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PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI EUMATOLOGIA R PRATICA Direttore Scientifico Roberto Marcolongo Direttore Editoriale Bianca Canesi Comitato Scientifico Gerolamo Bianchi Alessandro Bussotti Pierlorenzo Franceschi Bruno Frediani Luigi Gatta Stefano Giovannoni Gianni Leardini Arrigo Lombardi Raffaella Michieli Vittorio Modena Claudio Vitali Presidente CROI Gianni Leardini Presidente LIMAR Roberto Marcolongo Presidente SIMG Claudio Cricelli Presidente FADOI Carlo Nozzoli Direttore Responsabile Patrizia Alma Pacini © Copyright by Pacini Editore S.p.A. - Pisa Edizione Pacini Editore S.p.A. Marketing Dpt Pacini Editore Medicina Andrea Tognelli - Medical Project - Marketing Director Manuela Mori - Customer Relationship Manager Ufficio Editoriale Lucia Castelli Stampa Con il patrocinio di COLLEGIO REUMATOLOGI OSPEDALIERI ITALIANI SOCIETÀ ITALIANA DI MEDICINA GENERALE LEGA ITALIANA MALATTIE AUTOIMMUNI E REUMATICHE GIUGNO 2011 NUMERO 2 VOLUME 6 LA MALATTIA DA DEPOSITO DI CRISTALLI DI PIROFOSFATO DI CALCIO B. Frediani, G. Filippou, I. Bertoldi ................. 21 ORTESI PLANTARI A CONFRONTO: STUDIO SU UN CAMPIONE DI PAZIENTI T. Capitini .................................................. 29 RAZIONALE D’USO DI EPERISONE CLORIDRATO NEL DOLORE MUSCOLARE CRONICO M. Ghini, P. Mattana ................................... 35

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PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI

EUMATOLOGIAEUMATOLOGIAEUMATOLOGIAR PRATICA

Direttore ScientificoRoberto Marcolongo

Direttore EditorialeBianca Canesi

Comitato ScientificoGerolamo BianchiAlessandro BussottiPierlorenzo FranceschiBruno FredianiLuigi GattaStefano GiovannoniGianni LeardiniArrigo LombardiRaffaella MichieliVittorio ModenaClaudio Vitali

Presidente CROIGianni Leardini

Presidente LIMARRoberto Marcolongo

Presidente SIMGClaudio Cricelli

Presidente FADOICarlo Nozzoli

Direttore ResponsabilePatrizia Alma Pacini

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SOCIETÀ ITALIANADI MEDICINA GENERALE

LEGA ITALIANA MALATTIEAUTOIMMUNI E REUMATICHE

GIUGNO 2011NUMERO 2VOLUME 6

LA MALATTIA DA DEPOSITO DI CRISTALLIDI PIROFOSFATO DI CALCIOB. Frediani, G. Filippou, I. Bertoldi ................. 21

ORTESI PLANTARI A CONFRONTO: STUDIO SU UN CAMPIONE DI PAZIENTIT. Capitini .................................................. 29

RAZIONALE D’USO DI EPERISONE CLORIDRATO NEL DOLORE MUSCOLARE CRONICOM. Ghini, P. Mattana ................................... 35

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Bibliografia: va limitata alle voci essenziali identificate nel testo con nu-meri arabi ed elencate al termine del manoscritto nell’ordine in cui sono state citate. Devono essere riportati i primi 3 Autori, eventualmente seguiti da et. al. Le riviste devono essere citate secondo le abbreviazioni riportate su Index Medicus.Esempi di corretta citazione bibliografica per:articoli e rivisteBianchi M, Laurà G, Recalcati D. Il trattamento chirurgico delle rigidità ac-quisite del ginocchio. Minerva Ortopedica 1985;36:431-8.libriTajana GF. Il condrone Milano: Edizioni Mediamix 1991.Krmpotic-Nemanic J, Kostovis I, Rudan P. Aging changes of the form and infrastructure of the extemal nose and its importance in rhinoplasty. In. Conly J, Dickinson JT, editors. Plastic and reconstructive surgery of the face and neck. New York: Grune and Stratton 1972, p. 84-8.ringraziamenti: indicazioni di grants o borse di studio, vanno citati al termine della bibliografia. Le note contraddistinte da asterischi o simboli equivalenti, compariranno nel testo a piè di pagina.termini matematici, formule, abbreviazioni, unità e misure devono conformarsi agli standards riportati in Science 1954;120:1078.I farmaci vanno indicati con il nome chimico. Solo se inevitabile potran-no essere citati con i nome commerciale (scrivendo in maiuscolo la lettera iniziale del prodotto).

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Finito di stampare nel mese di Luglio 2011 dalle Industrie Grafiche Pacini Editore S.p.A.

L’editore resta a disposizione degli aventi diritto con i quali non è stato possibile comunicare e per le eventuali omissioni.Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o com-merciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Corso di Porta Romana n. 108, Milano 20122, e-mail [email protected] e sito web www.aidro.org.I dati relativi agli abbonati sono trattati nel rispetto delle disposizioni contenute nel D.Lgs. del 30 giugno 2003 n. 196 a mezzo di elaboratori elettronici ad opera di soggetti appositamente incaricati. I dati sono utilizzati dall’editore per la spedizione della presente pubblicazione. Ai sensi dell’articolo 7 del D.Lgs. 196/2003, in qualsiasi momento è possibile consultare, modificare o cancel-lare i dati o opporsi al loro utilizzo scrivendo al Titolare del Trattamento: Pacini Editore S.p.A. -Via A. Gherardesca 1- 56121 Ospedaletto (Pisa).

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LA MALATTIA DA DEPOSITO DI CRISTALLI

DI PIROFOSFATO DI CALCIO

Aspetti epidemiologici e clinici alla luce delle nuove

raccomandazioni EULAR

GIUGNO 2011 VOLUME 6 PAGINE 21-28

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PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI

BRUNO FREDIANI, GEORGIOS FILIPPOU,ILARIA BERTOLDISezione di Reumatologia, Università di Siena

Bruno [email protected]

PAROLE CHIAVE

LA STORIA DELLA MALATTIA DA DEPOSITO DI CRISTALLI DI PIROFOSFATO DI CALCIO.DAGLI INIZI ALLE NUOVE RACCOMANDAZIONILa prima segnalazione della presenza di calcifica-zioni nei tessuti articolari risale a oltre un secolo fa. Nel 1927 Mandl 1 ha suggerito la distinzione tra condrocalcinosi (CC) primaria e secondaria del gi-nocchio, basandosi sull’assenza o presenza rispet-tivamente di sintomatologia e di danno articolare; enfatizzando così, per la prima volta, il polimorfismo clinico della patologia. Werwath 2, nel 1928, pro-pose che le calcificazioni localizzate a livello delle cartilagini, dei legamenti e della capsula fossero dovute ad anormalità metaboliche sottostanti, e che rappresentassero un fattore predisponente al danno articolare.Nel 1957 Sitaj e Zintan 3 hanno utilizzato la presen-za di condrocalcinosi come criterio di diagnosi per l’artrite in 5 famiglie ceche, introducendo il termine chondrocalcinosis polyarticularis. In alcuni casi la CC aveva preceduto il danno articolare, rendendo così ancora più verosimile il sospetto che tra CC e artrite vi fosse un chiaro rapporto.Una tappa fondamentale nella storia della patologia è stata l’introduzione, da parte di McCarty e Hollan-der 4, nel 1961, della microscopia a luce polarizza-ta come tecnica per l’identificazione dei cristalli di urato monosodico in pazienti affetti da gotta. L’anno seguente, McCarty et al. 5 scoprirono, nel liquido

sinoviale di pazienti con artrite acuta del ginocchio, cristalli diversi dall’urato monosodico che successi-vamente sono stati identificati, tramite diffrazione a raggi X, come cristalli di pirofosfato di calcio diidra-to (CPPD - Ca2P2O72H2O).A causa della marcata somiglianza del quadro clini-co con quello della gotta, è stato utilizzato il termine pseudogotta 5.Nel corso degli anni sono state aggiunte altre forme cliniche associate alla presenza di depositi di calcio pirofosfato 6, la maggior parte delle quali mimava altri tipi di artrite, portando così alla comparsa di numerose “pseudo-sindromi”.Nel gennaio del 2011, quindi dopo molti anni, una task force di esperti dell’European League Against Rheumatism 7 ha esaminato la letteratura riguardante la malattia da deposito di calcio pirofosfato, valutan-done sfaccettature differenti.Questo lavoro ha condotto alla pubblicazione di nuove raccomandazioni, che andrebbero ulterior-mente confermate, suddivise in due parti: la prima è incentrata sulla terminologia e la diagnosi, mentre la seconda esamina principalmente l’approccio te-rapeutico.Queste recenti pubblicazioni hanno modificato la vi-sione di questa patologia, attribuendole una nuova importanza.Le seguenti definizioni, come raccomandate dalla task force, saranno utilizzate nel corso di questa trat-tazione:

cristalli di CPP: termine che semplifica la defini-zione “cristalli di calcio pirofosfato diidrato”;CPPD: riassume tutte le situazioni in cui si dimo-stra la presenza dei cristalli di CPP (è l’acronimo per “deposizione di calcio pirofosfato”);CC: identifica la presenza di calcificazioni della cartilagine, evidenziate attraverso la radiografia o l’analisi istologica.

