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APPENNINICO Itinerari fra Natura, Geologia, Storia e Preistoria del Territorio Appenninico attraverso l’opera di Luigi Fantini RICERCARO

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AppenninicoItinerari fra Natura, Geologia, Storia e Preistoria

del Territorio Appenninico attraverso l’opera di Luigi Fantini

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Comune di S. Lazzaro di SavenaMuseo della Preistoria “L. Donini”:Gabriele Nenzioni - progettazione e co-ordinamento generaleSimona Parisini - coordinamento orga-nizzativo ed editorialeMonica Barogi, Francesca Gasparri - supporto tecnico

Assessorato alla Qualità Socio-Cultu-rale:Roberta Ballotta - assessore e coordi-natore Distretto culturale di S. LazzaroLucia Monari - responsabile Settore cultura, turismo, giovani e III settoreErminio Serio - responsabile ammini-strativoAlberto Romagnoli - logistica e supporti audio-videoRoberto Gentile - assistenza sala

Comune di Pianoro | Unità di Base Po-litiche Culturali e Sportive:Marina Zuffi - coordinatrice Distretto Culturale S. Lazzaro

Museo di Arti e Mestieri “P. Lazzarini - Pianoro:Maurizia Lazzarini - collaborazione alla progettazione

Referenti di Distretto:Patrizia Carpani - Comune di Loiano, assessore cultura, informazione, co-municazioneLoriano Amadori - Comune di Monghi-doro, assessore turismo, cultura, sport, ambienteCecilia Gonini - Comune di Monteren-zio, responsabile servizio biblioteca e culturaRoberto Carboni - Comune di Ozzano, responsabile servizio cultura, bibliote-ca e turismo

Ente di gestione per i Parchi e la Biodi-versità - Emilia Orientale:Lucia Montagni - direttoreAnnalisa Paltrinieri - comunicazione e promozione

TESTI E RICERCHEICONOGRAFICHE

Gabriele Nenzioni, Simona Parisini | Museo della Preistoria “L. Donini”Claudio Busi, Giuseppe Rivalta | GSB/USB Gruppo Speleologico Bolognese / Unione Speleologica BologneseMaurizia Lazzarini | Museo di Arti e Me-stieri “P. Lazzarini - PianoroDavid Bianco, Fabio Suppini | Ente di gestione per i Parchi e la Biodiversità - Emilia Orientale

CONTRIBUTI MULTIMEDIALI

Museo Civico Archeologico “L. Fantini” di Monterenzio | TE.M.P.LA.- Centro di Tecnologie Multimediali Applicate all’Archeologia (Università di Bologna)

Claudio Busi, Giuseppe Rivalta, GSB/USB - Gruppo Speleologico Bologne-se / Unione Speleologica Bolognese

ORGANIZZAZIONE DELL’EVENTO

Con il Patrocinio di:UniverSitÀ DI BOLOGNADIPARTIMENTO DI SCIENzEBIOLOGIChE, GEOLOGIChE EAMBIENTALI

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ITINERARI SULLA VITA DI LUIGI FANTINI

ESORDI

PREISTORIA

SPELEOLOGIA

NATURALISTICA

CURIOSITÀ

RELAZIONI

MEMORIA

Ricercaro Appenninico: così amava definirsi Luigi Fantini, un autoironico

appellativo che ne dichiara la natura di appassionato esploratore, il legame for-tissimo con l’Appennino bolognese e l’o-riginale approccio alla ricerca. L’immen-sa mole di lavoro svolta da Fantini in più di cinquant’anni di attività ha spaziato in numerosi campi della ricerca. L’innata curiosità verso tutto ciò che lo circonda-va gli ha consentito di ottenere successi inaspettati. Da illuminato autodidatta fu naturalista, esploratore di caverne, paletnologo, fotografo, appassionato cultore di storia locale, scrittore, poeta... Nell’ambito delle scienze della terra vanno ricordati i risultati ottenuti nella ricerca di fossili e minerali, come la sco-perta delle grandi septarie rinvenute nei calanchi.

Nella speleologia, le scoperte compiu-te dal gruppo di appassionati radunati attorno a lui furono d’importanza incal-colabile per la conoscenza morfologica dei sistemi ipogei. In paletnologia Luigi Fantini ha il merito di aver individuato numerosi siti che conservavano trac-ce di un’antichissima presenza umana. Questo gli valse la nomina ad Ispettore Onorario dell’allora Sovrintendenza alle Belle Arti dell’Emilia e Romagna e una stretta collaborazione con il Museo Civi-co Archeologico di Bologna.Imprescindibile la corposa campagna fotografica per censire e documentare le antiche case dell’Appennino bolognese, culminata con la pubblicazione dell’im-ponente lavoro in due volumi di grande formato

