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PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI EUMATOLOGIA R PRATICA Direttore Scientifico Roberto Marcolongo Direttore Editoriale Bianca Canesi Comitato Scientifico Gerolamo Bianchi Alessandro Bussotti Pierlorenzo Franceschi Bruno Frediani Luigi Gatta Stefano Giovannoni Arrigo Lombardi Raffaella Michieli Vittorio Modena Presidente CROI Gianni Leardini Presidente LIMAR Roberto Marcolongo Presidente SIMG Claudio Cricelli Presidente FADOI Antonio Mazzone Direttore Responsabile Patrizia Alma Pacini © Copyright by Pacini Editore S.p.A. - Pisa Edizione Pacini Editore S.p.A. Via Gherardesca 1 • 56121 Ospedaletto (Pisa) Tel. 050 313011 • Fax 050 3130300 [email protected] • www.pacinimedicina.it Marketing Pacini Editore Medicina Andrea Tognelli - Medical Project - Marketing Director Tel. 050 3130255 - [email protected] Fabio Poponcini - Sales Manager Tel. 050 3130218 - [email protected] Manuela Mori - Customer Relationship Manager Tel. 050 3130217 - [email protected] Editorial Office Lucia Castelli Tel. 050 3130224 - [email protected] Stampa Industrie Grafiche Pacini • Ospedaletto (Pisa) Con il patrocinio di COLLEGIO REUMATOLOGI OSPEDALIERI ITALIANI SOCIETÀ ITALIANA DI MEDICINA GENERALE LEGA ITALIANA MALATTIE AUTOIMMUNI E REUMATICHE DICEMBRE 2008 NUMERO 4 VOLUME 2 BEHÇET: UNA MALATTIA DAI MILLE VOLTI B. Canesi, D. Filippini ................................ 103 LE CARTE DEL RISCHIO DI FRATTURA DA FRAGILITÀ B. Frediani ............................................... 105 IL PIEDE DOLOROSO IN MEDICINA GENERALE S. Giovannoni, A. Bussotti, A. Lombardi, E. Messina, M. Bardelli .............................. 111 RIZOARTROSI DEL POLLICE O ARTROSI TRAPEZIO-METACARPALE O LA MALATTIA DI FORESTIER M. Muratore............................................. 118

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PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI

EUMATOLOGIAEUMATOLOGIAEUMATOLOGIAREUMATOLOGIAEUMATOLOGIAEUMATOLOGIAEUMATOLOGIAPRATICA

Direttore ScientificoRoberto Marcolongo

Direttore EditorialeBianca Canesi

Comitato ScientificoGerolamo BianchiAlessandro BussottiPierlorenzo FranceschiBruno FredianiLuigi GattaStefano GiovannoniArrigo LombardiRaffaella MichieliVittorio Modena

Presidente CROIGianni Leardini

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Presidente SIMGClaudio Cricelli

Presidente FADOIAntonio Mazzone

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COLLEGIO REUMATOLOGIOSPEDALIERI ITALIANI

SOCIETÀ ITALIANADI MEDICINA GENERALE

LEGA ITALIANA MALATTIEAUTOIMMUNI E REUMATICHE

DICEMBRE 2008NUMERO 4VOLUME 2

BEHÇET: UNA MALATTIA DAI MILLE VOLTIB. Canesi, D. Filippini ................................ 103

LE CARTE DEL RISCHIO DI FRATTURA DA FRAGILITÀB. Frediani ............................................... 105

IL PIEDE DOLOROSO IN MEDICINA GENERALES. Giovannoni, A. Bussotti, A. Lombardi, E. Messina, M. Bardelli .............................. 111

RIZOARTROSI DEL POLLICE O ARTROSI TRAPEZIO-METACARPALE O LA MALATTIA DI FORESTIERM. Muratore............................................. 118

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BEHÇET: UNA MALATTIA DAI

MILLE VOLTI

DICEMBRE 2008 VOLUME 2 PAGINE 103-104

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PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI

BIANCA CANESI, DAVIDE FILIPPINI*Direttore; * Dirigente I livello, S.C. di Reumatologia, A.O. Ospedale Niguarda Ca’ Granda, [email protected]

La malattia di Behçet è una vasculite sistemica a ezio-logia sconosciuta che colpisce le arterie e le vene di grande, medio e piccolo calibro. La sua causa è ancora sconosciuta, ma vi è accordo unanime tra i ricercatori che la malattia abbia una base immuno-genetica. È nota da tempo l’associazione con l’HLA B51 (Human Leukocyte Antigen B51). Sono coinvolti meccanismi autoimmuni con risposta Th1-dipendente. Dal punto di vista epidemiologico la malattia di Behçet ha una distribuzione geografica caratteristica, con fre-quenza elevata in Africa Settentrionale e in Medio ed Estremo Oriente, ove si stima un’incidenza di 15-80 casi/100.000/anno e bassa in Europa e USA, dove l’incidenza è stimata in 0,6-2 casi/100.000/anno. In Italia la malattia è rara. Un recente studio di po-polazione condotto a Reggio Emilia ha evidenziato un’incidenza di 0,24 casi/100.000/anno con una prevalenza di 3,8 casi/anno.In genere i pazienti non presentano sintomi sistemi-ci ma solo manifestazioni cliniche localizzate, la cui tendenza a recidivare ne rappresenta il comune de-nominatore.Le manifestazioni più frequenti sono quelle cutaneo-mucose, mentre l’uveite, la meningo-encefalite, le trombosi dei grossi vasi e la colite sono le più gravi.Le ulcere orali, di tipo afta, rappresentano il sintomo d’esordio della malattia nel 66-71% dei casi e oltre il 97% dei pazienti manifesta afte orali durante il decor-so della malattia. Meno frequentemente le ulcere orali sono di tipo erpetiforme. Le afte, singole o multiple, sono dolorose, persistono per circa 2 settimane ed esitano in guarigione senza reliquati cicatriziali, con forte tendenza a recidivare. Le ulcere genitali compaiono in circa il 60-70% dei pazienti durante il decorso della malattia, hannoaspetto simile alle afte orali, ma di solito sono più

grandi e profonde, sono più dolorose e persistono più a lungo esitando in guarigione con esiti cicatriziali. Nel 4-11% dei casi si osserva una orchi-epididimite.In circa il 50% dei pazienti si osservano lesioni cuta-nee che possono presentarsi come lesioni papulo-pu-stolose a distribuzione non follicolare (in genere pochi elementi agli arti e al volto), oppure a distribuzione follicolare (acne-simili), o ancora lesioni tipo eritema nodoso. Tendono a scomparire in circa 2 settimane e possono recidivare.Le manifestazioni muscolo-scheletriche, osservate in circa il 50% dei pazienti, sono rappresentate dalle artralgie e dall’artrite periferica. Nella maggior parte dei casi si tratta di un’oligoartrite a esordio acuto, più spesso asimmetrica ad andamento autolimitante, non erosivo. Le articolazioni più frequentemente interessate sono le ginocchia, le caviglie, i gomiti, i polsi.Le lesioni oculari sono tra le manifestazioni cliniche più severe della malattia. La manifestazione più te-mibile è l’uveite intermedia e posteriore, più spesso associata a vasculite retinica. Si osserva nel 40-50% dei pazienti, colpisce con maggior frequenza il sesso maschile, è tipicamente recidivante, con un’evoluzio-ne grave fino alla cecità nel 25% dei pazienti.Manifestazioni neurologiche (soprattutto meningo-en-cefalo-mielite e angioite cerebrale) si osservano in circa il 5% dei casi. Colpiscono più frequentemente il sesso maschile e si associano a una prognosi peggio-re, conducendo a morte nel 10% dei casi.Le manifestazioni vascolari più frequenti si osservano a carico dei grossi vasi venosi. Tromboflebiti ricorren-ti superficiali e profonde, più spesso localizzate agli arti inferiori, interessano circa il 25% dei pazienti. Il coinvolgimento della vena cava inferiore e delle vene sovra-epatiche si associa a un elevato grado di mor-talità.Evento raro, ma temibile, e a esordio più tardivo, è l’interessamento arterioso, che colpisce più frequente-mente il sesso maschile. Possono essere coinvolte le arterie polmonari, la succlavia, la femorale, i tronchi sovra-aortici, l’aorta, le arterie degli arti.Circa il 5% dei casi può inoltre presentare manifesta-zioni gastrointestinali per formazione di ulcere muco-