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22LA MALATTIA DA DEPOSITO DI CRISTALLI

DI PIROFOSFATO DI CALCIO

GIUGNO 2011 NUMERO 2

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PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI

EPIDEMIOLOGIALa prevalenza della malattia da CPPD è ancora incer-ta. La variabilità delle valutazioni epidemiologiche è strettamente connessa al mezzo diagnostico utilizzato che, in molti studi, è rappresentato dalla radiografia tradizionale 8. Nelle situazioni in cui è stata impiegata l’analisi del liquido sinoviale per la ricerca di cristalli, i depositi di CPP hanno raggiunto valori elevati, sino al 25-43% dei pazienti che hanno subito un intervento di artroprotesi al ginocchio 9 10.Questa patologia presenta un’importante associazio-ne con l’età, difatti la prevalenza varia dal 3,7% per i soggetti di età compresa fra i 55-59 anni, sino al 17,5% per la fascia d’età fra gli 80-84 anni 11.Uno studio effettuato a Framingham (Massachusetts) da Felson et al. 12, nel 1989, ha esaminato un cam-pione di 1.425 soggetti scelti in modo casuale, ma con un’età superiore ai 63 anni, evidenziando una prevalenza dell’8,1%.Alcuni dati sulla prevalenza della condrocalcinosi nel-la popolazione europea sono riscontrabili in uno stu-dio condotto nel 2002 da Neame et al. 11: in questo caso il valore ottenuto è del 7%; mentre lo studio di Sanmarti et al. 13 ha mostrato una prevalenza maggio-re, con valori intorno al 10%.In Italia le informazioni a disposizione non sono molte; negli ultimi anni sono stati effettuati studi nel tentativo di definire sul piano epidemiologico sia le malattie reumatiche in generale sia, in modo specifico, la con-drocalcinosi.Lo studio MAPPING, pubblicato nel 2005 da Salaffi et al. 14, ha esaminato l’impatto epidemiologico delle patologie muscoloscheletriche in un campione raccol-to nella popolazione delle Marche.Le condizioni morbose sono state suddivise in quattro gruppi: le patologie reumatiche infiammatorie (ulte-riormente suddivise in tre sottogruppi: connettivopatie, spondiloartriti sieronegative e malattie da cristalli), le artriti sintomatiche periferiche, il mal di schiena e i disturbi a carico dei tessuti molli.La prevalenza delle affezioni muscoloscheletriche è compresa fra il 9,8 e il 33,2%, con una grossa diffe-renza tra le diverse fasce di età che, in questo studio, variano dai 18 fino a oltre i 75 anni. Data l’ampiezza di questo range, la prevalenza delle artropatie da cri-stalli si differenzia da quella calcolata in altri studi. Il valore per le malattie da cristalli è dello 0,88%, quello della gotta è dello 0,46%, mentre per la condrocalci-nosi è intorno allo 0,42%.Lo studio Pro.V.A., condotto da Ramonda et al. 15 nel

2009, ha invece definito la prevalenza della CC in un campione scelto tra la popolazione del nord-est Ita-lia. I soggetti scelti erano residenti nelle aree di Rovigo e Camposampiero e l’età doveva essere superiore ai 65 anni. Sono state valutate varie articolazioni poten-zialmente sede di condrocalcinosi quali il ginocchio, la sinfisi pubica e l’articolazione coxofemorale; tra queste quella maggiormente colpita è il ginocchio, dove la CC è presente nel 94,1% dei soggetti e con frequente interessamento bilaterale. È risultato mag-giormente coinvolto il ginocchio destro rispetto al si-nistro, con prevalente interessamento del comparto la-terale. L’esame utilizzato per identificare gli eventuali depositi di CPP è stato la radiografia standard.La prevalenza si modifica in base sia al sesso sia all’età, dimostrando la maggiore frequenza di questa patologia nel sesso femminile e negli anziani. I valori crescono dal 7,8%, riscontrato nella fascia fra i 65-74 anni, al 9,8% tra i pazienti di età compresa tra i 75 e gli 84 anni, sino a raggiungere il 21,1% nei soggetti con più di 85 anni.Nel corso di questo studio è stata inoltre osservata una maggiore frequenza dell’artrosi nei soggetti con condrocalcinosi.Uno studio di Zhang et al. 16 del 2006 ha invece va-lutato la prevalenza della condrocalcinosi in un cam-pione della popolazione cinese; la coorte dello studio è stata raccolta tra gli abitanti della città di Pechino. I partecipanti presentavano un’età almeno superiore ai sessanta anni. La ricerca dei depositi cristallini è stata condotta mediante esecuzione di radiografie antero-posteriori del ginocchio e della mano. La prevalenza nel campione esaminato ha valori ben inferiori rispetto a quelli della popolazione caucasica, in cui la CC del ginocchio appare circa tre volte più frequente; in particolare, la differenza è significativa nel caso di condrocalcinosi bilaterale ma non nel caso di interes-samento monolaterale; questo dato potrebbe indicare una predisposizione genetica a sviluppare depositi di CPP nei soggetti di razza bianca. La differenza è ancor più netta per l’articolazione del polso, la cui compromissione è molto rara nei soggetti sottoposti allo studio. Attraverso le analisi condotte è stata con-fermata la correlazione fra età e condrocalcinosi, e la maggiore predisposizione del sesso femminile a sviluppare questa patologia.

ASPETTI CLINICILa formazione dei depositi di calcio pirofosfato si veri-fica quasi esclusivamente nei tessuti articolari, più co-

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23B. FREDIANI, G. FILIPPOU, I. BERTOLDI EUMATOLOGIAEUMATOLOGIAREUMATOLOGIA prat

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PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI

GIUGNO 2011 NUMERO 2

munemente a livello delle fibrocartilagini e delle carti-lagini ialine. Le manifestazioni cliniche associate alla presenza di questi depositi sono estremamente varie e l’utilizzo di terminologie e classificazioni differenti ha comportato un’estrema difficoltà nella descrizione fenotipica della malattia da CPPD.Inizialmente è stato introdotto, per analogia con la gotta, il termine di pseudogotta per la descrizione de-gli attacchi acuti. In seguito sono state riconosciute numerose presentazioni cliniche che mimavano forme diverse di artrite, incoraggiando la proliferazione di una serie di “pseudo” sindromi.Sulla base di queste osservazioni venne proposta una classificazione costituita da cinque quadri clinici 17:

tipo A o pseudogotta;tipo B o forma pseudo reumatoide;tipo C o forma pseudoartrosica (associata a mani-festazioni infiammatorie);tipo D o forma pseudoartrosica (non associata a manifestazioni infiammatorie);tipo E o forma asintomatica;tipo F o neuropatica.

Il termine “malattia da deposito dei cristalli di CPPD” è stato introdotto per incorporare tutti i casi in cui sia dimostrata la presenza dei depositi di CPP.Attualmente è piuttosto comune, soprattutto in Europa, l’uso della definizione “artropatia cronica da CPPD”, la quale riassume tutte le condizioni di alterazione strutturale 18.Di seguito sono riportati i principali quadri clinici 6.

1. Sinovite acuta o PseudogottaQuesta è la causa più frequente di monoartrite acuta nei soggetti anziani.Gli attacchi possono essere la manifestazione di una condizione, fino a quel momento, asintomatica op-pure presentarsi in corso di un’artropatia cronica da pirofosfati.Tutte le articolazioni potrebbero essere colpite, ma le sedi più frequenti sono il ginocchio e il gomito. Meno frequenti sono gli attacchi contemporanei in più arti-colazioni (meno del 10% dei casi), mentre sono asso-lutamente rari gli attacchi poliarticolari.L’attacco tipico si sviluppa velocemente nell’arco di 6-24 ore. Analogamente a quanto accade nella got-ta, il paziente può descrivere il dolore come estre-mamente intenso e difficilmente sostenibile. Gli attac-chi sono autolimitanti e in genere si risolvono in 1-3 settimane; in alcuni casi possono presentarsi con un quadro clinico più lieve caratterizzato da versamento,

rigidità e “calor” della sede colpita, ma in assenza di dolore.Numerosi fattori predisponenti sono stati riconosciuti, tra questi il più comune è l’associazione con eventi stressanti, in particolare stati morbosi o interventi chi-rurgici. Tutti questi eventi sono in grado di indurre la diffusione (o shedding) dei cristalli preformati dalla cartilagine verso l’interno dei tessuti articolari.

2. Artropatia cronica da cristalli di CPPI pazienti interessati da questa forma sono general-mente donne anziane. Al pari di quanto si osserva nella pseudogotta, le articolazioni più frequentemente coinvolte sono le grandi e medie.Il ginocchio è la sede più colpita; meno frequenti sono i polsi, le spalle, i gomiti, le anche e le articolazioni del tarso. Nella mano la II e la III metacarpo-falangee rappresentano le sedi di elezione. Il quadro clinico è costituito da dolore cronico, rigidità mattutina e limita-zione funzionale.All’esame obiettivo le articolazioni affette presentano spesso segni di artrosi (crepitii, riduzione dell’arco di movimento) con variabile grado di sinovite. Gli attac-chi acuti di pseudogotta possono sovrapporsi a que-sto quadro.L’artrosi diffusa è sovente associata all’artropatia cro-nica da CPP ma se ne differenzia per diverse caratte-ristiche come ad esempio la distribuzione topografica tra le varie articolazioni (polsi, spalle, caviglie e go-miti sono raramente coinvolti dall’artrosi primitiva) e a livello della stessa articolazione (prevalente coinvolgi-mento del comparto mediale del ginocchio nell’artro-si e della femoro-patellare nell’artropatia da CPP), la componente infiammatoria più marcata in corso di ar-tropatia da CPP e il sovrapporsi degli attacchi acuti.In alcuni casi si osserva un’artropatia rapidamente progressiva, in particolare a carico delle ginocchia e delle spalle (destructive pyrophosphate arthropathy o pseudoneuropathic joint). Questo quadro sembra limi-tato alle donne oltre gli ottanta anni di età e spesso si associa a emartro intermittente.

