Riassunto Capitolo VIII Breviario Di Diritto Del Lavoro - Vallebona

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CAPITOLO VIII L’ESTINZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO A) IL LICENZIAMENTO INDIVIDUALE IL REGIME DEL CODICE CIVILE IL LICENZIAMENTO LIBERO CON PREAVVISO solo per il contratto a tempo indeterminato L’art. 2118, c.1, codice civile regola uniformemente il recesso del datore di lavoro ( licenziamento) e del lavoratore (dimissioni) dal contratto di lavoro a tempo indeterminato , consentendolo liberamente con il SOLO OBBLIGO DI PREAVVISO. Questo recesso, detto ad nutum ( = con un cenno) non richiede alcuna giustificazione, ma è rimesso alla insindacabile decisione del suo autore. Si tratta di un negozio unilaterale recettizio che per produrre effetto deve essere portato a conoscenza del destinatario. A tutela della parte che subisce il recesso è previsto l’obbligo di preavviso e quindi l’estinzione del rapporto è differita per un determinato periodo di tempo. La durata del preavviso è fissata dai contratti collettivi, che di solito la differenziano in base all’anzianità di servizio ed alla qualifica del lavoratore , prevedendo di norma, un preavviso più lungo per il licenziamento rispetto alle dimissioni. In caso di mancanza o inapplicabilità del contratto collettivo occorre far ricorso agli usi o all’equità. Il lavoratore malato non può essere licenziato fino alla scadenza del periodo di comporto, ma se ciò avviene, il licenziamento non è nullo, bensì solo temporaneamente inefficace. La malattia sopravvenuta durante il periodo di preavviso ne sospende il decorso, essendo impedita la normale funzione ( ricerca di altra occupazione) del preavviso medesimo. È fatto salvo solo il licenziamento per giusta causa. 1

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CAPITOLO VIII

L’ESTINZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO

A) IL LICENZIAMENTO INDIVIDUALE

IL REGIME DEL CODICE CIVILE

IL LICENZIAMENTO LIBERO CON PREAVVISOsolo per il contratto a tempo indeterminato

L’art. 2118, c.1, codice civile regola uniformemente il recesso del datore di lavoro ( licenziamento) e del lavoratore (dimissioni) dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, consentendolo liberamente con il SOLO OBBLIGO DI PREAVVISO.Questo recesso, detto ad nutum ( = con un cenno) non richiede alcuna giustificazione, ma è rimesso alla insindacabile decisione del suo autore.Si tratta di un negozio unilaterale recettizio che per produrre effetto deve essere portato a conoscenza del destinatario.A tutela della parte che subisce il recesso è previsto l’obbligo di preavviso e quindi l’estinzione del rapporto è differita per un determinato periodo di tempo.La durata del preavviso è fissata dai contratti collettivi, che di solito la differenziano in base all’anzianità di servizio ed alla qualifica del lavoratore, prevedendo di norma, un preavviso più lungo per il licenziamento rispetto alle dimissioni. In caso di mancanza o inapplicabilità del contratto collettivo occorre far ricorso agli usi o all’equità.Il lavoratore malato non può essere licenziato fino alla scadenza del periodo di comporto, ma se ciò avviene, il licenziamento non è nullo, bensì solo temporaneamente inefficace. La malattia sopravvenuta durante il periodo di preavviso ne sospende il decorso, essendo impedita la normale funzione ( ricerca di altra occupazione) del preavviso medesimo. È fatto salvo solo il licenziamento per giusta causa.Il periodo di preavviso non può essere computato nelle ferie di cui impedirebbe un sereno godimento, salvo l’ipotesi di ferie non imposte dal datore di lavoro, ma richieste dal lavoratore nel proprio interesse.

In caso di mancato preavviso:il recedente è tenuto verso l’altra parte a un’indennità equivalente all’importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso. Si tratta di un’indennità di mancato preavviso ed è dovuta indipendentemente dalla prova di un danno effettivo.Viene sostenuta la tesi della c.d. efficacia solo obbligatoria del preavviso, sicché il recedente scegliendo di corrispondere l’indennità ha il potere di far cessare immediatamente il rapporto senza il consenso dell’altra parte. Questa posizione appare condivisibile per la sua funzione diretta a non far proseguire forzatamente il rapporto nel periodo di preavviso, ma ad assicurare al lavoratore licenziato un’indennità con il vantaggio di cercare più attivamente una nuova occupazione stante la liberazione dalla prestazione lavorativa.

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Nel nostro ordinamento permane ancora un’area di non applicazione della disciplina limitativa del licenziamento individuale. Si tratta di ipotesi limitate in cui è consentito al datore di lavoro recedere senza necessità di alcuna motivazione e senza alcun tipo di formalità procedurale e perciò si parla di recesso ad nutum. L’unica tutela minima per il lavoratore è economica in quanto deve essere comunque osservato il preavviso, salvo il caso di giusta causa di recesso ( art. 2119 c.c.).La possibilità di licenziamento ad nutum riguarda:

I dirigenti, espressamente esclusi dal campo di applicazione della L. 604/1966. Nei confronti dei dirigenti si applica però l’obbligo di comunicazione scritta del licenziamento;

I lavoratori in prova, per tutto il periodo di prova e fino a 6 mesi dall’assunzione; Gli sportivi professionali; Gli assunti con contratto di lavoro domestico; I lavoratori ultrasessantenni in possesso di requisiti pensionistici.

IL LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSAriguarda sia i contratti a tempo determinato che quelli a tempo indeterminato

A differenza del recesso libero con preavviso, il recesso per giusta causa (art. 2119 c.c.) riguarda non solo il contratto di lavoro a tempo indeterminato, ma anche quello a tempo determinato.La giusta causa è <<QUELLA CHE NON CONSENTA LA PROSECUZIONE, ANCHE PROVVISORIA DEL RAPPORTO>> sicché la sua verificazione legittima l’estinzione immediata del rapporto di lavoro.Ciò significa che nel contratto a tempo determinato non occorre attendere la scadenza del termine e nel contratto a tempo indeterminato NON OCCORRE IL PREAVVISO, parlandosi in proposito di recesso in tronco.

NEL CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO, il datore di lavoro che intenda licenziare ante tempus il prestatore deve PROVARE la giusta causa o l’impossibilità sopravvenuta, altrimenti il licenziamento è inefficace ed il rapporto prosegue fino alla scadenza pattuita con il conseguente obbligo retributivo o, come ritiene la giurisprudenza, risarcitorio in misura pari alle retribuzioni perdute con eventuale detrazione di quanto guadagnato altrove.

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Regime differenziato per le dimissioniIl lavoratore che si dimette per giusta causa da un rapporto a tempo indeterminato ha diritto ad un’indennità pari a quella di mancato preavviso. Qui l’indennità tutela il lavoratore costretto al recesso, considerato in una situazione di difficoltà analoga a quella del lavoratore che subisce senza il dovuto preavviso. Mentre nessuna tutela è apprestata al datore di lavoro che debba recedere per giusta causa, benché anch’egli si trovi improvvisamente costretto a privarsi del dipendente.

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NEL CONTRATTO A TEMPO INDETERMINATO, il licenziamento per giusta causa esclude il diritto del lavoratore al preavviso. L’onere di allegazione e prova della giusta causa, quale fatto impeditivo del diritto al preavviso, grava sul datore di lavoro recedente.

Il licenziamento per giusta causa può riguardare anche il lavoratore malato, essendo la tutela del malato limitata al solo licenziamento con preavviso.

LA REGOLA DELLA GIUSTIFICAZIONE NECESSARIA

L’affermazione dei principi costituzionali dell’uguaglianza sostanziale e della tutela del lavoro ha posto le basi per l’emanazione di una legge che prevedesse il divieto di licenziamenti immotivati.

Ed è stata la L. n. 604/1966 che, mantenendo intatta la libertà di dimissioni, ha sancito l’illegittimità dei licenziamenti intimati

SENZA GIUSTA CAUSA O GIUSTIFICATO MOTIVO

trovando però applicazione solo nelle imprese con + di 35 dipendenti.

Un decisivo passo avanti verso la tutela effettiva della stabilità del rapporto di lavoro è stata poi

compiuta dalla L. n. 300/1970 ( Statuto dei Lavoratori) che ha previsto all’art. 18 la reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore illegittimamente licenziato.

La Legge n. 108/1990 ha poi dato un nuovo assetto alla normativa del licenziamento, modificando le predetti leggi:

la legge 604/66 è stata estesa anche alle aziende di piccole dimensioni; mentre la tutela dell’art. 18 L. 300/1970 viene applicata ai lavoratori delle imprese con più

di 15 dipendenti.

La Legge 183/2010 c.d. collegato lavoro, ha apportato modifiche al regime di impugnazione del licenziamento estendendone il campo di applicazione. consentendolo liberamente con il SOLO

Le novità della Riforma Fornero ( Legge n. 92/2012):Nel 2012 nell’ambito di un’ampia riforma del mercato del lavoro è stata completamente revisionata la disciplina dei licenziamenti individuali. Viene in particolar modo stravolto il regime sanzionatorio dei licenziamenti illegittimi previsti dall’art. 18 Stat. Lav. che fino alla riforma Fornero è stato unico per tutti i casi di illegittimità ( nullità , annullamento e inefficacia) ed indipendente dalla motivazione del licenziamento.

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OBBLIGO DI PREAVVISO.

La regolamentazione del licenziamento:Il recesso del datore di lavoro dal rapporto a tempo indeterminato è regolato dalla legge 604/66, dall’art. 18 Stat. Lavoratori e dalla Legge 108/1990. Questi testi regolamentano il licenziamento ponendo dei requisiti sostanziali e procedurali per la legittimità dello stesso e apprestando un regime di tutela per il lavoratore illegittimamente licenziato. I requisiti sostanziali si traducono nell’obbligo di una causa giustificatrice del recesso:il licenziamento del prestatore di lavoro, infatti, non può avvenire che per giusta causa ( art. 2119 c.c.) o per giustificato motivo ( legge 604/1966).La giusta causa ed il giustificato motivo rientrano nell’ambito delle c.d. clausole generali, rispetto alle quali, in caso di giudizio, il giudice deve limitarsi ad accertare il presupposto di legittimità, senza poter sindacare il merito delle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che spettano al datore di lavoro. L’inosservanza da parte del giudice di tale limite costituisce un motivo di impugnazione della sentenza per violazione delle norme di diritto.In particolare, nel valutare le motivazioni poste a base del licenziamento, il giudice deve tener conto delle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo presenti nei contratti collettivi di lavoro ( stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi) o nei contratti individuali di lavoro purché certificati.