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se a livello dell’ileo e del colon. Il quadro clinico è caratterizzato da dolore addominale di tipo colico, diarrea, talvolta con sangue nelle feci e possibile per-forazione.Possibile è l’interessamento renale con qualche caso di glomerulonefrite. Sono descritti casi di interessamento cardiaco, con miocardite o cardiopatia ischemica da vasculite coronarica.Non esistono esami di laboratorio e strumentali spe-cifici per la diagnosi, che resta fondamentalmente cli-nica.L’HLA B51 non rappresenta un criterio diagnostico, ma la sua positività in associazione a segni e sintomi suggestivi della malattia può essere importante. Il test della patergia, quando è positivo, può risultare molto utile (è considerato positivo quando, dopo inserzione obliqua nella cute di un ago di calibro 20, si forma una papula eritematosa > 2 mm, letta a 24-48 ore). Rientra tra i criteri internazionali per la classificazione della malattia. La terapia della malattia di Behçet dipende dal tipo e dalla gravità di interessamento.Per le manifestazioni severe si ricorre a corticosteroidi e immunodepressori (azatioprina, ciclosporina, ciclo-fosfamide, clorambucil). Questi trattamenti però per-mettono un controllo della malattia nel 60-70% dei casi, mentre il rimanente va incontro a deficit perma-nente della funzione visiva e/o neurologica. Nei casi più gravi e resistenti la prognosi è infausta, con esito in decesso.Più recentemente si è osservata l’efficacia di nuove terapie quali IFNα-2a e i farmaci anti-TNFα.Attualmente infliximab (alla dose di 5 mg/kg ev) rap-presenta il farmaco anti-TNFα per il quale vi è una più consolidata evidenza di efficacia nel trattamento delle manifestazioni severe oculari ed extra-oculari (vasco-lare, intestinale, neurologico) della malattia di Behçet attiva resistente alle terapie tradizionali, dimostrando un ottimo profilo di sicurezza. Al momento però il farmaco non riporta in scheda tecnica queste indicazioni.Si può concludere dicendo che la maggior parte dei pazienti con malattia di Behçet, grazie a un’appro-priata terapia, va incontro a uno stato di malattia inat-tiva o di scarsa attività che può anche essere molto lungo. Per arrivare a questo traguardo, però, risulta fondamentale la diagnosi precoce, che consente di

trattare tempestivamente soprattutto le forme più gravi e a prognosi più severa. Questo non può accadere senza un coinvolgimento multidisciplinare di medici capaci di sospettare e riconoscere la patologia.

BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTOCantini F, Salvarani C, Niccoli L, Senesi C, Truglia MC,

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Yazici H. The place of Behçet’s syndrome among the au-toimmune diseases. Int Rev Immunol 1997;14:1-10.

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LE CARTE DEL RISCHIODI FRATTURA

DA FRAGILITÀ

DICEMBRE 2008 VOLUME 2 PAGINE 105-110

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PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI

Parole chiaveQualità ossea • Fattori di rischio • Densità minerale • Carte del rischio • Costo/beneficio terapia

BRUNO FREDIANICentro per l’Osteoporosi e la Diagnosi Strumentale OsteoArticolare, Sezione di Reumatologia, Università di [email protected]

Soprattutto all’inizio degli anni ’90 fu più evidente che il rischio di frattura da fragilità non era solo legato alla massa ossea ma anche alla qualità dell’osso. Studi di Ross e Cummings evidenziarono che ci si poteva fratturare anche con valori di densità ossea (Bone Mi-neral Density [BMD]) normali o di osteopenia e che, a parità di massa ossea, si fratturava di più chi era già fratturato o aveva una maggiore età.La massa ossea si può misurare con la densitometria ossea in modo relativamente semplice. Non altrettan-to si può dire per la qualità dell’osso, soprattutto se si considerano metodiche non invasive. Pertanto si cercò di individuare meglio i fattori di rischio di frattura, e tra questi soprattutto quelli legati prevalentemente alla qualità dell’osso, oltre che quelli extraossei legati al rischio di caduta. Pertanto furono prodotti elenchi più o meno completi in cui, per ogni fattore di rischio, veniva indicato il rischio relativo di frattura corretto o meno per la BMD. Cummings dimostrò che i pazienti che avevano sia fattori di rischio clinico sia alterazioni della BMD si fratturavano di più, e questo a maggior

ragione con l’aumentare del numero dei rischi e con il diminuire della BMD. Tutto ciò cominciò ad avere un riscontro nella pratica clinica quotidiana, allorché alcune linee guida presero atto che i pazienti da trat-tare, oltre quelli con T-score densitometrico minore di -2,5, erano anche quelli con T-score densitometrico maggiore di -2,5 e con almeno un fattore di rischio importante, per cui anche un osteopenico poteva es-sere trattato, se particolarmente a rischio. Nel 2002 le linee guida canadesi producono per la prima volta un elenco di fattori di rischio maggiori e uno di fattori di rischio minori utili per indicare l’effettuazione della densitometria ossea (1 maggiore = 2 minori), ma an-che per iniziare un trattamento se il T-score densitome-trico fosse stato superiore a -2,5. Concettualmente era importante enunciare che non tutti i rischi avevano lo stesso peso, e che poteva essere necessaria un’inte-grazione tra essi (Tab. I).Nel 2001 Black aveva pubblicato un lavoro in cui erano stati analizzati molti fattori di rischio. In base al-l’analisi multivariata ne erano stati selezionati sei più strettamente legati alla possibilità di frattura. Pertanto si proponeva un questionario semplice ed elastico nel-l’utilizzo, in cui il quesito sul dato densitometrico era facoltativo. Le prime sei domande si potevano utilizzare per decidere chi sottoporre a densitometria, e successi-vamente la BMD si poteva integrare in un unico score

RIASSUNTOIn questi ultimi anni la pubblicazione di una decina di studi epidemiologici di rilievo su popolazioni statunitensi ed europee ha consentito di allestire le carte del rischio, che sono state emanate nel marzo 2008 e che con-sentono anche per la popolazione italiana ed anche nel maschio, oltre che nella donna, di definire il rischio percentuale di frattura da fragilità nei successivi 10 anni. Le carte del rischio, al contrario dei questionari, forni-scono un numero di facile comprensione anche per i pazienti: ad esempio, 20% significa che su 100 pazienti in quelle stesse condizioni di rischio, 20 si frattureranno nei successivi 10 anni, ossia 2 pazienti ogni anno. Questo modello ha già consentito di testare anche il costo/beneficio di alcune terapie soprattutto con bisfosfonati e di stabilire la soglia percentuale di intervento su specifiche tipologie di popolazione. Le carte del rischio consen-tono di utilizzare o meno il dato densitometrico pertanto potrebbero essere utili per decidere sia chi sottoporre ad esami strumentali, sia chi trattare e come. È evidente che una maggiore validazione delle carte del rischio nella popolazione italiana potrebbe essere utile al fine di uniformare i comportamenti nella richiesta di esami strumentali e nella decisione di intraprendere terapie che spesso mettono a dura prova il sistema sanitario da un punto di vista economico ed organizzativo.

106 LE CARTE DEL RISCHIO DI FRATTURA DA FRAGILITÀ

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PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI

per decidere chi trattare. Questo fu il primo esempio di integrazione di dati qualitativi e quantitativi al fine di prendere decisioni diagnostiche e terapeutiche. Nel questionario, validato su popolazione statunitense ed europea, purtroppo mancano quesiti sull’uso di corti-sonici e su alcune altre cause di osteoporosi (OP) se-condaria, e soprattutto si dovevano validare le soglie diagnostiche e terapeutiche proposte (Tab. II).Un questionario che è più sensibile, non necessaria-mente è meno specifico e viceversa. Nel 2002 fu di-mostrato che il questionario SOF (Study of Osteoporotic Fractures), simile a quello di Black, “catturava” quasi tutta una popolazione di fratturati con pochissimi falsi positivi, mentre il questionario NOF (National Osteopo-rosis Foundation) “catturava” meno fratturati e produce-va molti falsi positivi, cioè molti soggetti che avrebbero dovuto avere fratture secondo il questionario e che inve-ce non le avevano. Comunque entrambi i questionari ri-sultavano più predittivi del solo criterio densitometrico.Già nel 2001 Kanis aveva pubblicato una carta del rischio in cui comparivano su un asse l’età e sull’altro il T-score densitometrico. La grande novità consisteva soprattutto nel fatto che non si valutava più il rischio relativo, bensì il rischio assoluto di frattura nell’arco di 10 anni, espresso in percentuale e pertanto di imme-diata comprensibilità (Tab. III).Uguali tabelle “bidimensionali” furono allestite sosti-tuendo l’età e il T-score con altre variabili. Rimanevano però irrisolti alcuni problemi: la popolazione studiata

era scandinava, ad alta incidenza di frattura; inoltre, come si potevano integrare in un unico modello bidi-mensionale più di due fattori di rischio?Nel 2005 Kanis pubblica una carta di rischio % a 10 anni in cui su un’ordinata compare l’età e sull’altra il valore del rischio relativo di frattura di un singolo fattore di rischio. L’aggiunta di un ulteriore fattore di rischio au-mentava di un punto il rischio relativo globale. Il model-lo era utilizzabile con o senza la BMD e veniva propo-sto come alto un rischio > 10% e come basso un rischio < 5%. In modo del tutto nuovo si proponeva di trattare i pazienti ad alto rischio, di rivalutare in futuro quelli a basso e di eseguire la densitometria esclusivamente nei pazienti con rischio compreso tra 5 e 10%.In questi ultimi anni si è cercato soprattutto di elabora-re carte del rischio tenendo conto dei dati emersi da oltre una decina di studi epidemiologici riguardanti varie nazioni. Finalmente nel 2008 sono state emana-te da Kanis, per conto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), le carte del rischio nella loro ver-sione definitiva e ufficiale. Queste sono individualiz-zate in base alla nazione di appartenenza, al sesso, al quinquennio di età e sono riferite alla valutazione del rischio globale di frattura o solo femorale. I fattori di rischio clinici sono 6: fratture personali, fratture nei genitori, uso di cortisonici, presenza di artrite (o altre cause di OP), assunzione di più di 2 unità di alcol, fumo. In alcune carte la presenza di questi fattori di rischio viene rapportata all’indice di massa corporea

TABELLA I. Fattori di rischio per OP e/o frattura.

