Riassunto tesi. La Critica del giudizio nell'interpretazione di Gilles Deleuze

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Riassunto della tesi di laurea Estetica e filosofia critica. La Critica del giudizio nell’interpretazione di Gilles Deleuze di Matteo Settura 1. MOTIVAZIONI DELLA RICERCA La ricerca nasce come proposta di chiarimento intorno al pensiero di Gilles Deleuze, e in particolare alla sua formulazione nei termini di un «empirismo trascendentale». L’obiettivo è articolare questa definizione paradossale analizzando l’interpretazione deleuziana della filosofia trascendentale di Kant. In tale contesto emerge la peculiare rilevanza che la Critica del giudizio assume nel progetto di un complessivo ripensamento della filosofia trascendentale, la quale si declina come tentativo di «riunificazione delle due estetiche»: estetica trascendentale ed estetica del bello e dell’arte. L’orizzonte della ricerca si profila dunque nel senso di un approfondimento della relazione che intercorre tra esperienza estetica e filosofia trascendentale. Nel suo intento fondamentale, la ricerca ha inteso evitare la riduzione del pensiero di Deleuze alle sue radici kantiane, così come il rischio di schiacciare la concettualità kantiana alla prospettiva storico-filosofica del filosofo francese: si è trattato piuttosto di fare luce, innanzitutto dal punto di vista terminologico, su numerosi concetti che sono fatti oggetto, da parte di Deleuze, di un recupero orientato, filtrato da una precisa intenzione interpretativa. La suddetta impostazione si giustifica, da un lato, con l’esigenza generale di mantenere un livello interpretativo il più possibile orientato all’oggettività storica dei rispettivi momenti, dall’altro, con la necessità specifica di ri-significare e ri-attivare alcune costruzioni concettuali deleuziane restituendole alla loro provenienza storico-filosofica, anche in senso propedeutico ad una possibile valutazione intorno alla legittimità del loro utilizzo nel contesto del pensiero dell’autore francese. In altri termini, non si è trattato di spiegare Deleuze attraverso Kant, né di re-interpretare Kant a partire da Deleuze, ma piuttosto, di saggiare la possibilità di considerare la filosofia deleuziana nella sua specificità come una delle possibili declinazioni della filosofia critico-trascendentale. 2. METODO DELLA RICERCA Dal punto di vista strutturale, la ricerca è stata organizzata nel suo complesso come un puntuale confronto testuale tra le 1

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Riassunto della tesi di laureaEstetica e filosofia critica. La Critica del giudizio nell’interpretazione di Gilles Deleuzedi Matteo Settura

1. MOTIVAZIONI DELLA RICERCA

La ricerca nasce come proposta di chiarimento intorno al pensiero di Gilles Deleuze, e in particolare alla sua formulazione nei termini di un «empirismo trascendentale». L’obiettivo è articolare questa definizione paradossale analizzando l’interpretazione deleuziana della filosofia trascendentale di Kant. In tale contesto emerge la peculiare rilevanza che la Critica del giudizio assume nel progetto di un complessivo ripensamento della filosofia trascendentale, la quale si declina come tentativo di «riunificazione delle due estetiche»: estetica trascendentale ed estetica del bello e dell’arte. L’orizzonte della ricerca si profila dunque nel senso di un approfondimento della relazione che intercorre tra esperienza estetica e filosofia trascendentale. Nel suo intento fondamentale, la ricerca ha inteso evitare la riduzione del pensiero di Deleuze alle sue radici kantiane, così come il rischio di schiacciare la concettualità kantiana alla prospettiva storico-filosofica del filosofo francese: si è trattato piuttosto di fare luce, innanzitutto dal punto di vista terminologico, su numerosi concetti che sono fatti oggetto, da parte di Deleuze, di un recupero orientato, filtrato da una precisa intenzione interpretativa. La suddetta impostazione si giustifica, da un lato, con l’esigenza generale di mantenere un livello interpretativo il più possibile orientato all’oggettività storica dei rispettivi momenti, dall’altro, con la necessità specifica di ri-significare e ri-attivare alcune costruzioni concettuali deleuziane restituendole alla loro provenienza storico-filosofica, anche in senso propedeutico ad una possibile valutazione intorno alla legittimità del loro utilizzo nel contesto del pensiero dell’autore francese. In altri termini, non si è trattato di spiegare Deleuze attraverso Kant, né di re-interpretare Kant a partire da Deleuze, ma piuttosto, di saggiare la possibilità di considerare la filosofia deleuziana nella sua specificità come una delle possibili declinazioni della filosofia critico-trascendentale.