Tipizzazioni legali nel lavoro pubblico: alcune condotte costituenti giusta causa di licenziamento sono tipizzate dalla legge, si esclude pertanto una valutazione di gravità e proporzionalità del giudice, in quante tale valutazione è stata effettuata in astratto dal legislatore. Ad esempio è tipizzato come giustificato motivo di licenziamento l’insufficiente rendimento per almeno un biennio dovuto a reiterata violazione di obblighi inerenti la prestazione lavorativa.

Nel pubblico impiego in passato si escludeva la possibilità di licenziamenti ad nutum, conseguendone il controllo del giudice amministrativo in via di giurisdizione esclusiva su eventuali provvedimenti di destituzione, dispensa, decadenza e collocamento a riposo, con annullamento

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Modifiche apportate dalla riforma Fornero:- Viene differenziato il regime sanzionatorio previsto dall’art. 18 Sta. Lav.

Per i licenziamenti illegittimi, a seconda delle diverse ipotesi di illegittimità e della motivazione del licenziamento;

- Viene introdotto per il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, una procedura di conciliazione obbligatoria che il datore di lavoro deve attivare prima della comunicazione di licenziamento ( operativa solo nelle aziende con più di 15 dipendenti);

- Viene posto a carico del datore di lavoro l’obbligo di specificare nella lettera di licenziamento i motivi che lo hanno determinato;

- Viene ridotto da 270 a 180 giorni il termine entro il quale deve essere depositato il ricorso giudiziale o comunicato alla controparte il tentativo di conciliazione o arbitrato;

- Viene introdotto un rito speciale specifico per le controversie aventi ad oggetto l’impugnativa del licenziamento nelle ipotesi regolate dal novellato art. 18, contraddistinto da celerità e snellezza.

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degli stessi in caso di accertata illegittimità. Questa generale stabilità nell’impiego, con esclusione ora di alcune ipotesi di licenziamento libero, permane anche dopo la privatizzazione del pubblico impiego e la devoluzione delle controversie al giudice del lavoro, per effetto dell’applicazione dell’art. 18 a tutte le P.A. a prescindere del numero di dipendenti, e quindi con una tutela più ampia rispetto a quella del lavoro privato. Per i rapporti di lavoro non privatizzati opera ancora la tradizionale stabilità dell’impiego secondo le regole del diritto amministrativo.

Una compressione del potere di licenziamento deriva anche dalle c.d. clausole di durata minima talora inserite nei contratti individuali che appunto impegnano il datore di lavoro a non recedere per un certo periodo o sino al verificarsi di un determinato evento.

LA GIUSTA CAUSAAbbiamo visto che l’art. 2119 disciplina la giusta causa come causa che non consente la prosecuzione, neanche provvisoria del rapporto a tempo indeterminato nonché quello a tempo determinato.Si tratta di qualunque fatto di oggettiva gravità, riferibile tanto alla sfera contrattuale quanto a quella extracontrattuale ( es. lavoratore di banca che si affilia alla criminalità organizzata) che eliminano l’interesse del datore di lavoro alla collaborazione con quel lavoratore. Generalmente si parla di lesione del vincolo della fiducia.La giurisprudenza ha elaborato il principio dell’immediatezza, secondo cui il licenziamento per giusta causa è ammesso solo in contiguità temporale con la verificazione del fatto o la conoscenza dello stesso da parte del datore di lavoro. Tuttavia l’immediatezza è intesa in senso relativo, essendo compatibile con il tempo necessario per l’esatto accertamento dei fatti e per la loro adeguata valutazione, con onere della prova sul datore di lavoro interessato a giustificare il ritardo.

Sospensione cautelare: nelle more dell’accertamento e della valutazione dei fatti e poi del procedimento disciplinare, il datore di lavoro che tema pregiudizi dalla presenza in azienda del dipendente può procedere alla SOSPENSIONE CAUTELARE del medesimo a fini non punitivi. La giurisprudenza impone l’obbligo retributivo per il relativo periodo, salvo diversa disciplina del contratto collettivo. Per i dipendenti pubblici la sospensione cautelare è obbligatoria in caso di condanna penale non definitiva per reati di peculato, concussione e corruzione, mentre è facoltativa per pendenza del processo penale.

La legge esclude che sia configurabile come giusta causa il fallimento dell’imprenditore o la liquidazione coatta amministrativa , sicché i lavoratori divenuti superflui non possono essere licenziati in tronco, ma devono essere licenziati con preavviso.L’accertamento della giusta causa viene effettuato dal giudice, con valutazione di gravità che tiene conto degli specifici elementi soggettivi e oggettivi della fattispecie concreta, quali il tipo di mansioni svolte, gli eventuali precedenti disciplinari, il carattere doloso o colposo dell’infrazione, le circostanze di luogo e di tempo, le probabilità di reiterazione dell’illecito, il disvalore ambientale della condotta quale modello diseducativo per gli altri dipendenti. Non occorre che il datore di lavoro abbia subito un danno. Il REATO eventualmente commesse dal lavoratore non costituisce di

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per sé giusta causa di licenziamento dovendo, comunque, essere accertata caso per caso, la sua idoneità ad impedire la prosecuzione anche provvisoria della collaborazione tra le parti.

Conversione di licenziamento: In caso in cui viene accertata l’insussistenza della giusta causa invocata dal datore di lavoro per il licenziamento in tronco, il rapporto di lavoro si estingue egualmente laddove è consentito il licenziamento libero ( con preavviso). Rimane efficace, inoltre, se il fatto non integrante gli estremi della giusta causa sia qualificabile come giustificato motivo. In queste ipotesi il lavoratore ha diritto alla indennità di mancato preavviso ed ogni altra spettanza connessa all’efficacia reale di questo.

Casistica giurisprudenziale sulla giusta causa di licenziamento:A) FATTI INCIDENTI SULLA IDONEITÀ PROFESSIONALE:

Acquisto, detenzione e uso di stupefacenti, possesso illegittimo di armi, emissione di assegni a vuoto e aver subito protesti cambiari, matrimonio solo civile di insegnati di scuola cattolica, dissenso ideologico di una lavoratore addetto a mansioni di tendenza; falsa testimonianza resa in giudizio civile tra datore di lavoro e altro lavoratore, rapporti carnali fuori dell’orario di lavoro con la moglie del datore di lavoro titolare di piccola impresa, gestione abusiva di scommesse e gioco del lotto.

B) FATTI INERENTI ALLO SVOLGIMENTO DEL RAPPORTO Assenze ingiustificate, rifiuto di misure di sicurezza, i distruzione di beni aziendali, furto o

uso personale di beni aziendali, sottrazione o diffusione di documenti e dati aziendali riservati, falsificazione del registro delle presenze, ingiurie e diffamazioni contro superiori gerarchici, registrazione clandestina di conversazioni tra colleghi o con il superiore, molestie sessuali e atti osceni in occasione della prestazione lavorativa, abbigliamento incompatibile con l’immagine dell’azienda, omessa comunicazione di informazioni doverose, l’usura nei confronti di un collega, ubriachezza sul luogo di lavoro, rapporti impropri con i fornitori.

IL GIUSTIFICATO MOTIVOSOGGETTIVO

preavviso e diritto alla retribuzione

colpa del lavoratore

IL GIUSTIFICATO MOTIVOOGGETTIVO

ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare

funzionamento di essa

il lavoratore non ha colpa

Il giustificato motivo soggettivo consiste in un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro. Si tratta di fatti e comportamenti COLPOSI del lavoratore (strettamente attinenti al rapporto di lavoro) che, sebbene meno gravi rispetto alla giusta causa, sono tali da far venir meno nel datore di lavoro la fiducia posta a fondamento del rapporto. Il giustificato motivo legittima il licenziamento CON PREAVVISO così differenziandosi dalla giusta causa che invece esclude il preavviso in

Il giustificato motivo oggettivo è determinato da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa. Il giudice non può sindacare le scelte economiche-organizzative del datore di lavoro, ma può verificare l’effettiva realizzazione di tale scelte ed in nesso causale con il licenziamento. Al datore di lavoro spetta provare la reale soppressione del posto ( per crisi di mercato, per automazione di un processo

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quanto non consente la prosecuzione neanche provvisoria del rapporto.Se l’inadempimento non è notevole il datore di lavoro può solo irrogare una sanzione disciplinare conservativa del rapporto.Lo scarso rendimento del lavoratore consente il licenziamento per giustificato motivo soggettivo solo se integra gli estremi del notevole inadempimento, altrimenti rileva come giustificato motivo oggettivo.L’accertamento del giustificato motivo viene effettuato dal giudice, con valutazione di gravità che tiene conto degli specifici elementi soggettivi e oggettivi della fattispecie concreta, e conseguentemente stabilire se ricorra una giusta causa oppure un giustificato motivo soggettivo oppure una situazione che consente solo una sanzione conservativa. Nel lavoro pubblico privatizzato sono tipizzate dalla legge alcune ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo che escludono il controllo del giudice sulla gravità della condotta così tipizzata.Anche qui si applica il principio dell’immediatezza sebbene in modo più attenuato rispetto all’ipotesi di giusta causa.

produttivo). Ciò non significa necessariamente soppressione delle mansioni poiché la scelta organizzativa può consistere anche nella loro distribuzione tra altri dipendenti già in servizio. La prova della effettiva soppressione del posto non è, tuttavia, sufficiente da sola ad integrare gli estremi del giustificato motivo oggettivo, essendo necessaria anche la dimostrazione della inutilizzabilità del lavoratore in altre posizioni equivalenti.Nella nozione di giustificato motivo oggettivo rientrano anche fatti inerenti la persona del

lavoratore ( non imputabili a lavoratore a titolo di colpa) ma incidenti sulla organizzazione aziendale. Es. inidoneità fisica sopravvenuta del lavoratore purché non derivi da infortunio sul lavoro o malattia professionale o perdita di requisiti soggettivi ( es. sospensione patente guida di un autista o del porto d’armi di una guardia giurata o il ritiro del tesserino doganale per il lavoratore doganale).