MAGGIORI (BASTA 1) MINORI (BASTANO 2)Età > 65 anni Artrite reumatoide

Frattura vertebrale Storia di ipertiroidismo clinico

Frattura da fragilità dopo 40 anni Terapia cronica con anticonvulsivanti

Storia familiare di frattura da osteoporosi (soprattutto frattura femorale nella madre)

Basso introito di calcio e vitamina D nella dieta

Terapia con glucocorticoidi per più di 3 mesi Fumo

Sindrome da malassorbimento Eccesso di alcol

Iperparatiroidismo primitivo Eccesso di caffeina

Propensione alla caduta Peso < 57 kg

Osteopenia alla Rx Perdita di peso > 10% del peso a 25 anni

Ipogonadismo Terapia cronica con eparina

Menopausa prima di 45 anni

Soglia di intervento: T-score < 2,5 o > -2,5 + 1 fattore di rischio maggiore o 2 minori

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e non viene previsto il dato densitometrico, mentre in altre la presenza dei fattori di rischio viene rapportata al T-score densitometrico.Le carte del rischio che non prevedono la BMD po-trebbero essere utilizzate per trattare direttamente i

pazienti ad alto rischio e per porre indicazione al-l’effettuazione della densitometria in soggetti a rischio intermedio, come sopra proposto (Tabb. IV e V).Resta da stabilire quale soglia si debba utilizzare: del 10, 15 o 20%?La scelta del livello di intervento dipende essenzial-mente dall’individuazione del rapporto costo/benefi-cio. Quest’ultimo dipende innanzitutto dal costo del farmaco e da quanto il servizio sanitario è disposto a spendere per prevenire le fratture da fragilità e quindi dall’estensione della popolazione destinataria degli interventi preventivi. Ad esempio, è ovvio che scegliendo pazienti con molti fattori di rischio e con un’età avanzata l’intervento terapeutico avrà un ottimo rapporto costo/beneficio, ma in termini assoluti nel-l’intera popolazione a rischio potrà avere uno scarso peso. Per quanto riguarda il beneficio, sarà importan-te l’efficacia del farmaco nel prevenire le fratture e le rifratture, vertebrali e non, la rapidità del manifestarsi dell’effetto antifratturativo e la sua persistenza nel pro-trarsi della terapia negli anni, nonché l’eventuale effet-to coda dopo la sospensione, ma sarà importante an-che l’impatto del farmaco nella popolazione e quindi l’aderenza alla terapia. Quest’ultima è stata oggetto di numerosi studi che dimostrano che l’elemento essen-ziale per chi assume un farmaco è la consapevolezza della sua efficacia, anche se la tollerabilità e la più o meno comoda modalità d’impiego (ad es. come va assunto e ogni quanto va assunto) possono avere la loro importanza (Fig. 1).

TABELLA II. Indice di frattura: domande e punteggio.

1. QUAL È LA SUA ETÀ?Meno di 65 0

65-69 1

70-74 2

75-79 3

80-84 4

85 o più 5

2. HA MAI AVUTO FRATTURE DOPO I 50 ANNI?Sì 1

No/Non so 0

3. SUA MADRE HA AVUTO FRATTUREDEL FEMORE DOPO I 50 ANNI?Sì 1

No/Non so 0

4. PESA MENO DI 57 KG?Sì 1

No 0

5. FUMA?Sì 1

No 0

6. USA LE BRACCIA PER ALZARSI DA UNA SE-DIA?Sì 1

No/Non so 0

Se ha una densitometria recente, qual è il valore della BMD del femore totale?

7. RISULTATO DELLA BMDFemore totaleT-score > -1 0

T-score < -1 e > -2 2

T-score < -2 e > -2,5 3

T-score < -2,5 4

FIGURA 1. Rapporto costo/beneficio.

Maggiore efficacia antifratturativa

1. Miglioramento del farmaco

Maggiore impatto antifratturativo nella popolazione

Miglioramento del rapporto COSTO/BENEFICIO

2. Minori costi sanitari diretti e indiretti

3. Selezione di popolazioni a più alta prevalenza di fratture (non eccessiva) (rischio di frattura a 10 anni del 10, 20, 30%)

Minore costo

108 LE CARTE DEL RISCHIO DI FRATTURA DA FRAGILITÀ

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TABELLA III. Possibilità a 10 anni di una qualsiasi frattura nelle donne secondo BMD ed età.

ETÀ (ANNI)T-SCORE (COLLO FEMORE)

1 0,5 0 -0,5 -1 -1,5 -2 -2,5 -3 -4RISCHIO A 10 ANNI DI OGNI TIPO DI FRATTURA OSTEOPOROTICA (%)

45 1,8 2,3 2,8 3,5 4,3 5,4 6,6 8,1 10 15

50 2,4 3 3,8 4,7 5,9 7,4 9,2 11,3 14,1 21,3

55 2,6 3,3 4,1 5,3 6,7 8,5 10,7 13,4 16,8 26

60 3,2 4,1 5,1 6,5 8,2 10,4 13 16,2 20,2 30,6

65 4 5 6,3 8 10 12,6 15,6 19,3 23,9 35,5

70 4,3 5,5 7,1 9 11,5 14,6 18,3 22,8 28,4 42,3

75 4,2 5,4 7 9,1 11,8 15,2 19,4 24,5 30,8 46,2

80 4,6 6 7,7 9,9 12,7 16,2 20,5 25,6 31,8 46,4

85 4,5 5,8 7,4 9,4 12 15,3 19,1 23,8 29,4 42,7

TABELLA IV. Due carte del rischio senza il dato densitometrico. Possibilità di fratture da fragilità in 10 anni (%) in base al BMI in donne italiane.

ETÀ = 50 ANNI

FATTORIDI RISCHIOCLINICI

BMI (KG/M2)

15 20 25 30 35 40 450 3,7 3,4 3,2 2,8 2,4 2,1 1,9

1 6,1 (4,2-9,1) 5,4 (3,7-7,7) 5,0 (3,4-6,9) 4,4 (3,0-6,0) 3,8 (2,6-5,2) 3,3 (2,2-4,6) 2,9 (2,0-4,0)

2 9,8 (5,4-16) 8,5 (4,6-14) 7,7 (4,1-13) 6,7 (3,6-12) 5,9 (3,1-10) 5,1 (2,7-8,9) 4,5 (2,4-7,8)

3 15 (7,9-26) 13 (6,5-23) 12 (5,7-31) 10 (4,9-18) 8,9 (4,3-16) 7,8 (3,7-14) 6,8 (3,2-13)

4 24 (13-36) 20 (11-31) 17 (9,5-28) 15 (8,2-24) 13 (7,1-22) 12 (6,2-19) 10 (5,3-17)

5 36 (23-44) 29 (19-37) 25 (17-33) 22 (15-29) 19 (13-26) 17 (12-23) 15 (10-20)

6 51 42 36 32 28 24 21

ETÀ = 65 ANNI SOGLIA INTERVENTO > 10%?

FATTORIDI RISCHIOCLINICI

BMI (KG/M2)

15 20 25 30 35 40 450 9,1 7,5 6,6 5,7 4,9 4,2 3,7

1 14 (11-19) 12 (8,6-15) 10 (7,3-13) 8,7 (6,2-11) 7,5 (5,3-9,6) 6,5 (4,6-8,3) 5,6 (3,9-7,2)

2 22 (15-32) 18 (11-25) 15 (9,2-23) 13 (7,8-20) 11 (6,7-18) 9,8 (5,7-15) 8,5 (4,9-14)

3 33 (23-45) 26 (17-39) 23 (13-35) 19 (11-31) 17 (9,5-28) 15 (8,1-24) 13 (6,9-21)

4 47 (33-60) 38 (26-52) 32 (22-46) 28 (19-41) 24 (16-36) 21 (14-32) 18 (12-28)

5 62 (50-70) 52 (41-61) 45 (35-44) 39 (31-49) 35 (27-43) 30 (23-38) 26 (20-34)

6 76 68 59 53 47 42 37

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TABELLA V. Due carte del rischio con il dato densitometrico. Possibilità di fratture da fragilità in 10 anni (%) in base al T-score BMD in donne italiane.