2. METODO DELLA RICERCA

Dal punto di vista strutturale, la ricerca è stata organizzata nel suo complesso come un puntuale confronto testuale tra le proposizioni deleuziane e le opere kantiane di riferimento, seguendo, per ciascuna problematizzazione, le seguenti scansioni:

1) ricostruzione del contesto storico-interpretativo delle proposizioni; 2) esplicitazione del tema; 3) esplicitazione del nucleo o idea centrale; 4) esplicitazione dei riferimenti selettivi, distinguendo in espliciti (4.1) ed impliciti o indiretti

(4.2), con relativa ricostruzione del contesto storico-interpretativo (4.3), esplicitazione tematica (4.4) ed esplicitazione del nucleo teoretico (4.5);

5) approfondimento ed eventuale problematizzazione terminologici; 6) problematizzazione concettuale ed esplicitazione del contributo teoretico; 7) esplicitazione del rapporto del contributo con la prospettiva complessiva della ricerca e

passaggio alla successiva problematizzazione.Dal punto di vista della valutazione del materiale e della selezione dei contenuti rilevanti, la

ricerca ha dapprima preso in esame i testi deleuziani esplicitamente diretti alla interpretazione della filosofia di Kant (La filosofia critica di Kant, L’Idea di genesi nell’estetica di Kant, Sintesi e tempo), con l’obiettivo di fissare i punti rilevanti dell’opera kantiana nella prospettiva di Deleuze e di verificare la possibilità di conferire una direzione complessiva all’operazione interpretativa dell’autore francese. Questa fase ha richiesto contestualmente, da un lato, la chiarificazione dell’approccio deleuziano alla

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storia della filosofia nel suo complesso, al fine di valutare gli intenti e le procedure con le quali Deleuze si avvicinava alle concettualità kantiane; dall’altro, una ricognizione delle interpretazioni della filosofia di Kant in ambito francese cui Deleuze si riferisce esplicitamente o indirettamente, al fine di posizionare la sua lettura in termini di continuità o discontinuità con autori a lui contemporanei. Una volta isolata l’idea centrale dell’interpretazione deleuziana e individuata la sua direzione complessiva, la ricerca si è diretta al confronto con i testi kantiani di riferimento, con l’intento, da un lato, di fornire indicazioni utili ad una possibile valutazione riguardo alla validità dell’interpretazione di Deleuze, con il largo confronto tra l’interpretazione di Deleuze e studi critici specificamente dedicati ai temi da essa affrontati; dall’altro lato, di enucleare problemi e criticità intime alla stessa opera kantiana, e valutare in qual modo essi risultino riproposti e riattivati nell’interpretazione di Deleuze. Quest’ultima operazione permetteva anche di fondare il terzo momento della ricerca, consistente nel rileggere il concetto centrale del pensiero deleuziano, l’«empirismo trascendentale», alla luce appunto di tali problemi e di tali criticità. Si è trattato di ripercorrere un testo centrale per la produzione deleuziana (Differenza e ripetizione) alla ricerca dei punti nei quali l’autore lasciava trasparire la tensione verso problemi specificamente kantiani (quali, ad esempio, il paradosso degli enantiomorfi o il rapporto tra io empirico e io trascendentale, o ancora la relazione tra la sensazione dell’Estetica trascendentale e la sensazione delle Anticipazioni della percezione), per poi riportare tali questioni alla loro provenienza dai testi di Kant, esplicitandone e approfondendone l’origine e il senso con l’appoggio della letteratura critica di riferimento. Tutto ciò con l’intento di valutare il peso dell’ipotesi che l’eredità della filosofia trascendentale di Kant rivesta all’interno delle proposte deleuziane una portata fondante, in particolare nei termini della problematizzazione che ad esse sottende, anche laddove tali proposte, a tutta prima, sembrano tendere ad una chiusa autoreferenzialità terminologica e speculativa. Il quarto momento della ricerca prevedeva poi, sulla base dei risultati ottenuti, di procedere ad una chiarificazione fondamentale del significato dell’«empirismo trascendentale» attraverso l’apertura del tema ad una prospettiva interdisciplinare che coinvolgesse la relazione tra l’esperienza estetica e la filosofia trascendentale. In questo contesto sono state prese in considerazione le opere deleuziane dedicate al cinema, con l’intenzione di verificare in quale misura esse convergessero intorno alle tematiche kantiane sopra enucleate e permettessero di applicare ad analisi puntuali le concettualità emerse.

