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LEGGE 8 febbraio 2006 n.54 - Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli. Articolo 1 Modifiche al codice civile 1. L'articolo 155 del codice civile è sostituito dal seguente: «Art. 155 (Provvedimenti riguardo ai figli). - Anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. Per realizzare la finalità indicata dal primo comma, il giudice che pronuncia la separazione personale dei coniugi adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa. Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore , fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all'istruzione e all'educazione dei figli. Prende atto, se non contrari all'interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori. Adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole. La potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all'istruzione, all'educazione e alla salute sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice. Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la potestà separatamente. Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando: 1) le attuali esigenze del figlio; 2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori; 3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore; 4) le risorse economiche di entrambi i genitori; 5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore. L'assegno e' automaticamente adeguato agli indici ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice. Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un

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L'affido condiviso - Diritto di famiglia

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LEGGE 8 febbraio 2006 n.54 - Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli.

Articolo 1

Modifiche al codice civile 1. L'articolo 155 del codice civile è sostituito dal seguente:«Art. 155 (Provvedimenti riguardo ai figli). - Anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.Per realizzare la finalità indicata dal primo comma, il giudice che pronuncia la separazione personale dei coniugi adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa. Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all'istruzione e all'educazione dei figli. Prende atto, se non contrari all'interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori. Adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole.La potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all'istruzione, all'educazione e alla salute sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice.Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la potestà separatamente.Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando:1) le attuali esigenze del figlio;2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori;3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore;4) le risorse economiche di entrambi i genitori;5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.L'assegno e' automaticamente adeguato agli indici ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice.Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi.».2. Dopo l'articolo 155 del codice civile, come sostituito dal comma 1 del presente articolo, sono inseriti i seguenti:«Art. 155-bis (Affidamento a un solo genitore e opposizione all'affidamento condiviso). - Il giudice puo' disporre l'affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga con provvedimento motivato che l'affidamento all'altro sia contrario all'interesse del minore.Ciascuno dei genitori puo', in qualsiasi momento, chiedere l'affidamento esclusivo quando sussistono le condizioni indicate al primo comma. Il giudice, se accoglie la domanda, dispone l'affidamento esclusivo al genitore istante, facendo salvi, per quanto possibile, i diritti del minore previsti dal primo comma dell'articolo 155. Se la domanda risulta manifestamente infondata, il giudice puo' considerare il comportamento del genitore istante ai fini della determinazione dei provvedimenti da adottare nell'interesse dei figli, rimanendo ferma l'applicazione dell'articolo 96 del codice di procedura civile.

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Art. 155-ter (Revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli). - I genitori hanno diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli, l'attribuzione dell'esercizio della potesta' su di essi e delle eventuali disposizioni relative alla misura e alla modalita' del contributo.Art. 155-quater (Assegnazione della casa familiare e prescrizioni in tema di residenza). - Il godimento della casa familiare e' attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli.Dell'assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l'eventuale titolo di proprieta'. Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l'assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio. Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell'articolo 2643.Nel caso in cui uno dei coniugi cambi la residenza o il domicilio, l'altro coniuge puo' chiedere, se il mutamento interferisce con le modalita' dell'affidamento, la ridefinizione degli accordi o dei provvedimenti adottati, ivi compresi quelli economici.Art. 155-quinquies (Disposizioni in favore dei figli maggiorenni).- Il giudice, valutate le circostanze, puo' disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, e' versato direttamente all'avente diritto.Ai figli maggiorenni portatori di handicap grave ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, si applicano integralmente le disposizioni previste in favore dei figli minori.Art. 155-sexies (Poteri del giudice e ascolto del minore). - Prima dell'emanazione, anche in via provvisoria, dei provvedimenti di cui all'articolo 155, il giudice puo' assumere, ad istanza di parte o d'ufficio, mezzi di prova. Il giudice dispone, inoltre, l'audizione del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di eta' inferiore ove capace di discernimento.Qualora ne ravvisi l'opportunita', il giudice, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, puo' rinviare l'adozione dei provvedimenti di cui all'articolo 155 per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell'interesse morale e materiale dei figli».

Articolo 2

Modifiche al codice di procedura civile 1. Dopo il terzo comma dell'articolo 708 del codice di procedura civile, è aggiunto il seguente:«Contro i provvedimenti di cui al terzo comma si può proporre reclamo con ricorso alla Corte d'appello che si pronuncia in camera di consiglio. Il reclamo deve essere proposto nel termine perentorio di dieci giorni dalla notificazione del provvedimento».2. Dopo l'articolo 709-bis del codice di procedura civile, è inserito il seguente:«Art. 709-ter (Soluzione delle controversie e provvedimenti in caso di inadempienze o violazioni). - Per la soluzione delle controversie insorte tra i genitori in ordine all'esercizio della potestà genitoriale o delle modalità dell'affidamento è competente il giudice del procedimento in corso. Per i procedimenti di cui all'articolo 710 è competente il tribunale del luogo di residenza del minore.A seguito del ricorso, il giudice convoca le parti e adotta i provvedimenti opportuni. In caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell'affidamento, può modificare i provvedimenti in vigore e può, anche congiuntamente:1) ammonire il genitore inadempiente;2) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore;

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3) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti dell'altro;4) condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 euro a un massimo di 5.000 euro a favore della Cassa delle ammende.I provvedimenti assunti dal giudice del procedimento sono impugnabili nei modi ordinari».

Articolo 3

Disposizioni penali 1. In caso di violazione degli obblighi di natura economica si applica l'articolo 12-sexies della legge 1° dicembre 1970, n. 898.

Articolo 4

Disposizioni finali1. Nei casi in cui il decreto di omologa dei patti di separazione consensuale, la sentenza di separazione giudiziale, di scioglimento, di annullamento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio sia già stata emessa alla data di entrata in vigore della presente legge, ciascuno dei genitori può richiedere, nei modi previsti dall'articolo 710 del codice di procedura civile o dall'articolo 9 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni, l'applicazione delle disposizioni della presente legge.2. Le disposizioni della presente legge si applicano anche in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati.

Articolo 5

Disposizione finanziaria 1. Dall'attuazione della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.

LEGGE 1 dicembre 1970, n. 898 (in Gazz. Uff., 3 dicembre, n. 306). - Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio. (DIVORZIO)

Articolo 1

1. Il giudice pronuncia lo scioglimento del matrimonio contratto a norma del codice civile, quando, esperito inutilmente il tentativo di conciliazione di cui al successivo art. 4, accerta che la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non può essere mantenuta o ricostituita per l'esistenza di una delle cause previste dall'art. 3.

Articolo 2

1. Nei casi in cui il matrimonio sia stato celebrato con rito religioso e regolarmente trascritto, il giudice, quando, esperito inutilmente il tentativo di conciliazione di cui al successivo art. 4 , accerta che la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non può essere mantenuta o ricostituita per l'esistenza di una delle cause previste dall' art.

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3 , pronuncia la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio.

Articolo 3

1. Lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio può essere domandato da uno dei coniugi: 1) quando, dopo la celebrazione del matrimonio, l'altro coniuge è stato condannato, con sentenza passata in giudicato, anche per fatti commessi in precedenza: a) all'ergastolo ovvero ad una pena superiore ad anni quindici, anche con più sentenze, per uno o più delitti non colposi, esclusi i reati politici e quelli commessi per motivi di particolare valore morale e sociale; b) a qualsiasi pena detentiva per il delitto di cui all'art. 564 del codice penale e per uno dei delitti di cui agli articoli 519, 521,523 e 524 del codice penale, ovvero per induzione, costrizione, sfruttamento o favoreggiamento della prostituzione (1); c) a qualsiasi pena per omicidio volontario di un figlio ovvero per tentato omicidio a danno del coniuge o di un figlio (2); d) a qualsiasi pena detentiva, con due o più condanne, per i delitti di cui all'art. 582, quando ricorra la circostanza aggravante di cui al secondo comma dell'art. 583, e agli articoli 570, 572 e 643 del codice penale, in danno del coniuge o di un figlio (3). Nelle ipotesi previste alla lettera d) il giudice competente a pronunciare lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio accerta, anche in considerazione del comportamento successivo del convenuto, la di lui inidoneità a mantenere o ricostituire la convivenza familiare. Per tutte le ipotesi previste nel n. 1) del presente articolo la domanda non è proponibile dal coniuge che sia stato condannato per concorso nel reato ovvero quando la convivenza coniugale è ripresa; 2) nei casi in cui: a) l'altro coniuge è stato assolto per vizio totale di mente da uno dei delitti previsti nelle lettere b) e c) del numero 1) del presente articolo, quando il giudice competente a pronunciare lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio accerta l'inidoneità del convenuto a mantenere o ricostituire la convivenza familiare; b) è stata pronunciata con sentenza passata in giudicato la separazione giudiziale fra i coniugi, ovvero è stata omologata la separazione consensuale ovvero è intervenuta separazione di fatto quando la separazione di fatto stessa è iniziata almeno due anni prima del 18 dicembre 1970 (4). In tutti i predetti casi, per la proposizione della domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, le separazioni devono essersi protratte ininterrottamente da almeno tre anni a far tempo dalla avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale. L'eventuale interruzione della separazione deve essere eccepita dalla parte convenuta (5); [ Quando vi sia opposizione del coniuge convenuto il termine di cui sopra è elevato:] (6) [ad anni sette, nel caso di separazione pronunciata per colpa esclusiva dell'attore; ] (6) [ ad anni sei, nel caso di separazione consensuale omologata in data anteriore all'entrata in vigore della presente legge o di separazione di fatto;] (6) c) il procedimento penale promosso per i delitti previsti dalle lettere b) e c) del n. 1) del presente articolo si è concluso con sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato, quando il giudice competente a pronunciare lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio ritiene che nei fatti commessi sussistano gli elementi costitutivi e le condizioni di punibilità dei delitti stessi; d) il procedimento penale per incesto si è concluso con sentenza di proscioglimento o di assoluzione che dichiari non punibile il fatto per mancanza di pubblico scandalo;

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e) l'altro coniuge, cittadino straniero, ha ottenuto all'estero l'annullamento o lo scioglimento del matrimonio o ha contratto all'estero nuovo matrimonio; f) il matrimonio non è stato consumato; g) è passata in giudicato sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso a norma della legge 14 aprile 1982, n. 164 (7).

(1) Lettera sostituita dall'articolo 1 della legge 6 marzo 1987, n. 74. (2) Lettera sostituita dall'articolo 2 della legge 6 marzo 1987, n. 74. (3) Lettera modificata dall'articolo 3 della legge 6 marzo 1987, n. 74. (4) Lettera modificata dall'articolo 4 della legge 6 marzo 1987, n. 74. (5) Capoverso sostituito dall'articolo 5 della legge 6 marzo 1987, n. 74. (6) Capoverso abrogato dall'articolo 6 della legge 6 marzo 1987, n. 74. (7) Lettera aggiunta dall'articolo 7 della legge 6 marzo 1987, n. 74.

Articolo 4

1. La domanda per ottenere lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio si propone al tribunale del luogo in cui il coniuge convenuto ha residenza o domicilio. Qualora il coniuge convenuto sia residente all'estero o risulti irreperibile, la domanda si propone al tribunale del luogo di residenza o di domicilio del ricorrente e, se anche questi è residente all'estero, a qualunque tribunale della Repubblica. La domanda congiunta può essere proposta al tribunale del luogo di residenza o di domicilio dell'uno o dell'altro coniuge (1).2. La domanda si propone con ricorso, che deve contenere l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali la domanda di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili dello stesso è fondata.3. Del ricorso il cancelliere dà comunicazione all'ufficiale dello stato civile del luogo dove il matrimonio fu trascritto per l'annotazione in calce all'atto.4. Nel ricorso deve essere indicata l'esistenza dei figli legittimi, legittimati o adottati da entrambi i coniugi durante il matrimonio.5. Il presidente del tribunale, nei cinque giorni successivi al deposito in cancelleria, fissa con decreto la data di comparizione dei coniugi davanti a sè, che deve avvenire entro novanta giorni dal deposito del ricorso, il termine per la notificazione del ricorso e del decreto ed il termine entro cui il coniuge convenuto può depositare memoria difensiva e documenti. Il presidente nomina un curatore speciale quando il convenuto è malato di mente o legalmente incapace.6. Al ricorso e alla prima memoria difensiva sono allegate le ultime dichiarazioni dei redditi rispettivamente presentate.7. I coniugi devono comparire davanti al presidente del tribunale personalmente, salvo gravi e comprovati motivi, e con l'assistenza di un difensore. Se il ricorrente non si presenta o rinuncia, la domanda non ha effetto. Se non si presenta il coniuge convenuto, il presidente può fissare un nuovo giorno per la comparizione, ordinando che la notificazione del ricorso e del decreto gli sia rinnovata. All'udienza di comparizione, il presidente deve sentire i coniugi prima separatamente poi congiuntamente, tentando di conciliarli. Se i coniugi si conciliano, il presidente fa redigere processo verbale della conciliazione.8. Se la conciliazione non riesce, il presidente, sentiti i coniugi e i rispettivi difensori nonché, qualora lo ritenga strettamente necessario anche in considerazione della loro età, i figli minori, dà, anche d'ufficio, con ordinanza i provvedimenti temporanei e urgenti che reputa opportuni nell'interesse dei coniugi e della prole, nomina il giudice istruttore e fissa l'udienza di comparizione e trattazione dinanzi a questo. Nello stesso modo il presidente provvede, se il coniuge convenuto non compare, sentito il ricorrente e il suo difensore. L'ordinanza del presidente può essere revocata o modificata dal giudice istruttore. Si applica l'articolo 189 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile.

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9. Tra la data dell'ordinanza, ovvero tra la data entro cui la stessa deve essere notificata al convenuto non comparso, e quella dell'udienza di comparizione e trattazione devono intercorrere i termini di cui all'articolo 163-bis del codice di procedura civile ridotti a metà. 10. Con l'ordinanza di cui al comma 8, il presidente assegna altresì termine al ricorrente per il deposito in cancelleria di memoria integrativa, che deve avere il contenuto di cui all' articolo 163, terzo comma , numeri 2), 3), 4), 5) e 6), del codice di procedura civile e termine al convenuto per la costituzione in giudizio ai sensi degli articoli 166 e 167 , primo e secondo comma, dello stesso codice nonché per la proposizione delle eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d'ufficio. L'ordinanza deve contenere l'avvertimento al convenuto che la costituzione oltre il suddetto termine implica le decadenze di cui all' articolo 167 del codice di procedura civile e che oltre il termine stesso non potranno più essere proposte le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d'ufficio. 11. All'udienza davanti al giudice istruttore si applicano le disposizioni di cui agli articoli 180 e 183 , commi primo, secondo, quarto, quinto, sesto e settimo, del codice di procedura civile. Si applica altresì l' articolo 184 del medesimo codice. 12. Nel caso in cui il processo debba continuare per la determinazione dell'assegno, il tribunale emette sentenza non definitiva relativa allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio. Avverso tale sentenza è ammesso solo appello immediato. Appena formatosi il giudicato, si applica la previsione di cui all'articolo 10. 13. Quando vi sia stata la sentenza non definitiva, il tribunale, emettendo la sentenza che dispone l'obbligo della somministrazione dell'assegno, può disporre che tale obbligo produca effetti fin dal momento della domanda.14. Per la parte relativa ai provvedimenti di natura economica la sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva.15. L'appello è deciso in camera di consiglio.16. La domanda congiunta dei coniugi di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio che indichi anche compiutamente le condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici, è proposta con ricorso al tribunale in camera di consiglio. Il tribunale, sentiti i coniugi, verificata l'esistenza dei presupposti di legge e valutata la rispondenza delle condizioni all'interesse dei figli, decide con sentenza. Qualora il tribunale ravvisi che le condizioni relative ai figli sono in contrasto con gli interessi degli stessi, si applica la procedura di cui al comma 8 (2).

(1) La Corte Costituzionale con sentenza 23 maggio 2008 , n. 169 (in Gazz. Uff., 28 maggio 2008, n. 23) ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale del presente comma, limitatamente alle parole «del luogo dell'ultima residenza comune dei coniugi ovvero, in mancanza,». (2) Articolo sostituito dall'articolo 8 della legge 6 marzo 1987, n. 74 e successivamente dall'articolo 2, comma 3-bis del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, con effetto a decorrere dal 1° marzo 2006, come previsto dall'articolo 2, comma 3-quinquies del medesimo D.L. 35/2005.

Articolo 5

1. Il tribunale adito, in contraddittorio delle parti e con l'intervento obbligatorio del pubblico ministero, accertata la sussistenza di uno dei casi di cui all' art. 3 , pronuncia con sentenza lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio ed ordina all'ufficiale dello stato civile del luogo ove venne trascritto il matrimonio di procedere alla annotazione della sentenza. 2. La donna perde il cognome che aveva aggiunto al proprio a seguito del matrimonio (1). 3. Il tribunale, con la sentenza con cui pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, può autorizzare la donna che ne faccia richiesta a

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conservare il cognome del marito aggiunto al proprio quando sussista un interesse suo o dei figli meritevole di tutela (2). 4. La decisione di cui al comma precedente può essere modificata con successiva sentenza, per motivi di particolare gravità, su istanza di una delle parti (2). 5. La sentenza è impugnabile da ciascuna delle parti. Il pubblico ministero può ai sensi dell'art. 72 del codice di procedura civile, proporre impugnazione limitatamente agli interessi patrimoniali dei figli minori o legalmente incapaci. 6. Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l'obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell'altro un assegno quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive (3). 7. La sentenza deve stabilire anche un criterio di adeguamento automatico dell'assegno, almeno con riferimento agli indici di svalutazione monetaria. Il tribunale può, in caso di palese iniquità, escludere la previsione con motivata decisione (4). 8. Su accordo delle parti la corresponsione può avvenire in unica soluzione ove questa sia ritenuta equa dal tribunale. In tal caso non può essere proposta alcuna successiva domanda di contenuto economico (4). 9. I coniugi devono presentare all'udienza di comparizione avanti al presidente del tribunale la dichiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune. In caso di contestazioni il tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull'effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria (4). 10. L'obbligo di corresponsione dell'assegno cessa se il coniuge, al quale deve essere corrisposto, passa a nuove nozze. 11. Il coniuge, al quale non spetti l'assistenza sanitaria per nessun altro titolo, conserva il diritto nei confronti dell'ente mutualistico da cui sia assistito l'altro coniuge. Il diritto si estingue se egli passa a nuove nozze (5).

(1) Comma sostituito dall'articolo 9 della legge 6 marzo 1987, n. 74. (2) Comma inserito dall'articolo 9 della legge 6 marzo 1987, n. 74. (3) Comma sostituito dall'articolo 10 della legge 6 marzo 1987, n. 74. (4) Comma inserito dall'articolo 10 della legge 6 marzo 1987, n. 74. (5) Comma aggiunto dall'articolo 1 della legge 1° agosto 1978, n. 436.

Articolo 6

1. L'obbligo, ai sensi degli articoli 147 e 148 del codice civile, di mantenere, educare ed istruire i figli nati o adottati durante il matrimonio di cui sia stato pronunciato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili, permane anche nel caso di passaggio a nuove nozze di uno o di entrambi i genitori. 2. Il tribunale che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio dichiara a quale genitore i figli sono affidati e adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa. Ove il tribunale lo ritenga utile all'interesse dei minori, anche in relazione all'età degli stessi, può essere disposto l'affidamento congiunto o alternato. 3. In particolare il tribunale stabilisce la misura ed il modo con cui il genitore non affidatario deve contribuire al mantenimento, all'istruzione e all'educazione dei figli, nonché le modalità di esercizio dei suoi diritti nei rapporti con essi. 4. Il genitore cui sono affidati i figli, salva diversa disposizione del tribunale, ha l'esercizio esclusivo della potestà su di essi; egli deve attenersi alle condizioni determinate dal tribunale. Salvo che non sia diversamente stabilito, le decisioni di maggiore interesse per i figli sono adottate da entrambi i genitori. Il genitore cui i

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figli non siano affidati ha il diritto ed il dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educazione e può ricorrere al tribunale quando ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli al loro interesse. 5. Qualora il genitore affidatario non si attenga alle condizioni dettate, il tribunale valuterà detto comportamento al fine del cambio di affidamento. 6. L'abitazione nella casa familiare spetta di preferenza al genitore cui vengono affidati i figli o con il quale i figli convivono oltre la maggiore età. In ogni caso ai fini dell'assegnazione il giudice dovrà valutare le condizioni economiche dei coniugi e le ragioni della decisione e favorire il coniuge più debole. L'assegnazione, in quanto trascritta, è opponibile al terzo acquirente ai sensi dell'art. 1599 del codice civile. 7. Il tribunale dà inoltre disposizioni circa l'amministrazione dei beni dei figli e, nell'ipotesi in cui l'esercizio della potestà sia affidato ad entrambi i genitori, circa il concorso degli stessi al godimento dell'usufrutto legale. 8. In caso di temporanea impossibilità di affidare il minore ad uno dei genitori, il tribunale procede all'affidamento familiare di cui all'art. 2 della legge 4 maggio 1983, n. 184. 9. Nell'emanare i provvedimenti relativi all'affidamento dei figli e al contributo per il loro mantenimento, il giudice deve tener conto dell'accordo fra le parti: i provvedimenti possono essere diversi rispetto alle domande delle parti o al loro accordo, ed emessi dopo l'assunzione di mezzi di prova dedotti dalle parti o disposti d'ufficio dal giudice, ivi compresa, qualora sia strettamente necessario anche in considerazione della loro età, l'audizione dei figli minori. 10. All'attuazione dei provvedimenti relativi all'affidamento della prole provvede il giudice del merito, e, nel caso previsto dal comma 8, anche d'ufficio. A tal fine copia del provvedimento di affidamento è trasmessa, a cura del pubblico ministero, al giudice tutelare. 11. Nel fissare la misura dell'assegno di mantenimento relativo ai figli il tribunale determina anche un criterio di adeguamento automatico dello stesso, almeno con riferimento agli indici di svalutazione monetaria. 12. In presenza di figli minori, ciascuno dei genitori è obbligato a comunicare all'altro, entro il termine perentorio di trenta giorni, l'avvenuto cambiamento di residenza o di domicilio. La mancata comunicazione obbliga al risarcimento del danno eventualmente verificatosi a carico del coniuge o dei figli per la difficoltà di reperire il soggetto (1). (1) Articolo sostituito dall'articolo 11 della legge 6 marzo 1987, n. 74.

Articolo 7

Il secondo comma dell'art. 252 del codice civile è così modificato:"I figli adulterini possono essere riconosciuti anche dal genitore che, al tempo del concepimento, era unito in matrimonio, qualora il matrimonio sia sciolto per effetto della morte dell'altro coniuge ovvero per pronuncia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio celebrato con rito religioso".

Articolo 8

1. Il tribunale che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio può imporre all'obbligato di prestare idonea garanzia reale o personale se esiste il pericolo che egli possa sottrarsi all'adempimento degli obblighi di cui agli articoli 5 e 6. 2. La sentenza costituisce titolo per l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale ai sensi dell'art. 2818 del codice civile. 3. Il coniuge cui spetta la corresponsione periodica dell'assegno, dopo la costituzione in mora a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento del coniuge obbligato e inadempiente per un periodo di almeno trenta giorni, può notificare il provvedimento

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in cui è stabilita la misura dell'assegno ai terzi tenuti a corrispondere periodicamente somme di denaro al coniuge obbligato con l'invito a versargli direttamente le somme dovute, dandone comunicazione al coniuge inadempiente (1). 4. Ove il terzo cui sia stato notificato il provvedimento non adempia, il coniuge creditore ha azione diretta esecutiva nei suoi confronti per il pagamento delle somme dovutegli quale assegno di mantenimento ai sensi degli articoli 5 e 6 (2). 5. Qualora il credito del coniuge obbligato nei confronti dei suddetti terzi sia stato già pignorato al momento della notificazione, all'assegnazione e alla ripartizione delle somme fra il coniuge cui spetta la corresponsione periodica dell'assegno, il creditore procedente e i creditori intervenuti nell'esecuzione, provvede il giudice dell'esecuzione (2). 6. Lo Stato e gli altri enti indicati nell'art. 1 del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1950, n. 180, nonché gli altri enti datori di lavoro cui sia stato notificato il provvedimento in cui è stabilita la misura dell'assegno e l'invito a pagare direttamente al coniuge cui spetta la corresponsione periodica, non possono versare a quest'ultimo oltre la metà delle somme dovute al coniuge obbligato, comprensive anche degli assegni e degli emolumenti accessori (2). 7. Per assicurare che siano soddisfatte o conservate le ragioni del creditore in ordine all'adempimento degli obblighi di cui agli articoli 5 e 6, su richiesta dell'avente diritto, il giudice può disporre il sequestro dei beni del coniuge obbligato a somministrare l'assegno. Le somme spettanti al coniuge obbligato alla corresponsione dell'assegno di cui al precedente comma sono soggette a sequestro e pignoramento fino alla concorrenza della metà per il soddisfacimento dell'assegno periodico di cui agli articoli 5 e 6 (2).

(1) Comma sostituito dall'articolo 12 della legge 6 marzo 1987, n. 74. (2) Comma inserito dall'articolo 12 della legge 6 marzo 1987, n. 74.

Articolo 9

1. Qualora sopravvengano giustificati motivi dopo la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, in camera di consiglio e, per i provvedimenti relativi ai figli, con la partecipazione del pubblico ministero, può, su istanza di parte, disporre la revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli e di quelle relative alla misura e alle modalità dei contributi da corrispondere ai sensi degli articoli 5 e 6. 2. In caso di morte dell'ex coniuge e in assenza di un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, il coniuge rispetto al quale è stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e sempre che sia titolare di assegno ai sensi dell'art. 5, alla pensione di reversibilità, sempre che il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza (1). 3. Qualora esista un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, una quota della pensione e degli altri assegni a questi spettanti è attribuita dal tribunale, tenendo conto della durata del rapporto, al coniuge rispetto al quale è stata pronunciata la sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e che sia titolare dell'assegno di cui all'art. 5. Se in tale condizione si trovano più persone, il tribunale provvede a ripartire fra tutti la pensione e gli altri assegni, nonché a ripartire tra i restanti le quote attribuite a chi sia successivamente morto o passato a nuove nozze (1). 4. Restano fermi, nei limiti stabiliti dalla legislazione vigente, i diritti spettanti a figli, genitori o collaterali in merito al trattamento di reversibilità. 5. Alle domande giudiziali dirette al conseguimento della pensione di reversibilità o di parte di essa deve essere allegato un atto notorio, ai sensi della legge 4 gennaio

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1968, n. 15, dal quale risultino tutti gli aventi diritto. In ogni caso, la sentenza che accoglie la domanda non pregiudica la tutela, nei confronti dei beneficiari, degli aventi diritto pretermessi, salva comunque l'applicabilità delle sanzioni penali per le dichiarazioni mendaci (2).

(1) A norma dell'articolo 5 della legge 28 dicembre 2005, n. 263 per "titolarità dell'assegno ai sensi dell'articolo 5" deve intendersi l'avvenuto riconoscimento dell'assegno medesimo da parte del tribunale ai sensi dell'articolo 5 della presente legge.(2) Articolo sostituito dall'articolo 2 della legge 1° agosto 1978, n. 436, e successivamente dall'articolo 13 della legge 6 marzo 1987, n. 74. Per l'affidamento condiviso dei figli vedi articolo 4 della legge 8 febbraio 2006 n. 54.

Articolo 9 Bis

1. A colui al quale è stato riconosciuto il diritto alla corresponsione periodica di somme di denaro a norma dell'art. 5, qualora versi in stato di bisogno, il tribunale, dopo il decesso dell'obbligato, può attribuire un assegno periodico a carico dell'eredità tenendo conto dell'importo di quelle somme, della entità del bisogno, dell'eventuale pensione di reversibilità, delle sostanze ereditarie, del numero e della qualità degli eredi e delle loro condizioni economiche. L'assegno non spetta se gli obblighi patrimoniali previsti dall'art. 5 sono stati soddisfatti in unica soluzione. 2. Su accordo delle parti la corresponsione dell'assegno può avvenire in unica soluzione. Il diritto all'assegno si estingue se il beneficiario passa a nuove nozze o viene meno il suo stato di bisogno. Qualora risorga lo stato di bisogno l'assegno può essere nuovamente attribuito (1). (1) Articolo aggiunto dall'articolo 3 della legge 1° agosto 1978, n. 436.

Articolo 10

1. La sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, quando sia passata in giudicato, deve essere trasmessa in copia autentica, a cura del cancelliere del tribunale o della Corte che l'ha emessa, all'ufficiale dello stato civile del comune in cui il matrimonio fu trascritto, per le annotazioni e le ulteriori incombenze di cui al regio decreto 9 luglio 1939, n. 1238 . 2. Lo scioglimento e la cessazione degli effetti civili del matrimonio, pronunciati nei casi rispettivamente previsti dagli articoli 1e 2 della presente legge, hanno efficacia, a tutti gli effetti civili, dal giorno dell'annotazione della sentenza.

Articolo 11

[ Dopo lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, se il tribunale non ha disposto altrimenti, ciascun genitore esercita la patria potestà sui figli affidatigli. Il genitore al quale sono stati affidati i figli ne amministra i beni con l'obbligo di rendere conto annualmente al giudice tutelare e ne ha l'usufrutto fino a quando non passi a nuove nozze. L'altro genitore conserva il diritto di vigilare e il dovere di collaborare alla educazione e all'istruzione dei figli.L'altro genitore, se ritiene pregiudizievoli per il figlio i provvedimenti presi dall'esercente la patria potestà, può ricorrere al giudice tutelare prospettando i provvedimenti che considera adeguati.Il giudice, sentito il figlio che ha compiuto il 14° anno di età, dichiara quale dei provvedimenti è adeguato all'interesse del figlio.] (1)

(1) Articolo soppresso dall'articolo 14 della legge 6 marzo 1987, n. 74.

Articolo 12

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1. Le disposizioni del codice civile in tema di riconoscimento del figlio naturale si applicano, per quanto di ragione, anche nel caso di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio (1). (1) Articolo sostituito dall'articolo 15 della legge 6 marzo 1987, n. 74.

Articolo 12 Bis

1. Il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno ai sensi dell'art. 5, ad una percentuale dell'indennità di fine rapporto percepita dall'altro coniuge all'atto della cessazione del rapporto di lavoro anche se l'indennità viene a maturare dopo la sentenza. 2. Tale percentuale è pari al quaranta per cento dell'indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio (1). (1) Articolo aggiunto dall'articolo 16 della legge 6 marzo 1987, n. 74.

Articolo 12 Ter

1. In caso di genitori rispetto ai quali sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, la pensione di reversibilità spettante ad essi per la morte di un figlio deceduto per fatti di servizio è attribuita automaticamente dall'ente erogante in parti eguali a ciascun genitore. 2. Alla morte di uno dei genitori, la quota parte di pensione si consolida automaticamente in favore dell'altro. 3. Analogamente si provvede, in presenza della predetta sentenza, per la pensione di reversibilità spettante al genitore del dante causa secondo le disposizioni di cui agli articoli 83 e 87 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (1).

(1) Articolo aggiunto dall'articolo 17 della legge 6 marzo 1987, n. 74.

Articolo 12 Quater

1. Per le cause relative ai diritti di obbligazione di cui alla presente legge è competente anche il giudice del luogo in cui deve essere eseguita l'obbligazione dedotta in giudizio (1). (1) Articolo aggiunto dall'articolo 18 della legge 6 marzo 1987, n. 74.

Articolo 12 Quinquies

1. Allo straniero, coniuge di cittadina italiana, la legge nazionale del quale non disciplina lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, si applicano le disposizioni di cui alla presente legge (1). (1) Articolo aggiunto dall'articolo 20 della legge 6 marzo 1987, n. 74.

Articolo 12 Sexies

1. Al coniuge che si sottrae all'obbligo di corresponsione dell'assegno dovuto a norma degli articoli 5 e 6 della presente legge si applicano le pene previste dall'art. 570 del codice penale (1). (1) Articolo aggiunto dall'articolo 21 della legge 6 marzo 1987, n. 74.

L'accertamento del diritto all'assegno di divorzio va effettuato verificando l'adeguatezza dei mezzi economici a disposizione del richiedente a consentirgli il mantenimento di un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio,

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o che poteva legittimamente e ragionevolmente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio, fissate al momento del divorzio, mentre la liquidazione in concreto dell'assegno, ove sia riconosciuto tale diritto per non essere il coniuge richiedente in grado di mantenere con i propri mezzi detto tenore di vita, va compiuta in concreto tenendo conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ognuno e di quello comune, del reddito di entrambi, valutandosi tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio.

L'obbligo dei genitori di concorrere tra loro al mantenimento dei figli secondo le regole dell'art. 148 c.c. non cessa, "ipso facto", con il raggiungimento della maggiore età da parte di questi ultimi, ma perdura, immutato, finché il genitore interessato alla declaratoria della cessazione dell'obbligo stesso non dia la prova che il figlio abbia raggiunto l'indipendenza economica, ovvero che il mancato svolgimento di un'attività economica dipenda da un atteggiamento di inerzia ovvero di rifiuto ingiustificato dello stesso. Tale accertamento non può che ispirarsi a criteri di relatività, in quanto necessariamente ancorato alle aspirazioni, al percorso scolastico, universitario e post-universitario del soggetto e alla situazione attuale del mercato del lavoro, con specifico riguardo al settore nel quale il soggetto abbia indirizzato la propria formazione e la propria specializzazione. Deve, pertanto, in via generale escludersi che siano ravvisabili profili di colpa nella condotta del figlio che rifiuti una sistemazione lavorativa non adeguata rispetto a quella cui la sua specifica preparazione, le sue attitudini e i suoi effettivi interessi siano rivolti, quanto meno nei limiti temporali in cui dette aspirazioni abbiano una ragionevole possibilità di essere realizzate, e sempre che tale atteggiamento di rifiuto sia compatibile con le condizioni economiche della famiglia.

Cassazione civile , sez. I, 24 settembre 2008, n. 24018

In tema di separazione personale dei coniugi, alla regola dell'affidamento condiviso dei figli può derogarsi solo ove la sua applicazione risulti «pregiudizievole per l'interesse del minore», con la duplice conseguenza che l'eventuale pronuncia di affidamento esclusivo dovrà essere sorretta da una motivazione non solo più in positivo sulla idoneità del genitore affidatario, ma anche in negativo sulla inidoneità educativa ovvero manifesta carenza dell'altro genitore, e che l'affidamento condiviso non può ragionevolmente ritenersi precluso dalla mera conflittualità esistente tra i coniugi, poiché avrebbe altrimenti una applicazione solo residuale, finendo di fatto con il coincidere con il vecchio affidamento congiunto.

Cassazione civile , sez. I, 18 giugno 2008, n. 16593

Quantunque la novella della l. n. 54 del 2006 abbia introdotto quale regime ordinario di affidamento della prole quello condiviso, l'art. 155 bis c.c., impone di far luogo all'affidamento monogenitoriale nell'ipotesi in cui l'applicazione del nuovo istituto sia contraria agli interessi del minore.

Tribunale Bari, sez. I, 12 giugno 2008, n. 1495

In tema di separazione dei coniugi, vige il criterio della preferenza dell'assegnazione della casa coniugale al coniuge separato affidatario della prole, stabilito dall'art. 155, comma 4, c.c. (testo anteriore alla novella del 2006) per soddisfare l'interesse del figlio minore alla conservazione dell'habitat domestico, inteso come centro degli affetti, interessi e consuetudini nei quali si esprime e si articola la vita familiare (nella fattispecie, la Corte ha cassato con rinvio la decisione con la quale i giudici di merito avevano restituito al ricorrente la casa coniugale di sua proprietà, giacché la moglie intratteneva una relazione "more uxorio" con un altro uomo, stabilmente introdotto

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nella abitazione, divenuta centro di riferimento degli affari imprenditoriali del convivente. La Corte ha preliminarmente chiarito che, nel caso di specie, non poteva trovare applicazione l’art. 155 quater c.c., introdotto dalla novella di cui alla l. n. 54/06, in forza del quale “il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario conviva "more uxorio"”, atteso che i fatti di causa erano anteriori all’entrata in vigore della nuova disciplina; al di fuori della previsione di cui all’art. 4, comma 1, l. n. 54/06, infatti, dette disposizioni non possono trovare applicazione, non contenendo la novella del 2006 alcuna disposizione che deroghi al principio generale della irretroattività della legge, sancito dall'art. 11 delle preleggi).

Cassazione civile , sez. I, 16 aprile 2008, n. 9995

In virtù della l. n. 54 del 2006, l’affidamento condiviso non comporta in modo “automatico” la contribuzione diretta ai bisogni dei minori, atteso che i due istituti tutelano interessi distinti. Il primo attiene all'interesse del minore, tutelato in vista del suo equilibrato sviluppo psico-fisico, a perpetuare lo schema educativo già sperimentato durante il matrimonio, mentre l’assegno ha natura “patrimoniale-assistenziale” (cd. assistenza materiale), ed è finalizzato a sostenere le spese necessarie per consentire le attività dirette al raggiungimento di detto sviluppo psico-fisico del minore (senza esclusione del relativo obbligo in caso di raggiungimento della maggiore età da parte dei figli, ove detto assegno si renda comunque necessario). L’assenza di una correlazione bi-univoca tra l’affidamento condiviso, e la contribuzione diretta, emerge pure dal dato testuale dell’art. 155, comma 4, c.c., il quale conferma altresì che l'affidamento condiviso non determina in alcun modo la caducazione tout court dell'obbligo patrimoniale di uno dei genitori a contribuire con la corresponsione di un assegno al mantenimento dei figli, che anzi, va correlato alle loro esigenze di vita ed al contesto familiare e sociale di appartenenza.

Tribunale Bari, sez. I, 01 febbraio 2008

POTESTÀ GENITORIALE E AFFIDAMENTO DELLA PROLE

Giust. civ. 2008, 10, 455

Claudia Grassi

1. Premessa. - 2. La potestà genitoriale tra Costituzione e codice civile. Il c.d. «progetto educativo». - 3. L'interesse morale e materiale della prole nella nuova normativa sull'affidamento condiviso: il diritto alla bigenitorialità. - 4. L'interesse del minore all'affidamento esclusivo nella riflessione dottrinale. - 5. L'interesse del minore all'affidamento esclusivo nella casistica giurisprudenziale. - 6. Situazioni di certo affidamento esclusivo: a) violenza e abusi; b) stato di detenzione; c) stato di tossicodipendenza e alcolismo; d) violazione del dovere di mantenimento; e) rifiuto del minore di avere rapporti con il genitore. - 7. Situazioni di incerto affidamento esclusivo: a) litigiosità tra i coniugi; b) distanza tra i luoghi di residenza dei genitori; c) difficoltà oggettive e/o relazionali del genitore con il figlio.

1.Premessa. - Oggetto della presente analisi è l'affidamento (esclusivo) della prole a seguito della crisi delle convivenze nell'ambito della recente riforma degli istituti della separazione, del divorzio e della cessazione delle convivenze tra persone non coniugate, operata con la l. 8 febbraio 2006 n. 54 e su cui si è già formata una cospicua letteratura, sia di inquadramento sostanziale generale(1), che di approfondimento di specifici aspetti e di commento alle numerose pronunzie giurisprudenziali(2), nonché di analisi procedurale dato che la normativa è intervenuta anche sul piano processuale apportando modifiche sostanziali al codice di rito e inserendo in esso l'art. 709-ter(3).

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L'impianto normativo ha l'indubbio pregio di porre a fondamento di esso il preminente interesse del minore come chiave ermeneutica dell'intera disciplina.In tal senso la legge, operando una radicale frattura rispetto ai canoni in vigore fino al 2006 in materia(4), accoglie nel nostro ordinamento il principio della bigenitorialità, il quale, lungi dall'esser una vuota formula di stile, riveste nel summenzionato impianto legislativo un ruolo di prim'ordine, vincolando l'interprete al suo rispetto.Il principio in parola, accoglie, racchiude e sintetizza le riflessioni svolte da lungo tempo da quella dottrina e da quella parte della giurisprudenza, le quali, particolarmente sensibili alla problematica attinente all'incidenza che la frattura dei rapporti genitoriali apporta alla psiche del minore, hanno avuto il pregio di porre in rilievo come, da detta crisi relazionale, debba derivare il minor pregiudizio possibile alla prole, che non è parte di essa.Il diritto alla bigenitorialità, dunque, così come accolto dal legislatore del 2006, si pone in funzione di giustificazione di ciò che è stato da più parti indicato, come radicale inversione dei paradigmi in uso nella prassi applicativa relativa all'affidamento dei figli.A ben vedere, infatti, il costante canone dell'affidamento esclusivo dei figli, a seguito della crisi familiare, al genitore che si riteneva maggiormente idoneo a garantir loro un sano e armonico sviluppo psicofisico, nonché a rendere il meno traumatico possibile il distacco tra le figure genitoriali, è stato completamente rivoluzionato; all'affido esclusivo il legislatore del 2006 ha sostituito il canone preferenziale dell'affidamento condiviso, ritenendo maggiormente rispondente al preminente interesse del minore che quest'ultimo continui a conservare, non solamente il rapporto con entrambi le figure genitoriali, quanto piuttosto l'apporto costante di entrambi(5).Per tal via, il provvedimento di affidamento esclusivo viene ad esser considerato come rimedio affatto residuale, da predisporsi esclusivamente a fronte di quelle situazioni nelle quali l'applicazione del principio generale e preferenziale dell'affido condiviso sia da ritenersi fortemente pregiudizievole per l'armonica crescita psicologica della prole.Pur essendo l'affidamento esclusivo rimedio residuale, esso riveste altresì un ruolo di estremo rilievo nella disciplina della crisi delle convivenze; e ciò in quanto il canone generale espresso dal diritto alla bigenitorialità non è da intendersi come esclusivo e tassativo rinvio all'affidamento condiviso.Il preminente interesse del minore infatti, non è quello di avere comunque entrambe le figure genitoriali, bensì quello di vedersi garantita una possibilità di crescita sana ed armonica sia a livello fisico sia a livello psichico. In ciò ben si coglie allora il senso pieno dell'esclusività dell'affidamento.È di tutta evidenza, infatti, come sovente determinate situazioni di abuso sulla persona del minore, ovvero di accesa conflittualità nei rapporti endofamiliari possano avere sulla psiche in via di sviluppo del minore un impatto dirompente, tale da rendere assolutamente sconsigliabile a livello logico, prima che giuridico, il mantenere rapporti con entrambi i genitori.La scelta legislativa effettuata dal legislatore del 2006 relativamente all'affidamento esclusivo, si è orientata verso una generica ed elastica previsione in tal senso, rimettendo la valutazione della gravità delle singole situazioni alla sensibilità dell'interprete.2.La potestà genitoriale tra Costituzione e codice civile. Il c.d. «progetto educativo». - Il nodo fondamentale della scelta del tipo di affidamento viene sciolto dal legislatore attraverso l'individuazione della soluzione condivisa come orientamento prioritario.Il problema è indubbiamente connesso alle sorti che subisce la potestà genitoriale a seguito della decisione, tanto nel senso della condivisione, quanto in quella della esclusività.È da notare, a tal proposito, che l'istituto della potestà genitoriale ha subito nel corso degli anni evoluzioni interpretative che ne hanno ridisegnato i contorni, giungendo

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oggi ad indicare quel complesso di diritti e di doveri, attribuito ai genitori dalla legge a tutela della prole minorenne non emancipata, volti a favorire una crescita psico-fisica sana ed armonica e ad attuare i doveri di istruzione, educazione e mantenimento, sanciti sia a livello costituzionale che codicistico rispettivamente agli art. 30 cost. e 147 c.c.; riferimenti normativi, questi, prioritari nell'analisi della potestà genitoriale.In tal senso, l'art. 30 cost. in base al quale «è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio» concede ai genitori, secondo la dottrina dominante(6), un diritto soggettivo perfetto, individuando in capo ad essi un interesse attivo all'istruzione, al mantenimento e all'educazione.Tale articolo, considerando la famiglia come cellula sociale primigenia di sviluppo della personalità dell'individuo (ex art. 2 e 29 cost.), funge da presupposto della potestà genitoriale informata all'uguaglianza morale e giuridica dei genitori(7).L' art. 147 c.c., operando una specificazione rispetto al dettato costituzionale, individua quali sono i limiti entro i quali la potestà genitoriale può essere esercitata(8), riconoscendoli nel rispetto delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli.Procedendo per tal via, il commento sistematico del dato codicistico e della norma costituzionale consente di ravvisare, secondo taluni(9) un profilo in capo ai genitori, qualificabile come positivo, costituito dal diritto soggettivo perfetto di istruire, educare e mantenere i figli, ascrivibile quindi entro l'alveo delle situazioni giuridiche soggettive attive, ed un profilo negativo, connesso alla situazione giuridica passiva del dovere di esercitare la potestà genitoriale.In tal senso il paradigma dell'interesse del minore consente di individuare i limiti all'esercizio della potestà genitoriale nell'ambito della relazione genitori-figli in quanto, se si considerassero gli interessi morali e materiali della prole come valori eteronomi rispetto ad essa, si ridurrebbe il concetto di interesse ad una formula priva di contenuto.Alla luce di quanto sinora affermato, nell'alveo concettuale della potestà si è dato maggior rilievo al profilo del dovere rispetto al potere dei genitori, superando la precedente concezione che relegava il minore ad uno stato di passiva soggezione.L'odierno orientamento consente di individuare il potere attribuito ai genitori come mero strumento per la realizzazione del dovere genitoriale di educazione e formazione(10), essendo l'esercizio della potestà da considerarsi come un munus volto alla realizzazione degli interessi della prole(11).A tal proposito, un apporto sostanziale a consolidare l'orientamento in parola è stato fornito dal regolamento del Consiglio d'Europa 27 novembre 2003 n. 2201(12), che ha introdotto, in ambito europeo un nuovo concetto di responsabilità genitoriale che racchiude in sé, non solo la titolarità e l'esercizio della potestà, bensì il concetto più generale di protezione del minore.Sulla scorta delle considerazioni dianzi svolte, la realizzazione di ciò che viene definito progetto educativo - a voler mutuare l'espressione di attenta dottrina(13) - muove dall'intendere la funzione genitoriale informata ad un rapporto di pariteticità tra genitori e figli, caratterizzato dall'emergenza del profilo del diritto soggettivo di entrambe le parti (genitori e figli) alla realizzazione di esso.3. L'interesse morale e materiale della prole nella nuova normativa sull'affidamento condiviso: il diritto alla bigenitorialità. - Elevando l'interesse morale e materiale della prole(14) a canone preferenziale per un'interpretazione comparativa e trasversale dell'intera normativa sull'affidamento condiviso(15), il legisla tore, attraverso la novella del 2006, ha inteso attuare appieno il c.d. principio della bigenitorialità, garantendo al minore la possibilità di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori, in ragione delle responsabilità discendenti dal fatto della procreazione.La bigenitorialità costituisce infatti un diritto soggettivo perfetto del minore, da collocare nell'alveo dei diritti della personalità(16); così, se è certo, da un lato, che la realizzazione dell'interesse del minore è espressamente formalizzata dal comma 2 del

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rinnovato art. 155 c.c., modificato dalla l. n. 54 del 2006, è altrettanto sicuro, da altro lato, che i provvedimenti riguardanti i figli sono adottati per realizzare le finalità indicate dal comma 1 dello stesso articolo, per garantire quindi, al minore, «il diritto di ricevere cura, educazione, istruzione da entrambi i genitori e conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale».Il nuovo testo, dunque, oltre a riconoscere il diritto alla bigenitorialità come principio funzionale alla realizzazione della personalità e della sana crescita dei figli, peraltro già presente più o meno espressamente nella precedente disciplina, estende ai rapporti parentali «di ciascun ramo genitoriale» il concetto di famiglia nucleare, considerando quindi il valore della famiglia in quanto «luogo» primo di sviluppo della personalità individuale(17).Orbene, sulla base delle considerazioni dianzi svolte, è possibile affermare che il diritto alla bigenitorialità e una visione allargata della famiglia(18) rappresentano gli elementi che maggiormente caratterizzano il nuovo intervento legislativo(19).Per quel che concerne, nello specifico, la nuova disciplina del 2006, un aspetto rilevante è da individuarsi nel ruolo del giudice che è, per certi versi, profondamente mutato in quanto questi, non potendo prescindere dal considerare l'interesse morale e materiale della prole criterio fondamentale nell'adozione dei provvedimenti concernenti i minori, dovrà valutare prioritariamente la possibilità di un affidamento ad entrambi i genitori, potendo operare la scelta monoparentale solamente qualora l'opzione bigenitoriale sia di pregiudizio per il sano e armonico sviluppo del minore, dandone, peraltro, motivazione nel provvedimento (art. 155, comma 2 c.c. e 155-bis c.c.)(20).In entrambe le ipotesi, il giudice dovrà provvedere a specificare, anche sulla base degli accordi intervenuti tra i coniugi, la misura della permanenza del minore presso di essi e il modo con cui ciascuno dei genitori sarà chiamato a contribuire al mantenimento, alla cura, all'istruzione e all'educazione dei figli.Il punto nodale della nuova normativa, che segna la più radicale innovazione rispetto ai canoni precedenti, è da individuarsi nel fatto che la condivisione nell'affidamento consente di evitare la frattura tra la titolarità della potestà e il relativo esercizio, rimanendo anche quest'ultimo in capo ad entrambi i genitori (art. 155, comma 3 c.c.)(21).Parte della dottrina(22) non ha omesso di evidenziare come la quotidiana attuazione dell'esercizio condiviso della potestà ponga problemi applicativi di non scarso momento; in tal senso, infatti, se la dottrina maggioritaria(23) propende ad intendere il relativo disposto normativo come imposizione ai genitori di svolgere, quotidianamente, in modo simultaneo, la funzione formativa, altri(24) sostiene che l'esercizio della potestà e la conseguente responsabilità derivante da esso, si alternerà tra i genitori nel momento in cui ciascuno di essi avrà con sé il figlio(25), valutandosi la condivisione nell'affidamento in senso di alternanza dello stesso(26).4. L'interesse del minore all'affidamento esclusivo nella riflessione dottrinale. - Se l'obiettivo che si intende perseguire con la normativa in oggetto è quello di raggiungere il massimo grado di tutela dell'interesse del minore, è chiaro che l'opzione tra le due tipologie di affidamento deve essere ponderata, nel concreto, con riguardo alla effettività della situazione in cui versa la coppia(27).In tal senso, in dottrina(28), vi è chi ha rilevato come l'indefettibile paradigma della tutela prioritaria dell'interesse del minore non si esaurisca in assoluto nella garanzia alla bigenitorialità; a ben vedere, nella prassi, sovente può verificarsi l'ipotesi che l'armonico sviluppo psico-fisico del minore trovi esclusiva tutela attraverso un provvedimento di affido monogenitoriale che, pur privandolo dell'apporto, quanto meno parziale, di uno dei genitori(29), ne realizzi appieno l'interesse.Ed allora, bene ha fatto il legislatore del 2006 a distinguere, anche a livello di singole norme, la situazione preferenziale dell'affido condiviso di cui all'art. 155 c.c., da quella residuale di affido esclusivo di cui al successivo art. 155-bis c.c.(30).In tal senso, le due diverse tipologie di provvedimenti si fondano sulla assoluta divergenza di presupposti che ne giustificano l'adozione: così, se per un verso, le

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circostanze di fatto dedotte in giudizio supportano la scelta nel senso del provvedimento di affidamento esclusivo, scartando in radice quello condiviso, per altro verso, gli elementi che determinano la scelta dell'affidamento condiviso, non consentono l'applicazione dell'opposto affido esclusivo, fermo restando la rilevanza del fattore temporale in quanto il mutare della situazione di fatto esistente al tempo dell'emissione del provvedimento o la sopravvenienza di nuove circostanze consentono di richiedere al giudice la modifica del provvedimento precedentemente adottato.Un'ultima, ma non meno importante notazione riguarda l'omissione, da parte del legislatore del 2006, di una, pur sommaria, tipizzazione dei casi che giustificano l'opzione monogenitoriale, lasciando in tal modo all'interprete l'arduo compito di valutare ogni singola situazione e tutti gli elementi di prova che supportano la richiesta di parte in tal senso, determinandosi, nella decisione in ordine al tipo di provvedimento maggiormente rispondente all'interesse del minore(31), sulla scorta della propria sensibilità.Trovando fondamento la preferenza normativa verso il provvedimento di affidamento condiviso nella (pre-)supposta maggiore rispondenza di esso all'interesse della prole, l'opzione residuale di affido esclusivo verrà adottata - sia inizialmente, sia nel caso di variazione del tipo di provvedimento, da condiviso ad esclusivo - qualora venga provata, da colui che ne fa richiesta, la trasgressione degli art. 330, comma 1, c.c. e 333, comma 1, c.c., riguardanti rispettivamente la violazione dei doveri o l'abuso dei poteri inerenti la potestà da parte dell'altro genitore, ovvero il fatto che quest'ultimo tenga una condotta pregiudizievole nei confronti della prole(32).Dunque, per poter optare concretamente per l'applicazione dell'affidamento esclusivo, i limiti(33) entro i quali potrà considerarsi fondata la richiesta di parte in tal senso, saranno tracciati da un'estensione massima, per il ricorrere dei presupposti di cui ai suindicati art. 330(34) e 333 c.c., e da un minima, di minore gravità ma pur sempre correlata ad una lesione dell'interesse del minore, quale ad esempio, l'ipotesi (rara) di mancanza totale o interruzione della relazione affettiva tra un genitore e il proprio figlio, oppure il caso ben più frequente di trasferimento della residenza di un genitore in un luogo estremamente lontano da rendere pregiudizievole per il minore la condivisione dell'affido(35).Sulla base delle considerazioni dianzi svolte, la dottrina si è chiesta se la scelta operata dal giudice a favore della condivisione dell'affidamento dei figli, possa essere disattesa in presenza di forte conflittualità tra i genitori oppure se al contrario, sia necessaria la sussistenza di gravi e comprovati motivi tali da esporre il minore ad un serio rischio per la sua sana crescita.A ben vedere, infatti, v'è chi ha giustamente rilevato(36) che l'affidamento condiviso sarà contrario all'interesse del minore quando si verifichino fatti idonei a determinare grave pregiudizio all'educazione della prole: fatti che possono, in ipotesi, divenire anche fonte di intollerabilità della convivenza tra coniugi; quindi, in base a tale assunto, il concetto di contrarietà all'interesse del minore esige di adottare quale parametro di riferimento il rapporto genitoriale e non il diverso rapporto coniugale(37).Ciò significa, in altri termini, che l'intollerabilità della convivenza tra coniugi non sarà sufficiente per disporre un provvedimento di affidamento monogenitoriale se da tale situazione non derivi un grave pregiudizio per l'educazione e la crescita della prole(38).I suindincati limiti, entro i quali è consentito al giudice optare per un provvedimento di affidamento esclusivo si muovono, come detto, dalla più forte violazione dei doveri genitoriali alla più incerta situazione che, se in talune circostanze può essere intesa come violazione del compito genitoriale, in altre può essere valutata come non lesiva dell'interesse del minore.Tali limiti descrivono quindi un arco di possibilità entro il quale viene a collocarsi tutta una pluralità di altre situazioni, dove appunto è variabile il grado di preferenza per il tipo di provvedimento da applicare in un senso o nell'altro.

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Nell'ambito di queste situazioni vengono a trovarsi, ad esempio, la sussistenza di circostanze oggettive e/o soggettive inerenti all'uno o all'altro genitore destinate a ripercuotersi negativamente sui figli (da valutarsi caso per caso, non potendosi escludere quelle ipotesi in cui è il minore stesso che rifiuta in modo categorico ogni rapporto con i genitori)(39), ovvero la sussistenza di circostanze oggettive che impediscano l'attuarsi del rapporto, quale ad esempio, lo stato di detenzione di uno dei genitori(40).Uno dei problemi maggiormente dibattuti in dottrina riguarda la corretta interpretazione del concetto di potestà genitoriale: in tal senso, non v'è dubbio che l'espressione affidamento rimanda all'idea della responsabilità genitoriale CONNESSA AL COMPITO DI CURARE LA CRESCITA E LA FORMAZIONE DELLA PERSONALITÀ DEL MINORE (41).Orbene, intendendo in tali termini il concetto di potestà, se è vero che l'affidamento condiviso rinvia all'idea della compartecipazione del genitore nella cura e nella crescita del figlio, ovvero ai compiti educativi, esso si distingue da quello esclusivo nella misura in cui quest'ultimo rappresenta la situazione residuale nella quale uno dei genitori, considerato dal giudice inadeguato o nel concreto impossibilitato ad assumere la responsabilità della cura del figlio minore(42), sia escluso dall'affidamento.In tale ottica, è agevole ritenere che l'esclusione di un genitore dal dovere di curare e crescere il proprio figlio, debba necessariamente comportare una differenziazione in termini di potestà genitoriale, in quanto, anche se l'art. 155 c.c. dispone che la stessa deve essere esercitata da entrambi i genitori senza alcun richiamo al tipo di affidamento, la giurisprudenza di merito(43) ha chiarito, attraverso provvedimenti emessi nell'immediatezza dell'entrata in vigore della l. n. 54 del 2006, che «un'interpretazione sistematica delle norme sembra far propendere (anche richiamandosi ad un generale principio di non contraddizione) nel senso opposto e quindi nel senso di intendere la locuzione di cui all'art. 155 c.c., comma 3, (la potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori) riferita solo all'affidamento condiviso»(44).In altri termini, il carattere proprio del provvedimento di affidamento esclusivo non sarebbe stato modificato, nella sostanza, dal legislatore del 2006, rimanendo comunque caratterizzato, anche attraverso l'intervento del giudice, dall'esercizio esclusivo della potestà da parte del genitore affidatario(45).In tal senso, è da ritenere che il giudice, là dove si pronunci in ordine all'esercizio della potestà, debba necessariamente differenziare la posizione del genitore affidatario del figlio da quella dell'altro genitore; attribuendo, coerentemente alla situazione di fatto, l'esercizio esclusivo della potestà, quantomeno relativamente all'esercizio ordinario al genitore affidatario, riconoscendo però che l'altro genitore avrà titolo per adottare congiuntamente - o per pronunciarsi in ordine a - tutte quelle decisioni di maggiore interesse per il figlio(46).5. L'interesse del minore all'affidamento esclusivo nella casistica giurisprudenziale. - La l. n. 54, cit. si è posta come obiettivo principale quello di tutelare nel miglior modo possibile l'interesse del minore, non coinvolgendolo nella crisi coniugale, ove sovente è stato reso merce di scambio, e imponendo, nello stesso tempo, ad ognuno dei genitori, di assumersi tutte le responsabilità e gli impegni collegati al proprio ruolo, nonostante il conflitto con il partner(47).Tale riforma, al pari di quella del 1975, che ha contribuito a realizzare il principio di parità tra uomo e donna nella famiglia e nella società italiana, ove effettivamente applicata, contribuirà a diffondere nella collettività l'idea che entrambi i genitori hanno un ruolo di fondamentale importanza per la crescita dei figli, di cui devono sempre condividere, in modo paritario, le responsabilità.A ben vedere, l'impatto di questa legge nella società dipende dall'applicazione che ne fanno, e ne faranno, gli operatori giuridici, impedendo, per un verso, che l'affidamento esclusivo dei figli, quasi sempre alla madre, continui a restare il regime prevalente e per altro verso, che l'affidamento condiviso, non sia soltanto una

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copertura dietro la quale la situazione rimanga immutata(48).La breve rassegna che segue si propone, pertanto, di individuare quali possono essere le situazioni che giustificano, nel mutato assetto normativo, l'adozione del regime di affidamento esclusivo del minore in luogo di quello condiviso; situazioni che si prestano ad essere distinte in ipotesi applicative pacifiche, riguardo le quali dottrina e giurisprudenza sono pressoché concordi nella scelta esclusiva, e in ipotesi applicative di incerta soluzione, là dove la discrezionalità ed il controllo del giudice si impongono con maggiore incisività per verificare la rispondenza, nel caso concreto, del provvedimento da adottare con il preminente interesse del minore.Ebbene, tra le ipotesi del primo tipo possono ricomprendersi quelle situazioni di pregiudizio talmente grave per l'integrità fisica o morale del minore da giustificare l'emissione, tanto di ordini di protezione nei confronti del minore medesimo (art. 342-bis e ter c.c.), quanto dei provvedimenti di cui all'art. 330 c.c.; ci si vuol riferire, in particolare, ai casi in cui un genitore ponga in essere condotte violente fortemente lesive della salute e dell'integrità psicofisica del minore (si pensi, ad esempio, all'abuso sessuale perpetrato dal genitore nei confronti del figlio); alle ipotesi, in cui uno dei genitori, in considerazione di fatti oggettivi, risulti inidoneo al ruolo genitoriale (stato di tossicodipendenza, reclusione in carcere, alcolismo); nonché a quelle situazioni in cui il giudice ritenga dimostrata la violazione dei doveri o l'abuso dei poteri inerenti alla potestà da parte di un genitore nel caso in cui quest'ultimo tenga una condotta pregiudizievole nei confronti della prole che non integri, altresì, gli estremi dell'art. 330 c.c. (art. 333, comma 1 c.c.).Peraltro, giustificano l'adozione del provvedimento di affidamento esclusivo anche le ipotesi in cui un genitore mostri un totale disinteresse nei confronti del figlio, che si manifesti in condotte gravi (quali, ad esempio il sistematico inadempimento dell'obbligo di mantenimento), ovvero nel rifiuto del minore nei confronti di uno dei genitori, salvo che tale atteggiamento non sia la conseguenza della pressione psicologica dell'altro genitore.Tra le ipotesi del secondo tipo, ossia quelle, per così dire, incerte, rientrano le situazioni di conflittualità tra i genitori - anche se eccessiva ed esasperata - in cui la condivisione delle scelte educative del figlio risulti effettivamente impossibile e rischi di aggravare la situazione di turbamento già ingenerata nel minore, ovvero l'ipotesi di trasferimento della residenza di un genitore in un luogo estremamente lontano da rendere pregiudizievole per il minore la condivisione dell'affido, ovvero ancora quelle situazioni in cui per ragioni ritenute dal richiedente l'affido esclusivo oggettive, ma da valutarsi caso per caso, vi è una presunta impossibilità di espletare, nel quotidiano, le funzioni genitoriali. Per converso, la sopraggiunta consapevolezza omosessuale di uno dei genitori, ancorché sia certa causa della crisi della convivenza, non ha, di per sé, incidenza propria sul regime di affidamento, non ponendosi a riguardo dubbi sulla scelta della condivisione(49).La lettura dei provvedimenti che seguono, alcuni dei quali aiutano anche ad individuare il regime giuridico e la disciplina concretamente applicabile ai diversi istituti, contribuisce a dimostrare come l'affidamento esclusivo, a due anni dall'entrata in vigore della riforma, sembra aver conservato un ambito applicativo molto ridotto, in quanto disposto solo in contesti caratterizzati da condizioni particolarmente gravi.6. Situazioni di certo affidamento esclusivo: a) violenza e abusi; b) stato di detenzione; c) stato di tossicodipendenza e alcolismo; d) violazione del dovere di mantenimento; e) rifiuto del minore di avere rapporti con il genitore. - La rassegna delle varie pronunce di merito in ordine all'adozione, da parte del giudice, del provvedimento di affidamento esclusivo della prole, si snoderà attraverso l'analisi di variegate situazioni connotate tutte da particolare gravità e lesive dell'integrità psicofisica del minore, situazioni queste, giustificative dell'applicazione dell'ipotesi residuale di affido esclusivo; la rassegna verrà così condotta tenendo presente il grado di lesività della situazione e dunque, analizzando prioritariamente le ipotesi più gravi(50).