ETÀ = 50 ANNI

FATTORIDI RISCHIOCLINICI

T-SCORE BMD (COLLO FEMORE)

-4,0 -3,5 -3,0 -2,5 -2,0 -1,5 -1,0 -0,5 00 19 12 8,4 6,2 4,8 4,0 3,4 3,1 2,9

1 18(25-35)

18(16-23)

13(11-16)

9,3(7,3-12)

7,3(5,3-9,1)

6,0(4,2-7,8)

5,1(3,4-6,8)

4,6(3,0-6,3)

4,4(2,8-6,0)

2 40(32-54)

27(22-37)

19(14-26)

14(9,6-20)

11(6,8-17)

8,9(5,2-14)

7,5(4,2-12)

6,8(3,6-12)

6,4(3,4-11)

3 55(41-69)

39(29-49)

27(19-38)

20(13-31)

16(9,0-26)

13(6,8-22)

11(5,4-20)

9,8(4,7-18)

9,3(4,4-17)

4 70(54-82)

52(37-62)

38(26-47)

29(19-39)

22(15-33)

18(11-28)

15(8,9-259

14(7,7-23)

13(7,1-22)

5 83(75-90)

67(56-74)

51(41-57)

39(31-46)

31(24-38)

25(20-33)

21(16-29)

19(14-27)

18(13-25)

6 93 81 65 52 41 34 29 26 25

ETÀ = 65 ANNI Soglia intervento > 10%?

FATTORIDI RISCHIOCLINICI

T-SCORE BMD (COLLO FEMORE)

-4,0 -3,5 -3,0 -2,5 -2,0 -1,5 -1,0 -0,5 00 24 17 13 9,7 7,6 6,1 5,3 4,7 4,3

1 34(31-38)

25(22-28)

19(16-21)

14(11-17)

11(8,5-14)

8,9(6,5-12)

7,8(5,5-10)

7,0(4,8-9,5)

6,3(4,2-8,7)

2 46(40-55)

34(29-42)

26(21-33)

20(15-27)

16(11-22)

13(8,2-19)

11(6,8-17)

10(5,8-16)

9,1(5,1-14)

3 59(50-68)

46(38-57)

36(27-48)

28(20-40)

22(14-34)

18(11-29)

16(8,9-26)

14(7,6-24)

13(6,6-22)

4 72(61-77)

59(48-67)

47(37-58)

38(29-49)

30(23-42)

25(18-36)

22(14-33)

19(12-30)

18(11-28)

5 82(78-85)

71(66-76)

60(54-66)

49(43-57)

40(35-49)

33(28-42)

29(23-38)

26(20-35)

24(17-32)

6 89 82 72 61 51 43 38 34 31

Il gruppo di Kanis ha messo a punto delle carte in cui si valuta il costo di un intervento e del monitorag-gio di esso su una popolazione a rischio secondo il numero dei fattori di rischio presenti e tenendo conto dell’impatto del farmaco nel migliorare la qualità di vita di quella popolazione, facendo riferimento a mo-delli già utilizzati in ambito cardiovascolare. Il costo viene riferito al miglioramento di un’unità di qualità

di vita per anno (Quality Adjusted Life Years [QALY]) nella popolazione studiata e si ritiene vantaggioso se è inferiore a 40.000 euro (o 30.000 euro a seconda di quanto il sistema sanitario è disposto a investire). Il modello QALY, per la numerosità dei parametri di cui tiene conto, sia per i costi sia per i benefici, è assolu-tamente più indicativo di altri parametri come l’NNT (Number Needed to Treat). Da questi studi emerge

110 LE CARTE DEL RISCHIO DI FRATTURA DA FRAGILITÀ

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che per un farmaco a basso costo (inferiore ai 300 euro all’anno) l’intervento è vantaggioso in una popo-lazione oltre i 50 anni con almeno 2 fattori di rischio qualsiasi tra i 6 già selezionati per le carte del rischio (fratture personali, fratture nei genitori, uso di cortisoni-

ci, presenza di artrite o altre cause di OP, assunzione di più di 2 unità di alcol, fumo), mentre nel caso della presenza di un unico fattore di rischio la vantaggiosi-tà dell’intervento dipenderà dall’età ed eventualmente dal dato densitometrico. È evidente che per farmaci a medio costo (intorno ai 600 euro l’anno) l’intervento risulterà vantaggioso per popolazioni con più fattori di rischio, di età superiore e per valori densitometrici più alterati. Questo a maggior ragione per farmaci ad alto costo (> 2000 euro).Alla luce di quanto sopra detto e ritornando in modo pratico alle carte del rischio la soglia % di intervento potrebbe essere del 10% per farmaci come l’alen-dronato, il clodronato e il neridronato, del 20% per farmaci come il risedronato, l’ibandronato, lo zoledro-nato, lo stronzio ranelato, il raloxifene e del 30% per il teriparatide e l’ormone paratiroideo. È ovvio che quest’ultima non è niente più che un’ipotesi di lavoro su cui dovremo testare le carte del rischio, i modelli di farmacoeconomia e i nostri farmaci (Tab. VI).

TABELLA VI. Soglia di intervento tenuto conto del costo/beneficio.

AlendronatoClodronatoNeridronato

10%

RisedronatoIbandronatoZoledronatoStronzio ranelatoRaloxifene

20%

Teriparatide e PTH 30%In tutti i casi: associando sempre vitamina D ed eventualmente calcio.

111

IL PIEDE DOLOROSOIN MEDICINA

GENERALE

DICEMBRE 2008 VOLUME 2 PAGINE 111-117

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Parole chiaveCaviglia e retropiede • Mediopiede • Avampiede

STEFANO GIOVANNONI*, ALESSANDRO BUSSOTTI*,ARRIGO LOMBARDI*, EMANUELE MESSINA*,MARCO BARDELLI*** Medico di Medicina Generale;** Primario ortopedico ASL 10, Firenze; Professore a contratto nel corso di laurea in Podologia, Università di Firenze; Past-Presidentdella Società Italiana della Caviglia e del [email protected]

CAVIGLIA E RETROPIEDESi ricercano dolorabilità alla palpazione e alla mobi-lizzazione.A paziente disteso, con il piede in scarico, si afferra il calcagno e il terzo inferiore della gamba e si esercita una trazione verso di noi; in questo modo si distende la capsula articolare anteriormente e si palpa nelle mi-gliori condizioni per ricercare versamento articolare, tumefazioni dolorose, calore locale; il versamento ar-ticolare può essere palpato anche in sede retro/sotto malleolare, specie lateralmente. Se il versamento è abbondante il piede viene mantenuto in atteggiamen-to equino.Il dolore alla flesso-estensione passiva è in genere dovuto a interessamento dell’articolazione tibio-tarsi-ca per artrite, con le caratteristiche sopra menzionate (artrite reumatoide, artrite psoriasica, gotta, artrite as-sociata a malattie infiammatorie intestinali, sindrome di Lyme) o per artrosi (Fig. 1), che si caratterizza per ingrossamento dei capi articolari, riduzione della mo-bilità e scrosci articolari (la conferma diagnostica è radiologica e prevede un quadro di osteofitosi, ridu-zione della rima articolare e sclerosi dell’osso subcon-drale). L’artrosi di caviglia è più frequente negli obesi, dove sono presenti cuscinetti di grasso periarticolari, dolorabili e fluttuanti. Dolore all’estensione forzata può

rilevare anche interessamento del tendine dei flessori delle dita.Il dolore alla prono-supinazione del piede è spesso dovuto a interessamento dell’articolazione mediotar-sica e sottoastragalica, o dei tendini o dei legamenti collaterali:• con la supinazione (inversione) del calcagno si met-

tono in tensione i legamenti periastragalici laterali e si può risvegliare dolore (stiramento) o evidenzia-re anomala mobilità (rottura); se si rinviene un’ano-mala mobilità articolare in senso antero-posteriore (cassetto), vi può essere rottura del legamento pe-roneo-astragalico anteriore che, se eccessivamen-te lasso, può rendere ragione di episodi ricorrenti di distorsioni di caviglia;

• con la pronazione (eversione) del calcagno si met-te in tensione il legamento deltoideo, provocando dolore in caso di interessamento distrattivo.

Dolore e tumefazione localizzati alla parte posteriore del calcagno si evidenziano nell’interessamento trau-matico della borsa precalcaneare sottocutanea, che può accompagnare una tendinite achillea (achillodi-nia) per uso di calzature dal bordo alto e duro che rende impossibile l’utilizzo delle scarpe in oggetto (Fig. 2). L’interessamento infiammatorio della borsaretrocalcaneare, sottotendinea, più profonda rispetto alla prima, può tradire, invece, una patologia sistemi-ca come l’artrite reumatoide o le spondiloartriti siero-negative. A livello inferiore del calcagno si può ritro-vare anche una borsite sottocalcaneare che produce dolorabilità elettiva nella parte più posteriore della superficie plantare del calcagno.Frequenti, a livello del calcagno, sono le entesiti cal-caneari posteriori e inferiori, tipiche della spondilopa-tia iperostosante dismetabolica e delle spondiloartriti sieronegative, ma di evidenza comune nei soggetti obesi (specialmente donne in postmenopausa) e con

RIASSUNTODopo aver preso in considerazione la semeiotica del piede, in questa seconda parte vengono considerate le affezioni più comuni che spingono il paziente a rivolgersi al medico. Per le più comuni vengono evidenziati i sintomi di presentazione e rilevati i principali segni diagnostici, oltre all’approccio di trattamento.