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L’INGIUSTIFICATEZZA QUALIFICATALa legge 92/2012 ha novellato l’art. 18 statuto lavoratori introducendo nel nostro ordinamento la nozione di ingiustificatezza qualificata ( sanzionata con la tutela reale), mentre in caso di normale giustificatezza si applica la tutela solo indennitaria. La tutela reale1 è prevista, infatti:

- per i licenziamenti vietati o viziati formalmente (articolo 18, commi 1-3);- oppure per una inidoneità inesistente o per un comporto di malattia non scaduto

(articolo 18, comma 7);- E nei tre casi di ingiustificatezza qualificata tipizzati dalla legge, tutti indicativi di una

ingiustificatezza macroscopica equivalente al “torto marcio” del datore di lavoro, che abbia resistito in giudizio con mala fede o colpa grave appunto nella consapevolezza del proprio torto. Quanto al licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo sono stabilite due vie alternative di accesso alla tutela reale:

1) «insussistenza del fatto contestato» 2) oppure quando «il fatto rientra tra le condotte punibili con una

sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili»articolo 18, comma 4).

«Insussistenza del fatto» significa che l’accusa rivolta al lavoratore non è risultata vera in punto di fatto e si distingue chiaramente dall’ipotesi del fatto accertato, ma ritenuto di gravità insufficiente a fondare la sanzione espulsiva. Quest’ultima ipotesi, sintetizzabile con l’espressione “fatto insufficiente”, rientra nell’ingiustificatezza non qualificata con tutela solo indennitaria.

Invece, nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo si accede alla tutela reale in caso:

3) «manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento.»

Con riferimento al caso di manifesta insussistenza del fatto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, l’art. 18 prevede che il giudice “può” e non “deve” né semplicemente “applica” il regime sanzionatorio della reintegrazione nel posto di lavoro. In proposito la motivazione del giudice è necessaria. La dottrina ha sottolineato come l’espressione usata dal legislatore lasci intendere una scelta discrezionale del giudice se applicare o meno la tutela reale. Inoltre, la norma non fissa i criteri in base al quale egli deve decidere, il che solleva forti dubbi di costituzionalità.La tutela reale in tale ipotesi è quindi una extrema ratio affidata al vaglio giudiziale, da effettuare con lealtà e fedeltà alla ratio della riforma.

1Tutela reale, caratterizzata dal riconoscimento al lavoratore illegittimamente licenziato del diritto alla prosecuzione del rapporto e al risarcimento del danno;Tutela obbligatoria , cioè riconoscimento al dipendente ingiustamente licenziato del solo diritto alla riassunzione oppure al versamento di una indennità determinata dal giudice.

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L’accertamento delle 3 ipotesi di ingiustificatezza qualificata interessa il lavoratore, sicché l’onere grava sul lavoratore. È vero che l’onere della prova della giustificazione del licenziamento rimane sul datore di lavoro, ma una volta accertata l’ingiustificatezza semplice, il rischio del mancato accertamento degli ulteriori fatti costitutivi della ingiustificatezza qualificata grava sul lavoratore.

I DIVIETI DI LICENZIAMENTO

In tutti i rapporti di lavoro siano essi sottoposti aRegime di licenziamento libero

Regime di giustificazione necessaria con tutela realeRegime di giustificazione necessaria con tutela obbligatoria

operano indistintamente alcuni specifici divieti di licenziamento, disposti dal legislatore a difesa di valori preminenti.Caratteristiche essenziali comuni a questi divieti sono:

da un lato l’onere della prova a carico del lavoratore della situazione fondante il divieto con evidente profonda differenza rispetto alla regola di giustificazione necessaria della cui prova è onerato il datore di lavoro;

dall’altro lato la tutela reale speciale per la violazione del divieto che il lavoratore ha interesse ad invocare.

In pratica, il nuovo testo dell’art. 18 comma 1 L.300/1970, elenca tutti i casi di licenziamento NULLI ( a cui si applica una tutela reale), senza introdurre fattispecie aggiuntive rispetto a quelle già previste, ma operando una concentrazione, nell’ambito di un’unica norma, della pluralità delle ipotesi preesistenti ovvero:

Licenziamento discriminatorio, ovvero intimato da ragioni politiche, religiose, razziali, di lingua, di sesso, di disabilità, dall’appartenenza ad un sindacato o dalla partecipazione ad attività sindacali;

Per causa di matrimonio, ovvero intimato nel periodo intercorrente dal giorno della richiesta delle pubblicazioni di matrimonio ad un anno dopo la celebrazione;

Per violazione dei divieti di licenziamento a tutela della maternità e della paternità;

Per motivo illecito determinante ex art. 1345 c.c.;

Per “altri casi di nullità previsti dalla legge”;

Per licenziamento intimato in forma orale.

In tutti questi casi il giudice, a prescindere dal numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro:

ordina al datore di lavoro la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro anche se il lavoratore può sempre optare, in alternativa, per un’indennità sostitutiva pari a 15 mensilità;

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condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno commisurata all’ultima retribuzione globale maturata (e comunque non inferiore a 5 mensilità).

La riforma prevede altresì che dall’indennità risarcitoria sia dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività (c.d .aliunde perceptum). Inoltre ora per espressa previsione in caso in cui il lavoratore opti per l’indennità sostitutiva, la richiesta determina la risoluzione del rapporto e l’indennità non è assoggettata a contribuzione previdenziale.

Vediamo in dettaglio:Licenziamento per motivo illecito Il licenziamento discriminatorio

In base alla disciplina generale del negozio giuridico è vietato il licenziamento intimato esclusivamente per un motivo illecito.Il motivo illecito è quello contrario a norme imperative, all’ordine pubblico e al buon costume, qui ricordandosi, a titolo di esempio, il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione di congedi parentali, familiari o formativi, nonché il licenziamento per ritorsione all’azione giudiziaria proposta dal lavoratore oppure alla resistenza del medesimo a pretese illegittime avanzate dal datore di lavoro.Il motivo illecito rileva solo sé è l’unico DETERMINANTE, sicché il licenziamento è, comunque, valido se è giustificato, a prescindere dall’eventuale concorso di un motivo illecito.

La legge vieta il licenziamento intimato da ragioni politiche, religiose, razziali, di lingua, di sesso, di disabilità, di infezioni da HIV, di convinzioni personali, dall’appartenenza ad un sindacato o dalla partecipazione ad attività sindacali.I fattori che fanno scattare il divieto di licenziamento sono solo quelli TIPICI indicati dal legislatore, mentre ogni altra ragione di differenziazione non illecita resta irrilevante.Nelle aziende di tendenza è configurabile un licenziamento discriminatorio per i dipendenti addetti a mansioni neutre.Il licenziamento discriminatorio è nullo ed è sottoposto alla tutela reale che in questo caso si applica anche ai dirigenti, ai lavori domestici, ai lavoratori pensionabili e alle minori aziende e unità produttive.

Il licenziamento delle lavoratrici madri e a causa di matrimonioLa legge tutela le lavoratrici contro i licenziamenti intimati a causa di matrimonio o durante la maternità vietando, al pari delle clausole di nubilato, il licenziamento in prossimità di tali eventi, con salvezza delle sole giustificazioni tipiche e tassative fissate dalla stessa legge con onere della prova a carico del datore di lavoro .Pertanto è vietato il licenziamento della lavoratrice nel periodo:2

dalla richiesta delle pubblicazioni di matrimonio fino ad anno dopo la celebrazione del matrimonio;

dal periodo di gestazione fino al compimento di un anno di età del bambino.Il divieto si applica al padre lavoratore che si astenga dal lavoro nei primi 3 mesi di nascita del figlio in mancanza della madre. In questi periodi il licenziamento è ammesso solo in caso di COLPA GRAVE della lavoratrice,

2 L’arco di tempo durante il quale opera il divieto di licenziamento è chiamato periodo di comporto.10

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costituente una giusta causa oppure per cessazione dell’attività di azienda.Se il datore di lavoro non prova la sussistenza della giustificazione tipica il licenziamento è nullo con tutela reale speciale senza limiti dimensionali e anche ai dirigenti.Disciplina speciale: la tutela opera oggettivamente in presenza di matrimonio o di maternità a prescindere dalla loro conoscenza da parte del datore di lavoro al momento del recesso, tant’è che la lavoratrice madre deve presentare al datore di lavoro anche dopo il licenziamento il certificato attestante la situazione ostativa.

L’INTIMAZIONE DEL LICENZIAMENTO

Il licenziamento è un atto unilaterale del datore di lavoro, sicché deve provenire da questi o da un suo rappresentante fornito di relativo potere. Qualora l’intimazione sia effettuata da un soggetto diverso dal datore di lavoro e privo di potere ( falsus procurator) è consentita la RATIFICA con effetto retroattivo, con la stessa forma prescritta per il licenziamento, ritenendosi sufficiente all’uopo anche la costituzione in giudizio del datore di lavoro per resistere all’impugnazione del licenziamento.

La comunicazione del licenziamento:il datore di lavoro deve comunicare per ISCRITTO il licenziamento al lavoratore, anche se dirigente, con espressa deroga al principio generale della libertà di forma del negozio giuridico.L’imposizione della forma scritta vale per qualsiasi licenziamento con 3 sole eccezioni tutte le relative ai licenziamenti liberi:

A. lavoratori in prova;B. lavoratori domestici;C. lavoratori ultrasessantenni con diritto a pensione.

Il licenziamento, quale atto unilaterale recettizio, per produrre effetti deve pervenire al lavoratore.La forma scritta della comunicazione è rispettata anche nel caso in cui il datore di lavoro offra in consegna la lettera di licenziamento al dipendente che rifiuti di riceverla. L’atto si reputa conosciuto nel momento in cui giunge all’indirizzo del destinatario, salva la prova della impossibilità incolpevole di effettiva conoscenza.Se il datore di lavoro nega il licenziamento orale, spetta al lavoratore che lo impugna in giudizio provarne l’esistenza.

