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38 dalla robinia e dalla quercia, ma i costi e la limitata disponibilità, in termini di pezzi impiegabili nelle costruzioni, fanno sì che entrambe le specie perdano di validità nel campo delle sistemazioni forestali. Per la realizzazione di una palificata, secondo il “Quaderno opere tipo di ingegneria naturalistica” (Regione Lombardia, 2000) si può far indicativamente riferimento alle seguenti tipologie di materiali: legname tondo scortecciato, avente diametro compreso tra 20 e 30 cm di lunghezza superiore a 1,5-2 m; chiodi di ferro o tondini di ferro con diametro compreso tra 10 e 14 mm; filo di ferro zincato con diametro pari a 3 mm; talee e/o piantine di specie legnose, dotate di buona capacità vegetativa, con lunghezza di 25 cm maggiore rispetto alla profondità della palificata e tale da arrivare al terreno naturale; stuoie e georeti in materiale biodegradabile (paglia-legno, juta, fibra di cocco, ecc.). Per quanto riguarda i tempi di costruzione valori indicativi sono riportati in Tabella X, mentre per quanto riguarda la quantità di legname necessario, Palmeri e Zanoni (1999) propongono una procedura di calcolo speditiva per avere un’indicazione circa la quantità di pali e il numero di chiodi necessari per la realizzazione di una palificata viva di sostegno a doppia parete. Tabella VIII: Valori di resistenza di alcuni tipi di legname sottoposti a differenti sollecitazioni meccaniche (da Giordano, 1988). Resistenza specie Compressione trasversale alle fibre (N/mm 2 ) trazione parallela alle fibre (N/mm 2 ) flessione statica (N/mm 2 ) taglio (N/mm 2 ) abete bianco 5.0÷13.0 75.0÷195.0 41.0÷130.0 3.4÷6.7 abete rosso 4.2÷12.4 63.0÷186.0 49.0÷118.0 4.3÷11.2 larice 5.4÷14.8 81.0÷222.0 47.0÷132.0 4.9÷10.3 castagno 4.3÷12.8 64.5÷192.0 50.0÷140.0 5.7÷9.2

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dalla robinia e dalla quercia, ma i costi e la limitata disponibilità, in termini di pezzi

impiegabili nelle costruzioni, fanno sì che entrambe le specie perdano di validità nel campo

delle sistemazioni forestali.

Per la realizzazione di una palificata, secondo il “Quaderno opere tipo di ingegneria

naturalistica” (Regione Lombardia, 2000) si può far indicativamente riferimento alle

seguenti tipologie di materiali:

• legname tondo scortecciato, avente diametro compreso tra 20 e 30 cm di lunghezza

superiore a 1,5-2 m;

• chiodi di ferro o tondini di ferro con diametro compreso tra 10 e 14 mm;

• filo di ferro zincato con diametro pari a 3 mm;

• talee e/o piantine di specie legnose, dotate di buona capacità vegetativa, con lunghezza

di 25 cm maggiore rispetto alla profondità della palificata e tale da arrivare al terreno

naturale;

• stuoie e georeti in materiale biodegradabile (paglia-legno, juta, fibra di cocco, ecc.).

Per quanto riguarda i tempi di costruzione valori indicativi sono riportati in Tabella X,

mentre per quanto riguarda la quantità di legname necessario, Palmeri e Zanoni (1999)

propongono una procedura di calcolo speditiva per avere un’indicazione circa la quantità di

pali e il numero di chiodi necessari per la realizzazione di una palificata viva di sostegno a

doppia parete.

Tabella VIII: Valori di resistenza di alcuni tipi di legname sottoposti a differenti sollecitazioni meccaniche (da Giordano, 1988).