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a) Violenza e abusi.Secondo Trib. Pisa 14 febbraio 2007(51), «va disposto l'affido esclusivo della figlia alla madre, nel caso in cui il padre abbia perpetrato condotte di abuso in danno della minore».Nella motivazione della sentenza si legge che «dalla documentazione in atti e dalla prova testimoniale espletata, è emerso che si sono verificati fatti tali da recare grave pregiudizio alla prole - più precisamente è emerso che il padre ha posto in essere condotte di abuso sessuale nei confronti della figlia minore, ancora in tenera età.Secondo la interpretazione preferibile dell'art. 151 c.c., i fatti tali da recare grave pregiudizio alla prole costituiscono una causa autonoma di separazione, che assume una sua immediata rilevanza ogniqualvolta l'unione familiare e la prosecuzione della convivenza è fonte di danno per i figli e si rende pertanto necessario, a prescindere da ogni indagine circa il legame esistente tra i coniugi e la intollerabilità della prosecuzione della convivenza, intervenire sul loro rapporto, consentendo agli stessi di vivere separatamente e ponendo in questo modo i figli al riparo dalla situazione pregiudizievole [...]. Va disposto l'affidamento esclusivo della figlia minore alla madre, con diritto di visita del padre secondo le modalità di tempo e di luogo predeterminate dai competenti servizi sociali ed alla presenza di un operatore [...]. L'affido condiviso, previsto dalla nuova disciplina come istituto di applicazione tendenzialmente generale non può essere disposto nel caso di specie, in quanto, alla luce delle condotte del padre nei confronti della minore e delle relazioni dei servizi sociali in atti, risulta contrario all'interesse della minore».Trib. Firenze 21 dicembre 2006 afferma che «la totale carenza di rapporti tra padre e figlia integra un motivo ostativo all'affidamento della minore anche al padre, ove trovi la sua causa in pregresse condotte paterne, pregiudizievoli nei confronti della figlia».Nella motivazione si legge che «a fronte del disposto di legge di cui all'art. 155-bis c.c., il Tribunale ritiene che nel caso di specie, debba essere disposto l'affidamento in via esclusiva alla madre, come peraltro concordato dalle parti. Il padre, che vive a Palermo, ha al riguardo riferito che l'ultima volta ha visto la propria figlia nel 1993-1994, che non la sente, non le scrive e che non c'è tra loro alcuna comunicazione. La madre ha confermato tale situazione, spiegando che la totale assenza di rapporti è conseguita ad una denuncia di abusi perpetrati dal padre in danno della bambina, allorché questa aveva circa quattro anni, fatto per il quale il padre era stato peraltro assolto.La totale perdurante carenza di rapporti tra padre e figlia e l'assoluta motivata carenza di una richiesta della figlia di avere rapporti con il padre, integra un motivo ostativo all'affidamento anche al padre, cosicché va esclusa l'ipotesi ordinaria di affidamento condiviso contemplata dalla legge».b) Stato di detenzione.In merito all'affidamento esclusivo del minore nell'ipotesi altamente pregiudizievole dello stato di detenzione di uno dei genitori, osserva Trib. Pisa 9 maggio 2007 che «va disposto l'affido esclusivo della figlia alla madre, non avendo il padre mai corrisposto alcun contributo per il mantenimento della figlia e non avendo mai allacciato alcun rapporto significativo con lei, anche perché recluso in carcere al momento della separazione e residente, allo stato attuale, in una regione diversa e distante da quella della residenza della figlia».Prosegue lo stesso Tribunale osservando come, «l'imposizione di un affidamento condiviso, che rappresenta il modello principale di regolamentazione dei rapporti tra figli minori e genitori alla luce della novella l. n. 54/2006 [...] non può e non deve tradursi in una vuota formula di stile ma deve corrispondere concretamente al prevalente interesse del minore. L'art. 155-bis c.c., modificato dalla predetta novella, consente sicuramente di procedere all'affidamento esclusivo ogniqualvolta la forma del condiviso possa risultare contrario all'interesse del minore, e ciò deve intendersi non solo nel caso estremo allorquando il rapporto tra il figlio minore ed il genitore sia talmente compromesso da rendere impossibile da parte del primo una corretta fruizione del proprio diritto sancito dall'art. 155 c.c., ma anche quando, comunque,

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ricorrano circostanze oggettive che non consentono alla figura genitoriale di assolvere ai propri obblighi in modo continuativo e corretto.Certamente nel caso in esame la stabile lontananza dal luogo in cui la minore continuativamente dimora, l'asservimento in vinculis a cautele o sanzioni penali, la sistematica violazione dell'obbligo di mantenimento da parte del padre, sono indici gravemente indizianti della sussistenza di una effettiva impossibilità oggettiva di un corretto esercizio del diritto della minore di rapportarsi con una figura genitoriale paterna in realtà inesistente».Trib. Catania, ord. 18 maggio 2006, afferma che «l'affidamento dei figli ad uno solo dei genitori può essere disposto soltanto in presenza di elementi che travalicano i limiti dell'ordinaria conflittualità, in presenza dei quali l'affidamento condiviso risulterebbe contrario all'interesse morale e materiale del minore». Nel caso portato all'attenzione del giudice, il padre era sottoposto a misura restrittiva della libertà per il reato di tentato omicidio della moglie ed era altresì affetto, per sua stessa ammissione, da gravi patologie psichiche.c) Stato di tossicodipendenza e di alcolismo.Particolarmente importanti sono due pronunce in merito all'affidamento esclusivo della prole nelle ipotesi di uso, da parte di un genitore, di sostanze stupefacenti e di consumo di alcool, in quanto si tratta di comportamenti altamente pregiudizievoli e lesivi per lo sviluppo psicofisico del minore e soprattutto impeditivi dello svolgimento della funzione genitoriale.Ci si riferisce in particolare a quanto affermato da Trib. Firenze 25 ottobre 2006, il quale «dispone l'affido esclusivo del figlio ad uno solo dei genitori, nel caso in cui le gravi condizioni di tossicodipendenza impediscono all'altro di espletare la sua funzione genitoriale». In particolare, come si legge nella motivazione della sentenza, «l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza emerge dalla separazione di fatto e dal tenore delle contestazioni avanzate dalla parte attrice nei riguardi del marito e sorrette dalle risultanze dell'inchiesta sociale che confermano il grave stato di tossicodipendenza del padre e la sua inaffidabilità soprattutto nel rapporto col figlio nonché dalle risultanze della indagine GdF che rappresentano lo stato di incarcerazione del padre stesso»(52).Con la sentenza 17 maggio 2006, Trib. Firenze afferma che «va disposto l'affido esclusivo ad un genitore nel caso in cui le gravi condizioni psichiatriche dell'altro, aggravate dall'uso di sostanze stupefacenti e di alcool, gli impediscano di espletare in maniera adeguata le sue funzioni genitoriali». In merito al provvedimento di affidamento esclusivo, «emerge dagli atti non solo che il padre soffra di disturbi della personalità di tipo psichiatrico, ma anche che ciò sia aggravato dall'uso di stupefacenti e alcool [...]; non appare pertanto opportuno per lo sviluppo del minore disporre l'affidamento dello stesso ad entrambi i genitori, non potendosi presumere l'adeguatezza del padre nel seguire con maturità e costanza sufficiente lo sviluppo del figlio. Come emerge dalla consulenza in atti, il figlio ha maturato un distacco dal padre che in parte è ascrivibile alla situazione personale del padre, in parte all'ostilità della madre che non ritiene un valore il mantenimento dei rapporti tra il figlio e l'altro genitore. Tuttavia, attesa la gravità della situazione personale del padre, l'eventuale ripresa dei rapporti tra padre e figlio deve essere preceduta da una valutazione sulla congruità dei comportamenti che pone in essere lo stesso e sulla effettiva rispondenza agli interessi del minore di tale ripresa».d) Violazione del dovere di mantenimento.Sull'argomento è interessante riportare quanto affermato da Trib. Catania, decr. 14 gennaio 2007, ove il giudice stabilisce, in tema di affidamento dei figli minori, che «la ostinata violazione degli obblighi di mantenimento della prole da parte di uno dei genitori (nella specie il padre), per la sua gravità, non può non refluire sulla violazione del più ampio dovere di cura del minore, così da imporre, da un lato, un giudizio negativo sulle capacità genitoriali dell'inadempiente, e, dall'altro, l'affidamento esclusivo del figlio, stante la sussistenza di giustificate ragioni ostative all'affidamento anche all'altro genitore»(53).

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Deve rilevarsi che il Tribunale, richiamando la giurisprudenza della Corte di cassazione in tema di adottabilità dei minori, ha individuato nel mancato mantenimento del figlio uno degli elementi idonei a dimostrare la contrarietà all'interesse del minore dell'affidamento condiviso sul rilievo che: «il dovere di mantenimento è uno dei doveri primari previsto dall'art. 147 c.c. a carico dei genitori, essendo finalizzato ad assicurare l'esistenza in vita, la salute ed il benessere del minore, ed è quindi strettamente collegato con il dovere di assistenza (che deve essere non solo morale ma altresì materiale)»(54).In tema, si veda ancora quanto sostenuto nella pronunzia citata precedentemente del Trib. Pisa 9 maggio 2007, relativamente al provvedimento di affidamento esclusivo, che deve essere disposto là dove «l'altro genitore si sia reso penalmente responsabile del reato di cui all'art. 570, comma 2 c.p., facendo mancare i mezzi di sussistenza alle minori, abiti in un comune diverso e lontano da quello ove si è stabilito il nucleo familiare ed abbia un rapporto conflittuale con le figlie». Secondo questa pronuncia, le minori vanno affidate alla madre, salva la possibilità del padre di vederle e tenerle con sé, compatibilmente con gli impegni e le esigenze delle stesse e previo avviso alla madre(55).e) Rifiuto del minore di avere rapporti con il genitore.Sul tema in oggetto, si richiama la pronuncia del Trib. Firenze 21 dicembre 2006, il quale «dispone l'affido esclusivo delle figlie alla madre nel caso in cui le minori manifestino un totale rifiuto della figura paterna e tale atteggiamento non sia ascrivibile alla condotta materna».Come emerge dalla motivazione della sentenza, il rapporto tra il padre e le minori è estremamente problematico e d'altra parte non sono emersi in atti comportamenti ascrivibili alla madre che consentano di ritenere che sia effettivamente imputabile a lei il mancato accesso del padre alle figlie e non piuttosto al fatto che il padre si è allontanato dalla casa familiare quando ancora, stante la tenera età delle bimbe, non era maturata una consuetudine di rapporti con lo stesso. Quanto motivato, unitamente alla considerazione relativa alla omissione da parte del padre di qualsiasi contributo a favore delle figlie - comportamento che sicuramente ha causato gravi difficoltà specialmente iniziali al nucleo familiare - conferma l'affidamento e la domiciliazione delle minori presso la madre.È interessante analizzare sull'argomento la pronuncia emessa da Trib. Firenze 22 aprile 2006(56), là dove afferma che «non può essere disposto l'affidamento condiviso quando il minore rifiuti in modo categorico ogni rapporto con uno dei genitori, adducendo motivi di sofferenza che il giudicante, sia direttamente, sia con l'ausilio di una consulenza psicologica, deve ascoltare e porre a fondamento della propria decisione». In tal caso, pur avendo dato il legislatore chiara indicazione della propria preferenza per l'affidamento condiviso, la valutazione del superiore interesse del minore esige che venga disposto l'affidamento esclusivo con la prosecuzione di adeguata terapia psicologica per consentirgli di recuperare la figura genitoriale rifiutata(57). Sebbene il legislatore abbia inteso ridurre, con l'affidamento condiviso, l'impatto psicologico negativo che la disgregazione del nucleo familiare comporta per i figli, richiedendo che i genitori mantengano la ineliminabile genitorialità nell'adempimento del compito spettante ad entrambi, della cura, della crescita fisica, culturale e affettiva dei figli, nel caso di specie, si legge nella motivazione della sentenza che il Collegio «ritiene radicalmente impraticabile l'affidamento condiviso [...] in quanto la bambina nutriva, nei confronti del padre, un risentimento profondo, il cui nucleo risiedeva certamente nell'essersi sentita non solo abbandonata dal padre, ma più in radice non compresa e non accettata per come ella era». Risulta, pertanto, secondo il Collegio, «contrario all'interesse della bambina un affidamento anche al padre, per il tenace, rabbioso rifiuto della stessa e per il risentimento paterno: questi atteggiamenti, difatti, ostano che il padre possa cogliere autenticamente le capacità, le inclinazioni naturali e le aspirazioni della figlia, delle quali è indispensabile che i genitori tengano conto nelle scelte circa l'istruzione e l'educazione da dare alla prole, essendo egli chiuso ad ogni possibilità di ascoltare e

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di comprendere la bambina»(58).Nello stesso senso si rinvia a App. Napoli, sez. min., decr., 22 marzo 2006(59) il quale afferma che «in tema di affidamento della prole, in presenza di un persistente e deciso rifiuto della figura paterna da parte del minore, l'affidamento ad entrambi i genitori è da ritenersi contrario all'interesse del figlio, in quanto sarebbe estremamente destabilizzante e pregiudizievole per il suo sviluppo psicofisico».Il giudice, a fronte dell'attuale ed invincibile ripulsa della figlia nei confronti del padre ad incontrarla, può disporre che gli incontri tra la minore ed il genitore non convivente, vengano temporaneamente sospesi, tutte le volte che ogni intervento autoritativo - indirizzato all'esecuzione coattiva del diritto di visita del padre - sortirebbe effetti controproducenti, innalzando la soglia di ostilità della figlia nei confronti del genitore e risulterebbe certamente pregiudizievole per la serenità della vita della minore stessa(60).Inoltre la pronuncia in esame statuisce che «in tema di affidamento di figli di genitori non coniugati, anche a seguito dell'affidamento esclusivo della figlia minorenne alla madre, la potestà genitoriale va attribuita ad entrambi i genitori, ai sensi del nuovo testo dell'art. 155 c.c.; ciò al fine di garantire una maggiore presenza del genitore non affidatario nella vita della minore. Ne consegue che le decisioni di maggiore interesse, relative all'istruzione, all'educazione ed alla salute della figlia, saranno assunte dai genitori di comune accordo, mentre le questioni di ordinaria amministrazione rimarranno di competenza del solo genitore affidatario»(61).La pronuncia in esame affronta un'importante questione interpretativa posta dalla l. n. 54, cit., e precisamente, in quali casi è possibile disporre l'affidamento esclusivo della prole minorenne; a tal fine la Corte d'appello di Napoli, richiamandosi all'orientamento seguito da Cass. 15 gennaio 1998 n. 317(62) e dalla Commissione europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo, con la pronuncia del 21 ottobre 1998(63), ha ritenuto che il persistente e deciso rifiuto della figura paterna da parte della minore costituisse un motivo grave ed idoneo al fine di rigettare la richiesta di affidamento della minore ad entrambi i genitori, optando, così, per l'affidamento monogenitoriale a favore della madre, alla quale la figlia era profondamente legata, «quale figura psicologicamente significativa e garante della sua stabilità emotiva». 7. Situazioni di incerto affidamento esclusivo: a) litigiosità tra i coniugi; b) distanza tra i luoghi di residenza dei genitori; c) difficoltà oggettive e/o relazionali del genitore con il figlio. - Dopo aver analizzato sommariamente alcune tra le pronunce di merito riguardanti le situazioni che giustificano, in via di generale applicazione, l'adozione del provvedimento di affidamento esclusivo (data la gravità delle circostanze fattuali relative al singolo caso, altamente pregiudizievoli per l'equilibrio psicofisico del minore, valutabili concretamente dal giudice) sulle quali si riscontra un certo grado di certezza da parte di dottrina e giurisprudenza, occorre ora prendere in considerazione quelle ipotesi ove, al contrario, non è individuabile un criterio di certa predeterminabilità degli esiti giudiziali in ordine al diniego del provvedimento di affidamento condiviso dei figli, in quanto si tratta di situazioni che, sebbene siano simili nel fatto, mostrano nel concreto sfaccettature tali da rendere non univoca l'interpretazione da parte dell'organo giudicante.Si valuteranno così le ipotesi riguardanti il tema assai dibattuto - in ordine alla scelta del tipo di affidamento - della conflittualità tra i coniugi ma anche le ipotesi della diversa residenza di uno dei genitori rispetto a quella del figlio e le situazioni di difficoltà oggettive di uno dei genitori tali da impedire un rapporto stabile e continuativo con il figlio.a) Litigiosità tra i coniugi. La situazione di litigiosità tra i coniugi rappresenta, come anticipato, uno dei temi più discussi relativamente alla scelta, da parte del giudice, del tipo di affidamento da adottare; a tal proposito verranno approfondite alcune tra le pronunce più interessanti sull'argomento e saranno inoltre analizzati i motivi che, di volta in volta, hanno indotto l'organo giudicante a scegliere il tipo di provvedimento nel singolo caso concreto, valutando prioritariamente la rispondenza all'interesse del minore.

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Così, si è pronunciato App. Ancona, decr., 22 novembre 2006(64), che «ha escluso l'affidamento condiviso del figlio a causa della notevole conflittualità tra i coniugi».Nel caso di specie, la Corte ha rigettato il reclamo proposto dal padre per ottenere l'affidamento condiviso della figlia minore, sul duplice presupposto «dell'evidente contrasto in essere tra i coniugi e della circostanza che anche in costanza di separazione consensuale in cui fu stabilito l'affidamento alla madre, comportamenti assolutamente anomali e pregiudizievoli per la prole sono stati già oggetto di esame del giudice civile per pervenire ad un restringimento del diritto di visita del padre».Nello stesso senso si è espresso Trib. Firenze 27 settembre 2006(65), secondo il quale «non può essere disposto l'affido condiviso dei figli ad entrambi i genitori in quanto contrario all'interesse dei minori, nel caso in cui la conflittualità tra i coniugi sia eccessivamente esasperata e sia manifestata da uno dei genitori in modo aggressivo e violento anche in presenza dei minori».In linea con le precedenti pronunce, nella medesima data, lo stesso organo in altra pronuncia ha statuito che «non può essere disposto l'affido condiviso, nel caso in cui la conflittualità tra i coniugi sia talmente esasperata da impedire anche la risoluzione dei problemi più semplici: in tale contesto risulterebbe difatti contrario agli interessi dei minori, già negativamente condizionati dal reciproco atteggiamento dei genitori, imporre la condivisione di ogni scelta». È emerso quindi anche nel corso del procedimento «un elevatissimo livello di incomprensione tra i coniugi e di assoluta incapacità di comprendere le ragioni dell'altro nonché di rinunciare alle proprie rivendicazioni nell'interesse dei figli. La svalutazione del ruolo dell'altro è totale e ciò si è ovviamente riverberato sulla crescita dei figli ed in particolare del figlio maggiore della coppia che ha dato evidenti segni di disagio manifestatisi in un cattivo andamento scolastico. La causa è stata individuata proprio nel comportamento dei genitori impegnati in una battaglia che sembra non voler finire; così essi non riescono a rappresentare per i figli quel punto di riferimento e quella base sicura di cui i due ragazzi avrebbero avuto ed hanno ancora oggi assolutamente bisogno»(66).In antitesi con le suindincate pronunce di merito, si sono espressi numerosi collegi giudicanti i quali hanno disposto l'affidamento condiviso dei figli nonostante la grave conflittualità esistente tra i coniugi: in tal senso, Trib. Messina 13 dicembre 2006, secondo il quale, «in tema di affidamento condiviso, la mera intollerabilità dei rapporti tra i genitori, il clima di tensione, anche aspra, che eventualmente caratterizza le relazioni dopo la separazione, l'assenza della volontà di collaborare, non possono, di per sé, ostacolare l'applicazione di un sistema di affidamento che la legge privilegia, ponendo quale unico limite l'interesse del minore [...]; in questa prospettiva, l'affidamento condiviso dei figli, ponendo auspicabilmente termine alla spirale delle reciproche rivendicazioni ed imponendo alle parti il perseguimento degli scopi dell'assetto privilegiato dalla legge, può, anzi, contribuire al superamento di quella conflittualità e al recupero di un clima di serenità di cui i figli sono i primi a trarne beneficio».L'aspetto di estremo interesse contenuto nella pronuncia in esame è costituito dall'avere espressamente scisso, ai fini dell'applicazione, o meno, dell'affidamento condiviso, la conflittualità coniugale (sempre presente in tutti i casi di disgregazione dell'unità familiare) dal rapporto genitori-figli; ne deriva, secondo il giudice di merito, che «la non condivisione di modelli comportamentali o di scelte di vita dell'altro genitore non è certamente sufficiente a fondare l'opposizione all'affidamento (anche) all'altro genitore»(67).Conformemente a tale sentenza si è pronunciata App. Trento 15 giugno 2006, osservando che «in tema di affidamento dei figli minori, la forte conflittualità esistente tra i coniugi ed i rispettivi nuclei familiari non costituisce motivo sufficiente per disattendere la scelta prioritaria dell'affidamento condiviso, onde privilegiare l'affidamento della figlia in via esclusiva alla madre, ferma restando, in ipotesi di tenera età della minore, la sua collocazione prevalente presso l'abitazione di uno dei genitori, risultando pregiudizievole una modifica dell'assetto raggiunto dopo la fine della convivenza tra i genitori, che costituirebbe solo fonte di nuovo disagio per la

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stessa»(68).Sull'irrilevanza della situazione di conflitto tra i coniugi ai fini dell'attribuzione dell'affidamento dei figli ad entrambi i genitori, si è espresso inoltre Trib. Ascoli Piceno, decr. 13 marzo 2006, il quale afferma che «in tema di affidamento dei figli minori, nonostante l'elevatissima conflittualità tra i coniugi, la migliore soluzione consiste nell'affidare il bambino ad entrambi i genitori, perché il distacco dalla figura materna potrebbe essere di grave pregiudizio al minore, nell'ipotesi in cui al venir meno della convivenza non si accompagni una diversa forma di presenza della madre nella vita del bambino ed una maggiore responsabilizzazione dello stesso genitore non convivente».Nella specie, è stato ritenuto funzionale alle esigenze del minore non escludere la figura materna e non relegarla ad un ruolo marginale(69).b) Distanza tra i luoghi di residenza dei genitori. Con riguardo a questo argomento, la giurisprudenza di merito è stata ambivalente in ordine al tipo di provvedimento da adottare, privilegiando, in alcune pronunce, il regime di affido condiviso e, in altre, l'ipotesi residuale di affido esclusivo.Si riporta di seguito la pronuncia emessa da App. Caltanissetta, ord. 29 luglio 2006(70), che merita di essere segnalata perché osserva che «la distanza dei rispettivi luoghi di permanenza del figlio e di uno dei genitori non può essere d'ostacolo all'applicazione dell'affidamento condiviso, dovendosi procedere in questi casi all'equo contemperamento delle esigenze di entrambi i soggetti coinvolti nella crisi familiare». Ne deriva (nel caso di specie), «la legittimità del provvedimento del giudice che, per salvare il mantenimento di un rapporto quanto più possibile regolare tra il figlio minorenne e il genitore non convivente con lo stesso, preveda che i loro incontri mensili (e durante le vacanze estive), avvengano una sola volta in due giorni consecutivi, uno dei quali la domenica, presso il luogo di residenza del genitore non collocatario»(71).Merita di essere segnalata, inoltre, Cass. 5 maggio 2006 n. 10374, che ha avuto il pregio di approfondire il tema della sottrazione internazionale di minore; la pronuncia in parola statuisce che «nell'ipotesi di trasferimento definitivo del minore all'estero, al genitore titolare del diritto di visita, oltre che attivare le autorità del proprio Paese e quelle dello Stato di nuova residenza del minore, non resta che rivolgersi al giudice della separazione (o del divorzio) per ottenere una rivalutazione delle condizioni dell'affidamento alla stregua della nuova circostanza del trasferimento della residenza del minore». I giudici di legittimità hanno rilevato, preliminarmente, che la decisione adottata dal genitore affidatario, in assenza del consenso dell'altro genitore, di trasferire la residenza del figlio in un luogo così distante da rendere, di fatto, impossibile l'esercizio del diritto di visita con le modalità stabilite all'epoca della separazione (o del divorzio) dei coniugi(72), può condurre ad un serio pregiudizio in danno del minore; quest'ultimo, infatti, subirebbe sia la brusca interruzione di ogni rapporto con il genitore non affidatario che il repentino mutamento di tutte le sue consuetudini di vita(73).c) Difficoltà oggettive e/o relazionali del genitore con il figlio. Da ultimo va approfondito il tema delle difficoltà oggettive e/o relazionali di un genitore nei confronti del figlio minore, in relazione alla scelta, da parte del giudice, del provvedimento da adottare in merito all'affidamento; merita di essere segnalata, a tal proposito, la pronuncia del Trib. Catania, ord. 5 giugno 2006, la quale afferma che, «in tema di affidamento dei figli minori, è contrario all'interesse di questi ultimi l'affidamento al padre che abbia manifestato, in sede di udienza presidenziale, la propria difficoltà per la gestione dell'affidamento condiviso, a causa della sua attività di autotrasportatore».Ciò posto, deve osservarsi che l'ordinanza in rassegna, valorizzando, quale motivo contrario all'applicazione dell'affidamento delle figlie ad entrambi i geni tori, l'attività di autotrasportatore svolta dal padre, sembrerebbe presupporre che all'affidamento condiviso consegua necessariamente un eguale ripartizione dei tempi di permanenza della prole presso ciascun genitore(74); viceversa, siffatta tesi interpretativa è

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rimasta del tutto minoritaria, sia in dottrina, sia in giurisprudenza.Nella motivazione dell'ordinanza, si legge che «l'affidamento condiviso rappresenta un diritto soggettivo del minore, da collocare nell'ambito dei diritti della personalità; ne consegue che, trattandosi di diritti indisponibili e non sussistendo, nel caso di specie, motivi di gravità tale da giustificare la contrarietà dell'affidamento condiviso all'interesse delle minori, il giudice avrebbe potuto assumere una decisione, nell'interesse delle figlie, diversa rispetto alle eventuali domande avanzate dalle parti e, a maggior ragione, rispetto alla mera preoccupazione manifestata dal padre di non riuscire a gestire l'affidamento condiviso delle figlie(75).In merito alle difficoltà relazionali del genitore di allacciare un rapporto con il figlio minore, rileva la sentenza emessa da Trib. Firenze 21 febbraio 2007(76), la quale afferma che «va disposto l'affido condiviso dei figli, nonostante le difficoltà relazionali di uno dei due con i minori, ad eccezione dei casi in cui siano stati riscontrati segnali di incapacità o di pericolosità effettiva di tale genitore».La motivazione della suddetta sentenza segnala una «scarsa presenza relazionale e non oggettiva del padre accanto ai figli ma ciò non giustifica sanzionare con un affidamento esclusivo la tendenza ad assumersi scarsa responsabilità, perché viceversa in una situazione quale la presente, in cui siano assenti segnali di incapacità o di effettiva pericolosità del padre, l'affidamento condiviso chiama la coppia genitoriale ad identiche assunzioni di doveri nei riguardi della crescita dei figli».Da ultimo, merita attenzione la sentenza pronunciata da Trib. Pordenone 30 marzo 2007, secondo la quale, «in tema di affidamento dei figli minori, è opportuno che questi ultimi rimangano affidati in modo esclusivo al padre allorché non esista alcuna consuetudine di vita con la madre, la quale, dopo essersi trasferita in altra regione d'Italia ed aver formato una nuova famiglia, non abbia più avuto alcun contatto, neppure telefonico, con i figli(77).Inoltre, la madre, disinteressandosi dell'esito della causa di divorzio (non comparendo all'udienza presidenziale, né costituendosi nella successiva fase del giudizio) ha dimostrato di non avere argomenti contrari a quelli svolti dal marito a sostegno della richiesta di affidamento esclusivo della prole».In casi del genere, secondo il suddetto Tribunale, «non può ritenersi conforme all'interesse dei figli l'affidamento condiviso, anche in considerazione del fatto che le decisioni che li riguardano dovranno essere prese, più opportunamente, dal genitore che conosce il loro carattere ed i loro bisogni»(78).

(1) In materia di affidamento condiviso, senza alcuna pretesa di completezza, cfr., L'affidamento condiviso a cura di PATTI e ROSSI CARLEO, Milano 2006; BALESTRA, Brevi notazioni sulla recente legge in tema di affidamento condiviso, in Fam., 2006, 655 ss.; BIANCA, La nuova disciplina in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso. Prime riflessioni, in Dir. fam. pers., 2006, II, 676 ss.; D'AVACK, L'affidamento condiviso tra regole giuridiche e discrezionalità del giudice, in Fam., 2006, 609 ss.; DE MARZO, L'affidamento condiviso. Profili sostanziali, in Foro it., 2006, III, 89 ss.; DELL'UTRI, L'affidamento condiviso nel sistema dei rapporti familiari, in Giur. it., 2006, 1549 ss.; DOGLIOTTI, Filiazione naturale e affidamento condiviso, in Fam. dir., 2006, 403 ss.; GIACOBBE, L'affidamento condiviso dei figli nella separazione e nel divorzio, in Trattato di diritto di famiglia diretto da ZATTI, VII, Milano 2006, 200 ss.; ID., Il modello costituzionale della famiglia nell'ordinamento italiano, in Riv. dir. civ., 2006, I, 481 ss.; FAZIO, L'affido condiviso, in questa Rivista, 2006, II, 273 ss.; LOVATI, Affidamento condiviso dei figli: luci ed ombre della nuova legge, in Riv. crit. dir. priv., 2006, I, 165 ss.; PADALINO, L'affidamento condiviso dei figli. Commento sistematico delle nuove disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli, Torino 2006, passim; PATTI, L'affidamento condiviso dei figli, in Fam. pers. succ., 2006, 300 ss.; RUSCELLO, La tutela dei figli nel nuovo affidamento condiviso, in Fam., 2006, 625 ss.; SESTA, Le nuove norme sull'affidamento condiviso, in Fam. dir., 2006, 377 ss.; VALENTINO: Brevi note in tema

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di affido dei minori, in Dir. fam. pers., 2006, II, 1401 ss.; VILLANI, La nuova disciplina sull'affidamento condiviso dei figli di genitori separati, I, in Studium iuris, 2006: pt. I, 519 ss.; pt. II, 667 ss.; LONG, L'impatto del Regolamento CE 2201/2003 sul diritto di famiglia italiano: tra diritto internazionale privato e diritto sostanziale, in Fam., 2007, 1127 ss.; RUSCELLO, Crisi della famiglia e affidamenti familiari: il nuovo art. 155 c.c., in Dir. fam. pers., 2007, I, 265 ss.; SCALISI, Il diritto del minore alla «bigenitorialità» dopo la crisi o la disgregazione del nucleo familiare, in Fam. dir., 2007, 520 ss. Da ultimo, FEDE, L'affidamento della prole nella crisi coniugale prima e dopo la l. n. 54 del 2006, in Riv. dir. civ., 2007, II, 649 ss.

(2) In tema, cfr. BALLARANI, Potestà genitoriale e interesse del minore: affidamento condiviso, affidamento esclusivo e mutamenti, in L'affidamento condiviso, cit., 29 ss.; PUGLIESE, Interesse del minore, potestà dei genitori e poteri del giudice nella nuova disciplina dell'affidamento dei figli (L. 8 febbraio 2006, n. 54), in Fam., 2006, 1053 ss.; QUADRI, Affidamento dei figli e assegnazione della casa familiare: la recente riforma, ivi, 395 ss.; TOMMASEO, L'interesse dei minori e la nuova legge sull'affidamento condiviso (nota a Trib. Firenze 22 aprile 2006), in Fam. dir., 2006, 295 ss.; VERARDO ROMANO, Affido condiviso: regole sulla mediazione per far funzionare la nuova normativa, in Guida al diritto, 2006, n. 14, p. 11; ZAMAGNI, VILLA, Affido condiviso: quale competenza per i figli naturali, in www.minoriefamiglia.it. Da ultimo, ATTENNI, Tutela inalterata con la competenza di un altro giudice (nota a Trib. min. Potenza, decr., 8 gennaio 2007), in Fam. min., 2007, IV, 74 ss.; DOGLIOTTI, Affidamento congiunto, affidamento condiviso: un primo intervento della Cassazione (nota a Cass. 18 agosto 2006 n. 18167), in Fam. dir., 2007, 345 ss.; IANNACONE, Quale conflittualità tra genitori esclude il ricorso all'affidamento condiviso? (nota a Trib. Napoli 28 giugno 2006), ivi, 621 ss.; Trib. Napoli 28 giugno 2006 è stata, altresì, commentata da MANARA, Se un'elevata conflittualità tra i genitori (uno dei quali tacciato di omosessualità) escluda l'applicazione in concreto dell'affidamento condiviso, in Dir. fam. pers., 2007, I, 1692 ss.; TROTTA, Un diritto-dovere da esercitare non solo verso i figli (nota a Trib. min. Catanzaro, decr. 28 novembre 2006), in Fam. min., 2007, IV, 78 ss.; BASINI, Ancora in tema di affidamento condiviso della prole, in Fam. pers. succ., 2007, 296 ss.; ASTIGGIANO, Libertà di trasferimento della residenza del genitore e diritto del minore alla bigenitorialità: due diritti costituzionalmente tutelati a confronto, in Fam. dir., 2007, 1072 ss.

(3) Ci si vuol riferire, in particolare, ai contributi di BARTOLINI, PASTORE, I nuovi procedimenti di separazione divorzio e affidamento condiviso, Piacenza 2006, passim; BRIZIARELLI, Affidamento condiviso, le (acquisite) competenze del tribunale ordinario, in Diritto e giustizia, 2006, n. 23, p. 39 ss.; CASABURI, I nuovi istituti di diritto di famiglia (norme processuali ed affidamento condiviso) prime istruzioni per l'uso: I. Il nuovo processo di famiglia, in Giur. merito, 2006, suppl., 5 ss.; II. Il nuovo regime sull'affidamento, ivi, 41 ss.; CEA, L'affidamento condiviso, profili processuali, in Foro it., 2006, III, 96 ss.; DE ANGELIS, Affido condiviso: le norme processuali e la natura dei provvedimenti «nell'interesse dei coniugi e della prole», in Giur. it., 2006, 650 ss.; LUPOI, Aspetti processuali della normativa sull'affidamento condiviso, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2006, 1063 ss.; da ultimo, DANOVI, L'affidamento condiviso: le tutele processuali, in Dir. fam. pers., 2007, II, 1883 ss.; ID., Affidamento e mantenimento dei figli naturali: la Cassazione sceglie il giudice minorile (nota a Cass. 3 aprile 2007 n. 8362), in Fam. pers. succ., 2007, 508 ss.; quest'ultima sentenza è stata, altresì, commentata da: TOMMASEO, Filiazione naturale ed esercizio della potestà. La Cassazione conferma (ed amplia) la competenza del tribunale minorile, in Fam. dir., 2007, 453 ss.; GRAZIOSI, Ancora rallentamenti sulla via della piena equiparazione tra figli legittimi e naturali: la Cassazione mantiene inalterata la competenza del tribunale per i minorenni, in Dir. fam. pers., 2007, I, 1627 ss.; LOMBARDO, Effetti ed implicazioni della l. n. 54 del 2006, secondo Cass. 3 aprile 2007 n. 8362, ivi, 1637 ss.

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(4) Peraltro, già prima dell'entrata in vigore della nuova normativa, v'era chi aveva affrontato la questione in tema di affidamento congiunto e/o alternato; cfr., in tal senso, CASABURI, Dall'affidamento congiunto all'affidamento condiviso (osservazioni a Cass. 20 gennaio 2006 n. 1202), in Foro it., 2006, I, 1406 ss.; GIACOBBE, FREZZA,Ipotesi di disciplina comune nella separazione e nel divorzio, in Trattato di diritto di famiglia diretto da ZATTI, I, t. 2, Milano 2002, 1295 ss.; GIACOBBE G.,Eguaglianza morale e giuridica tra i coniugi e rapporti familiari, in Riv. dir. civ., 1997, I, 899 ss.; ID., La famiglia dal codice civile alla legge di riforma, in Le nuove frontiere della giurisprudenza. Metodo Teoria Pratica, Milano 2001, 629 ss.; ID.,Potestà dei genitori e progetto educativo, in Trenta anni dalla riforma del diritto di famiglia a cura di FREZZA, Milano 2005, 113 ss.; ID.,«Genitorialità sociali» e principio di solidarietà: riflessioni critiche, in Dir. fam. pers., 2005, I, 152 ss.; MURGO, Affido congiunto e condiviso: vecchio e nuovo confronto in tema di affidamento della prole, in Nuova giur. civ. comm., 2006, II, 547 ss.; TOMMASEO, La disciplina processuale della separazione e del divorzio dopo le riforme del 2005 (e del 2006), in Fam. dir., 2006, 7 ss.

(5) In tal senso, BALLARANI, Potestà dei genitori, in Enc. giur. Il Sole-24 Ore, XI, Milano 2008, 307 ss.

(6) Avendo riguardo al rapporto tra i poteri dei genitori e i doveri verso i figli, la dottrina si chiede se il legislatore abbia voluto subordinare i primi all'esercizio dei secondi, ovvero se tali doveri siano conseguenza della filiazione in sé considerata. Sul punto, BALLARANI, Potestà dei genitori, cit., 35; VILLA, Potestà dei genitori e rapporti con i figli, in Il diritto di famiglia. Trattato diretto da BONILINI e CATTANEO, III, Torino 1997, 259 ss.; BONILINI, Nozioni di diritto di famiglia, Torino 1987, 144; GIARDINA, I rapporti personali tra genitori e figli alla luce del nuovo diritto di famiglia, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1977, 1376 ss.

(7) È opinione consolidata in dottrina che «il riconoscimento costituzionale dei diritti della famiglia come società naturale, emerge in tutto il suo portato, proprio in considerazione dell'individuazione delle situazioni giuridiche derivanti dal mero fatto della procreazione, per la cui titolarità si prescinde completamente dall'atto che eventualmente lega i genitori tra loro». In tal senso, BALLARANI, Potestà genitoriale e interesse del minore, cit., 33, nt. 10; nonché, SPADAFORA, Rapporto di convivenza more uxorio e autonomia privata, Milano 2001, 1 ss., specialmente 15 ss. In tema, cfr. LIPARI, Riflessioni sul matrimonio a trent'anni dalla riforma del diritto di famiglia, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2005, 716 ss., ove l'autore, muovendo dall'evoluzione sociale che il concetto di famiglia ha subito nel corso degli anni, legge il dettato costituzionale e civilistico come non ostativo all'accoglimento delle convivenze nel nostro ordinamento, argomentando dal considerare come sovente l'esistenza concreta del rapporto di convivenza sia sufficiente a sanare i vizi dell'atto costitutivo della convivenza coniugale. In senso difforme, GIACOBBE G.,La famiglia dal codice civile alla legge di riforma, cit., 629 ss., specialmente 640, ove l'autore evidenzia come la tutela e la garanzia costituzionale della famiglia sia fondata sul fatto del matrimonio, ravvisando nei coniugi l'elemento costitutivo di essa; v. anche, ID., Eguaglianza morale e giuridica tra i coniugi e rapporti familiari, cit., 899 ss.

(8) La norma statuisce che «il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l'obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli». «La "capacità" attiene alle attitudini psicofisiche del minore; la "inclinazione naturale" esprime la tendenza - in rapporto alla capacità del soggetto - verso la realizzazione di un determinato obiettivo; le "aspirazioni" rappresentano non già un fattore oggettivo riconducibile alla configurazione psicofisica del soggetto, ma le scelte di vita di cui il soggetto si fa portatore»: così, GIACOBBE, FREZZA, Ipotesi di disciplina comune nella separazione e

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nel divorzio, cit., 1295, specialmente 1305.

(9) Cfr., ex multis, BALLARANI, op. ult. cit., 33; GIACOBBE G., Potestà dei genitori e progetto educativo, in Trenta anni dalla riforma del diritto di famiglia, cit., 113 ss.

(10) Nel contesto puntuale è il richiamo a quegli Autori che hanno indagato l'evoluzione che il concetto di «potestà genitoriale» ha subito e che continua a subire: PELOSI, La patria potestà, Milano 1965, passim; ID, Potestà dei genitori sui figli, in Nss. D.I., Appendice, V, Torino 1984, 1127 ss.; BUCCIANTE, La patria potestà nei suoi profili attuali, Milano 1971, passimID., La potestà dei genitori e l'emancipazione, in Trattato di diritto privato diretto da RESCIGNO, IV, Torino 1982, 537 ss.; ID., Potestà dei genitori, in Enc. dir., XXXIV, Milano 1985, 774 ss.; MORO, Il diritto dei minori, Bologna 1974, passim; BESSONE, Personalità del minore, funzione educativa dei genitori e garanzia costituzionale dei diritti inviolabili, in Giur. merito, 1975, I, 346 ss.; NATUCCI, L'obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne, in L'autonomia del minore tra famiglia e società a cura di DE CRISTOFARO e BELVEDERE, Milano 1980, 381 ss.; GIARDINA, I rapporti personali tra genitori e figli alla luce del nuovo diritto di famiglia, cit., 1352 ss., specialmente 1376 ss.; BUONCRISTIANO, Cura della persona e interesse del minore: due contrastanti pronunce della Corte Costituzionale, in Giur. it., 1988, I, 1, 1251 ss.; ZATTI, Rapporto educativo e intervento del giudice, in L'autonomia del minore tra famiglia e società, cit., 250 ss.; FERRI, Della potestà dei genitori, in Commentario del codice civile diretto da SCIALOJA e BRANCA a cura di GALGANO, Libro primo delle persone e della famiglia (Art. 315-342), Bologna-Roma 1988, passim; BELVEDERE, Potestà dei genitori, in Enc. giur. Treccani, XXIII, Roma 1990, passim; RUSCELLO, La potestà dei genitori. Rapporti personali (art. 315-319), in Il Codice civile. Commentario diretto da SCHLESINGER, Milano 1996, passim; VERCELLONE, La potestà dei genitori, in Trattato di diritto di famiglia diretto da ZATTI, II, Milano 2002, 937 ss.; BIANCA, La famiglia, Milano 2005, 329 ss.; GIACOBBE G., «Genitorialità sociali» e principio di solidarietà: riflessioni critiche, cit., 152 ss.; ID., La famiglia dal codice civile alla legge di riforma, cit., passim; ID., Eguaglianza morale e giuridica tra i coniugi e rapporti familiari, cit., passim; ID., Libertà di educazione, diritti del minore, potestà dei genitori nel nuovo diritto di famiglia, in Rass. dir. civ., 1982, 678 ss.; FIORI, Evoluzione e nuova criteriologia medico-forense nella ricerca biologica della paternità, in Riv. it. med. leg., 1989, 783 ss.; VILLA, La potestà dei genitori e rapporti con i figli, cit., 259 ss. Per il disinteresse mostrato dalla dottrina in ordine alle situazioni esistenziali, con riferimento all'art. 147 c.c., cfr. TRABUCCHI, in Commentario della riforma del diritto italiano della famiglia, III, Padova 1976-1977, 318 ss.

(11) La concezione della potestà genitoriale in termini di esercizio di funzione, di ufficio, elaborata già in epoca anteriore alla riforma del diritto della famiglia del 1975 dalla giurisprudenza della Suprema Corte, è da allora costantemente accolta senza riserve al punto da assurgere al rango di principio di diritto vivente. Cfr., ex multis, Cass. 11 gennaio 1978 n. 83; Cass. 2 giugno 1983 n. 3776 (in Dir. fam. pers., 1984, I, 39 ss.; in Giur. it., 1983, I, 1, 1352); Cass. 14 aprile 1988 n. 2964, in Foro it., 1929, I, 466 ss.

(12) Il regolamento n. 2201/2003/CE (in G.U.C.E. 23 dicembre 2003 n. 338 ed entrato in vigore il 1° marzo 2005 in tutti i Paesi dell'Unione europea), si prefigge l'obiettivo di tutelare non soltanto i figli minorenni, qualora la situazione lo richieda ma anche i familiari in genere che vengono a trovarsi in situazioni in senso lato di «debolezza». Al fine di garantire un'applicazione quanto più ampia possibile del regolamento, agevolando le ratifiche e le adesioni, tali strumenti internazionali, non impongono agli Stati contraenti soluzioni di diritto sostanziale uniforme, ma predefiniscono pragmaticamente uno standard minimo di garanzie procedurali. Per una prima analisi, si rinvia a BIAGIONI, Il nuovo regolamento comunitario sulla giurisdizione e

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sull'efficacia delle decisioni in materia matrimoniale e di responsabilità dei genitori. Commento a Reg.CE 2201/2003, in Riv. dir. intern., 2004, 991; CONTI, Il nuovo regolamento comunitario in materia matrimoniale e di potestà parentale, in Fam. dir., 2004, 291; DI LIETO, Il regolamento n. 2201/2003 relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale. Commento a Reg.CE 2201/2003, in Dir. comunit., 2004, 117; in materia, cfr. altresì, oltre al LONG, L'impatto del Regolamento CE 2201/2003 sul diritto di famiglia italiano: tra diritto internazionale privato e diritto sostanziale, cit., 1127 ss., Cass. 20 dicembre 2006 n. 27188 (in Fam. dir., 2007, 697 ss., con nota di FITTIPALDI, Regolamento CE 2201/03 ed esecuzione delle decisioni di modifica dell'affidamento di un minore trasferito all'estero: tutt'ora si rende necessario l'exequatur del giudice straniero; in Fam. pers. succ., 2007, 888 ss., con nota di TEDIOLI, Regolamento CE 2201/03 ed esecuzione delle decisioni in tema di affidamento dei minori).

(13) GIACOBBE G., Potestà dei genitori e progetto educativo, cit., passim, specialmente 121, il quale proietta la realizzazione del progetto educativo anche alla sfera pubblicistica sulla scorta dell'art. 33 cost.

(14) È opportuno ricordare quello che il POCAR (Presidente del Centro per la riforma del diritto di famiglia di Milano) colse al II Encuentro Internacional sobre Protecciòn Juridica de la familia y del Menor tenutosi a La Havana (Cuba) nel novembre del 1997, in La tutela del minore e la legge in Italia e nel mondo, Milano 2000, 13 ss.: «[...] La questione minorile da un lato sottolinea con crudezza le disuguaglianze tra le diverse aree geografiche ed impone scelte strategiche differenti e dall'altro rivela la discrasia tra le regole giuridiche formali e l'effettività degli interventi; [...] al di là delle differenze si possono trovare delle tendenze evolutive di carattere generale anche se con gradi di sviluppo ancora molto diversi ma pur sempre [...] considerando l'interesse del minore come concetto prevalente e come criterio guida dell'interpretazione e dell'applicazione di quelle medesime regole giuridiche che coinvolgono i minori [...]. Corretti e mirati interventi normativi di politica sociale, uniti ad investimenti di risorse, dovranno cercare di diminuire le ingiustizie sociali (familiari, lavorative...) nelle quali il minore viene ad essere vittima indifesa. A livello internazionale, i primi segni di uno spiccato interesse per l'infanzia, in un'ottica nuova, che vede il minore come "soggetto di diritti", risale al secolo scorso: nel 1902, venne approvata una Convenzione sulla tutela del minore, il cui principale merito è la fissazione a quattordici anni dell'età minima per accedere al lavoro nelle industrie; particolare menzione merita la Dichiarazione di Ginevra sui diritti del fanciullo approvata nel 1924 in seno all'Assemblea generale delle Nazioni Unite. La grande svolta risiede nel considerare il minore come destinatario di attenzioni in quanto soggetto debole da tutelare. Per lo stretto legame con la tutela dei minori, non può essere tralasciata la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948, in cui si attribuisce grande rilevanza educativa e sociale alla famiglia. Si deve inoltre ricordare la Dichiarazione dei diritti del fanciullo approvata nel 1959 quale massima espressione della presa di coscienza dei diritti inalienabili del minore. L'ultimo intervento normativo da parte dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, risale al 1989, data in cui venne approvata a New York la Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia. A livello europeo esiste un successivo strumento per la tutela del minore: si tratta della Convenzione di Strasburgo del 1996, sull'esercizio dei diritti dei minori in ambito processuale dove si stabilisce l'ascolto del minore e si pone la figura del suo avvocato su un piano di parità rispetto alle parti conferendogli gli stessi poteri. Per un approfondimento sull'argomento, cfr. La tutela del minore e la legge in Italia e nel mondo, cit., 65 ss.; Codice della mediazione familiare, Milano 2002, passim.

(15) TRABUCCHI, La procreazione e il concetto giuridico di paternità e maternità.

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Cinquant'anni di esperienza giuridica, Padova 1988, 565. L'interesse in oggetto viene anche interpretato quale canone per la salvaguardia e l'assistenza del minore in un'ottica di armonizzazione sovranazionale ed extranazio nale dei principi in materia: v., in tal senso, QUADRI, La nuova legge sul divorzio, II. Presupposti, profili personali e processuali, Napoli 1988, 103.

(16) SESTA, Le nuove norme sull'affidamento condiviso: profili sostanziali, cit., 377 ss.

(17) Pone in evidenza l'attuale tendenza a promuovere il valore della persona umana come individuo anche nell'ambito delle relazioni familiari, MESSINETTI, Diritti della famiglia e identità della persona, in Riv. dir. civ., 2005, I, 146, il quale non mette di sottolineare come «l'ordinamento giuridico, anche e soprattutto in questo momento di grandi trasformazioni - e, se vogliamo, di confusione - è chiamato ad occuparsi dei rapporti familiari innanzitutto per salvaguardare i diritti fondamentali dei singoli e precisare i doveri che da tali rapporti discendono». Cfr., sul punto, SCALISI, La «famiglia» e le «famiglie», in La riforma del diritto di famiglia dieci anni dopo. Bilanci e prospettive (Atti del Convegno di Verona 14-15 giugno 1985 dedicato alla memoria di Luigi Carraro), Padova 1986, 273 s., nonché PERLINGIERI, Sui rapporti personali nella famiglia, in Rapporti personali nella famiglia a cura di PERLIGIERI, Napoli 1982, 19. L'attento autore, primo tra i promotori del valore intrinseco della persona umana nell'ordinamento giuridico, rileva che «la famiglia, in altri termini, è sottoposta a un giudizio di meritevolezza ed è valore costituzionalmente garantito condizionatamente alla sua conformità e comunque alla sua non contrarietà ai valori caratterizzanti i rapporti civili e in particolare al rispetto della dignità umana». Da ultimo, RUSCELLO, Lineamenti di diritto di famiglia, Milano 2005, 13.

(18) Sul punto v. le attente osservazioni di BIANCA C.M., Il diritto del minore a conservare rapporti significativi con gli ascendenti, in L'affido condiviso, cit., 163 ss.

(19) Sulla scorta della nuova formulazione dell'art. 155 c.c., taluni ritiene infatti che il giudice non abbia facoltà di omologare eventuali accordi fra i genitori che dovessero prevedere che il minore rimanga affidato, senza fondati motivi, ad uno solo dei genitori ovvero che dovessero escludere il rapporto con un ramo parentale, essendo lesivi, entrambi gli accordi, dei diritti garantiti al minore. In tal senso, FINOCCHIARO M., Non omologabili gli accordi che escludono i nonni, in Guida al diritto, 2006, n. 11, p. 27 ss.

(20) Osserva attentamente BALESTRA, Brevi notazioni sulla recente legge in tema di affidamento condiviso, cit., 657, che, posto che obiettivo della legge è la responsabilizzazione dei genitori, ad integrare gli estremi della contrarietà all'interesse del minore non sarà sufficiente il fatto che tra costoro sussistano dissapori e contrasti; occorrerà piuttosto riscontrare l'esistenza di circostanze concernenti l'uno o l'altro genitore - e non, dunque, i reciproci rapporti - che si ripercuotano ex se sulla vita del minore ed i cui effetti pregiudizievoli rischierebbero di essere amplificati da un provvedimento di affidamento condiviso; Contra, LOVATI, Affidamento condiviso dei figli: luci e ombre della nuova legge, cit., 168.

(21) Il comma 3 dell'art. 155 c.c. afferma, difatti: «La potestà è esercitata da entrambi i genitori». Sul punto, Trib. Catania 1° giugno 2006, ove il giudice del merito, attraverso un'interpretazione sistematica delle disposizioni della legge sull'affido condiviso confortata dal tenore dei lavori preparatori e dal richiamo al principio di non contraddizione, specifica come la locuzione di cui al testé richiamato comma 3 dell'art. 155 è da ritenersi riferita al solo affidamento condiviso, fermo restando che il genitore non affidatario conserva la titolarità della potestà, con quel che ne consegue come nel regime ante riforma; cfr., inoltre, Trib. min. Bologna 26 aprile 2006 secondo cui, determinando l'affidamento ad entrambi i genitori l'esercizio

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della potestà genitoriale da parte degli stessi, essi dovranno assumere di comune accordo le decisioni di maggior interesse per la prole relativamente all'istruzione, alla educazione ed alla salute tenendo conto dei bisogni, delle capacità nonché delle inclinazioni naturali ed aspirazioni; viceversa, ciascuno dei genitori eserciterà la potestà separatamente nelle questioni di ordinaria amministrazione. Peraltro, secondo Trib. Chieti 28 giugno 2006, il giudice, decidendo sui tempi e sulle modalità della presenza presso ciascun genitore del minore, salvo diverso accordo intervenuto tra le parti, può disporre la eguale permanenza presso entrambi i genitori.

(22) Ci si riferisce in particolare a BALLARANI, Potestà genitoriale e interesse del minore: affidamento condiviso, affidamento esclusivo e mutamenti, in L'affidamento condiviso, cit., 29 ss. (23) Evidenzia il problema, in particolare, PATTI, L'affidamento condiviso dei figli, cit., passim.(24) In tal senso, BALLARANI, Potestà genitoriale e interesse del minore, cit., 44. (25) Taluni in dottrina hanno argomentato l'interpretazione in questo senso muovendo proprio dall'analisi del tenore letterale dell'art. 155 c.c., riflettendo sulla scelta legislativa di adottare il termine «condiviso» in luogo di «congiunto» (termine adoperato nella normativa sul divorzio), rilevando la differente matrice etimologica e la non coincidenza semantica tra i termini: v., in tal senso, BALLARANI, Potestà genitoriale e interesse del minore, cit., 44, nt. 26; nel pensiero dell'autore, «con-giungere» e «con-dividere», sembrano essere descrittivi invero di opposte modalità dell'agire in comune, l'una - la prima - volta a sottolineare l'intima connessione, l'unione, la non scissione nell'agire; l'altra - la seconda - informata alla divisione, è volta a significare l'esistenza di un nesso di unione tra ciò che è diviso, ma che, pur attendendo ad una funzione partecipativa - rimane diviso.

(26) Così, BALLARANI, Potestà genitoriale e interesse del minore: affidamento condiviso, affidamento esclusivo e mutamenti, cit., 29 ss.

(27) Si rinvia, sul punto, a quanto osservato da TOMMASEO,Riflessioni sul processo civile minorile, in Scritti in onore di P. Schlesinger, Milano 2004, 3827, il quale ravvisa nell'interesse del minore, oltre che l'obiettivo da raggiungere, anche «la regola di giudizio e misura della giustizia del provvedimento».

(28) Cfr., sul punto, BALLARANI, op. cit., 48 ss., specialmente 52.

(29) In tema, di notevole interesse è la lettura dei principi espressi dalla Corte europea dei diritti dell'uomo; ci si vuol riferire in particolare alla sentenza 28 ottobre 2004 (in www.giustizia.it.) in tema di affidamento familiare, ove la Corte ricorda che lo scopo ultimo dell'istituto è quello di riunire il genitore naturale e il minore dovendosi trovare un giusto equilibrio tra l'interesse del minore a restare in affidamento e quello del genitore a vivere con lui. V. inoltre, le riflessioni sociologiche svolte da POKAR, RONFANI, La famiglia e il diritto, Bari 2003. Cfr., da ultimo, RUSCELLO, La tutela dei figli nel nuovo «affido condiviso», cit., 645.

(30) Contra, sul punto, ZANETTI VITALI, La separazione personale dei coniugi, in Il Codice civile. Commentario diretto da SCHLESINGER, cit., sub art. 155 c.c., Milano 2006, 303 ss.; secondo PUGLIESE, in Fam., 2006, 1059 s., «dal tenore letterale del comma 2 del nuovo art. 155 c.c., sembrerebbe emergere che la scelta per un affidamento condiviso, piuttosto che per un affidamento esclusivo debba essere valutata prioritariamente; tale avverbio potrebbe essere interpretato, tuttavia, come equivalente a prima, ma non con un qualche ordine di preferenza diverso rispetto alla sua astratta ipotizzazione in termini temporali; inoltre, la finalità indicata dal comma 1 sembrerebbe poter essere ugualmente soddisfatta con un affidamento condiviso o esclusivo, data la congiunzione oppure. Al contrario, è possibile osservare che, se il

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legislatore avesse ritenuto i due tipi di affidamento ora previsti dalla legge, quello esclusivo e quello condiviso, come entrambi potenzialmente idonei a realizzare l'interesse del minore, interpretato dal giudice in base alla sua opinione sulla vicenda del caso concreto, non sarebbe stata necessaria un'intera riforma della disciplina dell'affidamento»; afferma, inoltre, D'AVACK, L'affidamento condiviso tra regole giuridiche e discrezionalità del giudice, in L'affidamento condiviso, cit., 19 ss., che, «l'affido monoparentale è una soluzione in contrasto con lo spirito della novella anche se proposta congiuntamente dalle parti, essendo prevista come modalità meramente residuale. Il giudice dovrebbe, allora, chiedere spiegazione ai coniugi che la propongono e solo a fronte di gravi e convincenti motivi (non certo la mera conflittualità o la maggiore o minore distanza fra le residenze) accoglierla o, in caso contrario, non omologare la separazione o non pronunciare il divorzio alle condizioni proposte dalle parti». Secondo l'autore, «è compito, peraltro degli avvocati richiamare l'attenzione del cliente sulle conseguenze che l'adesione ad una scelta di affido monoparentale necessariamente comporta. Certamente quella di ingenerare l'idea che il genitore non affidatario non offra garanzie e capacità sufficienti a prendersi cura del minore, o che comunque egli non intenda interessarsi alle esigenze quotidiane dello stesso. Purché con il termine «affidamento» non si voglia intendere la mera domiciliazione del minore presso l'uno o l'altro genitore e con le clausole dell'accordo si ribadisca nel complesso l'obbligo di questi ultimi a mantenere un rapporto equilibrato, responsabile e continuativo con il minore tale da garantirgli un corretto sviluppo psicofisico». Seppure astrattamente la tesi può rinvenire il proprio fondamento nei principi di deontologia professionale forense; a ben vedere, la tesi in parola sembra forzata nella parte in cui prevede, quasi fosse un obbligo per il legale, il fatto che questi abbia il compito di avvisare la parte dei rischi di un affido monoparentale, se non volendosi intendere la tesi nel senso che il legale avrà il dovere di prospettare le conseguenze - giuridiche, e non di certo personali - di una eventuale richiesta pretestuosa al giudice in tal senso.

(31) Contra, PUGLIESE, Interesse del minore, potestà dei genitori, cit., 1060 ss.

(32) Sul punto, autorevole dottrina, PIGNATARO, Separazione personale dei coniugi, cit., 290, osserva come il carattere residuale dell'affidamento esclusivo determini un effetto di compressione del potere di autoregolamentazione negoziale tra i genitori in materia, in ragione del fatto che «il loro accordo non è più condizione sufficiente per adottare la diversa modalità» dell'affido esclusivo, dovendosi fornire «prova del grave pregiudizio che al minore deriverebbe dall'esercizio congiunto della potestà» (p. 290; ma contra, Trib. Catania 1° giugno 2006), tenendo sempre conto del disposto di cui al comma 2 dell'art. 155-sexies, che consente al giudice di rinviare l'adozione del provvedimento al fine di permettere ai genitori di addivenire ad un accordo attraverso l'ausilio della mediazione. In tal caso il giudice confronterà gli estremi dell'accordo cui sono giunti i genitori, con il preminente interesse del minore, potendo poi eventualmente decidere di non tenerne conto perché lesivo di quest'ultimo. In proposito, cfr. anche Trib. Napoli 16 dicembre 1999, in Giur. napoletana, 2000, 69 ss.

(33) L'intento del legislatore di limitare ad ipotesi tassative l'esclusione di un genitore dall'affidamento è stato mitigato nel corso dei lavori preparatori. Infatti, mentre nell'originaria proposta 66/C Tarditi, l'affidamento esclusivo poteva essere disposto nei casi previsti dagli art. 564 e 569 c.p. (incesto e pena accessoria della decadenza dalla potestà genitoriale) o per quanto previsto agli art. 330 e 333 c.c., il primo testo unificato, elaborato in seno alla Commissione Giustizia (c.d. «Paniz I») subordinava tale esclusione alla dimostrazione dei presupposti per l'applicazione degli art. 330 e 333 c.c. e, da ultimo, il c.d. «Paniz III» affiancava a tali presupposti l'eventualità che dall'affidamento a quel genitore potesse derivare pregiudizio al minore. Per un'analisi dei testi elaborati in seno alla Commissione, cfr. RENDA, Affidamento congiunto:

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problemi e prospettive (seconda parte), in Dir. fam. pers., 2004, II, 1692 ss.

(34) In particolare, secondo Cass. 24 aprile 2007 n. 16559, «in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, i provvedimenti adottati ai sensi dell'art. 330 c.c. hanno la funzione di impedire che la prole subisca pregiudizi a causa della condotta dei genitori, ma non hanno alcuna valenza liberatoria rispetto agli obblighi dai quali il soggetto, nei confronti del quale è pronunciata la decadenza, è gravato nei confronti dei figli nella sua qualità di genitore, e, segnatamente, rispetto all'obbligo di provvedere al loro mantenimento». La Suprema Corte ha così escluso qualsivoglia valenza liberatoria della intervenuta decadenza dalla potestà genitoriale rispetto agli obblighi penalmente sanzionati gravanti sui genitori; pertanto, ha confermato il provvedimento impugnato che aveva condannato il ricorrente per il delitto di cui all'art. 570 c.p. (rubricato «Violazione degli obblighi di assistenza familiare»), contestatogli per aver fatto mancare, in un periodo ben determinato dell'anno, i mezzi di sussistenza sia alla moglie che ai figli minori. Sull'importanza dell'obbligo di mantenimento della prole, cfr. C. cost. 28 novembre 2002 n. 494, in Diritto e giustizia, 2002, n. 44, p. 26; in particolare, sulla rilevanza della violazione del dovere di mantenimento dei figli minori, ai fini della decisione sulla forma di affidamento della prole nei giudizi di separazione e divorzio (condiviso od esclusivo), cfr. Trib. Catania 14 gennaio 2007, in ordine al quale v., infra, § 6, sub lett. d.

(35) In tal senso, l'art. 155-quater comma 2 c.c. prevede che il cambio di residenza o di domicilio di uno dei due coniugi consenta all'altro coniuge di chiedere la ridefinizione degli accordi o dei provvedimenti adottati se il mutamento interferisce con le modalità dell'affidamento; ridefinizione che può coinvolgere anche i provvedimenti emessi nella vigenza della precedente disciplina divorzile. In tal senso, v. Trib. Santa Maria Capua Vetere 14 settembre 1993, in Giur. merito, 1994, 266 ss., con nota di MANERA, I limiti di applicabilità dell'affidamento congiunto; Trib. Min. Genova 16 agosto 1999, in Fam. dir., 2000, 189 s.; Trib. Milano 9 novembre 2000, in Gius., 2001, 1613 ss. Contra, App. Caltanissetta, ord. 29 luglio 2006, in Fam. min., 2007, III, 76 ss.

(36) V., per tutti, PADALINO, L'affidamento condiviso dei figli, cit., 120 ss.

(37) La collocazione dei diversi piani su cui operano questi rapporti è ben rappresentata dai due distinti motivi che possono legittimare la richiesta di separazione giudiziale dei coniugi ex art. 151 c.c.: da un lato, il verificarsi di fatti tali da rendere intollerabile (quindi fortemente conflittuale) la prosecuzione della convivenza tra i coniugi, e, dall'altro, il verificarsi di fatti, posti in essere dai genitori, tali da recare grave pregiudizio all'educazione della prole.

(38) In tal senso, Trib. Napoli 9 giugno 2006, in Fam. dir., 2007, 621 ss., il quale ha evidenziato, nella motivazione della sentenza, che «la conflittualità tra i genitori può ostare all'applicazione dell'affidamento condiviso se in grado di porre tale forma di affidamento in contrasto con l'interesse del minore. Ciò si realizza qualora detto conflitto - di per sé non sufficiente a disporre l'affidamento monogenitoriale - si sostanzi nella negazione da parte di un coniuge della capacità genitoriale dell'altro. Infatti, l'affidamento condiviso presuppone almeno il reciproco riconoscersi adatti da parte dei genitori, ossia, in altri termini, la consapevolezza di ciascuno di essi di dover fornire e favorire un paritario accesso del minore alla figura dell'altro, pur se portatore di cultura, personalità, idee, diverse da quelle proprie».

(39) Trib. Firenze 22 aprile 2006, in Fam. dir., 2006, 291 ss. Nello stesso senso, cfr. anche App. Napoli, sez. min., decr. 22 marzo 2006, in Foro it., 2007, I, 138.

(40) V., sul punto, Trib. Catania, ord. 18 maggio 2006; Trib. Pisa 9 maggio 2007.

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(41) Cfr. Cass. 9 maggio 1985 n. 2882, in questa Rivista, 1985, I, 2535. Cfr. anche Cass. 2 giugno 1983 n. 3776, cit., 1352; BRECCIA, Separazione personale dei coniugi, in D. disc. priv. sez. civ., XVIII, Torino 1998, 395 ss. E per un documentato quadro di sintesi, FERRANDO, Affidamento dei figli, in Enc. dir., Aggiornamento I, Milano 1997, 57 ss.

(42) BRECCIA, Separazione personale dei coniugi, cit.; MENGONI, Affidamento del minore nei casi di separazione e divorzio, in Ius., 1983, 241.

(43) Cfr., sul punto, Trib. Catania, ord. 1° giugno 2006.

(44) In tal senso, SESTA, Le nuove norme sull'affidamento condiviso: profili sostanziali, cit., 382 ss.; in argomento cfr. anche BALESTRA, Brevi notazioni sulla recente legge in tema di affidamento condiviso, cit., 655.

(45) Contra, in giurisprudenza, Trib. min. Trento, decr. 11 aprile 2006, secondo il quale «anche in caso di affidamento esclusivo, la potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori e le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all'istruzione, all'educazione e alla salute sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell'inclinazione e delle aspirazioni dei figli; ne consegue che i genitori si dovranno impegnare a collaborare per l'individuazione di occasioni e modalità di incontro che, in relazione alla progressiva crescita del loro figlio, garantiscano lo sviluppo di un rapporto costante, sereno e costruttivo tra il minore e ciascuno dei genitori». Nello stesso senso, App. Napoli, decr. 22 marzo 2006, cit., il quale ha il pregio di osservare che «in tema di affidamento di figli di genitori non coniugati, anche a seguito dell'affidamento esclusivo della figlia minorenne alla madre, la potestà genitoriale va attribuita ad entrambi i genitori, ai sensi del nuovo testo dell'art. 155 c.c.; ciò al fine di garantire una maggiore presenza del genitore non affidatario nella vita della minore. Ne consegue che le decisioni di maggiore interesse, relative all'istruzione, all'educazione ed alla salute della figlia, saranno assunte dai genitori di comune accordo, mentre le questioni di ordinaria amministrazione rimarranno di competenza del solo genitore non affidatario». La Corte ha ritenuto, con tale provvedimento, di garantire una maggiore presenza del genitore non affidatario nella vita della figlia minorenne, attribuendo ad entrambi i genitori la potestà genitoriale.