3. Condrocalcinosi AsintomaticaConsiderando l’elevata frequenza della CC nelle per-sone anziane, questa malattia spesso è riscontrata oc-casionalmente nei radiogrammi. L’evidenza radiologica della CC può essere fattore di confusione nell’inquadra-mento del paziente, e sono necessari un’attenta anam-nesi e un accurato esame obiettivo per determinare la sua importanza nel quadro clinico complessivo.

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24LA MALATTIA DA DEPOSITO DI CRISTALLI

DI PIROFOSFATO DI CALCIO

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4. Manifestazioni cliniche inusuali della malattia da deposito di CPP 8

Recenti studi hanno preso in considerazione la depo-sizione di cristalli di pirofosfato a livello delle articola-zioni assiali 20 21, identificandola come una possibile causa di dolore al rachide cervicale; è stato inoltre evidenziato che questa malattia potrebbe mimare il quadro clinico della polimialgia reumatica.L’ultima modifica a questa classificazione è stata ap-portata dalla task force dell’EULAR 7, che ha proposto la seguente suddivisione delle presentazioni cliniche associate a CPPD:

CPPD asintomatica: CPPD senza conseguenze cli-niche apparenti;artrite acuta associata ai cristalli di CPP;artrite infiammatoria cronica da cristalli di CPP;CPPD con artrosi: la CC può apparire come un fe-nomeno apparentemente isolato oppure essere as-sociato a alterazioni strutturali di tipo artrosico 22.

L’artrosi isolata differisce dalla forma associata alla CPPD per alcune caratteristiche: differente interessa-mento articolare 23 24, osteofitosi meno importante 22

e aspetti infiammatori meno spiccati. Non è ancora chiaro se l’artrosi con CPPD rappresenti effettivamente un sottoinsieme distinto dell’artrosi. Clinicamente può associarsi a fasi flogistiche acute o a una sintomato-logia cronica caratterizzata da dolore, rigidezza e limitazione funzionale.

LA DIAGNOSILa diagnosi si basa sulla rilevazione dei cristalli all’ana-lisi del liquido sinoviale e al riscontro delle tipiche cal-cificazioni alle radiografie. McCarty 18 ha proposto criteri diagnostici per la patologia da cristalli di CPP che includono analisi istologiche, microscopiche e radiologiche.Secondo questi criteri la diagnosi di artropatia da CPPD è certa quando i cristalli sono evidenziati in tessuti articolari o nel liquido sinoviale con tecniche definitive (ad esempio la diffrazione a raggi X), oppu-re quando le calcificazioni caratteristiche sono rilevate ai raggi X e i cristalli birifrangenti, compatibili con quelli di CPP, sono riscontrati all’analisi del liquido si-noviale con microscopio a luce polarizzata. Se fosse soddisfatta solo una di queste condizioni, la diagnosi sarebbe ritenuta soltanto probabile.Le tecniche che offrono un’identificazione sicura dei cristalli di CPP (come la diffrazione a raggi X o il mi-croscopio elettronico) sono scarsamente reperibili, hanno tempi di esecuzione piuttosto lunghi, costi di

gestione elevati e richiedono cariche cristalline alte nel campione esaminato. Nella pratica clinica, quin-di, è più indicato l’uso del microscopio ottico a luce polarizzata per l’identificazione dei cristalli, anche se passibile di falsi negativi e falsi positivi.L’EULAR ha rivalutato pertanto l’utilizzo dell’analisi del liquido sinoviale come principale mezzo per il rag-giungimento di una diagnosi certa.La sua validità e affidabilità sono state sistematicamen-te rivalutate 27 ed è stato evidenziato che, attraverso l’addestramento degli esaminatori all’identificazione dei cristalli, la sensibilità e la specificità raggiungono livelli elevati.Non è stato raccomandato nessun cut-off della quan-tità di cristalli da trovare per il raggiungimento della diagnosi, anche il riscontro di un singolo cristallo è ritenuto clinicamente significativo.Tornando ai criteri diagnostici di McCarty 18, l’altro esame fondamentale per il raggiungimento della dia-gnosi è la radiografia standard.Gli aspetti radiologici peculiari della condrocalcinosi sono rappresentati dalle calcificazioni e dalle carat-teristiche alterazioni strutturali delle articolazioni. Le calcificazioni si possono riscontrare in diversi tessuti articolari; le sedi più comuni e più precoci sono le cartilagini ialine (soprattutto ginocchio, spalla e anca) e le fibrocartilagini (menischi, fibrocartilagine triango-lare del carpo e sinfisi pubica) 6 (Fig. 1).Le calcificazioni nella capsula, nella sinovia o nei tendini in genere compaiono tardivamente. La CC occasio-nalmente può colpire una sola articolazione (di solito il ginocchio), ma nella maggior parte dei casi ha una distribuzione poliarticolare. L’assenza di lesioni a livello del ginocchio, del polso o della sinfisi pubica rende poco probabile che queste possano essere riscontrate in sedi diverse. Altra caratteristica importante è la dinamicità delle calcificazioni, le quali possono modificare le pro-prie dimensioni in rapporto alla fase della patologia 6.Un esempio caratteristico è l’attacco di pseudogotta, durante il quale si può osservare una riduzione dei depositi intracartilaginei evidenziabili radiologicamente.Le alterazioni strutturali che compaiono nelle artico-lazioni affette da CC sono sostanzialmente simili a quelle dell’OA: riduzione della cartilagine articolare, sclerosi, geodi e osteofiti.Le caratteristiche che permettono di orientare la dia-gnosi sono 6:

La distribuzione articolare e la localizzazione all’in-terno di una stessa articolazione, infatti entrambe risultano diverse nell’artrosi.

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25B. FREDIANI, G. FILIPPOU, I. BERTOLDI EUMATOLOGIAEUMATOLOGIAREUMATOLOGIA prat

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PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI

GIUGNO 2011 NUMERO 2

Articolazioni come quella gleno-omerale, le MCF, le caviglie e i gomiti sono generalmente risparmiate dall’OA primitiva; allo stesso modo l’interessamen-to isolato della femoro-rotulea o della radio-carpica (spesso associato alla caratteristica dislocazione della scafo-ulnare) non si riscontrano nell’OA.La prominente ed esuberante osteofitosi.

La task force dell’EULAR ha rivalutato l’effettiva validità della radiografia per il raggiungimento di una diagno-si certa, affermando che l’assenza delle calcificazioni all’Rx non dovrebbe escludere la diagnosi di malattia da CPPD. Accade piuttosto frequentemente che ci sia discordanza fra il riscontro di cristalli a livello del li-quido sinoviale e il referto radiografico 28-31, infatti il riscontro di CC in casi di confermata artrite da cristalli varia dal 29 al 93% secondo la popolazione e l’arti-colazione esaminate.L’EULAR ha esaminato, inoltre, l’utilità dell’ecografia nell’iter diagnostico della condrocalcinosi, soprattutto per identificare le calcificazioni a livello di spalla, pol-so e ginocchio 32 33. Le caratteristiche morfologiche dei depositi da CPP evidenziate sono le seguenti:

non creano cono d’ombra posteriore se non rag-giungono delle dimensioni considerevoli (circa 1,5 cm e oltre);hanno un aspetto iperecogeno, rispetto a quasi tutti i tessuti, al contrario delle calcificazioni di apatite che sono meno brillanti;tendono a confluire formando strie o depositi ovalari;

quando i cristalli si trovano in alte concentrazioni all’interno del liquido sinoviale, creano dei depositi iperecogeni liberi che assumono di solito forma ro-tondeggiante e presentano dei contorni nettamente definiti.

A livello articolare i depositi di CPP possono apparire come piccoli depositi lineari o ovalari, tendenzialmen-te confluenti, contenuti all’interno delle cartilagini iali-ne, come numerosi spot iperecogeni nel contesto del-le fibrocartilagini (pattern punteggiato), oppure come depositi iperecogeni lineari o ovalari all’interno dei tendini, che non creano cono d’ombra posteriore.L’esame ecografico del ginocchio ha dimostrato ele-vati valori sia di sensibilità sia di specificità per il riscontro dei depositi di cristalli; la positività dell’eco-grafia suggerisce con migliore accuratezza la dia-gnosi di CPPD. L’opportunità di utilizzare l’ecografia può essere limitata dalla sede da esaminare, in par-ticolare per quelle aree come lo scheletro assiale, per le quali non è possibile utilizzare questa tecnica diagnostica.Uno studio, che ha messo direttamente a confronto l’ecografia e l’esame radiografico, ha evidenziato una maggiore sensibilità degli ultrasuoni nell’identifi-care i depositi cristallini di pirofosfato.Nonostante questi risultati incoraggianti, sono ancora pochi gli studi effettuati in questo campo e per ora confinati a pochi centri specializzati tra cui quello dell’Università di Siena.

FIGURA 1. Calcificazioni a livello di polso (A) e ginocchio (B) in caso di Condrocalcinosi.

BA

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26LA MALATTIA DA DEPOSITO DI CRISTALLI

DI PIROFOSFATO DI CALCIO

GIUGNO 2011 NUMERO 2

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PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI

CONCLUSIONICome abbiamo visto, dunque, la malattia da deposi-to di cristalli di CPP è una entità clinica dalle molteplici sfaccettature e rappresenta una sfida diagnostica per il reumatologo. Le nuove raccomandazioni della task force dell’EULAR hanno cercato di riprendere questa patologia, a lungo in ombra, e portare un po’ di chia-rezza sia dal punto di vista della terminologia, sia, soprattutto, per quel che riguarda gli aspetti diagno-stici, basati su criteri diagnostici sicuramente obsoleti. Infatti, l’utilizzo di tecniche di imaging come l’ecogra-fia da parte dei reumatologi, ha permesso di rendere l’inquadramento diagnostico di questa patologia e la diagnosi differenziale molto più agevole e meno invasiva. Tanti aspetti sono ancora da chiarire, ma il crescente interesse della comunità scientifica, testi-moniato anche dalle sovracitate linee guida EULAR, potrebbe essere il fulcro intorno al quale creare gruppi

di ricerca e studi di tipo longitudinale, indispensabili per capire meglio la storia naturale della patologia finora poco nota.