Resistenza specie Compressione

trasversale alle fibre (N/mm2)

trazione parallela alle fibre (N/mm2)

flessione statica

(N/mm2)

taglio

(N/mm2) abete bianco

5.0÷13.0 75.0÷195.0 41.0÷130.0 3.4÷6.7

abete rosso 4.2÷12.4 63.0÷186.0 49.0÷118.0 4.3÷11.2 larice 5.4÷14.8 81.0÷222.0 47.0÷132.0 4.9÷10.3 castagno 4.3÷12.8 64.5÷192.0 50.0÷140.0 5.7÷9.2

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4.3.3.4 Messa a dimora delle talee

Nella realizzazione delle palificate vive si utilizzano talee e ramaglia (in genere di salice

per la loro capacità di radicazione); esse devono essere sistemate sui correnti (Figura 22)

ed inserite nel terreno retrostante, in modo che radichino più facilmente. Le talee dovranno

essere disposte a pettine una accanto all’altra con una densità variabile secondo la specie e

le condizioni pedoclimatiche, da 5 a 10 per metro. Come già detto, le talee devono

sporgere per circa 10÷25 cm dal paramento esterno della palificata, infisse nel terreno per

15÷20 cm. Le talee devono essere prelevate durante il riposo vegetativo e conservate in

maniera adeguata fino all’impiego per evitare la differenziazione delle gemme e

l’essiccamento. La raccolta deve avvenire con tagli netti delle piante che diventeranno così

nuove ceppaie e riserva per altro materiale. Per la scelta del materiale più idoneo nelle

diverse situazioni, si rimanda al Quaderno delle opere tipo di Ingegneria Naturalistica

Tabella IX: durabilità nei confronti dei patogeni e resistenza nei confronti degli insetti del legname (mod. da De Antonis e Molinari, 2003)

specie funghi insetti abete bianco poco durabile non resistente abete di Douglas durabile resistente abete rosso poco durabile non resistente larice durame estremam. durabile resistente alburno durabile resistente pino silvestre durame durabile resistente alburno poco durabile resistente castagno durame molto durabile resistente alburno poco durabile non resistente quercia durame estremam. durabile molto resistente alburno poco durabile non resistente robinia durame Estremam. durabile resistente alburno poco durabile non resistente

Tabella X: Materiale e tempi di costruzione per m2 di paramento esterno (da Carbonari e Mezzanotte, 1993).

Manodopera 4 h/operaio noleggi (ragno meccanico e trattore) 0.6 h legname tondo scortecciato (diametro 15-35 cm) 0.4 m3 chiodi o cambre 8 piantine a radice nuda o in fitocella 10 talee di salice 20

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(Regione Lombardia, 2000) ed ai numerosi testi disponibili sul tema dell’ingegneria

naturalistica.

4.3.3.5 Dimensionamento delle palificate a parete doppia

Nella progettazione delle palificate di sostegno a parete doppia molto spesso ci si basa solo

sull’esperienza e sulle tradizioni locali, senza le necessarie verifiche statiche. Per analogia

alle briglie in legname e pietrame, in genere, le palificate vengono costruite con una base

(B) di larghezza superiore alla metà dell’altezza (H) (D’Agostino e Mantovani, 2000),

anche se già all’inizio del secolo scorso Valentini (1912) suggeriva invece di porre la base

pari all’altezza (B/H=1).

Rimanendo nell’ambito di una trattazione semplificata, in sintonia con l’elementarità di

queste opere, è comunque possibile definire dei criteri di dimensionamento trattando il

problema della stabilità esterna delle palificate attraverso l’analisi statica del manufatto

considerato come corpo un rigido indeformabile; occorre tuttavia ricordare che a

complemento andrebbe sempre eseguita la verifica dell’equilibrio globale prevista dalla

normativa vigente (cfr. § 2.5).

Per la sola stabilità esterna, riferendosi ad una schematizzazione del problema in termini

bidimensionali (i calcoli si riferiscono sempre ad un metro di struttura), applicando lo

schema delle forze agenti sull’opera riportato nell’Appendice 2 e il metodo dell’analisi

all’equilibrio limite, Simonato e Bischetti (2003) hanno sviluppato le relazioni del fattore

di sicurezza relative alla verifica alla traslazione lungo il piano di posa dell’opera e alla

verifica al ribaltamento attorno al vertice esterno. Nella Tabella XI sono riportate le

formule utilizzabili per il calcolo della base B della palificata, ricavate in condizioni

asciutte e di completa saturazione del terreno di monte. Sulla base delle relazioni

sviluppate, una volta assegnate le

caratteristiche dell’opera, è possibile

determinare i valori del rapporto

base/altezza corrispondenti a

differenti condizioni di pendenza e

caratteristiche del substrato (riassunte

in Tabella XII), tali da garantire i

coefficienti di sicurezza allo

scivolamento e al ribaltamento. Figura 22: Messa a dimora delle talee (da: Regione Lombardia, 2000).