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ESORD

I Primo ad affermare l’esistenza di culture

preistoriche nell’area bo-lognese è l’imolese Giu-seppe Scarabelli nel 1850 con una monografia sui ritrovamenti dell’età del-la Pietra. Pochi anni dopo nel 1861, Giovanni Capelli-ni, titolare a Bologna della prima cattedra italiana di geologia, raccoglie in lo-calità Croara ciottoli silicei con tracce di lavorazione, che riconosce come stru-menti dell’uomo preisto-rico, comparabili crono-logicamente a quelli dei depositi francesi attribuiti

al “diluvium”. Stimolato dal suo esempio e dal-le novità presentate al V Congresso di Antropolo-gia e Archeologia Preisto-riche nel 1871, il discepolo Francesco Orsoni scopre nello stesso anno la Grot-ta del Farneto, dove a più riprese conduce scavi, tra i primi impostati con ri-gore scientifico, anche se mai pubblicati. Le inda-gini nella cavità saranno riprese da Edoardo Brizio, docente di archeologia nell’Ateneo bolognese. Sarà sempre lui a segnala-re nel 1896 a Colunga stru-

menti litici e una sepoltu-ra dell’età del Rame. La bassa vallata dell’Idice era già stata teatro nel 1853 di un rinvenimento ancor più importante: un sepolcre-to individuato in località Caselle di San Lazzaro da Giovanni Gozzadini, pri-ma testimonianza della fase culturale da lui de-nominata “Villanoviano”, risalente all’età del Ferro. Le ricerche sul Paleolitico si arrestano poi per parec-chi anni, sino all’avvento delle instancabili indagini fantiniane

LA NASCITA DELL’ARCHEOLOGIA PREISTORICA

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ESORD

I Il legame tra Luigi Fantini e la Grotta del Farneto è assai profondo: egli infat-ti nasce nel 1895 a pochi passi dalla grotta scoper-ta da Francesco Orsoni, il solitario ricercatore che aveva dedicato gran parte della sua esistenza all’esplorazione della ca-vità e alle analitiche inda-gini sui resti dell’età del Bronzo ivi rinvenuti. Luigi in tenera età accompa-gnava i turisti nella visita della grotta animato dai

racconti della propria fa-miglia che aveva cono-sciuto e aiutato l’Orsoni. L’interesse per questa cavità e le sue caratteri-stiche è quindi precoce e segna le successive ricer-che. Già nel 1882 il Brizio in una dettagliata memo-ria attribuiva l’occupazio-ne del sito al popolo dei Liguri e, paragonandolo ad altre simili grotte, si rammaricava del fatto che non vi fosse ancora stata scoperta traccia di

riti sepolcrali umani. Nel 1924, camminando lun-go il bosco del Farneto, Fantini vede una nuova frana slittata dal grande riparo sottoroccia presso la grotta. Una volta sul posto, tra frammenti di “rozzissimi vasi” raccoglie una bella punta di freccia in selce rossa, diventata poi il simbolo del Gruppo Speleologico Bolognese. Questo è il principio delle sue ricerche paletnologi-che

PRIMI PASSI AL FARNETO

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L’entusiasmo suscitato in lui dalle scoperte ef-fettuate nel deposito del Sottoroccia del Farneto spinge Fantini a tornare di frequente su quel sito. Recupera così nel 1935 i primi due crani pressoché completi, a cui seguirono per diversi anni numerose e sistematiche indagini. Nel 1954, dopo una gran-de frana, viene poi alla

luce una notevole quanti-tà di materiale scheletrico e archeologico. La fram-mentarietà e caoticità dei resti lo inducono a ipotiz-zare che la morte dei “tro-gloditi”, che qui trovava-no riparo, fosse avvenuta per schiacciamento a se-guito di un crollo. Altra ipotesi è quella che inve-ce si trattasse di un luo-go della grotta destinato

alle sepolture. Oggi sap-piamo con certezza che le grotte e le sporgenze rocciose venivano di fre-quente utilizzate anche a scopo rituale e sepolcrale. È infatti noto il fenomeno culturale delle grotticelle sepolcrali risalente all’età del Rame - inizi età del Bronzo, a cui gli studiosi riferiscono i rinvenimenti di questo deposito

IL SOTTOROCCIA SI SVELAESORD

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È il 1927 quando Luigi Fantini, stimolato dalla lettura di «Armi ed utensi-li di pietra del Bolognese» (1870), prima monografia di Giovanni Capellini de-dicata alle testimonianze preistoriche del territorio, avvia la propria attività nel campo della ricerca sulle culture paleolitiche. Accogliendo alla lettera l’invito dell’illustre geolo-go a perseguire la ricerca di tracce arcaiche umane nei terreni “post-terziari”,

ben presto individua in affioramento sull’altopia-no gessoso della Croara molti reperti da lui attri-buiti al Paleolitico Medio. La buona conoscenza dei luoghi e il progressivo estendersi dell’areale del-le ricerche verso le vallate dello Zena e dell’Idice gli permettono di costitui-re una prima collezione composta da 600 pez-zi, che si distingue per la presenza di numerosi raschiatoi, punte e lame,

correttamente attribuite a industria musteriana. Nel 1932, nel pionieristi-co saggio «Le Grotte Bo-lognesi», segnala reperti paleolitici anche all’inter-no del sistema carsico della Spipola.Questo primo nucleo di raccolta, affidato per lo studio al geologo Tino Lipparini, andrà in segui-to completamente di-sperso