(46) SESTA, op. cit., 381, là dove si afferma che «l'esercizio della potestà va quindi attribuito ragionevolmente in funzione del tipo di affidamento prescelto, sicché proprio in caso di affidamento esclusivo il giudice è necessariamente chiamato a regolarne l'esercizio in modo differenziato».

(47) «In tema di affidamento condiviso della prole, la regolamentazione dei rapporti genitore-figlio vuole contemperare il diritto del minore alla bigenitorialità con l'esigenza che il suo attuale consolidato assetto di vita risulti il meno possibile alterato, fermo restando che la disposta regolamentazione è suscettibile di tutte le modifiche che in un futuro, anche prossimo, si rendessero necessarie o solo opportune». Così Trib. Bari, ord. 11 luglio 2006.

(48) «In tema di affidamento dei figli, la legge di riforma ha inteso prevedere come regola quella che prima era un'eccezione, riaffermando così il diritto dei minori alla bigenitorialità [...]; l'affidamento esclusivo dei figli, può essere adottato, in via di eccezione, solo in presenza del manifestarsi di concrete ragioni contrarie all'interesse del minore che lo giustifichino [...]». Così, Trib. Catania, ord. 1° giugno 2006, cit.

(49) Ci si riferisce, in particolare a Trib. Napoli 9 giugno 2006, cit., nella quale il

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tribunale, ha statuito che «la omosessualità - mera condizione personale di per sé irrilevante - non possa essere elemento fondante delle determinazioni del giudice sull'affidamento dei figli minori a meno che, in concreto, non vengano accertate conseguenze negative sul rapporto genitore-figlio o sull'equilibrato sviluppo psico-fisico di quest'ultimo». Peraltro, (nel caso specifico), il tribunale ha disposto l'affidamento esclusivo alla madre sul rilievo che la gravissima conflittualità esistente tra i coniugi, tale da portare alla stessa negazione dell'attitudine genitoriale da parte dell'uno nei confronti dell'altro, fosse incompatibile con il nuovo istituto. In merito alla suindicata sentenza, si riporta l'opinione di IANNACONE, op. cit., 629 s.; secondo l'autore, da questa sentenza si evince che il miglior interesse del minore è dato dalla realizzazione dei suoi bisogni; in tal senso, il Tribunale osserva, si ritiene correttamente, che ai fini della decisione sull'affidamento risulta essere del tutto irrilevante la tendenza sessuale dei genitori (e v'è da precisarsi, ovviamente: salvo eventuali tendenze devianti), e più in generale qualsiasi scelta attinente a modelli comportamentali, sempre che non si riscontri in concreto un pregiudizio per il minore. Secondo l'autore, tale sentenza merita adesione, atteso che «viene accolta la neutralità del giudice, che non può e non deve lasciar prevalere» le proprie personali convinzioni circa lo stile di vita o le scelte personali dei coniugi in conflitto.

(50) Delle sentenze di merito che di seguito saranno citate, quelle non pubblicate in riviste o in altre opere cartacee sono reperibili nel sito internet www.affidamentocondiviso.it

(51) In Dir. fam. pers., 2007, I, 1719 ss.

(52) In merito all'assegnazione della casa familiare, il giudice ha disposto che quest'ultima «deve essere assegnata alla madre e, per quel che riguarda le modalità di visita, queste vanno disposte conformemente all'ordinanza presidenziale prevedendo che il padre veda il figlio una volta alla settimana alla presenza di un operatore sociale o della madre i quali, valutate le condizioni del padre, potranno acconsentire che egli si allontani con il figlio»; così, Trib. Firenze 25 ottobre 2006; la Cassazione ha peraltro precisato, di recente, che l'eventuale affidamento congiunto, per le sue finalità riguardanti gli interessi dei figli, non esclude l'obbligo del versamento di un contributo, ove ne sussistano i presupposti, a favore del genitore con cui i figli stessi convivono (e tale principio trova significativa conferma nella l. n. 54 del 2006 sull'affidamento condiviso): in tal senso, Cass. 18 agosto 2006 n. 18187, cit.

(53) Nella specie, il Tribunale di Catania, in applicazione del riferito principio di diritto, ha rigettato la richiesta con cui il padre - a modifica delle condizioni del divorzio - aveva chiesto l'affidamento della figlia minore ad entrambi i genitori (con consequenziale sostituzione del regime di contribuzione indiretto con quello diretto).

(54) Così testualmente nel decreto. In argomento, Cass. 23 maggio 1997 n. 4619, in Vita not., 1997, 807, secondo la quale, «perché si realizzi lo stato di abbandono che giustifica la dichiarazione di adottabilità di un minore, non è necessario che da parte dei genitori vi sia una precisa volontà di abbandonare il figlio, essendo sufficiente che essi tengano un comportamento inconciliabile con i diritti-doveri loro imposti dall'art. 147 c.c. e dall'art. 30 cost.; ne consegue che anche le anomalie della personalità dei genitori possono rilevare ai fini dell'accertamento dello stato di abbandono, sempre che si traducano in incapacità di allevare ed educare i figli tale da produrre danni irreversibili al loro sviluppo ed equilibrio psichico»; v., inoltre, Cass. 4 novembre 1996 n. 9576, in questa Rivista, 1996, I, 3131, con nota di GIACALONE, Sulla situazione di abbandono del minore straniero.

(55) Inoltre, sempre secondo tale Tribunale, «va tuttavia respinta la domanda di

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addebito formulata dall'attrice nei confronti del convenuto, tenuto conto che la parte attrice non ha articolato alcuna prova relativamente all'asserito comportamento del coniuge che avrebbe determinato la frattura del rapporto coniugale e la sua conseguente scelta di allontanarsi dal domicilio familiare. In proposito va sottolineato che il comportamento del coniuge successivo all'instaurazione del giudizio, e pertanto all'insorgenza della crisi coniugale, è un indizio di per sé labile e contraddittorio e di conseguenza insufficiente ai fini della pronuncia dell'addebito in assenza di altri elementi probatori al riguardo, relativi alla esistenza dei comportamenti contestati ed alla sussistenza del nesso di causalità tra detti comportamenti e la frattura del rapporto coniugale». Cfr., sul punto, Cass. 11 giugno 2005 n. 12383; Cass. 28 settembre 2001 n. 12136. Per maggiori approfondimenti sul tema della violazione del dovere di mantenimento, cfr. Trib. Pisa 9 maggio 2007, cit.

(56) V. supra, nt. 39.

(57) Nello stesso senso, Trib. min. Catanzaro 28 novembre 2006, cit., secondo il quale «il genitore affidatario ha l'obbligo di cooperare per la realizzazione del diritto di visita del coniuge non affidatario, assumendo le opportune e necessarie iniziative per consentire al figlio il recupero della figura paterna o materna. Inoltre, «entrambi i genitori hanno l'obbligo di adoperarsi, a pena di decadenza dalla potestà genitoriale, per consentire al minore il recupero del rapporto con il padre». È opportuno affidare, secondo il Tribunale, il minore ai servizi sociali per la predisposizione di un supporto psicologico diretto a far comprendere l'importanza del recupero del rapporto padre-figlio, attraverso la realizzazione di un intervento di mediazione familiare». Nel caso di specie, i giudici di Catanzaro hanno stabilito che la madre non aveva assunto le opportune iniziative per consentire il recupero della figura paterna. Osserva TROTTA, op. cit., in nota a questa sentenza, che «è opportuno ricordare come nella pronuncia della Corte europea dei diritti dell'uomo 22 novembre 2005, si afferma che il mancato rispetto del diritto di visita si traduce in una violazione del fondamentale diritto al rispetto della vita privata e familiare». Cfr. inoltre, Cass. 4 ottobre 2003 n. 37814. In senso conforme si è espressa autorevole dottrina: CASSANO, Rapporti tra genitori e figli, illecito civile e responsabilità: la rivoluzione giurisprudenziale degli ultimi anni alla luce del danno esistenziale, in Dir. fam. pers., 2006, II, 2009 s., secondo cui «la responsabilità di un genitore nei confronti del figlio può sussistere anche nell'ipotesi in cui impedisca, ostacoli, o comunque non agevoli i rapporti dello stesso con l'altro genitore, perpetrando, il più delle volte, la mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice, prevista e punita dall'art. 388, comma 2 c.p.». Integra, inoltre, il reato in parola il comportamento del coniuge che non osservi i provvedimenti dati dal giudice di primo grado in tema di affidamento dei figli minori; cfr., a tal proposito, Cass. pen. 16 marzo 2000 n. 4730.

(58) TOMMASEO, L'interesse dei minori e la nuova legge sull'affidamento condiviso, cit., 295, ss., in nota a questa sentenza, afferma che è necessario «percepire in concreto l'interesse del minore: tale è il criterio che questa sentenza indica come fondamento dell'opzione tra affidamento condiviso ed esclusivo». Secondo l'autore, «è di particolare interesse il percorso istruttorio seguito per cogliere la volontà del minore e le indicazioni operative per superare la ripulsa del minore verso il genitore non affidatario».

(59) V., supra, nt. 39.

(60) Con riferimento ad una diversa fattispecie, cfr. Cass. pen., 24 luglio 2007 n. 30150, che ha avuto il pregio di osservare che, «in tema di mancata esecuzione di un provvedimento del giudice civile concernente l'affidamento di una figlia minore, la volontà contraria di quest'ultima ad incontrare il genitore non affidatario (nella specie: la madre) - specie se prolungatasi per un periodo non breve - non può

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costituire valida causa di esclusione della colpevolezza, tenuto conto che il genitore affidatario avrebbe potuto rappresentare la predetta asserita volontà della prole al giudice civile per la modifica del provvedimento autorizzativo degli incontri tra madre e figlia. Ne discende che il carattere nient'affatto transitorio della descritta situazione, suffragato dal consapevole dissenso del genitore affidatario nell'ottemperare al provvedimento giudiziale, costituisce dato senz'altro sufficiente per ritenere manifesta la sua volontà (dolo del reato) di eluderne l'esecuzione». In senso conforme, Cass. pen. 20 gennaio 1997 n. 2720, in Cass. pen., 1998, 482, nonché, Cass. pen. 7 luglio 1978 n. 9052. Con riferimento ad una fattispecie in cui il minore aveva manifestato una volontà contraria ad incontrare il genitore non affidatario, cfr. Cass. pen. 10 giugno 2004, secondo cui: «l'elusione dell'esecuzione di un provvedimento del giudice civile che concerna l'affidamento di minori può connettersi ad un qualunque comportamento da cui derivi la frustrazione delle legittime pretese altrui, compresi gli atteggiamenti di mero carattere omissivo; ne consegue la rilevanza penale della condotta del genitore affidatario il quale, esternando al figlio un atteggiamento di rifiuto a proposito degli incontri con il genitore separato, non si attivi affinché il minore maturi un atteggiamento psicologico favorevole allo sviluppo di un equilibrato rapporto con l'altro genitore (nella specie, la Corte ha peraltro rilevato la dipendenza dell'atteggiamento di rifiuto del minore dalla forte conflittualità espressa dal genitore affidatario nei confronti del coniuge, escludendo per tale ragione che potesse rilevare quale giustificato motivo per il comportamento dello stesso affidatario, pure improntato ad un formale rispetto delle prescrizioni giudiziali)».

(61) Tale regolamentazione dell'esercizio della potestà, specie in ordine alle decisioni sulle questioni di ordinaria amministrazione, è da ritenersi del tutto coerente con la sospensione dell'esercizio del diritto di visita del genitore non affidatario, così come disposto dalla Corte territoriale.

(62) In questa Rivista, 1998, I, 1285, con note di CHIMENTI, L'interesse del minore di età e profili di rilevanza del consenso, e di MANERA, Osservazioni sull'esclusione del diritto di visita del genitore non affidatario qualora il figlio adolescente nutra sentimenti di profonda avversione o ripulsa nei suoi confronti.

(63) In Dir. fam. pers., 1999, I, 1003.

(64) In Fam. min., 2007, III, 70 s.

(65) In Dir. fam. pers., 2007, I, 1706 ss. Nel caso di specie, è da notare che esiste una situazione di forte conflittualità coniugale, con esplicitazione dei sentimenti di rancore anche in presenza dei figli, i quali si sono venuti a trovare in una situazione di triangolazione, con forti richieste di alleanze da parte dei genitori. Si legge nella motivazione della sentenza che il figlio aveva un atteggiamento ambivalente nei confronti del padre: da un lato vi era infatti un grosso desiderio di accettazione ed affettività verso il padre, ma dall'altro il minore era rimasto traumatizzato dai vari episodi di aggressività fisica e verbale manifestati nei confronti della madre. Per tal motivo, erano stati previsti incontri protetti e l'ausilio dei servizi sociali per favorire una distensione dei rapporti tra i genitori. Inoltre, il Tribunale deve, a ben vedere, secondo il provvedimento in esame, disciplinare il diritto del coniuge non affidatario a mantenere vivo il rapporto affettivo con il figlio, potendo anche prevedere cautele e restrizioni agli incontri, arrivando, in situazioni altamente pregiudizievoli per il minore fino a sospenderli del tutto. Cfr., sul punto, Cass. 17 gennaio 1996 n. 364; Cass. 12 luglio 1994 n. 6548; Cass. 9 luglio 1989 n. 3249; Cass. 9 maggio 1985 n. 2882; Cass. 13 dicembre 1980 n. 6446.

(66) Cfr. anche Trib. Napoli 9 giugno 2006, cit.; da ultimo, Cass. 19 giugno 2008 n.

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16593.

(67) Peraltro, il medesimo organo ha confermato l'orientamento in parola con Trib. Messina 5 aprile 2007, in Dir. fam. pers., 2007, I, 1795 ss. In senso conforme, Trib. Catania 1° giugno 2006, secondo cui: «in tema di affidamento dei figli, la legge di riforma ha inteso prevedere come regola quella che prima era un'eccezione, riaffermando così il diritto dei minori alla bigenitorialità; ne consegue che l'affidamento condiviso non può ritenersi precluso, di per sé, dalla mera conflittualità esistente tra i coniugi, poiché altrimenti tale istituto avrebbe solo un'applicazione residuale, coincidente con il vecchio affidamento congiunto, e ciò, anche, considerando che uno dei coniugi potrebbe strumentalmente innescare, in via unilaterale, i conflitti al fine, magari, di orientare il decidente verso un affidamento monogenitoriale».

(68) I giudici d'appello hanno dimostrato di aver aderito al maggioritario orientamento giurisprudenziale secondo cui la forte e accesa conflittualità tra i coniugi non costituisce motivo sufficiente per ritenere che l'affidamento all'altro genitore sia contrario all'interesse del minore (arg. ex art. 155-bis c.c.). Deve osservarsi che la Corte d'appello di Trento, cogliendo appieno la ratio della l. n. 54, cit., nel senso di favorire l'acquisizione da parte dei genitori della capacità di gestire una genitorialità effettivamente condivisa (e, quindi favorire un cambiamento culturale nei rapporti genitore-figlio), ha disposto l'affidamento della figlia ad entrambi i genitori, auspicando che: «la comune e paritaria corresponsabilità dei genitori nella cura della figlia possa far maturare negli stessi la necessità di mantenere rapporti civili, dimostrando con i fatti e non a parole l'effettiva volontà di farsi carico del benessere della stessa».

(69) Anche la giurisprudenza precedente la riforma del 2006, si era espressa in ordine all'adozione del provvedimento di affidamentocongiunto nonostante la situazione di conflitto tra i coniugi: così, App. Milano 9 gennaio 1997, in Nuova giur. civ. comm., 1997, I, 584 ss., con nota di COSTANZA, Quale interesse nell'affidamento congiunto della prole?, stabilisce che «in presenza di una situazione conflittuale, l'affidamento congiunto pur non rispecchiando un'attuale disponibilità dei genitori a collaborare, va inteso come provvedimento che imponga agli stessi un simile dovere di collaborazione, al fine di realizzare le esigenze di ordine affettivo e psicologico della prole». In senso conforme, Trib. min. Perugia 16 gennaio 1998, poi riformato da App. Perugia 24 marzo 1998, in Rass. giur. umbra, 1998, 670 ss., secondo cui «anche in ipotesi di famiglia non fondata sul matrimonio è possibile pronunciare l'affidamento congiunto dei figli minori, nel loro esclusivo interesse morale e materiale, nonostante i genitori insistano nella richiesta di affido esclusivo e anche laddove permanga negli stessi una forte conflittualità, sì da indirizzarli al dialogo e alla cooperazione nell'esercizio della comune potestà parentale».

(70) V., supra, nt. 35.

(71) Secondo PADALINO, in Fam. min., 2007, III, 76, il principio affermato nell'ordinanza in esame merita condivisione per due ordini di motivi: in primo luogo perché «la caratteristica saliente dell'affidamento ad entrambi, appare individuabile nella paritaria condivisione del ruolo genitoriale» (così, Trib. Messina 18 luglio 2006) nel senso di una maggiore responsabilizzazione di entrambi i genitori, che può realizzarsi anche in caso di obiettiva lontananza di uno di essi; in secondo luogo, perché l'art. 10, comma 2 della Convenzione del 1989, dispone che un fanciullo deve avere il diritto di mantenere, salvo circostanze eccezionali, relazioni personali e contatti diretti regolari con entrambi i genitori. Ne deriva, secondo l'autore in parola, che tale principio dovrà - a maggior ragione - trovare applicazione anche se gli stessi risiedano in città diverse ma nello stesso Stato. Peraltro, precedentemente alla

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riforma del 2006 i giudici del merito avevano più volte affermato che «in ipotesi di separazione personale, è possibile disporre l'affidamento congiunto dei figli minori, nell'esclusivo interesse morale e materiale di essi, previo un accordo riguardo all'assistenza in comune della prole da parte dei genitori, nonostante essi risiedano in due Stati diversi, l'uno in Italia, l'altro all'estero». Cfr., ex multis, App. Milano 14 febbraio 1997, in Fam. dir., 1997, 444 ss., con nota di MORELLO; contra, MARINO, Linee generali della riforma e confronto con l'esperienza di Francia, Spagna e Germania: «anche la lontananza di un genitore dal luogo di residenza del minore può essere considerata motivo sufficiente per disporre l'affidamento monogenitoriale»; in senso conforme, Trib. Pisa 9 maggio 2007, cit., nonché Trib. min. Catania, decr. 23 maggio 2007, che va segnalata per aver disposto il regime di affidamento esclusivo delle figlie a favore del padre, stabilendo che le decisioni di maggiore interesse andranno prese dalle parti di comune accordo e che per le questioni di ordinaria amministrazione i genitori esercitino la potestà separatamente, e quindi disgiuntamente, nei periodi di rispettiva permanenza delle figlie. Il presente provvedimento costituisce inoltre una delle prime decisioni da parte di un tribunale per i minorenni sulle questioni economiche relativamente ai figli di genitori non coniugati dopo la nota ordinanza della Cass. 22 marzo 2007 n. 8632. Si legge testualmente nella motivazione del decreto che «appare rispondente all'interesse delle bambine disporne il loro affidamento esclusivo al padre, il quale risulta certamente più idoneo della madre ad assistere le figlie moralmente e materialmente, tenuto conto in particolare del fatto che le stesse sin dai primi giorni di vita hanno vissuto con il ricorrente, nonché della circostanza che la convenuta, come risulta anche dalla memoria di costituzione, si è allontanata spontaneamente dal nucleo familiare da più di due anni e dimora in altro distante comune». Da ultimo, cfr. CUBEDDU, La «responsabilità genitoriale» e i trasferimenti di residenza, in Fam. pers. succ., 2007, 677 ss., e, in giurisprudenza, Trib. min. Em. Rom., decr. 6 febbraio 2007, in Fam. dir., 2007, 813 ss., con nota di ARCIERI, Ancora in tema di diritto del minore alla bigenitorialità e libertà dei genitori di trasferire la residenza.

(72) V., da ultimo, l'importante pronuncia della Corte di appello di Venezia, sul tema in oggetto che, con il decreto 17 settembre 2007, ha affermato che «l'unilaterale iniziativa di uno dei genitori (nella specie la madre) di trasferirsi all'estero con la figlia minore costituisce un comportamento valutabile ai sensi dell'art. 709-ter c.p.c., stante l'ampia previsione della citata disposizione normativa, finalizzata a dirimere i contrasti sull'esercizio della potestà genitoriale ovvero riferibili alle modalità dell'affidamento e/o all'irrogazione delle sanzioni conseguenti alle inadempienze ed alle condotte pregiudizievoli dei genitori. Ciò in quanto, per un verso, l'allontanamento della minore costituisce un oggettivo ostacolo all'esercizio delle modalità dell'affidamento (se non altro condizionando significativamente l'esercizio del diritto-dovere spettante al genitore non collocatario), e, per altro verso, non apparendo contestabile che il significativo diradamento degli incontri col padre concreti un pregiudizio per la minore». Nello stesso senso, Trib. Pisa 20 dicembre 2006, in Fam. dir., 2007, 1051 ss., con nota di IANNACONE, Affidamento condiviso e mantenimento della residenza dei figli, secondo cui il trasferimento della residenza delle figlie da Pisa a Foggia, attuato unilateralmente dalla madre, con decisione qualificabile come arbitraria in quanto rispondente esclusivamente alle sue esigenze, rappresenta una condotta sanzionabile ai sensi dell'art. 709-ter c.p.c., perché costituisce «quanto meno ostacolo al corretto svolgimento delle modalità dell'affidamento» (nella specie, tuttavia, anche il Tribunale di Pisa non ha disposto un nuovo mutamento della residenza delle minori, per evitare loro un ulteriore pregiudizio).

(73) In argomento, è interessante sottolineare quanto espresso da Cass. 27 luglio 2007 n. 16753, che in merito all'ascolto del minore in ipotesi di sottrazione internazionale ha affermato che: «ai sensi dell'art. 13 della Convenzione de L'Aja 25

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ottobre 1980, la volontà del minore di opporsi al rientro non integra una condizione di per sé preclusiva dell'emanazione dell'ordine di rimpatrio da parte del giudice dello Stato richiesto quando essa provenga da un minore che - secondo il motivato apprezzamento del Tribunale per i minorenni - non abbia ancora raggiunto l'età ed il grado di maturità tali da giustificare il rispetto della sua opinione; in tal caso, l'ascolto del minore, avente capacità di discernimento, ha una rilevanza cognitiva, in quanto l'esito di quel colloquio consente al giudice di valutare direttamente se sussista o meno il fondato rischio, per il minore medesimo, di essere esposto, per il fatto del suo ritorno, a pericoli fisici e psichici, o comunque di trovarsi in una situazione intollerabile». In particolare, sulla notevole importanza dei principi espressi dalla Convenzione di Strasburgo del 1996 nell'ambito dei procedimenti di sottrazione internazionale di minori (sempre in tema di ascolto), cfr. Cass. 16 aprile 2007 n. 9094, in Fam. min., 2007, VII, 14; cfr., inoltre, Cass. 18 marzo 2006 n. 6081, in Fam. dir., 2006, 585, con nota di LENA, Le eccezioni all'ordine di rimpatrio del minore illecitamente sottratto al genitore affidatario.

(74) Sul punto, v. alcune rare ma interessanti pronunce che hanno il pregio di approfondire il tema della regolamentazione della permanenza della prole presso ciascun genitore e il conseguente tipo di mantenimento: cfr., ex multis, Trib. Catania 12 luglio 2006, il quale dispone che «in tema di affidamento condiviso, allorché la figlia minore della coppia manifesta la volontà di frequentare assiduamente e con entusiasmo uno dei genitori (in maniera alquanto elastica e anche al di là del pur ampio diritto di visita previsto nell'ordinanza presidenziale), deve ritenersi che non sia di pregiudizio alla stessa minore una suddivisione paritaria dei tempi di permanenza con i genitori nell'arco della settimana». Il medesimo organo ha peraltro precisato che, attesa la uguale permanenza della minore presso entrambi i genitori e le pari potenzialità reddituali dei due coniugi, non v'è necessità di porre a carico del padre l'obbligo di corrispondere all'altro genitore un assegno periodico per il mantenimento indiretto della minore, tenuto conto dell'onere gravante su entrambi i genitori di contribuire, in forma diretta, al mantenimento della stessa figlia. Contra, Cass. 18 agosto 2006 n. 18187, secondo cui: «l'affidamento condiviso è istituto che, per le sue finalità riguardanti l'interesse del minore dal punto di vista del suo sereno sviluppo, del suo equilibrio psicofisico (anche in considerazione di situazioni socio-ambientali) e del perpetuarsi dello schema educativo già sperimentato durante il matrimonio, non può certo far venir meno l'obbligo patrimoniale di uno dei genitori a contribuire al mantenimento dei figli, mediante la corresponsione di un assegno a favore del genitore con il quale gli stessi convivono». In senso conforme alla citata pronuncia di Catania, cfr. Trib. Chieti 28 giugno 2006, il quale statuisce che «in tema di affidamento del figlio minore, il giudice, decidendo sui tempi e sulle modalità della sua presenza presso ciascun genitore, salvo diverso accordo intervenuto tra le parti, può disporre la uguale permanenza del minore presso entrambi i genitori (nel caso di specie il figlio della coppia aveva tre anni e le abitazioni dei genitori distavano all'incirca sei chilometri)»; cfr. anche, Trib. Bari, ord. 18 aprile 2006. Contra, Trib. Messina 18 luglio 2006, cit., secondo cui «la caratteristica saliente dell'affidamento ad entrambi, nel nuovo sistema normativo, appare individuabile non tanto nella dualità della residenza e nella parità dei tempi che il minore trascorre con l'uno o l'altro genitore, bensì nella paritaria condivisione del ruolo genitoriale; in questo senso depongono le indicazioni per la determinazione giudiziale dei tempi che il minore trascorre con l'uno o l'altro genitore e la mantenuta disposizione sulla assegnazione della casa familiare. Il minore necessita, infatti, di un riferimento abitativo stabile e di una organizzazione domestica coerente con le sue necessità di studi e di normale vita sociale: da qui la necessità di una collocazione privilegiata e di una regola organizzativa anche sui tempi da trascorrere con il genitore non domiciliatario».In dottrina, cfr. CASABURI, I nuovi istituti di diritto di famiglia (norme processuali ed affidamento condiviso): prime istruzioni per l'uso. Parte II: il nuovo regime sull'affidamento, cit., 46, secondo cui «va ricordato che lo stesso art. 155

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comma 2 c.c., precisa che il giudice «determina i tempi e le modalità della loro (dei figli) presenza presso ciascun genitore». È qui - anzi - il vero contenuto dell'affidamento condiviso, che, come già l'affidamento congiunto (quale ricostruito dalla giurisprudenza), non comporta affatto una impossibile convivenza del minore con entrambi i genitori, e neanche una sorta di affidamento alternato realizzato o con continui trasferimenti del minore dall'uno all'altro dei genitori o con la stessa alternanza dei genitori presso l'abitazione in cui solo il figlio continuerebbe a vivere stabilmente (sicché la casa coniugale resterebbe la muta testimone di tali singolari e continui traslochi di persone e masserizie)».

(75) In argomento, sebbene riferito al rapporto esistente tra accordi intervenuti tra i genitori e ruolo del giudice, cfr.SESTA, Le nuove norme sull'affidamento condiviso: profili sostanziali, cit., il quale ritiene che «i genitori, in linea di massima, non possano sic et simpliciter abdicare al principio della bigenitorialità, di cui l'affido condiviso è tipica espressione, dovendo comunque essere salvaguardato al meglio il diritto del figlio, di cui essi non possono disporre, al mantenimento di un regolare rapporto con loro, con gli ascendenti ed in generale con i parenti di ciascuno».

(76) In Dir. fam. pers., 2007, I, 1724 ss.

(77) Nello stesso senso, v. anche Trib. Catania 5 maggio 2006, secondo il quale, «in tema di affidamento dei figli minori, se è vero che la l. n. 54, cit., ha introdotto come regola l'affidamento ad entrambi i genitori (c.d. «condiviso»), è anche vero che il nuovo art. 155 c.c. ammette l'affidamento esclusivo, ove ciò soddisfi meglio le esigenze dei minori. Ne discende che deve ritenersi contrario all'interesse di questi ultimi l'affidamento al padre che abbia manifestato, in sede di udienza presidenziale, la propria indifferenza all'ipotesi di un affidamento della prole anche in suo favore».

(78) Sul punto, è inoltre importante rilevare che il Tribunale ha ritenuto la condotta tenuta dalla madre nei confronti dei figli di tale gravità da determinare non solo l'affidamento esclusivo della prole al padre, ma, anche, l'eventuale pronuncia di decadenza o limitazione della potestà genitoriale (ai sensi dell'art. 330 ss c.c.). In senso conforme alla pronuncia citata, cfr. App. Bologna 21 settembre 2006 n. 954, ove la Corte, premesso che la partecipazione del genitore non convivente alle decisioni per la vita del figlio è imprescindibilmente collegata dallo stesso art. 155 c.c. alla condivisione dei compiti di cura, istruzione ed educazione del figlio stesso, ha disposto l'affidamento esclusivo del figlio minore della coppia (invalido al 100 per cento) alla madre. Inoltre, a fondamento di tale decisione, la Corte d'appello ha rilevato che, da molto tempo, il ragazzo era seguito in via pressoché esclusiva dalla madre, mentre l'altro genitore si era sostanzialmente disinteressato del figlio; conseguentemente, «in una tale situazione, non è possibile attribuire la partecipazione nelle decisioni riguardanti un ragazzo in una condizione così difficile e delicata al padre, che da anni ha cessato o comunque diradato i rapporti con lui e, in tal modo, è privo di diretta conoscenza delle problematiche del figlio».

SULL'OBBLIGO DI MANTENIMENTO DEI FIGLI MAGGIORENNI NON (PER SEMPRE) ECONOMICAMENTE AUTOSUFFICIENTI

Giur. merito 2008, 4, 1194B

Paola Angela De Santis

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SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. Il dato normativo. - 3. La giurisprudenza di Legittimità. - 4. La giurisprudenza di merito. - 5. Un sistema che cambia al passo con i tempi.

1. PREMESSALa questione relativa all'obbligo di mantenimento dei figli, ancorché maggiorenni, ha assunto, nella recente giurisprudenza, un riscontro applicativo sempre più frequente e, soprattutto, concernente individui di età sempre più avanzata. Le scelte del legislatore del 1942, maturate in un contesto socio-culturale differente, devono infatti confrontarsi oggi con una mutata realtà. Negli anni Cinquanta e Sessanta, a fronte di un ridotto tasso di alfabetizzazione, era più frequente che un giovane apprendesse i rudimenti di un'arte o di un mestiere anche prima del raggiungimento della maggiore età, e che, acquisita la necessaria competenza, raggiungesse, poco più che ventenne, l'indipendenza economica. Oggi, viceversa, ad un più elevato tasso di istruzione, corrisponde un progressivo procrastinarsi del raggiungimento dell'indipendenza economica dell'individuo, sia in ragione degli anni oggettivamente necessari per conseguire un titolo di studio scolastico e/o accademico, sia a causa della crisi del mercato del lavoro. Il progressivo innalzamento dell'obbligo scolastico, il raggiungimento della maggiore età a diciotto anni(1), e non più a ventuno, ed, in una prospettiva macroeconomica, l'avvento dello Stato Sociale, i processi di industrializzazione, lo sviluppo dell'economia capitalistica, la migrazione dalle campagne verso le città e la scomparsa della civiltà contadina, l'avanzare di nuove cause e nuovi fattori di mobilità sociale sono alcune delle condizioni che hanno prodotto, in ultima analisi, radicali evoluzioni del mercato del lavoro, sino allo sviluppo, a partire dagli anni Settanta(2), di figure contrattuali definite «flessibili». Si tratta di tipologie contrattuali che progressivamente si distanziano dai tradizionali obblighi di stabilità e di continuatività per far fronte alla disoccupazione, alle richieste di un mercato sempre più «terziarizzato» e rispondono, nel contempo, all'esigenza di abbassare il costo del lavoro al fine di affrontare la concorrenza internazionale. In questo contesto, i giovani che attualmente si accingono ad inserirsi nel mondo del lavoro, spesso devono fronteggiarsi con la mancanza di opportunità, strutture e prospettive di lungo periodo, ovvero, nell'ambito del pubblico impiego, con una mole di concorrenti che spesso supera le migliaia, a fronte di poche decine di posti disponibili. La flessibilizzazione attuata mediante la legge Biagi allo scopo di favorire l'inserimento dei giovani nel mondo del lavoro ha, infatti, comportato uno stato di crescente incertezza di carattere economico(3). Anziché diversificare ed incrementare la domanda di lavoro, nella maggior parte dei casi ha soltanto modificato il nomen iuris di rapporti di lavoro o occupazioni già esistenti: cosicché, i contratti di lavoro a tempo indeterminato sono divenuti, a seconda dei casi, contratti di apprendistato, contratti di lavoro a progetto, contratti di inserimento, ecc.(4). Gli effetti di questa tendenza si sono manifestati sul versante economico appunto nella impossibilità di molti giovani, anche alle soglie dei trent'anni e (a maggior ragione) con un curriculum studiorum di tutto rispetto, di provvedere a sé e di programmare il proprio futuro in una prospettiva di lungo periodo, magari compiendo scelte «esistenziali» come quella di vivere da soli o formare una famiglia(5). Da un punto di vista giusprivatistico, invece, le disfunzioni esistenti nel mercato del lavoro hanno rappresentato una delle cause, forse la più decisiva, se non la più evidente, del progressivo innalzamento della durata dell'obbligo di mantenimento dei figli (legittimi e naturali) economicamente non autosufficienti da parte dei genitori di cui agli artt. 2 e 30 comma 1(6), Cost., 147, 261(7), 279 c.c. Le recenti sentenze della giurisprudenza di Merito e di Legittimità si collocano in questo contesto e, pur muovendo da un unico dato normativo di riferimento, forniscono interpretazioni difformi, sia in virtù della differente situazione di fatto riscontrata, sia in ragione di scelte ermeneutiche differenti, peraltro non sempre

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coerenti con le istanze sostanziali di coerenza e solidarietà sociale sottese ad una realtà che cambia. 2. IL DATO NORMATIVOIl codice civile sancisce il dovere dei genitori, pur se non conviventi, di mantenere(8), istruire ed educare i propri figli(9). Lo stesso codice civile del 1865 contemplava, all'art. 138, una previsione analoga, a carico di ambedue i coniugi: anche la madre, dunque, attraverso la propria dote, doveva contribuirvi(10). Attualmente sui genitori, anche in virtù del disposto di cui all'art. 143 c.c., grava un vincolo di solidarietà attiva verso i terzi per le specifiche obbligazioni assunte a favore dei propri figli(11). Il codice del 1942 specifica altresì la necessità di tener conto «delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni» dei figli. Questa importante previsione si giustifica in forza del progressivo recupero di una prospettiva antropocentrica, in coerenza con le esigenze di solidarietà sociale sottese al dettato costituzionale, di poco successivo alla promulgazione del codice civile. L'art. 30 Cost. aggiunge, peraltro, una importante precisazione all'art. 147 c.c., prevedendo la totale equiparazione dei figli naturali a quelli legittimi rispetto a tali diritti(12); secondo gli artt. 155 ss. c.c., poi, anche la separazione personale ed il divorzio non producono alcun effetto sui rapporti giuridici intercorrenti tra genitori e figli(13). La ratio di tale obbligo risiede, oltrechè nella solidarietà affettiva che lega i soggetti appartenenti ad un medesimo nucleo familiareex artt. 2, 29 e 30 Cost., anche nella funzione educativa che la normativa costituzionale e civilistica riconoscono ai genitori; tale funzione è completamente scissa dalla titolarità della potestà e la sua realizzazione compete anche al genitore che rifiuti le responsabilità poste a suo carico dalla legge(14). Sulla durata dell'obbligo di mantenimento dei figli, in assenza di un dato normativo specifico, la giurisprudenza maggioritaria ha sostenuto che esso non cessi con il conseguimento, da parte di questi ultimi, della maggiore età, ma soltanto dopo il raggiungimento della indipendenza economica(15); con riferimento ai casi di separazione coniugale, però, la recente l. 8 febbraio 2006, n. 54 c.d. sull' «affido condiviso» ha introdotto nel codice civile l'art. 155-quinquies c.c., il quale, in applicazione del principio di proporzionalità, specifica che il pagamento di un assegno periodico di mantenimento in favore del figlio maggiorenne non autosufficiente viene disposto dal giudice in base ad una valutazione delle circostanze concrete, e non già automaticamente(16). Il quadro normativo è poi completato da una logica di reciprocità: in base all'art. 315 c.c., infatti, anche i figli, coerentemente con la medesima ratio di solidarietà sociale, devono a loro volta contribuire al mantenimento della famiglia, finché vi convivano ed in proporzione alle proprie sostanze ed al proprio reddito; la stessa esigenza si evince dall'art. 433 c.c. in materia di alimenti. Pertanto, il figlio che abbia un reddito deve provvedere al mantenimento proprio e contribuire a quello della famiglia di appartenenza, analogamente a quanto accade nei rapporti patrimoniali fra gli stessi coniugi. Il dato normativo, però, cristallizzando una regola valida ed efficace per il contesto storico-culturale del quale è espressione, non contempla molteplici situazioni che - come si è avuto modo di anticipare - si sono susseguite nel corso degli ultimi cinquanta anni. È, dunque, nell'ambito di questo contesto che occorre analizzare per un verso la disciplina vigente in materia di obbligo di mantenimento dei figli da parte dei genitori, e per l'altro la più recente evoluzione giurisprudenziale che vi ha dato attuazione. 3. LA GIURISPRUDENZA DI LEGITTIMITÀLa Corte di Cassazione(17) di recente ha affermato il diritto al mantenimento del figlio maggiorenne che aveva abbandonato il lavoro di apprendista muratore in un

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cantiere, in quanto inadeguato in relazione alla propria formazione scolastica e professionale come ragioniere: secondo i giudici, infatti, soltanto l'atteggiamento colposo o doloso del figlio, consistente nel mancato svolgimento di una attività per inerzia o nel rifiuto ingiustificato di un'occupazione adeguata al proprio percorso formativo legittima la cessazione dell'obbligo stesso. Altra giurisprudenza ha individuato il limite di persistenza dell'obbligo di mantenimento nella circostanza che il figlio, malgrado i genitori gli avessero assicurato le condizioni necessarie (e sufficienti) per concludere gli studi intrapresi e conseguire il titolo di studio indispensabile ai fini dell'accesso alla professione auspicata, non avesse saputo (o voluto) trarne profitto, per inescusabile trascuratezza o per libera ma discutibile scelta sulle opportunità offertegli, ovvero non fosse stato in grado di raggiungere l'autosufficienza economica per propria colpa. Tale è stata ritenuta, ad esempio, la condotta di un soggetto che non aveva terminato gli studi universitari ed aveva rifiutato un posto di lavoro in banca offertogli dal padre-genitore non convivente, giustificando tale atteggiamento con l'impossibilità di allontanarsi dalla propria città per accudire la madre e la nonna conviventi e malate(18). Dall'analisi delle pronunce di Legittimità si evince che l'accertamento della permanenza dell'obbligo di mantenimento si ispira a criteri di relatività, in quanto è necessariamente ancorato alle aspirazioni, alla capacità psico-fisica(19), alle abilità, al percorso scolastico, universitario e post-universitario del soggetto ed alla situazione del mercato del lavoro, con specifico riguardo al settore in cui egli abbia indirizzato la propria formazione e la propria specializzazione, investendo impegno personale ed economie familiari(20). La Corte di Cassazione si è, infine, occupata recentemente del diritto alla corresponsione di un assegno di mantenimento in caso di divorzio a favore del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente statuendo importanti princìpi in relazione sia alla relativa spettanza in costanza di un contratto di apprendistato(21), sia, più in generale, sui conseguenti profili probatori(22). Censurando l'orientamento della Corte di merito, i giudici hanno rilevato che la mera prestazione di lavoro da parte del figlio occupato come apprendista non sia, di per sé, una circostanza idonea a dimostrarne la totale autosufficienza economica, tenendo conto sia del contenuto e del carattere temporalmente limitato del contratto di apprendistato, sia del permanente status di studente di un istituto alberghiero(23). In ogni caso, poi, l'onere della prova grava sul genitore che contesti tale diritto: occorre infatti la dimostrazione specifica dei profili retributivi e di durata caratterizzanti il rapporto di lavoro(24) e non è sufficiente a questo fine allegare la sola esistenza di una attività remunerata(25). Una parte minoritaria della giurisprudenza ha accolto, invece, un orientamento più restrittivo, confermando(26) la revoca dell'assegno di mantenimento posto a carico del padre a favore del figlio naturale che, avendo conseguito l'abilitazione all'esercizio della professione forense all'estero a conclusione di un brillante ciclo di studi, è stato per ciò solo reputato in condizioni di guadagnarsi da vivere, a prescindere dalla prova che ciò, in effetti, corrispondesse alla sua situazione reale: secondo questa soluzione, l'obbligo di mantenimento cessa, indifferentemente, sia quando il figlio ha raggiunto l'indipendenza economica, sia anche quando «è stato posto nelle condizioni concrete per conseguirla». In un altro caso(27), si è osservato che un diritto al mantenimento dei figli maggiorenni secondo le condizioni ed i limiti evidenziati, determinerebbe una disparità di trattamento ingiustificabile nei confronti dei figli coetanei maggiormente meritevoli che si siano resi autosufficienti ed, in ogni caso, legittimerebbe «forme di vero e proprio parassitismo di ex giovani ai danni dei loro genitori sempre più anziani»; pertanto, nell'ipotesi in cui venga meno, per qualsiasi causa, la già conseguita indipendenza economica, il soggetto rimasto privo di mezzi può vantare esclusivamente il diritto agli alimenti, non anche quello al mantenimento. Accogliendo questa soluzione, però, una sia pure breve parentesi lavorativa rischia

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potenzialmente di produrre una situazione stazionaria di disagio economico, con possibili conseguenti effetti elusivi dell'applicazione della normativa in materia di lavoro. Esiste, peraltro, anche il rischio opposto, per cui correttamente in un recente caso i giudici(28) hanno stabilito un termine finale per l'obbligo di mantenimento, giacchè la figlia maggiorenne, sia pure iscritta all'Università da molti anni, aveva sostenuto circa la metà degli esami previsti dal piano di studi(29). Dall'analisi della casistica in esame, l'interpretazione giurisprudenziale appare sempre più correlata alle casistiche concrete, anche se con il rischio di eventuali aporie: ad esempio, la Corte di Cassazione ha dedicato, come si è visto, il medesimo trattamento normativo sia al giovane diligente che aveva brillantemente e tempestivamente concluso il proprio ciclo di studi, sia a quello che aveva sostenuto un numero di esami minimo rispetto al tempo impiegatovi. Occorre pur tener conto che l'attuale mercato del lavoro, proprio a causa della crisi occupazionale, richiede spesso un grado competenza notevole, e tuttavia la prosecuzione del percorso di studi post universitario ed il conseguimento di specializzazioni rischiano di penalizzare le intelligenze in base ad una logica meramente censitaria, ovvero comunque hanno una notevole incidenza nel bilancio familiare. 4. LA GIURISPRUDENZA DI MERITOMerita di essere, infine, segnalata una pronuncia della recente giurisprudenza di merito(30) che, inserendosi nel solco di tutte le considerazioni sinora condotte, ne realizza una ideale sintesi. I giudici baresi hanno infatti affermato che è onere dei genitori permettere al figlio il migliore corso di studi possibile in relazione alle capacità economiche della famiglia d'origine al fine di consentirgli di trovare lavoro, ma non anche necessariamente una sistemazione lavorativa. Pertanto, il diritto al mantenimento sussiste solo fintantoché il figlio non diventi economicamente autosufficiente ovvero comunque sia stato posto nelle condizioni di esserlo: in caso contrario, infatti, riconoscerne il perdurare significherebbe legittimare la formazione di una rendita parassitaria e favorirne il lassismo, pur a fronte di attitudini al lavoro già raggiunte e comprovate, venendo meno al principio di autosufficienza che deve sempre ispirare le condotte umane. 5. UN SISTEMA CHE CAMBIA AL PASSO CON I TEMPIL'indissolubile legame che lega il dato normativo all'analisi del contesto fattuale di riferimento costituisce, dunque, illeit motiv in cui la Corte si orienta al fine di pervenire a precipitati interpretativi non solo giuridicamente, ma anche concretamente corretti. Non si tratta, in altri termini, di stabilire un precedente giurisprudenziale sulla - progressivamente crescente- perduranza dell'obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non economicamente indipendenti da parte dei genitori, quanto piuttosto di prendere atto di un mutato contesto di riferimento. A fronte di un sempre più generalizzato possesso di titoli di studio, anche in ragione del progressivo innalzamento, negli ultimi cinquanta anni, dell'obbligo scolastico, le opportunità lavorative sono divenute più infrequenti, e comunque più parcellizzate sotto il profilo temporale; il dato normativo subisce dunque, inevitabilmente, questi effetti(31). Di questo l'interprete, nell'esercizio della propria funzione nomofilattica, deve tener conto, anche operando una progressiva osmosi tra le varie branche del diritto e «riscoprendo» il ruolo dell'art. 12 delle preleggi(32), il quale, appunto, sottende, tra i criteri interpretativi utilizzabili, accanto a quello logico, anche quello storico, quello sistematico e quello equitativo. In base a tali criteri, da un analisi complessiva della recente giurisprudenza di Merito e di Legittimità sembra emergere una considerazione importante: la funzione di sostentamento sottesa al dovere di mantenimento, intesa quale bisogno fondamentale della persona, non viene meno per il solo fatto del raggiungimento di un'età avanzata

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e del possesso di un'occupazione temporanea o non adeguata al proprio percorso formativo o professionale, purchè, però, queste situazioni non diventino un arbitrario ed inammissibile strumento per legittimare forme di parassitismo, peraltro in contra sto con il dovere costituzionale di ogni cittadino di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società, in base al disposto di cui all'art. 4 comma 2 Cost.(33)Occorre, dunque, rivalutare il c.d. «principio di adeguatezza professionale»(34) attraverso un bilanciamento tra le ragioni a tutela della formazione e delle ambizioni dei figli e la cessazione dell'obbligo di mantenimento (ovvero la sua conversione in obbligo alimentare ex art. 433 c.c.) quando esse non risultino più giustificabili, in considerazione delle ragioni di mercato, del concreto momento storico e della situazione personale di ognuno(35). (36)

(1) Avvenuto con la l. 8 marzo 1975, n. 39.

(2) Già nel 1973, infatti, il legislatore fa un implicito riferimento ai rapporti di lavoro di carattere non subordinato tra quelli rientranti nella competenza del pretore, quale giudice del lavoro.

(3) Secondo i criteri direttivi contenuti nella legge delega 14 febbraio 2003, n. 30, essa è stata concepita come la risposta dello Stato italiano a finalità di trasparenza ed efficienza del mercato del lavoro e di miglioramento delle capacità di inserimento professionale dei disoccupati attraverso lo snellimento delle procedure di incontro tra domande ed offerte di lavoro; alla necessità di particolari forme di sostegno e sviluppo all'attività lavorativa femminile e giovanile, anche attraverso l'incentivazione delle forme di coordinamento e raccordo tra operatori privati e pubblici, per un migliore funzionamento del mercato del lavoro. Gli effetti non sono, al momento, quelli sperati per un duplice ordine di ragioni. Per un verso, il rischio maggiore insito nella flessibilizzazione dei contratti di lavoro è quello di traslare sul lavoratore il rischio di impresa. In ciò è evidente una palese contraddizione: se per l'imprenditore tale rischio di impresa è direttamente proporzionale al profitto che consegue dalla gestione aziendale, e cioè dalle risorse investite e dagli utili conseguiti, la stessa cosa non si può affermare per il lavoratore, il quale dal rischio non riceve una remunerazione, essendo il suo apporto sempre legato alla sola percezione di un reddito. In questa accezione, chiedere a dei soggetti di essere flessibili significa quasi chiedere loro di non opporsi alla discrezionalità aziendale nell'impiego e nella retribuzione del personale, e cioè alle decisioni manageriali, anche quando esse preludano ad un peggioramento della qualità del lavoro, o del livello salariale, o della qualità della vita dei dipendenti. Per altro verso, in molti casi, i contratti flessibili sono diventati uno strumento per eludere l'applicazione della normativa sul lavoro subordinato, e ciò con evidenti vantaggi per i datori di lavoro. Difatti, in termini economici, per molte di queste fattispecie (come, ad esempio, le varie forme di apprendistato) la legge ha previsto, per finalità promozionali (facilitare l'ingresso di giovani nel mercato del lavoro e quindi smobilizzare la forza lavoro, far conoscere nuove tipologie contrattuali ai datori di lavoro per consentire loro di servirsene, promuovere l'acquisizione di specifiche competenze ed abilità lavorando), un sistema contributivo totalmente o parzialmente a carico dello Stato, almeno nella fase iniziale, nonché l'esonero dal computo nei limiti numerici previsti per l'applicazione di particolari discipline.In termini giuridici, non esiste più alcun vincolo che imponga alla parte datoriale di assumere un soggetto con contratto di lavoro subordinato, e ciò destabilizza fortemente il mercato del lavoro e le dinamiche soggettive (la vita quotidiana e le scelte di vita di ogni soggetto) che ad esso sono fortemente interrelate.

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(4) Si veda GALLINO, Se tre milioni vi sembran pochi, Torino, 1998.

(5) Per una verifica pratica in ordine alla mancanza di coincidenza tra l'età biologica ritenuta idonea per l'assunzione di un impegno lavorativo ed il conseguimento di una concreta occupazione basta consultare gli indici Istat. Cfr. MONTICELLI, L'assegno di mantenimento tra indipendenza economica e principio di adeguatezza economico-professionale, in Giust. civ., 2003, 1, 185 ss.

(6) Giacché la solidarietà familiare rappresenta una esplicazione del principio fondamentale di solidarietà sociale sancito dall'art. 2 Cost. (7) Sulla esperibilità della azione per il mantenimento da parte dei figli irriconoscibili, cfr. C.M. BIANCA, Diritto civile, 2, Milano, 2005, 394.

(8) Giova precisare che il diritto al mantenimento non va confuso con l'obbligo alimentare di cui all'art. 433 c.c.: il primo concerne qualsiasi esigenza di vita, anche quelle che prescindono da uno stato di bisogno, mentre l'obbligo alimentare è limitato alle esigenze strettamente necessarie alla sopravvivenza. Dal punto di vista della legittimazione, però, l'art. 433 c.c. individua molteplici soggetti obbligati, e non è limitato alla sola famiglia «nucleare».Cfr. in argomento GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2006, 321 e 369.

(9) Parte della dottrina suggerisce la necessità di integrare, in via interpretativa, la previsione di cui all'art. 147 c.c. con la indicazione di altri due diritti fondamentali del figlio: il diritto all'amore dei propri genitori (nonché dei propri nonni), inteso come interesse a ricevere «quella carica affettiva di cui l'essere umano non può fare a meno nel tempo della sua formazione»; nonché il diritto di crescere nella propria famiglia. Entrambi questi diritti sono, peraltro, riconosciuti rispettivamente dall'art. l. 4 maggio 1983, n. 184 (in quanto l'assistenza morale è considerata attuazione del diritto all'amore) e dall'art. 1 l. 28 marzo 2001, n. 149 di revisione della disciplina dell'adozione. Cfr. C.M. BIANCA, op. cit., 324. Si tratta di diritti che, proprio in virtù del principio fondamentale di solidarietà sociale di cui all'art. 2 Cost., possono essere riferiti anche ai figli maggiorenni, e non solo minorenni.

(10) Tuttavia, nell'ipotesi di separazione personale, l'art. 154 poneva tale obbligo a carico di un solo coniuge, e non di entrambi, a differenza dell'attuale art. 155 c.c.

(11) Nel senso che la mancanza di reddito non costituisca una giustificazione sufficiente perché il genitore si sottragga all'obbligo di mantenimento del figlio, cfr. Trib. Lodi, sentenza 2 ottobre 2006, n. 604, in Famiglia e Minori, n. 2/2006, 79, ove si afferma che «un padre tenuto al mantenimento di un figlio non può decidere di non lavorare più, ma si deve attivare (e fare tutto il possibile) per garantire al figlio un idoneo e dignitoso tenore di vita», a meno che non fornisca la prova di eventi del tutto imprevedibili ed indipendenti dalla propria volontà (come, ad esempio, una malattia) che giustifichino la mancata percezione di un reddito.

(12) Peraltro in attuazione dell'art. 3 della medesima Costituzione.

(13) Anche la scelta del Costituente di utilizzare la parola «genitori» non fu casuale, ed intese identificare nella filiazione un bene da tutelare in modo assoluto, privilegiandone un'accezione basata sul vincolo naturale piuttosto che su quello di derivazione coniugale intesa in termini di unione «legale». Cfr. MONTICELLI, op. cit., 185.

(14) Cfr. F. TESCIONE, Mantenimento ed «automantenimento» dei figli maggiorenni: una linea di confine in continuo movimento, in Dir. fam., 2003, 2.

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(15) Cfr., da ultimo, Cass., sez. I, 20 maggio 2006, n. 11891 (sent.), che ha negato l'istanza di riduzione dell'importo di un assegno di mantenimento motivata con la sola circostanza del raggiungimento della maggiore età da parte dei figli.

(16) Quanto a quest'ultimo aspetto, la dottrina paventa dubbi di incostituzionalità per violazione dell'art. 3 della Costituzione, in relazione alla potenziale disparità di trattamento del figlio di genitori separati rispetto al figlio di genitori conviventi, il quale ha automaticamente diritto al mantenimento. Cfr. MISSIAGGIA, Assegno di mantenimento: ecco come. Guida alle regole sui doveri verso i figli, in D&G, 2006, n. 23. Sembra, tuttavia, ad avviso di chi scrive, che evidenti esigenze di coerenza del sistema e di certezza del diritto depongano nel senso della ammissibilità di una interpretazione analogica della disposizione in questione con riguardo ad entrambe le situazioni, anche in forza di ragioni di carattere equitativo.

(17) Cfr. Cass., sez. I, 21 febbraio 2007, n. 4102 (sent.).

(18) La Cass. (sez. I, 18 gennaio 2005, n. 951, sent.) ha reputato, infatti, che potesse rinvenirsi una condotta negligente e colposa nel non aver conseguito la laurea, ovvero nel non aver sostenuto un maggior numero di esami in epoca anteriore all'insorgere della malattia della madre, nonché nell'aver rifiutato il posto di lavoro in banca, posto che si trattava di un istituto di rilevanza nazionale, che gli avrebbe potuto garantire una eventuale ritorno alla città di origine.

(19) Cfr. ad esempio Cass., sez. I, 19 gennaio 2007, n. 1146 (sent.), che ha dichiarato sussistente l'obbligo di mantenimento nei confronti di un figlio maggiorenne, pur se in possesso di un'occupazione, sulla base della riconosciuta invalidità del sessanta per cento del giovane, affetto da insufficienza mentale associata a manifestazioni di ritardo psicomotorio e sviluppo del linguaggio.

(20) Cfr. Cass., sez. I, 3 aprile 2002, n. 4765; in dottrina, GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2006, 370.

(21) Il contratto di apprendistato è un contratto di lavoro subordinato speciale contemplato dalla l. 19 gennaio 1955, n. 25 e caratterizzato da un obbligo di istruzione professionale a carico dell'imprenditore-datore di lavoro, nonché dalla riduzione del tempo - non già dell'orario - di lavoro in ragione della riserva di ore destinate all'insegnamento complementare. Il d.lg. 10 settembre 2003, n. 276 (c.d. «legge Biagi») ne ha recentemente rinnovato la disciplina ed ampliato le tipologie, prevedendo una progressiva sostituzione del contratto di apprendistato «classico» rispettivamente con quello di I tipo (caratterizzato dal diritto-dovere di istruzione e formazione), di II tipo (c.d. «professionalizzante») e di III tipo (per l'acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione). Cfr. in argomento AA.VV., Diritto del Lavoro 2 - Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2005, 381. Sulle differenze tra il contratto di apprendistato e l'ordinario rapporto di lavoro, cfr. anche Cass., sentenza 9 ottobre 1996, n. 8847, Giust. civ., 1997, I, 3161.

(22) Cfr. Cass., sez. I, 11 gennaio 2007, n. 407 (sent.), in Giust. civ., 2007, n. 2, 357 ss., rispetto alla quale non si rinvengono precedenti in termini.

(23) Nella specie, infatti, il ragazzo aveva lavorato presso un albergo per soli nove mesi, e comunque proseguendo il proprio percorso di studi, peraltro coerente con l'occupazione svolta: tale circostanza fattuale, sia pure coerente con il dettato di cui all'art. 36 comma 1 Cost., si rappresentava inidonea a garantirgli una autosufficienza economica tale da esonerare definitivamente il genitore dall'obbligo di mantenimento.

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(24) Cfr., conformemente, App. Caltanisetta, 23 febbraio 2007 (sent.), in Famiglia e min., 2007, n. 5, 65; in senso difforme Trib. Bari, sez. I, 30 ottobre 2006, n. 2681.

(25) L'obbligo alimentare è azionabile direttamente dal figlio, mentre per il diritto al mantenimento sussiste la legittimazione del genitore convivente con il figlio maggiorenne a richiedere iure proprio, e non già ex capite filiorum, il contributo per il mantenimento del figlio quando questi raggiunga l'indipendenza economica e successivamente la perda, ma non per propria colpa. Cfr. Cass., sez. I, 21 febbraio 2007, n. 4102 (sent.). Peraltro il figlio divenuto maggiorenne, ma non ancora economicamente autosufficiente acquista anche una legittimazione autonoma all'azione per ottenere dall'altro genitore il contributo al proprio mantenimento, concorrente con quella del genitore convivente: se, però, non interviene nel giudizio pendente, e la sentenza di condanna viene emessa solo in favore del genitore convivente, nei suoi confronti non opera il giudicato formale della sentenza, e pertanto egli non ha titolo per richiedere direttamente il pagamento del contributo al mantenimento del genitore obbligato non convivente, non potendosi ravvisare nel caso in esame una ipotesi di solidarietà attiva che, diversamente da quella passiva, non si presume: cfr. Cass., sez. I, 21 giugno 2002, n. 9067 (sent.); contra Cass., 16 luglio 1998, n. 6950 (sent.). Nel senso che non possa ravvisarsi in capo al figlio maggiorenne un diritto iure proprio al mantenimento, ma solo agli alimenti, in quanto, in caso contrario, i giudizi di separazione e divorzio potrebbero tendenzialmente divenire giudizi «a tre parti», anziché a due parti, cfr. V. BARBALUCCA, I figli maggiorenni nei processi di separazio ne giudiziale e divorzio, in www.altalex.it.

(26) Cfr. Cass., 3 novembre 2006, n. 23596 (sent.), in Foro it., 2007, I, 86.

(27) Cfr. Cass., sez. II, 7 luglio 2004, n. 12477 (sent.).

(28) Cfr. Cass., 7 aprile 2006, n. 8821 (sent.).

(29) Analogamente alla giurisprudenza francese, che prevede che la c.d. obligation d'entretien si prolunghi oltre il raggiungimento della maggior età del figlio soltanto qualora questi prosegua gli studi: essa è dunque correlata, a differenza dell'obbligo alimentare, ad una finalità educativa. Cfr. QUADRUCCI, Il diritto al mantenimento del figlio maggiorenne. Note di diritto comparato, in Familia, 2003, 1.

(30) Cfr. Trib. Bari, sez. I, 30 ottobre 2006, n. 2681 (sent.), in www.giurisprudenzabarese.it.

(31) D'altra parte, anche sotto l'aspetto fiscale il legislatore ha modificato le modalità dell'azione impositiva del rapporto di filiazione, laddove, con l'art. 47 d.lg. 15 dicembre 1997, n. 446, ha riconosciuto la detrazione per carichi di famiglia per ciascun figlio «che conviva con il contribuente», sopprimendo la previgente limitazione riferita ai figli «di età non superiore ai ventisei anni dediti agli studi o a tirocinio gratuito».

(32) Sul punto, cfr. LIPARI, L'interpretazione giuridica, Lecce, 1970.

(33) In tal senso si esprime anche M. FINOCCHIARO, Quando raggiunge la maggiore età ha l'obbligo di cercare un'occupazione, in Guida dir., 2006, n. 45, 34.

(34) Cfr. MONTICELLI, op. cit., 185 ss.

(35) È significativo, a tal proposito, il precedente giurisprudenziale inerente il diritto al mantenimento di un figlio ormai cinquantenne. Cfr. Trib. Firenze, 24 febbraio 1978

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(sent.).

(36)Le opinioni e le valutazioni espresse hanno carattere personale, sono frutto del personale convincimento dell'autrice e non impegnano in alcun modo l'amministrazione di appartenenza.

CRISI DELLA FAMIGLIA E AFFIDAMENTI FAMILIARI: IL NUOVO ART. 155 C.C. (*)

Dir. famiglia 2007, 1, 265

FRANCESCO RUSCELLO

Ordinario di diritto privato nell'Università di Verona - Facoltà di Giurisprudenza

1. La crisi coniugale e i diritti del minore nella riforma del 1975. - 2. La riforma del 2006 e il "diritto alla bigenitorialità". - 3. L'affidamento esclusivo. - 4. Potestà e suo esercizio "condiviso". - 5. Affidamento esclusivo ed esercizio della potestà.