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La sanzione per il difetto di forma è l’inefficacia del licenziamento

Disciplinata dal regime reale speciale per tutti i datori di lavoro

compresi quelli di minori dimensioni.

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La legge 92/2012 impone al datore di lavoro di specificare nella comunicazione I MOTIVI che hanno determinato il licenziamento. Sono esclusi da questa disciplina:

lavoratori licenziabili ad nutum;D. i dirigenti, per i quali è dovuta la forma scritta, ma non la motivazione, imposta solo dai

contratti collettivi ove applicabili.La motivazione deve essere specifica ed essenziale, al fine di far comprendere al lavoratore le effettive ragioni del recesso. Non vanno comunicate le fonti di informazioni mediante le quali il datore di lavoro abbia appreso i fatti posti a base del licenziamento.

Resta illecito il c.d. licenziamento ingiurioso cioè quello che a prescindere dalla sua giustificatezza sia intimato con modalità tali da ledere l’onere e il decoro del lavoratore, il quale se prova tali modalità può richiedere il risarcimento dei danni.I motivi comunicati sono immodificabili, sicché in giudizio il datore di lavoro non potrà invocarne altri, ma soltanto aggiungere qualche fatto confermativo o di contorno.Esula, ovviamente, dal principio di immodificabilità dei fatti la diversa qualificazione giuridica degli stessi, che può dar luogo anche alla conversione del licenziamento per giusta causa in licenziamento per giustificato motivo.

La procedura per il licenziamento varia a seconda si tratti di:

A. licenziamento disciplinare;

B. licenziamento per giustificato motivo oggettivo;

C. licenziamento per giustificato motivo ( preavviso).

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La sanzione per il difetto di motivazione è l’inefficacia del licenziamento

Con tutela soltanto indennitaria nella misura da 6 a 12 mensilità per i datori di lavoro compresi nel campo di applicazione dei commi 4 a 7 dell’art. 18 stat. lav. ( cioè aziende con più di 15 dipendenti).Mentre per gli altri datori di lavoro ( imprese minori e di tendenza) la legge tace, sicché, a causa di una dimenticanza del legislatore, rimane la previsione di inefficacia che determina l’assurdità di una tutela reale solo per le aziende minori e di tendenza.

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A) la procedura per l’intimazione del licenziamento disciplinare.

Quanto ai licenziamenti DISCIPLINARI (irrogati per giusta causa o giustificato motivo soggettivo) si deve osservare la procedura prevista dall’art. 7 della Legge 300/1970, vale a dire procedimentalizzazione del potere del datore di lavoro, tenuto ad affiggere in azienda un codice disciplinare, a contestare preventivamente l’addebito e a consentire la difesa del lavoratore interessato prima di adottare la sanzione.

La Giurisprudenza dominante considera sempre di natura disciplinare il licenziamento per giusta causa con la precisazione che il licenziamento in esame è quello intimato a motivo di una condotta colpevole del lavoratore ( sentenza Corte Cost. n. 204/1982). Sul punto è intervenuta la Corte di Cassazione a Sezioni Unite secondo cui rimane assoggettato alla disciplina dettata dai primi 3 comma dell’art. 7 (rubricato “sanzioni disciplinari”) anche il licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo fondato sulla violazione del lavoratore degli obblighi scaturenti dal contratto. In altre parole, ogni qual volta il datore di lavoro reagisca con il licenziamento ad un inadempimento del lavoratore siamo di fronte ad un licenziamento disciplinare: indipendentemente dal fatto che il codice disciplinare applicato nell’azienda preveda o meno questa sanzione. Alla luce di quanto detto, risulta chiaro che ogni qualvolta il datore di lavoro intenda licenziare un proprio dipendente per un inadempimento di quest’ultimo, deve necessariamente esperire la procedura prevista dall’art. 7 della Legge 300/1970 Statuto dei Lavoratori, che deve essere applicata anche dalle cd. piccole imprese (ossia le imprese in cui operano fino a 15 dipendenti).Così, sinteticamente, il datore di lavoro dovrà contestare il fatto, invitare il lavoratore a rendere le proprie giustificazioni e, infine, attendere cinque giorni dalla contestazione prima di adottare la sanzione. Il mancato esperimento di tale procedura costituisce un vizio insanabile che comporta, secondo, il prevalente orientamento giurisprudenziale l’illegittimità del licenziamento intimato.

Tuttavia la pubblicità del codice disciplinare, indispensabile per le sanzioni conservative, non lo è per la validità del licenziamento disciplinare, qualora il recesso sia stato intimato per comportamenti che integrano una violazione penale o una violazione di doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro, riconoscibile come tali senza necessità di specifica previsione.La riforma Fornero ha previsto che il licenziamento intimato all’esito del procedimento disciplinare di cui all’art. 7 St. Lav. produce effetto dal giorno della comunicazione con cui il procedimento è stato avviato, fatto salvo l’eventuale diritto del lavoratore al preavviso o alla indennità sostitutiva ( il periodo di eventuale lavoro svolto in costanza della procedura si considera come preavviso lavorato).Tuttavia gli effetti del licenziamento restano sospesi in caso di impedimento derivante da infortunio sul lavoro, nonché nei casi previsti dalla normativa in materia di maternità e della paternità.

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Regime sanzionatori:l’art. 18 Stat. Lavoratori è stato riformato nel 2012. Prima della riforma Fornero era prevista una tutela unica ( tutela reale con reintegrazione del posto di lavoro). Il nuovo testo dell’art. 18 prevede un sistema di tutele differenziate che mutano a seconda del vizio riscontrato nel licenziamento. In particolare quando il licenziamento è inefficace per violazione della procedura prevista dall’art. 7 Statuto dei Lavoratori il giudice applica la tutela obbligatoria ridotta:

condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria compresa tra 6 e 12 mensilità della retribuzione globale di fatto.

Si precisa che ai fini dell’applicazione dell’art. 18 St. Lav. Rileva il requisito dimensionale dell’impresa - alle imprese prive di questi requisiti dimensionali continua a trovare applicazione l’art. 8 della L.604/1966). Pertanto se il licenziamento illegittimo proviene da un datore di lavoro fino a 15 dipendenti la tutela prevista è:

- Annullamento del licenziamento;- Condanna del datore di lavoro a riassumere il lavoratore entro 3 giorni

oppure a risarcire il danno.

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B) La procedura per l’intimazione di licenziamento per giustificato motivo oggettivo

La riforma Fornero, attraverso la riscrittura dell’art. 7 Legge 604/66, ha introdotto una nuova procedura conciliativa che il datore di lavoro, che occupa più di 15 dipendenti, deve obbligatoriamente attivare prima di comunicare al lavoratore il licenziamento.Il procedimento preventivo riguarda il solo licenziamento per giustificato motivo oggettivo, con espressa esclusione del licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo ai quali resta applicabile il solo procedimento dell’art. 7 Stat. Lav.Tuttavia, neppure tutti i licenziamenti per motivo oggettivo sono sottoposti al nuovo procedimento, che opera soltanto per i datori di lavoro aventi i requisiti dimensionali per l’applicazione delle disposizioni dell’art. 18 sul licenziamento ingiustificato. Sono esclusi i datori di lavoro minori sottoposti come abbiamo visto al regime dell’art. 8 legge n. 604/66 e, per coerenza sistematica, anche le organizzazioni di tendenza, anch’esse sottoposte al medesimo regime.

Procedimento:la procedura preventiva obbligatoria per il licenziamento per motivo oggettivo inizia con una comunicazione del datore di lavoro alla DTL ( direzione territoriale del lavoro) contenente:

L’intenzione di licenziare; I motivi del preannunziato licenziamento; Eventuali misure di assistenza alla ricollocazione

La DTL entro il termine perentorio di 7 giorni dalla richiesta del datore, convoca le parti innanzi alla Commissione di Conciliazione, che possono essere assistite da un rappresentante sindacale, da un legale o da un consulente del lavoro. La procedura, salvo diversa concorde volontà delle parti, deve concludersi entro 20 giorni da tale convocazione ed in caso di impedimento del lavoratore è sospesa al massimo per 15 giorni.Se la conciliazione

Ha esito positivo e prevede la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, si applicano le disposizioni in materia di Assicurazione sociale per l’impiego ( AspI) e può essere previsto l’affidamento del lavoratore ad un’agenzia del lavoro;

Ha esito negativo e, comunque, è decorso il termine di 7 giorni per la convocazione delle parti da parte della DTL, il datore di lavoro intima il licenziamento al lavoratore che produce effetto dal giorno della comunicazione con cui il procedimento è stato avviato. ( c.d. retrodatazione della efficacia del licenziamento). In ogni caso rimane fermo il diritto al preavviso o alla relativa indennità sostitutiva ed il lavoro svolto nel corso della procedura si considera come preavviso lavorato.

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La sanzione per il difetto di procedura preventivaÈ un’ indennità nella misura da 6 a 12 mensilità per i datori di lavoro compresi nel campo di applicazione dei commi 4 a 7 dell’art. 18 stat. lav. ( cioè aziende con più di 15 dipendenti).

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C) La procedura per il licenziamento per giustificato motivo ( preavviso).

Nel caso di licenziamento per giustificato motivo, il datore di lavoro deve dare al lavoratore il preavviso. Il preavviso è infatti escluso solo nel caso di licenziamento per giusta causa. Pertanto, dopo la comunicazione del licenziamento, per tutto il periodo di preavviso deve essere normalmente resa la prestazione da parte del lavoratore che continuerà a percepire la retribuzione. Se il datore di lavoro vi rinuncia, deve pagare al lavoratore, l’indennità di mancato preavviso, d’importo pari alle retribuzioni di cui il lavoratore avrebbe altrimenti beneficiato.