1927: LA SCOPERTA DEL PALEOLITICO

PREISTORIA

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A partire dal 1948, Luigi Fantini riprende intensa-mente le ricerche. Nella zona di Pizzocalvo racco-glie, tra i depositi ghiaiosi del Rio Merlaccio, scheg-ge in ftanite con evidenti segni di lavorazione uma-na, ma con bordi smussati e segni di lunga fluitazio-ne che attribuisce al Pale-olitico antico. Incuriosito, inizia a battere tutta la fascia pedemontana bo-lognese, percorrendo gli antichi terrazzamenti di

origine fluviale ricchi di testimonianze del popo-lamento umano riferiti, in cronologia convenziona-le, al glaciale Mindel e al successivo interglaciale. Nel 1955 scopre, sul greto del fiume Idice, un’amig-dala lunga poco più di 20 cm, con caratteristiche si-mili a quelle del giacimen-to di Saint-Acheul in Fran-cia. Questo, come molti altri strumenti rinvenuti nei poderi Ca’ Rossa, Due Pozzi, Ca’ delle Donne,

Borgatella e Varignana, e riportati a industrie “ab-bevilliana, acheuleana, e clactoniana”, viene stu-diato da Piero Leonardi dell’Università di Ferrara, con il quale era in stretto rapporto dai primissimi anni ’50. Oggi si ritiene che questi complessi liti-ci, segnalati in numerosi depositi dell’Europa me-ridionale, risalgano a più di 300 mila anni dal pre-sente

LA SECONDA FASE DELLE RICERCHE

PREISTORIA

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Luigi Fantini porta avanti tenacemente le ricerche sul Paleolitico, spingen-dosi fino all’aperta sfida con le teorie accademi-che del tempo. Inizia a interessarsi a ciottoli rac-colti nelle ghiaie silicee di origine marino-costiera pertinenti alle “sabbie gialle” e nei conglomera-ti appenninici pliocenici. Queste testimonianze con tracce di lavorazione estremamente logorate sono attribuite dal Ricer-catore ad un’industria umana antichissima.

Nel 1957, stilando una classificazione lineare del Paleo- litico, sostiene l’e-sistenza di una fase cul-turale definita “Pre-pale-olitica”, caratterizzata da un’industria su ciottolo molto fluitata, rinvenuta sui colli della Croara, Far-neto, Castel de’ Britti, fino all’Imolese, in quella che era la fascia litoranea del Mare Padano. L’ammira-zione espressagli da stu-diosi come N. Casteret, A. C. Blanc, P. Graziosi, A. Rust e H. Müller-Beck, lo incoraggia a continuare e

ad approfondire le ricer-che. A partire dal 1962, individua nei conglome-rati ciottolosi affioranti in cima al Monte delle For-miche quelli che ritiene “chopping-tools”: arcaici e rozzi strumenti in cui vede tracce di lavorazio-ne umana. Il mondo acca-demico italiano accoglie con cautela, se non con scetticismo, le sue teorie, che egli difende strenua-mente fino alla fine dei suoi giorni

INDIETRO NEL TEMPO

PREISTORIA

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Impegnato già da alcuni anni nelle prime solita-rie indagini preistoriche e speleologiche, Luigi Fantini aggrega attorno a sé nel 1932 un gruppo di giovani con la stessa passione, conosciuti ca-sualmente durante un’e-scursione nel Buco delle Candele (Croara). Il 7 no-vembre 1932 nasce così, “sul campo”, il Gruppo Speleologico Bolognese (GSB). L’incoraggiamen-to di Michele Gortani, di-rettore dell’Istituto di Ge-ologia dell’Università di Bologna, e l’entusiasmo

trasmesso da Fantini fa-voriscono in poco tempo l’affiliazione di una ven-tina di giovani Soci, fra i quali spiccano il topo-grafo Giuseppe Loreta, il geologo Tino Lipparini, i fratelli Greggio e i “due” Marchesini. Nel volgere di breve tempo il Grup-po consegue risultati inaspettati. Con poche attrezzature a disposi-zione e duri sacrifici nel 1933 viene esplorato l’im-ponente sistema carsico Acquafredda-Spipola. I dati presentati lo stesso anno a Trieste, nell’am-

bito del 1° Congresso di Speleologia, inseriscono il GSB a pieno titolo nel movimento speleologico nazionale. Ma l’avven-tura è solo all’inizio. Nel solco tracciato da Fantini, il Gruppo, attualmente GSB/USB, ha contribui-to alla nascita del Parco dei Gessi Bolognesi e an-cor oggi contribuisce in modo fondamentale alla tutela delle aree carsiche, alla ricerca speleogene-tica e alla divulgazione scientifica dei dati