112 IL PIEDE DOLOROSO IN MEDICINA GENERALE

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disturbi del circolo venoso. Possono inoltre essere le-gate a fatti traumatici. Viene riferito forte dolore nel-l’appoggio calcaneare, per cui il paziente tende a camminare sulle punte; è presente un’elettiva dolora-bilità alla pressione sul calcagno, posteriormente (tu-berosità calcaneare posteriore) oppure inferiormente, nella regione anteriore del calcagno (tubercolo calca-neare mediale), dove si inserisce l’aponeurosi planta-re (fascite plantare, frequente nel calcagno valgo, nel piede piatto pronato e nel piede cavo, o semplice-

mente per prolungata stazione eretta, uso di scarpe dure). Spesso, ma non sempre, in corso di tallodinie si rinvengono all’esame radiologico le spine calcaneari inferiori e/o posteriori, rispettivamente all’inserzione della fascia plantare e del tendine d’Achille sul calca-gno (Fig. 3); sono osteofiti di rinforzo, di rilievo anche occasionale, perché non sono la causa della sintoma-tologia dolorosa (Fig. 4).Utile, nelle talalgie, l’uso di suole molto morbide in cor-rispondenza del calcagno (non necessarie le talloniere) e tacco rialzato per ridurre il carico del retropiede.

FIGURA 1. L’artrosi dell’articolazione tibio-tarsica è carat-terizzata da ingrossamento dei capi articolari, riduzione della mobilità e scrosci articolari. È più frequente negli obesi, dove sono presenti cuscinetti di grasso periarticola-ri, dolorabili e fluttuanti.

FIGURA 2. Dolore e tumefazione localizzati alla parte po-steriore del calcagno si evidenziano nell’interessamento traumatico della borsa precalcaneare sottocutanea che può accompagnare una tendinite achillea (achillodinia).

FIGURA 3. Le spine calcaneari inferiori e/o posteriori si formano rispettivamente all’inserzione della fascia planta-re e del tendine d’Achille sul calcagno.

FIGURA 4. Spesso, ma non sempre, in corso di tallodinie si rinvengono all’esame radiologico le spine calcaneari inferiori e/o posteriori, si tratta di osteofiti di rinforzo, di ri-lievo anche occasionale, perché non sono la causa della sintomatologia dolorosa.

113S. GIOVANNONI, A. BUSSOTTI, A. LOMBARDI,E. MESSINA, M. BARDELLI EUMATOLOGIAEUMATOLOGIAREUMATOLOGIA pr

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Altra causa di talalgia può essere la frattura da fati-ca del calcagno (vedi più avanti) e la rara apofisite (osteocondrite o malattia di Haglund) delle adolescen-ti in rapido accrescimento.I tendini localizzati nella regione postero-mediale del piede possono andare incontro a infiammazione e dare tenosinoviti: tumefazioni dolorose, lineari lungo il decorso del tendine, superficiali, dolorabili alla pro-no/supinazione forzata (tibiale posteriore, flessore lungo dell’alluce, flessore lungo delle dita).La tendinite dell’achilleo presenta tumefazione dolora-bile localizzata, spesso dovuta a traumatismi sportivi; con evento unico e violento o microtraumi ripetuti o per cause iatrogene (frequenti infiltrazioni steroidee, chinolonici) si può arrivare alla rottura del tendine: il paziente non può camminare sulla punta del piede e la compressione manuale del polpaccio con l’arto in scarico non provoca estensione del piede (test di Simmons).Il trattamento delle affezioni tendinee è principalmente il riposo con arto in scarico, farmaci antinfiammato-ri non steroidei (FANS) e infiltrazione peritendinea di corticosteroidi da eseguire precocemente e da non ripetere, al fine di ripristinare il circuito delle afferenze centrali. Solo in questo tipo di affezioni dei tessuti mol-li (tendiniti e borsiti) possono risultare utili le tecniche fisioterapiche (ultrasuoni, laser ecc.).Il nervo tibiale posteriore può essere irritato e compres-so sotto il retinacolo dei flessori provocando dolore urente e parestesie a carico delle dita, della pianta e del calcagno (sindrome del tunnel tarsale mediale), analogamente alla sindrome del tunnel carpale. Per la diagnosi utile il segno di Tinel con la percussione in sede retromalleolare mediale e la pronazione forzata del piede, ma è tuttavia consigliato l’esame elettro-miografico. La terapia conservativa prevede l’uso di scarpe con tacco e suola morbida. Qualora tale ap-proccio non sia sufficiente, vi può essere l’indicazione al trattamento chirurgico.

MEDIOPIEDEA livello dorsale si può rilevare dolorabilità, calore ed edema diffuso se vi è interessamento flogistico di una o più articolazioni tarsali (artrite reumatoide), e la loro mobilizzazione (vedi sopra) evocherà dolore.Rara è la tenosinovite degli estensori delle dita e del-l’alluce che si manifesta con tumefazione in regione dorsale e dolore alla pressione e alla mobilizzazione; può irritare il nervo muscolo-cutaneo e provocare pa-restesie della superficie dorsale delle dita (sindrome

del nervo muscolo-cutaneo o scafo-trapezio-trapezoi-de anteriore).Dolore alla pressione sullo scafoide lo ritroviamo in oc-casione di:• scafoidite tarsica (osteocondrite dell’osso scafoide

o prima malattia di Koeler), caratterizzata da do-lore durante il cammino che si manifesta con zop-pia. La dolorabilità scafoidea è accentuata dalla pronazione forzata e interessa i bambini dopo i 5 anni;

• piede da sforzo, tipico dei giovani, dovuto a ec-cesso di peso, lassità ligamentosa o sforzi ripetuti durante l’accrescimento: la tuberosità dello scafoi-de è prominente e dolorabile;

• frattura da fatica (vedi più avanti) dello scafoide, tipica dei marciatori.

Il controllo dell’adattamento del piede al suolo si ri-tiene regolato da afferenze propriocettive a partenza dal seno del tarso, una cui lesione determina la co-siddetta sindrome del seno del tarso. Questa è deter-minata da lacerazioni del legamento interosseo e/o delle capsule articolari astragalocalcaneari, nei casi secondari a traumatismi, e a sinovite delle stesse ar-ticolazioni, in quelli provocati da malattie flogistiche, come l’artrite reumatoide. È caratterizzata da dolore alla deambulazione, che si riduce con il riposo, av-vertito davanti e sotto il malleolo esterno, con irradia-zione al calcagno e alla faccia postero-esterna della gamba. Vi può essere sensazione di instabilità della caviglia, nel camminare, specialmente su un terreno accidentato. Obiettivamente, si rileva dolorabilità alla palpazione del seno del tarso che può presentare una tumefazione circoscritta. La mobilità in eversione e in-versione appare ridotta e la manovra di inversione (supinazione) passiva risveglia il dolore. Caratteristico è non riuscire a mantenere l’appoggio monopodalico sul piede interessato.Sempre a livello della parte centrale del piede (ma la suddivisione è capziosa e ha giustificazione solo a scopo didascalico), nel versante plantare si possono palpare noduli, non dolenti né dolorabili, espressione di retrazione dell’aponevrosi plantare. È la sindrome di Ledderhose, più frequente nei diabetici, monolaterale, talvolta associata all’analoga malattia di Dupuytren (retrazione dell’aponevrosi palmare) e alla malattia di La Peyronie (induratio penis plastica).La perdita della volta longitudinale la ritroviamo nel-la lassità legamentosa, in alterazioni dell’appoggio dovute all’iperpronazione dell’articolazione sottoastra-galica, oppure in coloro che devono sostenere stazio-

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ne eretta prolungata (camerieri), oppure negli obesi per aumento del carico. Se il piattismo si evidenzia solo sotto carico, è passibile di correzione ortesica. Al contrario del piattismo rigido, non più reversibile per sopraggiunta anchilosi fibrocartilaginea o modifi-cazione ossea.È necessario ricordare che il piede piatto è fisiologico nei primi tre anni di età.Nel piede cavo abbiamo un aumento della concavità della volta longitudinale con anomala verticalizzazio-ne dei metatarsi, eccessivo aumento del carico sulle teste e, sovente, dita a martello. Può essere idiopatico o esito di poliomielite o segno di altre malattie neuro-logiche.I plantari sono ortesi con il compito di modellare e correggere la volta plantare, ristabilendo le linee sche-letriche fisiologiche. Devono essere curate sia la volta longitudinale sia quella trasversa.I cinque tipi di plantari più comunemente usati sono:

1. plantare con sostegno della volta longitudinale mediale e trasversa, quando si appiattisce mo-deratamente la sola volta mediale;

2. plantare con piano inclinato mediale, nel piede pronato e valgo;

3. plantare a elica, sostegno della volta con pia-no inclinato laterale all’avampiede e al retro-piede;

4. plantare con piano inclinato laterale, per piede supinato o varo;

5. plantare avvolgente, con bordo per contenere le parti molli.