1. La crisi coniugale pone indubbiamente problemi complessi che si innestano in una vicenda della vita familiare non di rado angosciosa e, il più delle volte, triste e inquietante non soltanto per i figli. Una vicenda che mi sembra inutile tratteggiare, le cui tinte essendo note e, comunque, agevolmente intuibili. La sua "moderna" storia normativa nasce da una secolare visione della famiglia quale istituzione che, per ciò stesso, è portatrice di un interesse, se non proprio pubblico, comunque e non a caso, qualificato "superiore". L'apporto che, per contro, il Costituente ha fornito in quello che, ormai comunemente, viene evocato come "processo di privatizzazione della famiglia", tale in quanto mirato all'affermazione anche al suo interno dei valori della persona nel suo essere e nel suo divenire, è altrettanto noto. E quanto si sia adoperato in questa direzione il legislatore del 1975 è stato scritto, sebbene da diverse angolazioni, da innumerevoli parti e sin dall'entrata in vigore della riforma.Mi sembra, nondimeno, utile in via preliminare sottolineare la via scelta dal legislatore del 1975; una via che individua nella persona in quanto tale il valore prioritario da salvaguardare e che, capovolgendo i princìpi posti alla base dell'impianto normativo ipotizzato dal codice del 1942, inaugura, ora a livello di normativa ordinaria, un sistema che, sebbene non ancora completamente, tenta almeno di dare risposte coerenti a un apparato di princìpi, quello costituzionale, per troppo tempo disatteso, ma sempre più reclamato. Per quanto maggiormente interessa l'oggetto delle mie riflessioni, alla crisi coniugale cristallizzata in una sorta di tipizzazione causale, si contrappone una regolamentazione sorretta da due clausole generali - l'intollerabilità della convivenza e il grave pregiudizio all'educazione della prole (art. 151 c.c.) - destinate ad affermare una volta di più, anche all'interno della famiglia, la già evocata visione antropocentrica dei rapporti proposta con l'avvento della Costituzione repubblicana (1). In questa dimensione, si disciplinano anche i rapporti con i figli susseguenti allo stato di crisi coniugale, e si afferma, non a caso, di fronte a ogni altro, la preminenza del loro interesse a un corretto e armonico, sviluppo della personalità. Sennonché, pur accolte inizialmente con favore, nel corso degli anni, proprio con riferimento agli effetti della separazione nei confronti dei figli, le scelte del legislatore sono state reputate inadeguate: con ogni probabilità - voglio subito precisare - anche per un'applicazione non sempre felice e, di fatto e paradossalmente, fondata su una visione "patriarcale" della famiglia, nella quale la donna continuava a essere vista nella sua tradizionale "funzione familiare", perpetuando quella immagine, dolce e odiosa a un tempo, di "angelo del focolare domestico".È a cavallo degli anni '80 e '90 del secolo appena trascorso che, così, iniziano a prospettarsi ipotesi di riforma della disciplina legislativa prevista dall'art. 155 c.c., anche e soprattutto attraverso la proposizione di disegni di legge, a volte

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isolatamente, altre volte, come negli ultimi tempi, accorpati in un unico progetto. Con la l. 8 febbraio 2006 n. 54 si conclude il processo di rinnovamento dell'art. 155 c.c., modificando con un'articolata serie di disposizioni l'intera materia. Nella sua definitiva formulazione si è anche modificato l'originario titolo: non più "Disposizioni in materia di separazione dei coniugi e affidamento condiviso dei figli", ma "Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli"; cambiamento che, almeno a tutta prima, non sembrerebbe nemmeno esclusivamente formale, se è vero che pare quasi invitare l'interprete a spostare l'angolazione del problema dalla prospettiva coniugale a quella genitoriale(2).Prima di verificare il contenuto e i reali mutamenti intervenuti con le nuove disposizioni predisposte con gli artt. 155 ss. c.c., mi sembra utile e doveroso precisare che, a mio avviso, il testo della disposizione oggi abrogata è stato vittima incolpevole di un equivoco o, se si vuole, di una non felice applicazione. Le sue previsioni non mi sono mai sembrate del tutto inadeguate, e ciò, una volta di più, proprio ai fini che sembrano aver mosso il legislatore del 2006. Esse accentravano sull'esclusivo interesse del minore una disciplina che, se nel conflitto coniugale individua, di regola, il suo fondamento, nei figli scopre i suoi attori involontari e incolpevoli, le vere vittime di una crisi non voluta e, però, subita (3). Anche per questo, quantunque orfani di un affetto, per dir così, unitario dei genitori, coerentemente al disposto di cui all'art. 30 Cost., il legislatore riconosce a tutti i figli, senza distinzione alcuna, il diritto di sviluppare e di realizzare la propria personalità come singoli e quali partecipi della comunità familiare, garantendo la permanenza di questo diritto anche a seguito del "passaggio a nuove nozze di uno o di entrambi i genitori" (art. 6 l. divorzio) (4).Il legislatore del 1975 subordina tutti i provvedimenti del giudice relativi ai figli, compreso e ancor più quello sul loro affidamento, non alle aspettative dei genitori (profilo sul quale, a ben vedere e di là da ogni forma di ipocrisia, più di ogni altro, si sono incentrate negli anni le critiche al disposto normativo oggi abrogato), ma all'esclusivo "interesse morale e materiale" della prole (art. 155, comma 1, c.c. del testo abrogato). Non a caso, lo spazio che veniva riconosciuto agli accordi dei genitori (5) sottendeva bensì la consapevolezza che, anche da parte dei figli, le soluzioni liberamente concordate e accettate sono più facilmente realizzabili rispetto a quelle imposte, ma, in ogni caso, imponeva una valutazione di meritevolezza rapportata all'interesse della prole. Proprio per salvaguardare questo interesse, il legislatore riconosceva al giudice la possibilità di emettere provvedimenti "diversi rispetto alle domande delle parti o al loro accordo" (art. 155, comma 7, c.c. del testo abrogato) (6) e dottrina e giurisprudenza ponevano in evidenza che le decisioni o le richieste dei genitori riguardanti i figli dovessero essere riguardate come meri suggerimenti.Ancora nell'interesse dei figli, accanto all'affidamento c.d. esclusivo, era stata introdotta la possibilità di un affidamento c.d. alternato - sul quale, invero, non pochi dubbi venivano più che opportunamente manifestati sotto diversi profili - e un affidamento c.d. congiunto; affidamenti previsti, come è noto, nella legislazione sui casi di scioglimento del matrimonio, ma sull'applicabilità dei quali anche ai casi di separazione personale fra coniugi nessuno ha mai dubitato. In particolare, poi, con riferimento all'affidamento congiunto, non si mancava nemmeno di precisare che, con la sua previsione, si era posto in essere non tanto un nuovo istituto giuridico, quanto un "nuovo abito mentale" che imponeva a entrambi i genitori l'adozione delle decisioni di maggiore interesse per i figli e chiariva, a un tempo, l'impossibilità "di distribuire all'uno o all'altro genitore più o meno doveri" (7). Io stesso avevo occasione di precisare che, con l'affidamento congiunto, veniva ipotizzato non un tipo di affidamento diverso da quello già disciplinato, ma un affidamento che incideva sull'esercizio della potestà, rendendolo, a volta a volta, "il più possibile comune e non limitato, come nell'ipotesi di affidamento esclusivo, alle questioni di maggiore interesse per i figli" (8).Non mancavano - è vero - disposizioni apparentemente penalizzanti la posizione del

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genitore non affidatario; si trattava, nondimeno, di previsioni che non toccavano gli enunciati dell'art. 155 c.c., ma che con essi si potevano porre in contrasto se di quella disposizione si fosse accolta una lettura che avesse distinto la titolarità dall'esercizio della potestà. Penso, per esempio e in particolare, agli artt. 21 e 33 del codice di deontologia medica (14 ottobre 1998), che limitano al "legale rappresentante" il diritto di consultare la cartella medica del minore e sempre al "legale rappresentante" attribuiscono la competenza a prestare il consenso agli interventi diagnostici e terapeutici (9). Limiti, mi sembra evidente, che, di là da ogni altra considerazione, non potevano non essere letti coerentemente alla regola stabilita dallo stesso art. 155 c.c. e in base alla quale le decisioni di maggiore interesse per la prole, salvo diversa disposizione del giudice, dovevano essere "adottate da entrambi i coniugi".In buona sostanza, la legislazione precedente alla riforma del 2006 non soltanto imponeva il lodevole perseguimento dell'interesse del minore, ma ipotizzava una disciplina fortemente caratterizzata dalla presenza di clausole generali e da forme di affidamento che, almeno in via di logica astratta, avrebbero dovuto rendere ai figli meno traumatico il processo di potenziale dissolvimento del rapporto coniugale, correlando le specifiche decisioni alle peculiari connotazioni delle concrete circostanze. Alle differenziate tipologie di affidamento - esclusivo o congiunto - corrispondevano differenti modalità attuative del rapporto genitori-figli e tali da rendere possibile, in ossequio al principio di effettività (art. 3, comma 2, Cost.), la realizzazione dell'interesse del figlio secondo le specifiche ipotesi.2. Mi sembra evidente che tutto è perfettibile e che, ancor più nel campo del diritto di famiglia, così sensibile all'evoluzione dei costumi, il continuo adeguamento dell'apparato normativo alle trasformazioni sociali è una sicura funzione che l'ordinamento deve non soltanto perseguire, ma anche concretamente svolgere (10). Quali, dunque, le innovazioni della riforma in esame? E, ancor più, atteso il carattere sempre più spesso settoriale dell'intervento legislativo (11), in quale modo esse si inseriscono nel sistema del "diritto di famiglia" e dei valori caratterizzanti l'ordinamento?Dalla lettura del nuovo art. 155 c.c. - specifico oggetto di queste mie riflessioni - emerge una serie di "prerogative" e "diritti" apparentemente nuovi, ma, in realtà, già conosciuti dalla normativa previgente: 1) il diritto del minore a conservare un rapporto il più stabile possibile con la propria famiglia, attraverso il riconoscimento sia del diritto alla "bigenitorialità", cioè del diritto a "mantenere un rapporto equilibrato e continuativo" con ciascun genitore, sia del diritto a "conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale"; 2) la presunta preferenza, in termini di scelta prioritaria da seguire, assegnata all'affidamento "a entrambi i genitori" e 3) il conseguente esercizio "condiviso" della potestà; 4) il riconoscimento espressamente attribuito agli accordi dei genitori con riferimento sia all'affidamento, sia al mantenimento.Non posso, per evidenti motivi di tempo, intrattenermi su ogni aspetto menzionato. Mi limiterò, pertanto, più in particolare ai problemi che maggiormente interessano l'affidamento della prole e l'esercizio della potestà, tralasciandone ogni altro, da quelli relativi al mantenimento a quelli, invero taciuti dal legislatore, e riguardanti i rapporti patrimoniali (amministrazione dei beni, rappresentanza, usufrutto legale, contribuzione filiale).Partendo da una situazione di fatto non riconducibile al quadro che il legislatore della riforma del diritto di famiglia del 1975 ipotizzava (12) (per dirla in termini crudi, previsione di un genitore che cura il minore e di un genitore "del tempo libero"), mi pare di poter sottolineare che la preoccupazione principale del legislatore sia stata quella di riconoscere espressamente l'esistenza di un "diritto" - il "diritto alla bigenitorialità" - che, espressamente ascritto al minore, è nella titolarità anche dei genitori: un "diritto" che nessuna disposizione normativa, almeno mi sembra, ha mai negato e che, proprio in quanto stabilito e garantito dal Costituente in un rapporto più complesso, l'ordinamento intende riconoscere non per sé stesso, ma in

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correlazione a un "dovere": la stessa potestà è una situazione di rango costituzionale non tanto quale strumento di garanzia per il soggetto che ne è titolare, quanto perché ascritta alle tecniche di tutela predisposte per lo sviluppo della personalità del minore(13).Se questo, come mi sembra, è vero, la presunta "novità" dovrebbe attenere a ciò che con il "diritto alla bigenitorialità" si intende, cioè l'espressa conservazione a vantaggio del figlio di "un rapporto equilibrato e continuativo" con entrambi i genitori per modo da ricevere da ciascuno di essi "cura, educazione e istruzione" (art. 155, comma 1, c.c.). Il principio enunciato, nondimeno, se espressamente indica la necessità che il rapporto genitori-figli abbia una sua continuità, e quantunque venga già salutato come sicura "conquista" permessa dalla riforma (14), ribadisce, in realtà, la rilevanza, oltre che dell'interesse del figlio, dell'interesse del genitore stesso a conservare un rapporto significativo con la prole (15); ribadisce un principio sicuramente presente nella precedente normativa e sul quale non mi pare si potesse dubitare (16), tant'è che anche da parte di chi sembra guardare con favore alla riforma si precisa che il "preambolo" enunciato dal nuovo art. 155 c.c. "non introduce princìpi nuovi" (17). Lo stesso già ricordato art. 6, comma 1, l. divorzio richiama, nemmeno tanto implicitamente, questa garanzia quando solennemente afferma che il dovere di mantenere, istruire ed educare la prole "permane anche nel caso di passaggio a nuove nozze di uno o di entrambi i genitori"; un dovere che non può che essere ipotizzato nella indiscutibile continuità del rapporto genitori-figli. Anche con riferimento alle relazioni personali, nessuno dubitava che la "bigenitorialità" dovesse essere valore da salvaguardare ed essere garantita attraverso un'effettiva conservazione di rapporti il più possibile stabili. Tant'è che, da un lato, se il genitore affidatario non si fosse attenuto alle condizioni stabilite, si imponeva al giudice di tener conto di quel comportamento al fine del cambio di affidamento (art. 6, comma 5, l. divorzio); dall'altro, anche in giurisprudenza, proprio a garanzia della conservazione del rapporto tra il figlio e il genitore non affidatario, si riconosceva la risarcibilità del danno sofferto da quest'ultimo a seguito di ingiustificato impedimento da parte del genitore affidatario alle relazioni personali con il figlio (18). Risarcibilità che, oggi, come è noto, è espressamente prevista dal comma 2 del rinnovato art. 709-ter c.p.c. nelle ipotesi di "gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell'affidamento" (19).I provvedimenti relativi ai figli, sotto altro verso, sono presi non soltanto per garantire al minore "il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo" con ciascun genitore e "di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi", ma anche allo scopo di permettergli la conservazione di "rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale". Qui, con ogni probabilità, è presente una novità poco sottolineata; un novità con riferimento alla quale occorreranno attente valutazioni e applicazioni se, per un verso, non si vorrà riconoscere un vero e proprio diritto dei parenti alle relazioni personali con i minori (20), e dall'altro, non si vorranno moltiplicare le occasioni di conflitto sia fra i coniugi, sia fra questi e i rispettivi parenti(21). Merito del nuovo testo, in ogni caso, mi sembra l'espressa affermazione, accanto al valore, se non preminente, comunque particolare riconosciuto alla "bigenitorialità", di ciò che rappresenta la comunità familiare, quale valore indiscutibile della persona (22): un insieme di rapporti che non si esauriscono nella famiglia nucleare, ma che si estendono alle relazioni parentali "di ciascun ramo genitoriale".In questa logica, la necessità di un rapporto "bigenitoriale" è stata affermata prevedendo, quale soluzione privilegiata e prioritariamente da valutare, l'affidamento dei figli a entrambi i genitori (art. 155, comma 2, c.c.) (23), relegando l'affidamento esclusivo a rimedio residuale (24) e stabilendo espressamente il permanere della potestà, nella sua titolarità e nel suo esercizio, in capo a "entrambi i genitori".Dall'esclusivo interesse del minore, quale clausola generale con la quale si intende indicare la necessità di salvaguardare una personalità in formazione di fronte a

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qualsiasi altra esigenza, si passa, nondimeno, a un esclusivo interesse soltanto presunto, che, proprio in quanto tale, si può vincere non in relazione a ciò che per il minore - il titolare di quell'interesse - può essere il più utile strumento di promozione, ma soltanto quando il giudice reputi che l'affidamento all'altro sia contrario all'interesse del minore stesso (art. 155-bis, comma 1, c.c.) (25). Quanto, invece, specialmente di fronte a una personalità in formazione, sia necessario passare da una valutazione in negativo di "non contrarietà" a una valutazione in positivo di promozione della personalità è posto in evidenza con forza dalla dottrina più recente (26). Il dubbio che si sia inteso effettivamente garantire l'"esclusivo interesse del minore" di fronte all'emersione di altri interessi evidentemente reputati, se non superiori a quello, almeno equivalenti, diventa un interrogativo (27). Il soggetto - siamo ormai abituati a sentire - non è più soltanto il punto di riferimento di situazioni soggettive: in questo il disposto costituzionale è inequivoco nei limiti in cui alla soggettività, intesa quale momento statico dell'essere, sostituisce la persona nel suo dinamico divenire (28). La realizzazione dell'interesse del minore, quale persona in formazione, esige, in questi termini, prima ancora che una valutazione di non contrarietà, una valutazione in positivo di meritevolezza della decisione, volta a volta, presa (29).3. In questa stessa logica mi sembra che vada analizzato anche il problema dell'affidamento esclusivo (30). Non mi sembra, però, questa la strada seguita dal legislatore del 2006. Il disfavore che dalla normativa traspare nei confronti dell'affidamento esclusivo è netto, anche se, pure in queste circostanze, il giudice deve fare "salvi, per quanto possibile, i diritti del minore previsti dal comma 1 dell'art. 155", cioè "il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo" con entrambi i genitori, per modo che questi possano adempiere i doveri di "cura, educazione e istruzione" (31). Di là dall'eventuale diverso accordo raggiunto dai genitori (accordo che anche dai primi commentatori della riforma non viene reputato vincolante) (32), se non bastasse la prioritaria valutazione del giudice sulla possibilità che i figli restino affidati a entrambi i genitori (art. 155, comma 2, c.c.), l'art. 155-bis, comma 2, c.c. pone sicuri freni, se si vuole anche soltanto di natura psicologica, all'espressa richiesta di uno dei genitori affinché il giudice pronunci l'affidamento esclusivo allorquando, pur attribuendo a ciascun genitore la possibilità di chiedere, in qualsiasi momento, l'affidamento esclusivo, "ammonisce" il genitore dal presentare domande "manifestamente infondate": in queste circostanze, infatti, ferma restando l'applicazione dell'art. 96 c.p.c. per responsabilità aggravata, "il giudice può considerare il comportamento del genitore istante ai fini della determinazione dei provvedimenti da adottare nell'interesse dei figli". È indubbio lo scopo del legislatore di evitare, per i motivi più diversi, domande pretestuose; mi sembra, nondimeno, altrettanto indubbio il velato "ricatto psicologico" nei confronti di chi, anche in buona fede, pensi che l'interesse del minore possa meglio essere realizzato con l'affidamento esclusivo (33). Di fronte alla prospettiva di vedere modificate in proprio danno le condizioni dei suoi rapporti con i figli, mi sembra sicuro che il genitore possa avere almeno qualche remora. Sotto questo profilo, non è azzardato sostenere che, alla luce di quanto disposto dall'art. 155-bis c.c., l'eventuale affidamento esclusivo che il giudice pronunzierà, piuttosto che essere nell'esclusivo interesse del minore, potrebbe essere provvedimento sanzionatorio nei confronti del genitore istante, con buona pace degli intendimenti legislativi di garantire, facendoli salvi ove possibile, "i diritti del minore previsti dal comma 1 dell'art. 155". Buon senso mi sembra, allora, che imponga di valutare infondata la richiesta di affidamento esclusivo in casi eccezionali (34).Se l'affidamento a entrambi i genitori costituisce la regola, quello a uno soltanto di essi è, ovviamente, l'eccezione, e come tale dovrebbe essere disposto, sempre in considerazione dell'esclusivo interesse del minore, in ipotesi particolarissime. Si dovrebbe trattare, pertanto, di casi particolarmente gravi che, non soltanto impediscono il normale svolgimento dei rapporti (come nell'ipotesi in cui i genitori decidano di vivere in città diverse, o in luoghi così lontani da rendere pregiudizievole

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al figlio un costante e altalenante rapporto ora con l'uno e ora con l'altro genitore), ma che sconsigliano l'affidamento a quest'ultimo anche per l'incapacità della relazione fra il genitore e il figlio di porsi quale strumento per una serena vita familiare (35). Non per nulla, la stessa Corte europea dei diritti dell'uomo ha reputato questo interesse preminente, sospendendo il "diritto di visita" del genitore non affidatario per la sola presenza di una manifesta intollerabilità da parte del figlio, in quanto, se è sicuramente vero "che il minore ha il diritto di mantenere rapporti stabili con entrambi i genitori [...] è altresì vero che ha il diritto di crescere in un contesto stabile ed armonioso" (36). Se così non fosse, non si giustificherebbe nemmeno la previsione del comma 1 dell'art. 155-bis c.c., che riconosce la possibilità al giudice di pronunciare l'affidamento esclusivo soltanto se "l'affidamento all'altro genitore sia contrario all'interesse del minore" (37).4. Al riconoscimento del "diritto alla bigenitorialità" corrisponde la dissoluzione della discutibile dissociazione fra titolarità ed esercizio della potestà, che quasi unanimemente veniva ricondotta alla precedente disciplina (38). Si riconosce, infatti, che la potestà è esercitata da entrambi i genitori, specificandosi, con ogni probabilità nel tentativo di adeguare la regolamentazione dei rapporti conseguenti alla crisi coniugale a quella ipotizzata nella fisiologia del rapporto familiare (artt. 147 e 316 c.c.), ma più verosimilmente confermando in buona sostanza il precedente disposto dello stesso art. 155 c.c., da un lato, che "le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all'istruzione, all'educazione e alla salute sono assunte di comune accordo, tenendo conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli" (art. 155, comma 3, c.c.), e, dall'altro, che per le "questioni di ordinaria amministrazione" il giudice ha il potere di "stabilire che i genitori esercitino la potestà separatamente" (art. 155, comma 3, c.c.) (39). È certo vero che la formulazione, oggi, è più specifica, individuando le situazioni che dovrebbero essere oggetto del "comune accordo" e sottolineando che la decisione deve, in ogni caso, tener conto "delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni del figlio"; ma è altrettanto vero che la necessità di far comunque salvo l'interesse del minore e la presenza della disposizione di principio contenuta nell'art. 147 c.c. impongono di interpretare estensivamente l'enunciato normativo, sì da non modificare i margini di tutela riconosciuti al minore dall'art. 30 Cost. a prescindere dal suo status e dalla situazione di fatto eventualmente vissuta nel particolare momento della sua vita. L'accordo dei genitori non mi è mai sembrato un mero riconoscimento della sola parità coniugale, quanto, piuttosto e principalmente, una tecnica di tutela per una più compiuta realizzazione dell'interesse del minore allo sviluppo della sua personalità. Sotto quest'aspetto, e forse ancor più sotto questo aspetto, la posizione del minore non può subire modificazioni rispetto a quella che gli viene riconosciuta nella fisiologia del rapporto. Come, dunque, comunemente i genitori decidono (e, secondo l'art. 316 c.c., devono decidere) d'accordo per le questioni che rivestono una importanza particolare per il corretto sviluppo della persona del figlio, ma a ciascuno di essi è data la possibilità di eseguire il più o meno esplicito indirizzo della vita familiare, anche provvedendo singolarmente alle minute necessità dei figli (40), così nella crisi del rapporto coniugale la relazione genitori-figli deve conservare le identiche caratteristiche. Lo zelo del legislatore nello specificare le garanzie offerte non può ripercuotersi, seppure soltanto potenzialmente, in danno del minore. La circostanza che si indichi la "possibilità" per il giudice di attribuire la "potestà separata" per le questioni di ordinaria amministrazione, sicché, non può sottendere la sola possibilità di scindere le scelte di carattere patrimoniale relative all'amministrazione dei beni del minore da quelle riguardanti la cura della sua persona; e, d'altro canto, già l'art. 320 c.c., a mio avviso, per nulla toccato dalla recente riforma, prevede un esercizio disgiunto dei poteri di amministrazione spettanti ai genitori (41). Inquadrata in questi termini, la distinzione di cui all'ultima parte del comma 3 dell'art. 155 c.c. fra "decisioni di maggiore interesse" e "questioni di ordinaria amministrazione" altro non può significare che la necessità di ribadire un "diritto" del figlio in una fase del rapporto fra i coniugi nella quale è venuto meno, a

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seguito della crisi tra loro intervenuta, il più o meno esplicito indirizzo della vita familiare, cioè l'elemento unificatore dei rapporti familiari e, per ciò stesso, della potestà e del suo esercizio.Il richiamo alla potestà in capo a entrambi i genitori assume un significato particolare sia con riferimento agli stessi genitori, sia riguardo ai figli: da un lato, in quanto espressione di una (manifesta e formalmente) più intensa tutela della posizione soggettiva di ciascun genitore, dall'altro e a un tempo, perché ribadisce, confermando precedenti interpretazioni del testo abrogato dell'art. 155 c.c., la funzionalizzazione della potestà al diritto del minore di sviluppare la sua personalità nel rapporto con entrambi i genitori (42). Lo stato di separazione, tuttavia, per il venir meno della convivenza coniugale impone un diverso modo di operare delle funzioni attribuite ai genitori. Si tratta, in ogni caso, come oggi si precisa eliminando ogni dubbio in proposito con il nuovo disposto dell'art. 155 c.c., soltanto di un diverso modo di operare della potestà. A ciascun coniuge, dunque, si lascia la potestà piena. Sotto questo aspetto, bene ha fatto il legislatore del 2006 a riconfermarlo espressamente con il nuovo testo dell'art. 155 c.c. che, rispetto al precedente, non lascia dubbi in merito.Quanto, poi, da questa angolazione, gli intendimenti del legislatore siano realizzabili in concreto è tutt'altro problema, che, nondimeno, va posto in evidenza (43).A ben vedere, come si è appena accennato, dire che la potestà dei genitori rimane comune anche in situazioni di separazione non può certo significare che l'esercizio della stessa debba necessariamente manifestarsi allo stesso modo di come si manifesta nelle ipotesi di convivenza dei genitori (44). Ma, se questo, come sembra, è vero, è vero anche che, in quanto previsto, prima ancora che per l'osservanza della pari dignità dei coniugi, per il rispetto dell'interesse dei figli (45), l'accordo dei genitori dovrà trovare un suo diverso modo di concretizzazione in dipendenza della circostanza che i genitori siano o no conviventi. Una volta di più tutto ciò dovrebbe essere sicuro quando si inquadri il problema in un'ottica che funzionalizzi l'accordo dei genitori alla realizzazione dell'interesse del figlio e che consideri l'evidente necessità di distinguere l' "esercizio" della potestà dall' "esecuzione" degli accordi che i coniugi hanno raggiunto nell'esercizio stesso (46). Non si può tacere che, se anche nella famiglie "unite" il legislatore ha reputato di non dover intervenire per i contrasti su questioni poco importanti, a maggior ragione non si può pretendere che per le questioni relative alla normale vita quotidiana si pervenga a continui accordi più o meno manifestati tra genitori non più conviventi (47). Va da sé che i diritti e i doveri dei genitori devono poter essere esercitati anche a séguito del venir meno della convivenza, sebbene compatibilmente con questa nuova situazione. Ci sono, in altri termini, momenti della vita del figlio - quali, per esempio, una cura medica di particolare importanza, gli studi da seguire, il lavoro da intraprendere, un eventuale espatrio temporaneo (48) - che, di là dalla convivenza del genitore con il figlio, per l'importanza che assumono nei confronti di quest'ultimo, necessitano di decisioni che non possono essere demandate al giudizio esclusivo di uno soltanto dei genitori e richiedono l'intervento di entrambi. Altri momenti della vita del figlio, per contro, per la relativa importanza che rivestono, non richiedono l'intervento di entrambi e bene fa il legislatore a dichiararlo espressamente.Piuttosto è da rilevare che, mentre la potestà non è comune, ma "è esercitata da entrambi i genitori", le decisioni di maggiore interesse "sono assunte di comune accordo". In questa differente manifestazione dell'esercizio della potestà risiede, con ogni probabilità, l'essenza del nuovo affido condiviso; un affido condiviso che diverrebbe "potestà condivisa". Si prefigura, pertanto, un rapporto caratterizzato, per dir così, da un triangolo con il figlio all'apice e in relazione disgiunta, per tutte le questioni che non siano di "maggiore interesse", con ciascun genitore. In questi termini, si specifica il significato che il legislatore ha inteso attribuire all'affidamento a entrambi i genitori, un affidamento che, forse non a caso, escluso il riferimento nel titolo della legge di riforma (Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli) e nella rubrica dell'art. 155-bis c.c., nell'articolato del

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testo normativo non viene qualificato né congiunto, né condiviso, ma che di questi, con ogni probabilità, ha soltanto tratti comuni.5. Diversamente dal precedente testo dell'art. 155 c.c., nulla il nuovo disposto normativo dice con riferimento all'esercizio della potestà quando il giudice pronunci l'affidamento esclusivo a uno dei genitori; e nulla, conseguentemente, dice sui poteri e sui doveri riconosciuti al genitore non affidatario, se non che, quando la richiesta di affidamento esclusivo venga accolta, il giudice deve far "salvi, per quanto possibile, i diritti del minore previsti dal comma 1 dell'art. 155" (art. 155-bis, comma 2, c.c.). Nel silenzio del legislatore, e sulla scorta del diritto riconosciuto al minore "di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo" con ciascun genitore - diritto che, come si è appena precisato, il giudice deve comunque far salvo, sebbene "per quanto possibile" - è pensabile che anche in queste circostanze valga la regola dell'esercizio della potestà in capo a entrambi i genitori (49).Non manca chi già esprime dubbi in proposito e, rinverdendo la scissione tra titolarità ed esercizio della potestà, reputa che l'esercizio della potestà debba essere riconosciuto in via esclusiva al genitore affidatario (50). La titolarità e l'esercizio della potestà, per contro, devono essere riconosciuti a entrambi i genitori in ogni caso, quindi anche se il minore dovesse essere affidato a uno soltanto di essi (51).A tacere dell'inutilità pratica e giuridica - per l'impossibilità di una sua efficace spiegazione - di una situazione soggettiva di cui, pur essendone titolari, non è possibile l'esercizio (52), è il dato normativo a confermare la conclusione. Oggi, più di ieri, coerentemente al sistema di valori e di princìpi espressi dal nostro sistema, non si possono non interpretare gli artt. 155 e 155-bis c.c. in considerazione del principio espresso dall'art. 317 c.c., che si richiama bensì, per l'esercizio della potestà, alle disposizioni previste per la crisi coniugale, ma garantendo, a un tempo, la comune potestà ai genitori. Diversamente dalla normativa previgente, d'altro canto, il legislatore non si è preoccupato di riconoscere in capo al genitore non affidatario il diritto di "vigilanza" - che, nell'ipotesi in cui si dia rilevanza al silenzio, dovrebbe essere escluso al genitore, con la conseguenza che la sua posizione dovrebbe essere equiparata, a questi fini, a quella di qualunque altro parente (53) -, ma ha soltanto ribadito, senza stabilire a quali ipotesi si dovesse applicare il disposto, che "le decisioni di maggiore interesse per i figli [...] sono assunte di comune accordo" dai genitori (art. 155, comma 3, c.c.) (54). È di palmare evidenza che, quando si parla di decisioni di (maggiore) interesse per i figli, non si può parlare d'altro se non di decisioni che sono esplicazioni della potestà e, dunque, del suo esercizio (55). Va da sé che, una volta di più, oggi, in presenza del nuovo disposto normativo, l'art. 317 c.c. chiarisce il significato della disciplina prevista dall'art. 155 c.c., dove, per l'ipotesi di affidamento esclusivo, la statuizione relativa all'esercizio comune manca (56).Piuttosto, mi sembra che la previsione di un affidamento esclusivo accanto all'ipotizzata regola dell'affidamento a entrambi i genitori ponga altro genere di problemi. Se è vero che la potestà è funzione di rango costituzionale posta a garanzia dell'interesse del minore e che - come ho anche sottolineato in precedenza - l'affidamento esclusivo, proprio per questo, deve essere disposto in casi particolarmente gravi che o non consentono il normale svolgimento del rapporto genitore-figlio, o sconsigliano l'affidamento a uno dei genitori anche per l'incapacità della relazione fra questi e il figlio di porsi quale strumento, per dir così, di un'equilibrata e serena vita familiare; è vero anche, per un verso, che la potestà non può aprioristicamente essere esclusa dalla sola circostanza che sia disposto l'affidamento esclusivo, e, per un altro verso, che occorre conciliare le ragioni che hanno indotto a questo modello di affidamento con l'esercizio stesso della potestà, che, in ogni caso, presuppone la realizzazione dell'interesse del figlio. Credo, allora, che se un senso possono avere le conclusioni proposte dal legislatore, questo deve essere ipotizzato nelle peculiarità che vengono riconosciute all'esercizio della potestà. Credo, in altri termini, che qui possa e debba valere quanto da alcuni, vigente la precedente disciplina, si sottolineava quando si riconosceva in capo al genitore non affidatario una "potestà affievolita", o, comunque, come io stesso

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preferivo, "differenziata" (57). È, dunque, non l'esercizio in sé, quanto il suo contenuto a essere modificato. Al genitore non affidatario, cioè, si dovranno riconoscere soltanto quelle modalità per le quali è indispensabile, nell'interesse del figlio, il suo intervento - perché modalità predisposte a tutela della prole - e un diritto alla conservazione dei rapporti con la prole "compatibile" con le ragioni - sicuramente diverse da caso a caso - che hanno consigliato l'affidamento esclusivo.È in questa diversa manifestazione dell'esercizio della potestà che, a mio avviso, deve essere individuata, nel colpevole silenzio del legislatore, la distinzione tra affidamento "condiviso" e affidamento "monogenitoriale". Attesa la funzione anche promozionale del diritto (58), il problema che pone la riforma dell'art. 155 c.c. è di ordine "culturale" nei limiti entro i quali, oggi, l'ordinamento prospetta in capo a entrambi i genitori una responsabilità più cosciente o, meglio, più esplicita. Opportunamente, pertanto, sotto questo profilo e quantunque pronunciando affidamenti a entrambi i genitori, i primi provvedimenti emanati successivamente alla riforma del 2006 ipotizzano un affidamento che si manifesta non tanto con la mera distribuzione quantitativa (pur prevista) dei tempi di convivenza, della residenza o della misura e dei modi di contribuzione al mantenimento, quanto con una "condivisa" o, come sembra evincersi più specificamente, "ripartita" responsabilità nella cura del minore. Nei termini delineati, posto che il giudice deve adottare "ogni altro provvedimento relativo alla prole" e che deve fare "salvi, per quanto possibile, i diritti del minore previsti dal comma 1 dell'art. 155", è suo compito individuare, volta a volta, e in considerazione delle specifiche circostanze, le modalità di esercizio della potestà quando, nell'interesse del figlio, si richieda un affidamento esclusivo. Ed è in questi stessi termini che, credo, si possa individuare, seppure entro certi limiti, un senso veramente innovativo alla recente disciplina legislativa: una novità che le viene dall'espressa previsione di quello che si potrebbe definire il cammino verso il concreto "statuto del minore" nella crisi del rapporto coniugale.

(*) Il lavoro, con l'aggiunta di alcune note, riproduce la relazione tenuta al Convegno "Famiglia e diritto. Profili evolutivi di un rapporto complesso", svoltosi in Salerno il 6 e 7 ottobre 2006.

(1) È noto che all'ipotizzata eccezionalità della separazione personale fra coniugi, nel codice del 1942, corrisponde la tassatività dei casi in cui essa è possibile che venga richiesta al giudice (v., da ultimo, F. RUSCELLO, Lineamenti di diritto di famiglia, Milano, 2005, 151).

(2) Già prima dell'emanazione della l. 8 febbraio 2006 n. 54, lo sottolinea V. ROSSI, Il minore nei procedimenti di separazione e divorzio, in G. CAMPANATO, V. ROSSI e S. ROSSI, La tutela giuridica del minore. Diritto sostanziale e processuale, Padova, 2005, 437.

(3) V. già in questo senso, tra gli altri, A. TRABUCCHI, Un nuovo divorzio. Il contenuto e il senso della riforma, in Riv. dir. civ., 1987, II, 137. Peraltro, non di rado, nel conflitto che si instaura anche in sede di separazione o di divorzio, i figli fungono da arma di attacco, se non di vero ricatto dei coniugi per la realizzazione del proprio, egoistico interesse: testualmente in questo senso v. F. RUSCELLO, La tutela del minore nella crisi coniugale, Milano, 2002, 11; ma già prima, tra gli altri, v. M. COSTANZA, Quale interesse nell'affidamento congiunto della prole?, in Nuova giur. civ. commentata, 1997, I, spec. 594.

(4) Formula, quella richiamata nel testo, sicuramente incompleta (v., infatti, G.F. BASINI, I provvedimenti relativi alla prole, in G. BONILINI e F. TOMMASEO, Lo scioglimento del matrimonio, in Il codice civile. Commentario, a cura di P. SCHLESINGER, Milano, 1997, 595 s.) e, per certi versi, anche pericolosa (v., infatti, le

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osservazioni di E. QUADRI, Il minore nella crisi coniugale, in Giur. it., 1988, IV, 22), ma che, "in quanto riguardante effetti non residuali al rapporto coniugale in crisi, ma direttamente nascenti dal rapporto di filiazione comunque e in qualunque tempo costituitosi, va intesa come riferita a tutti i figli dei genitori separandi o divorziandi e, per ciò stesso, formalmente indicativa, paradossalmente proprio nella sua inutilità, di quella che da più parti viene indicata come responsabilità da procreazione dei genitori" (F. RUSCELLO, La tutela del minore nella crisi coniugale, cit., 20).

(5) Sul principio dell'accordo dei genitori nei rapporti con i figli v., in generale, F. RUSCELLO, La potestà dei genitori. I rapporti personali, in Il codice civile. Commentario, a cura di P. SCHLESINGER, Milano, 1996, 140 ss.; e già prima, M. GIORGIANNI, Della potestà dei genitori, in Commentario al diritto italiano della famiglia, a cura di G. CIAN, G. OPPO e A. TRABUCCHI, IV, Padova, 1992, 320 ss.; nonché, con particolare riferimento alla crisi del rapporto coniugale, D. VINCENZI AMATO, Gli orientamenti della giurisprudenza alla luce delle indicazioni legislative, in L'affidamento dei minori nelle separazioni giudiziali. Ricerca interdisciplinare sui criteri di affido in alcuni tribunali italiani, a cura di A. DELL'ANTONIO e D. VINCENZI AMATO, Milano, 1992, 155 ss.

(6) Tra gli altri, v. Cass. 1° aprile 1981 n. 1846, in Giust. civ., 1982, I, 742 ss., dove anche la nota di M. DOGLIOTTI, Ancora in tema di limiti alla potestà dei genitori. Per una reale tutela dell'interesse del minore, 748 ss.; e M. DOSSETTI, Gli effetti della pronunzia di divorzio, in Il diritto di famiglia, I, Famiglia e matrimonio, Trattato diretto da G. BONILINI e G. CATTANEO, Torino, 1997, 716, dove, in nota ulteriori riferimenti.

(7) E. QUADRI, Il minore nella crisi coniugale, cit., 28.

(8) F. RUSCELLO, La tutela del minore nella crisi coniugale, cit., 112, dove anche, alle pp. 110 ss. e 122 ss., ulteriori riferimenti sull'affidamento congiunto e alternato.

(9) Le disposizioni richiamate nel testo sono ricordate anche da C.M. BIANCA, La nuova disciplina in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso. Prime riflessioni, in questa Rivista, 2006, 677, per porre in evidenza alcune conseguenze contrarie all'interesse del minore presenti nella precedente normativa.

(10) Con particolare riferimento proprio alla famiglia, sia consentito rinviare a F. RUSCELLO, Dal patriarcato al rapporto omosessuale: dove va la famiglia?, in Studi in memoria di V.E. Cantelmo, a cura di R. FAVALE e B. MARUCCI, II, Napoli, 2003, 657 ss.

(11) In senso critico lo sottolinea anche V. CARBONE, Le recenti riforme del diritto delle persone e della famiglia. Relazione introduttiva, in Fam. dir., 2006, 353. A problemi di coordinamento fa espresso riferimento anche S. PATTI, L'affidamento condiviso dei figli, in Fam. pers. e succ., 2006, 300 ss.

(12) Quanto precisato nel testo è posto ben in evidenza anche da P. SCHLESINGER, L'affidamento condiviso è diventato legge! Provvedimento di particolare importanza, purtroppo con inconvenienti di rilievo, in Corr. giur., 2006, 301.

(13) Quasi testualmente F. RUSCELLO, Potestà genitoria e filiazione incestuosa, in Riv. giur. Molise e Sannio, 1996, 150; ma già prima l'insegnamento di M. GIORGIANNI, Della potestà dei genitori, cit., 286, ricorda che la riforma del 1975 è fondata, tra l'altro, "su una decisa affermazione che la potestà viene attribuita ai genitori nell'esclusivo interesse del figlio". Cfr., altresì, A.C. MORO, Manuale di diritto minorile³, Bologna, 2002, 172, secondo il quale, in particolare, "Il diritto costituzionalmente garantito del genitore ad educare il figlio sussiste, in realtà, non

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nei confronti di questi, ma dello Stato e in generale nei confronti dei soggetti estranei alla famiglia, per tutelare un interesse che è comune al genitore e al figlio".

(14) V., in particolare, SCHLESINGER, L'affidamento condiviso è diventato legge!, cit., 302.

(15) Con riferimento alla riforma, v. anche G. DE MARZO, L'affidamento condiviso, I, Profili sostanziali, in Foro it., 2006, V, 90.

(16) "Invero" - precisa anche L. ROSSI CARLEO, Famiglie disgregate: le modalità di attuazione dell'affidamento dei figli fra disciplina attuale e prospettive di riforma, in Familia, 2004, 4 - "le discussioni non vertono certo sul diritto dei minori alla bigenitorialità, che per tutti costituisce un dato incontestabile e rappresenta un punto che potremmo definire, nel contempo, sia di partenza che di arrivo".

(17) Nel senso del testo v., in particolare, V. ROSSI, Il minore nei procedimenti di separazione e divorzio, in G. CAMPANATO, V. ROSSI e S. ROSSI, La tutela giuridica del minore. Diritto sostanziale e processuale, Padova, 2005, 437, secondo il quale, tuttavia, il richiamo non sarebbe inutile "soprattutto in considerazione del fatto che la situazione di conflittualità, inevitabilmente presente nei giudizi di separazione, può portare a trascurare i diritti di coloro che, più deboli e non rappresentati, rischiano di rimanere ignorati". Ora, v. anche R. VILLANI, La nuova disciplina sull'affidamento condiviso dei figli di genitori separati (Prima parte), in Studium iuris, 2006, spec. 521.

(18) V., infatti, Trib. Monza 5 novembre 2004, in Familia, 2006, 584 ss., con nota di A. CORDIANO, Danno non patrimoniale per violazione dei doveri genitoriali, 592 ss. Sotto un diverso profilo, in precedenza, Cass. 8 febbraio 2000 n. 1365, in Giur. it., 2000, 1802 ss. (dove anche la nota di V. CORRIERO, Il genitore affidatario ha diritto ad un rimborso in caso di "mancate visite" del non affidatario?), e in Fam. dir., 2000, 576 s. (dove anche la nota di M.C. MARTINELLI, Revisione dell'assegno di mantenimento per i figli e dovere di visita del genitore non affidatario, 578 ss.), aveva riconosciuto, per violazione, tra l'altro, degli artt. 2043, 143, 147, 148 e 155 c.c., il diritto al rimborso delle spese sostenute dal genitore affidatario per l'inosservanza da parte del genitore non affidatario del c.d. diritto di visita, essendo questo non soltanto una facoltà, "ma anche un dovere, da inquadrare tra le posizioni dei componenti la famiglia e nella solidarietà che deve legarli nel gruppo, anche se i genitori siano separati o divorziati".

(19) V., in argomento, le osservazioni di G. DE MARZO, L'affidamento condiviso, cit., 95 s.

(20) Come, invero, da qualcuno già si propone: v., infatti, S. PATTI, L'affidamento condiviso dei figli, cit., 300 s.

(21) E non manca, infatti, chi, proprio sul presupposto della garanzia offerta dal nuovo testo dell'art. 155 c.c., reputa non omologabili gli eventuali accordi fra i genitori che dovessero prevedere il divieto di far frequentare al minore i parenti (in particolare, i nonni) così dell'uno come dell'altro genitore (M. FINOCCHIARO, Non omologabili gli accordi che escludono i nonni, in Guida al diritto, 18 marzo 2006, n. 11, 27).

(22) Anche la famiglia deve avere una ragione giustificativa della sua rilevanza, e ciò si coglie, in particolare, nel passaggio dal valore in sé della famiglia al valore della persona ("L'ordinamento giuridico, anche e soprattutto in questo momento di grandi trasformazioni - e, se vogliamo, di confusione - è chiamato ad occuparsi dei rapporti

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familiari innanzitutto per salvaguardare i diritti fondamentali dei singoli e precisare i doveri che da tali rapporti discendono", sottolinea incisivamente D. MESSINETTI, Diritti della famiglia e identità della persona, in Riv. dir. civ., 2005, I, 146) nei limiti entro i quali si ponga quale "strumento di promozione e crescita della personalità individuale" (testualmente V. SCALISI, La "famiglia" e le "famiglie", in La riforma del diritto di famiglia dieci anni dopo. Bilanci e prospettive, Atti del Convegno di Verona 14-15 giugno 1985 dedicato alla memoria del prof. Luigi Carraro, Padova, 1986, 273 s.); anche la famiglia, in altri termini, è sottoposta a un giudizio di meritevolezza ed è valore "costituzionalmente garantito condizionatamente alla sua conformità e comunque alla sua non contrarietà ai valori caratterizzanti i rapporti civili ed in particolare al rispetto della dignità umana" (P. PERLINGIERI, Sui rapporti personali nella famiglia, in Rapporti personali nella famiglia, a cura di P. PERLINGIERI, Napoli, 1982, 19). È, dunque, in questi limiti che "dal piano delle mere aspirazioni dell'uomo, la famiglia si proietta nell'orizzonte dei diritti inviolabili dell'uomo" (testualmente, F. RUSCELLO, Lineamenti di diritto di famiglia, Milano, 2005, 13).

(23) In questo senso si parla di "affidamento condiviso" (formula, per vero, utilizzata dal legislatore soltanto nel titolo della legge di riforma), ma non si chiarisce in cosa si sostanzi (amaramente sottolinea, in proposito, F. SASSANO, Diritto di famiglia: siamo veramente sicuri che cambi tutto?, http://www.personaedanno.it, che la conquistata parità di ruoli tra madre e padre, pur meritevole, è un "grosso equivoco", atteso che "nessuno ha spiegato in termini pratici come realizzare l'affidamento condiviso"). Secondo i primi interpreti, nondimeno, l'affidamento condiviso è "tale da comportare un onere a carico di padre e madre di ricercare con ogni maggiore possibile buona volontà una collaborazione tra loro per favorire un riparto non conflittuale delle loro funzioni a favore dei figli, specie di quelli più piccoli, e del tempo con cui ciascuno di essi può cercare di dargli assistenza e affetto": P. SCHLESINGER, L'affidamento condiviso è diventato legge!, cit., 302, secondo il quale, tuttavia, e non a torto, il testo legislativo al riguardo è del tutto inadeguato, mancando di criteri direttivi ai quali il giudice possa affidarsi per "disciplinare come debba 'condividersi' l'affidamento ad 'entrambi i genitori' " (ivi, 304). D'altro canto, verrebbe da dire non a caso che da parte di alcuni si parla indifferentemente di affidamento "congiunto" e di affidamento "condiviso" (così S. PASCASI, Il nuovo affido condiviso, risvolti pratici, http://www.altalex.com.

(24) Il principio della bigenitorialità, infatti, secondo P. SCHLESINGER, L'affidamento condiviso è diventato legge!, cit., 302, "implica che, di regola, l'affidamento ad entrambi debba valutarsi conforme all'interesse del bambino, e quindi in linea di principio preferibile, cosicché solo specifici gravi motivi potrebbero giustificare una conclusione opposta".

(25) Da parte dei primi commentatori si precisa, in proposito, che il provvedimento del giudice si deve fondare non sulla "sola intollerabilità reciproca tra i genitori", ma su "una situazione di fatto che per la sua gravità sconsigli l'affidamento condiviso", quale può essere "l'ipotesi in cui i genitori, per ragioni obiettive, a seguito della separazione, decidano di trasferire la proprie residenze in luoghi tra loro così distanti da essere impossibile, o pregiudizievole per i figli, un continuo alternarsi tra le stesse" (M. FINOCCHIARO, Commento alla l. 8 febbraio 2006 n. 54, in Guida al diritto, 18 marzo 2006, n. 11, 37).

(26) P. PERLINGIERI, La personalità umana nell'ordinamento giuridico, Camerino-Napoli, 1972, passim. In questa direzione, con specifico riferimento al problema di cui è questione in questa sede, mi sembrano anche le osservazioni di L. ROSSI CARLEO, Famiglie disgregate: le modalità di attuazione dell'affidamento dei figli fra disciplina attuale e prospettive di riforma, cit., 1 ss. Ancor più in generale, si può dire con D. MESSINETTI, Diritti della famiglia e identità della persona, cit., 153 s., che "è

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tramontata l'epoca della famiglia, che potremmo definire 'protettiva', la cui funzione primaria consisteva nella protezione dei suoi membri dalla fragilità, dall'inesperienza, dalla solitudine, dalla malattia, dalla vecchiaia, e quant'altro. Mentre oggi impera un modello di famiglia che potremmo chiamare 'partecipativa', visto che i suoi membri in tanto la creano e la mantengono in vita, in quanto, partecipando ad essa, si realizzano a pieno nella loro realtà sociale, relazionale e professionale. Si è passati, dunque, dalla famiglia 'nido' alla famiglia 'trampolino'. E cioè alla famiglia la cui esistenza ed il cui funzionamento operano da precondizione per raggiungere determinati risultati concreti in termini di realizzazione della propria identità".

(27) Amara quanto indiscutibile, in realtà, è l'osservazione di D. MESSINETTI, Diritti della famiglia e identità della persona, cit., 152: "La verità è che oggi troppo spesso l'egoismo del genitore - che, pure, in qualche modo si giustifica nella ricerca di una piena affermazione della propria identità - sembra prevalere sugli interessi dei figli, soggetti deboli che subiscono le scelte degli adulti, titolari della potestà su di loro".

(28) Esemplari, in questa prospettiva, sono ancora le pagine di P. PERLINGIERI, La personalità umana nell'ordinamento giuridico, cit., passim. "Alla capacità giuridica" - sottolinea su questa scia F. RUSCELLO, Garanzie fondamentali della persona e ascolto del minore, cit., 937 s. - "situazione bensì inviolabile (arg. ex artt. 2, 3 e 22 Cost.), ma qualificante il momento statico della soggettività, si affianca la dinamica dell'essere persona che si proclama con gli artt. 2 e 3 Cost.: l'individuo, dunque anche il minore, è soggetto titolare di situazioni soggettive, ma, a un tempo, persona alla quale l'ordinamento riconosce la garanzia dello sviluppo e della realizzazione della personalità" (già prima, in questo senso, v., diffusamente, STANZIONE, Capacità e minore età nella problematica della persona umana, Camerino-Napoli, 1975, spec. 85 ss.).

(29) Quantunque in ogni caso preferibile, sotto gli aspetti evidenziati nel testo, mi sembra insufficiente anche il rilievo di V. ROSSI, Il minore nei procedimenti di separazione e divorzio, cit., 438, allorquando sottolinea che un richiamo al "pregiudizio del minore" sarebbe stato preferibile in quanto "concetto ben più determinato e definito della semplice contrarietà all'interesse del minore".

(30) La novella, per contro, ha escluso la possibilità, precedentemente prevista dal comma 6 dell'art. 155 c.c., di "collocare" il minore presso terzi in presenza di "gravi motivi" (ma la possibilità è reputata ancora ammissibile da P. LOVATI, Affidamento condiviso dei figli: luci ed ombre della nuova legge, in Riv. crit. dir. priv., 2006, 168). Le pagine dedicate all'argomento dal Maestro che qui ricordiamo mi sembrano tuttora esemplari: v., in particolare, M. GIORGIANNI, Affidamento extrafamiliare e potestà genitoria, in Diritto di famiglia. Raccolta di scritti di colleghi della Facoltà giuridica di Roma e di allievi in onore di Rosario Nicolò, Milano, 1982, 229 ss.

(31) Secondo i primi commentatori, tuttavia, l'affidamento dei figli deve essere regolato, in via prioritaria, dall'accordo tra i coniugi (così, espressamente, R. VILLANI, La nuova disciplina sull'affidamento condiviso dei figli di genitori separati (Prima parte), cit., 523), sicché dal disposto normativo "sembra dedursi che un affidamento condiviso debba essere disposto dal giudice solo se siano intervenuti accordi in tal senso tra i genitori e tali accordi siano ritenuti 'non contrari' all'interesse dei figli": V. ROSSI, Il minore nei procedimenti di separazione e divorzio, cit., 438. Per contro, secondo Trib. Bologna 22 maggio 2006, http://www.personaedanno.it, proprio perché prioritariamente, e nell'interesse del figlio, si deve valutare la possibilità di un affidamento a entrambi i genitori, qualora manchino i presupposti di cui all'art. 155-bis c.c. per far ricorso all'affidamento esclusivo, anche se questo viene chiesto da entrambi i genitori, il giudice deve pronunciare un affidamento a entrambi i genitori.

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(32) V., infatti, M. SESTA, Le nuove norme sull'affidamento condiviso: a) profili sostanziali, in Fam. dir., 2006, 382; e S. PATTI, L'affidamento condiviso dei figli, cit., 302, secondo il quale, in particolare, la circostanza che il giudice "prende atto" degli accordi dei genitori non esime il giudice stesso dalla valutazione di corrispondenza di quegli accordi con l'interesse dei figli: piuttosto - si continua - al giudice non è dato discostarsi dalle scelte concordate dai genitori "senza motivi apprezzabili, e cioè nei casi in cui la sua decisione, che comunque deve porsi in linea con le scelte dei genitori, non contrarie all'interesse dei figli, non sia evidentemente diretta a realizzare ancor meglio tale interesse".

(33) Non per nulla da parte di alcuni viene già posto in evidenza come "la possibilità che si consideri la condotta del genitore cha abbia agito in giudizio, ai fini della determinazione dei provvedimenti da adottare, lascia perplessi, già sul piano dell'astratta formulazione, dal momento che ogni decisione non può che essere fondata sull'interesse dei figli e non su logiche sanzionatorie" (espressamente in questi termini v. G. DE MARZO, L'affidamento condiviso, cit., 91; analogamente v. anche P. LOVATI, Affidamento condiviso dei figli, cit., 171). Fa riferimento a condizioni disincentivanti la presentazione dell'istanza di affidamento esclusivo S. PATTI, L'affidamento condiviso dei figli, cit., 301, che pur reputa applicabile questo stesso disposto per le ipotesi di "richieste pretestuose o del tutto prive di fondamento" in sede di richiesta di revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli (ivi, 302).

(34) Alle sole ipotesi nelle quali la domanda sia espressione della volontà di "infastidire" l'altro coniuge fa espresso riferimento M. FINOCCHIARO, Commento, cit., 37.

(35) "Sarebbe fuorviante intravedere l'interesse del minore con esclusivo riferimento alla capacità del genitore di "assistere e curare adeguatamente la prole", alla sua "capacità educativa" [...] senza far assumere al profilo relazionale [...] un ruolo altrettanto, e, ancor più, essenziale nella decisione" sull'affidamento dei figli (F. RUSCELLO, La tutela del minore nella crisi coniugale, cit., 68). Non per nulla, opportunamente, da tempo si pone in rilievo in dottrina (P. ZATTI, I diritti e i doveri che nascono dal matrimonio e la separazione dei coniugi, in Tratt. dir. priv., diretto da P. RESCIGNO, 3, 2, Torino, 1982, 240, dove le parole tra virgolette) la necessità di restringere la rilevanza degli aspetti morali, di opinione ed educativi in genere nell'àmbito degli artt. 330 e 333 c.c., giacché, in caso contrario, si farebbe assumere alla scelta fondata su questi criteri una funzione di controllo sull'attività educativa del genitore affidatario, risolvendosi, la scelta stessa, "in una indebita ingerenza giudiziale sulla discrezionalità educativa".

(36) Se si vuole, sulla scorta di quanto veniva sottolineato in dottrina, la normativa appena entrata in vigore mostra, in sede di disciplina dell'affidamento, gli stessi limiti che si rilevavano con riferimento anche al disposto del precedente art. 155 c.c.: il legislatore - si sottolineava, infatti, in dottrina - "non può che contemplare due possibili soluzioni della crisi, l'una ispirata ad un modello aconflittuale, l'altra legata ad un modello giudiziale. Il dettato normativo, tuttavia, non consente di individuare questa distinzione con sufficiente chiarezza, in quanto la disciplina, invece di indicare l'àmbito nel quale può realizzarsi la ricerca di compatibilità fra i diversi valori, delinea, piuttosto, una linea di compatibilità fra i due modelli di superamento della crisi. Si cerca, difatti, di piegare il modello giudiziale a svolgere funzioni che non sono proprie dell'attività giudiziale e, nel contempo, si presta a un'attenzione insufficiente al modello aconflittuale": L. ROSSI CARLEO, Famiglie disgregate: le modalità di attuazione dell'affidamento dei figli fra disciplina attuale e prospettive di riforma, cit., 5, testo e nota 12, dove anche il richiamo alla decisione della Corte europea dei diritti dell'uomo.

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(37) Così L. ROSSI CARLEO, Famiglie disgregate: le modalità di attuazione dell'affidamento dei figli fra disciplina attuale e prospettive di riforma, cit., 7. Reputa, in particolare, che l'affidamento esclusivo debba essere pronunciato "laddove il giudice ritenga [...] che i genitori non siano in grado di comporre la loro conflittualità nell'interesse dei figli minori (legittimi e naturali)",LOVATI, Affidamento condiviso dei figli, cit., 168, con ciò riproponendo, implicitamente, gli analoghi presupposti precedentemente ipotizzati per la pronuncia dell'affidamento congiunto (supra, § 1).

(38) In argomento, anche per gli ulteriori riferimenti, v. F. RUSCELLO, La tutela del minore nella crisi coniugale, cit., 143 ss. e 149 ss.; nonché, più di recente, M. SESTA, La potestà dei genitori, in Il diritto di famiglia, a cura di SESTA e DOGLIOTTI, III, in Trattato di diritto privato, diretto da M. BESSONE, IV, Torino, 1999, 236 ss.; e G. GIACOBBE e G. FREZZA, Ipotesi di disciplina comune nella separazione e nel divorzio, in Famiglia e matrimonio, a cura di FERRANDO, FORTINO e RUSCELLO, I, 2, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da P. ZATTI, Milano, 2002, 1535 ss.

(39) Disposizione, quest'ultima, richiamata nel testo, che, come anche si accennerà di qui a poco, si può anche reputare ovvia in quanto mirata a evitare contrasti su questioni che, essendo di importanza minima, non dovrebbero poter paralizzare il rapporto genitore-figlio. Analogamente cfr. V. ROSSI, Il minore nei procedimenti si separazione e divorzio, cit., 439.

(40) V., infatti, le osservazioni svolte da F. RUSCELLO, La potestà dei genitori, cit., 144 ss., relativamente al problema della possibilità o meno di limitare l'accordo dei genitori alle sole questioni di particolare importanza.

(41) Da due diverse angolazioni v., nel senso del testo, M. SESTA, Le nuove norme sull'affidamento condiviso: a) profili sostanziali, cit., 383; e, diversamente, R. VILLANI, La nuova disciplina sull'affidamento condiviso dei figli di genitori separati (Seconda parte), in Studium iuris, 2006, 668 s.

(42) Era in questi termini l'interpretazione che si offriva nella precedente edizione di questo commento; e analogamente si esprimeva P. ZATTI, I diritti e i doveri che nascono dal matrimonio, cit., 241, secondo cui, peraltro, pur essendo i menzionati diritti bensì fondamentali, ma non tutelabili necessariamente in coincidenza con l'attribuzione al genitore della potestà, nondimeno è indubbia "la tendenza del legislatore a realizzare fin dove possibile un modello di relazione tra genitori e figli che ponga di fronte la coppia nel suo insieme, e in posizione di parità, con il minore" (ivi, 241 s.).

(43) V., infatti, le osservazioni di F. RUSCELLO, La tutela dei figli nel nuovo "affido condiviso", in Familia, I, 2006, 625; e di R. VILLANI, La nuova disciplina sull'affidamento condiviso dei figli di genitori separati (Seconda parte), cit., 669 s.

(44) È su queste basi, d'altra parte, che, vigente la precedente disciplina prevista dall'art. 155 c.c., si giustificava proprio la particolare disciplina prevista e apparentemente in contrasto con l'art. 316 c.c.: "Si tratta indubbiamente di una deroga al principio generale, codificato nell'art. 316 c.c. [...]" - sottolinea G. TAMBURRINO, La filiazione, in Giur. sist. dir. civ. e comm. Bigiavi, Torino, 1984, 345 - "ma essa si spiega nel venir meno della convivenza tra i coniugi e nell'opportunità che nell'interesse del figlio e di una sua vita tranquilla e regolare l'ordinaria amministrazione e le normali decisioni quotidiane spettino al genitore con cui il figlio vive, a cui è affidato e che provvede al suo mantenimento ed alla sua educazione".

(45) È sotto questo profilo, d'altra parte, che, come ho precisato in altra sede (F.

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RUSCELLO, La potestà dei genitori, cit., 140 ss.), il principio dell'accordo "può essere ascritto a principio fondamentale delle relazioni familiari" e, per ciò stesso, è "indisponibile".

(46) Cfr. F. RUSCELLO, La potestà dei genitori, cit., 145 ss.

(47) "Fermo il legame tra esercizio congiunto della potestà, e convivenza [...], si passa dalla soluzione disposta nella legge sul divorzio - esercizio della potestà all'affidatario, diritto-dovere di vigilare sull'educazione della prole, all'altro genitore - a quella dell'art. 155, comma 3, estesa alle altre ipotesi dall'art. 317 c.c., e per la quale si distingue un esercizio quotidiano della potestà [...], che spetta esclusivamente all'affidatario, da un permanente esercizio congiunto rispetto alle decisioni di maggiore interesse": P. ZATTI, I diritti e i doveri che nascono dal matrimonio e la separazione dei coniugi, cit., 242. Ritiene che "l'affidamento disposto dal giudice incide sull'esercizio della potestà dei genitori, il quale, da paritario, diventa nelle cose ordinarie esclusivo del coniuge affidatario", anche M. FINOCCHIARO, Del matrimonio, II, in Comm. c.c. Scialoja e Branca, a cura di F. GALGANO, Libro Primo. Delle persone e della famiglia, Bologna-Roma, 1993, 398. Cfr., altresì, R. PANE, Convivenza familiare e allontanamento del figlio minore. Contributo allo studio della prassi, Napoli, 1984, 160.

(48) In linea di principio, cfr. F. RUSCELLO, La potestà dei genitori, cit., 161 ss. Per alcune esemplificazioni giurisprudenziali v. F. SANTOSUOSSO, Il matrimonio, Torino, 1987, 364.

(49) In questo senso v. F. RUSCELLO, La tutela dei figli nel nuovo "affido condiviso", cit.

(50) V., per esempio, R. VILLANI, La nuova disciplina sull'affidamento condiviso dei figli di genitori separati (Seconda parte), cit., 668, secondo il quale "parrebbe [...] mal conciliarsi il provvedimento di esclusione di uno dei genitori dall'affidamento del figlio con il mantenimento comunque ad entrambi i genitori dell'esercizio della potestà". Già prima dell'emanazione dell'attuale normativa cfr. V. ROSSI, Il minore nei procedimenti di separazione e divorzio, cit., 439, secondo il quale pur resta "fermo il diritto del genitore non affidatario di partecipare alle decisioni di maggiore interesse relative ai figli, nonché di vigilare sulla loro istruzione ed educazione". Ora, in questo senso, anche M. SESTA, Le nuove norme sull'affidamento condiviso: a) profili sostanziali, cit., 380 s., che, dopo aver riconosciuto nel genitore non affidatario il diritto di "adottare congiuntamente all'affidatario le decisioni di maggiore interesse per il figlio e [...] il diritto e il dovere di vigilare sull'istruzione ed educazione" (ivi, 381), reputa - in ciò sottolineando qualcosa di molto simile nella sostanza a quanto si precisa in questa sede (v., infatti,infra nel testo) - che "l'affidamento monogenitoriale [...] comporta che il giudice ne determini il contenuto, da modellarsi", appunto, "in base ai criteri enunciati in passato dall'abrogato art. 155, comma 3, c.c." (ivi, 384).

(51) In realtà, non mi pare si possa dubitare che affidamento dei figli ed esercizio della potestà si pongano su piani diversi, quantunque collegati, come diverse dovrebbero essere le valutazioni dell'interesse del minore per l'una e per l'altra circostanza. Non mi sembra, allora, del tutto azzardato immaginare che, ipotizzando l'esercizio esclusivo soltanto in capo al genitore affidatario, si potrebbe essere portati a equiparare le ipotesi di affidamento esclusivo con quelle nelle quali si debba pronunciare la decadenza dalla potestà (lo stesso M. SESTA, Le nuove norme sull'affidamento condiviso: a) profili sostanziali, cit., 384, tuttavia e, nella sua logica, non a caso, reputa che, per la pronuncia dell'affidamento esclusivo, non è necessario che si realizzino le condizioni previste per la decadenza dalla potestà), provvedimento, a ben vedere, non più richiamato e, in ogni caso, incompatibile con il

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dovere del giudice di dover far salvi, sebbene per quanto possibile, i diritti che il comma 1 dell'art. 155 c.c. riconosce alla prole. Analoga incompatibilità - dico soltanto per inciso - dovrebbe riscontrarsi anche se non si dovesse ipotizzare la decadenza dalla potestà: in che senso si dovrebbe "mal conciliare" l'attribuzione della potestà con l'esclusione dell'affidamento se non per motivi che, evidentemente, sconsiglino il rapporto genitore non affidatario-figlio?

(52) Pur non essendo questa la sede, dove ripercorrere il problema accennato, non si può tacere che tutte le situazioni soggettive vanno, tra l'altro, esaminate nella loro dinamicità, nel senso che è necessario distinguere e contemporaneamente collegare "l'esistenza di una situazione giuridica, il suo ciclo di realizzazione, la sua attuazione" (testualmente F. RUSCELLO, "Pactum de non petendo" e vicenda modificativa del rapporto obbligatorio, in Riv. dir. civ., 1976, II, 203, dove ulteriori riferimenti di letteratura).

(53) Sull'impossibilità di tale equiparazione, tuttavia, v. F. RUSCELLO, La tutela del minore nella crisi coniugale, cit., spec. 176 ss.

(54) Sebbene sotto la vigenza della precedente normativa, precisa, in proposito, N. SCANNICCHIO, Commento all'art. 11, in N. LIPARI (a cura di), Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio, Padova, 1988, 192, che la previsione per cui le decisioni di maggiore interesse per la prole devono essere prese d'accordo fra i coniugi, "riproduce parzialmente, nei rapporti tra i genitori separati e/o divorziati, rispetto alla prole, le stesse esigenze di uguaglianza e di interesse del minore alla concordia dei genitori che sono alla base del regime generale di esercizio della potestà di cui all'art. 316 c.c.".

(55) Lo sottolineano anche M. GIORGIANNI, Della potestà dei genitori, cit., 336; e L. FERRI, Della potestà dei genitori, in Comm. c.c. Scialoja e Branca, a cura di F. GALGANO, Libro Primo. Delle persone e della famiglia, Bologna-Roma, 1988, 46. Avvertivano, vigente il precedente testo dell'art. 155 c.c., che nelle ipotesi in cui "al genitore non affidatario viene conservato l'esercizio della potestà in ordine alle decisioni di maggiore importanza per i figli, o quando allo stesso viene riconosciuto il diritto di continuare l'esercizio congiunto della potestà con il genitore affidatario [...], l'esercizio della potestà resta congiunto e nessuna distinzione si può fare a questi fini fra genitore affidatario e genitore non affidatario", anche A. e M. FINOCCHIARO, Diritto di famiglia. Commento sistematico della l. 19 maggio 1975 n. 151. Legislazione-Dottrina-Giurisprudenza, II, Milano, 1984, 2026.D'altro canto, non si manca di sottolineare che l'espressione "decisioni di maggiore interesse" si deve considerare equivalente a quella utilizzata dall'art. 316 c.c. "questioni di particolare importanza": E. MESSORI, Esercizio della potestà dei genitori e decisioni di maggiore interesse per i figli nel caso di separazione personale, in Riv. not., 1985, 1080.

(56) Espressamente in tal senso, precedentemente alla riforma del 2006, cfr. M. GIORGIANNI, Della potestà dei genitori, cit., 336. Manifestava, per contro, perplessità sul punto A. BUCCIANTE, La potestà dei genitori, la tutela e l'emancipazione, in Tratt. dir. priv. Rescigno, 4, Torino, 1982, 530, secondo cui "La pari univocità della disposizione con cui" il legislatore "ha riservato al genitore affidatario l'esercizio 'esclusivo' della potestà, il riferimento contenuto nel comma 5 dell'art. 155 c.c. all'ipotesi del tutto eccezionale in cui 'l'esercizio della potestà è affidato ad entrambi i genitori', i riflessi del tutto negativi che sul piano della certezza e della validità degli atti negoziali deriverebbero ai terzi, [...] inducono a formulare ampie riserve verso una tale soluzione".