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L’IMPUGNAZIONE E LA REVOCA DEL LICENZIAMENTO

A) LA REVOCA

il licenziamento è un atto unilaterale recettizio, sicché secondo il diritto comune, non era revocabile unilateralmente una volta pervenuto al lavoratore. La giurisprudenza qualificava l’atto di revoca come una mera proposta del datore di lavoro diretta alla ricostituzione del posto del rapporto se accettata dal lavoratore.Ora la legge disciplina espressamente le revoca del licenziamento prevedendo che possa essere effettuata entro il termine di 15 giorni dalla comunicazione al datore di lavoro dell’impugnazione del medesimo. In tal caso:il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità spettando al lavoratore la retribuzione maturata nel periodo precedente alla revoca, con ogni conseguenza anche sul piano previdenziale, a prescindere dal mancato svolgimento della prestazione, con equiparazione ad una sospensione retribuita. ( art. 18, legge 92/2012).Il rapporto di lavoro si considera come mai estinto. Pertanto la revoca è ora un diritto potestativo del datore di lavoro, senza più necessità di accettazione da parte del lavoratore. L’unica condizione è la tempestività dell’esercizio del diritto nel rispetto del predetto termine, oltre il quale ritorna ad operare il diritto comune secondo la elaborazione previgente. La legge non prevede la forma della revoca, ma è comunque necessaria la forma scritta, trattandosi di un negozio collegato al licenziamento per il quale è prescritta la forma scritta.

Il rifiuto del lavoratore di riprendere servizio entro un termine congruo, che il legislatore avrebbe fatto bene a precisare, dalla comunicazione della revoca costituisce INADEMPIMENTO con ogni conseguenza sul piano disciplinare fino al licenziamento se l’assenza ingiustificata dura per un certo tempo. Invece non sono configurabili dimissioni o una risoluzione consensuale per fatti concludenti, essendo ormai necessaria per entrambe la forma scritta.La disposizione sulla revoca si applica solo ai licenziamenti regolati dall’art. 18 stat. Lav. Del resto in caso di tutela obbligatoria (art. 8 legga 604/66) il datore di lavoro non ha particolare interesse alla revoca, anche perché questo regime di tutela non consente le condotte speculative del lavoratore.

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B) L’IMPUGNAZIONELa legge 604/66 disciplina le modalità di impugnazione del licenziamento che il lavoratore deve seguire se intende contestarne la legittimità.Il lavoratore, entro il termine di DECADENZA di 60 giorni3 dalla ricezione della comunicazione in forma scritta del licenziamento deve impugnare il licenziamento con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la sua volontà.

Entro i successivi 180 giorni, a pena di inefficacia della impugnazione, il lavoratore deve depositare il RICORSO GIUDIZIALE ovvero comunicare alla controparte la richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato. In tale seconda ipotesi, se la conciliazione o l’arbitrato sono rifiutati o non è stato raggiunto l’accordo, entro 60 giorni dal rifiuto o mancato accordo, deve essere depositato, a pena di decadenza, il ricorso giudiziale.Nel ricorso deve indicare:

Quale causa petendi, il tipo di vizio del licenziamento ( ingiustificatezza, tardività, difetto di forma, violazione procedimentale, illiceità del motivo, violazione dei divieti relativi al matrimonio e alla maternità) essendo preclusa una tardiva deduzione di un vizio non tempestivamente invocato, che non potrebbe neppure essere rilevato d’ufficio a pena di ultrapetizione. Né sembra consentita la proposizione di un altro giudizio contro lo stesso licenziamento fondato sulla denunzia di un vizio non dedotto nel primo processo, poiché il giudicato copre il dedotto e il deducibile;

Il lavoratore deve PROVARE oltre al rapporto di lavoro subordinato, l’esistenza del licenziamento stesso. Il problema si pone con il licenziamento orale nel caso in cui il datore di lavoro lo neghi in giudizio per resistere all’azione di impugnazione proposta dal lavoratore. Il lavoratore potrebbe cautelarsi proponendo contemporaneamente nello stesso processo, per l’ipotesi di mancato accertamento del licenziamento, domanda di pagamento delle retribuzioni sul presupposto della persistenza del rapporto, così costringendo il datore di lavoro a provare le dimissioni o altra causa estintiva del rapporto medesimo per resistere a questa pretesa.

L’impugnazione del licenziamento deve provenire dal lavoratore o attraverso l’intervento dell’organizzazione sindacale ( non è necessaria una procura scritta)Per l’impugnazione giudiziale è sufficiente la sottoscrizione da parte del legale, purché sia stata conferita valida procura alle liti. Per l’impugnazione stragiudiziale l’atto deve essere sottoscritto dal lavoratore.

3 Il termine di decadenza decorre dalla comunicazione in forma scritta del licenziamento. Si tratta di un termine di decadenza sostanziale, come tale insuscettibile di sanatoria, interruzione o sospensione. Il verificarsi della decadenza deve essere eccepito dal datore di lavoro nella memoria di costituzione e non è rilevabile d’ufficio. La decadenza in esame, operante anche nel lavoro pubblico privatizzato si applica a tutti i casi di invalidità del licenziamento. La decadenza non si applica al licenziamento orale poiché il termine decorre dalla comunicazione scritta del licenziamento. Per l’impugnazione del licenziamento collettivo, in origine esclusa la decadenza, si applica la medesima disciplina del licenziamento individuale.

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In caso di impugnazione direttamente giudiziale non basta che nel termine di 60 giorni sia effettuato il deposito del ricorso, ma occorre anche la notifica dello stesso al datore di lavoro entro detto termine, poiché l’impugnazione è atto recettizio. L’effetto di impedimento di questa prima decadenza può prodursi anche se l’atto processuale tempestivo è nullo, valendo in tal caso come atto stragiudiziale se ne possiede i requisiti.

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IL RITO SPECIALE PER LE CONTROVERSIE SUI LICENZIAMENTI REGOLATI DALL’ART. 18 STAT. LAV.

La legge 92/2012 ha introdotto un rito speciale per le controversie aventi ad oggetto l’impugnativa di licenziamenti nelle ipotesi regolate dall’art. 18 stat. Lav.Sono escluse dal rito speciale:

Licenziamenti rientranti nel campo di applicazione dell’art. 8 legge 604/66 in ragione delle dimensioni dell’organico o della natura dell’organizzazione di tendenza del datore di lavoro.

Sono ricomprese nel rito speciale le <<questioni relative alla QUALIFICAZIONE del rapporto di lavoro>>.Si tratta di un rito caratterizzato da una particolare snellezza e celerità, realizzato attraverso l’eliminazione delle formalità non essenziali all’instaurazione di un pieno contraddittorio e dalla fissazione di termini molto ristretti per lo svolgimento delle diverse fasi di giudizio.Inoltre la trattazione delle suddette controversie deve avere la priorità sulle altre, riservando ad esse particolari giorni nel calendario delle udienze.

IL GIUDIZIO DI PRIMO GRADO

Ia fase necessaria e urgente: la fase sommariaLa controversia viene introdotta con RICORSO al Tribunale in funzione del giudice del lavoro e quindi con le regole di competenza territoriale previste nel rito del lavoro. A seguito della presentazione del ricorso il giudice fissa con decreto l’udienza di comparizione delle parti, non oltre 40 giorni dal deposito del ricorso ed assegna al lavoratore ( ricorrente) un termine per la notifica al datore di lavoro ( convenuto) del ricorso e del decreto, nonché un termine per la costituzione dello stesso.Tali termini sono particolarmente brevi: almeno 25 giorni prima dell’udienza ( per la notifica) e almeno 5 giorni prima dell’udienza ( per l’eventuale costituzione).All’udienza di comparizione il giudice sente le parti e, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo più opportuno agli atti di istruzione indispensabili richiesti dalle parti o disposti d’ufficio e provvede con ordinanza all’accoglimento o al rigetto della domanda.Nella fase sommaria il convincimento in fatto è definizione superficiale riguardando il fumus di fondatezza della domanda.

IIa fase eventuale e conseguente all’opposizione contro l’ordinanza.La parte soccombente nella fase sommaria può proporre innanzi al medesimo Tribunale opposizione avverso l’ordinanza entro 30 giorni dalla notificazione o dalla comunicazione di questa. Le statuizione dell’ordinanza non opposta passano in giudicato.L’opposizione si propone con ricorso e a sua volta l’opposto si costituisce con memoria difensiva.Pertanto qui scattano per entrambe le parti le preclusioni e le decadenze dell’ordinario rito del lavoro. Non è consentita l’introduzione di domande nuove rispetto alla fase sommaria.L’udienza di discussione è fissata dal giudice non oltre i successivi 60 giorni, assegnando all’opposto un termine per costituirsi depositando una memoria difensiva ( fino a 10 gg. Prima dell’udienza). Sia il ricorso che il decreto emesso dal giudice devono essere notificati all’opposto almeno 30 giorni prima dell’udienza. All’udienza di comparizione il giudice sente le parti e, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo più opportuno agli atti di istruzione ammissibili e rilevanti richiesti dalle parti o disposti d’ufficio e provvede con sentenza di accoglimento o di rigetto della domanda, provvisoriamente esecutiva, da depositare in cancelleria entro 10 giorni dall’udienza completa di motivazione.

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I GIUDIZI DI IMPUGNAZIONE

Avverso la sentenza di primo grado può essere proposto RECLAMO che è in sostanza un appello, davanti alla Corte di appello, non ricorso da depositare entro 30 giorni dalla notificazione o comunicazione della sentenza. Oppure in mancanza di entrambe si applica il termine di 6 mesi dal deposito della sentenza. L’udienza di discussione è fissata dal giudice non oltre i successivi 60 giorni dal deposito del ricorso e i termini sono gli stessi del primo grado. Come per l’appello nel rito del lavoro sono ammessi nuovi mezzi di prova solo se indispensabili ai fini della decisione o se non erano proponibili in primo grado.La decisione viene anche qui dopo eventuali note difensive con sentenza da depositare in cancelleria entro 10 giorni dall’udienza di discussione. L’efficacia esecutiva di tale sentenza può essere sospesa dalla corte di appello per gravi motivi in pendenza di ricorso per cassazione.