3. RISULTATI DELLA RICERCAL’idea fondante del pensiero di Deleuze è qui delineata a partire dalla relazione fondamentale

tra estetica e pensiero critico. L’estetica della terza Critica è per Deleuze la chiave d’accesso e al contempo l’occasione di un ripensamento intorno alla filosofia critica come metodo e come sistema. La dimensione estetica traccia così una prospettiva «metacritica» sulla stessa filosofia trascendentale. Se la filosofia critica è infatti quel pensiero che si pone il compito di delineare «limiti» (Grenzen) e «confini» (Schränken), la scoperta di queste soglie e di queste barriere, l’appressarsi ad esse, è per Deleuze il proprium dell’estetica. L’estetica è intesa in Deleuze come «scienza del sensibile», dove però “scienza” significa innanzitutto “euristica”, prassi della scoperta dell’oggetto culturale, o, in termini deleuziani, «apprentissage» a partire dall’incontro con il «segno». E proprio nella Critica del giudizio Kant dispiega un’euristica, un tentativo di fondare, almeno nella forma della «presupposizione», la possibilità di fare esperienza e scienza del singolare, o della «molteplicità» potenzialmente «caotica»: se infatti con la Critica della ragion pura aveva fondato la possibilità logica dell’esperienza «in generale» (überhaupt), l’impresa critica esigeva ancora di una fondazione della conoscenza scientifica dal punto di vista della possibilità di ordinare e classificare il molteplice della natura, preoccupazione questa che sarebbe rimasta costante anche dopo la pubblicazione della terza Critica. In secondo luogo diremo, però, che la Critica del giudizio è

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anche, secondo Deleuze, l’opera che sancisce la frattura dell’estetica nelle sue «due metà»: da un lato, l’estetica trascendentale della Critica della ragion pura, dall’altro, l’estetica del bello e del sublime. Distinzione questa che si riflette in Deleuze nel momento stesso in cui egli annuncia la necessità del suo superamento: la «scienza del sensibile» deve permettere l’accesso all’«essere del sensibile», deve anzi coincidere con esso. L’oggetto estetico, che la Critica del giudizio svela nella sua paradossalità di oggetto che si presenta come soggetto in quanto «determina» le facoltà nel loro libero accordo, racchiude così l’inizio, l’occasione sempre riaperta dalla «violenza» che «costringe a pensare». Il pensiero inizia allora nell’incontro con il suo limite, che gli inerisce inesauribilmente: un limite esteticamente appreso. La riunificazione delle due estetiche si trova pertanto al centro della relazione tra estetica e filosofia critica: da un lato, rimanda la prima alla sua funzione al contempo contingente e fondativa, dall’altro, prospetta per la seconda una dimensione genetica che intende contrapporsi al trascendentale inteso come pura condizione di possibilità. I limiti che cerca, la filosofia critica li incontra nel sensibile: anzi, il sensibile stesso assume i connotati del limite, che insieme, proprio in quanto limite, fa segno. Tale riunificazione, d’altra parte, non avrebbe senso se non cominciasse col portare in luce, come Deleuze fa costantemente allorché si riferisce a Kant, il terreno propriamente trascendentale nel quale tanto l’estetica del bello quanto l’estetica delle forme dell’intuizione si trovano fondate: nelle parole del filosofo parigino questo terreno è la «determinazione non concettuale». Proprio la Critica del giudizio ammette e, anzi, colloca nel cuore del procedere stesso della riflessione una dimensione non concettuale della determinazione, un «sentimento» (Gefühl) che talvolta è anche detto «sensazione» (Empfindung). Analogamente, alle radici stesse della «scoperta» kantiana del trascendentale si trova il paradosso degli «opposti incongruenti» (incongruentes Gegenstück), vero e proprio limite invalicabile per il pensiero concettuale che obbligherà a rinunciare alla possibilità analitica di ridurre le forme dell’intuizione all’intelletto discorsivo. Così la formazione del criticismo procede dall’incontro con il limite, segno di una «differenza interna», di una «ragione intrinseca della diversità». Dire che l’impresa critica kantiana inizia e finisce, se mai è finita, ponendosi il problema delle determinazioni non concettuali potrebbe essere un buon modo di parafrasare la sottolineatura interpretativa di Deleuze. In terzo luogo, come abbiamo accennato e prima di passare all’esposizione preliminare dei contenuti del presente lavoro, occorre sottolineare come il pensiero critico incontri l’estetica quale istanza che, ponendolo da subito di fronte ai limiti che esso esige di determinare, lo rimanda, correlativamente, alla necessità di una ridefinizione che vada al di là della posizione di condizioni trascendentali del conoscere; lo obbliga così ad interrogarsi sul criterio di validità dei suoi procedimenti, che si muovono sul piano della «topica» delle facoltà o funzioni trascendentali. In questa prospettiva, nella Critica del giudizio letta attraverso gli occhi di Deleuze, troviamo lo schiudersi inaspettato di una lettura genetica del trascendentale, che si interroghi intorno al modo in cui il pensiero sorge e non solo intorno alle condizioni generali del suo darsi. Accade così che Deleuze rinvenga, nell’Analitica del sublime, il modello e il principio di un processo di genesi trascendentale che muove da una concezione dialettica delle facoltà e dall’incontro con un oggetto non mai oggettivabile nei termini della sintesi della percezione. Nel sublime, in altre parole, Deleuze trova il sensibile allo stato puro, «ciò che può essere soltanto sentito», il «segno» e il «limite» di cui sopra. Il sublime indica una via d’accesso genetica alla filosofia trascendentale: una via che non preordina né presuppone una topica facoltaria prefissata, ma produce l’accordo a partire dal disaccordo. Proprio questo modello deve permetterci di comprendere anche in che cosa consista quell’«empirismo trascendentale» che attraversa il pensiero di Deleuze da parte a parte. L’estetica deleuziana, a dispetto di questa definizione, non è mai empirica, se non nel senso, già accennato, di una “euristica”, dove