BIBLIOGRAFIA1 Mandl F. Zur pathologie und therapie der zwischen-

knorpelerkrankruger des kniegelenkes. Arch Klin Chir 1927;146:149-214.

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4 Kohn NN, Hughes RE, McCarty DJ, et al. The sig-nificance of calcium phosphate crystals in the syno-vial fluid of arthritic patients: the “pseudogout syn-

FIGURA 2. Aspetto ecografico dei depositi di CPP (frecce) nella cartilagine ialina (HC) del femore nell’articola-zione del ginocchio, e nella fibrocartilagine (FC) del menisco mediale.

TABELLA I. Differenze tra i criteri diagnostici definiti da McCarty e le nuove raccomandazioni dell’EULAR.

MCCARTY EULARLS positivo Diagnosi probabile Diagnosi certa

RX positivo Diagnosi probabile Non sufficiente

LS e RX positivo Diagnosi certa Diagnosi certa

Ecografia Non considerata Ottimi livelli di sensibilità e specificità

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27B. FREDIANI, G. FILIPPOU, I. BERTOLDI EUMATOLOGIAEUMATOLOGIAREUMATOLOGIA prat

ica

PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI

GIUGNO 2011 NUMERO 2

drome”. II. Identification of crystals. Ann Intern Med 1962;56:738-45.

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9 Derfus BA, Kurian JB, Butler JJ, et al. The high preva-lence of pathologic calcium crystals in pre-operative knees. J Rheumatol 2002;29:570-4.

10 Viriyavejkul P, Wilairatana V, Tanavelee A, et al.Comparison of characteristics of patients with and without calcium pyrosphate dihydrate crystal deposi-tion disease who underwent total knee replacement surgery for osteoarthritis. Osteoarthritis Cartilage 2007;15:232-5.

11 Neame RL, Carr AJ, Muir K, et al. UK community prevalence of knee chondrocalcinosis: evidence that correlation with osteoarthritis is through a shared association with osteophyte. Ann Rheum Dis 2003;62:513-8.

12 Felson DT, Anderson JJ, Naimark A, et al. The preva-lence of chondrocalcinosis in the elderly and its as-sociation with knee osteoarthritis: the Framingham study. J Rheumatol 1989;16:1241-5.

13 Sanmarti R, Panella D, Brancos MA, et al. Preva-lence of articular chondrocalcinosis in elderly sub-jects in a rural area of Catalonia. Ann Rheum Dis 1993;52:418-22.

14 Salaffi F, De Angelis R, Grassi W. MArche Pain Prev-alence; Investigation Group (MAPPING) study. Preva-lence of musculoskeletal conditions in an Italian popu-lation sample: results of a regional community-based study. I. The MAPPING study. Clin Exp Rheumatol 2005;23:819-28.

15 Ramonda R, Musacchio E, Perissinotto E, et al. Prev-alence of chondrocalcinosis in Italian subjects from northeastern Italy. The Pro.V.A. (PROgetto Veneto An-ziani) study. Clin Exp Rheumatol 2009;27:981-4.

16 Zhang Y, Terkeltaub R, Nevitt M, et al. Lower prev-alence of chondrocalcinosis in Chinese subjects in

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17 McCarty DJ. Calcium Pyrophosphate Dihydrate Crystal-associated arthropathy-1975. Arthritis Rheum 1976;19(Suppl):85.

18 Ryan LM, McCarty DJ. Calcium pyrophosphate crys-tal deposition disease, pseudogout and articular chondrocalcinosis. In: McCarty DJ, Koopman WJ. editors. Arthritis and Allied Conditions. A textbook of Rheumatology. 13th ed. Philadelphia, PA: Lea and Febiger 1997, pp. 2103-26.

19 Ledingham J, Regan M, Jones A, et al. Factors affect-ing radiographic progression of knee osteoarthritis.Ann Rheum Dis. 1995;54:53-8.

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27 Swan A, Amer H, Dieppe P. The value of synovial fluid assays in the diagnosis of joint disease: a litera-ture survey. Ann Rheum Dis 2002;61:493-8.

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28LA MALATTIA DA DEPOSITO DI CRISTALLI

DI PIROFOSFATO DI CALCIO

GIUGNO 2011 NUMERO 2

EUMATOLOGIAEUMATOLOGIAREUMATOLOGIA prat

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PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI

29 Utsinger PD, Resnick D, Zvaifler NJ. Wrist arthropathy in calcium pyrophosphate dihydrate deposition dis-ease. Arthritis Rheum 1975;18:485-91.

30 Cruz J, Avina-Zubieta A, Martìnez de la Escalera G, et al. Molecular heterogeneity of prolactin in the plasma of patients with systemic lupus erythematous.Arthritis Rheum 2001;44:1331-5.

31 Martìnez Sanchis A, Pasqual E. Intracellular and extracellular CPPD crystals are a regular feature in synovial fluid from uninflamed joints of patients

with CPPD related arthropathy. Ann Rheum Dis 2005;64:1769-72.

32 Filippou G, Frediani B, Gallo A, et al. A “new” tech-nique for the diagnosis of chondrocalcinosis of the knee: sensitivity and specificity of high frequency ul-trasonography. Ann Rheum Dis 2007;66:1126-8.

33 Frediani B, Filippou G, Falsetti P, et al. Diagnosisof calcium pyrophosphate dihydrate crystal deposi-tion disease: ultrasonography criteria proposed. Ann Rheum Dis 2005;64:638-40.

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29

ORTESI PLANTARIA CONFRONTO:

STUDIO SU UNCAMPIONE DI PAZIENTI

GIUGNO 2011 VOLUME 6 PAGINE 29-34

EUMATOLOGIAEUMATOLOGIAREUMATOLOGIA prat

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PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI

TAKIS CAPITINIDocente Scienze Podologiche,Sapienza Università di [email protected]

PAROLE CHIAVE

RIASSUNTONella realizzazione di ortesi plantari per pazienti affetti da patologie reumatiche sono utilizzate le più disparate meto-diche senza un’apparente scientificità o una finalità ben precisa e troppo spesso si è guidati dalla “sola” esperienza clinica. Lo studio da noi effettuato ha proprio lo scopo di colmare queste lacune fornendo quindi indicazioni chiare sul se, come, quando, per quanto e per chi realizzare una specifica ortesi plantare in base alle reali necessità dei pazienti.

INTRODUZIONEIl piede è la base del servo meccanismo antigravità del corpo umano e consente all’uomo di assumere la stazione eretta e di deambulare, infatti agisce sia da effettore sia da ricettore; ossia riceve ed esegue comandi tramite i muscoli, e, nello stesso tempo, in-teragisce con il resto del corpo sia attraverso il siste-ma mio-fasciale sia fornendo costanti informazioni provenienti dagli esterocettori cutanei localizzati nella pianta del piede e dai propriocettori dei muscoli, dei tendini e delle articolazioni. Il piede umano si evolve, quindi, da una forma prensile a quella stabilizzatrice antigravità conservando e incrementando la comples-sità della propria muscolatura e della sua funzione. Nel 1967 lo studioso Jean Lelièvre pubblicò “Manua-le di patologia del piede” dove descrisse alcuni tipi di ortesi plantari che secondo la sua esperienza si erano dimostrati più efficaci, delineandone le tecniche co-struttive e l’impiego appropriato. Successivamente nel 1977 Valente Valenti, studioso del piede, pubblicò “LeOrtesi del piede” dove oltre a descrive l’applicazione e le tecniche di costruzione ne evidenziava l’importan-za. Il prof. Viladot suggeriva: “quando si interviene su un piede bisogna sempre operare pensando ad una ortesi”. Secondo un’indagine dall’ARC (Arthritis Rese-

arch Campaign) solo un malato reumatico su quattro riceve cure adeguate per i propri piedi; in Italia circa il 10% della popolazione (10.000.000 di persone) è affetto da patologie reumatiche e il piede è frequente-mente sede elettiva e d’insorgenza di queste malattie. Questo è il punto cardine del nostro studio con il quale ci proponiamo di dimostrare quale tipologia di ortesi plantari realizzare in relazione alle patologie reumati-che con coinvolgimento podalico.

MATERIALI E METODILo studio monocentrico, randomizzato e controllato della durata di un anno, è stato eseguito su campione di 100 pazienti affetti da patologie reumatiche in pre-cedenza diagnosticate. Di questi 100:

-te (AS).

CRITERI D’INCLUSIONE (FIG. 1)I criteri d’inclusione riguardanti i pazienti affetti da AR sono stati identificati con lo scopo di evidenziare le caratteristiche anatomopatologiche differenti in base agli anni di malattia, alle deformità rilevabili clinica-mente e al dolore; per tale motivo è stata realizzata la seguente classificazione:

-vallo di tempo da 0 a 3 anni, senza deformità ossee che all’anamnesi riferivano rigidità articolare e dolore saltuario all’avampiede;

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30ORTESI PLANTARI A CONFRONTO:

STUDIO SU UN CAMPIONE DI PAZIENTI

GIUGNO 2011 NUMERO 2

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PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI

tempo da 4 a 10 anni con deformità modeste e dolore frequente e irradiato a tutto l’avampiede;

20 soggetti colpiti da AR da più di 10 anni con deformità ossee severe (alluce valgo di 3° e 4° grado, dita a collo di cigno, ecc.), tu-mefazioni, noduli, dolore cronico all’avampiede, limitazione funzionale dei piedi e delle mani.