Avverso la sentenza di appello può essere proposto ricorso per cassazione entro 60 giorni dalla notificazione o comunicazione della sentenza. Oppure in mancanza di entrambe si applica il termine di 6 mesi dal deposito della sentenza. L’udienza di discussione è fissata dalla Cassazione non oltre i successivi 6 mesi dalla proposizione del ricorso.

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IL REGIME SANZIONATORIO DEI LICENZIAMENTI INDIVIDUALI ILLEGITTIMI

La legge 92/2012 ha modificato l’art. 18 della l. 300/70.Va detto che le nuove disposizioni dell’art. 18 relative ai licenziamenti ingiustificati o ineffiaci, per motivi diversi dal vizio della forma scritta, si applicano al datore di lavoro, imprenditore e non, che abbia alle sue dipendenze più di 15 lavoratori ( se imprenditore agricolo più di 5).4

Per i datori di lavoro che non rientrano nelle predette dimensioni il regime sanzionatorio per i licenziamenti ingiustificati continua ad essere quello dell’art. 8 della Legge 604/1966 che prevede una tutela obbligatoria.

In dettaglio:L’art. 18 della l. 300/70 prevede, in sintesi, quattro distinti regimi sanzionatori in relazione alla fattispecie di illegittimità del licenziamento.

I. TUTELA IN CASO DI LICENZIAMENTO DISCRIMINATORIO, NULLO E ORALETutela reale speciale

Come abbiamo già visto, in questi casi il giudice, a prescindere dal numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro:

ordina al datore di lavoro la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro ( anche se con qualifica di dirigente) anche se il lavoratore può sempre optare, in alternativa, per un’indennità sostitutiva pari a 15 mensilità;

condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno commisurata all’ultima retribuzione globale maturata (e comunque non inferiore a 5 mensilità).

La riforma prevede altresì che dall’indennità risarcitoria sia dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività (c.d .aliunde perceptum). Quindi si deduce dall’ammontare del risarcimento il c.d. aliunde perceptum tutte le volte in cui il lavoratore, dopo il licenziamento, ha svolto un’attività lavorativa percependo un reddito. Rimane tuttavia fermo il limite delle 5 mensilità, da sempre considerata una soglia minima indispensabile.

4 Ai fini del computo si tiene conto dei lavoratori assunti a tempo indeterminato parziale per la quota di orario svolta. Non si computano il coniuge e i parenti del datore di lavoro entro il 2° grado.

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II. TUTELA IN CASO DI LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA O GIUSTIFICATO MOTIVO SOGGETTIVO

Tutela reale per ingiustificatezza qualificata

tutela sono indennitaria per ingiustificatezza semplice

Se viene accertato che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro per ingiustificatezza qualificata, ovvero:

insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, il giudice:

annulla il licenziamento; ordina al datore di lavoro la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro ( anche se

con qualifica di dirigente) anche se il lavoratore può sempre optare, in alternativa, per un’indennità sostitutiva pari a 15 mensilità;

condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno commisurata all’ultima retribuzione globale maturata dal giorno del licenziamento al giorno di reintegrazione (e comunque non superiore a 12 mensilità). La riforma prevede altresì che dall’indennità risarcitoria sia dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative (c.d .aliunde perceptum), nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di un nuova occupazione ( c.d. aliunde percipiendum);

condanna il datore di lavoro al versamento di contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino al giorno di reintegrazione ( i contributi sono maggiorati degli interessi nella misura legale senza applicazioni di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione).

Nelle ipotesi in cui non viene accertata una ingiustificatezza qualificata, ma una ingiustificatezza semplice si applica una tutela solo indennitaria. Il giudice infatti dichiara risolto il rapporto con effetto dalla data di licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all’anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere a capo del giudice di fornire specifica motivazione a tale riguardo

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III. TUTELA IN CASO DI LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO ( o economico)

Tutela reale per ingiustificatezza qualificata

tutela sono indennitaria per ingiustificatezza semplice

Se viene accertato che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo oggettivo addotti dal datore di lavoro per ingiustificatezza qualificata, ovvero:

manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento ovvero di difetto di giustificazione del licenziamento intimato per motivo oggettivo consistente nell’inidoneità fisica o psichica del lavoratore ovvero intimato durante il periodo di conservazione del posto per malattia e infortunio del lavoratore il giudice:

annulla il licenziamento; ordina al datore di lavoro la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro ( anche se

con qualifica di dirigente) anche se il lavoratore può sempre optare, in alternativa, per un’indennità sostitutiva pari a 15 mensilità;

condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno commisurata all’ultima retribuzione globale maturata dal giorno del licenziamento al giorno di reintegrazione (e comunque non superiore a 12 mensilità). La riforma prevede altresì che dall’indennità risarcitoria sia dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative (c.d .aliunde perceptum), nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di un nuova occupazione ( c.d. aliunde percipiendum);

condanna il datore di lavoro al versamento di contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino al giorno di reintegrazione ( i contributi sono maggiorati degli interessi nella misura legale senza applicazioni di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione).

Nelle ipotesi in cui non viene accertata una ingiustificatezza qualificata, ma una ingiustificatezza semplice si applica una tutela solo indennitaria. Il giudice infatti dichiara risolto il rapporto con effetto dalla data di licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all’anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, nonché delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione, nonché del comportamento delle parti durante la procedura conciliativa attivata obbligatoriamente prima della comunicazione del licenziamento. Se nel corso del giudizio, in base alla domanda formulata dal lavoratore, dovesse risultare che il licenziamento è stato determinato da motivi discriminatori o disciplinari si applicano le relative tutele.

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IV. TUTELA IN CASO DI LICENZIAMENTI INEFFICACItutela indennitaria

Se il recesso è stato intimato in forma orale, abbiamo visto che il regime è lo stesso per il licenziamento discriminatorio e per le altre ipotesi di nullità.Qualora invece il licenziamento viene intimato in violazione del

requisito della motivazione; della procedura in caso di procedimento disciplinare della procedura conciliativa per il licenziamento economico

il giudice dichiara: risolto il rapporto di lavoro; con attribuzione al lavoratore di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata,

in relazione alla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di 6 e un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, dando specifica motivazione.

Se però il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerta che vi è+ anche in difetto di giustificazione di licenziamento, applica la relativa disciplina sanzionatoria.

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Infine vediamo LA TUTELA OBBLIGATORIA prevista dall’art. 8 legge 604/1966 nel caso di datori di lavoro fino a 15 dipendenti:

Abbiamo visto infatti che la riforma Fornero ha modificato il regime sanzionatorio predisposto dall’art. 18 stat. Lav , lasciando però intatto l’ambito di applicazione di tale norma alle aziende con più di 15 dipendenti. Ne consegue che ai lavoratori di aziende fino a 15 dipendenti continua ad applicarsi il regime sanzionatorio art. 8 legge 604/1966 che, nei casi di licenziamento ingiustificato, cioè in assenza o giustificato motivo, prevede il seguente regime sanzionatorio:

I giudice annulla il licenziamento; Condanna il datore di lavoro a riassumere il lavoratore entro 3 giorni oppure a risarcire il

danno da questi patito, versandogli un’indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo al numero di dipendenti occupati, alle dimensioni dell’impresa, all’anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti ( l’indennità è maggiorata fino a 10 o 14 mensilità per dipendenti di elevata anzianità di servizio).

È da sottolineare la differenza tra reintegrazione ex art 18 stat lav e articolo 8 legge 604/66:

A. Nel primo caso non si ha un’interruzione del rapporto di lavoro né di quello assicurativo e previdenziale, tant’è che al lavoratore spettano i contributi anche per il periodo tra il licenziamento e la reintegrazione;

B. Nel secondo caso, invece, il rapporto di lavoro si è risolto anche se il licenziamento è risultato illegittimo e con la riassunzione nasce un nuovo rapporto di lavoro e previdenziale.

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La ripetizione del licenziamento

Nelle ipotesi di applicabilità della tutela reale può essere utile ed è consentita l’intimazione di un secondo licenziamento nelle more del giudizio sul primo, che potrebbe essere invalido, o dopo la sentenza, anche non passata in giudicato, che riconosca questa invalidità.Infatti se il vizio del primo licenziamento è di forma, il datore di lavoro può ripetere ex nunc il recesso, senza problemi di immediatezza, per gli stessi motivi sostanziali rispettando la forma in precedenza violata.Mentre se il vizio è sostanziale il nuovo licenziamento è ammesso solo per motivi diversi, cioè per un diverso inadempimento o per una diversa situazione organizzativa.

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B) IL LICENZIAMENTO COLLETTIVO

Se il licenziamento individuale colpisce interessi fondamentali del singolo lavoratore, il licenziamento collettivo per riduzione del personale determina anche un problema sociale tanto più grave quanto più elevato è il numero dei licenziati.La materia dei licenziamenti collettivi per riduzione di personale è disciplinata dalla legge 223/1991 nell’ambito di una regolamentazione ad ampio raggio delle crisi d’impresa, che presenta il comune denominatore di perseguire la ricerca di soluzioni alternative al licenziamento e di garantire comunque misure per la rioccupazione dei lavoratori coinvolti nei processi di ridimensionamento, riorganizzazione o ristrutturazione aziendale.La Riforma Fornero ( legge 92/2012) interviene anche in materia di licenziamenti collettivi, apportando alcune limitate modifiche alla procedura, all’impugnazione dei licenziamenti e soprattutto innovando il regime sanzionatorio nei casi di illegittimità, tenendo conto del nuovo testo dell’art. 18 L. 300/1970.Inoltre, avendo operato un’ampia revisione degli ammortizzatori sociali, la legge di riforma prevede l’eliminazione delle liste di mobilità cui potevano accedere i lavoratori licenziati e la sostituzione dell’indennità di mobilità con la nuova assicurazione sociale per l’impiego (ASpI).