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Tabella XI: Formule per il calcolo della base B dell’opera.

terreno asciutto

��

��

�+∗

+≥ a

opa

op

ter

sc

sc KQ

HKFSf

FSB

γα

γγ

αcos

2tan verifica allo scivolamento

2

tancos

2cos

2

tan2

αα

γα

γα H

QKHKHFSH

B aater

op

rib −��

���

�+∗+�

���

�≥ verifica al ribaltamento

terreno saturo

��

��

�++∗

+≥ a

opa

opop

w

sc

sc KQ

HKhFSf

FSB

γα

γγ

αγγ

αcos

2

'cos

2tan verifica allo scivolamento

2

tancos

2

'cos

2cos

2

tan2

αα

γα

γα

γα H

QKHKHHFSH

B aaw

op

rib −��

���

�++∗+�

���

�≥

verifica al ribaltamento

Tabella XII: Parametri utilizzati nel calcolo del rapporto B/H delle palificate.

altezza h dell’opera (m)

inclinazione αdella base (°)

inclinazione idel pendio (°)

angolo φ di resistenza al taglio (°)

1.0 1.5 2.0 2.5

0 5

10 20

27° (1 a 2) 34° (2 a 3) 45° (1 a 1) 56° (3 a 2)

27 30 35 40

Per quanto riguarda il peso proprio dell’opera, in accordo con quanto reperito in letteratura,

si è ipotizzata una disposizione del legname e del riempimento tale da garantire all’opera la

massima “leggerezza” (Pugi et al., 2000) in modo da operare a favore di sicurezza visto

(l’opera deve resistere per gravità alle sollecitazioni esterne). L’analisi dei pochi dati

esistenti ha consentito di assumere un valore per il peso dell’unità di volume dell’opera

pari a 15 kN/m3 in caso di riempimento asciutto e di 18 kN/m3 quando lo stesso risulti

saturo (ipotizzando una porosità del 30%).

Per quanto riguarda, invece, la spinta delle terre, sono state analizzate le condizioni di

terreno asciutto e saturo; nel caso di terreno saturo è stato ipotizzato che il materiale di

riempimento della palificata si intasi con il passare del tempo impedendo la filtrazione

dell’acqua, e che di conseguenza a monte dell’opera si instaurino condizioni

sostanzialmente idrostatiche, (Pugi et al., 2000). Anche per il terreno naturale a tergo

dell’opera sono stati ipotizzati valori del peso dell’unità di volume, utilizzando 18 kN/m3

in caso di materiale asciutto e di 21 kN/m3 in condizioni sature (porosità pari al 30%).

I risultati ottenuti sono riportati in Tabella XIII, distinti per i casi esaminati con terreno

asciutto e terreno saturo. Una volta ottenuti i valori di B/H per ciascuna combinazione sono

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stati scartati i valori del rapporto maggiori dell’unità (B/H>1) in quanto rappresentano

soluzioni costruttive troppo onerose ed è stato riportato, sempre a favore di sicurezza, il

valore più alto di B/H, confrontando di volta in volta la verifica allo scivolamento e quella

al ribaltamento della palificata.

In accordo con quanto riportato in letteratura per le briglie (D’Agostino e Mantovani,

2000; Pugi et al., 2000) appare evidente come la regola empirica secondo cui la base

dell’opera a cassoni deve essere pari a 0.5 volte l’altezza della stessa, non garantisce il

raggiungimento dei coefficienti di sicurezza indicati dalla normativa vigente, ad eccezione

di terreni caratterizzati da buone proprietà meccaniche in condizioni asciutte e/o con

contropendenze elevate. Nel caso più critico, di spinta delle terre in condizioni sature,

Tabella XIII: Valori del rapporto B/H.