(57) Vigente il precedente testo dell'art. 155 c.c., lo sottolinea M. GIORGIANNI, Della

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potestà dei genitori, cit., 336. Avvertiva che, nonostante l'espressa previsione di cui al comma 2 dell'art. 317 c.c., dall'esame delle disposizioni di cui agli artt. 155 c.c. e 6 della legge sul divorzio come modificato dalla l. 6 marzo 1987 n. 74, la potestà del genitore non affidatario si affievolisce notevolmente, A. BELVEDERE, Potestà dei genitori, in Enc. giur. Treccani, XXIII, Roma, 1990, 7. In senso contrario al testo, oltre al già ricordato A. PINO, Il diritto di famiglia, cit., 227 s., e ad A. JANNUZZI, Manuale della volontaria giurisdizione, cit., 62, cfr. anche A. e M. FINOCCHIARO, Diritto di famiglia, II, cit., 2025, dove, in nota, ulteriori riferimenti. Con esclusivo riferimento al divorzio, precisa, sul presupposto che "Dall'art. 6 e in particolare dai commi 2, 3 e 4 si può trarre la regola affidamento disgiunto-esercizio esclusivo della potestà da parte del genitore affidatario", che l'esercizio della potestà si conserva comune ad entrambi i coniugi soltanto nell'ipotesi di affidamento congiunto o alternato, L. BARBIERA, Il divorzio dopo la seconda riforma, Bologna, 1988, 122 s. (l'inciso tra virgolette è a p. 123).

(58) "Il diritto" - sottolinea P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale², Napoli, 1991, 64 s. (ma già prima ID., Profili istituzionali del diritto civile, Camerino-Napoli, 1975, 3 s.) - "può assolvere una duplice funzione: conservare le situazioni presenti di fatto, conformando le proprie regole a quelle esistenti, dove la norma non fa che trasfigurare, tradurre in termini normativi gli interessi prevalenti ed egemoni; modificare quelle strutture creando nuove regole, sotto la spinta di interessi contrastanti ed alternativi" (ivi, 64). "Il legislatore" - continua l'a., ivi, 65 - non sempre fa proprie le istanze che la società esprime; talvolta le disattende o le interpreta diversamente sì da trasformare la realtà secondo un'autonoma valutazione".

IL MANTENIMENTO DEI FIGLI CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AI FIGLI MAGGIORENNI

Giur. merito 2006, 10, 2291B

di Salvatore Mezzanotte

Avvocato in Chieti Cultore di Diritto Privato presso l'Università «G. D'Annunzio» di Chieti-Pescara

SOMMARIO: 1. Origine e fondamento dell'obbligo di mantenimento. - 2. Natura giuridica. - 3. Contenuto dell'obbligo. - 4. Durata e presupposti. - 5. Ipotesi di cessazione. - 6. Legittimazione attiva prima della novella del 2006. - 6.1. Legittimazione attiva dopo la novella del 2006. - 6.2. Legittimazione passiva. - 7. Inosservanza dell'obbligo di mantenimento: strumenti coercitivi a favore del figlio. - 8. Considerazioni conclusive.

1. ORIGINE E FONDAMENTO DELL'OBBLIGO DI MANTENIMENTO Con la costituzione del rapporto di filiazione i genitori assumono l'obbligo di assistere moralmente e materialmente i propri figli. Siffatto obbligo rileva sotto un profilo giuridico ed è imposto prima di tutto dall'art. 30 della Carta costituzionale italiana, trovando fondamento nell'evento stesso della procreazione (1), intesa sia nel significato di derivazione biologica e di sangue, sia quale rapporto di responsabilità sociale (2). L'art. 30 comma 1 Cost., sancisce un dovere-diritto (3) dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli anche se sono nati fuori del matrimonio, in quanto questi ultimi acquisiscono il diritto alla piena assistenza per il solo fatto della procreazione, prescindendo dalla circostanza dell'esistenza di un'unione legittima tra i due genitori. Con tale norma si dà effettiva affermazione al principio di eguaglianza previsto dall'art. 3 Cost., in quanto da un lato si realizza l'equiparazione di ambedue i genitori

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nella titolarità e nell'esercizio dei propri diritti e doveri, e dall'altro si riconosce pari dignità ai figli indipendentemente dalla natura del rapporto di filiazione (4). Dal momento della nascita del figlio, quindi, grava sui genitori l'obbligo di rispettare quei doveri di solidarietà previsti dall'art. 2 della Carta costituzionale, al fine di consentire il pieno sviluppo della personalità dell'individuo. È opportuno ricordare in proposito che, in virtù dell'art. 2 Cost., «la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità», quale è prima di tutto la famiglia (5), in quanto società naturale fondata sul matrimonio (art. 29 Cost.). Con diversa formulazione analogo obbligo è disposto dall'art. 147 c.c., che impone ai coniugi di mantenere, istruire ed educare i figli, tenendo conto delle loro molteplici esigenze, capacità, inclinazioni naturali ed aspirazioni, non soltanto di natura strettamente alimentare, ma anche abitativa, scolastica, sanitaria e sociale (6). Con la riforma del diritto di famiglia (7) disciplinata dalla l. 19 maggio 1975, n. 151, sono stati introdotti significativi cambiamenti (8) e si è compiuto un sensibile avvicinamento al dettato costituzionale (9), soprattutto mediante l'affermazione del principio dell'uguale responsabilità dei genitori nei confronti dei figli, siano essi legittimi o naturali (artt. 261 e 317 bis c.c.) (10). Ai figli nati fuori dal matrimonio è stata così riconosciuta ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei componenti della famiglia legittima (art. 30 comma 3 Cost.) (11), in modo da equiparare (12) la posizione giuridica del figlio naturale con quella del figlio legittimo, anche sotto il profilo patrimoniale (13). Il riconoscimento del figlio da parte del genitore è presupposto del mantenimento, in quanto esso costituisce l'atto formale con il quale si dichiara e si accerta sotto un profilo giuridico il rapporto di filiazione (14). È opportuno ricordare che il riconoscimento attribuisce lo status di figlio naturale, effetto che si verifica solo nei confronti del genitore che ha proceduto al riconoscimento medesimo. Quanto alla natura giuridica dell'atto di riconoscimento, in dottrina si è discusso a lungo, e si discute tuttora se esso sia da inquadrare come una dichiarazione di scienza, oppure come negozio giuridico e quindi atto di autonomia privata. Alla prima tesi (15) si contesta il fatto che essa non è in grado di spiegare il carattere della dichiarazione (carattere costitutivo dello stato di figlio nel riconoscimento ovvero mera prova nell'ipotesi prevista dall'art. 273 n. 3 c.c.), né è capace di chiarire perché la legge consenta l'impugnativa per violenza o incapacità a seguito d'interdizione. I fautori della tesi della dichiarazione di scienza hanno risposto a queste critiche puntualizzando che non si tratterebbe di mera dichiarazione di scienza, ma di dichiarazione di scienza costitutiva: l'effetto costitutivo sarebbe messo in relazione alla forma solenne della dichiarazione. Detti sostenitori hanno, poi, asserito che, in ogni caso, sarebbe pur sempre necessaria la volontà, esente da vizi, di dichiarare il fatto della paternità o della maternità. Di recente si è andata affermando una accreditata dottrina che annovera il riconoscimento tra i negozi di accertamento, poiché con esso il genitore si avvale del potere di dare certezza giuridica all'evento naturale della procreazione ed al rapporto di filiazione (16). Secondo altra autorevole dottrina, il riconoscimento è un negozio giuridico di diritto familiare, cioè manifestazione di un potere di autonomia familiare (17). In base a questa teoria il riconoscimento non si può definire dichiarazione di scienza in quanto esso non contiene una semplice dichiarazione informativa, ma pure un giudizio di valore, orientato verso un fine concreto. Non è necessario che in capo al dichiarante sussista l'effettiva volontà di conferire al figlio lo stato di figlio naturale, dato che un simile effetto giuridico dell'atto è prodotto dall'ordine giuridico, anche qualora il dichiarante ignori l'effetto che l'ordinamento collega a quella dichiarazione. Esiste, infine, un'altra concezione a sé stante per la quale il riconoscimento è un atto di potere familiare attributivo dello stato di figlio naturale (18). 2. NATURA GIURIDICA In ordine alla natura giuridica dell'obbligo di mantenimento, va innanzitutto osservato che siamo al cospetto di una figura articolata che contempla aspetti di

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diverso genere, poiché ha un substrato economico-patrimoniale (19) e, nel contempo, è preordinata al soddisfacimento di uno scopo familiare di carattere essenzialmente etico (20). Due sono gli orientamenti giurisprudenziali esistenti. Il primo indirizzo, che sembra meno in sintonia con le linee guida tracciate dalla riforma del diritto di famiglia, afferma la natura parziaria dell'obbligazione, ravvisando perciò nel comportamento del genitore adempiente un caso di negotiorum gestio. Il secondo orientamento, negli ultimi tempi più diffuso e meglio corrispondente allo spirito della novella del 1975, sostiene la natura solidale dell'obbligo di mantenimento, definendo come regresso l'azione del genitore adempiente (21). Come testé accennato, la qualificazione parziaria dell'obbligo di mantenimento non appare meritevole di considerazione, specialmente perché rende problematica la tutela dell'interesse prioritario che è quello della prole. Affermando la regola della parziarietà, secondo la quale in presenza di una pluralità di soggetti obbligati ciascuno di essi è tenuto a pagare il debito solo pro quota, si ha come conseguenza che, nel caso uno dei genitori non si preoccupi del mantenimento, il figlio non potrà pretendere che l'altro si faccia carico per intero dell'obbligazione. Questa situazione risulta essere, inoltre, in evidente contrasto con il tenore letterale delle norme di cui agli artt. 261 e 148 c.c., secondo le quali su ognuno dei genitori grava l'obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole, sia legittima che naturale, indipendentemente dalla collaborazione dell'altro.L'altro orientamento giurisprudenziale propende per la tesi della natura solidale dell'obbligo di mantenimento, sebbene determinati aspetti che provengono dal carattere familiare dell'obbligo in questione, lo distinguano in più punti dalla categoria delle obbligazioni di cui agli artt. 1173 ss. c.c. (22). Soggetti passivi dell'obbligazione di mantenimento sono, appunto, i genitori e la loro è una obbligazione solidale alla quale sono applicabili gli artt. 1298 e 1299 c.c. L'obbligo di mantenimento che assumono ambedue i genitori, ha invero, un carattere unitario dal quale deriva, in capo a ciascuno di essi, il dovere di sopperire alle possibili inadempienze dell'altro. Come nel caso di obbligazione solidale, anche in quello di obbligo di mantenimento ogni debitore deve adempiere l'intera obbligazione e il suo adempimento ne provoca la totale estinzione. Il vincolo di solidarietà che lega i condebitori tra loro garantisce la tutela dei diversi interessi in gioco: da un lato esso assicura la pronta realizzazione del diritto del figlio al completo soddisfacimento dei propri bisogni e dall'altro permette al genitore adempiente di farsi restituire quanto anticipato per conto dell'altro. Il figlio potrà così giovarsi del meccanismo di cui all'art. 1292 c.c., costringendo parimenti l'uno o l'altro dei genitori-debitori ad adempiere per intero la prestazione di mantenimento. Il genitore che continui a provvedere direttamente e totalmente al mantenimento del figlio è, invece, legittimato ad agire iure proprio in regresso nei confronti dell'altro genitore inadempiente per il rimborso della quota di quanto da lui anticipato per conto di quest'ultimo, secondo le regole generali del rapporto tra condebitori solidali, come si desume, in particolare, dall'art. 148 c.c., richiamato dall'art. 261 c.c. (23). Il vincolo solidale non viene meno neppure nell'ipotesi in cui la ripartizione delle prestazioni tra i due debitori non sia uguale (art. 1298 c.c.), circostanza questa che si verifica di frequente nella fattispecie de qua. Il dettato normativo di cui all'art. 148 comma 1 c.c. genera, infatti, un certo squilibrio nella prestazione, in quanto i coniugi devono adempiere l'obbligazione di mantenimento «in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo» (24), il che discende dal più generale principio sancito dall'art. 143 ultimo comma c.c. 3. CONTENUTO DELL'OBBLIGO Il mantenimento dei figli si sostanzia nella erogazione ad essi dei mezzi economici necessari a far raggiungere loro un grado di cultura personale e professionale e conseguentemente una autonomia economica, ed include anche le spese necessarie per condurre una vita di relazione, secondo lo standard dell'ambiente sociale nel quale la famiglia vive (25). L'obbligo implica, dunque, il soddisfacimento diretto delle

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esigenze della prole, ed anche l'accollo delle spese effettuate da terzi per i bisogni dei figli (26); è più ampio di quello alimentare propriamente detto e prescinde da qualunque altro presupposto ed in particolare dallo stato di bisogno del figlio sul quale l'art. 433 c.c. fonda la fattispecie alimentare (27). Secondo una autorevole dottrina recepita anche in giurisprudenza, il mantenimento si determina in proporzione al patrimonio dei genitori, non è limitato solo ai cc.dd. bisogni elementari della persona umana e deve necessariamente racchiudere ogni voce di spesa indispensabile a garantire al figlio una qualità di vita appropriata (28) e, comunque, conforme al livello socio-economico proprio della famiglia di appartenenza (29), senza però trascurare le esigenze educative (30). La misura del contributo è determinata, anche con diverso ammontare nel tempo, sia in base alle esigenze dei figli, sia in base alle sostanze ed alle capacità di lavoro di ciascuno dei genitori (31). Il mantenimento presuppone, perciò, un valutazione comparativa di entrambe le situazioni dei genitori e dei figli e mira alla realizzazione di un equilibrio, non sempre facilmente raggiungibile, fra le possibilità di prestazione dell'obbligato e le esigenze di vita dell'avente diritto. Si è più volte ribadito in giurisprudenza, infine, che obbligo di mantenimento non significa potere di ingerenza da parte dei genitori nella vita del figlio ormai adulto (32). 4. DURATA E PRESUPPOSTI Mentre il dovere di educazione si estingue al momento del compimento del diciottesimo anno da parte del figlio, l'obbligo di mantenimento non cessa automaticamente, ipso facto, con il raggiungimento della maggiore età (33) (non prevedendo né l'art. 30 Cost., né l'art. 147 c.c. alcuna scadenza ad essa collegata), ma ha una durata mutevole, senza rigida predeterminazione di tempo, che è soggetta alle circostanze del singolo caso (34). Secondo una diffusa dottrina, il mantenimento si protrae fino al momento in cui il figlio abbia conseguito una propria indipendenza economica e sia, quindi, in grado di provvedere in modo autonomo al soddisfacimento delle proprie esigenze (35). Diverso orientamento dottrinale sostiene che il mantenimento perdura fino a quando esiste la possibilità, la necessità o l'opportunità familiare e vi è partecipazione e collaborazione del destinatario del sussidio, che deve attivarsi per raggiungere i propri obiettivi personali e conquistare così l'autosufficienza (36). Altra dottrina ritiene che il limite di durata dell'obbligo in discorso sia rappresentato dal conseguimento della maturità da parte del figlio e dall'acquisizione delle conoscenze e competenze idonee, almeno sotto un profilo potenziale, a consentirgli di trovare una occupazione che gli assicuri una indipendenza economica (37). Nella valutazione della posizione del figlio, ai fini dell'accertamento del raggiungimento dell'autosufficienza, non si può non tener conto del processo di cambiamento che ha interessato la realtà contemporanea, la quale, rispetto al passato, ha fatto registrare un crescente ritardo nella transizione dei giovani alla vita adulta. Basti ricordare che nel 1996 vivevano ancora con la famiglia d'origine il 58,5% di figli maggiorenni con una età compresa tra i 18 e i 34 anni, con un aumento di oltre il 7% rispetto al 1990 (38). Questo fenomeno di ritardato distacco dei figli dai genitori, ormai consolidatosi negli ultimi anni, trae origine da due diversi fattori: - un cambiamento delle condizioni socio-economiche della famiglia media italiana, che hanno determinato un aumento della percentuale di giovani che proseguono gli studi universitari, con conseguente spostamento in avanti dell'età lavorativa; - la dilatazione dei tempi di formazione universitaria, in quanto i giovani completano gli studi anche ben oltre la soglia dei 30 anni, restando sino a tale momento (e spesso pure dopo), privi di qualsiasi fonte di entrata economica e, dunque, non autosufficienti. Da tempo ormai dottrina e giurisprudenza, recependo i nuovi bisogni generati dalle vicende testé ricordate, affermano in modo sostanzialmente univoco che l'obbligo di mantenimento da parte dei genitori perdura oltre la maggiore età dei figli, se costoro

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non siano in grado di provvedere in modo autonomo alle proprie esigenze di vita (39), né siano esistenzialmente svincolati dall'habitat domestico (40), inteso quale centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini (41) in cui si esprime e si articola la vita familiare (42). Questo principio ha acquisito un significato ulteriore da quando, nel nostro paese, è stata abbassata la soglia di raggiungimento della maggiore età. Fino a che tale autonomia, non solo patrimoniale, non è raggiunta, l'obbligo di mantenimento spetta ai genitori (43). Tuttavia, pur se non è possibile prefissare quando termina l'obbligo di mantenimento, è indiscutibile che esso non può protrarsi oltre ogni ragionevole limite. Il compito di individuare, caso per caso, quando il suddetto limite debba considerarsi superato e quando al figlio sia imputabile la responsabilità per non essere stato in grado di rendersi autosufficiente, è riservato al prudente apprezzamento del giudice di merito (44). L'assenza di una disciplina completa e coerente dei rapporti tra genitori e figli maggiorenni ancora conviventi e non autonomi economicamente, per ragioni a loro non imputabili, ha certamente prodotto incertezze e divergenze di opinioni, innanzitutto in àmbito giuridico. Non si può, in vero, negare che il nostro diritto di famiglia riformato si sia «dimenticato» di interessarsi del fenomeno dei giovani adulti conviventi. È così intervenuta in soccorso sia la dottrina, la quale ha dato il suo importante contributo mutuando, talvolta, alcuni principi da ordinamenti di altri paesi, sia la giurisprudenza che, dal canto proprio, ha dovuto fare di necessità virtù. Una limitata iniziativa è stata poi adottata dal legislatore, con alcuni riferimenti normativi in seno alla riforma della legge sul divorzio, che consentono a chi deve compiere opera esegetica di attingere al criterio della compatibilità (v. art. 6 comma 6 l. n. 898 del 1970, come sostituito dall'art. 11 l. n. 74 del 1987) (45) per eseguire le estensioni occorrenti. Presupposto essenziale della persistenza dell'obbligo di mantenimento nei riguardi dei figli maggiorenni è, quindi, la mancanza della capacità di autosostenersi. Il figlio, in altre parole, non deve essere in condizione di inserirsi concretamente nel mondo del lavoro, di prendersi cura di se stesso, di mantenersi da solo. L'obbligo di mantenimento gravante sui genitori, come accennato, non presuppone necessariamente che vi sia la convivenza del figlio maggiorenne (46). Si discute però se il dovere dei genitori sussista qualora l'allontanamento dalla casa di origine avvenga per decisione unilaterale del figlio maggiorenne, per frequentare un corso di studi universitario. Se, infatti, da un certo punto di vista pare difficile negare ad un giovane il diritto di vivere, durante gli studi, per conto proprio ed in un luogo diverso da quello di residenza della sua famiglia, da una angolazione opposta è altrettanto giusto riconoscere ai genitori il diritto a non sopportare rilevanti spese (quali ad esempio i canoni di locazione di un secondo appartamento), che obiettivamente potrebbero essere evitate se il nucleo familiare vivesse unito. Per risolvere la questione è necessario far ricorso all'applicazione del criterio logico della normalità o meno della pretesa del giovane, pretesa che andrà valutata, caso per caso, tenendo conto del contesto socio-economico nell'àmbito del quale la sua famiglia vive, nonché della condizione finanziaria e patrimoniale in cui la medesima versa. L'obbligo di mantenimento non presuppone sempre la sussistenza della potestà genitoriale, né è inscindibile da essa. La potestà rappresenta una sorta di cerchio concentrico rispetto alla più ampia area dei doveri dei genitori. Così potrebbe darsi il caso di un genitore decaduto dalla potestà (ad esempio a seguito di delitti commessi con abuso della potestà genitoriale (47) ovvero a seguito di separazione personale) che rimane comunque titolare dei doveri nei confronti dei figli, e sul quale in particolare continua a gravare l'obbligo di mantenimento in favore dei medesimi (48). È utile ricordare, inoltre, che nonostante al diritto al mantenimento da parte del figlio maggiorenne corrisponda una situazione giuridica passiva, qualificabile come dovere alla luce del dettato costituzionale, ciò non implica il riconoscimento in capo ai genitori della potestà sul figlio medesimo. È questa una ipotesi in cui l'obbligo

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genitoriale prescinde dalla potestà (49). 5. IPOTESI DI CESSAZIONE Come già accennato in precedenza, l'obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne si estingue nel momento in cui quest'ultimo raggiunge una autonomia economica (50). Il conseguimento dell'autosufficienza economica si configura, quindi, come fatto estintivo di una obbligazione ex lege. Ciò avviene allorquando il figlio percepisca redditi, siano essi da lavoro o da capitale, integralmente sufficienti ad assicurare il suo mantenimento (51), mentre qualora tali redditi siano solo parzialmente bastevoli, l'obbligo in capo ai genitori si riduce proporzionalmente.Il mantenimento del figlio maggiorenne convivente è da escludere quando quest'ultimo, ancorché allo stato non autosufficiente economicamente, abbia però in passato svolto attività lavorativa, così dando prova del conseguimento di un'adeguata capacità e provocando la cessazione del corrispondente obbligo di mantenimento da parte del genitore. Non può avere rilievo, infatti, il successivo abbandono dell'attività lavorativa da parte del figlio, trattandosi di una scelta che, se determina l'effetto di renderlo privo di sostentamento economico, non può far risorgere un obbligo di mantenimento i cui presupposti erano già venuti meno (52). Una volta raggiunta l'autonomia economia e cessato il diritto al mantenimento, i figli che eventualmente vengano a versare in stato di bisogno hanno comunque diritto agli alimenti, essendo quest'ultima una obbligazione fondata su presupposti sostanziali diversi (53), azionabile direttamente dai figli medesimi e non già dal genitore convivente. Analoghi effetti estintivi produce il comportamento del figlio che sia in grado di percepire un reddito corrispondente alla professionalità acquisita in modo pieno, secondo le ordinarie condizioni di mercato, e ciononostante per sua negligenza o sua discutibile scelta, non abbia raggiunto l'indipendenza economica, ovvero versi in colpa (54) per non essersi messo in condizione di conseguire un titolo di studio e/o di procurarsi un reddito attraverso lo svolgimento di idonea attività lavorativa, o per avere detta attività rifiutato arbitrariamente (55). L'inerzia colpevole del figlio estingue, dunque, il suo diritto al mantenimento. Spesso, però, è alquanto difficile verificare nella realtà fattuale se si tratti di colpa o, invece, di semplice desiderio del figlio di perseguire una propria aspirazione personale (56). L'accertamento della mancata incolpevole autosufficienza economica va condotto con rigore proporzionalmente crescente rispetto all'aumento dell'età del figlio (57), e deve necessariamente essere ispirato a criteri di relatività e cioè correlato alle aspirazioni, al percorso scolastico, universitario e post-universitario del figlio, nonché al contesto socio-economico, con particolare riferimento al mercato del lavoro ed al settore verso il quale il soggetto abbia rivolto l'attenzione alla luce della propria formazione e specializzazione(58). La giurisprudenza (59) ed una autorevole dottrina (60) tendono ad escludere che possano configurarsi profili di responsabilità in tal senso, nella condotta del figlio che rifiuti una collocazione lavorativa non adeguata alla propria specifica preparazione professionale, alle proprie attitudini ed ai propri effettivi interessi, quantomeno nei limiti temporali in cui dette aspirazioni abbiano una ragionevole possibilità di essere realizzate e sempre che siffatto comportamento sia compatibile con le condizioni economiche della famiglia. Il genitore che neghi la persistenza del proprio obbligo di mantenimento nei riguardi del figlio maggiorenne, in virtù del fatto che lo stesso non espleti attività lavorativa retribuita, è tenuto a dimostrare che ciò sia conseguenza della condotta colpevole del figlio, il quale, pur capace di provvedere a sé stesso con appropriata collocazione in seno al corpo sociale, persista in una situazione di inerzia nella ricerca di un lavoro confacente alle proprie attitudini, o rifiuti le opportunità che gli si presentano, o abbandoni immotivatamente il posto di lavoro occupato (61). Mentre è indubbio che detto obbligo perdura quando la decisione di intraprendere un lungo corso di studi sia stata adottata di concerto tra il figlio ed i propri genitori, perplessità sussistono, invece, nel caso in cui i figli compiano scelte completamente

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differenti rispetto alla volontà dei genitori. In siffatta ipotesi è corretto ritenere che questi ultimi, in forza dell'obbligo di rispettare le inclinazioni naturali e le aspirazioni dei figli, siano comunque tenuti ad assecondare le loro decisioni ove conformi a detti parametri, e, dunque, a mantenere gli stessi per l'intera durata del periodo formativo.

Negli ultimi anni, di fronte al crescente ritardo di assunzione di responsabilità da parte dei giovani, talvolta affetti da tentazioni «parassitarie» verso i propri genitori, non sono mancate in giurisprudenza statuizioni particolarmente rigide nei confronti dei figli maggiorenni conviventi (62). Siffatti pronunciamenti appaiono, peraltro, in linea con quella parte della dottrina che afferma il principio secondo cui l'obbligo di sostentamento viene ad estinguersi quando il figlio, ultimata la fase formativa e trascorso un congruo periodo di prova, continui per propria volontà arbitraria a procrastinare il raggiungimento di uno stato di autosufficienza economica, malgrado sia stato messo dai genitori nell'effettiva condizione di trovare una appropriata occupazione lavorativa (63). Diversa ipotesi di cessazione dell'obbligo di mantenimento è rappresentata dallo scioglimento totale di ogni vincolo tra genitore e figlio, che nel nostro ordinamento giuridico consegue unicamente all'adozione legittimante, la quale libera totalmente i genitori da detto obbligo, in quanto i minori abbandonati entrano a tutti gli effetti come figli legittimi in un'altra famiglia.6. LEGITTIMAZIONE ATTIVA PRIMA DELLA NOVELLA DEL 2006 Prima della riforma del 2006, con il compimento della maggiore età, il figlio non autonomo economicamente acquistava una legittimazione ad agire iure proprio nei riguardi del genitore con lui non convivente (64), per conseguire quanto occorrente al proprio sostentamento direttamente dal soggetto obbligato (65). Siffatta pretesa non poteva essere avanzata nell'àmbito del procedimento di separazione o di divorzio dei genitori, né dei procedimenti previsti dall'art. 710 c.p.c. e dall'art. 9 l. n. 898 del 1970, bensì esclusivamente mediante l'instaurazione di un ordinario giudizio contenzioso nei riguardi del genitore che si assumeva essere inadempiente (66). Tale legittimazione ad agire del figlio, divenuto maggiorenne e non ancora economicamente autosufficiente, era concorrente con quella del genitore già affidatario il quale restava legittimato non solo ad ottenere iure proprio(67), e non già ex capite filiorum, il rimborso di quanto da lui anticipato a titolo di contributo dovuto dall'altro genitore, ma anche a pretendere detto contributo per il mantenimento futuro dei figli (68), finché non fosse stata accertata la raggiunta indipendenza economica dei medesimi (69). Al fine di stabilire se l'azione diretta ad ottenere il mantenimento del figlio diventato maggiorenne spettasse a quest'ultimo oppure al genitore con il quale il figlio continuava a convivere, occorreva distinguere l'ipotesi del figlio che faceva valere personalmente la sua pretesa sulla base di una sua autonoma posizione, da quella in cui il genitore già affidatario proseguiva la sua azione anche per il periodo nel quale il figlio, pur diventato maggiorenne, continuava a convivere con lui. Nella prima ipotesi, la legittimazione spettava esclusivamente al figlio, mentre, nella seconda, e cioè quando al mantenimento del figlio provvedeva direttamente il genitore convivente, quest'ultimo era legittimato ad agire per il rimborso di quanto da lui anticipato a titolo di contributo monetizzato dovuto dall'altro genitore (70). La situazione di convivenza del figlio non autosufficiente con uno solo dei genitori determinava, in favore di quest'ultimo, una presunzione di adempimento unilaterale dell'obbligo di mantenimento sancito dall'art. 147 c.c. e legittimava, in caso di separazione o divorzio, la richiesta di rimborso che poteva essere formulata dal solo genitore convivente nei riguardi dell'altro, in modo da suddividere tra entrambi gli oneri posti a loro carico dall'art. 148 c.c. (71), in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la capacità di ciascuno (72). Era fatta salva la possibilità, per il genitore inadempiente, di dimostrare che l'altro genitore non avesse in realtà corrisposto, in tutto o in parte, le somme corrispondenti alla propria quota di obbligazione (73). Il coniuge che aveva integralmente adempiuto all'obbligo di mantenimento del figlio,

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pure per la quota facente carico all'altro coniuge, era legittimato ad agire nei confronti di quest'ultimo per il rimborso di detta quota, anche per il periodo anteriore alla domanda (74), atteso che l'obbligo di mantenimento dei figli sorge per effetto della filiazione (75); secondo una certa dottrina nell'indicato comportamento del genitore adempiente era ravvisabile un caso di gestione di affari, produttivo a carico dell'altro genitore degli effetti di cui all'art. 2031 c.c. Gli interessi sul capitale, come in genere i frutti dei beni del medesimo, spettavano al genitore esercente la potestà, ai sensi dell'art. 324 c.c., sicché doveva escludersi che il figlio, divenuto maggiorenne, fosse legittimato ad agire per il pagamento dei suddetti interessi inerenti al periodo antecedente al raggiungimento della maggiore età (76). 6.1. Legittimazione attiva dopo la novella del 2006 Con la l. 8 febbraio 2006, n. 54 in tema di affidamento condiviso, è stato introdotto l'art. 155 quinquies c.c., il cui comma 1, in particolare, statuisce che «Il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all'avente diritto» (77). I primi autorevoli commentatori (78) hanno ridimensionato la portata apparentemente dirompente della norma citata. Ad una prima interpretazione, infatti, la disposizione in esame sembrerebbe affermare che, con la maggiore età, cessi ipso iure il diritto dell'affidatario (o comunque, nell'ipotesi di affidamento condiviso del genitore beneficiario) all'assegno di mantenimento a carico dell'altro genitore: da quel momento l'unico legittimato a pretendere l'assegno sarebbe lo stesso figlio, senza che questa legittimazione possa dirsi sussistente in capo al genitore già affidatario. Siffatta esegesi non pare cogliere nel segno e ciò soprattutto alla luce di una lettura costituzionalmente orientata della nuova disposizione, tesa ad evitare, peraltro, sicure ed inutili controversie giudiziarie con gli evidenti disagi che ne deriverebbero. In questa prospettiva, la dottrina più recente (79) ha, dunque, evidenziato che l'art. 155 quinquies, «è funzionale, essenzialmente, all'affidamento condiviso» poiché, anche nell'ipotesi di figli minorenni, di solito manca la determinazione di un assegno a carico di uno dei coniugi, essendo rimesso il tutto alle libere scelte dei genitori. «Allora la previsione di un assegno fissato ope iudicis per il figlio divenuto maggiorenne ma non autosufficiente, da versarsi direttamente a quest'ultimo, si risolve in una garanzia per il figlio stesso (ma il giudice potrebbe comunque, in circostanze particolari, disporre che l'assegno per il figlio sia versato da un genitore all'altro: la nuova norma quindi, pone una obbligazione alternativa)». 6.2. Legittimazione passiva Quanto alla legittimazione passiva, l'obbligo, ovviamente, ricade su entrambi i genitori, che sono tenuti, come detto, in solido tra loro a prestare il sostentamento nei confronti del figlio (80), sin dalla sua nascita (81) in maniera proporzionale alle rispettive sostanze (82) ed alla capacità di lavoro professionale e casalingo (art. 148 c.c.). È questa, di certo, una asserzione di principio che però assume un reale e pieno significato allorquando i genitori non sono sposati tra loro, o quando gli stessi si separano o divorziano. L'obbligo dei genitori di mantenere i figli non assume connotati diversi a seconda che si versi nelle fasi fisiologiche o patologiche della vita familiare, in base ai principi costituzionali in materia (83). Il dovere dei genitori sancito dall'art. 147 c.c., di provvedere al mantenimento della prole persiste, infatti, anche nell'ipotesi di separazione e di divorzio (84). In questi ultimi casi è stabilito l'esatto importo dell'assegno di mantenimento a carico del genitore non affidatario (85), o con il quale il figlio maggiorenne e non autonomo economicamente non convive, importo che è commisurato alle capacità economiche dell'obbligato (86). Qualora vi sia conflitto in ordine alla determinazione, la competenza a decidere è del giudice ordinario (87). Una sensibile dottrina ha dedicato molta attenzione a queste problematiche sia per quanto concerne la suddivisione degli oneri, sia per ciò che riguarda la durata dell'obbligo di mantenimento del figlio da parte dei genitori separati o divorziati(88). Il fatto che l'obbligazione sia di natura solidale, per quote anche diseguali, comporta

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che il figlio maggiorenne possa agire nei confronti anche di un solo dei genitori per ottenere il proprio sostentamento, lasciando poi a quest'ultimo il diritto di regresso nei riguardi del coniuge coobbligato. Mentre però la solidarietà passiva è stata da sempre riconosciuta dalla giurisprudenza nel caso di figlio legittimo, solo da poco più di un decennio a questa parte analogo trattamento è stato riservato nell'ipotesi di figlio naturale (89). Ove il rapporto di filiazione non sia legalmente riconosciuto, il figlio può agire giudizialmente a tutela dei propri interessi in due modi differenti. Può innanzitutto chiedere la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale ai sensi dell'art. 269 c.c., per ottenere dal giudice sia una sentenza che dichiari appunto la filiazione naturale e produca gli effetti del riconoscimento (90), sia i provvedimenti che obblighino il genitore a contribuire al proprio mantenimento, all'istruzione e all'educazione (art. 277 c.c.). Nel caso in cui l'azione sopraindicata non sia esperibile (v. § 8), il figlio non riconosciuto può promuovere contro il genitore naturale una azione finalizzata al conseguimento del mantenimento (91) (oltre che dell'istruzione e dell'educazione), in forza di quanto previsto dall'art. 279 c.c. (92). Quando i genitori non abbiano la capacità sufficiente, in virtù dell'art. 148 c.c., l'obbligo ricade sugli altri ascendenti(93), legittimi o naturali, in ordine di prossimità, a condizione che la situazione economica degli stessi lo consenta (94). A differenza di quanto previsto dalla disciplina precedente alla riforma del 1975, non si tratta di una obbligazione diretta nei confronti dei nipoti, poiché gli ascendenti sono tenuti a fornire ai loro diretti discendenti i mezzi necessari per consentire loro di adempiere i propri doveri nei riguardi dei rispettivi figli. La ratio della nuova norma trova spiegazione nella volontà del legislatore di lasciare ai genitori il diritto di regolamentare il sostentamento e di curare l'educazione e l'istruzione, e di non esporli a possibili ingerenze da parte di coloro (nonni), che somministrando il denaro, potrebbero di fatto sostituirsi ai genitori medesimi nell'esercizio della potestà sulla prole (95). Una siffatta soluzione può determinare, però, possibili abusi da parte dei genitori, contro i quali nel codice civile sono stati predisposti specifici rimedi, fra i quali in particolare quello previsto dall'art. 333 c.c. che, nell'ipotesi di condotta del genitore pregiudizievole ai figli, conferisce al giudice il potere di adottare i provvedimenti convenienti, ivi compreso l'allontanamento del figlio o del genitore stesso dalla residenza familiare (96). Legittimati attivi ad intervenire in siffatto contesto sono l'altro genitore, i parenti ed il pubblico ministero. Poiché l'obbligo che incombe sugli ascendenti più prossimi è, come anticipato in precedenza, di natura accessoria, non ci si può rivolgere loro con la pretesa di sostentamento qualora i genitori non vogliano ottemperare al proprio dovere, pur avendone la capacità. Né è ammissibile la richiesta del figlio nei confronti di detti ascendenti solo perché questi versano in una migliore situazione economica e patrimoniale rispetto a quella dei propri genitori inadempienti (97). 7. INOSSERVANZA DELL'OBBLIGO DI MANTENIMENTO: STRUMENTI COERCITIVI A FAVORE DEL FIGLIO Nell'eventualità di inosservanza dell'obbligo di mantenimento da parte dei genitori, il figlio maggiorenne, per tutelare i propri interessi, ha a disposizione i normali strumenti coercitivi, quali ad esempio l'esecuzione forzata, il sequestro conservativo, l'iscrizione di ipoteca giudiziale (98). Inoltre, qualsiasi persona interessata può presentare al tribunale un ricorso per ottenere la distrazione dei redditi dell'obbligato, vale a dire la cessione coattiva dei crediti vantati verso terzi dal genitore inadempiente (99). Quest'ultimo è altresì tenuto al risarcimento del danno nei confronti del figlio, poiché con il suo comportamento inottemperante pone in essere una lesione del diritto fondamentale della persona alla vita di relazione (100). Il genitore che fa mancare al figlio quanto a lui necessario per la sopravvivenza commette, infine, il reato di cui all'art. 570 c.p. Oltre agli ordinari mezzi di coercizione è, poi, possibile esperire una procedura speciale alla quale hanno accesso sia il figlio maggiorenne, sia il genitore adempiente, sia entrambi i genitori (contro gli ascendenti inottemperanti). Essa

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consiste in un ricorso al presidente del tribunale, il quale può ordinare che una quota dei redditi dell'obbligato venga erogata direttamente nelle mani del genitore che mantiene il figlio convivente o al figlio medesimo, quando maggiorenne. Detto provvedimento che assume la forma del decreto, costituisce titolo esecutivo, contro il quale è ammessa opposizione ex art. 148 comma 3 ss. c.c. 8. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE La riforma del diritto di famiglia del 1975 ha, come si è detto, sostanzialmente equiparato la posizione del figlio naturale a quella del figlio legittimo, stabilendo che i doveri dei genitori sono i medesimi siano i figli legittimi, ovvero naturali, riconosciuti o giurisdizionalmente dichiarati, introducendo così una vera e propria responsabilità per il mero fatto della nascita (101). La constatazione legale (per riconoscimento o dichiarazione giudiziale) della procreazione attribuisce alle parti lo status rispettivamente di genitore e di figlio naturale e comporta, dunque, l'assunzione di tutti i diritti e doveri propri della filiazione legittima, ivi compreso l'obbligo di mantenimento che, per il suo carattere essenzialmente patrimoniale, esula dallo stretto contenuto della potestà genitoriale. Ai fini del mantenimento, infatti, non rileva (come invece accade con riguardo alla potestà a norma dell'art. 317 bis c.c.), la circostanza che i genitori siano o meno conviventi, gravando detto obbligo su entrambi, in quanto derivante dall'evento stesso della procreazione. Ma quale responsabilità ricade sul genitore di figlio non riconosciuto o non riconoscibile? La risposta a tale domanda è data dall'art. 279 c.c. il quale consente al figlio naturale non riconoscibile, ma anche a quello semplicemente non riconosciuto (o il cui riconoscimento sia inefficacie ai sensi dell'art. 250 commi 3 e 4) di agire per ottenere il mantenimento (ma anche l'istruzione e l'educazione) da parte del genitore (102), il che rivela la portata estremamente ampia della norma in esame. Sempre l'art. 279 c.c. prevede, poi, che il figlio naturale, se maggiorenne e in stato di bisogno, possa agire nei confronti del genitore per assicurarsi gli alimenti. In dottrina si è discusso e si discute se il mantenimento spetti soltanto ai figli non riconoscibili in senso assoluto (cioè gli incestuosi (103)) ovvero pure a quelli non riconoscibili in senso relativo in quanto aventi lo status di figli legittimi o naturali di altri genitori. Secondo alcuni l'interpretazione della norma deve essere restrittiva, essendo inaccettabile che il figlio ottenga i benefici consentiti dall'art. 279 c.c. senza promuovere l'azione per la costituzione del rapporto di filiazione (104). Altri ritengono, viceversa, che la norma sia estensibile anche ai figli riconoscibili ma non in concreto riconosciuti (105). La nuova formulazione dell'art. 279 c.c. ha avuto, dunque, il merito di accrescere la portata della precedente azione accordata al figlio minore non riconoscibile, consentendo al medesimo di conseguire non più soltanto gli alimenti ma un vero e proprio mantenimento. L'attuale testo dell'art. 279 c.c. non prevede più, come in passato, la tassatività dei tre presupposti per l'ammissibilità dell'azione (106), che è,

quindi, possibile ogni qualvolta risulti la paternità o maternità. Nell'ipotesi di filiazione non riconoscibile la dichiarazione

giudiziale di paternità è, perciò, sostituita dall'azione finalizzata al mantenimento (oltre che all'educazione ed all'istruzione). Questa azione non è però idonea a costituire il rapporto di filiazione, anche se crea una relazione non semplicemente patrimoniale, comprendente altresì ulteriori profili quali la potestà genitoriale e l'assistenza morale (107). Si dibatte su quale sia il presupposto che l'ordinamento ha preso in considerazione per riconoscere il «diritto al mantenimento del figlio non riconoscibile o non riconosciuto». Questo diritto non può evidentemente fondarsi sul rapporto di filiazione e sullo status del figlio, che non esiste nemmeno per fini limitati, considerato il divieto assoluto posto dalla legge. Più plausibile appare allora la tesi che il diritto si basi su un fatto materiale, quale quello della procreazione, che fa sorgere nel genitore (e perciò solo nel genitore) cui risalga la responsabilità morale della «damnata copula», l'obbligo di assicurare il mantenimento a colui che è stato generato. In questo senso sembra meno rigorosa la volontà del legislatore di trattare

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diversamente il figlio che entra a far parte della famiglia, rispetto a quello che nella famiglia non può entrare, non avendo nemmeno lo stato di figlio. In conclusione il nostro codice civile prevede norme che stabiliscono l'obbligo per il genitore legittimo, naturale ed adottivo di mantenere (educare ed istruire) rispettivamente il figlio legittimo, naturale ed adottivo (artt. 147, 148, 261, 301 c.c.)(108). Sembra, pertanto, corretto affermare che l'obbligo di mantenimento prescinda dal rapporto di coniugio, fondandosi esclusivamente sulla nascita intesa come evento generativo, di guisa che siffatto obbligo troverà applicazione in tutte le ipotesi di filiazione.

(1) Cfr. Cass. 23 marzo 1995, n. 3402, in Giust. civ., 1995, I, 1441. La dottrina non è però concorde sul punto. In merito al rapporto fra i doveri verso i figli e le potestà dei genitori ci si domanda se il legislatore abbia voluto subordinare i primi all'esercizio della potestà, ovvero se tali doveri siano conseguenza della filiazione in se considerata. Per un'ampia ed articolata rassegna, cfr. diffusamente, VILLA, Potestà dei genitori e rapporti con i figli, in Il diritto di famiglia, a cura di Bonilini e Cattaneo, Filiazione e adozione, III, Torino, 1997, 259 ss., il quale aderisce all'orientamento secondo cui tali doveri, e soprattutto la funzione educativa nei confronti dei figli, siano espressione di un più generale dovere di solidarietà nei confronti degli stessi per il solo fatto della procreazione. Si vedano, per tutti, BONILINI, Nozioni di diritto di famiglia, Torino, 1987, 144; GIARDINA, I rapporti personali tra genitori e figli alla luce del nuovo diritto di famiglia, in Riv. trim., 1977, 1376.

(2) CECCHINI, Azione di mantenimento e rifiuto dello status da parte del figlio naturale, in Riv. dir. civ., 1991, II, 679; GIOIA, L'obbligo di mantenimento tra padre putativo e padre biologico, in Fam. dir., 2000, 52; CIPRIANI, Mantenimento per i figli naturali, competenza del giudice e intervento del M., in Foro it., 1997, I, 61.

(3) L'art. 30 Cost. fa riferimento anche ad un diritto dei genitori di «condizionare» la vita dei figli, specialmente per quanto riguarda l'educazione degli stessi, consentendo ai primi di poter arrivare a pretendere da terzi di astenersi dall'interferire nel rapporto educativo con la prole. Da molti anni a questa parte però, l'attenzione del legislatore e degli operatori del diritto è rivolta all'aspetto relativo al dovere. In questo senso v. Filiazione, in Trattato di diritto di famiglia, a cura di ZATTI, Milano, 2002, II, 951.

(4) FURGIUELE, Libertà e famiglia, Milano, 1979, 209; TRABUCCHI, Famiglia e diritto nell'orizzonte degli anni '80, in Riv. dir. civ., 1986, 1202.

(5) Circa la relatività del concetto di famiglia, v. per tutti, BARCELLONA, Famiglia (diritto civile), in Enc. dir., XVI, Milano, 1967, 780 ss.

(6) Cfr. Cass. 19 marzo 2002, n. 3974, in Mass. Giust. civ., 2002, 488. L'art. 154, n. 1 del codigo civil spagnolo assegna ai genitori il dovere di aver cura dei figli, di mantenerli, educarli e procurare loro una formacion integral; l'art. 302 del codice civile svizzero sancisce l'obbligo per i genitori di allevare i figli, di favorirne e proteggerne lo sviluppo fisico, intellettuale e morale, di dar loro una adeguata formazione generale e professionale, collaborando a tal fine con la scuola; l'art. 371.1 del code civil francese precisa che i genitori devono proteggere i figli e garantire loro sicurezza, salute e moralità.

(7) Sulla specialità del diritto di famiglia nell'ambito del diritto privato, v. CICU, Il diritto di famiglia. Teoria generale, Roma, 1914, 91 ss.

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(8) Sull'evoluzione del diritto di famiglia, si veda ex multis BESSONE-ROPPO, Il diritto di famiglia. Prospettiva storica, disciplina costituzionale, lineamenti della riforma, Torino, 1979, passim; BESSONE-ALPA-D'ANGELO-FERRANDO, La famiglia nel nuovo diritto. Dai principi della Costituzione alle riforme del codice civile, Bologna, 1986, 11 ss.

(9) Le scelte del legislatore della riforma appaiono caratterizzate nel segno di una prospettiva solidaristica grazie anche all'apporto di quella parte della dottrina particolarmente sensibile ai valori costituzionali. Cfr. GIORGIANNI, Il diritto privato ed i suoi attuali confini, in Riv. trim., 1961, 399 ss.; RESCIGNO, Per una rilettura del codice civile, in Giur. it., 1968, IV, 209 ss.; PERLINGIERI, La personalità umana nell'ordinamento giuridico, Camerino-Napoli, 1972, 18 ss.

(10) L'art. 261 c.c. dispone espressamente che il riconoscimento comporta l'assunzione da parte del genitore di tutti i doveri e di tutti i diritti che egli ha nei confronti dei figli legittimi.

(11) È importante sottolineare come il principio di parità tra i componenti la famiglia, secondo il quale i figli hanno uguale dignità indipendentemente dalla natura del rapporto di filiazione, ha sancito l'illegittimità di qualsiasi trattamento eterogeneo dei figli.

(12) La sola eccezione alla completa equiparazione è data da una riserva prescritta in ambito successorio dagli artt. 537 comma 3 e 566 c.c. i quali contemplano la facoltà per i figli legittimi di soddisfare in denaro o in beni immobili ereditari la porzione spettante ai figli naturali che non si oppongano, rimettendo al giudice la decisione in caso di opposizione di questi ultimi. La ratio di detto privilegio risiede nella opportunità di scongiurare una comunione ereditaria tra i discendenti legittimi e quelli naturali.

(13) Sul punto, cfr. Cass. 14 febbraio 2004, n. 2897, in Mass. Giust. civ., 2004, f. 4, secondo cui il criterio di adeguamento automatico dell'assegno di mantenimento a favore dei figli di genitori divorziati, previsto dall'art. 6 comma 11 l. 1 dicembre 1970, n. 898, come sostituito dall'art. 11 l. 6 marzo 1987, n. 74, estensibile ad altri casi analoghi, trova applicazione anche per l'assegno costituente il contributo di mantenimento stabilito a favore del figlio naturale ed a carico del genitore dichiarato tale dal giudice, attesa la funzione eminentemente assistenziale degli emolumenti cui inerisce.

(14) BIANCA, Diritto civile, 2, Milano, 2001, 308. Secondo altra autorevolissima dottrina, attraverso il riconoscimento il fatto della procreazione, di per se insufficiente a generare un rapporto giuridico, viene trasformato in uno status di filiazione, giuridicamente rilevante. In questo senso, TORRENTE-SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, Milano, 1997, 873.

(15) Cfr., fra gli altri, FURNO, Osservazioni in tema di riconoscimento della prole naturale, in Riv. dir. proc. civ., 1939, II, 177; nonché STELLA RICHTER, Delle persone e della famiglia, in La giurisprudenza sul codice civile, a cura di RUPERTO, IV, 2114 ss. A favore di questo orientamento si è schierata una recente giurisprudenza secondo la quale il riconoscimento di un figlio come naturale integra non un atto di autonomia privata del genitore, bensì una dichiarazione di scienza che è rivolta ad esprimere tale rapporto di discendenza, fondandosi sul fatto della procreazione; così Cass. pen., sez. VI, 12 febbraio 2003, n. 17627, in D&G, 2003, n. 36, 109.

(16) BIANCA, Diritto civile, 2, cit., 310.

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(17) In questo senso, TRIMARCHI, Istituzioni di diritto privato, Milano, 2003, 709, per il quale il riconoscimento ha natura negoziale essendo impugnabile per violenza o incapacità pur se veritiero in concreto, con la conseguente necessità per il genitore di esprimere la volontà di riconoscere.

(18) A favore di quest'ultima tesi v. CICU, La filiazione, in Trattato Vassalli, Torino, 1969, 161.

(19) In tema di mantenimento dottrina e giurisprudenza adoperano i vocaboli «obbligo» e «obbligazione» come sinonimi. In verità, nel caso in esame il termine obbligazione risulta più appropriato alla luce delle conclusioni cui è pervenuta la dottrina (v., ad es., PALERMO, Obbligo giuridico, in Nuovo dig. it., Torino, 1965, 706), nonché del contenuto della Relazione al codice civile (n. 577), che consentono di individuare, nell'ambito del genere dell'obbligo giuridico, la specie dell'obbligazione contraddistinta dall'elemento della patrimonialità. Al riguardo appare legittimo ritenere che la prestazione di mantenimento abbia un contenuto patrimoniale perfino quando attiene ad obblighi c.d. familiari (cfr., ad. es., BIANCA, Diritto civile, 4, Milano, 1995, 79). Sul punto ed in particolare sul problema della patrimonialità della prestazione dedotta in obbligazione, v. ANGELONI, La patrimonialità della prestazione, in Contr. e impr., 2001, 893 e, con riguardo all'obbligo di mantenimento, 909. In ogni caso, è opportuno sottolineare che, qualora si mettesse in discussione la patrimonialità dell'obbligazione di mantenimento in virtù del contenuto spirituale di alcune delle prestazioni alla stessa connesse, la disciplina delle obbligazioni sarebbe comunque applicabile per analogia (v. BIANCA, op. ult. cit., 82).

(20) Fine di detto obbligo dei genitori è anche quello di consentire ai figli di realizzare i propri interessi individuali intesi in senso lato.

(21) In dottrina sostengono la solidarietà BIANCA, Diritto civile, 2, cit., 210; DOGLIOTTI, Famiglia di fatto e competenza del Tribunale minorile, in Dir. fam., 1984, 603.

(22) Per RESCIGNO, Obbligazioni (diritto privato), in Enc. dir., XXIX, Milano, 1970, 140, il legislatore adopera sovente il vocabolo «obbligo» nel senso di obbligazione.

(23) In questo senso: Cass. 22 novembre 2000, n. 15063, in Fam. dir., 2001, 213; Cass. 29 marzo 1994, n. 3049, in Giur. it., 1995, I, 1, 652.

(24) Secondo la S.C. la prestazione di attività personale o domestica a favore dei figli non esonera il genitore che la compie dall'obbligo di provvedere al mantenimento anche materialmente, qualora la propria condizione economica lo consenta; in questo senso cfr. Cass. 8 marzo 1983, n. 167, in Dir. fam., 1983, 511.

(25) A. FINOCCHIARO-M. FINOCCHIARO, Matrimonio (Diritto civile), Milano, 1975, 394. Nel senso che genitori abbienti non possono costringere il figlio ad una vita troppo sacrificata, cfr. Cass. 19 marzo 2002, n. 3974, in Mass. Giust. civ., 2002, 488.

(26) SANTOSUOSSO, Il matrimonio, Torino, 1989, 577.

(27) L'obbligo di mantenimento si differenzia quanto al contenuto dall'obbligo alimentare di cui agli artt. 433 ss. c.c., poiché è preordinato a soddisfare qualsiasi esigenza di vita della prole, anche non tipicamente connessa alla sopravvivenza e pure a prescindere da uno stato di bisogno. Si veda, per tutti, VINCENZI AMATO, Gli alimenti, Milano, 1982, 784. In ordine alle differenze tra obbligazione di mantenimento e prestazione alimentare si rinvia a DE ROSA, L'obbligazione di mantenimento e le sue fonti, in Rass. dir. civ., 2004, 1, 59 ss.

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(28) È indubbio che i bisogni familiari e i doveri di contribuzione si influenzano reciprocamente, tanto è vero che, quanto più grande è la capacità contributiva, tanto più elevato è il tenore di vita familiare e di conseguenza maggiori sono i relativi bisogni. Si veda, sul punto, FALZEA, Il dovere di contribuzione nel regime patrimoniale della famiglia, in Riv. dir. civ., 1977, I, 636, secondo il quale maggiori sono i bisogni, tanto più elevata deve essere la misura della contribuzione.

(29) In merito al contenuto dell'obbligo di mantenimento del figlio, in rapporto alla condizione socio-economica della famiglia, si veda FERRI, Diritto al mantenimento e doveri dei figli, in Scritti in onore di Rosario Nicolò, Milano, 1982, 367 ss. Cfr. Cass. 8 novembre 1997, n. 11025, in Fam. dir., 1998, 192; Cass. 19 marzo 2002, n. 3974, in Mass. Giust. civ., 2002, 488.

(30) Cfr. App. Perugia 10 novembre 1992, in Dir. fam. e pers., 1994, 162, secondo cui il mantenimento dei figli deve essere realizzato in modo equilibrato, poiché il vivere in una condizione di ricchezza eccessiva può costituire un rischio per il corretto sviluppo educativo di un ragazzo.

(31) Trib. Messina 10 dicembre 2002, in Arch. civ., 2003, 410, secondo cui l'obbligo di mantenimento dei figli incontra una doppia limitazione: da un lato il rispetto da parte dei genitori delle aspirazioni ed inclinazioni naturali dei figli, in ragione delle loro concrete attitudini personali; dall'altro le capacità economico-patrimoniali degli obbligati.

(32) Cfr. Cass. 9 gennaio 1976, n. 38, in Dir. fam. e pers., 1976, 96, secondo cui il genitore non può pretendere di mantenere il figlio accogliendolo nella propria casa.

(33) L'obbligo trova il suo fondamento, oltre che nei vincoli di sangue, anche nell'esigenza sociale di garantire l'educazione e l'istruzione dei figli e non cessa automaticamente nel momento in cui essi raggiungono la maggiore età: così Trib. Pescara 14 gennaio 1980, in questa Rivista, 1981, 624.

(34) TRABUCCHI, Famiglia, cit., 261.

(35) Si veda per tutti A. FINOCCHIARO-M. FINOCCHIARO, Matrimonio, cit., 395.

(36) TRABUCCHI, op. ult. cit., 245.

(37) NATUCCI, Mantenimento del figlio maggiorenne, in L'autonomia dei minori tra famiglia e società, Milano, 1980, 408.

(38) ISTAT, Rapporto sull'Italia, 1997, 111; v. BRECCIA, Separazione personale dei coniugi, in Dig. civ., Torino, 2002, 203.

(39) La giurisprudenza della Suprema Corte risulta costante in questo senso: cfr. Cass. 2 settembre 1996, n. 7990, in Fam. dir., 1996, 552; Cass. 17 settembre 1993, n. 9578, in Giust. civ., 1994, I, 79; Cass. 29 dicembre 1990, n. 12212, ivi, 1991, I, 3033; Cass. 11 dicembre 1992, n. 13126, in Mass. Giust. civ., 1992, f. 12; Cass. 3 luglio 1991, n. 7295, ivi, 1991, f. 7. Nel senso che occorre valutare il carico familiare già gravante sul figlio maggiorenne ancora non occupato: Cass. 13 febbraio 2003, n. 2147, in Guida dir., 2003, fasc. 12, 47.

(40) Cfr. Cass. 10 aprile 1985, n. 2372, in Mass. Giust. civ., 1985, f. 4; Cass. 10 aprile 1987, n. 3570, ivi, 1987, f. 4; Cass. 26 gennaio 1990, n. 475, ivi, 1990, f. 1; Cass. 29 dicembre 1990, n. 12212, cit., 3033; Cass. 12 marzo 1992, n. 3019, in Foro it., 1993, I, 1635; Cass. 28 giugno 1994, n. 6215, ivi, 3029.

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(41) Ci si domanda se la convivenza debba essere intesa come condivisione della vita familiare in tutti i suoi aspetti materiali e spirituali, oppure come mera coabitazione di figli e genitori sotto lo stesso tetto. Cfr., PERCHINUNNO, Le obbligazioni nell'interesse familiare, Napoli, 1982, 117 ss.

(42) Questa rappresentazione della casa familiare è stata ribadita da Cass. 23 marzo 1994, n. 2574, cit. nello stesso senso, si vedano Cass. 2 luglio 1990, n. 6774, in Giust. civ., 1991, I, 1800 ss.; Cass. 5 giugno 1990, n. 5384, ivi, 1991, I, 1800 ss.

(43) Secondo la S.C. detto obbligo incombe sui genitori anche in caso di separazione personale tra coniugi, v. Cass. 7 maggio 1998, n. 4616, in Mass. Giust. civ., 1998, 962.

(44) Cfr. Cass. 30 agosto 1999, n. 9109, in Mass. Giust. civ., 1999, 1855.

(45) Il comma 6 dell'art. 6 l. n. 898 del 1970, dispone che l'abitazione nella casa familiare spetta di preferenza al genitore cui vengono affidati i figli o con il quale essi convivono oltre la maggiore età. Il genitore che invoca a suo favore il criterio preferenziale previsto dalla legge può limitarsi, dunque, a provare la convivenza con il figlio maggiorenne, perché tale circostanza fa presumere la non autosufficienza economica incolpevole, mentre l'indipendenza economica del figlio maggiorenne o la colpa per il mancato conseguimento di tale indipendenza deve essere provata dal genitore che allega dette circostanze. In questo senso, Cass. 22 gennaio 1998, n. 565, in Giust. civ., 1998, I, 1644 e in Fam. dir., 1998, 225. Va segnalato che, per quanto concerne i figli minori, la disciplina relativa al loro affidamento in caso di separazione e/o divorzio dei genitori, è stata oggetto di una recente e sostanziale riforma. In data 1° marzo 2006, è stata pubblicata la l. 8 febbraio 2006, n. 54, la cui rubrica recita: «Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli». La novella ha modificato l'art. 155 c.c., ed introdotto gli artt. da 155 bis a 155 sexies c.c. fissando obiettivi e criteri ai quali il giudice deve attenersi nell'adozione di provvedimenti relativi ai figli. Secondo il nuovo testo dell'art. 155 c.c., «anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale». Per realizzare tali fini, il giudice della separazione personale è tenuto ad adottare le misure relative alla prole, avendo presente unicamente l'interesse morale e materiale della stessa e valutando prima di tutto la possibilità di affidamento condiviso ad entrambi i genitori. Ove ciò no sia realizzabile, il giudice stabilisce a quale dei genitori i figli sono affidati, precisando i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, determinando anche la misura ed il modo con cui ognuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all'istruzione e all'educazione dei figli.

(46) Al contrario di quanto accade per il figlio, il quale in forza dell'art. 315 c.c. ha il dovere di contribuire al mantenimento della famiglia in proporzione alle proprie sostanze ed al proprio reddito, fino a quando vive con la stessa. Sul punto specifico, v. LISELLA, Usufrutto legale e contribuzione filiale al mantenimento della famiglia, Napoli, 2003, 52, 80 e 81.

(47) Cfr. art. 34 c.p.

(48) Cfr. Trib. Genova 20 dicembre 2002, in questa Rivista, 2003, 1239, secondo il quale lo smembramento dell'unità familiare dovuto alla separazione dei coniugi trasforma la potestà genitoriale nel senso che le necessità quotidiane di istruzione, educazione e mantenimento risultano prerogativa del coniuge affidatario, per cui

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l'altro genitore contribuisce meramente con il sostegno economico cui è tenuto, senza che possa discutere le destinazioni che tali somme ricevono.

(49) Cfr. Cass. 22 novembre 2000, n. 15063, in Fam. dir., 2001, 213, per la quale l'obbligo di mantenimento, per il suo carattere essenzialmente patrimoniale, esula dallo stretto contenuto della potestà genitoriale.

(50) Cfr. Trib. Macerata 26 marzo 1988, in questa Rivista, 1989, 876, che in una causa promossa da due coniugi contro due figli, i quali malgrado l'età di circa 30 anni e la piena autonomia economica acquisita, non volevano lasciare la casa familiare, ha accolto la domanda dei genitori, disconoscendo il diritto dei figli di proseguire la coabitazione.

(51) Secondo un certo orientamento giurisprudenziale il figlio raggiunge l'autonomia patrimoniale allorquando con il proprio reddito sia in grado di assicurarsi un tenore di vita dignitoso ancorché inferiore a quello goduto presso la famiglia di origine. Così Cass. 4 marzo 1998, n. 2392, in Giur. it., 1999, 252.

(52) Cfr. Cass. 5 agosto 1997, n. 7195, in Mass. Giust. civ., 1977, 1326, secondo cui il raggiungimento di un'adeguata capacità lavorativa da parte del figlio maggiorenne determina la cessazione del corrispondente obbligo di mantenimento a carico del genitore, non rilevando in proposito se il figlio abbia ritenuto poi di lasciare l'attività lavorativa perché considerava insufficiente la retribuzione ed inadeguate le prospettive di carriera. In questo senso anche Cass. 7 luglio 2004, n. 12477, in Mass. Giust. civ., 2004, f. 7-8.

(53) Sul punto si rinvia a DE ROSA, L'obbligazione di mantenimento, cit., 59 ss.

(54) Cfr. Cass. 1 dicembre 2004, n. 22500, in D&G, 2005, 3, 27; Cass. 28 giugno 1988, n. 4373, in Giust. civ., 1988, 6.

(55) Cfr. Cass. 18 gennaio 2005, n. 951, in D&G, 2005, 6, 29.

(56) Il codice civile svizzero, secondo il quale l'obbligo di mantenimento dura fino alla maggiore età, prevede all'art. 227 che i genitori sono tenuti in base alle condizioni in cui versano a seguitare il sostentamento fino al termine degli studi, qualora il figlio che ha raggiunto tale soglia, non abbia terminato la propria formazione, purché ciò accada in tempi normali.

(57) Cfr. Cass. 5 agosto 1997, n. 7195, in Mass. Giust. civ., 1997, 1326.

(58) Cfr. Cass. 3 aprile 2002, n. 4765, in Nuova giur. civ. comm., 2003, I, 813.

(59) Cass. 7 maggio 1998, n. 4616, in Mass. Giust. civ., 1998, 962 e in Giur. it., 1999, 252, rileva che nel giudizio sull'esistenza di ragioni apprezzabili che hanno determinato il figlio a rifiutare una occupazione lavorativa, bisogna considerare pure le aspirazioni del medesimo e la stabilità del posto offerto. Principio affermato dalla S.C. in relazione al rifiuto - ritenuto, nella specie, legittimo, contrariamente a quanto stabilito dal giudice di merito - opposto dal figlio ventenne di genitori separati ad una offerta di ingaggio per un anno, e per la somma di ottocentomila lire mensili più vitto ed alloggio, ricevuto da una società di pallacanestro. La Corte di legittimità, nel cassare la sentenza, ha, ancora, osservato che, in essa, mancava ogni valutazione tanto in ordine alla precarietà dell'offerta quanto alla ragionevolezza delle aspirazioni del giovane, che vi aveva rinunciato per non sacrificare l'anno scolastico - V liceo scientifico - da lui frequentato. Si vedano inoltre Cass. 3 aprile 2002, n. 4765, in Guida al dir., 2002, fasc. 17, 34; Cass. 23 gennaio 1996, n. 496, in Foro it., 1996, I,

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863; Cass. 20 settembre 1996, n. 8383, in Mass. Giust. civ., 1996, 1296, che hanno reputato giustificato l'abbandono del posto di lavoro, nell'ambito dell'impresa paterna, nell'ipotesi in cui il figlio percepiva un salario inferiore a quello sindacale.

(60) M. FORTINO, Diritto di famiglia, I valori, i principi, le regole, Milano, 2004, II, 396; T. AULETTA, Il Diritto di famiglia, Torino, 7ª ed., 268.

(61) Cfr. App. Cagliari 20 settembre 1991, in Riv. giur. sarda, 1993, 311. Nel senso che l'onere della prova della raggiunta autonomia economica del figlio ovvero della circostanza che il mancato svolgimento di un'attività lavorativa dipenda da un suo atteggiamento di inerzia o di rifiuto ingiustificato di un lavoro compatibile con le sue attitudini, ricade sul genitore che deduca la cessazione del diritto del figlio ad essere mantenuto e reclami, pertanto, l'estinzione del proprio dovere, e non già all'altro genitore (od al figlio) spetta di dimostrare il persistere dello stato di insufficienza economica, cfr. Cass. 1° dicembre 2004, n. 22500, in D&G, 2005, f. 3, 27; Cass. 28 giugno 1988, n. 4373, in Giust. civ., 1988, 6; Cass. 30 agosto 1999, n. 9109, in Fam. dir., 1999, 576; Cass. 11 marzo 1998, n. 2670, in Mass. Giust. civ., 1998, 562; Cass. 2 settembre 1996, n. 7990, in Fam. dir., 1996, 522; Cass. 20 settembre 1996, n. 8383, in Mass. Giust. civ., 1996, 1296; Cass. 21 dicembre 1995, n. 13039, in Giust. civ., 1996, I, 1691; Cass. 11 dicembre 1992, n. 13126, Mass. Giust. civ., 1992, f. 12. L'aver compiuto una età adulta fa, però, presumere l'acquisizione di una capacità di provvedere a se stesso per un giovane che si trovi in una condizione di normalità psico-fisica; in questo senso Cass. 30 agosto 1999, n. 9109.

