventiquattro anni.Eravamo orfani.Adulti e orfani.

Mio padre era un contadino,un contadino calabrese.Lavorava la terra tutto il giornola vigna il granol’orto l’uliveto.Lui era la naturae le stagioniil sole l’acqua il vento la tempesta.Ora è sepolto lontanotra la nebbiain Lombardia

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provincia di VareseGerenzano.Io c’ero il giornoche scelse la sua tomba:ne prese unadove batte il sole.

La nebbia saliva agli irti collie mio padre zappava allegramentemio fratello piantava le patatenei solchi che mio padre avea scavatoed io le ricoprivo con la terra.Solenne il bove come un monumento.Avevo tredici anni: ero contento.

Con un sorrisoavvolgentee carezzantehai rispostoal mio saluto.

L’EMIGRANTI

Eu mi ricordu tanti anni faquandu tornavo da grandi cittàe mi sentivo comu l’emigrantichi si ridi torna chi mani vacanti. Mi sentivo nu pocu tradituri

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di chista terra china di suduri. Ora è diversu, non mi dispiaci, ca vidi sulu genti senza paciabbandonati comu li sarbaggitra casi vecchi in menzu a farsi margi.Cusì voli u Cuvernu e li patronie i mafiosi cu li sò spiuni. E fino a quando non ti sdarrupasti Calabria chi tradisci li tò genti eu ti arripportu chillu chi mi dasti:

sarrissi a diri non ti portu nenti.

La porta buiacome una boccasbadiglia un caneche esce delusodalla casa addormentataocchi doloranti e spentile finestrequale appiglio?Se la terra s’aprisse sprofondasse

A PRIMAVERA ‘NTA CITTA’

L’atru iornu mi ndi ivacamminando chianu chianue sentivo a primaveracomu quando na carizza.L’aria tepita, i culuri,i fighioli nte giardinie tri o quattro signoriniche vidivanu fè nnenti.Tanti vecchi ntè banchiniComu tanti deficentigiuanotti strafottenticu na facci d’assassinie nu trafiche di machinichi pariva na ghiumara,na sirena di pomperi,

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cruci russa , polizia…. mi fiscavano li ricchi.E cusì mi ndi tornaie sentivo stà cittàstu rimuru avanti arretu.Primavera….chi profumu!Cca si senti sulu fetu.