Ogni singola classe di soggetti è stata suddivisa in un gruppo di studio composto da 10 soggetti, trattato con ortesi plantari termoformabili (dopo impronta su schiuma fenolica e realizzazione di calco in gesso), e uno di controllo (composto sempre da 10 soggetti) trattato con ortesi plantari a lievitazione.

-bile a 110° con altezza di 4 mm e densità di

50/200 kg/m3 e sostegni a media deprimibilità, media resistenza elastica e media memoria di ritorno;

e sostegni a media deprimibilità, media resistenza elastica e media memoria di ritorno;

a 110° con altezza di 8 mm e densità 50/200 kg/m3. Sostegni come a classe 1;

gruppo di controllo classe 1;

a 110° con altezza di 10 mm e densità di 50/200 kg/m3. Sostegni come classi 1 e 2;

gruppi di controllo 1 e 2.

FIGURA 1. Campione di 100 pazienti affetti da artrite reumatoide e artriti sieronegative esaminate nell’arco di un anno.

60

50

40

30

20

10

0

A.R. S.R. A.S.

20

Classe IAR da 0 a 3 aa

Classe IIAR da 4 a 10 aa

Classe IIIAR da > 10 aa

SR ≥ 5 aa

AS ≥ 5 aa

20

20 20

LEGENDAA.R.: ARTRITE REUMATOIDES.R.: SINDROME DI REITERA.S.: SPONDILITE ANCHILOSANTE

20

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31T. CAPITINI EUMATOLOGIAEUMATOLOGIAREUMATOLOGIA prat

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PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI

GIUGNO 2011 NUMERO 2

Per le artriti siero-negative sono stati arruolati per lo studio:

patologica di almeno 5 anni con manifestazioni podaliche di: talalgia, spina calcaneare, entesiti e fascite plantare;

almeno 5 anni con manifestazioni podaliche di: ta-lalgia, spina calcaneare, entesiti e fascite plantare.

Anche in questo caso ogni classe è stata divisa in un gruppo di studio (10 soggetti), trattato con ortesi plantare a lievitazione con sostegni a media memoria di ritorno e media resistenza elastica, e uno di controllo (10 soggetti) trattato con solette al silicone preconfezionate reperibili facilmente sul mercato.Il protocollo di studio prevedeva controlli a 15 giorni, 1-3-6-9-12 mesi dalla data di consegna delle ortesi plantari. A ogni controllo sia ai gruppi di studio sia a

quelli di controllo è stato eseguito esame baropodo-metrico statico-dinamico, esame obiettivo e sono stati somministrati dei questionari specifici standardizzati e la scala VAS.

PRESENTAZIONE E DISCUSSIONE DEI RISULTATI

AR classe 1 gruppo di studio e controlloAl primo controllo entrambi i gruppi evidenziano un miglioramento lieve che diventa sufficiente dopo il primo mese. Lieve discrepanza si nota al 6° mese dove il gruppo di studio in toto si sposta sul livello buono mentre nel gruppo di controllo soltanto 8 sog-getti arrivano allo stesso livello. Dopo 12 mesi al livello eccellente arrivano tutti i componenti del grup-po di studio mentre nel gruppo di controllo 3 pazienti ritornano al livello sufficiente e sette permangono al livello buono (Fig. 2).

FIGURA 2. Gruppo di controllo classe I: miglioramento.

25

20

15

10

5

0

Gruppo di controllo: a lievitazione

Gruppo di studio: termoformabile

15 giorni 1 mese 3/6 mesi 9/12 mesi

lieve

suffi

cien

te

buon

o

ecce

llent

e

lieve

suffi

cien

te

buon

o

ecce

llent

e

lieve

suffi

cien

te

buon

o

ecce

llent

e

lieve

suffi

cien

te

buon

o

ecce

llent

e

CLASSE I

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32ORTESI PLANTARI A CONFRONTO:

STUDIO SU UN CAMPIONE DI PAZIENTI

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PROBLEMATICHE CLINICHE OSTEO-ARTICOLARI

AR classi 2 e 3 gruppo di studio e controlloAl primo controllo sia i due gruppi di studio sia i due di controllo sono in lieve miglioramento. Dopo un mese il gruppo di controllo della 2a e della 3 a classe si sposta-no nella dolorabilità mentre i gruppi di studio si posizio-nano al livello sufficiente. A sei mesi nove soggetti del gruppo di controllo della classe 2 a e otto del gruppo di controllo della classe 3° si trovano nella mobilità mentre uno del gruppo di controllo della classe 2a e due sog-getti del gruppo di controllo della classe 3° rimangono nella dolorabilità. Entrambi i gruppi di studio si sposta-no al livello buono. Allo scadere del dodicesimo mese i due gruppi di controllo presentano una riacutizzazione dei sintomi mentre i gruppi di studio si spostano dal livello buono a quello eccellente (Figg. 3a e 3b).

Artriti siero-negative gruppo di studio e controlloTutti e quattro i gruppi, al primo controllo, mostravano

un miglioramento lieve. Allo scadere del primo mese i due gruppi di controllo passavano a una situazione di dolorabilità mentre i due gruppi di studio passavano a un livello sufficiente. A mesi sei, diciassette membri dei gruppi di controllo si collocavano sulla mobilità mentre i rimanenti tre rimanevano nella dolorabilità. I gruppi di studio passavano da sufficiente a buono. Dopo 12 mesi i gruppi di controllo mostravano una riacutizzazione dei sintomi, invece i gruppi di studio passavano da buono a eccellente (Fig. 4).

CONCLUSIONILa disabilità è una conseguenza di molte patologie reumatiche e, di fatto, rappresenta l’impatto diretto che un processo patologico, talvolta cronico degene-rativo, ha sulla capacità dei pazienti di svolgere una normale attività e la misura della disabilità rappresen-ta un continuo potenziale di esiti. Appare evidente

FIGURA 3A. Gruppo di controllo classe II: stadiazione del miglioramento.

25

20

15

10

5

0

-5

-10

-15

Gruppo di studio: termoformabile

Gruppo di controllo: a lievitazione

15 giorni 1 mese 3/6 mesi 9/12 mesi

dolo

rabi

lità

< m

obili

riacu

tizza

zion

e de

i sin

tom

i

lieve

suffi

cien

te

buon

o

ecce

llent

e

dolo

rabi

lità

< m

obili

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tizza

zion

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llent

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dolo

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i sin

tom

i

lieve

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cien

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ecce

llent

e

dolo

rabi

lità

< m

obili

riacu

tizza

zion

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i sin

tom

i

lieve

suffi

cien

te

buon

o

ecce

llent

e

CLASSE II

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33T. CAPITINI EUMATOLOGIAEUMATOLOGIAREUMATOLOGIA prat

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quindi che qualsiasi intervento volto a correggere la malattia di base e il deterioramento funzionale può avere un notevole impatto sulla disabilità. Ragionan-do proprio in quest’ottica lo studio svolto assume una notevole rilevanza perché se è assodato che compete al reumatologo “correggere la malattia di base” è altrettanto certo che è compito del podologo “correg-gere“ il deterioramento funzionale dei piedi attraver-so la realizzazione di specifiche e miratissime ortesi plantari. Analizzando i risultati si evince come per i pazienti affetti da AR di classe 1 i dati tra il gruppo di studio e quello di controllo siano quasi sovrapponibi-li indicando entrambe le metodologie ortesiologiche come idonee. Discorso completamente diverso riguar-da le classi 2a e 3a, dove i dati elaborati indicano come metodica congrua esclusivamente quella termo-formabile con supporto rigido alto rispettivamente 8

e 10 mm. Dati chiari e indicativi ci portano, inoltre, a concludere che per i pazienti affetti da artriti siero-negative (SA, SR) l’ortesi plantare da considerare come gold-standard è quella a lievitazione. I presidi medici su misura (ortesi plantari) si sono dimostrati determinanti nel modificare l’approccio del paziente alla malattia, tanto da ridurre o addirittura eliminare la componente algica e la disabilità fisica, favoren-do e predisponendo una strategia di partecipazione che, come dimostrato da questo studio, a lungo ter-mine si associa a un decorso di malattia migliore con un conseguente innalzamento della qualità di vita dei pazienti. I dati forniti da questa pubblicazione offro-no un modus operandi preciso e inequivocabile per la realizzazione di specifiche ortesi plantari conce-pite e modulate in base al reale stato morboso del paziente reumatico.

FIGURA 3B. Gruppo di controllo classe III: stadiazione del miglioramento.

25

20

15

10

5

0

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Gruppo di studio: termoformabile

Gruppo di controllo: a lievitazione

15 giorni 1 mese 3/6 mesi 9/12 mesi

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CLASSE III

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34ORTESI PLANTARI A CONFRONTO:

STUDIO SU UN CAMPIONE DI PAZIENTI

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BIBLIOGRAFIA1 Bardelli M, Turrelli L. Le metatarsalgie. Progressi in

medicina e chirurgia del piede vol. 9. Bologna: Aulo Gaggi Editore 2000.

2 Capitini T. Ortesi plantari: come e quando prescriver-le. Reumatologia Pratica 2008;2:50-6.

3 Carlino G, Muratore M. Manuale di Podologia. Tori-no: Minerva Medica 1998.

4 Chiappara P, Pagliara L. Metatarsalgie. Bologna:Aulo Gaggi Editore 1991.

5 Giovannoni S, Bussotti A, Lombardi A, et al. Il piede

doloroso in medicina generale. Reumatologia Pratica2008;2:31-8.