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l’empirismo è l’arte dell’incontro con il singolare, cioè arte del limite che palesa il «blocco» (blocage) del concetto. L’esperienza estetica mette in crisi l’esperienza ordinaria: ma questa crisi costituisce l’occasione per accedere ad un esercizio non ordinario, non quotidiano, non comune delle facoltà. Il «privilegio del sensibile» consiste allora in questo: che solo attraverso di esso, nel suo carattere paradossale di «forma del determinabile» è possibile uscire dall’esperienza ordinaria per ricercare la genesi trascendentale dell’esperienza. Questo, sia detto per inciso, non significa affatto rigettare l’esperienza ordinaria o rifiutare il valore e la legittimità del «riconoscimento» empirico; significa invece mettere in dubbio che assumere quest’ultimo come modello delle strutture trascendentali, pur se avviene astraendo dal contenuto particolare della rappresentazione e con riguardo alla sola forma, possa mai essere utile in filosofia. L’esperienza estetica offre, se indagata riguardo alle sue condizioni trascendentali, precisamente l’occasione di rintracciare una dimensione genetica-trascendentale dell’esperire che non ricalca affatto quella del «riconoscimento»; l’oggetto estetico, e segnatamente il simbolo e l’aliquid che scatena il sentimento sublime, proprio nella misura in cui non condividono l’oggettività del conoscere, rivelano una dimensione della soggettività trascendentale che resta completamente nascosta allorché si prendano le mosse dalla modalità conoscitiva della determinazione oggettuale. Non a caso l’«arte nascosta» della dottrina dello schematismo trova, come vedremo, un possibile chiarimento allorché sia riguardata in relazione al simbolo del § 59 della Critica del giudizio. Il percorso che qui abbiamo brevemente anticipato ci permette infine di introdurre la tesi più generale che sottende a questo lavoro: filosofia critica ed estetica, intesa nel duplice senso che abbiamo sopra esposto, finiscono per coincidere nell’«empirismo trascendentale». Il modo di questa coincidenza è quello di un correlativo rimando reciproco: a ragione l’impresa critica si compie con un’Estetica, nella misura in cui l’estetica fornisce alla filosofia critica quella prospettiva genetica, quell’ipotesi sul prodursi effettivo del pensiero, cioè sull’accordo tra facoltà e sul procedere della riflessione trascendentale che ad essa, secondo Deleuze, nelle prime due critiche ancora manca. Allo stesso tempo, è l’istanza d’immanenza, che guida la filosofia critica in tutto il suo procedere, ad esigere una tale prospettiva genetica: immanenza e «privilegio del sensibile» rinviano l’uno all’altro e al «metodo trascendentale» corrisponde una «scienza del sensibile».

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