1932: FONDAZIONE DEL GSB

SPELEOLO

GIA

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Fra il 1932 e il 1937 il Grup-po Speleologico Bologne-se, sotto la guida di Luigi Fantini, sembra prende-re alla lettera l’invito del Regio Istituto Italiano di Speleologia a procedere “con criteri scientifici alla razionale esplorazione delle numerosissime cavi-tà naturali della provincia di Bologna”. Nel giro di pochi anni le grotte sco-perte e rilevate con mezzi modestissimi ammonta-no ad oltre 60. Rispetto ai contributi pioneristici di

Serafino Calindri e a quelli editi in seguito da Giorgio Trebbi e Olinto Marinelli, il quadro delle conoscen-ze si amplia in misura esponenziale. I maggiori esiti di questa stagione sono l’esplorazione del complesso carsico Spi-pola-Acquafredda, il più esteso sistema ipogeo nei gessi dell’Europa occi-dentale, la segnalazione di un rilevante numero di altre grotte, come la Co-ralupi e la Gortani. Si ag-giungono le sistematiche

raccolte di cristallizzazio-ni gessose, concrezioni e fauna ipogea che contri-buiscono ad arricchire il patrimonio dei principali Musei Naturalistici. Fra i fondamentali documenti lasciati in eredità dal Ri-cercatore non si possono non ricordare la monogra-fia «Le Grotte Bolognesi» del 1934, le splendide “fo-tografie speleologiche” e il ricco carteggio con stu-diosi del carsismo italiani ed europei

LE CAVITÀ CARSICHE

SPELEOLO

GIA

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L’ambiente ipogeo, buio e dalle difficili condizioni ambientali, è popolato da varie forme di vita.I pipistrelli sono i più noti frequentatori delle grotte e appaiono come simbolo di vari Gruppi Speleolo-gici. I primi studi sui Chi-rotteri, così è chiamata la famiglia di questi mam-miferi volatori, risalgono al 1600-1700. Anche in questo settore, Fantini e il Gruppo hanno fornito

un significativo contribu-to con indagini di forte impronta scientifica. Le numerose note persona-li che accompagnano le spedizioni e la raccolta di immagini, campioni di animali e dei loro paras-siti, documentano le ric-che e diverse comunità di pipistrelli. Ma l’impegno per la conoscenza delle faune delle grotte non si arresta qui. Nel carteggio che intercorre tra Fantini

e l’entomologo Carlo Me-nozzi a partire dal 1932 si può seguire l’incredibile numero di determina-zioni di insetti, crostacei, aracnidi, anellidi, chirot-teri e altre specie. Un pic-colo dittero individuato nei livelli superiori della Grotta del Farneto da Sil-vio Cioni viene classifica-to, come riconoscimento dell’attività svolta, Triph-leba fantinii

LE FAUNE DELLE GROTTE

SPELEOLO

GIA

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Quando una foto ritrae un luogo che non esiste più, l’immagine assume un valore diverso: diventa documento. Guardando le molte lastre fotografi-che, “filtrate” dall’obiet-tivo Zeiss Tessar di cui Luigi Fantini andava fie-ro, scopriamo un grande interprete del tempo, in senso geologico, e del pa-esaggio, in senso fisico. L’interesse del ricercato-re verso la varietà delle manifestazioni geomor-

fologiche si concentra in primo luogo sulle aspre strutture erosive dei contrafforti arenacei del Bacino Intrappenninico bolognese. I “Torrioni” di Monte Adone, i “ Pun-tironi” e le “Guglie” di Pieve del Pino (Valle del Savena), i “Castelloni” di Pizzano (Valle dell’Idice), sono colti nell’attimo fug-gente in cui alcune per-sone in posa sembrano violare la loro sommità apparentemente inacces-

sibile. Numerose fotogra-fie mostrano una partico-lare attenzione anche per le diverse e affascinanti morfologie che possono assumere le “argille sca-gliose” (meglio conosciu-te come “Calanchi”), e le forme erosive interne ed esterne dei Gessi. Gli scatti sono frutto di un’at-tenta ricerca delle condi-zioni di luce e degli angoli di ripresa, scelti con cura per esaltare la specificità geologica dei luoghi