CONDIZIONI ASCIUTTE CONDIZIONI SATURE φ = 27° φ = 27°

Pendenza a monte (i) Inclinazione della base (α)

Pendenza a monte (i) Inclinazione della base (α)

0° 5° 10° 20° 0° 5° 10° 20° 27° (2 a 1) - 1.0 (1) 0.9 0.6 27° (2 a 1) - - 1.0 (3) 0.8 34° (2 a 3) - 1.0 (3) 1.0 (1) 0.7 34° (3 a 2) - - - 1.0

45° (1 a 1) - - 1.0 (3) 0.9 (2) 45° (1 a 1) - - - 0.9 (3)

56° (3 a 2) - - - - 56° (3 a 2) - - - - φ = 30° φ = 30°

Pendenza a monte (i) Inclinazione della base (α)

Pendenza a monte (i) Inclinazione della base (α)

0° 5° 10° 20° 27° (2 a 1) 1.0 (2) 0.9 0.7 0.5 27° (2 a 1) - - 1.0 (2) 0.7

34° (2 a 3) 1.0 (3) 1.0 (1) 0.9 0.6 34° (3 a 2) - - 1.0 (2) 0.8

45° (1 a 1) - - 0.9 (3) 1.0 45° (1 a 1) - - - 1.0 (1)

56° (3 a 2) - - - - 56° (3 a 2) - - - - φ = 35° φ = 35°

Pendenza a monte (i) Inclinazione della base (α)

Pendenza a monte (i) Inclinazione della base (α)

0° 5° 10° 20° 27° (2 a 1) 0.7 0.6 0.5 0.4 27° (2 a 1) - 1.0 0.8 0.6 34° (2 a 3) 0.8 0.7 0.5 0.5 34° (3 a 2) - 1.0 (2) 0.9 0.6

45° (1 a 1) 1.0 (1) 0.9 0.8 0.5 45° (1 a 1) - - 1.0 (1) 0.8

56° (3 a 2) - - 0.9 (3) 1.0 (1) 56° (3 a 2) - - - 0.9 (3)

φ = 40° φ = 40° Pendenza a monte (i) Inclinazione della base (α)

Pendenza a monte (i) Inclinazione della base (α)

0° 5° 10° 20° 27° (2 a 1) 0.5 0.5 0.4 0.3 27° (2 a 1) 1.0 0.8 0.7 0.6 34° (2 a 3) 0.5 0.5 0.5 0.4 34° (3 a 2) 1.0 (1) 0.9 0.7 0.6

45° (1 a 1) 0.7 0.6 0.5 0.4 45° (1 a 1) 1.0 (3) 1.0 0.8 0.6

56° (3 a 2) 1.0 (1) 1.0 0.8 0.6 56° (3 a 2) - 1.0 (3) 0.9 (2) 0.9 (1) per H < 2.5 m (1) per H < 2.5 m (2) per H < 2.0 m (2) per H < 2.0 m NOTE (3) per H < 1.5 m

NOTE (3) per H < 1.5 m

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risulta altrettanto evidente che il criterio empirico per cui la base è pari all’altezza si

avvicini maggiormente alle condizioni che assicurano la stabilità allo scivolamento e al

ribaltamento; è tuttavia vero che la palificata è un’opera di sostegno per sua natura

drenante, ed i valori relativi alle condizioni sature potrebbero sembrare eccessivamente

cautelativi. Tale scelta è compito del progettista in relazione alla situazione locale specifica

ed a valutazioni inerenti il rischio che si genererebbe in caso di cedimento.

Nonostante la manutenzione sia spesso trascurata, controlli regolari e piccoli interventi di

riparazione eseguiti periodicamente sono fondamentali per garantire la durata di esercizio

delle opere di sostegno in legno, a vantaggio della sicurezza.