AVAMPIEDELa regione metatarsale rappresenta sicuramente la sede più frequente di dolore del piede con un rappor-to avampiede/resto del piede, escluso la tibio-tarsica, di 8:1, con netta predominanza del sesso femminile.Le articolazioni metatarso-falangee (MTF) dell’alluce e delle altre dita sono le sedi più frequenti di podalgia anteriore, essendo la superficie plantare di queste ar-ticolazioni quella che sopporta la maggior parte del peso corporeo durante la fase terminale del passo. Con il termine metatarsalgia intendiamo quindi un dolore acuto e cronico in corrispondenza di una o più articolazioni MTF provocato dalla compressione, su base meccanica e non, delle strutture anatomiche che interagiscono con l’articolazione (osso, cartilagi-ne, capsula e legamenti, vasi, nervi, tendini, borse, sottocute e cute). È importante specificare se mono o bilaterale, totale (tutte e cinque le articolazioni MTF),

centrale (la seconda, terza, quarta MTF), isolata (se-conda, prima MTF ecc.). La sintomatologia doloro-sa può essere avvertita a livello plantare, ma anche dorsale, laterale (quinta MTF), mediale (prima MTF) o combinata.Clinicamente, è presente dolore alla palpazione plan-tare delle teste metatarsali, in corrispondenza delle quali facilmente si reperta una callosità molto dolo-rosa; la compressione simultanea latero-laterale delle teste metatarsali “a gronda” può provocare vivo do-lore.Le metatarsalgie biomeccaniche sono la stragrande maggioranza (l’88% di tutte le metatarsalgie), sono dovute ad alterazioni strutturali e funzionali dell’avam-piede che provocano violazione dell’equilibrio delle forze ripartite tra i cinque metatarsi (essenziale per il corretto assetto statico e dinamico dell’avampiede), scomponendole in uno o più raggi.Ricordiamo che a piede nudo il carico è maggiore sul calcagno. Con un tacco di 2 cm il carico si distribui-sce in ugual misura tra regione anteriore e posteriore; se il tacco aumenta, progredisce il carico sulle teste dei metatarsi. Il sovraccarico cronico delle teste me-tatarsali provoca il piede piatto trasverso nel quale l’arco anteriore del piede (da valutare sempre senza carico) è piatto o addirittura convesso.Le metatarsalgie da alterazioni strutturali sono le più frequenti e riconoscono come causa un sovraccarico globale (piede cavo ed equino) o parziale (sindrome da insufficienza e da sovraccarico del primo raggio, sindrome da insufficienza e sovraccarico dei raggi intermedi, sovraccarico del quinto raggio) dell’avam-piede. Ricordiamo il piede “greco” (alluce più corto del secondo dito) e il piede “ancestrale” (primo meta-tarsale breve) con appoggio sulla testa del secondo metatarsale e relativa callosità dolorosa. Nelle adole-scenti tra 10 e 15 anni, con piede ancestrale e lassità legamentosa, si può avere anche osteocondrite della testa del secondo metatarsale (malattia di Koehler II).Il sovraccarico del primo raggio è spesso legato a un primo metatarso eccessivamente lungo o a insuf-ficienza degli altri metatarsi. Porta ad alluce rigido e sesamoidite. Di frequente riscontro è la contempo-ranea presenza di un’insufficienza del primo raggio associata a dismorfismo delle dita (24%) o a neuroma di Civinini-Morton.L’alluce valgo (Fig. 5), molto frequente e tipico del sesso femminile, è caratterizzato dalla prima articola-zione metatarsofalangea che forma un angolo aperto all’esterno, superiore a 15°. Può essere congenito,

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presente sin dalla nascita (sindrome di Morton: primo metatarsale accorciato e varo, con conseguente so-vraccarico del secondo, terzo, quarto) e acquisito, la maggior parte dei casi, con esordio durante il terzo decennio di vita, dovuto a condizioni predisponenti (piede egizio, con alluce più lungo delle altre dita e conseguente sofferenza nella scarpa, index minus,primo metatarsale più corto del secondo) insieme a condizioni determinanti (piede piatto, artrite reumatoi-de, calzature inadatte con tacco alto e punta stretta). Sulla testa sporgente del primo metatarsale si forma una borsa mucosa mediale con funzioni protettive, ma che può andare incontro a flogosi. Il dolore è avvertito a livello dell’articolazione MTF e aggravato da calza-ture con tacco alto. Provoca l’allargamento e spesso lo spianamento della volta trasversa.Accorgimenti conservativi che possono ridurre la sin-tomatologia dolorosa, ma non rallentare l’evoluzione, sono rappresentati dall’uso di scarpe basse con pianta larga e plantari di scarico se coesiste metatarsalgia, altrimenti il gold standard è rappresentato dalla tera-pia chirurgica, che è indicata quando sono presenti dolore o conflitto con il secondo dito e con la scarpa da più di sei mesi.L’alluce rigido (Fig. 6), più frequente e tipico del sesso maschile, per artrosi della prima MTF provoca tume-fazione dorsale per la patognomonica iperostosi in corrispondenza della regione dorsale e alterazione dell’appoggio. Si assiste inoltre a una riduzione del carico sul primo raggio e atteggiamento in supina-zione con carico sul bordo esterno, con formazione di callosità a livello della testa del quinto metatarso

e, a volte, sotto la falange ungueale dell’alluce, per iperflessione compensatoria. La terapia è ortesica e/o chirurgica.L’irregolare distribuzione del carico si ripercuote ini-zialmente sull’articolazione MTF che, pertanto, va incontro progressivamente a modificazioni strutturali, fino ad arrivare a una completa anchilosi.Le metatarsalgie da alterazioni funzionali possono manifestarsi a causa di iperpronazione della sottoa-stragalica, distinguibile nella forma dell’adolescente o dell’adulto (acquisita), oppure per lassità legamentosa generalizzata o per anomalie delle dita del piede. Queste ultime possono avvenire per un difetto di alli-neamento in senso longitudinale, congenito (campto-dattilia) o acquisito (dito a martello e dito ad artiglio), o in senso laterale (clinodattilie, dito sovrapposto, dito sottoposto e dita divergenti). Altre cause di metatar-salgie funzionali sono rappresentate dalle disfunzioni del controllo muscolare da insufficienza del peroneo lungo e dei tibiali anteriore e posteriore – con conse-guente piede valgo – o da ipertono del tricipite surale o del flessore lungo delle dita, con seguente piede cavo varo. Di riscontro comune è anche una metatar-salgia senza segni clinici e radiografici di alterazioni strutturali in soggetti obesi che mantengono a lungo la posizione ortostatica.Possiamo poi individuare metatarsalgie non biomec-caniche in corso di malattie sistemiche e metatarsalgie in corso di malattie localizzate a carico del piede. Tra le prime ricordiamo quelle di natura vascolare, meta-bolica, reumatica, neurologica. Le seconde possono essere suddivise topograficamente in base alle strutture

FIGURA 5. Nell’alluce valgo la prima articolazione me-tatarsofalangea forma un angolo aperto all’esterno, supe-riore a 15°.

FIGURA 6. Alluce rigido: è caratterizzato dalla presenza della patognomonica iperostosi in corrispondenza della regione dorsale della 1° MTF, causata da una artrosi della 1° MTF.

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anatomiche compromesse: cute e sottocutaneo, borse e tendini, nervi, distinguendo tra queste le sindromi canalicolari e la sindrome di Civinini-Morton.Nell’artrite reumatoide è costante la presenza del val-gismo dell’alluce, che può raggiungere angolazioni estreme, piattismo della volta trasversa e lussazioni esterne delle dita. Vi è atrofia del cuscinetto adiposo plantare e la metatarsalgia è spesso totale con pre-senza di duroni. Il reperto radiografico tipico sono le erosioni della quinta testa metatarsale. Nell’artrite pso-riasica è reperto tipico il “dito a salsicciotto” per teno-sinovite dei flessori, con tumefazione flogistica di tutto il dito. Si ritrova anche l’artrite delle articolazioni inter-falangee, con tumefazione più localizzata e vivo do-lore alla palpazione e mobilizzazione. La prima MTF e l’interfalangea dell’alluce sono caratteristicamente colpite dall’attacco di gotta (Fig. 7): l’articolazione è gonfia, calda, arrossata, dolente e dolorabile.La sindrome di Civinini-Morton, più frequente nelle donne, è una sindrome canalicolare da intrappola-mento del nervo intermetatarsale plantare, di solito tra le teste del terzo e quarto metatarsale. La pressione in corrispondenza dello spazio interessato risveglia un dolore acuto, ben localizzato (Fig. 8). Il paziente riferisce comparsa di dolore a tipo nevralgico, uren-te, prima da carico, specie su terreno irregolare, poi anche a riposo, che si riduce togliendo la calzatura e massaggiando l’avampiede. Spesso sono presen-ti anche parestesie nella stessa sede. La diagnosi è esclusivamente clinica e il trattamento è elettivamente chirurgico (Fig. 9) dopo sei mesi dall’insorgenza. Il consiglio più efficace è la riduzione della compressio-ne delle teste metatarsali da attuare tramite l’utilizzo di

scarpe a pianta larga.Per una classificazione delle metatarsalgie si veda la Tabella I.

FIGURA 7. La 1° MTF e l’interfalangea dell’alluce sono caratteristicamente colpite dall’attacco di gotta: l’articola-zione è gonfia, calda, arrossata, dolente e dolorabile.

FIGURA 8. La sindrome di Civinini-Morton è una sindrome canalicolare da intrappolamento del nervo intermetatarsa-le plantare, di solito tra le teste del 3° e 4° metatarsale; la pressione in corrispondenza dello spazio interessato risve-glia un dolore acuto, ben localizzato.