IL PAESAGGIO GEOLOGICO

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“Molti ed interessanti aspetti il nostro Appennino ha via via rivelato ai suoi molteplici ed appassionati cultori ed ammiratori, che in ogni tempo lo fecero og-getto delle loro escursioni, delle loro ricerche e dei loro studi…”. Con queste parole introduttive, nel 1960 Luigi Fantini dà alle stampe nella Strenna Storica Bolognese un lavoro dedicato alle cu-riosità geo-mineralogiche dell’Appennino. Convergo-no in questa breve ma esau-stiva monografia gli esiti

delle escursioni naturalisti-che condotte per documen-tare, a partire dai primi anni ’30, le principali formazioni geologiche intrappennini-che e le raccolte di nume-rosi campioni di rocce, con-crezioni, fossili e minerali in affioramento erosivo.Oltre a soffermarsi su esem-plari ben noti in letteratura come la “fosforescente” Ba-ritina delle Argille Scagliose di Monte Paderno, i cristalli di Quarzo di Porretta, le di-verse forme di Septarie, le “Scodellette del Diavolo”,

l’attento occhio del ricer-catore cade anche su altre forme “curiose” meno note. In questa categoria rientra-no le formazioni botroidali rinvenute da Fantini per la prima volta nella zona del Farneto: si tratta di strani agglomerati rotondeggian-ti composti di sabbie ce-mentate, che possono talo-ra assumere forme simili a piccole sculture effigianti la figura umana (“Icoliti”)

CURIOSITÀ GEO-MINERALOGICHE

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Eredi del messaggio e dei valori trasmessi da Luigi Fan-tini, i gruppi speleologici e naturalistici bolognesi, im-pegnati in lunghe e decennali battaglie contro l’incuria e le devastanti attività estrattive nell’area dei Gessi, creano i presupposti, nei primi anni ‘70, per la nascita di un orga-no “istituzionale” di tutela. Nel 1988, al termine di un lungo percorso procedurale, nasce il Parco Regionale dei Gessi Bolognesi e Calanchi dell’Abbadessa, ente consor-ziale votato alla salvaguardia e alla valorizzazione dei de-licati equilibri di una micro-

regione a pochi passi della città di Bologna. Il patrimo-nio da proteggere è vasto, composito e caratterizzato da una ricca biodiversità. La stretta relazione con il terri-torio consente al Parco, ora integrato nell’Ente di gestio-ne per i Parchi e la biodiver-sità dell’Emilia Orientale, di svolgere un’intensa attività scientifica e culturale. Fra i molti interventi attuati, l’al-lestimento dell’area didattica della Ex Cava a Filo, la riaper-tura della Grotta del Farneto, la creazione del Centri Visi-ta a Casa Fantini (Farneto) e a Villa Torre di Settefonti

(Ozzano Emilia), le numero-se proposte culturali rivolte alla scuola e ai cittadini. La presenza di habitat e specie rari e minacciati su scala eu-ropea ha portato negli anni ’90 all’individuazione del Sito di importanza comunitaria (SIC) “Gessi Bolognesi”, che fa parte della Rete Natura 2000. Proprio per tale moti-vo l’Unione Europea ha cofi-nanziato il progetto LIFE+ 08 NAT/IT/369 Gypsum, grazie al quale sono state realizza-te attività di conservazione, monitoraggio e divulgazione di ambienti associati agli af-fioramenti gessosi

PARCO DEI GESSI BOLOGNESI E CALANCHI DELL’ABBADESSA

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Luigi Fantini prende ser-vizio al Museo Civico Ar-cheologico di Bologna, nel ruolo di Assistente, nel 1955. Tra le sue man-sioni, quella di riordina-re l’archivio museale lo entusiasma, poiché gli permette di accedere ai documenti in cui viene segnalato il ritrovamento di molti dei cimeli con-servati nel museo. Nel fascicolo “San Lazzaro” si imbatte nella lettera, da-tata 1883, diretta al Conte Gozzadini, che menziona un ripostiglio di monete

antiche scoperto nell’an-no precedente da un umi-le contadino in un podere presso la Parrocchia di Colunga. Tra le 15 mo-nete d’oro spiccava per rarità assoluta un aureus inedito battuto da Marco Antonio per la Legione VI. Lo stesso Fantini ricorda come, nella sua infanzia, sentiva narrare la vicen-da dalla madre, nativa di quel luogo. Acquistato dal principe Hercolani, presso il parroco di Co-lunga, dopo una serie di passaggi, l’aureus infine

approda al British Mu-seum di Londra. Oltre che nella rivisitazione di que-sta curiosa scoperta, il contributo di Fantini alla conoscenza della roma-nizzazione fra Savena e Idice si concretizza con la raccolta nel greto dei due fiumi di alcune macine in pietra e con lo scavo di due pozzi ricchi di lateri-zi. Questi materiali sono confluiti nelle raccolte del Museo Civico Archeologi-co di Bologna