(62) Cfr. Cass. 18 gennaio 2005, n. 951, in D&G, 2005, f. 6, 29, che ha stabilito che il figlio maggiorenne di genitori divorziati, già titolare di un assegno di mantenimento, ha l'obbligo di attivarsi per trovare un lavoro e rendersi economicamente indipendente. Ne consegue che è ritenuto corretto il provvedimento del giudice di merito di revoca del contributo di mantenimento a carico del padre, ove risulti che il figlio abbia non solo colposamente tralasciato di terminare gli studi, ma anche ingiustificatamente rifiutato di accettare la proposta di una occupazione, a nulla rilevando che si trattasse di un lavoro fuori sede.

(63) TRABUCCHI, Famiglia, cit., 245. Cfr. Cass. 16 febbraio 2001, n. 2289, in Fam. dir., 2001, 275.

(64) Cfr. Cass. 25 giugno 2004, n. 11863, in Mass. Giust. civ., 2004, f. 6; Trib. Reggio Calabria 3 novembre 2003, in questa Rivista, 2004, 701.

(65) Cfr. Cass. 21 giugno 2002, n. 9067, in Mass. Giust. civ., 2002, 1064; Cass. 16 febbraio 2001, n. 2289, in Fam. dir., 2001, 275, con nota di FINELLI; Cass. 18 febbraio 1999, n. 1353, in Fam. dir., 1999, 455, con nota di MORELLO DI GIOVANNI.

(66) Cfr. Trib. Pescara 18 giugno 2003; Trib. Chieti 28 gennaio 2003, inedite.

(67) Cfr. Cass. 18 febbraio 1999, n. 1353, in Mass. Giust. civ., 1999, 427 e in Fam. dir., 1999, 455; Cass. 8 settembre 1998, n. 8868, in Mass. Giust. civ., 1998, 1865; Cass. 16 settembre 1998, n. 6950, in Mass. Giust. civ., 1998, 1538.

(68) La pretesa del genitore adempiente di ricevere dall'altro il contributo a suo carico, trova fondamento non soltanto nell'interesse patrimoniale del medesimo a non anticipare la quota della prestazione gravante sull'altro, ma anche e soprattutto nel munus, a lui spettante, di curare direttamente ed in modo completo il sostentamento, la formazione e l'istruzione del figlio.

(69) Cfr., tra le altre, Cass. 23 marzo 2004, n. 5719, in Dir. fam., 2004, 333; Cass. 13

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febbraio 2003, n. 2147, in Giur. it., 2004, 56; Cass. 3 aprile 2002, n. 4765, in Nuova giur. civ. comm., 2003, I, 813; Cass. 16 febbraio 2001, n. 2289, in Mass. Giust. civ., 2001, 263; Trib. Vicenza 29 ottobre 1990, in Dir. fam., 1991, 972.

(70) Cfr. Cass. 25 maggio 1981, n. 3416, in Mass. Giust. civ., 1981, f. 5 e in Giust. civ., 1982, I, 1335.

(71) Cfr. Cass. 3 aprile 2002, n. 4765, in Nuova giur. civ. comm., 2003, I, 813; Cass. 4 marzo 1998, n. 2392, in Giur. it., 1999, 252; Trib. Chieti 28 gennaio 2003, inedita.

(72) Cfr. Trib. Napoli 11 luglio 2003, in Giust. civ., 2003, 2056, secondo il quale in ipotesi di divorzio, al fine della determinazione dell'onere contributivo del genitore non convivente per le esigenze del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente, deve essere valutata la capacità economica del genitore stesso avuto riguardo al complesso patrimoniale costituito da ogni forma di reddito o utilità.

(73) Cfr. Cass. 19 marzo 1984, n. 1862, in Giust. civ., 1984, 1765.

(74) Cfr. Cass. 4 settembre 1999, n. 9386, in Giust. civ., 1999, 1905.

(75) Secondo una autorevolissima dottrina, pur se la fonte degli obblighi di cui all'art. 147 c.c. debba ricercarsi nel rapporto di filiazione, detti obblighi divengono, in forza del matrimonio, doveri di ciascuno dei coniugi nei riguardi dell'altro. Così BIANCA, Diritto civile, 2, cit., 52.

(76) Cass. 4 settembre 1999, n. 9386, in Mass. Giust. civ., 1999, 1905; Cass. 5 dicembre 1996, n. 10849, ivi, 1996, 1676.

(77) L'art. 155 quinquies comma 2 c.c. equipara ai figli minori i figli maggiorenni portatori di handicap grave ex art. 3 comma 3 l. 5 febbraio 1992, n. 104. Nota però CASABURI, Lo tsunami si abbatte anche sul diritto di famiglia, in questa Rivista, speciale riforma diritto di famiglia, marzo 2006, 53, nota n. 72, che non può però «configurarsi una sorta di affidamento dei maggiorenni portatori di handicap, atteso anche che l'art. 3 cit. si riferisce essenzialmente a minorazioni che possono lasciare integra la capacità di intendere e di volere, incidendo solo (per così dire) sull'autonomia materiale».

(78) CASABURI, Lo tsunami si abbatte, cit., 52 ss.

(79) CASABURI, op. ult. cit., 54 cui si rinvia anche per la bibliografia.

(80) Cfr. Cass. 29 marzo 1994, n. 3049, in Giur. it., 1995, I, 1, 652; Cass. 20 aprile 1991, n. 4273, in Giur. it., 1991, I, 1, 634. Una diffusa giurisprudenza ravvisa nel comportamento del genitore, il quale adempie per intero la prestazione, una gestione di affari dell'altro genitore, in proposito, Cass. 4 settembre 1999, n. 9386, in Mass. Giust. civ., 1999, 1905; Cass. 5 dicembre 1996, n. 10849, in Foro it., 1997, I, 3337; Cass. 11 luglio 1990, n. 7211, in Mass. Giust. civ., 1990, f. 7; Cass. 16 marzo 1990, n. 2199, in Mass. Giust. civ., 1990, f. 3; Cass. 19 marzo 1984, n. 1862, in Giust. civ., 1984, I, 1765. Contra, Cass. 22 novembre 2000, n. 15063, in Giust. civ., 2001, I, 1296.

(81) Cfr. Cass. 14 maggio 2003, n. 7386, in Mass. Giust. civ., 2003, f. 5; Cass. 22 novembre 2000, n. 15063, in Giust. civ., 2001, I, 1296; Cass. 4 settembre 1999, n. 9386, in Mass. Giust. civ., 1999, 1905; Cass. 14 agosto 1998, n. 8042, in Fam. dir., 1999, 271; Trib. Milano 27 febbraio 2001, in Fam. dir., 2001, 632; App. Cagliari 9 aprile 1997; Trib. Santa Maria Capua Vetere 31 ottobre 1996, in Foro it., 1999, I,

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704. Contra, Cass. 23 gennaio 1993, n. 791, in Giur. it., 1993, I, 1, 1914, secondo cui se il rapporto di filiazione si costituisce in un momento successivo alla nascita, il genitore è tenuto al mantenimento da questo momento. Cass. 4 maggio 2000, n. 5586, in Fam. dir., 2000, 549, puntualizza che solo in caso di domanda di parte l'obbligazione decorre dalla nascita, diversamente il dies a quo è quello del momento in cui è stata promossa l'azione di accertamento della filiazione.

(82) Nel concetto di sostanze vanno ricondotti sia ogni cespite del coniuge, sia le somme di denaro, sia il valore dei beni improduttivi di reddito. Così, Cass. 21 gennaio 1995, n. 706, in Mass. Giust. civ., 1995, 125; Cass. 5 ottobre 1992, n. 10926, in Mass. Giust. civ., 1992, f. 10; Cass. 16 ottobre 1991, n. 10901, in Mass. Giust. civ., 1991, f. 10; Trib. Napoli 11 luglio 2003, in Giust. civ., 2003, 2056.

(83) DOGLIOTTI, L'affidamento dei figli nella separazione: problemi attuali e prospettive di riforma della disciplina, in DELL'ANTONIO-VICENZI AMATO, L'affidamento dei minori nelle separazioni giudiziali. Ricerca interdisciplinare dei criteri di affido in alcuni tribunali italiani, Milano, 1992, 185 ss.

(84) Cfr. Cass. 19 marzo 2002, n. 3974, in Mass. Giust. civ., 2002, 488; Cass. 1° marzo 1998, n. 2392, in Giur. it., 1999, 252.

(85) In tema di affidamento condiviso si veda quanto accennato alla nota n. 45.

(86) Cfr. Cass. 13 luglio 1995, n. 7644, in Dir. fam. e pers., 1995, 99, la quale precisa che i bisogni, le abitudini, le legittime aspirazioni del figlio, non possono non risentire del livello economico-sociale in cui versa il genitore.

(87) La Corte costituzionale con la sentenza 30 dicembre 1997, n. 451, in Giur. cost., 1997, f. 6, ha reputato la sottrazione della questione alla competenza del tribunale dei minori non contraria alla costituzione. Contrariamente si è pronunciata in diverse occasioni la Corte d'appello di Perugia: cfr. ultime statuizioni in Giur. it., 2000, 78.

(88) Circa l'obbligo di mantenimento dei figli a carico dei genitori separati e divorziati si rinvia a GIACOBBE-FREZZA, Ipotesi di disciplina comune nella separazione e nel divorzio, in Trattato di diritto di famiglia, a cura di ZATTI, Milano, 2002, I, § 7.

(89) Cfr. Cass. 20 aprile 1991, n. 4273, in Giur. it., 1991, I, 1, 634.

(90) Ai sensi dell'art. 261 c.c. «Il riconoscimento comporta da parte del genitore l'assunzione di tutti i doveri e di tutti i diritti che egli ha nei confronti dei figli legittimi».

(91) Cfr. Cass. 14 agosto 1998, n. 8042, in Fam. dir., 1999, 75, 271, secondo cui la sentenza dichiarativa della filiazione naturale produce gli stessi effetti del riconoscimento ed implica, pertanto, tutti i doveri propri della procreazione legittima, compreso quello di mantenimento; tale obbligo di mantenimento, non avendo natura alimentare, è a carico del genitore a seguito della dichiarazione giudiziale di paternità naturale, a decorrere dalla nascita del figlio e non dal giorno della domanda giudiziale, con la conseguenza che dalla stessa data decorre anche l'obbligo di rimborsare «pro quota» l'altro genitore che abbia integralmente provveduto al mantenimento del figlio fino alla pronuncia del giudice.

(92) Sull'argomento: DI NARDO, La filiazione non riconoscibile, in Trattato di diritto di famiglia, a cura di ZATTI, Milano, 2002, II, VI, § 9.

(93) Gli obblighi genitoriali derivanti dall'art. 147 c.c. rientrano in un più generale

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obbligo al mantenimento della famiglia sancito dagli artt. 143 comma 3, 186, 315, 324, c.c. e non è escluso che possano ricadere anche su soggetti diversi dai genitori,ex art. 148 comma 1 c.c. Così, TRABUCCHI, Famiglia, cit., 253.

(94) Tale obbligazione, presupponendo che nessuno dei genitori abbia la possibilità di mantenere i figli, assume dunque natura sussidiaria: Cass. 23 marzo 1995, n. 3402, in Giust. civ., 1995, I, 1441; Trib. Milano 30 giugno 2000, in Fam. dir., 2000, 534.

(95) Vi è una tendenza nota a depatrimonializzare anche il diritto di famiglia. Si veda per tutti PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale, Napoli, 1991, 46 ss.; PERLINGIERI, Produzione scientifica e realtà pratica: una frattura da evitare, in Studi in onore di Giuseppe Grosso, VI, Torino, 1974, 397; PERLINGIERI, Tendenze e metodi della civilistica italiana, Napoli, 1979, 9 ss.; PERLINGIERI, Depatrimonializzazione e diritto civile, in Rass. dir. civ., 1983, I, 1 ss.; DE CUPIS, Sulla depatrimonializzazione del diritto privato, ivi, 1982, II, 482.

(96) CAFERRA, Famiglia e assistenza, Bologna, 1984, 6 ss.; PANE, Convivenza familiare e allontanamento del figlio minore, Napoli, 1992, 3 ss.

(97) Cfr. Cass. 23 marzo 1995, n. 3402, in Giust. civ., 1995, 1441.

(98) Cfr. Corte cost. 14 giugno 2002, n. 236, in Giur. it., 2002, 2010; Trib. Lecce 10 maggio 2002, in Foro it., 2003, 302.

(99) La giurisprudenza ritiene ammissibili sia la distrazione dei redditi, sia il sequestro dei beni anche se a rendersi inadempiente è il genitore naturale: Trib. Roma 13 dicembre 1993, in Dir. fam. e pers., 1994, 1059; Corte cost. 18 aprile 1997, n. 99, in Dir. fam. e pers., 1997, 837; non è invece consentita l'iscrizione di ipoteca sui beni del terzo debitore: Corte cost. 14 giugno 2002, n. 236, in Giur. it., 2002, 2010.

(100) Cfr. Cass. 7 giugno 2000, n. 7713, in Fam. dir., 2001, 159. Questa importante decisione ha affermato un nuovo principio in materia secondo cui il figlio, in caso di inadempienza del genitore rispetto all'obbligo di sostentamento, vede limitate le sue possibilità esistenziali e le attività realizzatrici della sua personalità, subendo un danno qualificato come esistenziale, risarcibile ex art. 2043 c.c. al pari del danno biologico. Nel senso che al diritto al mantenimento non può negarsi l'annovero nel quadro dei valori costituzionali che tendono a valorizzare il ruolo prioritario della persona umana si veda: GIACOBBE-GIUFFRIDA, Le persone, in Il diritto privato nella giurisprudenza, a cura di CENDON, III, Diritti della personalità, Torino, 2000, specialmente § 1, 2 e 3.

(101) Si veda tra i tanti M. BESSONE, in Commentario della Costituzione, a cura di BRANCA, Bologna-Roma, 1976, 86 ss.

(102) FERRANDO, La filiazione naturale e la legittimazione, in Trattato di diritto privato, 1982, 208 ss.

(103) Rectius figli di genitori incestuosi così come li ha ridefiniti la Corte costituzionale nella sentenza 28 novembre 2002, n. 494, con la quale ha posto l'accento sulla distinzione netta che viene compiuta tra la condotta dei genitori e, quindi, la relazione orizzontale tra di essi, e la dignità del figlio come persona e quindi la relazione verticale tra genitori e figli. Secondo la Corte la condotta dei genitori può essere censurabile dal punto di vista etico e sociale e può anche essere penalmente perseguibile, allorquando dia luogo a pubblico scandalo, ma questo ordine di valutazioni non è destinato ad influire sulla relazione verticale tra genitori e

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figli. Il figlio non può essere giuridicamente inteso come mera conseguenza dell'incesto: egli è persona e come tale va pienamente tutelato.

(104) Si veda, A. FINOCCHIARO-M. FINOCCHIARO, Diritto di famiglia, cit., 1851; FERRANDO, La filiazione naturale, cit., 210.

(105) TORRENTE-SCHLESINGER, Manuale, cit., 881.

(106) La precedente disciplina consentiva l'azione solo se sussistevano tre condizioni: a) che la paternità risultasse indirettamente da sentenza civile o penale, pronunciata in qualsiasi giudizio, anche se il genitore non fosse stato presente in esso, ed in cui il fatto della paternità o maternità scaturisse dalle indagini necessarie ed utili per la decisione delle questioni che formavano oggetto di quel giudizio; b) che la paternità o la maternità risultasse da matrimonio dichiarato nullo, eccetto, quindi, il caso di matrimonio putativo e quello in cui l'annullamento implicava l'attribuzione ai figli della qualità di naturali riconosciuti (art. 128 c.c.); c) che la paternità o la maternità risultasse da non equivoca dichiarazione scritta del genitore; dichiarazione, quindi, «scritta», cioè contenuta in qualsiasi documento, anche contenente disposizioni di ultima volontà, pur se non effettuata al fine specifico del riconoscimento, ed in relazione ad un figlio nato o nascituro, e «non equivoca» cioè chiara ed intelligibile.

(107) BIANCA, Diritto civile, 2, cit., 299-300.

(108) Analogo obbligo era riconosciuto dall'abrogato art. 409 c.c. anche in capo all'affiliante nei confronti dell'affiliato. È da ritenere che, nell'ipotesi dell'affiliazione, il diritto al mantenimento avesse termine al momento del raggiungimento da parte dell'affiliato di una propria autonomia di vita, con la conseguenza che il mantenimento non era sostituito da un altro obbligo dell'affiliante ed a questi l'affiliato non potesse più rivolgersi nemmeno in caso di bisogno.

contributi sullo stesso argomento

CONFLITTUALITÀ DEI CONIUGI E AFFIDAMENTO CONDIVISO(*)

Dir. famiglia 2007, 2, 931

Renato Marini

Professore associato di Istituzioni di Diritto privato presso l'Università di Roma "Tor Vergata"

Il legislatore del divorzio, pur facendo testuale riferimento all'"affidamento congiunto o alternato", non ne specifica le relative modalità, lasciando tale compito all'interprete.A prescindere dalla riserve che può suscitare un siffatto metodo per il pregiudizio che, in tal modo, si arreca all'esigenza di fissare in materia princìpi e criteri direttivi certi ed univoci, va chiarito che, mentre l'affidamento congiunto, secondo l'opinione che sembra preferibile, richiede che i genitori, pur se non coabitano con la prole, almeno le prestino assistenza diretta e, di regola, esercitino congiuntamente la potestà sulla stessa, l'affidamento alternato può intendersi, ed è stato inteso, o come collocazione turnaria, per periodi di eguale durata, dei figli presso l'uno o l'altro genitore, o come esercizio alternato della potestà esclusiva corrispondentemente ai periodi nei quali il figlio convive con uno dei genitori.

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L'art. 155 c.c., nel testo anteriore alla Novella del 2006, stabiliva che il giudice, pronunciando la separazione, doveva dichiarare a quale dei coniugi dovessero essere affidati i figli minori, ponendo a base della decisione esclusivamente la tutela del loro interesse morale e materiale. Veniva così sancita espressamente la regola dell'affidamento della prole ad uno dei genitori (c.d. affidamento esclusivo) e precisamente a quello ritenuto dal giudice più idoneo a ridurre al minimo i danni derivanti dalla crisi familiare e ad assicurare lo sviluppo fisico, morale e psicologico del minore. Anche se la giurisprudenza, sulla base dell'affermata applicabilità analogica dell'art. 6, comma 2, l. div., aveva riconosciuto al giudice il potere di disporre, anche nella separazione, ove ritenuto utile all'interesse dei minori anche in relazione alla loro età, l'affidamento congiunto o alternato previsto per il divorzio.Mentre risultava condizionato alla ricorrenza di gravi motivi, ai sensi del comma 5 del precitato art. 155 c.c., ed in tal senso poteva considerarsi eccezionale, l'affidamento della prole a terzi o, in via ancor più residuale, il collocamento della stessa in un Istituto di educazione.Occorre, tuttavia, rilevare come l'affidamento congiunto, pur ammissibile, ha trovato nel sistema previgente, un'applicazione del tutto marginale, essendo la sua adozione condizionata alla ricorrenza, al momento della separazione, del massimo spirito collaborativo tra i genitori, ai quali finiva per essere demandata la esclusiva valutazione sulla opportunità della sua adozione.In altre parole, l'affidamento congiunto non era quasi mai disposto o imposto dal giudice, il quale si limitava a recepire una conforme volontà dei coniugi. Mentre la mancanza di spirito collaborativo - e quindi l'inesistenza del presupposto stesso dell'affidamento congiunto - si desumeva dalla stessa richiesta di separazione giudiziale o di affidamento (esclusivo) della prole.In un certo senso, si può forse dire che la richiesta di affidamento congiunto era il risultato di una decisione realmente ed effettivamente condivisa.E in un sistema in cui l'affidamento esclusivo rappresentava la regola non c'è da stupirsi se la scelta dell'affidamento congiunto proprio per l'elevato tasso di conflittualità riscontrabile quasi sempre nella crisi del rapporto coniugale finiva per risultare un'ipotesi residuale e statisticamente insignificante.Sotto un diverso aspetto, può, poi, osservarsi che il genitore che alla luce dei criteri elaborati dalla giurisprudenza appariva il naturale destinatario dell'affidamento del minore (come nel caso della madre durante i primi anni di vita del figlio) non aveva alcun motivo per risolvere il conflitto con l'altro coniuge e garantire così ai figli il mantenimento di una situazione genitoriale immutata. Circostanza, questa, che rendeva ancora più teorica la previsione dell'affidamento congiunto dei figli minori.Nel sistema previgente era altresì previsto:- che il giudice (seppure non ne fosse vincolato) dovesse tenere conto degli accordi dei genitori (art. 155 c.c) e potesse disporre, qualora lo ritenesse strettamente necessario, l'audizione dei figli minori (art. 6 l. div.);- che il genitore affidatario avesse l'esercizio esclusivo della potestà sul minore anche se le decisioni più importanti - quali, ad esempio, quelle di maggior rilievo relative all'istruzione e all'educazione della prole - erano demandate ad entrambi i genitori;- che al genitore non affidatario fosse riservato (tranne nei casi di pregiudizio all'interesse dei minori) il c.d. diritto di visita, finalizzato - nelle intenzioni del legislatore - a mantenere vivo il suo rapporto affettivo con i figli e a consentirgli di vigilare sull'educazione degli stessi.Ciò che, peraltro, non impediva al genitore di apparire, il più delle volte, come una sorta di "ufficiale pagatore" tenuto unicamente a corrispondere l'assegno periodico fissato dal giudice, o deputato a far trascorrere pigri e noiosi week-end ai figli, nella vana ricerca di una sorta di parità tra i genitori in crisi.La Novella del 2006, con una disciplina radicalmente innovativa di quella previgente, dispone che in caso di separazione (di divorzio o di rottura della convivenza) la regola debba essere quella dell'affidamento condiviso e l'eccezione quella dell'affidamento esclusivo e riconosce, per la prima volta, un vero e proprio diritto dei figli "di

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mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascun genitore, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale".Norma questa, occorre dire subito, meritevole di incondizionata approvazione ed in linea con l'evoluzione del costume sociale. Ed anche se l'art. 6, comma 1, l. div. già disponeva - per il caso di passaggio a nuove nozze di uno o di entrambi i genitori - la permanenza dell'"obbligo, ai sensi degli artt. 147 e 148 c.c., di mantenere, di educare ed istruire i figli nati o adottati durante il matrimonio di cui fosse stato pronunciato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili", il riconoscimento di una autonoma e diversa situazione giuridica soggettiva a favore dei figli minori (quale che sia, poi, la sua più appropriata qualificazione formale) mira ad accordare una piena tutela giuridica a quei soggetti deboli che, come appunto i figli minori, risultano i più pregiudicati dall'insorgere della crisi coniugale e che sino ad oggi erano garantiti solo dalle sensibilità personali dei genitori.Ed una sia pur indiretta conferma di ciò è offerta, appunto, dalla previsione relativa al rapporto con gli ascendenti ed i parenti di ciascun ramo genitoriale, che il minore ha il diritto di mantenere vivo anche in caso di crisi del rapporto coniugale.La riforma ha così ritenuto di responsabilizzare i genitori, impo nendo loro una effettiva presenza e una partecipazione attiva alla cura, alla crescita ed alla educazione dei figli.Per realizzare più compiutamente tale finalità e per dare concretezza alla tutela dei figli minori il novellato art. 155 c.c. affida al giudice " il potere di adottare i provvedimenti relativi all'interesse della prole con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa" e soprattutto di valutare previamente "la possibilità che i figli minori restino affidati ad entrambi i genitori".Il genitore, in altre parole, secondo la Novella, anche in caso di separazione o di altre ipotesi di cessazione della convivenza, deve restare genitore e continuare a svolgere le sue funzioni. Sicché può dirsi che la nuova disciplina - istituzionalizzando l'affidamento condiviso e introducendo il principio della bigenitorialità anche nella fase della crisi coniugale - abbia inteso principalmente (cor)responsabilizzare i genitori.L'affidamento esclusivo diventa, in tal modo, una soluzione residuale che può essere disposta "con provvedimento motivato" solo quando il giudice consideri l'affidamento condiviso "contrario all'interesse del minore" (art. 155-bis, comma 1, c.c.). La Novella, per disporre l'affidamento esclusivo (e quindi per evitare l'affidamento condiviso), richiede, dunque, l'accertamento di una specifica situazione di fatto impeditiva dell'affidamento condiviso (ad esempio, l'infermità mentale di uno dei genitori, gravi patologie che impediscano ad un genitore di attendere alle cure del figlio, l'obiettiva lontananza dei genitori, la loro anomala condotta di vita, il loro disinteresse nei confronti dei figli, gli accordi raggiunti, ecc.).Il rischio insito nella nuova disciplina è quello di una vanificazione della sua portata precettiva in conseguenza della conflittualità tra i coniugi.Ma dalle prime applicazioni giurisprudenziali emerge come la contrarietà all'interesse del minore non può certo essere rappresentata dai dissapori e contrasti tra i genitori, essendo, invece, necessario il concorso di circostanze (relative all'uno o all'altro genitore) che si riflettano ex se sui minori.In proposito è significativa una decisione del Tribunale di Milano, secondo cui "scopo della (nuova) normativa è anzitutto quello di rendere entrambi i genitori responsabili in relazione alla loro genitorialità e, pur in presenza di conflitti, indurli ad assumere le decisioni meglio rispondenti agli interessi e ai bisogni dei figli". Mentre, secondo la stessa pronuncia, non è di per sé "ostativa all'affidamento del figlio ad entrambi i genitori la mancanza di spirito collaborativo e difficoltà di comunicazione tra gli stessi. Non è, cioè, la presenza del conflitto che impedisce di adottare la soluzione dell'affidamento condiviso", trattandosi, invece, "di valutare se sia percorribile o meno la via della corresponsabilizzazione dei genitori e dell'assunzione, da parte loro, di un compito genitoriale pieno, e quindi condiviso, nell'interesse dei figli, che hanno

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diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori"; sicché, è la finale conclusione, "quando i genitori appaiano disponibili a porre davvero al centro delle loro preoccupazioni l'interesse dei propri figli, anche se il percorso può essere lungo e faticoso, ovvero si renda necessario l'intervento di terzi mediatori, non solo si può, ma si deve percorrere la strada dell'affidamento condiviso, oggi individuato dalla nuova normativa come la soluzione che il giudice deve prioritariamente valutare, salvo che l'interesse primario del minore non consigli, nel caso concreto, di adottare diverse soluzioni, avuto riguardo ai comportamenti posti in essere dai genitori e al pregiudizio che ne derivi ai figli".Sembra, dunque, che il legislatore abbia inteso responsabilizzare i coniugi nell'interesse dei figli, inducendoli ad assumere un compito genitoriale pieno, riconoscendosi, sotto un certo aspetto, la verità di quella affermazione di Arturo Carlo Jemolo che, definendo la famiglia come "un'isola felice che il mare del diritto può solo lambire", la individuava come il luogo privilegiato per la gestione dei rapporti interni alla stessa.La scelta dell'affidamento condiviso quale regime tipico di affidamento mira a differenziare i rapporti interni alla coppia da quelli relativi ai figli.I due rapporti, cioè, sono e devono restare - nell'intenzione del legislatore - del tutto distinti ed autonomi, dovendo i genitori, pur se in crisi, impegnarsi nella prosecuzione del processo educativo dei figli minori, che non possono essere le vittime sacrificali di egoismi e incomprensioni a cui sono del tutto estranei.Il centro della disciplina non è più - come accadeva in passato - la valutazione del tasso di conflittualità tra i coniugi al momento della separazione, ma la possibilità che la crisi del rapporto coniugale non interferisca nel rapporto con i figli, e cioè che i figli - in forza del principio della bigenitorialità - mantengano un rapporto equilibrato e continuativo con ciascun genitore e ricevano cura, educazione e istruzione da entrambi.Taluno ha sottolineato che si tratta di un'esigenza talmente ovvia da non richiedere un intervento del legislatore. Occorre, in contrario, osservare che l'esigenza, pur se ovvia, risulta di difficile realizzazione. È ovvia, trattandosi di un effetto derivante dal matrimonio secondo quanto previsto dall'art. 147 c.c. Ma, al tempo stesso, di difficile realizzazione, in quanto costringere i coniugi, nel momento della loro crisi (quando, cioè, è divenuta intollerabile la prosecuzione della loro convivenza) ad assumere decisioni concordate necessita di un nuovo approccio psicologico, che eviti il rischio di ridurre il principio enunciato ad un flautus vocis privo di effettiva rispondenza nella realtà.La portata innovativa della riforma consiste, a ben vedere, proprio nel fatto che la conflittualità tra i coniugi non può precludere - diversamente da quanto si verificava in relazione all'affidamento congiunto - l'affidamento condiviso e nella previsione di strumenti idonei a ridurre la conflittualità tra i coniugi nella gestione della vita dei minori. Da qui la domanda su quali sono gli strumenti per scongiurare il rischio che venga vanificata la previsione secondo cui bisogna tenere distinte le conflittualità di coniugi da quelle di genitori.Nella disciplina previgente il genitore non affidatario aveva il diritto e il dovere di vigilare sull'istruzione e sull'educazione del minore, nonché la facoltà di ricorrere al giudice, chiedendo la limitazione o, nei casi più gravi, la decadenza dell'altro genitore dalla potestà, quando riteneva che fossero state assunte decisioni pregiudizievoli all'interesse del minore (diritto, questo, peraltro esercitato sempre con molta parsimonia). Ed era, altresì, possibile delegare ope iudicis l'esercizio della potestà ad entrambi i genitori - anche se ciò avveniva solo in casi statisticamente insignificanti.In forza della Novella il legislatore ha disciplinato le prerogative relative all'esercizio della potestà genitoriale stabilendo: che entrambi i coniugi sono contitolari della potestà genitoriale; che, come già detto, il giudice deve previamente valutare la possibilità di stabilire l'affidamento del minore ad entrambi i genitori, ricorrendo all'affidamento esclusivo solo quando l'altro tipo di affidamento sia contrario all'interesse del minore; che, in ogni caso, le decisioni di maggior interesse per i figli

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relative all'istruzione, educazione e salute devono essere assunte di comune accordo, tenendo conto dell'inclinazione dei figli; che l'esercizio della potestà in modo disgiunto può essere stabilito dal giudice solo su questioni di ordinaria amministrazione. Ora non vi è dubbio che la contitolarità della potestà genitoriale potrebbe, in astratto, acuire la conflittualità tra i coniugi ed è, quindi, auspicabile che, nella pratica, i provvedimenti riguardanti l'affidamento condiviso prevedano che l'esercizio della potestà sulle questioni di ordinaria amministrazione spetti ai genitori in maniera esclusiva nei rispettivi periodi di permanenza.Del resto, immaginare che due coniugi tra i quali pende una separazione giudiziale possano concordare ogni decisione attinente alla ordinaria vita dei figli è semplicemente utopistico.Il legislatore ha previsto alcuni strumenti - tanto processuali che sostanziali - che sembrano idonei ad orientare la scelta del regime di affidamento condiviso e a ridurre la conflittualità attraverso la presa di coscienza di nuovi princìpi in tema di affidamento.Allo scopo di disincentivare istanze di affidamento esclusivo temerarie e strumentali - e quindi al fine di agevolare la scelta autonoma dell'affidamento condiviso - il secondo comma dell'art. 155-bis c.c. prevede che, ove la domanda (di affidamento esclusivo) risulti manifestamente infondata, "il giudice può considerare il comportamento del genitore istante ai fini della determinazione dei provvedimenti da adottare nell'interesse dei figli, ferma rimanendo l'applicazione dell'art. 96 c.p.c".Si tratta, tuttavia, di una disposizione che corrisponde ad una logica sanzionatoria del tutto estranea, in quanto tale, a quegli interessi dei figli minori che dovrebbe, invece, tendere a realizzare.Una innovazione non trascurabile della legge di riforma è, poi, costituita dall'audizione, prima dell'emanazione dei provvedimenti anche in via provvisoria di cui all'art. 155 c.c., del minore che abbia compiuto gli anni 12 "e anche di età inferiore ove capace di discernimento" (art. 155-sexies). Dal testo della norma (il giudice "dispone") sembra doversi desumere che l'audizione del minore integri un adempimento necessario e non discrezionale.L'audizione è evidentemente finalizzata a conoscere le esigenze del minore e a realizzarne l'interesse e non può essere strumentalizzata dai genitori a sostegno delle loro reciproche ed avverse pretese.È, quindi, auspicabile che essa avvenga con la collaborazione di ausiliari del giudice dotati di alto grado di specializzazione (psicologi, assistenti sociali, mediatori familiari); ciò che, del resto, non è vietato dal disposto letterale della norma, che impone al giudice di disporre l'audizione senza nulla statuire sulle modalità della stessa.Seppure nel sistema previgente fosse sancita la possibilità di ascoltare il minore - anche se di età inferiore ai 16 anni - tale previsione raramente finiva col realizzarsi, e ciò proprio per non coinvolgere i minori nel conflitto dei genitori.Se l'audizione del figlio minore verrà letta come "necessaria" e non come semplicemente facoltativa, potrà contribuire a far sì che i coniugi - al fine di evitare coinvolgimenti pregiudizievoli dei minori - ricerchino autonomamente una soluzione extragiudiziale dei contrasti relativi ai figli.Il giudice, qualora ne ravvisi l'opportunità, può, con il consenso delle parti, rinviare l'adozione dei provvedimenti sull'affidamento dei figli ad un momento successivo, per consentire ai coniugi di raggiungere un accordo attraverso un percorso di mediazione familiare (155-sexies, comma 2 c.c.).La previsione del ricorso alla mediazione familiare rappresenta, forse, una delle novità più rilevanti e più importanti della Novella, ma è anche il passaggio rispetto a cui il legislatore ha mostrato maggiore timidezza.La legge si è premurata di inserire - affidandola alla valutazione del giudice e alla iniziativa dei genitori - l'attivazione di percorsi di mediazione.Da questo punto di vista l'attivazione obbligatoria sarebbe stata di maggiore utilità non solo ai fini della soluzione dei conflitti tra i genitori, ma, anche indirettamente, in

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funzione della più corretta decisione del giudice per l'affidamento dei figli. Senza dire che la ragione per cui la mediazione non ha avuto in Italia un gran successo deve individuarsi proprio nel fatto che essa è riservata alle coppie che con il loro consenso dimostrano di essere già in grado di controllare la loro conflittualità (e cioè è utilizzata dalle coppie che non ne hanno realmente bisogno).La previsione di un percorso obbligatorio potrebbe, dunque, ripetesi, essere una risorsa importante nella ricerca di un diverso approccio nella separazione, sempre che il suo svolgimento venga affidato ad esperti qualificati. Occorrerebbe, cioè, rendersi conto del fatto che, laddove vi sia un'accesa conflittualità tra i coniugi, tanto più il Tribunale risulta inidoneo a risolvere le problematiche genitoriali.Per la soluzione delle controversie insorte in ordine all'esercizio della potestà e alle già disposte modalità di affidamento è importante la previsione (art. 709 c.p.c.) secondo cui, in caso di gravi inadempienze nei confronti del minore, o di atti che allo stesso arrechino pregiudizio od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell'affidamento, il giudice può:- adottare i provvedimenti più opportuni e modificare quelli in vigore; ammonire il genitore inadempiente;- disporre il risarcimento dei danni a carico di uno dei genitori nei confronti del minore;- disporre il risarcimento dei danni a carico di uno dei genitori nei confronti dell'altro;- condannare ad una sanzione amministrativa pecuniaria.Nonostante la natura dichiaratamente sanzionatoria o indennitaria di tali interventi, resta fermo il principio per cui la modifica dei provvedimenti riguardanti i figli deve rispondere esclusivamente al loro interesse, senza che assuma diretto rilievo la violazione dei diritti di cui ciascun coniuge è titolare nei confronti dell'altro.In conclusione, l'affidamento condiviso delineato dalla Novella può forse rappresentare, secondo quanto ritenuto da alcune risalenti pronunce giurisprudenziali in tema di affidamento congiunto, una "soluzione terapeutica" di quella conflittualità coniugale che l'affidamento esclusivo finisce troppo spesso per acuire.E se è vero, come si è avuto modo di evidenziare, che l'affidamento condiviso contribuisce a superare i riflessi negativi sui figli della conflittualità coniugale imponendo ai genitori la ricerca di un accordo nell'interesse dei minori (e per la conferma di ciò sarà necessario attendere le prime applicazioni giurisprudenziali), può forse dirsi attuata, in uno dei suoi punti più qualificanti, quella tutela dei figli enunciata dall'art. 29 della Carta costituzionale quale uno dei princìpi ispiratori del nostro ordinamento.

(*) Relazione svolta, in data 18 ottobre 2006, al convegno La mediazione familiare e l'affidamento condiviso: la legge, il metodo, la pratica, tenuto a Roma presso la Cassa Nazionale di Previdenza degli Avvocati, su iniziativa dell'associazione di mediazione familiareMEDI-ARE.

contributi sullo stesso argomento

Aspetti processuali della normativa sull'affidamento condiviso

Riv. trim. dir. proc. civ. 2006, 4, 1063

Michele Angelo Lupoi

Associato dell'Università di Bologna

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SOMMARIO: 1. Introduzione. − 2. Àmbito di applicazione. − 3. L'impatto della nuova normativa sul riparto delle competenze. − 4. Nuovi procedimenti e riti applicabili. − 5. Questioni di legittimazione. − 6. Le novità in ambito istruttorio: introduzione. − 7. (Segue): l'audizione del figlio minorenne. − 8. (Segue): l'accertamento sui redditi e sui beni. − 9. Il tentativo di mediazione. − 10. Il reclamo avverso l'ordinanza presidenziale. − 11. (Segue): rapporti tra reclamo in Corte d'appello e poteri "di revoca e modifica" del giudice istruttore. − 12. La soluzione delle controversie e i provvedimenti in caso di inadempienze o violazioni. − 13. (Segue): i provvedimenti del giudice. − 14. Conclusioni.

1. − Il turbine di riforme a cui ha dato avvio il d.l. n. 35 del 2005 ha coinvolto anche i procedimenti del contenzioso matrimoniale: dapprima, le leggi n. 80 e n. 263 del 2005 hanno introdotto modifiche alle norme del c.p.c. sul procedimento di separazione e a quelle della legge sul divorzio; a istanza di pochi mesi, quasi fuori tempo massimo parlamentare, la l. n. 54 del 2006 ha riformato le disposizioni sull'affidamento della prole. Si tratta di una legge assai controversa, che interviene su una delle questioni più delicate del contenzioso familiare, introducendo, in caso di rottura dell'unione affettiva tra i genitori, l'affidamento condiviso dei figli minorenni.Senza entrare nel merito delle novità sostanziali, in questo scritto analizzerò le novità processuali di questa normativa(1).Tale analisi non è sempre agevole, poiché, a differenza dalle riforme "organiche" del procedimento di separazione e di divorzio operate dalle l. n. 80 e n. 263 del 2005, le disposizioni della l. n. 54 si inseriscono a "macchia di leopardo" in un contesto processuale non sempre ben delineato, senza alcuna organicità e con il rischio di una crisi di rigetto rispetto all'impianto dei procedimenti del contenzioso matrimoniale ridisegnato dai precedente interventi legislativi (2).2. − Dal punto di vista temporale, in mancanza di disposizioni di diritto transitorio, le norme (sostanziali e processuali) della l. n. 54 si applicano anche ai procedimenti già in corso (3) alla data della sua entrata in vigore (16 marzo 2006) (4).Il contesto di riferimento è quello della separazione personale dei coniugi, ma, ai sensi dell'art. 4, comma 2°, tali disposizioni si applicano anche "in caso" di divorzio (5), di nullità del matrimonio e di "procedimenti" relativi ai figli di genitori non coniugati. Insomma, in maniera un po' rudimentale, il legislatore ha voluto introdurre una sorta di testo unico sulla crisi genitoriale. Se le intenzioni potevano essere commendevoli, la norma dell'art. 4, comma 2°, nella sua apparente semplicità, può avere implicazioni del tutto destabilizzanti, come meglio si vedrà in seguito.D'altro canto, il legislatore ha evidentemente ritenuto opportuno che la nuova disciplina sulla crisi genitoriale avesse la massima diffusione possibile, tanto da prevedere, all'art. 4, comma 1°, la possibilità per ciascuno dei genitori di chiederne l'applicazione nei rapporti già "definiti", ossia quelli in cui il decreto di omologa dei patti di una separazione consensuale ovvero la sentenza di separazione giudiziale, di divorzio o di annullamento matrimoniale siano già stati "emessi" alla data di entrata in vigore della legge.Lo strumento processuale indicato a tal fine è il ricorso ex art. 710 c.p.c. per la modifica delle condizioni di una separazione o quello previsto dall'art. 9 della l. n. 898 del 1970, in caso di divorzio.Lo scopo della disposizione è ben comprensibile, ma molti temono (fondatamente) che essa possa contribuire a riaprire, inopportunamente e, a volte, pretestuosamente, situazioni ormai consolidatesi da tempo (6), generando una "messe sterminata di ricorsi per rimettere in discussione risultati già acquisiti" (7).D'altro canto, va anche considerato che, pur in mancanza di una disposizione espressa, l'entrata in vigore di una nuova normativa in materia di affidamento e di questioni accessorie rappresenta comunque un mutamento delle circostanze ai fini della richiesta di "adeguamento" delle situazioni definite in precedenza (8).Sul piano processuale che ci interessa qui, va peraltro messo in rilievo che l'art. 4, comma 1°, è formulato in maniera imprecisa. Esso, infatti, fa riferimento alla

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possibilità di modificare provvedimenti "emessi", senza considerare che i procedimenti previsti dagli artt. 710 c.p.c. e 9 l. div. sono esperibili solo contro decisioni passate in giudicato formale al momento di proposizione della relativa domanda (9). Contro i provvedimenti "emessi" alla data di entrata in vigore della legge, ma non ancora "finali", dunque, l'applicazione della nuova normativa deve piuttosto essere chiesta al giudice dell'impugnazione (10).La norma in esame, inoltre, non considera l'applicazione della nuova disciplina rispetto alle sentenze già emesse tra genitori non coniugati. Tale silenzio si può giustificare con il fatto che per tali provvedimenti non è espressamente previsto un procedimento di modifica come per il contenzioso matrimoniale. Non è peraltro revocabile in dubbio che anche genitori non uniti in matrimonio possano chiedere l'adattamento delle esistenti disposizioni (se non altro, ai sensi dell'art. 155-ter c.c.). Resta il problema di individuare il giudice competente ed il tipo di procedimento azionabile, ma di questo mi occuperò nei prossimi paragrafi.3. − Ai sensi dell'art. 4, comma 2°, la nuova normativa sull'affidamento condiviso si applica anche "ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati". Si tratta di una previsione sintetica ed apparentemente "innocente": a prima vista, infatti, la si potrebbe ritenere una semplice norma di raccordo, che lasci immutata la situazione di riferimento (11).A questo riguardo, occorre premettere che, prima della l. n. 54, in applicazione dell'art. 317-bis c.c., le controversie in questo àmbito erano attribuite alla competenza del tribunale per i minorenni, mentre al tribunale ordinario era riservata la competenza in materia di mantenimento della prole naturale, con le forme del procedimento ordinario di cognizione ovvero quelle del procedimento sommario di cui all'art. 148 c.c. Si potrebbe, dunque, ritenere che la l. n. 54 non modifichi questa ripartizione: soluzione tranquillizzante ma poco appagante, in termini sia sistematici che applicativi. Rispetto al passato, infatti, la riforma degli artt. 155 ss. c.c. ha introdotto una disciplina specifica per i rapporti tra genitori non coniugati e figli, con la previsione, ad esempio, di un apposito intervento giudiziale per risolvere i contrasti sulle questioni di maggior interesse rispetto all'istruzione, all'educazione e alla salute della prole e, soprattutto, mettendo in stretta correlazione la questione dell'affidamento con quella del mantenimento dei figli. Proprio tale collegamento fa ritenere che il legislatore, con scelta sicuramente da condividere, abbia voluto concentrare in un unico organo giudiziario tutto il potere decisorio sulle questioni personali e patrimoniali relative alla prole (12). Rispetto ai figli naturali, allora, il problema è stabilire se tale organo debba essere il tribunale per i minorenni (al quale, a questo punto, dovrebbe riconoscersi la competenza per emettere provvedimenti a contenuto patrimoniale anche in caso di mancato accordo tra le parti) (13) oppure il tribunale ordinario (che esautorerebbe il tribunale per i minorenni dalle decisioni sull'affido della prole naturale)(14).Tra le due soluzioni, sembra da preferire la seconda (15) (16) .Sul piano testuale-sistematico, alla luce del chiaro disposto dell'art. 4, comma 2°, l'affidamento dei figli naturali è oggi disciplinato dall'art. 155 c.c. (17), che, dunque, ha abrogato tacitamente, almeno in parte, l'art. 317-bis c.c. (18).I rimedi processuali introdotti dagli art. 155 ss. c.c., d'altro canto, non sono tra quelli per cui l'art. 38 disp. att. c.c. prevede la competenza del tribunale per i minorenni (19). In materia, dunque, assume rilievo il comma 2° della medesima norma, alla cui stregua: "i provvedimenti per i quali non è espressamente prevista la competenza di una diversa autorità giudiziaria" debbono essere emessi dal tribunale ordinario(20).A questo riguardo, si deve considerare che alcuni dei procedimenti previsti dalla legge n. 54 (come quelli di modifica ex art. 155-ter c.c., o quelli di cui all'art. 709-ter, comma 2°, c.p.c.) (21) non appaiono agevolmente trasferibili nel contesto del tribunale per i minorenni, che non ha una struttura adeguata a smaltire un micro-contenzioso di massa di questo tipo.Sul piano della politica legislativa e dell'impatto pratico della nuova disciplina, inoltre, l'accorpamento delle competenze avanti al tribunale ordinario va vista con

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favore perché esso ha un'articolazione territoriale più vicina al cittadino e può smaltire questo contenzioso in tempi più rapidi.Adottando la soluzione qui prospettata, si supera anche una sperequazione davvero poco giustificabile tra figli di genitori coniugati e non coniugati, con una maggiore garanzia del rispetto delle forme e dei diritti processuali nei procedimenti che riguardano questi ultimi.Su tali basi, si può rispondere alla questione lasciata in sospeso nel paragrafo precedente, per dire che il ricorso ex art. 4, comma 2°, al fine di applicare la nuova normativa ai rapporti tra genitori non coniugati già regolamentati da un provvedimento del tribunale per i minorenni, deve essere proposto avanti al tribunale ordinario, con le forme del procedimento in camera di consiglio (v. il prossimo paragrafo).4. − Le disposizioni sostanziali in materia di affidamento condiviso si applicano, in via principale, nei procedimenti in cui vengono disciplinati ex novo i rapporti personali e patrimoniali tra genitori in crisi. Ma la l. n. 54 introduce anche numerosi rimedi che presuppongono un intervento giudiziale fuori dal contesto del procedimento principale sul rapporto e rispetto ai quali, in mancanza di specifiche indicazioni del legislatore, si deve stabilire il tipo di procedimento applicabile.In alcuni casi, la soluzione è semplice. Nei confronti di genitori separati o divorziati, si tratta, in generale, di interventi di modifica delle condizioni esistenti, da proporre, rispettivamente, ai sensi dell'art. 710 c.p.c. o dell'art. 9 l. div.: è il caso del ricorso ex art. 155-quater c.c. per la revoca dell'assegnazione della casa coniugale (22) e dei ricorsi ex artt. 155-bis e ter c.c. per la modifica delle condizioni sull'affido e sul mantenimento della prole.Rispetto alle analoghe controversie tra genitori non coniugati, sembra doversi escludere, almeno nell'attuale contesto socio-giuridico, l'applicazione analogica della disciplina processuale prevista per i procedimenti del contenzioso matrimoniale (23), come pure sarebbe auspicabile. Viene allora in rilievo l'art. 38, comma 3°, disp. att. c.c., che prevede l'applicazione del rito camerale (24), con l'intervento del pubblico ministero, ai procedimenti previsti dal primo libro del c.c.A tale rito, in particolare, vanno sottoposte le domande di affidamento di figli naturali (25), quelle relative al mantenimento della prole (minorenne e maggiorenne) (26), nonché quelle di modifica di condizioni precedentemente stabilite a questi riguardi, ad esempio, in materia di assegnazione della casa familiare ai sensi dell'art. art. 155-quater.5. − Un'ulteriore innovazione della l. n. 54 è quella che "potrebbe" essere contenuta nel nuovo art. 155-quinquies c.c., il quale, nel disciplinare in modo autonomo il mantenimento dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente, stabilisce che il giudice, valutate le circostanze, possa disporre in favore di questi ultimi il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salva diversa determinazione del giudice, deve essere versato direttamente all'avente diritto.Si tratta di una delle norme più oscure della nuova disciplina e si presta a creare un contenzioso tutto nuovo tra genitori e figli (27).In precedenza, nel silenzio della legge, la giurisprudenza e la dottrina assolutamente maggioritarie erano giunte a ritenere che un genitore potesse agire in giudizio iure proprio per ottenere dall'altro il pagamento di un assegno per il contributo nel mantenimento della prole maggiorenne, ma non autosufficiente, con lui convivente (28). Con la nuova norma, è sorto il dubbio che tale legittimazione iure proprio del genitore convivente sia venuta meno, lasciando spazio esclusivamente alle legittimazione del figlio maggiorenne.In effetti, l'art. 155-quinquies c.c., nel riferirsi al figlio come all'"avente diritto" sembrerebbe supportare tale seconda soluzione, come autorevole dottrina ha già ritenuto, sostenendo che, oggi, il genitore convivente non potrebbe più agire per il pagamento dell'assegno per il mantenimento del figlio maggiorenne né iure proprio né in qualità di legittimato straordinario (29). In quest'ottica, il figlio, per ottenere un contributo al proprio mantenimento, dovrebbe promuovere un autonomo giudizio

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oppure intervenire nel procedimento già pendente tra i genitori. Si è anzi affermato che la partecipazione del figlio maggiorenne al giudizio di separazione o di divorzio tra i genitori costituirebbe un litisconsorzio necessario (30).Si tratta di un'interpretazione non condivisibile sul piano pratico, in quanto allarga il contenzioso a soggetti che, sinora, ne erano esclusi, costringendo i figli ad inserirsi nella lite tra i genitori, finendo, quasi inesorabilmente, per prendere le parti dell'uno o dell'altro, non sempre nel loro interesse; per tacere dei costi di tali iniziative processuali, a carico di un soggetto, per definizione, impossidente e che dunque dovrebbe fare ricorso al patrocinio a spese dello Stato (sempre che, a tali fini, la sua posizione reddituale possa essere scorporata da quella del genitore convivente). Nella grande maggioranza dei casi poi, i figli maggiorenni si troverebbero a dovere "girare" il loro assegno al genitore convivente il quale, in effetti, si prende cura di loro e si preoccupa del loro sostentamento: salvo pensare a situazioni assolutamente fuori dalla realtà, in cui figli conviventi con uno dei genitori si curino direttamente delle proprie necessità e delle proprie spese di vitto e alloggio (ad esempio, contribuendo pro quota al canone di locazione, alle spese condominiali, alle utenze domestiche, alla spesa quotidiana).D'altro canto, quella appena esposta non è un'interpretazione obbligata dell'art. 155-quinquies c.c. La norma infatti, facendo riferimento alla "diversa determinazione del giudice", lascia capire che quest'ultimo, esaminate le circostanze, possa stabilire che l'assegno non sia pagato direttamente al figlio, bensì ad altra persona, normalmente il genitore con lui convivente (31). Essa, dunque, sicuramente legittima quest'ultimo ad invocarne l'applicazione giudiziale in via diretta e propria.Si deve allora pensare che il legislatore abbia utilizzato il termine "avente diritto" in maniera atecnica ed impropria, con riferimento al soggetto (il figlio maggiorenne) a cui vantaggio è previsto il pagamento dell'assegno (32), ma senza sancire un monopolio di quest'ultimo sul piano della titolarità di tale diritto o, almeno, della legittimazione a chiedere il provvedimento ad esso relativo (33), dovendo egli essere considerato non una (necessaria) parte processuale bensì il destinatario finale degli effetti di decisione del giudice (così come, d'altronde, anche il figlio minorenne).Rispetto al passato, dunque, nulla dovrebbe essere mutato sul piano della legittimazione concorrente del genitore con quella del figlio maggiorenne (34); legittimazione che, tuttora, deve potere essere esercitata iure proprio(35), senza alcuna necessità di evocare in giudizio anche il figlio maggiorenne; salvo ritenere, con un po' di buona volontà interpretativa, che la fattispecie integri un'ipotesi di sostituzione processuale ai sensi dell'art. 81 c.p.c. (36), con il vantaggio di consentire che il giudizio si svolga legittimamente senza la necessità di integrare il contraddittorio anche nei confronti del figlio maggiorenne.Si ritiene, peraltro, che oggi si possa più facilmente riconoscere il diritto del figlio maggiorenne ad intervenire nel giudizio pendente tra i genitori per chiedere, in via principale, il pagamento diretto dell'assegno (37), ovvero ad adiuvandum rispetto alle richieste di uno dei genitori (38). Anche a fronte di tale intervento, peraltro, il giudice resta libero di determinare le modalità di pagamento dell'assegno in base alle circostanze.Sul piano della legittimazione ad agire, infine, nonostante la solenne affermazione dell'art. 155, comma 1°, c.c., per cui il figlio minore ha comunque diritto a conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale, si può continuare a negare l'esistenza di un diritto di questi ultimi a chiedere un'autonoma disciplina del proprio diritto di visita al minore (39).6. − La l. n. 54 introduce nuovi poteri di indagine per il giudice del contenzioso genitoriale e caratterizza quelli esistenti.Il primo comma dell'art. 155-sexies c.c. individua i poteri istruttori "generali" del giudice della crisi genitoriale, a cui, prima di emanare, anche in via provvisoria, i provvedimenti di cui all'art. 155 c.c., è consentito di assumere mezzi di prova richiesti dalle parti o anche d'ufficio: disposizione forse superflua (40) ma che conferma sia l'indisponibilità dei rapporti relativi alla prole minorenne sia la natura

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non sommaria della cognizione dei provvedimenti interinali del giudice istruttore.L'ampio potere inquisitorio attribuito al giudice è finalizzato ad un migliore accertamento della "verità" circa i rapporti e le condizioni personali e patrimoniali delle parti, nell'interesse prevalente del minore.In base al tenore neutro delle norme, le attività istruttorie ivi previste possono essere attribuite sia al giudice istruttore o al collegio, nell'àmbito delle rispettive attribuzioni, sia al presidente del tribunale, nella fase preliminare non contenziosa che si svolge davanti a lui (41). Nella pratica, però, un esercizio troppo ampio di poteri istruttori in sede presidenziale deve essere evitato, per non snaturare la natura e le funzioni di tale udienza.L'intervento presidenziale ha, infatti, finalità conciliative e, in caso di mancato accordo, di definizione urgente e temporanea dei rapporti personali e patrimoniali tra i coniugi.In questa fase, non si assumono "mezzi di prova" in senso proprio e la decisione del presidente si basa su una cognizione sommaria e allo stato degli atti (42).D'altro canto, svolgere, in questa fase prodromica e non contenziosa del processo, un'estesa attività istruttoria "preliminare" ritarderebbe l'emissione dei provvedimenti presidenziali nonché l'inizio del processo vero e proprio (43).L'obiettivo, in questa fase, non è avere i "migliori" provvedimenti possibile, quanto provvedimenti ragionevoli e, soprattutto, rapidi, che fissino, in via provvisoria, i primi "paletti" in una crisi coniugale spesso molto acuta. Il sistema, d'altro canto, dà per scontato che la valutazione del presidente possa non essere la più rispondente alla situazione reale e all'uopo predispone, come correttivi, il potere di revoca e modifica da parte del giudice istruttore e, oggi, il reclamo in corte d'appello.È, dunque, opportuno che, salvi casi particolari, il presidente rinvii l'attività istruttoria al prosieguo del giudizio (44).7. − Il nuovo art. 155-sexies c.c. stabilisce che "il giudice", prima dell'emanazione, anche in via provvisoria, dei provvedimenti di cui all'art. 155 c.c., "dispone [...] l'audizione del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento".La norma risponde alla necessità di applicare le norme convenzionali sui diritti dei minori, come quelle della convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei fanciulli fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996 (l. n. 77 del 2003) (45) e della convenzione di New York del 1989 (l. n. 176 del 1991) (46).In precedenza, dell'ascolto del minore si occupava solo l'(attuale) art. 4, comma 8°, l. div., il quale stabilisce che il presidente del tribunale, prima di emanare i suoi provvedimenti provvisori ed urgenti, può sentire "i figli minori" dei coniugi, "anche in considerazione della loro età".La nuova disposizione ha una portata più ampia: essa, infatti, non si riferisce solo al presidente ma al "giudice" tout court: e, dunque, il giudice istruttore o il collegio. Si può, anzi, ritenere che la norma della legge sul divorzio sia stata abrogata tacitamente dalla più recente disposizione, che ne assorbe completamente portata e funzione.L'audizione del minore non è un mezzo di prova in senso stretto (47) ed in particolare non può essere assimilata ad una testimonianza. Si tratta, piuttosto, di un momento di incontro tra il giudice ed il minore, per raccogliere le opinioni di quest'ultimo sulla vicenda che lo vede protagonista (48).Sul piano dei contenuti, il minore, di norma, non sarà un'attendibile fonte di informazione sugli aspetti patrimoniali della controversia, quanto, piuttosto, sui rapporti personali con e tra i genitori.Quanto alle modalità di tale audizione, il minore dovrebbe essere preferibilmente sentito non nelle aule del tribunale (49), ma in un luogo con cui abbia familiarità, dal giudice stesso ovvero da un esperto o dai servizi sociali all'uopo delegati(50), i quali poi redigeranno una relazione (51).In caso di audizione in tribunale, comunque si dovranno garantire alla prole minorenne luoghi e situazioni adeguate e protette (salette d'attesa riservate,

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convocazioni fuori dall'orario d'udienza ordinario e così via).Si afferma che, per garantire la spontaneità delle dichiarazioni, si dovrebbe escludere la presenza dei genitori (e dei loro legali) all'audizione (52). Per garantire la trasparenza del procedimento, però, non si può negare la possibilità alle parti ed ai difensori di seguire (anche in differita) l'audizione, disponendo la sua integrale registrazione audiovisiva o apprestando collegamenti video in una stanza separata (53).Per alcuni, la norma dovrebbe avere applicazione necessaria (54).In effetti, a differenza dall'art. 4, comma 8°, l. div, la formulazione dell'art. 155-sexies c.c. (con l'uso del verbo "disporre" all'indicativo) non sembra permettere al giudice di valutare discrezionalmente l'opportunità di ascoltare il minore ultradodicenne (55)(56) .È, però, opportuno adottare un'interpretazione elastica della norma, escludendo l'automatico coinvolgimento del minore ultradodicenne nella lite tra i genitori, quando ciò non sia necessario od opportuno. Ad esempio, seppure, nel contesto dell'art. 155 c.c., l'affidamento della prole minorenne sia sottratto alla disponibilità dei genitori, in linea di massima, laddove questi ultimi concordino sull'affidamento della prole ad entrambi, l'audizione dei minori appare del tutto inutile (57).In generale, non si deve mai dimenticare che, per i figli, essere convocati avanti ad un giudice (o a chi per lui) rappresenta, alla meglio, una noiosa seccatura, alla peggio, un vero trauma; in ogni caso, essi, di norma, non desiderano essere coinvolti nel contenzioso tra i due genitori.L'audizione dei figli minori deve, dunque, essere sempre rimessa al prudente apprezzamento del giudice, sulla base di tutte le circostanze.Poiché la norma dispone che l'audizione del minore avvenga prima dell'emanazione (anche provvisoria) dei provvedimenti di cui all'art. 155 c.c. e, va aggiunto, dell'eventuale loro revoca o modifica, i figli potranno essere sentiti più di una volta nel corso del procedimento, ad esempio, per verificare il buon funzionamento dei provvedimenti provvisori emessi in corso di causa.Resta da chiarire se l'audizione della prole possa avvenire nel corso della fase presidenziale. Alcuni lo escludono, se non altro per evitare il rinvio della relativa udienza (58). Altri danno per scontata la soluzione opposta (59), arrivando a dire che, sin dall'udienza presidenziale, potranno disporsi consulenze richieste dalle parti o testimonianze sul tenore di vita, sul comportamento dei genitori e così via (60). In quest'ottica, si sostiene che le coppie che si separano dovrebbero direttamente condurre con sé all'udienza presidenziale i figli ultradodicenni (61).Anche a questo riguardo è opportuno ricercare una soluzione mediata.Da un lato, è pacifico che l'audizione del minore possa avvenire nel corso dell'udienza presidenziale, così come da anni prevede la legge sul divorzio, anche "seduta stante", qualora il figlio abbia accompagnato i genitori in tribunale. Dall'altro, se, come si è visto, disporre tale audizione è comunque rimesso al prudente apprezzamento del giudice, in sede presidenziale quella prudenza dovrà essere massima.In primo luogo, vi è una questione di tempi: un'audizione degna di questo nome, che non si riduca ad un'inutile "comparsata", non può essere effettuata dal presidente in udienza, nella concitazione del calendario giornaliero, ma presuppone l'intervento di esperti e, a volte, anche una molteplicità di sessioni. La fase presidenziale non può, dunque, restare in standby per tutto il tempo necessario a svolgere questi incombenti (62).Vi è anche un imprescindibile problema pratico da considerare. La situazione logistica dei nostri tribunali, oggi, non consente, in sede presidenziale, né l'ascolto protetto del minore, né il rispetto di minime garanzie di riservatezza e di privacy. Nell'esperienza comune, infatti, il presidente convoca per la stessa mattina, più o meno alla medesima ora, decine di separazioni e di divorzi diversi: è, dunque, "normale" vedere affollarsi avanti alla stanza del presidente una piccola folla di coniugi in crisi, in condizioni a volte indecorose. Non si può pensare di coinvolgere, in questa umiliante anticamera, anche tutti i figli ultradodicenni (e magari anche quelli

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più piccini).In mancanza di un fumus di urgenza, quindi, il presidente, in via provvisoria ed urgente, dovrà disporre di default (e salve prevalenti valutazioni di opportunità) l'affidamento condiviso della prole, lasciando all'istruttore ogni più approfondita indagine (audizione compresa).A fortiori, l'audizione del minore non dovrà essere disposta, salvi casi eccezionali, avanti alla corte d'appello, in sede di reclamo contro l'ordinanza presidenziale (63).8. − Ai sensi dell'art. 155, ult. comma, c.c., il giudice, ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, "dispone" un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi.Si tratta di attività istruttorie che il giudice può esercitare d'ufficio, al fine di ricostruire nel modo più fedele possibile "le risorse economiche di entrambi i genitori", per soddisfare il prevalente interesse del minore ad ottenere un contributo proporzionale al loro reddito reale (e non a quello meramente dichiarato).Sebbene la norma sia inserita nell'articolo dedicato all'affidamento e al mantenimento dei figli minori, essa può essere invocata anche nel contesto dell'art. 155-quinquies c.c., per determinare l'assegno periodico a favore del figlio maggiorenne: è evidente, infatti, che il quantum di tale assegno non potrà che essere stabilito in base ai criteri elencati dall'art. 155 c.c., con l'ausilio dei medesimi strumenti istruttori.In precedenza, analoghi poteri erano previsti dall'art. 5, comma 9°, l. div., alla cui stregua: "in caso di contestazioni il tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull'effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria". Tale norma, non senza contrasti, era ritenuta applicabile, in via analogica, anche alla separazione(64). Per quanto ci interessa qui, si sosteneva che l'esercizio del potere istruttorio da essa previsto rientrasse nella discrezionalità del giudice (65) e, in particolare, che richiedesse la specifica e non generica contestazione dei redditi dichiarati da uno dei coniugi da parte dell'altro (66).L'art. 5, comma 9°, l. div. e l'art. 155, ult. comma, c.c. hanno una formulazione letterale non esattamente coincidente; in particolare, la prima disposizione sembrerebbe avere un àmbito più esteso, dal momento che, a differenza dalla seconda, non fa coincidere le indagini sui redditi con gli accertamenti della polizia tributaria. Inoltre, oggetto degli accertamenti previsti dall'art. 5, comma 9°, oltre ai redditi, sono i patrimoni e l'effettivo tenore di vita dei coniugi. Si deve peraltro ritenere che anche gli accertamenti previsti dall'art. 155 c.c., di là dall'infelice formulazione della norma, riguardino tutti i rilevanti aspetti patrimoniali e dunque anche "le risorse economiche" dei genitori ed il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza, cui il medesimo art. 155 c.c. fa riferimento. Allo stesso modo, si deve ammettere che tali indagini possano essere svolte non solo dalla polizia tributaria ma anche da altri esperti all'uopo incaricati (e ciò, in particolare, per quanto attiene "i beni" oggetto di contestazione) (67).Si deve, peraltro, escludere che l'art. 155 c.c. abbia tacitamente abrogato l'art. 5, comma 9°, l. div.: quest'ultimo, infatti, è invocabile anche in funzione della determinazione dell'assegno divorzile, mentre la disposizione del codice si applica solo in relazione all'assegno di mantenimento per la prole (68).Le due norme, inoltre, operano in modo diverso. L'art. 5, comma 9°, infatti, presuppone una ragionevole contestazione dei redditi di uno dei coniugi da parte dell'altro. L'art. 155 c.c., invece, che individua due tipi di accertamento diversi ed autonomi, utilizza le parole "oggetto della contestazione" solo rispetto alle indagini sui beni, mentre, per le verifiche sui redditi reali dei genitori (69), fa riferimento alla semplice "insufficienza" della documentazione fornita dalle parti (70), prevedendo, al riguardo, un potere inquisitorio "puro" (71), esercitabile nell'interesse della prole, ad esempio, nel caso in cui uno dei coniugi non depositi le proprie dichiarazioni dei redditi o depositi dichiarazioni non complete o inattendibili (72).Indagini di questo tipo, peraltro, da tempo vengono svolte nei procedimenti della crisi