FIGURA 9. Nella sindrome di Civinini-Morton il trattamen-to è elettivamente chirurgico.

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Nelle metatarsalgie biomeccaniche, per modificare la ripartizione dei carichi a livello metatarsofalangeo, e quindi per prevenire o risolvere i vizi di pressione, può essere prescritta un’ortesi plantare antalgica di scarico. Questo provvedimento riveste grande valo-re nell’anziano per ridurre metatarsalgie che limitano il percorso di marcia e quindi l’autonomia, oltre che essere importanti fattori di rischio di caduta. Compito dell’ortesi plantare è assorbire il carico e ridistribuirlo fuori dagli appoggi dolorosi usufruendo di appoggi

retro e sotto-capitati. La costruzione di queste ortesi ri-chiede abilità tecnica sia nel progetto sia nella realiz-zazione pratica per perseguire massima efficacia con minimo ingombro nella calzatura. Questo è compito di tecnici ortopedici dopo attenta analisi dell’impronta statica podografica o podoscopica.Abbiamo accennato alle fratture da fatica del calca-gno e dello scafoide, ma a livello dei metatarsi (spe-cialmente del secondo e terzo) sono molto più frequen-ti. Non sono quasi mai in rapporto a un trauma “unico e violento”, bensì determinate da ripetuti traumatismi sottosoglia (marciatori, ballerini) che provocano rias-sorbimento osseo localizzato o traumi poco violenti che determinano frattura senza spostamento dei mon-coni. Caratteristicamente non sono visibili all’rx nelle prime fasi, per cui è importante sospettarle di fronte a un dolore localizzato, a insorgenza graduale, che si presenta durante o dopo uno sforzo, è assente a ripo-so e si ripresenta col movimento. La frattura si rende evidente all’rx quando si forma il callo osseo, mentre la scintigrafia ossea è in grado di evidenziarla già in fase precoce. Non è indicata l’immobilizzazione in gesso, bensì l’applicazione di ghiaccio locale, riposo e uso di plantari di scarico.

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Viladot A. Patologia e clinica dell’avampiede. Roma: Verducci 1991.

TABELLA I. Classificazione e incidenza delle me-tatarsalgie.

1. METATARSALGIE BIOMECCANICHE(84,3%)

A. Da alterazioni strutturali (70,8%)

Sovraccarico di tutto l’avampiede (9,3%): piede cavo (8%), piede equino

Irregolare distribuzione del carico sull’avampiede (61,5%): insufficienza (41,4%) e sovraccarico (4%) del primo raggio (41,4%) e degli altri

B. Da alterazioni funzionali (13,6%)

Iperpronazione di sottoastragalica (8%)

Lassità ligamentosa

Dismorfismo delle dita

Obesità

2. METATARSALGIE DA CAUSE DISTRETTUALI(9,8%)

A. Cute

B. Borse e tendini

C. Nervi

Sindromi canalicolari

Sindrome Civinini-Morton (3,5%)

D. Osteoarticolari

E. Neoplastiche

3. METATARSALGIE DA CAUSE SISTEMICHE(5,8%)

A. Vascolari

B. Metaboliche

C. Reumatiche (1,7%)

D. Neurologiche

E. PsichicheDa Bardelli, 1999.

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RIZOARTROSI DELPOLLICEO ARTROSI TRAPEZIO-METACARPALE O LA MALATTIA DI FORESTIERParole chiave

Rizoartrosi • TM

MAURIZIO MURATOREU.O. di Reumatologia,

Ospedale Galateo San Cesario, [email protected]

La rizoartrosi è la localizzazione all’articolazione trapezio-metacarpale (TM) dell’artrosi primaria delle mani 1. Essa è l’espressione di uno squilibrio biomec-canico di tale articolazione che presenta una confor-mazione a sella estremamente complessa e predispo-

sta all’instabilità. La rizoartrosi rappresenta il 10% di tutte le localizzazioni artrosiche (colonna, ginocchio e anca comprese) ed è un’alterazione degenerativa e cronica dell’articolazione (trapezio-metacarpale) si-tuata alla base del pollice (il termine rizoartrosi deriva dal greco rhizos, che significa radice; di fatto, questa è l’articolazione che sta alla radice del pollice). A causa dell’artrosi la cartilagine che si trova tra le due ossa (trapezio e metacarpo) si assottiglia sempre di più, fino a scomparire quasi completamente, facendo aumentare l’attrito tra le due ossa che costituiscono l’articolazione, generando un invalidante dolore. La cartilagine, infatti, ricopre le ossa permettendo alle stesse di scivolare tra loro. Come è noto, il pollice ha per la mano un’importanza funzionale rilevante, per cui il suo stato di salute può condizionare l’utilizzo dell’intera mano 2.La forma dell’articolazione le permette un movimento assai ampio. Per questo motivo essa è particolarmente predisposta ad alterazioni degenerative (artrosi) do-vute al progressivo consumo della cartilagine che la

RIASSUNTOLa rizoartrosi è un’alterazione degenerativa e cronica dell’articolazione (trapezio-metacarpale) situata alla base del pollice. Essa è l’espressione di uno squilibrio biomeccanico di tale articolazione che presenta una conforma-zione a sella estremamente complessa e predisposta all’instabilità. La malattia ha una prevalenza molto elevata nel sesso femminile dopo i 50 anni ma non è rara nel sesso ma-schile. La sua espressione clinica è molto variabile: da forme molto dolorose e invalidanti a forme ben tollerate nonostante deformità anche molto marcate. La terapia conservativa ha un ruolo ancora importante e deve essere intesa come prevenzione secondaria della malattia: essa si attua con provvedimenti farmacologici, con impie-go di anti-infiammatori e cortisone, fisici, di igiene articolare e con l’impiego di tutori di posizione. Quando la malattia è in uno stadio più avanzato diventa indispensabile il ricorso alla chirurgia.

FIGURA 1. Articolazione trapezio-metacarpale. Lo spa-zio tra primo metacarpale e trapezio è diminuito.

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riveste e ai fenomeni di invecchiamento. Le cause del-l’insorgenza di tale patologia sono molteplici: dalla lassità congenita legamentosa ai dimorfismi del trape-zio; dai traumi all’azione compressiva longitudinale ripetuta che si realizza per la contrazione dei muscoli flessore lungo del pollice (FLP) e dell’abduttore lungo del pollice (AbLP).Anche l’uso normale della mano predispone l’articola-zione TM all’usura e ai traumi.Alcune persone poi sono più esposte a questa ma-lattia: in linea generale nelle donne dopo i 50 anni una su cinque soffre di rizoartrosi con un rapporto di circa 2 a 1 rispetto agli uomini, generalmente sopra i 60 anni, prevalentemente con il sopraggiungere della menopausa, ma può essere anche causata da trau-mi o lesioni locali. Si manifesta con dolore sempre più crescente durante tutte le operazioni di presa che coinvolgono il pollice (diciamo tutte le prese). Quan-do la degenerazione è in uno stadio più avanzato il dolore si manifesta ogni qual volta il pollice viene coinvolto anche per operazioni che sembrerebbero leggere e di poco conto dal punto di vista della forza da imprimere: scrivere, girare una chiave per aprire una porta, ecc. 3.

SEGNI E SINTOMIIl primo sintomo è il dolore che si esacerba durante le attività che comportano dei movimenti di presa e di pinza, quando il paziente esegue semplici movimenti di prensione con il pollice, come per esempio rimuo-vere il coperchio di un barattolo, girare la chiave in una serratura, afferrare la maniglia di una porta. Il dolore può anche comparire spontaneamente. Un uso importante del pollice può anche causare dolore a

livello dell’articolazione basale. Con il progredire del quadro clinico, attività sempre più leggere sono suffi-cienti a causare dolore. La forza di pinza diminuisce e può comparire gonfiore a livello dell’articolazione. Negli stadi avanzati si hanno delle deformità dell’arti-colazione e il movimento del pollice diventa limitato. La manifestazione dolorosa iniziale viene facilmente confusa con un dolore simile a quello che si manifesta nella sindrome del tunnel carpale o nella tendinite di De Quervain (tendinite degli estensori del pollice).Il dolore viene inoltre risvegliato dalla pressione diretta sull’articolazione alla base del pollice.Caratteristica della rizoartrosi è anche la comparsa nelle fasi iniziali di un rigonfiamento alla base del pol-lice seguito da un progressivo spostamento della base del pollice verso l’esterno.Con il progredire della malattia l’apertura del pollice verso l’esterno si riduce rendendo sempre più difficol-toso afferrare anche piccoli oggetti. Come fenomeno di compenso l’articolazione intermedia del pollice, la metacarpofalangea, si iperestende nel tentativo di consentire alla mano di afferrare oggetti più grossi e il pollice assume una deformità caratteristica definita “pollice a zeta” (Figg. 3-4) 4.

DIAGNOSILa diagnosi si basa sui sintomi raccontati dal paziente e sull’esame della mano, che serve a localizzare esat-tamente la sede del dolore e a differenziare il dolore dovuto all’artrosi da quello provocato da altre malattie (ad esempio, la malattia di De Quervain). Una storia clinica dettagliata su come le mani sono state usa-

FIGURA 2. La deformità tipica di una rizoartrosi di gra-do avanzato.