SULLE TRACCE DEI ROMANICURIO

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Il legame di Luigi Fantini con la sua terra e i luo-ghi cari della giovinezza emerge anche nella pas-sione per la storia locale, di cui rievoca curiosità legate al folklore paesa-no. Tra queste, il ricordo della Fiera detta degli “Schioppi” (stiúp in bolo-gnese), che si teneva ogni 28 di ottobre, il giorno di San Simone, nell’amata valle dell’Idice presso la Parrocchia di Settefonti, nel borghetto di Merca-tale. Doveva il suo nome

alla particolarità che, ol-tre alle normali merci, si commerciavano e si scambiavano anche armi da fuoco nuove e usate. Fantini si cimenta nella ricerca di informazioni sulla storia di questo ap-puntamento popolare e reperisce due manifesti, datati 1814 e 1815, che annuciavano la Fiera de-gli Schioppi come se fos-se già tradizione conso-lidata del luogo. La Fiera mantenne comunque il suo nome anche dopo la

nascita del Regno d’Italia, nel 1861, e l’introduzione della licenza per il porto d’armi. Se ne ha traccia fino all’immediato dopo-guerra. La rivisitazione della Fiera offre a Fanti-ni anche l’occasione per rinverdire la memoria di alcune famiglie di arma-ioli operanti in Appenino tra il XVIII e il XIX secolo, a cominciare dai celebri archibugieri Acquafresca e Negroni

LA “FIRA DI STIÚP”CURIO

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Nel 1965, durante una perlustrazione Luigi Fan-tini scopre una vite ultra-centenaria ricoperta di rovi nei pressi del podere Terzanello di Sotto (Pia-noro). In «Antichi edifici della montagna bolo-gnese» ricorda: “Aveva un tronco di 120 cm di circonferenza, con rigo-gliosissimi tralci per una lunghezza complessiva di una trentina di metri”. Dimenticata per decenni, nel 2000 viene riscoperta in condizioni veramente precarie. Si deve a Stefa-no Galli il merito del re-

cupero dell’antico ceppo. Denominata “Vitone del ’600” dagli abitanti del luogo, si è certi che sia antecedente al 1875-79, quando l’attacco fillos-serico che stava distrug-gendo i vigneti europei fu debellato: la pianta, non innestata, si è salva-ta forse perché inserita in una nicchia ecologica. Intuendo il particolare interesse della scoperta, L’ing. Galletti del Podere Riosto ha da anni proce-duto alla sua propaga-zione. L’Amministrazione Comunale di Pianoro ha

avviato la procedura per iscriverla nell’elenco degli alberi monumentali della Regione, necessaria pre-messa all’avvio di inter-venti conservativi mirati e di salvaguardia dell’esem-plare storico. La vite pro-duce uva nera: studi am-pelografici dell’Università di Bologna e del CRPV di Faenza l’hanno identifi-cata come vitigno scono-sciuto che, nel 2009, ha ottenuto l’iscrizione nel Registro Italiano Vigneti, con il nome di “Vite del Fantini”

LA VITE DI FANTINICURIO

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Le ricerche di Luigi Fanti-ni sono accompagnate da una fitta rete di contatti con importanti persona-lità della paletnologia e geologia italiana, con cui istituisce profondi lega-mi: Michele Gortani dell’I-stituto Geologico di Bo-logna, il suo successore Raimondo Selli e soprat-tutto Franco Anelli, pale-ontologo dell’Università di Bari. Fondamentale anche il rapporto di colla-borazione stabilito con il giovane geologo Tino Lip-parini, che affianca Fanti-

ni a partire dal 1933. L’eco delle ricerche preistori-che sulla stampa locale ne favorisce il contatto con i principali esponenti del-la paletnologia italiana: Paolo Graziosi, Antonio Radmilli, Arturo Palma Di Cesnola, Alberto Carlo Blanc, Raffaello Battaglia e, soprattutto, Piero Leo-nardi. Nel pieno della ma-turità importanti riscontri provengono anche dagli eminenti paletnologi te-deschi Hansjürgen Müll-er-Beck e Alfred Rust, che raffrontano i reperti

del Pedeappennino bo-lognese con le industrie litiche prechelleane affini “a quella di Heidelberg”. Attestati di stima e con-siderazione sulla validità e antichità dei manufatti paleolitici della sua colle-zione, che nella maturità Fantini definisce pre-pa-leolitici, pervengono in-fine dai francesi Norbert Casteret, speleologo e paletnologo, e da Robert De Joly, Presidente dello Spéléo Club de France

UNA RETE DI RAPPORTIRELAZIO

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La fitta trama di relazioni stabilite con diversi musei segna l’intera attività di Lu-igi Fantini. Fin dal 1933 ven-gono destinate al Museo Geologico “G. Capellini” e al Museo di Mineralogia “L. Bombicci” di Bologna ricche campionature di cristalli di gesso e rare concrezioni. Altri materiali naturalistici e mineralogici convergono negli stessi anni presso l’I-stituto Italiano di Speleolo-gia a Postumia.L’allargarsi della rete di co-noscenze favorisce l’invio di faune ipogee al Briti-sh Museum di Londra e ai