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matrimoniale. La nuova norma però espressamente ammette indagini anche su beni "intestati a soggetti diversi", sul presupposto che si tratti di beni del genitore fittiziamente o fiduciariamente intestati a terzi, come sovente avviene. Le indagini su questi beni presuppongono una "contestazione" (che dovrà essere particolarmente seria, ma che, a certe condizioni, potrà pure basarsi su semplici presunzioni) (73): la norma, tuttavia, non si preoccupa né dei limiti dell'accertamento del giudice né della posizione dei terzi intestatari dei beni oggetto di indagine.Sotto il primo profilo, gli accertamenti del giudice del contenzioso genitoriale non potranno che essere compiuti incidenter tantum, dal momento che l'accertamento dell'effettiva titolarità di uno o più beni non può comunque entrare nel thema decidendum del processo in corso.In ogni caso, è difficile pensare (anche in termini di legittimità costituzionale della norma) (74) che accertamenti (anche assai "invasivi") sul patrimonio di un terzo possano svolgersi senza che quest'ultimo sia formalmente coinvolto nel procedimento (75).Sul piano applicativo, il giudice cui la norma fa riferimento sarà normalmente il giudice istruttore (76) o il collegio, nell'àmbito delle prerogative di sua spettanza. Alcuni non escludono che le indagini in questione possano essere disposte anche dal presidente (77), per quanto con accertamento rapido (78). Ma proprio tale "rapidità" induce a pensare che sia inutile svolgere queste indagini nel corso della fase presidenziale(79). Da un lato, per veloci che siano, tali accertamenti implicheranno di necessità un ritardo di alcune settimane nel passaggio alla fase istruttoria. Dall'altro, l'utilità di queste indagini sta proprio nella loro accuratezza e puntigliosità: accertamenti frettolosi, invece, semplicemente non servono a nulla. E, allora, tanto vale che il presidente decida allo stato degli atti, per poi lasciare il campo all'intervento dell'istruttore (a cui, magari, egli potrà rappresentare l'opportunità di ricorrere alle indagini in questione).9. − Per favorire la soluzione conciliata delle controversie genitoriali (se non la vera e propria riappacificazione delle parti...) (80), l'art. 155-sexies, comma 2°, c.c. prevede che il giudice, ove ne ravvisi l'opportunità, sentite le parti e con il loro consenso (81), possa rinviare l'adozione dei provvedimenti di cui all'art. 155 c.c., per consentire alle parti stesse di tentare una mediazione(82), con l'ausilio di esperti, per trovare un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell'interesse morale e materiale dei figli (83).Nella versione originaria del disegno di legge, si prevedeva un tentativo obbligatorio di mediazione come condizione di procedibilità del giudizio (84). Il testo della norma licenziato dal Parlamento, fortunatamente, recepisce le critiche giunte da più parti a tale formulazione e, in ultima analisi, confina l'ipotesi della mediazione familiare ad àmbiti applicativi abbastanza limitati.Il potere del giudice di rinviare la decisione sull'affidamento della prole, infatti, è sì esercitabile d'ufficio (85), ma presuppone l'audizione delle parti ed il loro necessario consenso: la mediazione, quindi, non può mai essere imposta dall'alto. Il giudice potrà, peraltro, esercitare una sorta di moral suasion, tanto più efficace in quanto corroborata dalla collaborazione dei legali (che, ad esempio, si prodighino per superare immotivate resistenze dei propri assistiti) (86). Nessun problema dovrebbe poi porsi nel caso in cui siano le stesse parti a rappresentare l'opportunità di esperire il tentativo di mediazione.La norma non specifica se la mediazione si debba svolgere sotto il controllo del giudice (che, ad esempio, nominerà gli esperti e a cui questi ultimi relazioneranno), come una sorta di "court-annexed mediation" (87), oppure se si tratti di un'attività completamente stragiudiziale, con esperti incaricati direttamente dalle parti e del cui esito il giudice conoscerà eventualmente solo tramite le loro allegazioni.Da un lato, l'iniziativa officiosa farebbe propendere per la prima ipotesi, dall'altro la necessità del consenso di entrambe la parti induce a privilegiare gli aspetti volontaristici e la natura tendenzialmente stragiudiziale della mediazione. D'altro canto, gli esperti (88) intervengono solo per favorire l'accordo tra le parti, non per

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imporre una soluzione al loro conflitto. A differenza dai periti nominati dai tribunali, al mediatore non si chiede di relazionare al giudice sull'andamento e sull'esito delle trattative, sulle proposte formulate, sugli eventuali ostacoli né, soprattutto, in caso di mancato accordo, di presentare un proprio parere sul modo in cui regolamentare i rapporti tra genitori e figli (89).In altre parole, una volta ottenuto il consenso delle parti, il giudice deve limitarsi a sospendere il procedimento o, meglio, a rinviarne il proseguimento entro un termine ritenuto congruo (90). Starà poi alle parti attivarsi per incaricare gli esperti e dare inizio al percorso di mediazione (91).In caso di sospensione senza fissazione di udienza per la prosecuzione, esaurito il tentativo di mediazione, il processo dovrà essere riassunto. A richiesta delle parti, poi, il giudice potrà disporre un nuovo rinvio per permettere il completamento del percorso mediatorio. Se poi dalla mediazione dovesse mai uscire una completa riconciliazione tra i genitori, nessun'ulteriore attività processuale dovrebbe avere luogo.In caso di accordo tra i genitori, d'altro canto, il giudice non sarà mai vincolato a recepirne le condizioni nel proprio provvedimento, dal momento che si tratta di rapporti e di diritti di cui le parti non hanno la libera disponibilità (92).Per evitare inutili dilazioni e rispettare il "principio volontaristico" alla base della mediazione, deve ritenersi che ciascun genitore, in qualsiasi momento, si possa "chiamare fuori" da un percorso a cui abbia perso interesse. In tale ipotesi, egli potrà, se del caso, chiedere un congruo anticipo dell'udienza già fissata per la prosecuzione del processo. Tale comportamento non dovrà essere valutato in suo sfavore: la via della mediazione, infatti, deve restare "pura" e scevra da sanzioni (dirette o indirette) di qualsiasi tipo, anche per non scoraggiare i genitori a tentarne almeno l'avvio.Normalmente, sarà il giudice istruttore (93) (o il collegio, nei procedimenti camerali) a promuovere il tentativo di mediazione. Nulla però esclude che anche il presidente del tribunale possa rappresentare tale possibilità alle parti (94). Il timore di un'eccessiva dilazione nella chiusura di tale fase preliminare è superato dal necessario consenso "informato" di entrambe le parti. In tale ipotesi, peraltro, il presidente, prima di rinviare ad altra udienza avanti a sé, potrà comunque pronunciare i provvedimenti indifferibili (come l'autorizzazione dei coniugi a vivere separati).10. − La l. n. 54 ha pure introdotto alcune importanti novità nella parte del c.p.c. dedicata al procedimento di separazione personale.In primo luogo, con l'aggiunta di un comma 4° all'art. 708, è stato introdotto il reclamo (95) alla corte d'appello (96) avverso l'ordinanza presidenziale emessa ai sensi di tale norma.In precedenza, si tendeva ad escludere che quel provvedimento fosse soggetto a forme di riesame a carattere impugnatorio, salva la possibilità di chiederne la revoca o la modifica al giudice istruttore, anche senza la necessità di nuove circostanze. In particolare, sebbene non si dubitasse che l'ordinanza presidenziale avesse funzione cautelarein senso lato (97), la posizione maggioritaria escludeva che essa avesse natura cautelare in senso stretto e che, quindi, fosse reclamabile ai sensi dell'art. 669-terdecies c.p.c. (98). Negli ultimi anni, peraltro, alcune corti di merito avevano recepito le tesi dottrinarie favorevoli alla reclamabilità di tali provvedimenti, anche se con variegate motivazioni (99) (100) .Il legislatore ha dunque opportunamente risolto un contrasto giurisprudenziale altrimenti destinato a farsi lacerante. La nuova norma, però, è stata introdotta senza grande consapevolezza del suo impatto sistematico e dei suoi risvolti applicativi(101) e senza alcun raccordo con le altre norme del procedimento di separazione (102).Contro l'ordinanza presidenziale si è introdotto non il reclamo cautelare ex art. 669-terdecies c.p.c., bensì il reclamo previsto dall'art. 739 c.p.c. (103), in materia di procedimento in camera di consiglio. Induce a tale conclusione non tanto il riferimento alla "pronuncia in camera di consiglio" (a cui, peraltro, rinvia lo stesso art. 669-terdecies, comma 3°), quanto, piuttosto, l'individuazione della corte d'appello

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quale giudice competente (104), ed il termine di proposizione di dieci giorni dalla notificazione del provvedimento, cioè quello previsto dal comma 2° dell'art. 739 per i provvedimenti emessi nei confronti di più parti (105).Il legislatore, insomma, sembra avere escluso che i provvedimenti presidenziali abbiano natura cautelare in senso stretto e, quindi, che ad essi si applichino le norme del procedimento cautelare uniforme, in quanto compatibili (106).Fra l'altro, con tale soluzione, si è attribuita la competenza sul reclamo ad un organo giudiziario diverso da quello cui appartiene il presidente "reclamato": in questo modo, dunque, come è stato messo in risalto, si "elimina [...] ogni possibile imbarazzo o resistenza (anche soltanto psicologica) dei magistrati del tribunale a dover pronunciare in sede di revisio prioris instantiae sul provvedimento pronunciato dal capo dell'ufficio cui sono addetti" (107).Sul piano pratico, però, tale scelta è quanto mai discutibile (108). In primo luogo, la proposizione del reclamo in corte implicherà per le parti notevoli costi aggiuntivi (ad esempio, per la necessità del proprio legale "locale" di avvalersi di un domiciliatario). Soprattutto, la situazione logistica delle nostri corti d'appello non appare in grado di reggere l'impatto della mole di reclami che realisticamente sarà proposta. Si corre il serio rischio, tra l'altro, di uno scollamento tra procedimento principale e giudizio di reclamo e di contrasti tra il provvedimento della corte e quelli eventualmente presi, nel frattempo, dal giudice istruttore (situazione che potrà verificarsi, ad esempio, se l'ordinanza presidenziale non sia notificata e dunque il reclamo sia proposto a distanza di mesi dalla pronuncia del provvedimento).Forse proprio considerazioni di questo tipo sono alla base dei primi provvedimenti in materia della Corte d'appello di Bologna, rispetto ai quali qualcuno ha già parlato di "giurisprudenza difensiva": l'impressione, infatti, è che si tenti di delineare un ambito assai limitato del vaglio della corte rispetto all'ordinanza presidenziale, in modo da disincentivare un diffuso ricorso al reclamo, come potrebbe avvenire ove esso fosse inteso come una riesame ex novo della fattispecie da parte del giudice d'appello.Dai primi provvedimenti (109) emerge, dunque, un orientamento abbastanza restrittivo, alla cui stregua il procedimento di reclamo avrebbe lo stesso carattere di "delibazione necessariamente sommaria" propria dell'ordinanza presidenziale. In tale sede, dunque, sarebbero inammissibili "ampie e complesse richieste istruttorie", mentre rileverebbero soltanto profili di (manifesta) erroneità dell'ordinanza presidenziale immediatamente rilevabili (110).Si tratta di un approccio sicuramente condivisibile, sia sul piano sistematico che su quello pratico. In ultima analisi, il sistema dà per scontato che i provvedimenti presidenziali, presi sovente nella concitazione di un'udienza al calor bianco, possano andare, per così dire, fuori bersaglio. Ma la sede per correggere il tiro non è tanto il reclamo (avanti ad un giudice che, strutturalmente, è "lontano" dalle parti e poco incline all'approfondimento istruttorio) quanto la prosecuzione del giudizio di merito, avanti al giudice istruttore. È dunque corretto ritenere (anche in un'ottica deflattiva) che, in sede di reclamo, si possano correggere solo gli errori manifesti dell'ordinanza presidenziale, sulla base di un'istruttoria sommaria.Il reclamo va proposto con ricorso, contenente, considerato il suo contenuto "impugnatorio" l'indicazione specifica dei motivi(111), a pena di inammissibilità. Ovviamente, non è richiesto, neppure implicitamente, l'intervento di fatti nuovi, come si può anche desumere dalla nuova formulazione dell'art. 709, comma 4°, c.p.c. (112).L'ordinanza presidenziale, ai sensi dell'art. 189 disp. att. c.p.c., ha efficacia esecutiva ex lege. Le norme sul reclamo camerale, d'altro canto, non prevedono un potere del giudice del reclamo di sospendere l'esecutività del provvedimento reclamato (che, peraltro, ai sensi dell'art. 741, comma 1°, non è neppure automaticamente esecutivo). Nelle more del procedimento in corte, quindi, l'ordinanza conserva la propria efficacia esecutiva (113), ciò che, d'altra parte, appare conforme alla natura degli interessi tutelati con tale provvedimento. Chi ritiene applicabile per analogia, in questo contesto, il rito cautelare uniforme, peraltro, sostiene che il presidente della corte possa, per motivi sopravvenuti, sospendere l'esecuzione dell'ordinanza ai sensi

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dell'art. 669-terdecies, ult. comma, c.p.c. (114).Il procedimento dovrebbe essere ispirato al principio inquisitorio, con partecipazione necessaria del p.m. (115). Come si è visto nel n. 7, si deve escludere che, in questo contesto, prima della decisione, debba essere necessariamente disposta l'audizione della prole.La corte decide collegialmente (116) con decreto, non ulteriormente reclamabile (117).La prima giurisprudenza in materia ritiene che la corte non debba disporre nulla in merito alle spese, considerato che si tratta di una fase incidentale del procedimento (118): anche le spese del reclamo, dunque, saranno liquidate con la sentenza finale, sulla base del principio della soccombenza (per fasi).Nel procedimento del contenzioso matrimoniale, d'altro canto, pure il giudice istruttore può emettere provvedimenti provvisori ed urgenti (a revoca/modifica/integrazione/specificazione di quelli presidenziali). Rispetto a tali ordinanze, il nuovo rimedio del reclamo non è espressamente previsto. Si potrebbe ritenere che si sia trattata di una scelta consapevole (e condivisibile), per evitare l'esplosione di un micro-contenzioso endo-procedimentale che avrebbe fatto "saltare" le corti d'appello. D'altronde, i provvedimenti dell'istruttore sono presi sulla base dell'attività istruttoria di causa e dunque, normalmente, non pongono i medesimi problemi dell'ordinanza presidenziale, emessa sulla base di un'istruttoria sommaria (se non proprio "al buio").Vista la bassa qualità formale della normativa della fine della scorsa legislatura, peraltro, vi è ragione di temere che il legislatore si sia semplicemente dimenticato di tali provvedimenti istruttori.Che si tratti di scelta consapevole o di colpevole dimenticanza, sul piano del rispetto dei precetti costituzionali, un eventuale trattamento differenziato in materia di reclamo dell'ordinanza presidenziale rispetto ai provvedimenti interinali dell'istruttore non è facilmente giustificabile. E, infatti, la dottrina si è già unanimemente espressa nel senso di ritenere che anche contro queste ultime ordinanze sia proponibile il reclamo (119).Molti autori, peraltro, sostengono che, in quest'ipotesi, non si tratterebbe del reclamo camerale in corte di cui all'art. 708, ult. comma, bensì del reclamo cautelare al collegio ex art. 669-terdecies c.p.c. (120), ciò che non sembra condivisibile (se non sul piano meramente pratico). In questo modo, infatti, si giunge a ritenere che i provvedimenti provvisori del giudice istruttore abbiano una natura intrinsecamente diversa da quelli presidenziali, rispetto ai quali legislatore ha escluso l'applicazione del reclamo cautelare. Anche a costo di una forzatura del dato testuale, si deve dunque ritenere che il reclamo camerale introdotto dalla l. n. 54 costituisca un rimedio generale contro tutti i provvedimenti provvisori ed urgenti emessi nel corso dei procedimenti del contenzioso matrimoniale dal presidente, dall'istruttore ed anche dal collegio (ad esempio, contestualmente ad una sentenza non definitiva di separazione o di divorzio).11. − Il legislatore si è anche "scordato" di coordinare il nuovo rimedio del reclamo con il potere tuttora riconosciuto all'istruttore di revocare e modificare i provvedimenti provvisori ed urgenti.Se, a questo àmbito, fossero applicabili le norme del rito cautelare uniforme, la questione sarebbe più semplice, dal momento che, dopo la riforma del 2005, dal combinato disposto degli artt. 669-terdecies e 669-decies c.p.c. emerge un ruolo prevalente del reclamo, che assorbe la funzione dell'istanza di revoca/modifica per tutte le circostanze conosciute (ancorché sopravvenute) sino alla decisione del collegio. L'adozione del reclamo camerale, invece, propone questioni di coordinamento assai gravi.La legge sembra dare per scontato che il reclamo sia depositato e deciso prima che, sui medesimi punti, sia proposta un'istanza di revoca/modifica al giudice istruttore, ma non è scontato che, nella pratica, sia così. In ogni caso, non si specifica se la mancata proposizione del reclamo precluda l'istanza all'istruttore, se non sulla base

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di nuove circostanze; se l'istruttore possa emettere provvedimenti in contrasto con la ricostruzione della fattispecie compiuta dalla corte e, soprattutto se l'istruttore possa modificare/revocare il provvedimento emesso sul reclamo dalla corte.Riconoscere un effetto preclusivo alla mancata proposizione del reclamo è in contrasto con la nuova disposizione dell'art. 709, comma 4°, c.p.c., introdotto dalla l. n. 80 del 2005, la quale, recependo l'analoga disposizione della legge del divorzio, prevede che il giudice istruttore possa revocare/modificare l'ordinanza presidenziale a prescindere dall'allegazione di novità fattuali. Non si può, però, ignorare che il nuovo art. 708, comma 4°, sia stato introdotto successivamente e che, dunque, avrebbe potuto tacitamente abrogare in parte la prima disposizione. In effetti, vi è chi ritiene che la possibilità di proporre reclamo contro l'ordinanza presidenziale abbia reintrodotto il sopravvenire di mutamenti delle circostanze come presupposto necessario per il potere di revoca/modifica da parte del giudice istruttore di provvedimenti già oggetto di reclamo (121). Una simile conclusione appare condivisibile nei limiti che saranno delineati tra poco.In primo luogo, va considerato che, ai sensi dell'art. 742 c.p.c., i decreti emessi in camera di consiglio sono revocabili o modificabili in ogni tempo. Inoltre, il riesame del giudice del reclamo ha un ambito molto limitato e la qualità dell'attività cognitoria (sommaria) svolta dalla corte in questa sede è strutturalmente diversa da quella (piena) dell'istruttore.In ultima analisi, nel contesto del contenzioso matrimoniale, il reclamo alla corte non deve essere considerato un rimedio necessario, ma solo facoltativo, come strumento di tutela rafforzata per le parti (in particolare nel caso in cui il presidente nomini se stesso quale istruttore della causa) (122).Alla luce dei princìpi generali (in particolare, quello del ne bis in idem), dunque, la mancata proposizione del reclamo non interferisce con il potere del giudice istruttore di modificare o revocare l'ordinanza presidenziale anche in mancanza di circostanze sopravvenute (123), a maggior ragione qualora la relativa istanza si basi su circostanze anteriori, di cui si sia acquisita conoscenza successivamente al provvedimento (124). Analogamente, tale potere resta impregiudicato rispetto a capi dell'ordinanza presidenziale su cui la Corte non abbia avuto a pronunciarsi.In mancanza di nuove circostanze o emergenze istruttorie, però, il giudice istruttore non può riesaminare punti o questioni su cui si sia già espressamente pronunciato il giudice del reclamo, ciò che esclude la possibilità di ripristinare, per questa strada, l'ordinanza presidenziale modificata dalla corte (125).Insomma, il provvedimento della corte ha, per l'istruttore, un limitato effetto preclusivo, in relazione alle sole questioni e agli elementi istruttori su cui la corte stessa si sia pronunciata.Se, in mancanza di novità fattuali o istruttorie, la richiesta di revoca/modifica di capi dell'ordinanza presidenziale su cui è pendente il reclamo deve ritenersi inammissibile (126), sussistendo nuovi elementi, il potere di revoca/modifica può essere esercitato anche durante il procedimento di reclamo: in tale ipotesi, il provvedimento dell'istruttore potrebbe determinare la cessazione della materia del contendere nel reclamo(127).Si deve anche considerare l'ipotesi dell'istanza di revoca / modifica avanzata nella pendenza del termine per la proposizione del reclamo. Se si ritiene che quest'ultimo sia un rimedio alternativo, si deve concludere che tale istanza sia senz'altro ammissibile. Piuttosto, dopo la pronuncia del giudice istruttore, qualsiasi ne sia il contenuto, è quest'ultimo il provvedimento da sottoporre, se mai, a reclamo, e non l'originaria ordinanza presidenziale, rispetto alla quale il relativo potere si è ormai consumato.12. − L'art. 2 della l. n. 54 ha introdotto anche il nuovo art. 709-ter c.p.c., sicuramente una delle norme più problematiche dell'intera disciplina, anche per la pessima tecnica con cui è stata redatta (128). Essa contiene regole processuali per la risoluzione di controversie insorte tra i genitori in merito all'esercizio della potestà o alle modalità di affidamento della prole minorenne (o dei figli maggiorenni portatori

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di handicap grave, ad essa equiparati) (129). Essa dunque presuppone la pronuncia di un provvedimento (ancorché provvisorio) sull'affidamento della prole (130), rispetto alla cui attuazione e/o interpretazione insorga, appunto, un conflitto.Il giudice cui la norma si riferisce è il giudice istruttore o il collegio del tribunale. Sorgono quindi dubbi circa l'implicita volontà del legislatore di abrogare l'art. 337 c.c., che attribuisce al giudice tutelare il compito di vigilare sull'osservanza delle condizioni che il tribunale abbia stabilito per l'esercizio della potestà (131). Si tratta, probabilmente, di una svista, ma la nuova norma del c.p.c. lascia ben poco spazio ad un autonomo intervento del giudice tutelare in questo tipo di conflitti (132).La norma si applica alle controversie sull'esercizio della potestà genitoriale o sulle modalità dell'affidamento: per quanto, nel nuovo art. 155 c.c., gli aspetti personali dell'affidamento siano messi in stretta relazione con quelli patrimoniali, l'art. 709-ter c.p.c. appare pensato con esclusivo riferimento ai primi, ad esclusione, invece, dei secondi (133). A parte il suo tenore letterale, la nuova disposizione trova la sua ratio e la sua giustificazione proprio con riferimento all'àmbito applicativo qui individuato. In effetti, in precedenza, si lamentava la mancanza di efficaci strumenti di attuazione e di coazione rispetto ai provvedimenti sull'affido e sull'esercizio del diritto di visita. L'art. 709-ter c.p.c., dunque, cerca di colmare tale vuoto normativo, offrendo un rimedio per punire i comportamenti inadempienti e, soprattutto, un valido deterrente agli stessi. Gli aspetti patrimoniali del rapporto tra i genitori e la prole, invece, non pongono problemi attuativi (se non in relazione all'esistenza di un patrimonio capiente che l'avente diritto possa aggredire in sede esecutiva). In quest'ottica, le sanzioni civili di natura patrimoniale introdotte dall'art. 709-ter c.p.c. sono del tutte inefficaci (anche sul piano della deterrenza) rispetto al debitore (apparentemente) privo di un patrimonio. Il mancato rispetto degli obblighi patrimoniali dei genitori, inoltre, è oggetto di specifiche sanzioni penali: in particolare, l'art. 3 della l. n. 54 estende l'applicazione dell'art. 12-sexies l. div. (che a sua volta rinvia all'art. 570 c.p.) per la sanzione penale della violazione degli obblighi di natura economica determinati dalla sentenza di separazione.Dal comma 1° della norma, si desume che il legislatore abbia inteso introdurre un rimedio spendibile sia in via incidentale, nel corso di un procedimento di separazione (o di modifica delle relative condizioni) (134), sia, in via principale, con autonomo apposito ricorso (135). Rispetto a tale istanza proposta in via principale, però, l'art. 709-ter non dice nulla, se non lasciare intendere che essa possa essere contenuta in un ricorso di modifica ex art. 710 c.p.c. (136). Come il contesto della norma lascia intendere, però, è anche possibile configurare, dopo la pronuncia della separazione, un ricorso esclusivamente per chiedere l'intervento del giudice per la soluzione delle controversie sull'affidamento della prole, a prescindere, quindi, dalla contestuale richiesta di modifica delle esistenti condizioni (137) di separazione o di divorzio (138), di cui, dunque ci si può limitare a chiedere l'attuazione o l'interpretazione. Che ciò sia possibile lo si desume dall'incipit del comma 2°, che prevede che il giudice, "a séguito del ricorso" può semplicemente limitarsi a dare "i provvedimenti opportuni" alla soluzione del conflitto in atto, senza intervenire sulle condizioni esistenti. Alla luce del richiamo effettuato dal comma 1°, d'altronde, anche tale ricorso autonomo va assoggettato al rito camerale previsto per i provvedimenti di cui all'art. 710 c.p.c. (139).Sulla competenza, il comma 1° lascia intendere che le istanze "incidentali" vadano proposte al giudice del procedimento in corso. Qualora si tratti di un procedimento di separazione, tale giudice può essere sia il giudice istruttore che il collegio, a seconda del tipo di provvedimento richiesto (v. infra). È evidente, peraltro, che il legislatore non abbia minimamente considerato l'ipotesi che "il giudice del procedimento in corso" sia quello dell'impugnazione (ovviamente, se la sentenza sia stata impugnata nella parte relativa all'affidamento e alla potestà). In tal caso, la sentenza, non è passata in giudicato ed un ricorso ex art. 710 c.p.c. non è proponibile. Se la causa pende in appello, nulla esclude una competenza del collegio della corte pure su queste istanze (anche per coordinare la relativa pronuncia con quella sul merito

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dell'impugnazione) (140). Ma lo stesso non può dirsi nell'ipotesi cui il procedimento penda avanti alla Corte di cassazione, cui sicuramente non può essere indirizzata un'istanza di questo tipo. In tal caso, si può ritenere che permanga una competenza residuale della corte d'appello, come ultimo giudice di merito che si è occupato della questione (e che ha emesso i provvedimenti impugnati) (141). Un'istanza ex art. 709-ter proposta in via principale in pendenza del procedimento di separazione dovrà invece essere dichiarata inammissibile, salva l'ipotesi di proposizione avanti al medesimo ufficio giudiziario del procedimento in corso, al quale potrà essere riunita.Rispetto ad un procedimento ex art. 710 c.p.c. già pendente, è chiaro che non potrà operare il criterio di competenza stabilito dall'art. 709-ter (tribunale del luogo di residenza del minore), poiché la competenza territoriale sarà stata in precedenza determinata in base ai criteri generali del codice di rito, cui l'art. 710 c.p.c. rinvia.Qualora, invece, si proponga un'istanza principale, la parte finale del comma 1° dell'art. 709-ter attribuisce competenza al tribunale del luogo di residenza del minore. La disposizione è formulata in maniera un po' criptica, ma sembra che il legislatore abbia voluto creare un criterio di competenza territoriale esclusivo (142) per tutte le ipotesi di istanze proposte in via principale (143), comprese quelle inserite in un ricorso ex art. 710 c.p.c. (144) in cui chieda (anche) la modifica di condizioni non relative all'affidamento della prole (145). Si tratta di una previsione opportuna, nell'ottica di garantire uno stretto collegamento tra giudice e minore, il quale, normalmente, sarà al centro dell'eventuale attività istruttoria.Nell'ipotesi di controversia riguardante i figli di genitori non coniugati, alla luce delle conclusioni raggiunte nel n. 3, la competenza non va attribuita al tribunale per i minorenni (146), ma, piuttosto, al tribunale ordinario, il quale si pronuncerà in camera di consiglio (147).In ogni caso, l'istanza si propone con ricorso.Poiché la norma si riferisce alle controversie insorte tra i genitori, a questi ultimi spettano in via esclusiva la legittimazione attiva e quella passiva (148).L'art. 709-ter è assai avaro di dettagli procedimentali, limitandosi a prevedere che il giudice deve convocare le parti (né avrebbe potuto essere altrimenti).È ovvio che la parte convenuta deve avere la possibilità di difendersi: l'udienza, dunque, dovrà essere fissata entro un termine congruo per predisporre una memoria difensiva (149).È richiesta la necessaria assistenza di un difensore (150).Se si tratta di un'istanza proposta "lite pendente", la notifica del relativo ricorso e del pedissequo decreto dovrà essere effettuata al difensore della parte costituita (151) o alla parte personalmente, se contumace.Sono stati sollevati dubbi circa la necessità che il p.m. partecipi al procedimento, che può riguardare semplicemente l'esercizio della potestà e non anche la modifica delle relative condizioni (152). Poiché, però a tale modifica si può sempre arrivare, anche a prescindere da un'istanza di parte (v. infra), e considerato il carattere fortemente pubblicistico della normativa sull'affidamento condiviso, si deve dare una risposta positiva a tale quesito.Anche se la norma tace al riguardo, è chiaro che si dovrà normalmente svolgere un'attività istruttoria (153) a carattere non sommario, per accertare "le gravi inadempienze" e gli "atti pregiudizievoli" a cui fa riferimento il comma 2°. Appositi mezzi di prova, poi, dovranno essere disposti in relazione alle sanzioni ivi previste.Appare applicabile anche in questo contesto la norma dell'art. 155-sexies c.c. (in via diretta, dal momento che pure qui si devono pronunciare provvedimenti in materia di affidamento ai sensi dell'art. 155 c.c.): l'audizione del minore ultra-dodicenne potrà fornire al giudice elementi utili ai fini della risoluzione del conflitto tra i genitori.13. − L'art. 709-ter c.p.c. prevede un triplice ordine di interventi del giudice, in un crescendo di incisività ed invasività.Ai sensi della parte iniziale del comma 2°, il giudice deve comunque prendere i provvedimenti opportuni a risolvere la controversia insorta tra i genitori. Di tali provvedimenti si ritiene impossibile determinare a priori il contenuto (154): in via

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esemplificativa, la dottrina parla della possibilità per il giudice di disporre ulteriori prescrizioni per agevolare l'esecuzione dei provvedimenti, di recepire accordi tra le parti, di indicare soluzioni di compromesso (155). Per alcuni, il coniuge ricorrente avrebbe, peraltro, l'onere di indicare con esattezza il contenuto del provvedimento richiesto, per evitare un intervento troppo invasivo del giudice (156). A ben vedere, però, la norma sembra svincolare il giudice dall'osservanza del principio dispositivo e della corrispondenza tra il chiesto e pronunciato, per cui non appare inammissibile un'istanza in cui il genitore si limiti a chiedere l'emissione del procedimento più adeguato a tutelare il prevalente interesse del minore nel caso concreto.La norma prosegue specificando che, in caso di gravi (157) inadempienze o di "atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell'affidamento", il giudice possa "modificare i provvedimenti in vigore" (158).Da tale disposizione si desume che la modifica chiesta dal genitore ricorrente possa essere concessa solo a fronte di una condotta dell'altro genitore connotata dalla "gravità", lasciando al prudente apprezzamento del giudice stabilire quali comportamenti integrino tale requisito. Si tratta peraltro di un presupposto "mobile": il giudice, infatti, non potrà non tenere conto della visione diacronica del contenzioso tra i genitori e ritenere gravi anche comportamenti di per sé non particolarmente offensivi, ma che si collochino, ad esempio, in un contesto di "recidiva" (159). In altre parole, qualora un genitore sia costretto dalla condotta dell'altro a presentare un numero reiterato di ricorsiex art. 709-ter, il requisito della gravità andrà determinato in modo inversamente proporzionale al carattere ripetitivo del riscontrato inadempimento.Come in ogni rapporto bilaterale, le inadempienze e gli atti pregiudizievoli al minore o all'altro genitore possono essere imputabili ad entrambe le parti: sarà così sanzionabile sia il genitore con cui la prole convive, il quale frapponga ostacoli alle frequentazioni del figlio con l'altro genitore, sia il genitore non convivente che si disinteressi del minore (160).La norma, però, sembra autorizzare il giudice a disporre la modifica in questione anche d'ufficio (161), nel prevalente interesse del minore a vedere tutelati i diritti sanciti dal comma 1° dell'art. 155 c.c., ad esempio, eliminando gli ostacoli frapposti al pacifico esercizio delle modalità di affidamento a favore del genitore non convivente con i figli. Nei casi più gravi, si potrà disporre che la prole non conviva più con il genitore inadempiente ovvero l'affidamento esclusivo all'altro genitore.Si sostiene che la modifica dei provvedimenti in vigore non debba avere natura sanzionatoria (162), ma una certa dimensione punitiva dell'intervento del giudice, nell'interesse del minore, appare inevitabile, ed anzi espressamente voluta dal legislatore in funzione di deterrenza o di coazione indiretta (163).Alle medesime condizioni ed anche congiuntamente alla modifica dei provvedimenti in vigore (164), la norma attribuisce al giudice il potere di irrogare alcune sanzioni contro il genitore inadempiente o che abbia ostacolato lo svolgimento delle modalità di affidamento (165). In particolare, il giudice potrà:− ammonire il genitore inadempiente; si tratta di un deterrente (psicologico prima che giuridico) a non reiterare i medesimi comportamenti (166). Sembra, peraltro, di capire che la "somma di ammonizioni" possa portare a un'ulteriore modifica delle condizioni relative all'affidamento e, nei casi più gravi, anche a provvedimenti restrittivi o ablativi della potestà genitoriale, nonché al ricorso ad una delle altre sanzioni previste dalla norma (167). Sul piano procedimentale, una dottrina afferma che l'ammonimento non potrebbe rappresentare la conclusione del giudizio e che il giudice dovrebbe rinviare la comparizione ad altra data "per verificare la cessazione delle inadempienze [...] senza costringere a presentare nuovo ricorso" (168). In effetti, in questo modo si esalta l'efficacia deterrente dell'intervento ammonitore del giudice. D'altro canto, qualora l'ammonimento sia pronunciato in corso di lite, è evidente che il giudice continuerà a vigilare sul comportamento del genitore intimato sino alla pronuncia del provvedimento finale. Ma quando la causa sia matura per la

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decisione nel merito (e comunque quando l'ammonizione sia pronunciata a seguito di istanza proposta in via principale), è chiaro che il procedimento non può essere messo in standby a tempo indeterminato (o sino al raggiungimento della maggiore età della prole). Anche perché non si può comunque impedire che, dopo il periodo di vigilanza del giudice, il genitore inadempiente non reiteri i suoi comportamenti, così costringendo l'altro a proporre un ulteriore ricorso;− condannare uno dei genitori al risarcimento dei danni nei confronti del minore. Si tratta di una previsione di dubbia opportunità in questo contesto e che appare idonea ad innescare meccanismi di rivalsa e di ritorsione tra i genitori, a scapito proprio della prole che si vorrebbe tutelare. La norma indica come destinatario del risarcimento il figlio minore: si pone dunque il dubbio se la relativa richiesta possa essere formulata da un genitore in qualità di sostituto processuale o di rappresentante della prole ovvero, come appare più opportuno, da un curatore speciale nominato ai sensi degli artt. 78 ss., il quale potrà anche, eventualmente, instaurare la successiva procedura esecutiva per ottenere il pagamento coattivo da parte del genitore condannato. In ogni caso, il giudice deve verificare l'effettiva sussistenza di un danno in capo al minore (normalmente, di natura esistenziale), evitando di configurare una sorta di lesione in re ipsa(169). Nel provvedimento, inoltre, si dovrà indicare chi e come custodirà e conserverà la somma liquidata a favore del minore;− condannare uno dei genitori al risarcimento dei danni nei confronti dell'altro. Anche qui si dovrà evitare di configurare un danno in re ipsa, dovendosi piuttosto dimostrare l'effettiva sussistenza di un danno (patrimoniale o non) (170);− condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, in un importo tra 75 e 5000 euro (171), da versare a favore della Cassa delle ammende. Tale sanzione esprime il carattere fortemente pubblicistico della recente riforma del diritto di famiglia e se ne deve evitare un uso troppo invasivo. Essa, ad esempio, potrà essere applicata per sanzionare gravi ostacoli frapposti dal genitore all'opera di sorveglianza dei Servizi sociali eventualmente disposta in sede di separazione. La dottrina esclude che un genitore possa essere condannato al pagamento di una sanzione amministrativa per fatti compiuti anteriormente all'entrata in vigore della l. n. 54 (172), ma nega che sussista un limite teorico al numero di sanzioni irrogabili a fronte di violazioni reiterate (173).L'art. 709-ter non specifica se, per la pronuncia delle sanzioni appena esaminate, sia richiesta l'istanza di parte. Per quanto la l. n. 54 attribuisca al giudice un ruolo assai penetrante nei rapporti tra i genitori e la prole, è opportuno escludere un generalizzato potere di disporre tali misure d'ufficio. In particolare, poiché nelle condanne al risarcimento dei danni alla prole o all'altro genitore appare prevalente l'elemento privatistico, al riguardo il giudice si potrà pronunciare solo su istanza di parte, nel rispetto del principio della corrispondenza del chiesto al pronunciato (174). L'intervento officioso, invece, appare coerente con il carattere pubblicistico (nell'interesse prevalente della prole minorenne) dell'ammonizione e, in particolare, della condanna alla sanzione amministrativa alla Cassa delle ammende (175).La norma in esame non specifica con quale tipo di provvedimento il giudice debba adottare le misure ivi previste. Sotto questo profilo, l'urgenza di risolvere le controversie insorte tra i genitori è in conflitto con la cognizione piena che deve precedere la pronuncia delle eventuali modifiche ai provvedimenti esistenti e delle sanzioni accessorie. Si può dunque ritenere che i provvedimenti opportuni per la soluzione delle controversie ed, eventualmente, le modifiche ai provvedimenti in vigore possano essere presi anche in via provvisoria ed urgente con ordinanza dal giudice istruttore (176) o dal collegio, per poi essere confermati, modificati o revocati con il provvedimento che chiude il giudizio (cioè la sentenza o il decreto) (177).Rispetto alle sanzioni accessorie, invece, solo per l'ammonizione appare opportuna e necessaria la pronuncia anche in corso di lite (ad esempio per mettere subito in chiaro che certe condotte inadempienti non saranno ulteriormente tollerate), previa comunque verifica della sussistenza dei gravi fatti contestati. Le altre sanzioni,

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invece, potranno essere contenute nel provvedimento finale (e dunque, la sentenza di separazione, ovvero il decreto collegiale pronunciato ex art. 710 c.p.c.) (178).L'ult. comma dell'art. 709-ter, infine, specifica che i provvedimenti assunti dal giudice sono impugnabili nei modi ordinari. Si tratta di una previsione di non agevole lettura (179): poiché non si specifica a quali provvedimenti si faccia riferimento (180) può essere difficile, infatti, capire quali ne siano i relativi "modi ordinari" di impugnazione (181). Per la dottrina, peraltro, la norma servirebbe a chiarire che contro questi provvedimenti sono esclusi rimedi straordinari(182), come il reclamo cautelare (183).Si può ritenere che i provvedimenti emessi in via d'urgenza nel corso del procedimento con le forme dell'ordinanza non siano impugnabili ma sempre revocabili e modificabili dallo stesso giudice che li ha emessi. Rispetto ai provvedimenti provvisori emessi in corso di separazione, peraltro, appare anche proponibile il reclamo alla corte d'appello, ex art. 708, comma 4° (184), almeno laddove operino una modifica delle condizioni esistenti.La sentenza emessa al termine del procedimento di separazione potrà, invece, essere appellata in corte d'appello, con le forme del rito camerale, mentre il decreto collegiale emesso ai sensi dell'art. 710 c.p.c. sarà reclamabile alla stessa corte ai sensi dell'art. 739 c.p.c. (185).14. − Le norme processuali della legge sull'affidamento condiviso pongono notevoli problemi applicativi, da risolvere con molto buon senso, senza mai perdere di vista gli interessi in gioco in questo tipo di contenzioso.Dalla l. n. 54 esce una visione esasperatamente pubblicistica e paternalistica dei rapporti tra i genitori e la prole (186), in cui l'interesse prevalente del minore diviene il pretesto per interventi giudiziali molto invasivi, con un forte ampliamento dell'iniziativa officiosa (187).Al giudice è stato assegnato il ruolo di garante dei diritti della prole, di arbitro nei conflitti tra i genitori, di vigilante dell'osservanza delle disposizioni in materia di affidamento. La legge, peraltro, gli attribuisce poteri molto estesi, ma, al contempo, ne vincola l'operare entro ben precise e non sempre elastiche linee guida.In ultima analisi, il legislatore dell'affidamento condiviso ha scelto la (tortuosa) via giudiziaria alla pace domestica, ciò che appare un'evidente contraddizione in termini: se condividere vuol dire cooperare per un interesse comune, è chiaro che nessun provvedimento giudiziale potrà mai imporre a nessuno di condividere alcunché (188).In realtà, la via giudiziaria alla pace domestica conduce inesorabilmente al contenzioso permanente: e, infatti, la nuova legge moltiplica le occasioni dei genitori per rivolgersi al giudice (189), allunga i tempi della loro permanenza in tribunale e allarga l'ambito soggettivo delle controversie, arrivando a coinvolgere, a vario titolo, i figli, gli ascendenti (190) e pure i terzi. Se tutto questo servirà davvero a rafforzare la tutela della prole minorenne resta da vedere (191). Per il momento, vi è la certezza che il nostro sistema giudiziario, in mancanza di adeguati investimenti in uomini e risorse, uscirà da quest'ennesima novità normativa ancor più malconcio ed inadeguato.

(1) In questa materia, v. anche i recenti commenti di GRAZIOSI, Profili processuali della l. n. 54 del 2006 sul cd. affidamento condiviso dei figli, in corso di pubblicazione in Dir. fam.; F. DANOVI, I provvedimenti a tutela dei figli naturali dopo la legge 8 febbraio 2006, n. 54, in Riv. dir. proc., 2006, p. 1007; TOMMASEO, Le nuove norme sull'affidamento condiviso: b) profili processuali, in Fam. e dir., 2006, p. 388.

(2) Cfr. anche CASABURI, La nuova legge sull'affidamento condiviso (ovvero, forse: tanto rumore per nulla), in Corr. mer., 2006, p. 565.

(3) BUCCI, in Le nuove riforme del processo civile, a cura di Bucci-Soldi, Padova, 2006, p. 151; TOMMASEO, L'interesse dei minori e la nuova legge sull'affidamento condiviso, in Fam. e dir., 2006, p. 296; Trib. Bologna, 22 maggio 2006, n. 1210,

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giudice Costanzo, in www.personaedanno.it; Trib. min. Milano, (decr.) 20 giugno 2006, giudice Domanico, in www.minoriefamiglia.it; Trib. min. Trento, (decr.) 11 aprile 2006, giudice Spina, ivi.

(4) TOMMASEO, La disciplina processuale della separazione e del divorzio dopo le riforme del 2005 (e del 2006), in Fam. e dir., 2006, p. 7.

(5) Sull'impatto della l. n. 54 sull'art. 6 della l. div., DEFILIPPIS, Affidamento condiviso dei figli nella separazione e nel divorzio, Padova, 2006, p. 166 ss.

(6) BALENA, in Le riforme più recenti del processo civile, a cura di Balena-Bove, Bari, 2006, p. 420.

(7) F. DANOVI, Il procedimento di separazione e di divorzio alla luce delle ultime riforme normative, in corso di pubblicazione in AA.VV., Le prassi giudiziali nei procedimenti di separazione e divorzio, Torino, 2006, p. 36.

(8) Cfr. anche CASABURI, I nuovi istituti di diritto di famiglia (norme processuali ed affidamento condiviso): prime istruzioni per l'uso, in Giur. mer. spec., marzo 2006, p. 58.

(9) V. Cass., 22 aprile 2002, n. 5861, in Fam. e dir., 2002, p. 413, su cui VULLO, Passaggio in giudicato formale della sentenza di separazione dei coniugi e proponibilità della domanda di revisione ex art. 710 c.p.c., ivi, p. 481; Cass., 27 luglio 1993, n. 8389, in Foro it., 1994, I, c. 724, con nota CIPRIANI, Vecchie e nuove vittime del formalismo processuale, ivi; TOMMASEO, L'interesse dei minori, cit., p. 296.

(10) Per una diversa posizione, BUCCI, op. cit., p. 151.

(11) In questo senso, sembra, Trib. Milano, 21 giugno 2006, in www.minoriefamiglia.it.

(12) Cfr. anche FACCHINI, Quale competenza e quale rito per i figli naturali?, in www.minoriefamiglia.it, p. 1; Trib. min. Catania, 7 giugno 2006, ivi; CASABURI, I nuovi istituti, cit., p. 43.

(13) Cfr. VERARDOROMANO, Affido condiviso: regole sulla mediazione per far funzionare la nuova normativa, in Guida dir., 2006, 14, p. 11; FACCHINI, op. cit., p. 4 ss.; TOMMASEO, Le nuove norme sull'affidamento condiviso: b) profili processuali, cit., p. 390 ss.

(14) Trib. Roma, (ord.) 7 aprile 2006, in Fam. pers. succ., 2006, p. 564, evita di entrare nel merito di questo dibattito, ritenendo inammissibile il ricorso proposto congiuntamente da due genitori non coniugati.

(15) Contra Trib. Milano, 21 giugno 2006, cit.

(16) Questo spostamento di competenza non opera per i procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della l. n. 54, alla luce dell'art. 5 c.p.c.: v. anche Trib. min. Milano, 20 giugno 2006, cit.

(17) Così anche DEFILIPPIS, op. cit., p. 165.

(18) Cfr. DEFILIPPIS, op. loc. citt.; CASABURI, La nuova legge cit., p. 566; ID., I nuovi istituti, cit., p. 43. ContraMASANTE, I procedimenti in materia di famiglia, in Il nuovo rito civile. II. Il giudizio di cassazione e i provvedimenti speciali, a cura di Demarchi,

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Milano, 2006, p. 234.

(19) Per CASABURI, La nuova legge, cit., p. 566, peraltro, si tratterebbe di un argomento debole, dal momento che il rinvio operato dall'art. 38 disp. att. c.c. avrebbe natura formale ed ora dovrebbe essere "riferito alle nuove disposizioni in materia di affidamento".

(20) BUCCI, op. cit., p. 149; contra G. FINOCCHIARO, Rito ordinario per la nullità del matrimonio, in Guida dir., 2006, 11, p. 52; MASANTE, op. loc. citt.; VERARDOROMANO, op. citt., p. 11.

(21) Cfr. anche Trib. min. Milano, (decr.) 12 maggio 2006, in www.minoriefamiglia.it.

(22) In questo senso anche Trib. min. Milano, 12 maggio 2006, cit.

(23) Peraltro, Trib. min. Milano, 12 maggio 2006, cit., sembra ritenere che le norme sull'affidamento condiviso, anche nei rapporti tra genitori non coniugati, debbano innestarsi sul procedimento disciplinato dagli artt. 706 ss., che, in effetti, il legislatore ha considerato il modello di riferimento;contra Trib. Milano, 21 giugno 2006, cit.

(24) Cfr. anche BUCCI, op. cit., p. 150; per una posizione difforme, Trib. Milano, 21 giugno 2006, cit.

(25) Va osservato che, in confronto con i procedimenti di separazione/divorzio, il procedimento camerale disciplinato dagli artt. 737 ss. c.p., non prevede espressamente la possibilità di emettere provvedimenti provvisori ed urgenti a favore della prole. Alcuni hanno ritenuto di risolvere il problema invocando l'applicazione del rito cautelare uniforme e della tutela cautelare atipica ex art. 700 c.p.c. (FACCHINI, op. cit., p. 6). Anche senza escludere a priori la possibilità di chiedere un provvedimento ex art. 700, mi sembra preferibile fare riferimento ad un intrinseco potere del collegio di emettere, con ordinanza, provvedimenti provvisori nel corso del giudizio, come previsto dall'art. 336, comma 3°, c.c.

(26) Per G. FINOCCHIARO, Rito ordinario, cit., p. 52, però, in questo ambito si dovrebbe seguire il rito ordinario.

(27) Cfr. anche per CASABURI, I nuovi istituti, cit., p. 53.

(28) Ex multis, v. Cass., 27 maggio 2005, n. 11320, in Fam. pers. succ., 2006, p. 505; Cass., 24 febbraio 2006, n. 4188, in Guida dir., 2006, 18, p. 76; Trib. Roma, 30 ottobre 2000, in Giur. rom., 2001, p. 79. Cfr. BASINI, Commento all'art. 155 quinquies c.c., in C. c. ipertestuale², Aggiornamento alle leggi 54 e 55 del 2006, a cura di Bonilini-Confortini-Granelli, Torino, 2006, p. 29.

(29) M. FINOCCHIARO, Assegno versato direttamente ai maggiorenni, in Guida dir., 2006, 11, p. 42.

(30) M. FINOCCHIARO, op. ult. cit., p. 44.

(31) Tra i primi provvedimenti pubblicati in materia, Trib. Catania, (ord. pres.) 5 maggio 2006, in www.minoriefamiglia.it; Trib. Bologna, 22 maggio 2006, n. 1212, giudice Costanzo, ivi.

(32) In questo senso, sembra, anche Trib. Catania, 14 aprile 2006, giudice Distefano, in www.minoriefamiglia.it.

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(33) In questo senso, sembra, BUCCI, op. cit., p. 143; Trib. Catania, 14 aprile 2006, cit., parla di un provvedimento formalmente reso a favore di terzo (il figlio maggiorenne ma non autosufficiente).

(34) Così pure DEFILIPPIS, op. cit., p. 131.

(35) Conf. Trib. Catania, 14 aprile 2006, cit.; v., però, i dubbi di BUCCI, op. cit., p. 143.

(36) Contra Trib. Catania, 14 aprile 2006, cit.

(37) DEFILIPPIS, op. cit., p. 131.

(38) Cfr. anche CEA, L'affidamento condiviso. II. I profili processuali, in Foro it., 2006, V, c. 98.

(39) Conf. Trib. min. Bologna, (decr.) 15 maggio 2006, in www.minoriefamiglia.it; cfr. BASINI, La nonna, Cappuccetto Rosso, e le visite: del c.d. "diritto di visita" degli avi, in Fam. pers. succ., 2006, p. 433 ss.

(40) Anche nel vigore della precedente normativa, infatti, si prevedeva un'analoga disposizione all'art. 155, comma 7°, c.c.: cfr. BIANCHI, Commento all'art. 155-sexies c.c., in C.c. ipertestuale, cit., p. 31.

(41) Cfr. DEFILIPPIS, op. cit., p. 83.

(42) Cfr. anche BALENA, op. cit., p. 417. DEFILIPPIS, op. cit., p. 132, peraltro, afferma che la nuova norma trovi applicazione anche in tale fase, seppure al limitato fine di fornire al presidente elementi utili per l'emanazione dei suoi provvedimenti provvisori ed urgenti.

(43) MASANTE, op. cit., p. 214, invece, ritiene che al presidente non possa essere sottratta la possibilità di compiere accertamenti sommari per acquisire un adeguato supporto per l'emanazione dei suoi provvedimenti.

(44) Cfr. DEMARZO, L'affidamento condiviso. I. I profili sostanziali, in Foro it., 2006, V, c. 92; anche CEA, op. cit., c. 102, auspica un uso saggio dei poteri istruttori da parte del presidente.

(45) Su cui v. MAGNO, Il minore come soggetto processuale. Commento alla convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei fanciulli, Milano, 2001.

(46) TOMMASEO, La disciplina processuale, cit., p. 11; DEFILIPPIS, op. cit., p. 134.

(47) Così anche VERARDOROMANO, op. cit., p. 12; CECCARELLI, L'ascolto del minore nei procedimenti di separazione e divorzio, in www.minoriefamiglia.it, p. 1.

(48) Cfr. DEMARZO, op. cit., c. 92. Non è anzi infrequente che le opinioni del minore non siano tenute in alcuna considerazione: v. Trib. min. Trento, (decr.) 23 maggio 2006, giudice Pietrapiana, in www.minoriefamiglia.it; Trib. Ascoli Piceno, (decr.) 16 marzo 2006, giudice De Angelis, ivi.

(49) Anche CECCARELLI, op. cit., p. 2, mette in risalto la necessità di individuare un ambiente adeguato "che difficilmente potrà essere costituito dall'ufficio giudiziario".

(50) Ammette la possibilità di tale esame indiretto anche CASABURI, I nuovi istituti

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cit., p. 39.

(51) Ad esempio, App. min. Napoli, (decr.) 22 marzo 2006, in www.minoriefamiglia.it, delega l'audizione della figlia minore delle parti ad un giudice del collegio, con l'assistenza di un operatore del servizio sociale, disponendo l'esame della minore stessa presso la scuola media da lei frequentata. V. però anche CECCARELLI, op. loc. citt.

(52) CECCARELLI, op. loc. citt.

(53) Per CECCARELLI, op. cit., p. 3, invece, tali riproduzioni non sarebbero necessarie.

(54) Così VERARDOROMANO, op. cit., p. 12; DEMARZO, op. cit., p. 92; per DEFILIPPIS, op. cit., p. 134: "La norma non lascia facoltà discrezionale al giudice [...]. La non audizione, tuttavia, non determina alcuna nullità". Per i diversi approcci del giudici del tribunale ordinario e del tribunale per i minorenni, v. CECCARELLI, op. cit., p. 1.

(55) Cfr. anche BIANCHI, op. cit., p. 32. Al contrario, proprio dalla formulazione letterale della norma, CASABURI, I nuovi istituti, cit., p. 39, desume che l'audizione del minore possa essere omessa a discrezione del giudice.

(56) Il giudice deve, invece, comunque apprezzare il "discernimento" del minore infra-dodicenne; per MASANTE, op. cit., p. 216, "tale capacità di discernimento" dovrebbe essere valutata con un contatto diretto o tramite i servizi sociali con il minore.

(57) Cfr. anche BALENA, op. cit., p. 418; CASABURI, I nuovi istituti, cit., p. 39.

(58) BALENA, op. loc. citt.

(59) CASABURI, I nuovi istituti, cit., p. 25, per cui, peraltro, il presidente non avrebbe l'obbligo di disporre sempre e comunque l'audizione del minore;DEFILIPPIS, op. cit., p. 83.

(60) BUCCI, op. cit., p. 137; DEFILIPPIS, op. cit., p. 134, ritiene, anzi, che l'art. 155-sexies c.c. sia espressamente dettato per la fase presidenziale, senza escludere che l'audizione ivi prevista possa avvenire (o essere rinnovata) anche avanti all'istruttore.

(61) DEFILIPPIS, op. loc. citt.

(62) Pur ritenendo possibile che, ove si debbano disporre dei rinvii, il presidente possa emettere provvedimenti provvisori, anche parziali: così DEFILIPPIS, op. cit., p. 135.

(63) In questo senso anche App. Bologna, (decr.) 17 maggio 2006, giudice De Meo, in www.giuraemilia.it, per cui la valutazione circa la capacità di discernimento della prole andrebbe compiuta nella fase a cognizione piena; G.FINOCCHIARO, Sui reclami la parola alla Corte d'appello, in Guida dir., 2006, 11, p. 50.

(64) Contra M. FINOCCHIARO, Nel ricorso anche la dichiarazione dei redditi, in Guida dir., 2005, 22, p. 95, che, a fortiori, esclude tale soluzione nel nuovo regime; v. anche ID., Accertamento coatto sui redditi dei coniugi, ivi, 2006, 11, p. 3.

(65) Cfr., ad es., la recente Cass., 7 febbraio 2006, n. 2625, in Foro it., 2006, I, c. 1751.

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(66) Cass., 23 gennaio 1996, n. 496, in Giust. civ., 1996, I, p. 954; Trib. Napoli, (ord.) 14 novembre 1995, in Fam. e dir., 1996, p. 464.

(67) Per LIUZZI, Allegazione delle dichiarazioni dei redditi e potere istruttori del giudice nel processo di separazione e di divorzio alla luce delle leggi nn. 80/2005 e 34/2006, in Fam. e dir., 2006, p. 228, i redditi della parte potranno essere accertati anche tramite informazioni a banche, il ricorso al notorio o l'utilizzo di presunzioni semplici.

(68) Così anche DEFILIPPIS, op. cit., p. 113; M. FINOCCHIARO, Accertamento coatto, cit., p. 36.

(69) Nell'àmbito di tali indagini si è affermato che, anche in assenza della preventiva autorizzazione del Comandante regionale, la Guardia di finanza abbia il potere di ottenere, come previsto dall'art. 32, n. 7, d.p r. n. 600 del 1973 da una società fiduciaria, dati, notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata, ivi compresi i servizi prestati e le garanzie prestate da terzi, relativi alla parte oggetto di indagini; in forza degli artt. 5 l. div. e 155 c.c., inoltre, il giudice del divorzio o della separazione ha il potere di ottenere dalla società fiduciaria una completadisclosure riguardo alle generalità del fiduciante e ai beni fiduciariamente intestati, senza alcuna limitazione: Trib. Reggio Emilia, (ord.) 27 marzo 2006, giudice Fanticini, in www.giuraemilia.it.

(70) Cfr. LAI, Polizia tributaria e poteri del giudice della separazione per accertare i redditi dei coniugi, in Fam. e dir., 2006, p. 184; LIUZZI, op. cit., p. 227.

(71) BALENA, op. cit., p. 417; DEFILIPPIS, op. cit., p. 114. BUCCI, op. cit., p. 141, peraltro, mette in evidenza che, nella norma, manca un'espressa previsione della possibilità di indagini d'ufficio.

(72) DEFILIPPIS, op. loc. citt., fa appunto riferimento ad una "carenza" di documentazione sia in senso formale (come mancata produzione in giudizio della documentazione rilevante) sia in senso sostanziale (in caso di produzione di documentazione inattendibile o inadeguata a fornire una completa ricostruzione della situazione patrimoniale della parte).

(73) Per M. FINOCCHIARO, Accertamento coatto, cit., p. 36, questo tipo di indagini presuppone che l'altro genitore abbia, previamente, dimostrato la natura simulata dell'intestazione a terzi.

(74) LIUZZI, op. cit., p. 228.

(75) V. anche M. FINOCCHIARO, op. loc. ultt. citt.

(76) Il testo della norma, infatti, sembra escludere una competenza esclusiva del collegio: LIUZZI, op. loc. citt.

(77) DEFILIPPIS, op. cit., p. 113.

(78) LIUZZI, op. loc. citt.

(79) Anche MASANTE, op. cit., p. 217 ritiene che le indagini in questione siano riservate al giudice istruttore, non escludendo che il presidente possa quanto meno richiedere una conferma o un'integrazione ai competenti uffici.

(80) Sugli obiettivi della mediazione in questo contesto, BUTTIGLIONE, La mediazione

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familiare. La Cenerentola del processo di separazione e divorzio. Istruzioni per l'uso, in www.minoriefamiglia.it, p. 5 ss.

(81) Tale consenso, per DEFILIPPIS, op. cit., p. 136, dovrebbe essere prestato personalmente dalle parti e verbalizzato.

(82) Per maggiori approfondimenti, CAPILLI, Modelli di mediazione e progetti di riforma, relazione al convegno "La mediazione familiare nel diritto interno e nelle situazioni transfrontaliere", organizzato a Roma, il 13 dicembre 2005, dalla Fondazione dell'Avvocatura italiana.

(83) Sulla mediazione familiare, nel contesto dell'art. 13 della convenzione di Strasburgo del 1999, MAGNO, op. cit., p. 77 ss.

(84) Cfr. DEFILIPPIS, op. cit., p. 74 ss.; SCHLESINGER, L'affidamento condiviso è diventato legge! Provvedimento di particolare importanza, purtroppo con inconvenienti di rilievo, in Corr. giur., 2006, p. 302.

(85) Cfr. DEFILIPPIS, op. cit., pp. 77, 136.

(86) Sul ruolo dei legali in questo contesto, BUTTIGLIONE, op. cit., p. 14.

(87) F.DANOVI, op. cit., p. 35.

(88) Sull'identificazione di tali soggetti cfr. BIANCHI, op. cit., p. 33; cfr. CROVETTI-SALARIS, La figura professionale del mediatore familiare, relazione al convegno "La mediazione familiare nel diritto interno e nelle situazioni transfrontaliere", cit. VERARDOROMANO, op. cit., p. 12 auspica "una normativa specifica sul profilo professionale del mediatore e sulle caratteristiche dei servizi di mediazione"; così anche BUTTIGLIONE, op. cit., p. 12.

(89) Così anche DEFILIPPIS, op. cit., p. 136, che specifica che essi non potrebbero essere, in seguito, citati dalle parti come testi, essendo tenuti al segreto professionale; cfr. pure BUTTIGLIONE, op. cit., p. 11.

(90) Anche per DEFILIPPIS, op. cit., p. 137, la norma non configura un'ipotesi di sospensione ai sensi dell'art. 295 c.p c.

(91) Nel corso del quale potranno essere discusse tutte le questioni relative al contenzioso tra i genitori e non solo quelle relative all'affidamento: BIANCHI, op. loc. citt.; sul percorso della mediazione, BUTTIGLIONE, op. cit., p. 9 ss.

(92) In questo senso anche BIANCHI, op. loc. citt.

(93) Il quale, ad esempio, sia chiamato a modificare i provvedimenti provvisori ed urgenti del presidente: cfr. DEFILIPPIS, op. cit., pp. 76, 136.

(94) BALENA, op. cit., p. 418; per DEFILIPPIS, op. loc. ultt. citt., anzi, la sede prioritaria per il tentativo di mediazione resterebbe proprio l'udienza presidenziale. V. anche BIANCHI, op. loc. citt.; MASANTE, op. cit., p. 216.

(95) Per App. Bologna, 17 maggio 2006, cit., in mancanza di diversa disposizione transitoria nella l. n. 54, il reclamo contro l'ordinanza presidenziale è proponibile anche nei procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della legge. Esso può essere proposto anche contro provvedimenti già emessi a tale data purché non siano ancora decorsi i relativi termini: cfr. anche LUISO-SASSANI, La riforma del processo

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civile. Commentario breve agli articoli riformati del codice di procedura civile, Milano, 2006, p. 245; CASABURI, I nuovi istituti cit., p. 26.

(96) Il reclamo in corte appare pacificamente trasferibile ai provvedimenti presidenziali emessi nel giudizio di divorzio (conf. CASABURI, I nuovi istituti cit., p. 25) e alle ordinanze temporanee di cui all'art. 336, comma 3°, c. c. Per G. FINOCCHIARO, Rito ordinario per la nullità del matrimonio, in Guida dir., 2006, 11, p. 51, inoltre, il reclamo dovrebbe essere proponibile anche rispetto ai provvedimenti "cautelari" presi dal trib. in via provvisoria nell'àmbito del procedimento di nullità del matrimonio.

(97) Cass., 12 aprile 1994, n. 3415, in Fam. e dir., 1994, p. 531, su cui SALVANESCHI, Natura cautelare dei provvedimenti presidenziali e decorrenza della revoca dell'assegno di mantenimento, ivi, p. 532.

(98) Trib. Bari, (ord.) 23 dicembre 2004, in Foro it., 2005, I, c. 1244; Trib. Foggia, 30 luglio 2001, ivi, 2002, I, c. 263, su cui critico CEA, I provvedimenti nell'interesse dei coniugi e della prole e il reclamo cautelare, ivi, c. 264; Trib. Napoli, 15 giugno 2003, in Giur. nap., 2003, p. 409; CARRATTA, Provvedimenti presidenziali "nell'interesse dei coniugi e della prole" ex art. 708 c.p.c. e tutela d'urgenza, in Fam. e dir., 1999, p. 381 ss.; cfr. CASABURI, Le misure patrimoniali "provvisorie" (sommarie e cautelari) nella separazione, nel divorzio, nella crisi "di fatto" della famiglia, in Dir. fam., 2003, p. 1066 ss.; DEANGELIS, Affido condiviso: le norme processuali e la natura dei provvedimenti "nell'interesse dei coniugi e della prole", in Giur. it., 2006, p. 651 ss.