6 Iannocco A, Perrella C, Valesini G. il piede nelle malat-tie reumatiche. Reumatologia Pratica 2008;2:39-44.

7 Lelievre J. Pathologie du Pied. Parigi: Masson 1967.8 Marcolongo R. Il piede nelle malattie reumatiche:

una realtà semisconosciuta da riscoprire. Reumatolo-gia Pratica 2008;2:29-30.

9 Moro F. Podologia non lineare. Introduzione. Roma: Marrapese Edidote 2006.

10 Viladot A. Patologia e clinica dell’avampiede. Roma:Verducci Editore 1975.

FIGURA 4. Gruppi di controllo per AS e SR: stadiazione del miglioramento.

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20

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0

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Gruppo di controllo: 20 sogg. (10 AS + 10 SR):solette in gel di siliconeGruppo di studio: 20 sogg. (10 AS + 10 SR):walkable

15 giorni 1 mese 6 mesi 12 mesi

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CONTROLLOPER AS E SR

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RAZIONALE D’USO DI EPERISONE

CLORIDRATO NELDOLORE MUSCOLARE

CRONICO

GIUGNO 2011 VOLUME 6 PAGINE 35-43

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MARCO GHINI*, PAOLO MATTANA**

* Specialista in Reumatologia, Azienda USL [email protected]** Medical Service, Alfa Wassermann SpA

PAROLE CHIAVE

Dolore cronico

RIASSUNTOLa Sindrome Fibromialgica (SFM), patologia molto frequente tra la popolazione generale e caratterizzata da dolore muscolare cronico invalidante, rappresenta una sfida terapeutica particolarmente difficile da affrontare soprattutto per la complessità fisiopatologica e sintomatologica che la caratterizza. Il suo trattamento prevede spesso l’uso prolungato di analgesici e miorilassanti i quali, a fronte di una azione efficace, mostrano generalmente anche importanti effetti indesiderati che ne limitano l’applicazione. Eperisone cloridrato è un particolare miorilassante ad azione centrale, caratterizzato da una buona tollerabilità e da un unico meccanismo d’azione, che associa la prevalente azione de-contratturante e antispastica del farmaco sulla muscolatura scheletrica a quella emodinamica e analgesica. Vengono presentati razionale d’uso e primi incoraggianti dati clinici di efficacia e tollerabilità sull’uso di eperisone in un piccolo gruppo di pazienti affetti da SFM.

INTRODUZIONEIl dolore cronico muscolare coinvolge meccanismi fisiopatologici complessi e in gran parte sconosciuti e rappresenta una sfida terapeutica importante che, con l’aumento dell’età media della popolazione, sta diventando sempre più rilevante. In quest’ambito pa-tologico i miorilassanti rappresentano una classe di farmaci efficace e forse non ancora completamente nota e sfruttata in tutte le sue potenzialità 1.Eperisone cloridrato (4-etil-2-metil-3-piperidinopropio-fenone cloridrato o eperisone) è un farmaco miori-lassante ad azione centrale, utilizzato in clinica con notevole efficacia per il trattamento delle contratture e della spasticità 2. Formulato in compresse rivestite contenenti 100 mg di principio attivo, il farmaco è rapidamente assorbito e di norma ben tollerato 2 3. Ma soprattutto eperisone è un farmaco caratterizzato da un peculiare meccanismo d’azione, unico tra i miori-lassanti, che associa la prevalente azione decontrat-turante e antispastica sulla muscolatura scheletrica a quella emodinamica e analgesica 2 4.

Tutte queste ragioni rendono eperisone particolarmen-te interessante come farmaco per la cura delle patolo-gie con dolore muscolare cronico, inclusa la SFM 5.

DOLORE CRONICO E SINDROME FIBROMIALGICATra le varie patologie caratterizzate da dolore croni-co di origine centrale, certamente la SFM merita un posto a parte, non solo per la sua elevata prevalenza nella popolazione generale, ma anche per l’enorme massa di dati che sono stati raccolti negli ultimi anni relativamente alla sua eziopatogenesi, così da poterla considerare alla stregua di un importante modello di studio per lo sviluppo di terapie sempre più mirate nel dolore cronico in generale.La prevalenza della SFM mostra una ampia variabili-tà nei diversi continenti: decisamente bassa in quello asiatico (< 1%), intermedia in quello americano (3-4%) ed elevata in quello europeo (fino al 10%). Per quanto riguarda l’Italia, il primo studio epidemiologico sulla SFM del 2006 ha documentato una prevalenza pari al 9,4%, che raggiunge il 14,5% se si considera solo il sesso femminile 6. Rapportando la prevalenza della SFM con quella del dolore cronico diffuso nella po-polazione generale, emerge che circa un paziente su tre tra quelli che si rivolgono al medico per dolore cronico diffuso è affetto da SFM.La SFM può essere definita come una sindrome clinica caratterizzata da sofferenza e rigidità muscolo-scheletri-ca diffusa e dalla presenza di punti elettivi di dolorabili-

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tà (tender points). Pur essendo il quadro clinico estrema-mente variabile e multiforme (Fig. 1), si può riconoscere una triade sintomatologica caratteristica: dolori musco-lari diffusi, astenia spesso intensa, insonnia (sonno non ristoratore). L’esordio è in genere subdolo, progressivo in molti anni oppure improvviso (fattore scatenante, per es. trauma). È molto più frequente nel sesso femminile (rapporto F:M = 10:1). Può essere classificata in SFM primaria o SFM associata ad altre patologie (es. ipo-tiroidismo, epatite cronica da HCV, poliartrosi, artrite reumatoide, connettiviti autoimmuni, ecc.).Negli ultimi 20 anni sono stati utilizzati dai reumatologi di tutto il mondo i criteri diagnostici messi a punto nel 1990 dall’American College of Rheumatology (ACR) che stabiliscono che per la diagnosi di SFM deve es-sere presente da almeno 3 mesi dolore diffuso (cioè che interessa l’emisoma superiore e inferiore, destro e sinistro come anche lo scheletro assiale), associato a dolorabilità in almeno 11 dei 18 tender points (Fig. 2). Tali criteri sono stati a più riprese contestati relativamen-te alla soggettività nella esecuzione della palpazione dei punti tender che, se non eseguita correttamente, porta a frequenti errori diagnostici, sia da parte del medico di medicina generale (MMG) che dello specia-lista. Per ovviare a questi inconvenienti lo stesso ACR ha pubblicato nel 2010 un nuovo set di criteri per la

Occipite:All’inserzione del muscolo sottooccipitale

Rachide cervicale:Anteriormente ai processi traversi di C5-C7

Sovraspinoso:Sopra la spina della scapola in prossimità del margine mediale

Trapezio:Al punto mediano

del margine superiore del trapezio

Regione glutea:A livello del quadrante

superiore esterno della natica

Seconda Costaalla seconda sincodrosi costo condrale appena a lato delle giunzioni sulla superficie superiore delle coste

GinocchioIn corrispondenza del cuscinetto adiposo mediale del ginocchio in sede prossimale rispetto alla linea articolare

Epicondilo lateralePunto situato 2 cm

al di sotto dell’epicondilo omerale

Grande trocatere:Posteriormente alla

prominenza trocaterica

FIGURA 1. Spettro clinico della SFM.

FIGURA 2. Mappa dei tender points bilaterali (adattata da Wolfe et al., 1990) 40.

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37M. GHINI, P. MATTANA EUMATOLOGIAEUMATOLOGIAREUMATOLOGIA prat

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diagnosi di SFM non più basato sulla conta dei tender points, ma sulla somministrazione di due specifiche sca-le di valutazione ad hoc (Tab. I). Tale set di criteri non si sostituisce al precedente (che rimane valido se corretta-mente seguito), ma rappresenta una valida alternativa diagnostica, in particolare per il MMG 7.Dal punto di vista eziopatogenetico, lo studio del mu-scolo nella SFM non ha mai evidenziato un danno muscolare primitivo, l’unico dato certo è che a livello muscolare (e anche della cute sovrastante) è presente una vasocostrizione del microcircolo (ipertono simpati-co) che condiziona il dolore a livello dei tender points(che appare quindi legato a una ischemia locale) e può spiegare l’associazione frequente con il fenomeno di Raynaud 8. Il meccanismo della alterata percezione del dolore nella SFM, che clinicamente si esprime con due modalità, iperalgesia e allodinia, è correlato a una disfunzione del controllo spinale e sovraspinale delle afferenze dolorose. A livello spinale è stata do-cumentata una iperattivazione delle vie discendenti fa-cilitatrici la percezione del dolore (dimostrata in nume-rosi studi dal riscontro di elevati livelli di sostanza P nel liquor di pazienti con SFM) e una ipoattivazione delle vie discendenti inibitrici (bassi livelli di 5HT e NA nel liquor di pazienti con SFM) 9. È però a livello sovraspi-nale che le nuove metodiche di imaging (Risonanza Magnetica Funzionale) hanno permesso di mettere in evidenza quella che è considerata la alterazione fon-damentale nello sviluppo della sindrome dolorosa in corso di SFM, e cioè la cosiddetta “sensibilizzazione centrale” (central sensitization): a seguito di una con-tinua e rilevante stimolazione dolorifica che comporta la scarica a ripetizione di glutammato dalle fibre dolo-rifiche C, la risposta dei recettori NMDA dei neuroni delle corna posteriori del midollo spinale genera un potenziamento di lungo termine (LTP): tale fenomeno è un evento complesso presente nella funzione di mol-ti processi neuronali di apprendimento di plasticità neuronale ed esita nella stabile modificazione della eccitabilità della membrana e quindi in una facilita-zione nella trasmissione. Nello studio oramai storico di Gracely et al., utilizzando la RM funzionale, la quale è in grado di evidenziare l’attività funzionale delle varie aree cerebrali unitamente alla loro morfologia, si è os-servato che dopo applicazione di stimolo algogeno in 16 pazienti SFM e in 16 controlli, lo stimolo in grado di provocare dolore nei pazienti SFM era di 2,4 kg/cm2 mentre nei controlli era di 4,1 kg/cm2. Il pattern di attivazione cerebrale era simile (con 7 aree in comu-ne). Lo stimolo di 2,4 kg/cm2 nei controlli attiva solo