Musei di Storia Naturale di Vienna, Budapest, Trento. Nel 1935 affida all’Istituto bolognese di Antropologia reperti scheletrici umani dal Sottoroccia del Farneto, oggi esposti nel collegato Museo. Per sua espressa volontà, il Museo Civico Ar-cheologico di Bologna ospi-ta dal 1950 un’importante collezione paleolitica ove spicca la celebre “amigdala di Varignana”. Altri cospicui segmenti della raccolta pa-letnologica trovano spazio nel Museo di Paleontologia e Preistoria “P. Leonardi” dell’Ateneo ferrarese e nel

Museo della Preistoria “L. Donini” di San Lazzaro di Savena. Materiali litici ar-ricchiscono inoltre i musei di Imola, Monterenzio, Bu-drio e il Museo Fiorentino di Preistoria “P. Graziosi”. Cimeli, documenti, auto-grafi, taccuini, fotografie che ne ripercorrono le di-verse stagioni di ricerca sono conservati a Bologna presso la sede del GSB/USB e nel Museo Speleologico a lui intitolato. Una raccolta di botroidi di Luigi Fantini è conservata in un edificio ru-rale in località Tazzola pres-so Monte delle Formiche

L’EREDITÀ DI FANTINIRELAZIO

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È il 1944 quando un bom-bardamento riduce in ma-cerie la casa dove abita il nipote di Fantini, Enrico, e la sua famiglia. Da quel mo-mento Luigi inizia a portare con sé il giovane, già abile disegnatore, nelle sue per-lustrazioni per l’Appennino Bolognese alla ricerca di an-tichi edifici rurali da docu-mentare.Entrambi in bicicletta, par-tono di mattina presto da Pontevecchio, con un po’ di cibo per la giornata e i ri-spettivi strumenti di lavoro: macchina fotografica, lastre e binocolo per Luigi e fogli,

matite, gomme per Enrico. Il lavoro viene sempre svol-to con estrema attenzione, registrando e documentan-do tutti i dettagli: data, ora, tempo di esposizione e dia-framma usato nella fotogra-fia, ma anche misure e schiz-zi della casa. Molto spesso il lavoro di Enrico si rivela di fondamentale importanza documentaria, alcuni edifici presentano infatti ostacoli che impediscono di inqua-drare il fabbricato, come alberi davanti alla facciata. Il disegno, in questo caso, permette una più libera rap-presentazione. Ogni singo-

la tavola viene poi rifinita e dimensionata in scala in un secondo momento. Enrico dà prova di eccellente talen-to artistico e capacità tec-niche di alto livello: riman-gono di immenso valore i suoi numerosi disegni che arricchiscono la monumen-tale opera «Antichi edifici della montagna bolognese» e le poetiche acqueforti e incisioni che ha dedicato al paesaggio appenninico. La sua abilità si esercita inoltre nella riproduzione dei prin-cipali reperti paleolitici rac-colti dallo zio Luigi

ENRICO: NIPOTE E ARTISTARELAZIO

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Luigi Fantini viene im-mortalato in moltissimi ritratti fotografici, anche molto dissimili tra loro, da cui emerge la sua figura sfaccettata ed eclettica. Ne emerge l’immagine di ricercatore appassionato, instancabile, attento, che si trova a suo agio sia ne-gli amati Appennini, sia tra libri e carte d’archivio.

Traspare, nella dicotomia degli scatti fotografici, da una parte l’esploratore in abiti comodi, zaino e pic-cozza nei luoghi delle sue indagini, dall’altra lo stu-dioso, vestito formalmen-te, seduto alla scrivania o a colloquio con illustri in-terlocutori. Non mancano poi immagini legate alla sfera degli affetti, alcune

con la famiglia e molte insieme al Gruppo Spele-ologico Bolognese. Quel-le coi compagni del GSB rispecchiano non solo la condivisione di una pas-sione - quasi tutte sono scattate all’interno di grotte durante escursioni o negli immediati pressi - ma anche un profondo legame pieno di affetto

I VOLTI DI LUIGI FANTINIMEM

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Fra gli anni ’50 e ’60, vivo è l’interesse della stam-pa locale e nazionale per le indagini di Luigi Fanti-ni. Grandi titoli, dal tono sensazionalistico, annun-ciano le sue scoperte che portano luce sulle più antiche origini del popo-lamento. La stampa si mostra davvero affasci-nata dalla figura di Fanti-

ni, già molto noto, che da autodidatta sa essere au-tore di teorie paletnolo-giche intriganti e spesso in anticipo sui tempi. Da queste cronache escono, esaltati, il personaggio e le capacità di eclettico ricercatore, ammantato di un certo alone di mi-stero e definito di volta in volta “l’uomo dei sassi”,