Il principale ammortizzatore sociale delle eccedenze di personale è stato a partire dagli anni settanta l’intervento della Cassa integrazioni guadagni straordinaria, che consente all’imprenditore di evitare il licenziamento collettivo conservando il rapporto di lavoro con lavoratori non utilizzati o utilizzati parzialmente, i quali beneficiano della integrazione salariare per il tempo non lavorato. Questo sistema, già in sé iniquo, poiché riservato soltanto ad alcuni settori economici ed alle imprese di maggiori dimensioni, era ben presto degenerato in uno strumento di blocchi dei licenziamenti nelle aziende in crisi per mantenere a lungo, a carico della finanza pubblica, rapporti di lavoro non più riattivabili. La reazione a questa situazione è venuta con la legge 223/1991 che, rovesciando la impostazione precedente, ha limitato l’integrazione salariale ad un periodo di tempo ragionevole, consentendo il licenziamento collettivo anche senza previo ricorso alla CIGS e spostando la tutela previdenziale dei lavoratori in esubero solo al periodo successivo all’estinzione del rapporto. Il licenziamento collettivo non è più scoraggiato come in passato, in quanto la nuova garanzia previdenziale consistente della indennità di mobilità non è, come l’integrazione salariale, alternativa al licenziamento, ma lo presuppone. Si tende così a realizzare una maggiore trasparenza del mercato del lavoro, nel senso che i lavoratori in esubero devono essere espulsi dall’azienda beneficiando solo successivamente dell’indennità di mobilità e dello speciale statuto volto a incentivare la rioccupazione.

La riforma Fornero, nell’ambito della revisione degli ammortizzatori sociali, è intervenuta significativamente anche sull’istituto della mobilità, prevedendone la soppressione nel 2017 e riconducendo la tutela dei lavoratori rimasti disoccupati a seguito di licenziamento collettivo, o di mancato rientro dopo un periodo di C.I.G.S. nell’ambito del nuovo e unico ammortizzatore sociale per la perdita del lavoro, e cioè l’assicurazione sociale per l’impiego (ASpI).

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L’indennità di mobilità consente il passaggio dei lavoratori licenziati da imprese in crisi ad imprese con bisogno di mano d’opera, transitando per una speciale lista di collocamento ( c.d. lista di mobilità) e conservando, in attesa della nuova occasione lavorativa di una indennità. Tuttavia l’indennità, con il connesso onere contributivo a carico dell’imprenditore, non è prevista in tutte le ipotesi di licenziamento collettivo, ma solo quando questo riguarda lavoratori in cassa integrazione o comunque sia intimato da imprese rientranti nel campo di applicazione della CIGS. Sicché i lavoratori dipendenti da imprenditori estranei a questa area c.d. assistita non solo non possono usufruire del trattamento speciale di integrazione salariale, ma non hanno nemmeno diritto all’indennità di mobilità, in caso di licenziamento collettivo, beneficiando soltanto degli incentivi alla rioccupazione previa iscrizione nelle liste di mobilità al pari del licenziati individualmente da imprese con meno di 15 dipendenti per giustificato motivo oggettivo

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I presupposti per la procedura di riduzione di personale.

Per effettuare i licenziamenti si applica la procedura dell’art. 4 della Legge 223/1991 quando:

1. Si tratta di un datore di lavoro, imprenditore e non che occupa più di 15 dipendenti;2. Sia avvenuta una riduzione o trasformazione di attività o lavoro o si intenda cessare

l’attività;3. Si intendano effettuare almeno 5 licenziamenti nell’arco di 120 giorni;4. Ciò avvenga nell’ambito della medesima unità produttiva o nell’ambito di più unità

produttive della stessa Provincia;5. Detti licenziamenti, nello stesso arco di tempo e nello stesso ambito, siano comunque

riconducibili alla medesima riduzione o trasformazione di attività o lavoro.

LA PROCEDURA.Il datore di lavoro deve preliminarmente dare COMUNICAZIONE dei previsti licenziamenti alle rappresentanze sindacali aziendali nonché alle rispettive associazioni di categoria.

La comunicazione deve indicare:1. I motivi che determinano la situazione di eccedenza di personale;2. I motivi tecnici, organizzativi e/o produttivi per i quali si ritiene di non poter evitare i licenziamenti;3. Il numero, la collocazione aziendale e i profili professionali del personale eccedente e di quello

normalmente occupato.

In questa fase preliminare, pertanto, IL SINDACATO riveste un ruolo centrale, rafforzato dalla previsione introdotta dalla legge 92/2012, secondo cui gli eventuali VIZI DELLA COMUNICAZIONE possono essere SANATI, ad ogni effetto di legge, nell’ambito di un ACCORDO SINDACALE5 concluso nel corso della procedura di licenziamento collettivo.A seguito di tale comunicazione le R.S.A. e le associazioni di categoria, eventualmente assistite da esperti, possono chiedere un esame congiunto della situazione e, qualora non sia possibile evitare la riduzione di personale, mediante misure alternative, è esaminata la possibilità di ricorrere a misure sociali di accompagnamento intese, in particolare, a facilitare la riqualificazione e la riconversione dei lavoratori licenziati. In caso di esito negativo, la Direzione territoriale del lavoro (DTL) può convocare le parti per effettuare un ulteriore tentativo di accordo.

I CRITERI DI SCELTA E IL RECESSO.

5 L’accordo eventualmente raggiunto al fine della conservazione dell’occupazione può eliminare, anche per effetto di apposite autorizzazioni legali, precedenti rigidità organizzative o normative, riducendo la retribuzione, flessibilizzando o riducendo, anche temporaneamente, l’orario di lavoro, peggiorando le mansioni, consentendo il comando presso altre imprese, agevolando il trasferimento d’azienda e così via.

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Esaurita questa fase preliminare, il datore di lavoro deve procedere ad individuare i lavoratori da licenziare tra tutti quelli eccedenti attenendosi a precisi criteri di scelta.67

Una volta individuati i lavoratori, il lavoratore può eserciate il diritto di recesso che deve essere loro comunicato per iscritto e nel rispetto del termine di preavviso.Entro 7 giorni dalla comunicazione dei recessi, deve essere comunicato per iscritto, alla Direzione Regionale del Lavoro, alla Commissione regionale permanente tripartita e alle associazioni sindacali, l’elenco dei lavoratori licenziati ( indicando per ciascun soggetto il nominativo, luogo di residenza, qualifica, livello di inquadramento età e carico di famiglia) con la puntuale indicazione delle modalità con le quali sono stati già applicati i criteri di scelta.

IMPUGNAZIONE DEL LICENZIAMENTO E REGIME SANZIONATORIO:La legge 92/2012 ha esteso ai licenziamenti collettivi, ai fini dell’impugnazione del licenziamento, le disposizioni dell’art. 6 della legge 604/1966 che individua i termini di impugnazione del licenziamento individuale.Rimane quindi confermato il termine di decadenza di 60 giorni dalla ricezione della comunicazione, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la sua volontà, anche attraverso l’intervento dell’organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso.Il lavoratore deve altresì rispettare l’ulteriore termine di 180 giorni, entro il quale, pena inefficacia della suddetta impugnazione, deve depositare in Tribunale il ricorso giudiziale ovvero comunicare al datore di lavoro la richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato.La legge 92/2012 ha inoltre modificato il previgente regime sanzionatorio in caso di licenziamento collettivo illegittimo, distinguendo le diverse ipotesi di illegittimità, rinviando alla rispettiva disciplina dei licenziamenti individuali.Pertanto, se il licenziamento è illegittimo:

I. PER VIOLAZIONE DELLA FORMA SCRITTA , il giudice ordina al datore di lavoro la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e lo condanna al risarcimento del danno e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali ( tutela reale: art. 18, c. 1-3- L. 300/1970);

6 I criteri di scelta sono stabiliti dai contratti collettivi, se però questi mancano, il datore di lavoro deve attenersi ai criteri indicati dall’art. 5 L. 223/1991 in <<concorso tra loro>> quali: carichi di famiglia, anzianità, esigenze tecnico – produttive ed organizzative. I criteri della contrattazione collettiva possono, tuttavia, essere diversi da quelli indicati dalla norma purché siano caratterizzati da astrattezza, impersonalità e non discriminazione. Il contratto collettivo che definisce i criteri selettivi vincola il datore di lavoro iscritto all’associazione sindacale ( datoriale) stipulante che li deve adottare in luogo dei criteri legali, che invece si applicano agli imprenditori non soggetti all’applicazione del contratto collettivo. Inoltre, l’espressione utilizzata dalla norma, in concorso tra loro, sta a significare che non si può dare prevalenza ad uno dei criteri a dispetto degli altri, ma essi devono essere presi in considerazione complessivamente per formare la graduatoria dei lavoratori da licenziare.7 Va detto che se l’esubero di personale risulta inevitabile l’accordo collettivo può limitarne le conseguenze pregiudizievoli per i lavoratori fissando come criterio di scelta quello del possesso dei requisiti per il pensionamento o per il prepensionamento, sicché i licenziati non perdono il reddito, ma sostituiscono la retribuzione con la prestazione previdenziale.

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II. PER VIOLAZIONE DELLA PROCEDURA SINDACALE prevista dalla legge 223/1991 il giudice dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data di licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva compresa tra un minimo di 12 mensilità ed un massimo di 24 mensilità ( art. 18, comma 7, Legge 300/70);

III. PER VIOLAZIONE DEI CRITERI DI SCELTA prevista dalla legge 223/1991 il giudice ANNULLA il licenziamento e ordina al datore di lavoro la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e lo condanna al pagamento di un’indennità risarcitoria non superiore a 12 mensilità e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali (tutela reale: art. 18, c. 4 L. 300/1970);

LA GESTIONE DELLE ECCEDENZE DI PERSONALE NELLE P.A.