1 area cerebrale, contro le 13 dei pazienti SFM. Gli autori dello studio concludono che la SFM è caratteriz-zata da una amplificazione corticale e sottocorticale della percezione dolorosa 10. Questa nuova metodica radiologica si propone quindi, in un prossimo futuro, come uno strumento diagnostico essenziale nella SFM, ed è anche ipotizzabile un suo ruolo nella decisione terapeutica (utilizzo di farmaci selettivi in base alla disfunzione documentabile di alcuni neurotrasmettitori correlabili alle aree cerebrali che mostrano deficit di attivazione).Per quale motivo nei pazienti con SFM sono alterati questi meccanismi centrali di regolazione delle afferen-ze dolorose? Una risposta a tale quesito sembra venire dagli studi di genetica: i pazienti con SFM mostrano frequentemente polimorfismo per il gene del recettore 5HT-2A, del recettore 4 della dopamina e dell’enzima catecol-o-metil-transferasi (COMT) 11. Tali enzimi codifi-cano per recettori di legame dei neurotrasmettitori (se-rotonina: 5-HT e dopamina) o intervengono nella sinte-si di tali sostanze (noradrenalina: NA). Recentemente sono state individuate 3 varianti genetiche (aplotipi) del gene che codifica per la COMT, designate come “bassa sensibilità dolorifica” (LPS), “media sensibilità dolorifica” (APS) e “alta sensibilità dolorifica” (HPS). Questi aplotipi sono presenti nel 96% della popolazio-ne ed esistono 5 possibili combinazioni che determi-nano nel singolo individuo la sensibilità al dolore. La presenza anche di un singolo aplotipo LPS diminuisce di 2,3 volte la probabilità di sviluppare condizioni di dolore cronico. L’inibizione della COMT nel ratto com-porta un’aumentata sensibilità al dolore. L’aplotipo LPS determina livelli molto maggiori di attività enzimatica COMT rispetto agli altri 2 aplotipi 12.Un ulteriore dato sulla possibile origine della disfunzio-ne delle vie del dolore nella SFM viene poi da un re-cente studio relativo alle alterazioni nella morfometria cerebrale in questi pazienti e alle anomalie della neuro-trasmissione dopaminergica. I ricercatori del Louisiana State University Health Sciences Center a Shreveport, negli Stati Uniti, si sono posti l’obiettivo di confermare le precedenti scoperte di ridotta densità della materia grigia nei soggetti affetti da SFM e di determinare se le variazioni nel metabolismo della dopamina possono in-fluenzare la densità della materia grigia. È stata impie-gata la morfometria Voxel per valutare i dati anatomici di RM cerebrale in 30 soggetti di sesso femminile con SFM rispetto a 20 soggetti sani di controllo. Inoltre, per determinare l’esistenza di una correlazione tra densità della materia grigia e metabolismo della dopamina,

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38RAZIONALE D’USO DI EPERISONE CLORIDRATO

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TABELLA I. I nuovi criteri diagnostici della SFM.

CRITERIUn paziente soddisfa i criteri diagnostici per la fibromialgia se risponde alle 3 seguenti condizioni:1. indice per il dolore diffuso (WPI) ≥ 7 e il punteggio della scala per la severità dei sintomi (SS) ≥ 5 o WPI 3-6 e punteggio

della scala per la SS ≥ 92. i sintomi sono stati presenti con la stessa intensità da almeno 3 mesi3. il paziente non ha una patologia che potrebbe spiegare in modo diverso il dolore

ACCERTAMENTO

Sommare il numero delle aree nelle quali il paziente ha avuto dolore durante l’ultima settimana.In quante aree il paziente ha avuto dolore?

Cingolo scapolare, sinistro Anca (gluteo, troncantere), sinistra Mascella, sinistra

Cingolo scapolare, destro Anca (gluteo, troncantere), destra Mascella, destra

Braccio, sinistro Coscia, sinistra Torace

Braccio, destro Coscia, destra Addome

Avambraccio, sinistro Gamba, sinistra Rachide dorsale

Avambraccio, destro Gamba, destra Rachide lombare

Collo

Per ognuno dei 3 sintomi suddetti, indica il grado di severità durante l’ultima settimana utilizzando le seguenti scale:0 Nessun problema1 Problemi lievi o moderati, generalmente moderati o intermittenti2 Problemi moderati, considerevoli, spesso presenti e/o a moderata intensità3 Problemi severi, penetranti continui, che compromettono la vita

Considerando i sintomi somatici in generale, indica se il paziente ha*:0 Nessun sintomo1 Pochi sintomi2 Un modesto numero di sintomi3 Una gran quantità di sintomi

Il punteggio della scala di severità dei sintomi è fornito dalla somma delle severità dei 3 sintomi (astenia, sonno non ristorato-re, disturbi cognitivi) più l’estensione (severità) dei sintomi somatici in generale.Il punteggio generale è compreso tra 0-12.

* I sintomi somatici che devono essere presi in considerazione: dolore muscolare, sindrome del colon irritabile, fatica/affaticamento, problemi di pensiero o di ricordo, debolezza muscolare, cefalea, dolore/crampi addominali, formicolio, vertigini, insonnia, depressione, stipsi, dolore nell’addome superiore, nau-sea, irritabilità, dolore al petto, vista annebbiata, febbre, diarrea, bocca secca, prurito, sensazione di bolo, fenomeno di Raynaud, orticaria/angiodema, tinnito, vomiti, pirosi, ulcere orali, perdita dell’udito, facile presenza di lividi, perdita dei capelli, minzione frequente, minzione dolorosa e spasmi vescicali, alterazioni del gusto, convulsioni, xerofalmia, dispnea, perdita dell’appetito, rash cutaneo, fotosensibilità.

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39M. GHINI, P. MATTANA EUMATOLOGIAEUMATOLOGIAREUMATOLOGIA prat

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sono stati impiegati i dati di una parte di soggetti di entrambi i gruppi sottoposti in precedenza a studio PET (tomografia a emissione di positroni) utilizzando DOPA radiomarcata (n = 14; 6 con SFM e 8 controlli). È stata riscontrata una significativa riduzione della densità del-la materia grigia del giro paraippocampale bilaterale, della corteccia cingolata posteriore destra e della cor-teccia cingolata anteriore sinistra. Inoltre è stata dimo-strata una correlazione tra un indice del metabolismo della dopamina e la densità della materia grigia. La conclusione dello studio è che la SFM è associata a riduzione della densità della materia grigia in aree del cervello coinvolte nella percezione del dolore, disfun-zione cognitiva, e anormale reattività allo stress. È stata inoltre confermata l’alterazione della neurotrasmissione dopaminergica associata alla SFM 13.Grazie ai numerosi dati relativi alla eziopatogenesi del dolore cronico raccolti negli ultimi anni, la terapia della SFM è diventata sempre più mirata e specifica e si è arricchita di nuove molecole. Tale ampliamento terapeutico ha portato alla pubblicazione di 3 set di li-nee guida per il trattamento della SFM: le Linee Guida del Canada National Fibromyalgia Action Network(FMAN, 2003) 14, le Linee Guida dell’American Pain Society (APS, 2005) 15 e le Linee Guida dell’EuropeanLeague Against Rheumatism (EULAR, 2008) 16.Le raccomandazioni relative alla terapia farmacologica maggiormente seguite sono quelle della APS: il primo intervento farmacologico deve essere rappresentato da un miorilassante ad azione centrale (es. ciclobenzapri-na da 10 a 30 mg al momento di coricarsi); per la gestione del dolore deve essere utilizzato il tramadolo (50-100 mg 2 o 3 volte al dì) da solo o in combinazio-ne con paracetamolo; in caso di risposta insufficiente si potrà associare per la terapia del dolore un inibitore del riassorbimento della 5HT da solo oppure in asso-ciazione ai triciclici; non sono indicati né i FANS né i corticosteroidi. Nelle più recenti linee guida dell’EULAR sono state aggiunte le indicazioni al trattamento con du-loxetina e milnacipran (inibitori duali della ricaptazione di 5HT e NA), pregabalin e pramipexolo.

PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE DI EPERISONEEperisone è un potente miorilassante ad azione centra-le, caratterizzato da un triplo meccanismo d’azione, del tutto peculiare, che può essere così sintetizzato:

riduce la contrattura, la rigidità muscolare e i rifles-si mono- e polisinaptici della radice ventrale del midollo spinale tramite l’inibizione delle scariche

dei motoneuroni alfa e, soprattutto, dei motoneuro-ni gamma 2 17. L’azione è prevalentemente dovuta a livello molecolare a un’attività di inibizione dei canali del sodio voltaggio dipendente 18;

-to o ipertonico 19, dovuta alla sua capacità vaso-dilatatoria, che svolge rilassando la muscolatura vasale con un’azione calcio antagonista diretta sui canali del calcio voltaggio dipendente 20 21 e un’azione interferente l’attivazione del complesso calcio-calmodulina 2;

22, che eperisone svolge pre-valentemente grazie alla sua capacità antagonista della sostanza P a livello spinale 2. A tale azione si associa probabilmente anche un’attività analge-sica locale tramite la soppressione preferenziale delle scariche trasmesse dalle vie nocicettive delle fibre C dovuta alla inibizione dei canali del sodio voltaggio dipendente 23.