(99) Ad esempio, il reclamo è stato ammesso da Trib. Taranto, (ord.) 8 marzo 1999, in Fam. e dir., 1999, p. 376, su cui contraCARRATTA,op. loc. citt.; Trib. Genova, (ord.) 7 marzo 2002, ivi, 2002, p. 631, su cui BET, Sull'ammissibilità del reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c. avverso i provvedimenti per i figli nel procedimento di separazione giudiziale, ivi, p. 633; Trib. Genova, (ord.) 16 febbraio 2004, in Foro it., 2004, I, c. 904: Trib. Genova, (ord.) 10 gennaio 2004, ivi, c. 931. Per Trib. Genova, 10 maggio 2004, ord., ivi, 2004, I, c. 2534, su cui favorevole CIPRIANI, Sulla reclamabilità dei provvedimenti presidenziali ex art. 708 c.p.c., ivi, peraltro, la reclamabilità ex art. 669 terdecies dei provvedimenti presidenziali avrebbe potuto essere ammessa qualora il presidente avesse nominato se stesso quale istruttore della causa. V. anche CIPRIANI, Ancora sull'impugnabilità dei provvedimenti "nell'interesse dei coniugi e della prole", ivi, 2003, I, c. 3156; ID., Processi di separazione e di divorzio, ivi, 2005, V, c. 143; PROTOPISANI, Su alcuni problemi attuali del processo familiare, ivi, 2004, I, c. 2535; CEA, op. ult. cit., p. 265 ss.

(100) Era invece pacifico che i provvedimenti del presidente non fossero soggetti ai mezzi d'impugnazione propri delle sentenze, al reclamo ex art. 739 c.p.c., o al ricorso per cass. ex art. 111, comma 7°, cost.: Cass., 3 marzo 1999, n. 1766, in Mass. Giust. civ., 1999, p. 478.

(101) CEA, L'affidamento condiviso cit., c. 98.

(102) Per App. Bologna, 17 maggio 2006, cit. la previsione di reclamabilità del provvedimento presidenziale, che può essere modificato o revocato dall'istruttore, non è irragionevole, in quanto il reclamo consente di censurare profili di eventuale manifesta erroneità del provvedimento, mentre la richiesta di revoca/modifica all'istruttore va correlata all'opportunità di adeguare i provvedimenti, resi all'esito dell'istruttoria sommaria, alle risultanze acquisite nel corso della fase a cognizione piena.

(103) Così anche DEFILIPPIS, op. cit., p. 142; per CASABURI, I nuovi istituti, cit., p. 25,

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in questo modo si conferma l'impostazione dell'udienza presidenziale in termini di volontaria giurisdizione.

(104) Trib. min. Milano, 12 maggio 2006, cit., peraltro, dal fatto che l'art. 708, comma 4° novellato, preveda che i provvedimenti provvisori siano impugnabili avanti alla corte d'appello, senza alcun riferimento alla sezione per i minorenni, desume che, per ognuno dei procedimenti individuati e disciplinati dalla l. n. 54 sussista la competenza del giudice ordinario, escludendo che i provvedimenti impugnabili possano essere adottati dal tribunale per i minorenni.

(105) In difetto di notifica, si applicherà il termine di decadenza di un anno dal deposito del provvedimento in cancelleria,ex art. 327 c.p.c.: G. FINOCCHIARO, Sui reclami la parola alla Corte d'appello, in Guida dir., 2006, 11, p. 47; LUISO-SASSANI, op. cit., p. 245.

(106) Maggiori dettagli in PAGLIANI, I procedimenti di modifica delle condizioni di separazione e divorzio, Milano, 2006, p. 7 ss.; per MASANTE, op. cit., p. 220, la scelta del legislatore conferma che l'ordinanza presidenziale non ha natura cautelare. Contra F. DANOVI, op. cit., p. 27; DEANGELIS, op. cit., p. 654; G. FINOCCHIARO, Sui reclami, cit., p. 46 ss., ritiene che, in questo contesto: "qualsiasi lacuna normativa [...] possa essere colmata [...] attraverso l'applicazione analogica delle norme dettate per il procedimento cautelare uniforme, nei limiti della compatibilità".

(107) G. FINOCCHIARO, op. loc. ultt. citt.

(108) Per App. Bologna, 17 maggio 2006, cit., l'attribuzione della competenza territoriale alla corte non lede il principio del giudice naturale.

(109) App. Bologna, (decr.) 8 maggio 2006, giudice De Meo, in www.giuraemilia.it; App. Bologna, 17 maggio 2006, cit.

(110) App. Bologna, (decr.) 8 maggio 2006, cit. In quest'ottica, App. Bologna, 17 maggio 2006, cit., ritiene inammissibili, ad esempio, approfondite indagini dei servizi sociali.

(111) G. FINOCCHIARO, Sui reclami, cit., p. 50.

(112) Cfr. App. Bologna, 17 maggio 2006, cit.

(113) Conf. DEFILIPPIS, op. cit., p. 146.

(114) G. FINOCCHIARO, op. ult. cit., p. 49.

(115) G. FINOCCHIARO, op. ult. cit., p. 50.

(116) TOMMASEO, La disciplina processuale, cit., p. 11, peraltro, avrebbe preferito la decisione monocratica del solo presidente.

(117) Così, infatti, App. Bologna, (decr.) 8 maggio 2006, cit.; App. Bologna, 17 maggio 2006, cit.

(118) App. Bologna, 8 maggio 2006, cit.; App. Bologna, 17 maggio 2006, cit.

(119) BALENA, op. cit., p. 407; DEMARZO, op. cit., c. 95; BUCCI, op. cit., p. 101; F. DANOVI, op. cit., p. 28; G. FINOCCHIARO, Sui reclami, cit., p. 50; PAGLIANI, op. cit., p. 32; CASABURI, I nuovi istituti, cit., p. 40.

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(120) DEFILIPPIS, op. cit., p. 143; CEA, L'affidamento condiviso cit., c. 99; BALENA, op. cit., p. 407, ritiene questa un'ipotesi alternativa all'interpretazione estensiva dell'art. 708, ult. comma. ContraCASABURI, op. loc. ultt. citt., p. 40.

(121) PAGLIANI, op. cit., p. 33.

(122) Anche DEANGELIS, op. cit., p. 653 collega l'introduzione del reclamo al garantismo processuale e alla tutela del diritto di difesa. Contro la fungibilità tra il reclamo in corte e la revoca/modifica dell'istruttore PAGLIANI, op. loc. ultt. citt.

(123) Così anche F. DANOVI, op. cit., p. 27. ContraDEFILIPPIS, op. cit., p. 147, per cui i provvedimenti della corte si porrebbero, rispetto al g.i., sullo stesso piano dei provvedimenti presidenziali. Per l'a., p. 148, peraltro, se si ritengono reclamabili in corte anche i provvedimenti del giudice istruttore, il potere di modifica a quest'ultimo riconosciuto sui suoi stessi provvedimenti dovrebbe essere vincolato alla verifica di fatti o di valutazioni nuove. CASABURI, I nuovi istituti, cit., p. 26 osserva che "la mancata proposizione del reclamo non comporta una sorta di acquiescenza alle misure presidenziali".

(124) Così anche BALENA, op. cit., p. 409.

(125) Cfr. BALENA, op. loc. ultt. citt.; CASABURI, op. loc. ultt. citt. In questo modo si dovrebbero fugare i timori di PAGLIANI, op. cit., p. 33, di interventi del giudice istruttore ablativi del provvedimento della corte.

(126) Anche per G.FINOCCHIARO, Sui reclami, cit., p. 50, l'istanza di revoca o modifica non sarebbe proponibile nella pendenza del procedimento di reclamo. Contra, invece, DEFILIPPIS, op. cit., p. 146.

(127) Così anche DEFILIPPIS, op. cit., p. 147.

(128) Cfr. anche G. FINOCCHIARO, Procedimento ad hoc per le liti sulla potestà, in Guida dir., 2006, 11, p. 53.

(129) G. FINOCCHIARO, op. loc. ultt. citt.

(130) Cfr. CEA, op. ult. cit., c. 101; MASANTE, op. cit., p. 234; CASABURI, La nuova legge, cit., p. 572. Per G. FINOCCHIARO, op. ult. cit., p. 54, dunque, il rimedio dell'art. 316, c. 3 c. c. sarebbe sopravvissuto alla novità legislativa.

(131) DEFILIPPIS, op. cit., p. 151 supera il dubbio, ritenendo che, già in precedenza, potesse essere esclusa la competenza del giudice tutelare in materia di affidamento dei figli nella separazione, dal momento che l'art. 337 c.c. riguarda solo i provvedimenti sui figli emessi dal tribunale per i minorenni, ai sensi degli artt. 330 e 333 c.c. (e, dunque, tutt'ora è da ritenersi operativo in tale àmbito).

(132) Cfr. BUCCI, op. cit., p. 103.

(133) Dubbi di BUCCI, op. cit., p. 105. ContraDEFILIPPIS, op. cit., p. 149, per cui l'espressione "modalità dell'affidamento" includerebbe anche le modalità di carattere economico, relative al mantenimento della prole; CASABURI, I nuovi istituti, cit., p. 61.

(134) In tal caso, si tratta di istanze nuove proponibili ex lege in corso di causa, senza alcuna preclusione.

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(135) Per G.FINOCCHIARO, Un giudizio garantisce la corretta esecuzione, in Guida dir., 2006, 11, p. 64, la norma ha introdotto un procedimento sussidiario, con funzione esecutiva, rispetto a quelli in cui il provvedimento presupposto è emanato.

(136) Così anche CASABURI, La nuova legge, cit., p. 572.

(137) Così anche G FINOCCHIARO, Ricorso solo con l'assistenza di un legale, in Guida dir., 2006, 11, p. 56; CASABURI, op. loc. ultt. citt.

(138) Alla luce del disposto dell'art. 4 della l. n. 54, infatti, la norma si applica, con il medesimo contenuto e con i medesimi effetti anche ai procedimenti di modifica delle condizioni di divorzio.

(139) BALENA, op. cit., p. 421; BUCCI, op. cit., p. 151; per G.FINOCCHIARO, op. loc. ultt. citt., peraltro, il procedimento di cui all'art. 709-ter non si dovrebbe svolgere con le forme anche decisorie dell'art. 710 c.p.c.; LUISO-SASSANI, op. cit., p. 250 mettono in rilievo che il rito camerale si applica anche nel caso di controversie relative a figli di genitori non coniugati.

(140) Cfr. pure G. FINOCCHIARO, Un giudizio garantisce, cit., p. 67.

(141) Così anche G. FINOCCHIARO, op. loc. ultt. citt.

(142) Così anche BALENA, op. cit., p. 422.

(143) Nello stesso senso LUISO, SASSANI, op. cit., p. 249. Trib. min. Milano, 12 maggio 2006, cit., mette in rilievo che, qualora il procedimento di separazione si sia esaurito e in seguito al provvedimento di separazione il minore abbia cambiato residenza, non sarà più competente il foro del convenuto ma quello del luogo di residenza del minore.

(144) Per G. FINOCCHIARO, Ricorso solo con l'assistenza, cit., p. 56, la norma, con una "formula assai generica ed imprecisa" farebbe riferimento a tutti i procedimenti che consentono la modifica dei provvedimenti in materia di affidamento dei figli minori.

(145) Così anche BUCCI, op. cit., p. 104; F. DANOVI, op. cit., p. 12.

(146) Così anche F. DANOVI, op. cit., p. 34, che ritiene che il trib. min. sia anche competente per i provvedimenti sanzionatori del comma 2° della norma; con riferimento ai procedimenti ex art. 332 c.c., G.FINOCCHIARO, op. ult. cit., p. 55.

(147) Per BUCCI, op. cit., pp. 103, 149, la competenza del tribunale per i minorenni permarrebbe solo rispetto ai provvedimenti di cui all'art. 316 c.c., relativi alle controversie tra genitori ancora conviventi, che non vogliono separarsi e che non chiedono l'affidamento.

(148) G.FINOCCHIARO, op. ult. cit., p. 57, esclude la possibilità di agire del minore, ancorché tramite curatore speciale.

(149) Cfr. G. FINOCCHIARO, Misure efficaci contro gli inadempimenti, in Guida dir., 2006, 11, p. 58.

(150) G. FINOCCHIARO, Ricorso solo con l'assistenza, cit., p. 57; MASANTE, op. cit., p. 235.

(151) Per G. FINOCCHIARO, Misure efficaci, cit., p. 58, invece "il ricorso e il decreto

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debbono essere notificati personalmente al genitore convenuto".

(152) Cfr. BALENA, op. cit., p. 421. Favorevole BUCCI, op. cit., p. 104; contraG.FINOCCHIARO, Ricorso solo con l'assistenza, cit., p. 57; MASANTE, op. loc. ultt. citt.

(153) In questo senso anche BALENA, op. cit., p. 423; LUISO-SASSANI, op. cit., p. 250; MASANTE, op. loc. ultt. citt.

(154) G. FINOCCHIARO, Misure efficaci, cit., p. 58; ID., Un giudizio garantisce la corretta esecuzione, in Guida dir., 2006, 11, p. 64, assimila questi provvedimenti a quelli emessi ai sensi dell'art. 669-duodecies c.p.c.

(155) DEFILIPPIS, op. cit., p. 152.

(156) G.FINOCCHIARO, Misure efficaci, cit., p. 61.

(157) Per G. FINOCCHIARO, op. ult. cit., p. 60, il requisito della gravità deve caratterizzare non solo le inadempienze, ma anche gli atti pregiudizievoli. Per DEFILIPPIS, op. cit., p. 152, la gravità andrà valutata rispetto all'interesse del minore ed al corretto svolgimento dei rapporti tra le parti, tenendo presente lo spirito ed i contenuti della legge sull'affido condiviso.

(158) Per Trib. min. Catania, 7 giugno 2006, cit., in questo àmbito, il tribunale potrebbe emettere i provvedimenti di cui all'art. 333 c.c., tra cui l'allontanamento del minore o del genitori dalla residenza familiare.

(159) G.FINOCCHIARO, op. loc. ultt. citt.

(160) Cfr. anche BUCCI, op. cit., p. 104.

(161) Così pure CASABURI, La nuova legge, cit., p. 572.

(162) DEMARZO, op. cit., c. 95.

(163) Cfr. anche G. FINOCCHIARO, Un giudizio garantisce, cit., p. 64; CASABURI, I nuovi istituti, cit., p. 61.

(164) G.FINOCCHIARO, Misure efficaci, cit., p. 61 mette in evidenza che i provvedimenti sanzionatori possono essere emessi anche senza modifica delle condizioni sull'affidamento.

(165) Per CASABURI, op. loc. ultt. citt., il giudice può disporre contestualmente anche più di una delle misure indicate.

(166) Per G. FINOCCHIARO, Misure efficaci cit., p. 61, si tratta di una misura scarsamente utile ed efficace; così anche CASABURI, op. loc. ult. cit. Per DEFILIPPIS, op. cit., p. 154, invece, "l'ammonimento è l'occasione, per il giudice, di svolgere una funzione di spiegazione del significato della legge e di indirizzo delle parti verso comportamenti virtuosi".

(167) Così anche DEFILIPPIS, op. cit., p. 155.

(168) DEFILIPPIS, op. cit., p. 154.

(169) Anche per G. FINOCCHIARO, Misure efficaci, cit., p. 62 ss., potrebbe pronunciarsi

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il risarcimento del danno solo nei limiti in cui vi sia stato un danno ingiusto. Per DEMARZO, op. cit., c. 95, invece, il risarcimento dovrebbe essere collegato alla gravità della condotta, senza sovrapposizioni al normale risarcimento "civilistico". Per CASABURI, La nuova legge, cit., p. 572, entrambe le ipotesi di risarcimento del danno previste dalla norma non hanno a che fare con la responsabilità civile "classica", dovendo piuttosto essere rapportabili ai danni punitivi di altri ordinamenti.

(170) Cfr. anche DEFILIPPIS, op. cit., p. 156.

(171) Per DEFILIPPIS, op. loc. ultt. citt., la norma lascerebbe al giudice la valutazione discrezionale "in ordine alla gravità della violazione ed alla forza dissuasiva della sanzione in relazione alle potenzialità economiche della parte". Per CASABURI, op. ult. cit., p. 573, si tratta di una previsione "assolutamente anomala".

(172) G.FINOCCHIARO, Misure efficaci, cit., p. 63.

(173) DEFILIPPIS, op. cit., p. 157.

(174) Cfr. anche DEMARZO, op. cit., c. 95; Per CASABURI, I nuovi istituti cit., p. 62, invece, può essere disposto d'ufficio il risarcimento in favore del minore.

(175) Cfr. anche G. FINOCCHIARO, op. ult. cit., p. 61. Per MASANTE, op. cit., p. 236 solo quest'ultima sanzione sarebbe irrogabile d'ufficio; conf. CASABURI, op. loc. ultt. citt.

(176) Così anche G. FINOCCHIARO, Un giudizio garantisce, cit., p. 65.

(177) Cfr. CEA, L'affidamento condiviso, cit., c. 102; CASABURI, La nuova legge, cit., p. 572.

(178) Anche per BUCCI, op. cit., p. 105, il provvedimento sulla richiesta di sanzioni deve sempre essere preso dal collegio.

(179) Cfr. anche TOMMASEO, La disciplina processuale, cit., p. 13; G. FINOCCHIARO, Un giudizio garantisce, cit., p. 65.

(180) Per BUCCI, op. cit., p. 104, ad esempio, la disposizione farebbe riferimento ai soli provvedimenti punitivi.

(181) Per F. DANOVI, op. cit., p. 35, la norma farebbe in realtà riferimento ai "mezzi tradizionali e comuni previsti per quel particolare provvedimento".

(182) Cfr. DEFILIPPIS, op. cit., p. 157.

(183) Non però se, come DEFILIPPIS, op. loc. ultt. citt., si ritiene che i provvedimenti emessi dal giudice istruttore siano appunti reclamabili ex art. 669-terdecies c.p.c.

(184) Così anche MASANTE, op. cit., p. 236; G. FINOCCHIARO, Un giudizio garantisce, cit., p. 65.

(185) Conf. CEA, op. loc. ultt. citt.; DEFILIPPIS, op. cit., p. 157. Per G. FINOCCHIARO, op. ult. cit., p. 67, inoltre, i provvedimenti emessi dalla corte d'appello sarebbero ricorribili in cassazione ex art. 111 cost.

(186) Cfr., rispetto al d.d.l. n. 66 licenziato dalla commissione della Camera, DE PAULI, Affidamento condiviso nelle separazioni di massa, in Foro friul., 2005, 3, p. 13.

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(187) Cfr. CEA, op. ult. cit., c. 97.

(188) Cfr. anche BUTTIGLIONE, op. cit., p. 7 ss.

(189) Cfr. anche SCHLESINGER, op. cit., p. 303.

(190) La nuova formulazione dell'art. 155, comma 1°, c.c., infatti, sembra permettere ai nonni di intervenire nel giudizio sull'affidamento dei nipoti, per fare valere il loro "interesse specifico" tutelato da tale norma: cfr. anche DEFILIPPIS, op. cit., p. 89; TOMMASEO, L'interesse dei minori, cit., p. 298 ss. Per Trib. Firenze, 22 aprile 2006, in Fam. e dir., 2006, p. 291, si tratterebbe di un intervento adesivo dipendente, per sostenere le ragioni del genitore che intenda attuare il diritto del figlio a conservare con gli stessi significativi rapporti. ContraCASABURI, I nuovi istituti, cit., p. 45.

(191) Anche SCHLESINGER, op. loc. citt., dubita che le disposizioni della nuova legge renderà "più semplice ed efficiente l'amministrazione della giustizia nei confronti dei figli minori di genitori in crisi".

contributi sullo stesso argomento

BREVI NOTE IN TEMA DI AFFIDO DEI MINORI

Dir. famiglia 2006, 3, 1401

Daniela Valentino

Ordinario di Diritto privato nell'Università degli studi di Salerno

La l. 28 marzo 2001 n. 149, nel modificare gli artt. 1-5 della l. n. 184 del 1983, sembra delineare dei princìpi generali informati, prevalentemente, a tutelare il diritto del minore ad un coerente sviluppo psico-fisico all'interno della sua famiglia d'origine (1).Le tematiche che, di conseguenza, si delineano sono molteplici e, a volte, di delicata soluzione per le implicazioni di diversa sensibilità culturale che fanno, inevitabilmente, da sfondo.L'art. 2 delinea prioritariamente l'obbligo delle Regioni e degli enti locali di rimuovere lo stato d'indigenza della famiglia (2) che possa ostacolare la permanenza del minore nel suo nucleo familiare, attraverso la previsione non soltanto di sussidi economici, ma anche di interventi a livello sanitario, scolastico, abitativo e lavorativo. La dizione, per la verità, è caratterizzata da una genericità e vaghezza delle previsioni che non è rassicurante, anche perché potrà essere interpretata ed attuata nelle varie realtà regionali con parametri ed interventi di intensità non omogenei, approfondendo il divario già esistente (3).Soltanto se gli interventi mirati a “sanare” la situazione di difficoltà nella famiglia sono inefficaci, o vengono giudicati irrilevanti ai fini della rimozione dello stato di disagio che condiziona lo sviluppo del minore, si può prendere atto che la famiglia non è in grado di provvedere, anche transitoriamente, alla crescita e all'educazione del minore ed adottare soluzioni alternative che possano supplire alla inidoneità dell'ambiente familiare, come l'affidamento c.d. temporaneo (4).Il provvedimento si attualizza con misure diversificate, ispirate alla necessità di creare una valida alternativa temporanea alla comunità familiare attraverso l'individuazione di altre famiglie che possano supplire alla situazione di degrado, e soltanto in via residuale attraverso il ricorso a comunità o enti di assistenza pubblica 

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(5).Le tematiche attinenti all'affidamento temporaneo sono variegate; in questa sede si può tentare soltanto di evidenziare alcuni aspetti di particolare rilevanza.Sembrerebbe che di fronte a situazioni di degrado, che impediscano l'armonioso sviluppo del minore, il legislatore ha previsto due possibili interventi, la cui operatività è condizionata da un preventivo esame delle cause determinanti il disagio stesso: ogni qualvolta la situazione viene valutata come stabile e non più reversibile, occorrerebbe procedere con l'adozione (6); viceversa, quando le difficoltà, seppure gravi ed incidenti sullo sviluppo, sono considerabili come transitorie e quando la famiglia d'origine può continuare a svolgere un ruolo all'interno del processo evolutivo del soggetto, occorrerebbe procedere con l'affidamento temporaneo (7).L'istituto si caratterizzerebbe per la non stabilità e la non definitività della sua adozione, che viene anche fissata dal punto di vista temporale in un periodo non superiore ai due anni (8). Non sempre è così: se il rientro a casa non è possibile, si possono adottare provvedimenti articolati. Tra questi sicuramente l'apertura del procedimento di adozione; ma, nei fatti, emerge anche frequentemente l'adozione di provvedimenti di affidamento a tempo indeterminato (9).La prassi operativa segnala questa tendenza a consolidare l'affidamento del minore fino alla maggiore età in una serie di ipotesi: 1) per tutti gli adolescenti per i quali l'adozione è impraticabile a causa dell'età (10); 2) per le ipotesi nelle quali i genitori non possono riassumere il loro ruolo educativo in via esclusiva, ma conservano con il figlio un rapporto comunque significativo al fine del suo sviluppo (11).La prosecuzione oltre i due anni viene attuata in tutti quei casi nei quali l'adozione non è auspicabile, né è consigliabile il ricovero in altre strutture ed il rapporto con la famiglia d'origine, filtrato dalla convivenza con la famiglia affidataria, svolge un ruolo significativo nell'evoluzione del minore.Non deve, pertanto, meravigliare una copiosa giurisprudenza che ritiene legittimati ad una serie di azioni i genitori affidatari proprio sulla base della circostanza che l'affidamento “abbia dato luogo ad un rapporto prolungato nel tempo e caratterizzato da stabilità e tendenziale definitività” (12).Né possono sembrare “ardite” quelle pronunce che considerano legittimo il comportamento dei genitori affidatari, che non attuano o impediscono il mantenimento dei rapporti tra il minore e la famiglia d'origine, nonostante il mantenimento dei rapporti sia considerato un vero e proprio caposaldo nella funzione dell'affidamento temporaneo (art. 5, comma 2).Se il genitore affidatario “viene a trovarsi in una concreta situazione di difficoltà determinata dalla resistenza del minore” ad incontrare o avere rapporti con la famiglia d'origine, il suo comportamento non attuativo degli obblighi a suo carico non può essere stigmatizzato se egli si è “eventualmente mosso dalla necessità di tutelare l'interesse morale e materiale del minore medesimo ... quale soggetto di diritti e non mero oggetto di finalità esecutive perseguite da altri” (13). Altrettanto è a dirsi anche se il disagio del minore nei confronti della sua famiglia d'origine è causato dagli stessi affidatari, “perché le legittime aspettative della madre naturale assumono una posizione subordinata alla priorità di rimuovere l'ostilità del minore e recuperare il loro rapporto prima di imporgli frequentazioni che, anche se ingiustificatamente, sono vissute in un modo lacerante dal minore stesso e che vanno preventivamente rimosse, anche con interventi psicologici esterni” (14).Da un lato, quindi, l'incontestata caratterizzazione dell'affido come misura transitoria e finalizzata al mantenimento del rapporto con la famiglia d'origine ed al coinvolgimento di quest'ultima nel processo educativo del minore (15), dall'altro la prassi di utilizzo in via definitiva e stabile dell'istituto dell'affido e la riconosciuta legittimità di atteggiamenti degli affidatari tesi ad impedire il contributo affettivo della famiglia d'origine (16) sembrano creare un antinomia insormontabile.Il contrasto è apparente. L'obiettivo prioritario è l'attuazione del principio costituzionale che vede il diritto del minore a sviluppare la sua personalità nella comunità più idonea a tale scopo e, quindi, il suo diritto a rimanervi inserito soltanto

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e se la comunità individuata è idonea a svolgere il suo ruolo (17).Nei casi di c.d. transitoria difficoltà si ricorre alla procedura dell'affidamento poiché la provvisorietà testimonierebbe la potenzialità per la famiglia di origine di svolgere, comunque, un ruolo di supporto anche affettivo, che non può essere reciso con lo strumento definitivo dell'adozione.L'affidamento soccorre nelle situazioni nelle quali i genitori non sono considerabili del tutto negativamente dal punto di vista dell'armonioso sviluppo del minore, ma vi sia necessità di interventi di supporto allo svolgimento complessivo della loro funzione (18); saranno così utili anche affidamenti giornalieri o settimanali per difficoltà momentanea (19).Non v'è, quindi, alcuna incompatibilità se la funzione primaria dell'affido in alcune circostanze viene piegata all'unico effettivo fine perseguito della migliore realizzabilità della personalità del minore e, quindi, in alcuni casi assume anche il carattere della stabilità se il disagio familiare diviene irreversibile e le procedure di adozione non sono realizzabili. La necessità del rapporto con la famiglia d'origine egualmente può essere impedito temporaneamente (20) se crea disagio per il minore, o procrastinato dopo il ristabilimento del corretto equilibrio tra il minore e i suoi consaguinei. Unico fulcro di riferimento è e deve restare l'obiettivo di aiutare il minore attraverso un programma educativo ed affettivo quando questo non può essere svolto dalla sola famiglia d'origine (21).Questa chiave di lettura può consentire di superare alcune ulteriori difficoltà interpretative del procedimento. Di norma, gli affidamenti disposti con il consenso dei familiari non sono frequenti. Le famiglie d'origine sono particolarmente ostili a procedure di affidamento ad altre famiglie, poiché temono che un diverso nucleo affettivo possa mettere a rischio il loro ruolo (22).Ogni qualvolta, però, è possibile, il Servizio sociale può disporre direttamente l'affidamento, sottoponendo il provvedimento al giudice tutelare per il decreto di esecutorietà (23).Il legislatore ha voluto chiaramente privilegiare il ruolo dei Servizi sociali perché il giudice tutelare non è competenteex art. 330 c.c. e non può disporre interventi diversi che sono di competenza del Tribunale per minori. Ne conseguirebbe che il suo controllo è soltanto formale (24), fermo restando che, se riscontra adozioni simulate perché non vi è transitorietà, può rifiutare e segnalare al P.m. del Tribunale dei minori. Tale ulteriore ipotesi è, peraltro, veramente residuale perché sono eccezionali le situazioni per le quali si possa escludere categoricamente, sin dall'inizio, la transitorietà (25).In ogni caso la disputa che posiziona il ruolo essenziale di questa procedura nell'organo giudicante o in quello amministrativo è sterile, poiché il compito della cura del minore è un obiettivo prioritario che si attua attraverso sinergie nel rispetto delle reciproche competenze, e può accadere che il sistema assistenziale non brilli per tempestività e coerenza degli interventi anche perché è gravato da incombenze numerose che possono, comunque, rallentare l'efficacia dell'attività svolta (26).In quest'ottica l'attività giudiziaria non soltanto deve integrare l'attività dell'organo amministrativo, ma deve sovraintendere ad essa anche nella fase iniziale dell'adozione del provvedimento di affidamento (27). Anche se è pur vero che esigenze di rapidità potrebbero imporre di evitare un controllo iniziale di merito perché il giudice può e deve essere informato successivamente degli sviluppi successivi e può chiedere interventi correttivi al Tribunale dei minorenni. D'altro canto, l'adozione del provvedimento è essenziale ai fini della serenità del minore: un provvedimento “rapido”, ma non coerente, crea danni recuperabili nel tempo dal punto di vista esclusivamente procedurale, ma irreversibili sulla psiche del minore stesso (28).Pertanto, nei limiti nei quali una indagine non rallenti la tempestività del provvedimento, non si può escludere che l'organo giudicante entri nel merito delle decisioni dell'organo amministrativo, chiedendo chiarimenti e imponendo modifiche al programma di sostegno morale e psicologico del minore, o respingendo la richiesta

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di esecutorietà (29).Questa singola problematica può introdurre più ampie tematiche, che sembrano essersi acuite dopo la riforma. Le competenze giurisdizionali, in relazione alla questione minorile, risultano attestarsi su un grado di diversificazione non del tutto condivisibile: nell'ipotesi di affido consensuale si ruota sulle diverse competenze del giudice tutelare e del Tribunale dei minori (30); nell'ipotesi di affidamento giudiziario l'iniziativa sembra formalmente rimessa non al Servizio sociale, ma al Pubblico ministero cui giunge la segnalazione del Servizio stesso e che fa da filtro rispetto alla successiva richiesta al Tribunale dei minori per la pronuncia di affido giudiziario o anche di misure diverse (31). A ciò si aggiunge la previsione dell'ulteriore organo del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni, cui spettano compiti di vigilanza sugli Istituti di assistenza pubblici e privati prima di competenza del giudice tutelare (32).È noto che il disegno di creare un giudice unico con competenza generalizzata sia in materia civile e penale per tutto il diritto di famiglia e per i minori è risalente nel tempo (33). E si è a lungo oscillato tra indicazioni relative ad un Tribunale o a sezioni specializzate.Anche il tentativo di istituire sezioni specializzate presso i Tribunali e le Corti di appello non è stato recepito dal Parlamento, forse anche perché si sarebbe dovuto pagare l'alto prezzo di disperdere il patrimonio di capacità e di esperienze accumulate dai giudici minorili e dagli stessi giudici onorari (34). Ciononostante, pare che nel più modesto caso dell'affidamento la diversificazione tra giudice tutelare, Procuratore della Repubblica e Tribunale dei minorenni, anche se assicura la possibilità di un esame affidato a più soggetti, nella sostanza determina una polverizzazione delle competenze che rallenta la potenzialità di intervento e di decisione in una materia delicata, ove ogni approssimazione o delega può determinare danni irreversibili sull'armonioso sviluppo della personalità (35).L'aver sottolineato la discussione sulla potenzialità di controllo del giudice tutelare sui decreti di esecutorietà negli affidamenti consensuali, l'aver segnalato che la polverizzazione delle competenze può impedire visioni unitarie delle problematiche connesse allo stato di disagio del minore che si vuole fronteggiare, evidenzia un passaggio ineludibile. I protagonisti, di fronte a tali situazioni, sono i Servizi sociali. In varie tipologie di provvedimenti il potere di iniziativa è rimesso alla loro discrezionalità (36). Il progetto educativo del minore viene da loro concordato, la rilevanza e le modalità dei rapporti con la famiglia d'origine, il controllo sull'andamento e sui risultati delle procedure adottate ai fini di un armonioso sviluppo e il potere di richiedere ulteriori provvedimenti in corso d'opera sono tutte fasi procedurali che vedono le istituzioni locali legittimate ad agire in via esclusiva (37).Senza voler entrare nel merito della scelta legislativa di voler accentrare tutto il procedimento di tutela del minore su questa figura, occorre farsi carico di verificare se, a fronte di tali poteri, deve potersi accompagnare un regime di responsabilità per il loro operato. La delicatezza della situazione nella quale si trovano i minori, oggetto della loro valutazione professionale, non può escludere la produzione di lesioni anche a causa di scelte non opportune: lesioni alla integrità fisica, psichica e, comunque, alla loro personalità ed anche a terzi (38).Sin dalla fase iniziale, quando i Servizi sociali anche in altri settori sono chiamati a decidere di intervenire oppure no, si può delineare un quadro giurisprudenziale che evidenzia il collegamento tra scelte professionalmente inopportune e ulteriori sviluppi nella vita relazionale dei soggetti destinatari. Esistono soluzioni giurisprudenziali sul mancato intervento di sostegno psichiatrico che sono fortemente oscillanti; a volte considerano civilmente responsabili i soggetti, legittimati ad intervenire, che compiono scelte che si rivelano non adeguate e che, quindi, possono comportare valutazioni negative sulla professionalità adoperata nel momento decisionale (39).Altre volte, invece, nonostante che l'intervento deciso risulti inadeguato in relazione

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ad eventi successivi, lesivi anche di terzi, si è esclusa la responsabilità civile, nonostante l'omissione dell'intervento opportuno si sia rivelata particolarmente incisiva sugli sviluppi ulteriori (40).Le diverse soluzioni possono non essere contrastanti, poiché nelle singole concrete fattispecie occorre dimostrare il nesso di causalità tra la decisione di non prendere in carico la situazione di un soggetto debole che, chiaramente, dovrebbe presupporre un giudizio positivo sulla potenzialità della famiglia di origine a svolgere il suo ruolo educativo e di armonico sviluppo e supporto, del soggetto, e gli eventuali fatti successivi che, oggettivamente, contraddicono il predetto giudizio, evidenziandone l'erroneità. La mancata adozione dei provvedimenti, erroneamente giudicati non adeguati, deve così avere determinato un disagio, o un aggravamento, o, in ogni caso, il non superamento di situazione non idonea allo sviluppo del minore per i quali il Servizio sociale non può non essere chiamato a rispondere (41).Egualmente vanno affrontate le tematiche relative alla predisposizione del progetto educativo e alla sorveglianza della sua attuazione, cui sono tenuti i Servizi sociali. Il tipo di intervento rivolto alla famiglia, eventuali supporti psicologici o psichiatrici, o progetti educativi per i minori, che a causa della situazione di disagio cui vengono sottratti, hanno già subito un rallentamento dello sviluppo della loro personalità o una più significativa regressione, non può che essere oggetto di una qualificazione professionale specialistica ed elevata, che deve essere in grado di valutare tempestivamente le situazioni ed individuare i correttivi più opportuni (42).È facile replicare che, come qualsiasi altra attività professionale, la prestazione dovuta non coincide con il raggiungimento di un risultato esclusivamente positivo, ma è pur vero che la valutazione delle scelte effettuate non può che rispondere a rigidi parametri di diligenza professionale, che non consentono di escludere responsabilità di fronte a scelte non efficaci (43). È ovvio che anche qui ricorre la stessa difficoltà di provare il nesso di causalità tra scelte perseguite ed eventi determinanti il danno, specialmente quando l'attuazione o anche l'elaborazione del progetto viene condivisa con altre strutture, quali, ad esempio, la comunità (44), o la stessa autorità giudiziaria (45).È significativo che tutti i casi giurisprudenziali valutati non riguardano interventi dei Servizi sociali su minori, ma attività assistenziali su maggiorenni, come se il contenzioso relativo all'individuazione della responsabilità di questi organi fosse attuabile per i soli maggiorenni, o come se i profili di responsabilità per “fallimento degli obiettivi prefissati” non ricorressero mai per i minori.È lecito, perciò, porre alcuni interrogativi.Non sarà soltanto perché la stessa situazione di abbandono dei minori fa scomparire i soggetti interessati a segnalare che gli interventi predisposti a loro sostegno non hanno raggiunto i loro obiettivi, non favorendo il loro armonioso sviluppo?Non sarà perché il controllo sulla proficuità e sul perdurare dell'intervento è rimesso agli stessi Servizi sociali che hanno valutato l'opportunità e l'efficacia, per cui l'intervento dell'organo giudiziario è relegato alle sole ipotesi nelle quali altri terzi interessati muovano le opportune segnalazioni?Sembra quasi facile concludere che anche in questo sistema va tentato di migliorare il delicato equilibrio tra poteri decisionali di intervento e responsabilità personale di chi opera, e vanno delineati oggettivi e fisiologici sistemi di controllo, che non si possono appiattire sulla ricerca della responsabilità degli operatori, né essere rimessi all'occasionale, e a volte nemmeno in teoria ipotizzabile, intervento di terzi interessati.

Fra i primi e numerosi commenti alla (1) riforma, tutti particolarmente attenti alla genesi della nuova legge attraverso l'esame del difficile e discusso percorso parlamentare, senza pretesa di esaustività, v. A. FINOCCHIARO e M. FINOCCHIARO, Adozione e affidamento, in Commento alla nuova disciplina, Milano, 2001; M. BERNARDINO, Adozione, sostegno e protezione familiare nella recente evoluzione

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legislativa, in Riv. not., 2001, 1111 s.; C.M. BIANCA, La revisione normativa dell'adozione, in Familia, 2001, 525 s.; A. FINESSI, Il “diritto del minore ad una famiglia”: per una prima lettura della nuova disciplina dell'affidamento e dell'adozione, in Studium iuris, 2001, 775 s.; M. DOGLIOTTI, La riforma dell'adozione (commento alla l. 28 marzo 2001 n. 149), in Fam. dir., 2001, 237 s.; AA.VV., Le adozioni nella nuova disciplina. L. 28 marzo 2001 n. 149, a cura di G. AUTORINO e P. STANZIONE, Milano, 2001; F. ERAMO, Manuale pratico della nuova adozione, Padova, 2002.

La norma sembra recepire il precedente (2) orientamento giurisprudenziale, che non rinveniva nello stato di povertà un elemento di per sé rilevante per testimoniare un disagio nello sviluppo del minore, nella sua crescita e nella sua educazione: Cass. 23 aprile 1990 n. 3369, in Rep. Foro it., 1990, voce Adozione, n. 87 e, più di recente, Cass. 4 maggio 2000 n. 5580, in Fam. dir., 2000, 588 s.; Cass. 28 marzo 2002 n. 4503, in Rep. Foro it., 2002, voce Adozione, n. 62. Si sofferma su questo aspetto F. ERAMO, op. ult. cit., 24 s., ma v. anche G. CAMPANARO e V. ROSSI, Manuale dell'adozione nel diritto civile, penale, del lavoro, amministrativo, tributario, Padova, 2003, 71.

Gli (3) interventi dipenderanno, evidentemente, anche dalle disponibilità finanziarie dei relativi bilanci degli enti locali. Discute, in proposito, di cambiamento soltanto apparente rispetto al passato, F. ERAMO, Manuale pratico, cit., 21 s.

L'affidamento è un rimedio estremo rispetto agli interventi (4) di sostegno che consentono al minore di rimanere presso la famiglia di origine, ed è pertanto subordinato alla persistenza dello stato di abbandono anche successivamente a tali interventi. Così G. CAMPANARO e V. ROSSI, Manuale dell'adozione, cit., 69 s. In giurisprudenza, Cass. 21 settembre 2000 n. 12491, in Fam. dir., 2001, 45 s.; App. Milano 20 giugno 2003, in Fam. dir., 2004, I, 27 s., con nota di C. DOLCINI, Adozione di minori e stato di abbandono. Sui presupposti per l'affidamento c.d. temporaneo, v. P. PERLINGIERI e A. PROCIDA MIRABELLI, L'affidamento del minore nell'esegesi della nuova disciplina, Napoli, 1984; F. ARICÒ, Riflessioni in tema di affidamento familiare: natura e presupposti dell'istituto, in questa Rivista, 1996, 538 s. Successivamente alla riforma, F. UCCELLA, L'affidamento del minore nella legge di modifica alla disciplina dell'adozione, in Vita not., 2002, 84 s.; E. QUADRI, L'affidamento del minore: profili generali, in Fam. dir., 2001, 653 s.

Rispetto all'esigenza di assicurare al minore un “ambiente (5) familiare idoneo”, il ricovero presso un Istituto appare una estrema ratio. La riforma prevede espressamente il divieto di inserire in Istituti minori di età inferiore ai sei anni, nonché la chiusura, entro il 31 dicembre 2006, di tutti gli Istituti pubblici e privati esistenti. Prima della riforma, individua le caratteristiche della “comunità familiare”, al fine di distinguerla dall'Istituto, M. DOGLIOTTI, Affidamento e adozione, in Tratt. civ. e comm. CICU-MESSINEO, Milano, 1990, 50 s. Lo stesso A. riprende poi il discorso in ID., La riforma dell'adozione, cit., 247 s. Sul punto, v. L. ROSSI CARLEO, L'adozione e gli Istituti di assistenza ai minori, in Tratt. dir. priv. RESCIGNO, Torino, 1986 e V. SCIARRINO, Tutela del minore e comunità familiare nel sistema delle adozioni, Napoli, 2003. Interessante la lettura di A. BOLLONI e L. FADIGA, La fabbrica dei disadattati, Bologna, 1975.

La (6) dichiarazione di adottabilità (artt. 8 ss.) presuppone, così come nella l. n. 184, uno stato di abbandono non dovuto “a causa di forza maggiore di carattere transitorio”: Cass. 4 maggio 2002 n. 5580, cit.; Cass. 29 gennaio 1992 n. 938, inRep. Foro it., 1992, voce Adozione, n. 66; Cass. 1° febbraio 2005 n. 1996, in Rep. Foro it., 2005, voce Adozione, n. 2. In dottrina, v. A. TRABUCCHI, Adozione, in Enc. giur., I, Roma, 1988, 16 s.; L. ROSSI CARLEO, Adozione dei minori, in Enc. dir., Aggiorn., I,

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Milano, 1997, 10 s.; M. TRIMARCHI, Adozione, Milano, 2004. Definisce la reversibilità elemento caratterizzante dell'affidamento familiare B. MINORI, Poteri, diritti, doveri degli affidatari, in Lessico di dir. fam., 2001, 3, 1 s.

Cass. (7) 10 maggio 2001 n. 6479, in Giur. it., 2002, 497 s.; F. ERAMO, Manuale pratico, cit., 26 s.; R. PANE, Favor veritatis e diritto di conoscere le proprie origini, in Rass. dir. civ., 2003, 245 s., sottolinea la molteplicità dei modelli adottivi, tutti diversi per struttura e funzione, tali da consentire interventi mirati rispetto alla situazione contingente.

Il (8) decreto che dispone l'affidamento familiare deve contenere anche indicazioni relative al periodo di durata dello stesso, tenuto conto degli interventi necessari per il recupero della famiglia di origine. L'art. 4, comma 4, fissa la durata massima di ventiquattro mesi, ma specifica che è prorogabile “qualora la sospensione dell'affidamento rechi pregiudizio al minore”. Il limite, pertanto, è solo apparente. Così A. FINOCCHIARO e M. FINOCCHIARO, Adozione e affidamento, cit., 37, che evidenziano come nulla sia stabilito in ordine alla durata della proroga.

Ribadisce la necessità di contenere (9) l'affidamento in periodi di tempo limitati Trib. min. Palermo 11 maggio 1984, in questaRivista, 1984, 1032 s. Si parla in tali ipotesi, in cui diventa difficile operare una distinzione tra l'istituto in esame e l'affidamento preadottivo, di affidamenti c.d. “a rischio”. Vedi L. GRANOZIO, L'affidamento familiare, in Lessico di dir. fam., Roma, 1999, 5.

R. (10) PANE, Favor veritatis, cit., 263 s.

Ancora R. (11) PANE, op. ult. cit., 249, che ritiene che in tale ipotesi l'istituto assuma una funzione di promozione della condizione minorile, piuttosto che di protezione dall'abbandono. Il discorso è approfondito, con riferimento all'adozione, in ID., Le adozioni tra innovazione e dogma, Napoli, 2003.

Cass. 27 giugno 2001, in (12) Arch. nuova proc. pen., 2002, 66 s. Ai genitori affidatari si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dell'art. 316 c.c. che riguardano la potestà genitoriale: Trib. Fermo 14 giugno 1999, in Arch. nuova proc. pen., 1999, 546 s. In dottrina, v. B. MINORI, Poteri, diritti, doveri degli affidatari, cit., 1 s.

App. (13) Napoli 9 novembre 1995, in questa Rivista, 1997, 589 s.; Cass. 16 marzo 1999, in Rep. Foro it., 2000, voce Mancata esecuzione dolosa, n. 6; Trib. min. Messina 8 marzo 1999, in questa Rivista, 1999, 1200 s. Contra: App. Milano 21 gennaio 1992, in questa Rivista, 1993, 138 s.; Cass. 18 novembre 1999, ibidem, 2000, 1046 s. A seguito della riforma, non è più espressamente previsto l'obbligo per gli affidatari di agevolare i rapporti con la famiglia di origine, spettando tale compito ai Servizi sociali. In senso critico, A. FINOCCHIARO e M. FINOCCHIARO, Affidamento e adozione, cit., 49. Sul ruolo attivo del minore nelle procedure di adozione, sul suo diritto ad essere ascoltato se infradodicenne ed in relazione alla sua capacità di discernimento, v., anche con riflessioni critiche, R. PANE, Favor veritatis, cit., 262. Più in generale, PERLINGIERI, La persona umana nell'ordinamento giuridico, Camerino-Napoli, 1972, 132 s.; P. STANZIONE, Capacità e minore età nella problematica della persona umana, Camerino-Napoli, 1975; F.D. BUSNELLI, Capacità ed incapacità di agire del minore, in questa Rivista, 1982, 54 s.

App. Napoli 5 dicembre 1996, (14) ibidem, 1998, 64. Nell'ottica del necessario contemperamento di opposti interessi, A. TRABUCCHI, Il “vero interesse” del minore e i diritti di chi ha l'obbligo di educare, in Riv. dir. civ., 1988, 741 s. Su tali delicati aspetti, A.M. DELL'ANTONIO, Cambiare genitori. Le problematiche psicologiche

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dell'adozione, Milano, 1980 e ID., Avere due famiglie. Immagini, realtà e prospettive dell'affido eterofamiliare, Milano, 1993.

R. (15) PANE, Favor veritatis, cit., 256 che fa riferimento al principio di responsabilità per il solo fatto della procreazione. V. anche le puntuali osservazioni, in merito, di M. CERATO, La potestà dei genitori. I modi di esercizio, la decadenza e l'affievolimento, Milano, 2000, 60 s.

È noto che la Corte europea dei (16) diritti dell'uomo con sentenza del 13 luglio 2000 (v. in Dir. e giur., 2000, 53) ha sottolineato la priorità del ruolo della famiglia d'origine sullo sviluppo della personalità del figlio, stigmatizzando ogni procedura o situazione che elimini il carattere di transitorietà dell'affido o di interruzione dei rapporti affettivi con la famiglia d'origine. Così già Cass. 23 giugno 1990 n. 6389, in Rep. Foro it., 1990, voce Adozione, n. 70 e Trib. min. Roma 21 luglio 1993, in questa Rivista, 1994, 1027 s. Vedi App. Roma 28 maggio 1998, ibidem, 2001, 1463, che evidenzia come anche la dichiarazione di adottabilità non comporta necessariamente l'interruzione dei rapporti con la famiglia di origine, ove appaia vantaggioso per il minore il mantenimento di contatti e frequentazioni con i genitori biologici.

Sulla funzionalizzazione della comunità familiare come (17) formazione sociale volta a consentire lo sviluppo della personalità dei soggetti che ne fanno parte, PERLINGIERI, I diritti del singolo quale appartenente al gruppo familiare, in Rass. dir. civ., 1982, 72 s. e AA.VV., Rapporti personali nella famiglia, a cura di P. PERLINGIERI, Napoli, 1982.

R. (18) PANE, Favor veritatis, cit., 242 e 244, ove ritiene espressione di tale esigenza anche la ricostruzione della potestà in chiave funzionale rispetto alla realizzazione dell'interesse del minore; v. F. RUSCELLO, La potestà dei genitori. Rapporti personali, Milano, 1996.

F. (19) LONGO, Transitorietà dello stato di abbandono e danno allo sviluppo della personalità del minore, in Fam. dir., 1999, 28 s.

Riflettono sulle difficoltà connesse al reinserimento (20) nella famiglia di origine, soprattutto del minore adolescente, G. CAMPANARO e V. ROSSI, Manuale dell'adozione, cit., 140 s. In giurisprudenza, Proc. Rep. Trib. min. L'Aquila 26 ottobre 1993, in questa Rivista, 1994, 682 s.

Trib. (21) min. L'Aquila 7 marzo 1997, in Giur. merito, 1998, 28 s.

Le famiglie spesso accettano di essere supportate da (22) affidatari che abbiano con loro vincoli familiari. R. PANE, Favor veritatis, cit., 256, ritiene che rilevi al riguardo il timore che spesso le famiglie avvertono rispetto alla possibile aggressione del patrimonio familiare da parte di soggetti estranei. Questa situazione può essere tuttavia potenzialmente più dannosa, perché, in caso di contrasto, crea sicuramente al minore traumi ben più ampi per la presenza di implicazioni affettive interfamiliari (App. Napoli 5 dicembre 1996, cit.). Interessante anche la precedente App. Torino 3 dicembre 1994, in questaRivista, 1996, 992, che parla in talune ipotesi di drammatiche e traumatiche scelte del minore che ha sviluppato seri e molteplici legami affettivi.

Si tratta dell'affidamento c.d. amministrativo, sul quale (23) M.A. GUIDA, Affidamento familiare consensuale, in Quaderno Aiaf, Viterbo, 2004, 1, 186 s. Evidenzia i caratteri che lo distinguono dall'affidamento c.d. giurisdizionale, M. DOGLIOTTI, Minori (affidamento dei), in Noviss. dig. it., App. Torino, sez. V, 1984, 79 s. Confermano la natura amministrativa del provvedimento L. SACCHETTI, Il

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commentario dell'adozione e dell'affidamento, Rimini, 1986, 68 s.; F. VERDE, Adozione e affidamento familiare, Padova, 1994, 22 s. Successivamente alla riforma, A. FINOCCHIARO e M. FINOCCHIARO, Affidamento e adozione, cit., 36 s., che sottolineano come nulla ha mutato la riforma in ordine agli aspetti processuali del fenomeno; F. ERAMO, Manuale pratico, cit., 123 s.

Così (24) G. CAMPANARO e V. RUSSO, Manuale dell'adozione, cit., 274 s., 430 s. e 144; S. GRANOZIO, L'affidamento familiare, cit., 6 s.

Trib. (25) min. Bologna 17 gennaio 1984, in questa Rivista, 1985, 142 s.; G. tut. Pret. Roma 12 dicembre 1983, in Giur. it., 1984, I, 2, 372 s., con nota di P. VERCELLONE, Il giudice tutelare, il Tribunale per i minorenni e l'affidamento familiare previsto dagli artt. 2 ss. L. 4 marzo 1983 n. 184.

Sul ruolo formativo-informativo dei (26) Servizi sociali, che si accentua nella procedura di adozione internazionale, G. CAMPANARO e V. ROSSI, Manuale dell'adozione, cit., 430 s. V. anche A. LUMINOSO, Le informazioni acquisite tramite servizi sociali nei processi riguardanti la famiglia e i minori, in Riv. giur. sarda, 1998, 567 s. Con riferimento all'attività di consulenza e ausilio all'autorità giudiziaria, VERCELLONE, F. MAZZA GALANTI e G. GARENA, Famiglia, giustizia civile e Servizi sociali, in Minorigiustizia, 1999, 4, 11 s.; G.F. CASCIANO, Rapporti tra giudice per i minorenni e Servizi sociali, in questa Rivista, 1993, 1316 s.; D. GUIDI, Ruolo degli operatori sociali con particolare riferimento ai rapporti fra autorità giudiziaria ed enti locali, in Giustizia e Costituzione, 1992, 55 s. e, nello specifico, RONFANI, Adozione e Servizi sociali, in Sociologia dir., 1980, 2, 163 s.

In (27) questo senso, Cass. 19 dicembre 2002 n. 18132, in Rep. Foro it., 2002, voce Adozioni, n. 67; M.A. GUIDA, Affidamento familiare consensuale, cit., 188 s., per la quale la previsione espressa di un più pregnante controllo di merito da parte dell'autorità giudiziaria nella fase di vigilanza successiva alla pronunzia del decreto, è indice di un tentativo di contemperamento tra l'esigenza di riconoscere autonomia decisionale al Servizio locale e la “fiducia limitata” nella validità delle scelte da questo effettuate. Vedi anche Proc. Rep. Trib. min. L'Aquila 4 febbraio 1995, in questa Rivista, 1996, 538 s.

M.A. (28) GUIDA, Affidamento familiare consensuale, cit., 188; O. GRECO, L'affidamento familiare secondo la l. n. 149 del 2001. Essere genitori ed essere figli nell'affidamento familiare, in Quaderni Aiaf, Viterbo, 2004, 1, 274 s. In giurisprudenza, Trib. min. Torino 15 novembre 1984, in questa Rivista, 1984, 1081 s., che proprio in quest'ottica ritiene competente esclusivamente il Tribunale per i minorenni a decidere sulla proroga dell'affidamento, poiché, se al Servizio sociale venisse data tale possibilità, di fatto gli si potrebbe consentire di eludere la normativa di adottabilità. Prima della riforma, che ha espressamente individuato tale competenza, la questione era dibattuta: D. MESSINESE, Proroga dell'affidamento familiare: giudice tutelare o Tribunale per i minorenni?, in Rass. dir. civ., 1988, 581 s.

Trib. min. Palermo 11 maggio 1984, cit.; Trib. min. (29) Bologna 20 novembre 1983, in questa Rivista, 1985, 132; Trib. min. Bologna 8 gennaio 1985, in Giust. civ., 1985, I, 2637 s. Contra: App. Bologna 19 novembre 1984, in questa Rivista, 1985, 552 s.; Giudice tut. Pret. Roma 12 dicembre 1983, cit., che, tuttavia, in motivazione, fa rientrare nel controllo di “legittimità” anche l'accertamento della sussistenza della temporaneità della situazione di inidoneità della famiglia e della conseguente possibilità di reinserimento del minore nella stessa.

L'art. 4 prevede, come nella sua precedente formulazione, (30) che il giudice tutelare richieda, se necessario, l'adozione di provvedimenti nell'interesse del minore

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al competente Tribunale per i minorenni, ma solo dopo aver sentito i Servizi sociali e il minore infradodicenne o di età inferiore in relazione alla sua capacità di discernimento. La previsione aveva un senso soltanto qualora la funzione di giudice tutelare venisse attribuita, come in passato, alle Preture, soppresse poi con il d.lg. 19 febbraio 1998 n. 51. Così A. FINOCCHIARO e M. FINOCCHIARO, Adozione e affidamento, cit., 40 s. Sulle difficoltà anche operative connesse alla concorrente competenza di Tribunale ordinario e Tribunale per i minorenni, v. G. MORANI, Sul riparto di competenze fra Tribunale ordinario e Tribunale per i minorenni, in questa Rivista, 1997, 1210 s.

Sul ruolo del P.m., L. (31) FADIGA, L'adozione secondo la l. n. 149 del 2001. Aspetti sostanziali e procedurali con particolare riferimento alle novità introdotte dalla riforma, in Quaderni Aiaf, Viterbo, 2004, 230 s. e spec. 248 s., ove le critiche relative alle novità introdotte dalla l. n. 149 vista l'assenza fino ad oggi, in molte sedi giudiziarie minorili, di concreti e stabili rapporti tra Procura per i minorenni e Servizi sociali.

G. (32) CAMPANARO e V. RUSSO, Manuale dell'adozione, cit., 207 s.

Sin dagli anni '70 con il progetto Caporaso e quello (33) successivo Falcucci la questione fu posta. È noto che la proposta di l. 2 aprile 1971 n. 3264, che conteneva una disciplina organica sul Tribunale della famiglia con competenza generalizzata sia in materia civile che penale per tutto il diritto di famiglia e per i minori, non giunse all'approvazione, nonostante il parere favorevole espresso dal CSM nella relazione annuale sullo stato della giustizia del 1971.

Si fa riferimento ai due (34) disegni di legge su “Misure urgenti e delega al Governo per l'istituzione delle sezioni specializzati per la famiglia e i minori” (d.d.l. n. 2517/c) e su “Modifiche alla composizione e alle competenze del Tribunale penale per i minorenni” (d.d.l. n. 2501/c) presentanti nel marzo 2001, ma non approvati in Parlamento. In data 7 marzo 2003, il Consiglio dei Ministri ha approvato e presentato alla Commissione Giustizia della Camera dei deputati emendamenti ai due d.d.l. Il 31 luglio 2003, la Commissione ha approvato la riforma della giustizia minorile, ma nel novembre 2003 l'esame da parte del Parlamento non ha avuto esito positivo. La riforma è pertanto ancora attesa.

O. (35) GRECO, L'affidamento familiare, cit., 228; P. MOROZZO DELLA ROCCA, La funzione di garanzia della giurisdizione nel procedimento di adozione internazionale, in Minorigiustizia, 2003, I, 64 s.

A. (36) DELL'ANTONIO, Il ruolo dei Servizi nell'adozione internazionale, in Minorigiustizia, 2003, 1, 107 s. I Servizi sociali si occupano dei minori soggetti a provvedimenti dell'autorità giudiziaria minorile nell'àmbito delle competenze civili e amministrative (art. 23/c d.P.R. n. 616 del 1977) e penali (d.P.R. n. 448 del 1988). Ai sensi del d.P.R. n. 616, in particolare, i settori di intervento che richiedono un attivo coinvolgimento del Servizio sociale sono quello delle adozioni, della potestà genitoriale, della tutela, della rieducazione e il settore penale. Le competenze sono ora individuate dalla l. quadro n. 328 dell'8 novembre 2000, in G.U., 13 novembre 2000 n. 265. Per un approfondimento, GIANNINO e P. AVALLONE, I servizi di assistenza ai minori, Padova, 2000.

Rilevante è Corte cost. 28 luglio 1987 (37) n. 287, in Cons. Stato, 1987, II, 1189, che ribadisce la legittimità dell'attribuzione ai Servizi sociali degli enti locali delle competenze in tema di interventi rieducativi dei minori, di prevenzione criminale, di tutela nel quadro di finalità assistenziali e pedagogiche. Per un approfondimento, L. SACCHETTI, Il diritto minorile e dei servizi sociali. Interventi civili, Rimini, 1982 e R.

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RICCIOTTI, Il diritto minorile e dei Servizi sociali. Interventi amministrativi e penali, Rimini, 1982.

Si sofferma su questi aspetti L. (38) GRANOZIO, L'affidamento familiare, cit., 6 s.; I. PATRONE, I servizi sociali degli enti locali, in questa Rivista, 1993, 1335 s. Ribadiscono la necessità di un'adeguata preparazione GIANNINO e P. AVALLONE, I servizi di assistenza ai minori, cit., 184 s.

V., (39) ad esempio, Trib. Perugia 20 ottobre 1986, in Foro it., 1988, I, c. 108; Trib. Trieste 23 novembre 1990, in Nuova giur. civ. comm., 1993, I, 986.

V., ad esempio, Trib. Reggio Emilia 18 (40) novembre 1989, in Nuova giur. civ. comm., 1990, I, 544; App. Cagliari 9 aprile 1991, in Riv. giur. sarda, 1992, 158 s.

A. (41) BALDASSARRI e S. BALDASSARRI, La responsabilità civile del professionista, Milano, 1993, 371 s. Sulle scelte difficili, T. AMODEI, E adesso che faccio? L'assistente sociale fra pratica e teoria, Milano, 1996. Sull'importanza degli interventi di sostegno e rieducazione sociale, M. CAFERRA, Diritti della persona e stato sociale: il diritto dei Servizi socio-sanitari, Bologna, 2004 e S.A. FREGO LUPPI, Servizi sociali e diritti della persona, Milano, 2004.

G. (42) CAMPANARO e V. ROSSI, op. ult. cit., 275: “è necessaria la realizzazione di équipes interdisciplinari, specializzate sull'adozione al fine di effettuare delle indagini e delle valutazioni appropriate che consentano al giudice un esame completo dei requisiti soggettivi richiesti ed una giusta comparazione tra le coppie aspiranti. Occorre anche un buon canale di comunicazione tra l'organo giudiziario ed i Servizi preposti all'indagine, sia per l'inoltro della richiesta, sia perché possano essere individuate delle linee-guida che garantiscono la professionalità e la chiarezza dell'indagine, che, dovendo essere effettuata in tempo brevi, richiede l'intervento di operatori molto capaci”. Sul punto, La formazione dell'assistente sociale, a cura del Ministero dell'interno, Direzione generale dei servizi civili, Roma, 1983.

Sulla (43) nuova responsabilità professionale, A. BALDASSARRI e S. BALDASSARRI, La responsabilità civile del professionista, cit., 131 s.; F. CAFAGGI, La responsabilità del professionista, Torino, 1998 e, con riferimento alle ultime pronunce di legittimità, F. AMBROSETTI, La responsabilità nel lavoro medico d'équipe: profili penali e civili, Torino, 2003.

È il noto caso della comunità di San Patrignano ai fini (44) della responsabilità penale per il suicidio di un assistito tossicodipendente: Trib. Rimini 16 febbraio 1985, in Foro it., 1985, II, 431; App. Bologna 28 novembre 1987, in Foro it., 1988, II, 588.

È il noto caso Scozzani e Giunta che ha determinato la (45) decisione della Corte europea dei diritti dell'uomo 13 luglio 2000, in Fam. dir., 2001, 5 ss. Sulla responsabilità penale degli assistenti sociali, ritenuti tutori, ex art. 591 c.p., di una minore inserita dal Trib. min. in Comunità, v. App. pen. Torino 15 marzo 2005, in questa Rivista, 2005, 1189.

DIRITTO CIVILE    PERSONE E FAMIGLIA        matrimonio            scioglimento del matrimonio

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uso bolloContributo unificato e spese notifica esente

TRIBUNALE DI ....RICORSO PER LA CESSAZIONE DEGLI EFFETTI CIVILI

DEL MATRIMONIO CONCORDATARIO (oppure)PER LO SCIOGLIMENTO DEL MATRIMONIO CIVILE

Ill.mo Sig. Presidente,il Sig. ...., codice fiscale n. ...., nato a ...., il .... residente in ...., via ...., n. ...., codice

fiscale n. ...., domiciliato in ...., via ...., n. .... presso lo studio dell'Avv. .... che lo rappresenta e difende per procura stesa in calce al presente atto

PREMESSO- che in data .... ha contratto matrimonio concordatario (oppure) civile con la

Sig.ra ...., nata a ...., il .... e residente in ...., via ...., n. .... dalla quale è nato il figlio .... in data .... (oppure) sono nati i figli .... e .... rispettivamente in data .... e in data ....;

- che, con ricorso in data ...., ha chiesto la separazione personale dei coniugi in quanto ....;

- che il Tribunale di .... con sentenza n. .... emessa in data ...., passata in giudicato in data .... ha pronunciato la separazione giudiziale dei predetti coniugi affidando il figlio (oppure) i figli come segue: ....;

- che sono trascorsi più di tre anni senza esservi stata alcuna riconciliazione;- che l'esponente dal giorno della separazione ha lasciato il domicilio coniugale ed è

andata a vivere a .... dove attualmente risiede;- che ricorrono tutte le condizioni previste dalla legge per poter chiedere la

cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario (oppure) lo scioglimento del matrimonio;

tutto ciò premessoCHIEDE

che la S.V. Ill.ma voglia, ai sensi dell'art. 4 legge 1 dicembre 1970, n. 898, fissare l'udienza per la comparizione dei predetti coniugi, innanzi a sé, per ivi, previa emanazione dei provvedimenti temporanei e urgenti che reputerà opportuni nell'interesse della prole e dei coniugi, rimettere le parti innanzi al Giudice Istruttore, che sarà designato, per la prosecuzione del giudizio, affinché sia pronunciata la cessazione degli effetti civili (oppure) lo scioglimento del matrimonio con affidamento condiviso del figlio (oppure) dei figli alle seguenti condizioni: .....

Al fine della trasmissione degli avvisi e delle comunicazioni dichiara di volerli ricevere a mezzo fax al n. .... (oppure) all'indirizzo di posta elettronica: [email protected].

Allega certificato di matrimonio, stato di famiglia, certificato di nascita del figlio .... (oppure) dei figli .... e ...., certificato dell'ultima residenza comune dei coniugi, Sentenza del .... di ...., n. .... emessa in data .... e le ultime dichiarazioni dei redditi presentate.

.... lì ....Avv. ....

PROCURA ALLE LITIDelego l'Avv. .... con studio a ...., Via ...., n. ...., presso il quale eleggo domicilio, per

essere rappresentato e difeso nel presente giudizio e in ogni fase e grado dello stesso con ogni più ampio potere ....

....firma

Visto per autenticaAvv. ....

DEPOSITATO IN CANCELLERIAOGGI ....IL CANCELLIERE....Il Presidente,

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letto il ricorso che precede, visto l'art. 4 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, fissa per la comparizione personale dei coniugi, innanzi a sé, onde espletare quanto disposto dall'art. 4 della predetta legge, l'udienza del ...., alle ore .... Manda al ricorrente per la notifica del ricorso che precede e del presente decreto alla controparte entro il ....

Assegna il termine di giorni .... prima della predetta udienza entro cui il coniuge convenuto può depositare memoria difensiva e documenti.

.... lì ....IL CANCELLIERE IL PRESIDENTE.... ....