FIGURA 4. Tutore per ri-zoartrosi.

FIGURA 3. Pollice a zeta.

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te e se si hanno avuti precedenti traumi possono es-sere molto utili per fare pensare al medico che possa essere presente questa patologia. Un esame clinico attento evidenzia spesso una tumefazione alla base del pollice che può rappresentare sia un gonfiore che una sublussazione del primo osso del pollice (Fig. 5); inoltre, andando a sforzare il primo osso del pollice contro l’osso del polso può scatenare dolore.Nei casi più gravi, il pollice si “chiude” 5 gradual-mente verso il palmo; ciò fa sì che, quando si devono afferrare oggetti di grosse dimensioni, il dito si deve estendere in modo non fisiologico.L’esecuzione di una radiografia confermerà la diagno-si e quantificherà il quadro clinico dando indicazione su quello che sarà il trattamento (Fig. 6).La radiografia serve per valutare il grado di coinvol-gimento dell’articolazione. L’esame, quindi, non ser-ve per giudicare se un paziente deve essere operato o meno.

TRATTAMENTOSi basa su l’utilizzo di farmaci denominati Fast-ActingDrug for OsteoArthritis (SMOADs): analgesici, FANS o corticosteroidi a basso dosaggio possono contribui-re a risolvere le fasi acute e particolarmente dolorose, nelle quali la malattia progredisce più rapidamente. Spesso si associano farmaci Slow-Acting Drug for OsteoArthritis (SySADOA) come condroitinsolfato, ASU (oli insaponificabili di avocado e soia), acido ialuronico IA, diacereina, glucosamina solfato, o in-filtrazioni con farmaci denominati Disease Modifying Drug for OsteoArthritis (DMOADs), l’acido ialuronico a vari pesi molecolari.

Questi condroprotettori sono sostanze che intervengo-no, come molti lavori scientifici documentano, a livello dei processi metabolici cartilaginei e sono in grado di conservare le condizioni di vitalità dei condrociti, di inibire i processi degradativi cartilaginei, mantene-re inalterato il liquido sinoviale e stimolare la sintesi dei proteoglicani e del collagene. L’impianto di con-drociti autologhi si è dimostrato in grado di indurre la rigenerazione di cartilagine ialina in presenza di profonde lesioni articolari, poiché il suo trofismo non è dipendente dal flusso ematico, essendo assicurato direttamente dal liquido sinoviale.Si può ridurre la sintomatologia algica con la riduzione del movimento alla base del pollice tramite l’utilizza-zione di un tutore facilmente reperibile in commercio. Questo tutore consente spesso al paziente di svolgere adeguatamente le normali attività quotidiane e anche attività lavorative che non richiedono l’uso particolare della mano (Fig. 7). Il tutore può essere indossato du-rante la notte e per qualche ora durante il giorno nelle fasi più acute.Un’infiltrazione di cortisone direttamente nell’artico-lazione può, a volte, risolvere temporaneamente la sintomatologia dolorosa. La fisiochinesiterapia può migliorare la sintomatologia algica nelle fasi acute e in particolare ionoforesi, laserterapia a contatto, rie-ducazione funzionale per rinforzo muscolare in fase avanzata.Il trattamento chirurgico 6 7 risulta necessario nelle fasi

FIGURA 5. Deformità tipica base pollice.

FIGURA 6. Quadro radiologico di lesioni articolari di grado estremo. L’articolazione è ormai distrutta e la base del primo metacarpale è quasi completamente fuoriuscita dalla sua sede normale.

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più avanzate quando il dolore persiste anche a riposo e la difficoltà di prensione diventa marcata. Il tratta-mento chirurgico viene eseguito solitamente in aneste-sia plessica (anestesia periferica alla base dell’arto) e richiede un ricovero di almeno un giorno. Il problema della protesizzazione dell’articolazione TM si può dire a tutt’oggi ancora lontano dall’essere risolto. La complessità biomeccanica di tale articola-zione sottopone, infatti, un impianto protesico a forze torsionali e di taglio che sono responsabili di una per-centuale di fallimenti ancora troppo elevata per consi-derare la protesi articolare una soluzione definitiva al problema della rizoartrosi 8.Il tipo di trattamento chirurgico dipende dalle condi-zioni in cui si trovano le articolazioni alla base del pollice. Un esame radiografico, a volte integrato da una TAC multistrato, potrà rivelare l’estensione del pro-cesso artrosico e indicare al chirurgo la procedura più adatta al caso. L’indicazione all’uno o all’altro intervento dipende dal tipo di attività svolta dal paziente. In caso di danni articolari gravi è necessario ricorrere a interventi di sostituzione articolare con una protesi o a interventi di “fusione” articolare (artrodesi) 8.Con l’operazione si perde il movimento dell’articola-zione trapezio-metacarpale (beninteso, restano mobili le altre articolazioni del dito). Si tratta di un intervento molto valido sul dolore e che è indicato nei pazienti che necessitano di un pollice forte e stabile. Le ossa vengono unite tra loro con vari mezzi; uno dei più utilizzati è una specie di graffetta che viene inserita a ponte nelle due ossa, detta cambra. Dopo questi in-terventi è necessario un periodo di immobilizzazione di 4 o 5 settimane. In seguito è necessario un periodo

di terapia riabilitativa piuttosto lungo: la riabilitazione, infatti, richiede spesso alcuni mesi.La protesi è indicata nelle persone che non effettuano attività manuali pesanti o di medio impegno.Dopo l’inserimento di una protesi, infatti, è necessario “tenere da conto” la propria mano. Il vantaggio di questa soluzione sta nel fatto di mantenere un buon movimento articolare 9.Esistono due tipi di protesi: quelle di silicone, che vengono inserite a mo’ di distanziatore tra le ossa, dopo avere asportato il trapezio, e le protesi metal-liche, che sostituiscono le superfici di cartilagine che si sono usurate.In alternativa è possibile inserire nello spazio residuo TM uno “spaziatore” di ultima generazione (Fig. 11b) costituito da un materiale altamente biocompatibile,

FIGURA 7. Tutore per rizoartrosi. FIGURA 8. Radiografia di un intervento di fusione arti-colare con cambra.

FIGURA 9. Radiografia di una protesi di silicone.

122RIZOARTROSI DEL POLLICE O ARTROSI

TRAPEZIO-METACARPALE O LA MALATTIA DI FORESTIER

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EUMATOLOGIAEUMATOLOGIAREUMATOLOGIA prat

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il pirocarbonio, utilizzato in campo medico da ormai 35 anni come componente delle valvole cardiache artificiali.Questo intervento si prefigge di mantenere praticamen-te inalterata la mobilità del pollice e la forza prodotta

nella pinza e viene indirizzato a soggetti giovani e comunque negli stadi iniziali della malattia. Se tutte le articolazioni risultano danneggiate, l’intero trapezio deve essere rimosso e la base del primo me-tacarpale deve essere stabilizzata. L’intervento viene definito tenoartroplastica biologica.Nelle fasi avanzate della malattia si può verificare una compressione del nervo mediano o una tendinite del flessore lungo del pollice, condizioni che devono contemporaneamente essere risolte durante l’interven-to principale 10.In conclusione, il chirurgo deve prendere una decisione solo dopo aver discusso ampiamente con il paziente di tutte le problematiche associate alla rizoartrosi e di tutte le possibilità terapeutiche descritte in letteratura.

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patologiche. In: La rizoartrosi. Fidenza (PR): Mattioli 1996, pp- 29-35.

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5 Zancolli EA, Ziadenberg C, Zancolli ER. Biomecha-nics of the trapeziometacarpal joint. Chir Orthp 1987;220:14.

6 Brunelli C, Moninil, Brunelli F. Stabilizzazione del-la trapeziometacarpica nella rizoartrosi. GIOT 1988;16:371-6.

7 Alnot JY, Saint Laurent Y. L’artroplastie totale trapèzo-mètacarpienne. A propos de dix-sept cas de lèsions

FIGURA 10. Radiografia di una protesi metallica.

FIGURA 11. A) Protesi totale. B) Artroplastica TM (Pyrodisk o altro). C) Trapeziectomia + tenosospensione. D) Trapeziectomia + “spaziatore” (Pyrocarbon Pi2). E) Interposizione STT (Pyrocarbon STPI). F) Artrodesi.

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arthrosiques trapèzo metacarpiennes. Annales de Chirurgie de la Main 1985;4:11-21.

8 Stark HH, Moore JF, Ashworth CR, Boyes JH. Fusionof the first metacarpotrapezial joint for degenerative arthritis. J Bone Joint Surg 1977;59A:22-68.

9 Internullo G. La rizoartrosi: trattamento con artroplasti-

ca di sospensione secondo Ceruso nei gradi avanza-ti. Reumatismo 2008;60:125-30.

10 Damen A, Jan der Lei B, Robinson PH. Bilateralosteoarthritis of the trapeziometacarpal joint treated by bilateral tendon interposition arthroplasty. J Hand Surg 1997;22B:96-9.