Si tratta perciò, nel complesso, di un meccanismo d’azione farmacologico differente da quello degli altri principali miorilassanti. Infatti: a) l’azione del dantro-lene (ad azione diretta) si esplica interferendo con la liberazione del calcio dal reticolo sarcoplasmatico; b) la tossina botulinica (ad azione periferica) blocca il rilascio periferico dell’acetilcolina a livello delle ter-minazioni nervose colinergiche presinaptiche; c) il tio-colchicoside, la tizanidina, il baclofene, il diazepam svolgono la loro azione sul sistema nervoso centrale (SNC) a livello superiore o spinale, modulando i neu-rotrasmettitori eccitatori o inibitori e andando ad agire sul motoneurone alfa prevalentemente con un’azione di tipo agonista sulla trasmissione GABA-ergica 24 25.

CARATTERISTICHE CLINICHE DI EPERISONEEperisone è formulato sotto forma di compresse da 100 mg e per le sue caratteristiche farmacologiche viene utilizzato di norma in monosomministrazione 3 volte al giorno. In tal modo è rapidamente assorbito (Tmax 1,6 h) principalmente per via epatica e velo-cemente escreto, prevalentemente per via renale, con un’emivita inferiore alle 2 ore 2 3. Il farmaco è solita-mente ben tollerato e i principali effetti indesiderati rilevati sono generalmente a livello gastrico (diarrea, nausea, dispepsia) 26-29. Il suo profilo farmacocinetico mostra inoltre un basso rischio di accumulo nell’orga-nismo, ideale per un farmaco che può essere utilizza-to per trattamenti long term 3.Nella esperienza clinica eperisone ha mostrato partico-lare efficacia nelle contratture provocate da patologie

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osteoarticolari, quali lombalgia, cervicalgia e spondi-losi 30-32, nei crampi in pazienti con cirrosi epatica 33,nella paresi spastica di diversa eziologia 24 34 35. Stu-di di confronto con altri farmaci utilizzati nelle stesse indicazioni terapeutiche, in particolare diazepam e tiocolchicoside nelle contratture 26,27 e baclofen nella spasticità 28 29, hanno mostrato che eperisone è almeno altrettanto efficace, ma significativamente meglio tolle-rato con evidenti ridotti effetti collaterali specie a livello del SNC. Eperisone, inoltre, non mostra problemi lega-ti alla “sindrome di interruzione”, o nella introduzione graduale della terapia, come nel caso di baclofene, tizanidina o diazepam 36-38, dove la terapia deve esse-re sempre instaurata partendo da basse dosi, aumen-tandole gradualmente.La migliore tollerabilità di eperisone può essere spie-gata in virtù del differente meccanismo d’azione. Infatti eperisone, come illustrato in precedenza, rispetto agli altri farmaci miorilassanti ad azione centrale, mostre-rebbe un’attività più “periferica”, ad esempio senza apparente interazione con il recettore GABA.Il diverso meccanismo d’azione di eperisone e la sua importanza in clinica è esemplificato dal case report di una paziente di 34 anni, affetta da schizofrenia in trattamento con antipsicotici, che sviluppava una grave forma di “distonia tardiva”. In questo caso la paziente, dopo essere stata trattata con insuccesso con vari farmaci noti per agire con efficacia nella distonia (anticolinergici, bromocriptina, baclofen, clo-nazepam), è migliorata significativamente grazie al trattamento con eperisone 39.

EPERISONE NELLA SINDROME FIBROMIALGICAUno dei principali problemi che si incontrano nel trat-tamento farmacologico della SFM, per il quale si uti-lizzano prevalentemente farmaci ad azione centrale, è quello della tollerabilità della terapia che è sempre e comunque da somministrare a lungo termine, visto il carattere cronico ab inizio della sintomatologia dolo-rosa in tale condizione. E per una terapia che deve essere proseguita per anni, è chiaro che la tollerabilità dei farmaci rappresenta una questione di fondamentale importanza. Con la ciclobenzaprina e altri miorilassanti ad azione centrale, spesso i pazienti lamentano sonno-lenza, rallentamento, xerostomia e stipsi. Utilizzando gli SSRI vengono riportate agitazione e sonnolenza, epiga-stralgie, tendenza al sanguinamento (es. ipermenorrea). Il tramadolo causa frequentemente nausea e vertigini, il pregabalin sonnolenza e rallentamento psico-motorio.Avere quindi a disposizione un nuovo miorilassante

ad azione centrale, ma dotato di un meccanismo d’azione diverso dagli altri farmaci della stessa classe e gravato da minori effetti collaterali, ha destato gran-de interesse come potenziale agente terapeutico per il dolore muscolare cronico, in particolare nella SFM. Il razionale d’uso di eperisone nella SFM è illustrato nella Tabella II: da segnalare in particolare l’azione sulla sostanza P (che abbiamo visto aumentare selet-tivamente nel liquor dei pazienti con SFM) e l’azione sul microcircolo (in considerazione del fatto che nella SFM il dolore a livello dei tender points è proprio le-gato a un deficit microcircolatorio).Sulla base di tali osservazioni abbiamo trattato una pic-cola casistica di 10 pazienti affetti da SFM, diagnosti-cata secondo i criteri ACR 1990, con eperisone alla posologia variabile da 1 a 3 compresse al dì, per 8 settimane: di ogni paziente è stata valutata alla visita iniziale la conta dei tender points, la VAS dolore (scala da 0 a 10), il myalgic score (score del dolore evocato alla palpazione dei tender points da 0 a 4) e il consu-mo di analgesici. La terapia già in corso non è stata modificata. Alla valutazione finale dopo 8 settimane la conta dei tender points è diminuita in 7/10 pazienti, il myalgic score e il consumo di analgesici sono invece diminuiti in tutti i pazienti trattati. Per quanto riguarda la VAS dolore, il punteggio medio iniziale era di 8,5 mentre quello finale era di 4,1. Solo un paziente ha so-speso la terapia per epigastralgie; un altro paziente ha riportato un iniziale peggioramento del sonno che però non ha comportato sospensione del farmaco. I principa-li parametri valutati sono riportati nella Tabella III.Possiamo quindi concludere, sulla scorta dei risultati di questa seppur modesta esperienza clinica, che epe-risone nei pazienti affetti da SFM risulta innanzi tutto

TABELLA II. Razionale dell’utilizzo di eperisone nella SFM.

I farmaci utilizzati nella terapia della SFM agiscono tutti potenziando le vie inibitrici alle afferenze dolorose, neces-sità di farmaci che blocchino le vie facilitatrici

Rigidità e contrattura muscolare diffusa

Ridotta funzionalità del microcircolo a livello muscolare e in particolare dei tender points

Aumento sostanza P nel liquor

Frequenti effetti collaterali con i miorilassanti e gli antide-pressivi

Necessità di trattamenti farmacologici a lungo termine (anni)

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ben tollerato, non manifestandosi gli effetti collaterali degli altri miorilassanti ad azione centrale, e che la sua efficacia sul dolore è documentata dalla netta di-minuzione del punteggio della VAS. La riduzione del myalgic score in tutti i pazienti conferma poi l’azione di eperisone sul microcircolo.Come osservazione finale segnaliamo anche che, nonostante siano stati riportati casi di insonnia dopo

somministrazione di eperisone, nella SFM abbiamo documentato un miglioramento complessivo del son-no, verosimilmente in ragione della spiccata attività decontratturante di eperisone che in questi pazienti favorisce il riposo notturno.Le modalità di azione di eperisone che verosimilmente giustificano la sua buona efficacia nella SFM sono illustrate schematicamente nella Figura 3.

FIGURA 3. Come agisce eperisone nella SFM.

TABELLA III. Casistica pazienti SFM trattati con eperisone.

ATT. LAV. PAT. ASS. TP1

VAS1

TP VAS ALTRETERAPIE

58 F Pensionato - 18 8 18 2 1 3 Citalopram -37 F Operaia Sjogren 18 10 12 4 1 3 - -40 F Operaia - 18 9 8 5 1 2 - -51 F Casalinga - 14 10 10 4 1 3 Pregabalin -67 F Casalinga - 12 8 12 8 1 - Epigastralgie20 F Studente Ipotiroidismo 18 6 18 6 1 2 - -55 F Libero

professionista- 18 10 14 2 1 3 - -

32 F Disabile - 18 10 4 5 1 3 - -48 F Colf 16 6 14 3 1 2 Duloxetina -45 F Casalinga - 14 8 2 2 1 2 Paroxetina

Media 16,4 8,5 11,2 4,1

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42RAZIONALE D’USO DI EPERISONE CLORIDRATO

NEL DOLORE MUSCOLARE CRONICO

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CONCLUSIONIEperisone è un miorilassante centrale ben tollerato e con un meccanismo d’azione peculiare che sembra poter contrastare in modo efficace alcune caratteri-stiche fisiopatologiche alla base della SFM, quali la rigidità muscolare, il deficit micro circolatorio a livello dei tender points e l’aumento di sostanza P a livello del SNC. Per tali ragioni, senza modificare le terapia già in corso, dieci pazienti affetti da SFM sono stati trattati con eperisone cloridrato alla posologia varia-bile da 100 a 300 mg al dì per 8 settimane. Alla fine del trattamento il farmaco si è confermato ben tollerato e soprattutto efficace nel contrastare la sintomatolo-gia dolorosa muscolare, come risulta dalle misure del myalgic score e del consumo di analgesici, che sono diminuiti in tutti i pazienti trattati, dal punteggio VAS dolore medio che è sceso da 8,5 a 4,1 (-52%) e dalla conta dei tender points che è diminuita nel 70% dei pazienti.Questi dati, seppur preliminari, risultano particolar-mente incoraggianti confermando da una parte il ra-zionale d’uso di eperisone nelle patologie con dolore muscolare cronico e auspicando, dall’altra, ulteriori studi di approfondimento.

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