Il problema delle eccedenze di personale è stato espressamente regolato anche per le P.A. con il d. lgs. 165/2011.È prevista una procedura sindacale se i lavoratori in esubero sono almeno 10 nell’arco di un anno.La procedura si apre con una informazione scritta alle r.s.u. e ai sindacati firmatari della contrattazione collettiva, con contenuto analogo a quello previsto per le imprese private.Segue, a richiesta dei sindacati, una doppia fase di consultazione al fine di verificare le possibilità di un accordo sulla ricollocazione, totale o parziale, del personale eccedente o nell’ambito della stessa amministrazione, anche mediante flessibilizzazione secondo criteri e procedure stabilite dai contratti collettivi nazionali.L’eventuale accordo può prevedere, come nel settore privato, la salvezza dell’occupazione mediante l’adibizione a mansioni diverse, anche non equivalenti.Dopo la fine della procedura l’amministrazione colloca in disponibilità il personale ancora eccedente e quello che abbia rifiutato la ricollocazione presso altre amministrazioni, dando luogo, così, ad una sospensione del rapporto.La individuazione dei lavoratori da collocare in disponibilità avviene con le stesse modalità previste nel settore privato.Il personale collocato in disponibilità non lavora e non riceve la retribuzione, ma ha diritto ad una indennità a carico dell’amministrazione, per un periodo max di 24 mesi, utile ai fini pensionistici e dell’anzianità di servizio.Se il lavoratore in disponibilità, iscritto in appositi elenchi, non trova, neppure mediante riqualificazione professionale, ricollocazione presso altre amministrazioni, il rapporto di lavoro si estingue comunque automaticamente allo scadere del periodo di 24 mesi.Al fine di promuovere la ricollocazione, le p.a. che intendano bandire un concorso per assunzione devono previamente comunicare l’esistenza di posti vacanti e sono tenute a immettere in ruolo con prosecuzione del rapporto preesistente, e quindi senza prova, i lavoratori assegnati dal Dipartimento della funzione pubblica secondo l’anzianità di iscrizione negli elenchi di disponibilità.La procedura concorsuale, dunque, può essere avviata solo se non viene effettuata tale assegnazione. Eventuali assunzioni in violazione di queste disposizioni sono nulle.La principale differenza rispetto alla disciplina delle eccedenze nel settore privato è il momento della cessazione del rapporto di lavoro che per i dipendenti privati precede la messa in mobilità con eventuale indennità previdenziale, mentre per i dipendenti pubblici segue il periodo biennale di disponibilità con indennità comunque garantita.

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C) ALTRE CAUSE DI ESTINZIONE DEL RAPPORTO.LE DIMISSIONI.

Il lavoratore può sempre recedere dal contratto di lavoro, tuttavia, se il rapporto di lavoro è:

A tempo determinato ( quindi prima della scadenza stabilita), soltanto se sussiste una GIUSTA CAUSA ( dimissioni per giusta causa);

A tempo indeterminato con il limite di rispettare il periodo di PREAVVISO della durata stabilita dal contratto collettivo, salvo la ricorrenza di una GIUSTA CAUSA8, e dell’osservanza della procedura di convalida.

Durante il periodo di preavviso il lavoratore deve svolgere l’attività lavorativa normalmente ed effettivamente fino al termine dello stesso. Qualora egli non intenda continuare a lavorare è tenuto a pagare al datore di lavoro l’indennità di mancato preavviso il cui importo è pari alla retribuzione giornaliera per il numero di giorni di preavviso non lavorati. Se invece il datore di lavoro rinuncia al periodo di preavviso lavorato oppure le dimissioni sono motivate da giusta causa ( per cui il recesso è immediato) al lavoratore deve essere comunque corrisposta la retribuzione per i giorni di preavviso non lavorato.

Al fine di contrastare le c.d. dimissioni in bianco ovvero quelle fatte sottoscrivere al lavoratore, spesso già all’atto di assunzione, per poi essere utilizzare dal datore di lavoro quando ritenuto più, la legge di riforma 92/2012 ha introdotto una specifica disciplina per le dimissioni del lavoratore; inoltre, ha introdotto una sanzione amministrativa da € 5000 ad € 30.000, salvo che il fatto costituisca reato, a carico del datore di lavoro che abusi del foglio firmato in bianco dal lavoratore al fine di simularne le dimissioni o la risoluzione consensuale. L’accertamento e l’irrogazione della sanzione sono di competenza delle Direzioni Territoriali del Lavoro ( DTL).

Le dimissioni sono un negozio unilaterale recettizio, sicché non occorre l’accettazione del datore di lavoro, ma è sufficiente che pervengano a conoscenza di questi. La revoca delle dimissioni è dunque efficace se giunge al datore di lavoro prima delle dimissioni stesse. Inoltre, sono considerate un atto a forma libera, salvo diversa disposizione da parte del contratto collettivo, il quale può disciplinare, oltre che la forma dell’atto, anche quella della sua comunicazione ( ad esempio per mezzo di raccomandata a/r). Tuttavia è stata introdotto per la generalità dei lavoratori la CONVALIDA delle dimissioni, nonché delle risoluzioni consensuali, da effettuare presso la Direzione territoriale del lavoro o il Centro per l’impiego territorialmente competente ovvero presso le sedi individuate dai contratti collettivi

8 Costituiscono giusta causa di dimissioni con onere probatorio a carico del lavoratore: la violazione dell’obbligo di sicurezza, le molestie sessuali, il mancato pagamento di una parte significativa della retribuzione, una dequalificazione, l’omesso versamento dei contributi previdenziali, l’effettuazione di indagini o controlli vietati. Invece, per espressa previsione di legge, le procedure concorsuali non costituiscono giusta causa. Inoltre, in attuazione al principio dell’immediatezza, il recesso deve avvenire subito dopo la verificazione o la conoscenza del fatto, in quanto l’eventuale tolleranza spontanea indicherebbe la possibilità di prosecuzione provvisoria del rapporto che esclude per definizione la giusta causa. Si precisa, però, che il principio della immediatezza può ritenersi rispettato anche quando le dimissioni per giusta causa siano differite di qualche tempo nella speranza di superamento della situazione pregiudizievole.

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nazionali stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale.In alternativa alla convalida è prevista la SOTTOSCRIZIONE da parte del lavoratore o della lavoratrice di un’apposita DICHIARAZIONE apposta in calce alla ricevuta di trasmissione della comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro inoltrata dal datore di lavoro al centro per l’impiego. Sia alla convalida che alla sottoscrizione è subordinata l’efficacia delle dimissioni o della risoluzione consensuale. Infatti, se il lavoratore non vi provvede, il datore di lavoro entro 30 giorni dalle dimissioni o dalla risoluzione consensuale deve INVITARLO PER ISCRITTO a presentarsi nelle sedi previste per la convalida o ad effettuare la sottoscrizione ( che hanno effetto retroattivo trattandosi dell’avveramento di una condizione sospensiva).In assenza dell’invito, la risoluzione consensuale e le dimissioni si considerano definitivamente prive di effetto. Entro 7 giorni dalla ricezione dell’invito, il lavoratore deve presentarsi per la convalida o per la sottoscrizione, ovviamente con piena libertà di effettuare o meno la convalida o la conferma. Nel caso in cui non si presenti, il rapporto di lavoro si intende risolto.Se si presenta per la convalida o la conferma l’atto estintivo produce i suoi effetti.Se si presenta, ma rifiuta la convalida e la conferma, l’atto estintivo non produce effetti.Il lavoratore, inoltre, in deroga al diritto comune che non ammette la revoca unilaterale di atti negoziali, può REVOCARE l’atto estintivo per iscritto.In tale ultima ipotesi, il contratto di lavoro, se interrotto per effetto del recesso, torna ad avere corso normale dal giorno successivo alla comunicazione, per iscritto, della revoca, ma per il periodo intercorso tra il recesso e la revoca, in mancanza di prestazione lavorativa, il lavoratore non matura alcun diritto retributivo. La revoca del recesso determina la cessazione di ogni effetto delle eventuali pattuizioni a esso connesse e l’obbligo in capo al lavoratore di restituire quanto percepito in forza delle stesse.Le dimissioni in situazioni atipiche:L’istituto della convalida delle dimissioni, opera già da tempo in alcune ipotesi specifiche di maggiore debolezza del lavoratore.Innanzitutto, le dimissioni della lavoratrice se presentate in occasione del matrimonio devono, a pena di nullità, essere confermate dinanzi alla Direzione territoriale del lavoro.Inoltre, a tutela della genitorialità, devono essere convalidate le dimissioni presentate dalla lavoratrice durante il periodo di gravidanza, nonché quelle presentate dalla lavoratrice o dal lavoratore fino ai primi 3 anni di vita del bambino o di accoglienza del minore adottato o in affidamento.Per i dirigenti i contratti collettivi disciplinano in modo specifico le dimissioni per determinati motivi, quali il mutamento di proprietà dell’azienda, la modifica della posizione sostanziale del dirigente, il trasferimento del medesimo. In questi casi, pur non ricorrendo una giusta causa, le dimissioni vengono agevolate esonerando il dirigente dall’obbligo di preavviso ed attribuendogli anche il diritto ad una indennità. Si tratta di una normativa fi favore per i dirigenti che preferiscono dimettersi, non ritenendo conveniente trasferirsi o lavorare in un’altra posizione o collaborare con i nuovi proprietari.

L’annullamento delle dimissioni:alle dimissioni, quale negozio unilaterale recettizio, si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni sull’annullamento per vizi di volontà ( errore, violenza, dolo) e per incapacità di intendere e di volere. L’onere della prova della causa di annullamento grava sul lavoratore. L’azione di annullamento si prescrive in anni 5. La sentenza di annullamento ha efficacia retroattiva e il risarcimento del danno,

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parametrato alle retribuzioni, è dovuto solo dal momento dell’offerta della prestazione lavorativa che determina la mora credendi del datore di lavoro.ALTRE IPOTESI DI CESSAZIONE DEL RAPPORTO.

I. Per accordo delle parti ( risoluzione consensuale) che si verifica allorché entrambe le parti, datore e prestatore, si accordano per porre fine al rapporto di lavoro;

II. Per scadenza del termine, se trattasi di rapporti di lavoro che prevedono una scadenza finale;

III. Per cause previste dalla legge ( es. mancato rientro in azienda del lavoratore a seguito di provvedimento di reintegra);

IV. Per impossibilità sopravvenuta della prestazione o per forza maggiore;V. Per morte del lavoratore ( non produce l’estinzione del rapporto di lavoro la morte

del datore di lavoro in quanto l’attività produttiva continua, di regola, con chi succede nella titolarità dell’impresa).

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