“speleologo”, “archeolo-go”, “paletnologo”. Sono l’entusiasmo, la passione per la ricerca e l’amore per la terra a suscitare le simpatie e l’ammirazione dei lettori e a risaltare nei testi degli articoli, uniti al fascino per l’oscurità che avvolge l’epoca preistori-ca

L’ECO SULLA STAMPAMEM

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Una rassegna dei “luoghi” legati all’esistenza di Lui-gi Fantini non può che co-minciare dalla casa natale “i Gessi” al Farneto, dove egli abitò dalla nascita sino al 1925, anno del suo trasferimento a Bologna per lavoro. Abbandonata per molti anni e in stato di estremo degrado, è sta-ta recuperata dal Parco Regionale dei Gessi Bolo-gnesi, che ne ha fatto la sede dell’Ente e un Cen-tro Visite. Chi voglia inve-ce conoscere il sito dove

egli riposa, dovrà recarsi nel suggestivo e raccolto Cimitero del Monte delle Formiche, in comune di Pianoro, luogo prediletto di ricerca e di sintesi del suo pensiero sulle origini. La figura di Fantini rima-ne poi viva nella memoria di quanti lo conobbero o hanno sentito parlare di lui. Molti Comuni e Isti-tuzioni pubbliche si sono impegnati a perpetuare il valore del suo opera-to. Budrio, Pianoro e San Lazzaro rendono omag-

gio a Luigi Fantini nella propria viabilità con una strada a lui intestata. A Vergato l’Istituto di Istru-zione Superiore porta il suo nome. Non poteva-no mancare intitolazio-ni da parte di realtà cul-turali come il Museo di Monterenzio, dedicato all’archeologia della Valle dell’Idice, e il Museo Spe-leologico e la Biblioteca del GSB/USB a Bologna, ricca di ben 8000 volumi di soggetto attinente

I LUOGHI E IL RICORDOMEM

ORIA

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CON LA COLLABORAzIONE DI

Soprintendenza per i Beni Archeologi-ci dell’emilia-romagnaGSB/USB - Gruppo Speleologico Bolognese / Unione Speleologica Bo-lognese Museo Civico Archeologico di Bolo-gnaMuseo di Antropologia dell’Università di Bologna Museo di Mineralogia “L. Bombicci” dell’Università di Bologna Museo Geologico “G. Capellini” dell’Università di Bologna Museo di Paleontologia e Preistoria “P. Leonardi” dell’Università di FerraraArchivio Storico Comunale “Carlo Berti Pichat” di San Lazzaro di Save-naTE.M.P.LA - Centro di Tecnologie Mul-timediali per l’Archeologia dell’Univer-sità di Bologna

REFERENzE GRAFICHE E FOTOGRAFICHE

Archivio GSB/USBArchivio Museo della Preistoria “ L. Donini”Archivio storico comunale “Carlo Berti Pichat”Fondo Cesare SalettaFondo famiglia Cortesi

SI RINGRAzIA

Giuseppe Maria BargossiMaria Giovanna BelcastroDamiano Dall’OlioFamiglia CortesiRenzo FerriLibreria Piani di Monte San Pietro - già naturalisticaLaura MinariniCarlo PaganiRoberta PancaldiCarlo Peretto

Benedetto SalaCesare SalettaUrsula thun HohensteinGian Battista vai

Progetto Grafico:Museo della Preistoria “L. Donini” di San Lazzaro di SavenahistoryLab di Pasquale Barile

Allestimento e Stampa:CorGae s.a.s. - San Lazzaro di Sa-venaneon King s.r.l. - Modena Grafiche Garattoni s.n.c. di Rimini

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La volontà di dar vita ad un progetto organico ha spin-to le diverse istituzioni museali del Distretto Culturale San Lazzaro, in collaborazione con il Parco dei Gessi Bolognesi e Calanchi dell’Abbadessa, a individuare nella grande dorsale appenninica l’elemento di forte caratterizzazione territoriale, l’ideale ambito di ricerca delle identità del passato, anche le più remote, per far emergere e coniugare fra loro luoghi della memoria, eccellenze antropiche, aspetti geo-ambientali e iden-tità comuni alle sei circoscrizioni. La percezione che questo orientamento fosse per-fettamente sovrapponibile con quello tenacemente perseguito da Luigi Fantini nel suo “progetto di vita” è stata unanime. Al Ricercatore, sanlazzarese di nascita, ma “appenninico” per vocazione, si deve infatti ricono-scere di avere stabilito in modo assolutamente unico un legame simbiotico con la terra di origine.

Comune di Loiano

Comune di Monghidoro

Comune di Monterenzio

Comune di Ozzano Emilia

Comune di Pianoro

Comune di San Lazzaro di SavenaCon la collaborazione di

Distretto Culturale san lazzaro