4.3.4 Scogliere e muri in pietrame

Sono interventi che utilizzano come materiale da costruzione il pietrame a secco ed hanno

lo scopo di aumentare la stabilità del versante incrementando le forze resistenti e

diminuendo, quindi, la resistenza al taglio mobilitata. Tali opere possono anche essere

utilizzate come opere di difesa spondale longitudinale, disposte cioè parallelamente al

corso d’acqua.

Le scogliere sono costituite da grossi massi (0.5 ÷1 m3) o da blocchi di roccia nei cui

interstizi possono essere inseriti fino a raggiungere il terreno naturale talee e astoni di

salice (scogliere in massi rinverdite) o di altre specie dotate di analoghe capacità

biotecniche che radicando consentono una maggiore stabilizzazione del manufatto. Questo

tipo di opere deve possedere fondazioni profonde, appoggiate su porzioni stabili del

versante (per esempio a profondità maggiore della superficie di scivolamento).

In genere le opere in pietrame sono realizzate con materiale reperito in loco, che deve

essere lavorato in modo da conferirgli una forma il più possibile poliedrica ed evitando

blocchi eccessivamente arrotondati, in modo da assicurare la massima superficie

d’appoggio e il miglior incastro possibile. Solitamente il muro ha una sezione trapezoidale

ottenuta posizionando in basso i blocchi di dimensione maggiore, mentre le fondazioni

hanno una base rettangolare in leggera contropendenza (massimo 10°); possono essere

costruiti con varie pendenze e quindi essere adattati all’inclinazione della scarpata naturale

o artificiale da proteggere. L’altezza di queste opere mediamente non supera i 2 metri,

anche se in casi particolari e con l’impiego di mezzi meccanici adeguati è possibile

realizzare muri di sostegno e/o scogliere fino ad altezze di 3-4 metri (purché lo spessore

della base venga adeguatamente proporzionato all’altezza).

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Dal punto di vista del dimensionamento, l’unico riferimento bibliografico reperito per

questo tipo di opere è quello di Gray e Sotir (1996), secondo i quali il Fattore di Sicurezza

nei confronti del ribaltamento dell’opera in pietrame (Figura 23) può essere scritto (nel

caso di terreno privo di coesione) come:

( )( ) ( ) φαφγ

γααγ

sin/sin/cos/33.05.0

5.0sin/cos/5.02

2

BHBHK

BHFS

At

RRrib

+= [ 4]

Dove H è l’altezza dell’opera, B è la larghezza dell’opera (misurata alla base), α è

l’inclinazione dell’opera (riferita

all’orizzontale), γR è il peso di volume dei

blocchi rocciosi, γt è il peso di volume del

terreno a tergo dell’opera, φ è l’angolo di

resistenza al taglio del terreno, KA è il

coefficiente di spinta attiva del terreno.

Risolvendo l’equazione [ 4] può essere

ricavato il valore del rapporto (H/B) in

funzione del valore del fattore di sicurezza

adottato:

( ) αφγ

αφγγ

sin/cos33.0

sin/cos)(33.05.0 2

FSK

KFSbb

B

H

At

ARt+±= [ 5]

dove:

( ) φγααγ sinsin/cos5.0 2 FSKb AtR += [ 6]

Gli Autori raccomandano poi di realizzare

sempre una fondazione o di ammorsare il

blocco basale in una trincea scavata

appositamente nel terreno naturale avendo

cura di costipare preventivamente il terreno.

Inoltre, per limitare le pressioni interstiziali a

tergo del muro, gli stessi consigliano di

realizzare un filtro in ghiaia tra lo scavo e il

manufatto o di posizione un tubo drenante per

allontanare le acque dalla base dell’opera

(Figura 24).

Figura 23 Rappresentazione schematica di un’opera di sostegno in pietrame

1

2

Figura 24: Schema di costruzione di un muro in pietrame con terreno di riporto e tubo drenante a tergo (ridisegnato da Gray e Sotir, 1996).

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Indicazioni più dettagliate circa le modalità costruttive, gli interventi sistematori collegati e

il periodo di intervento per le opere in pietrame (rinverdite o meno) si trovano all’interno

del “Quaderno opere tipo di ingegneria naturalistica” (Regione Lombardia, 2000). È bene

comunque ricordare che tali opere offrono notevoli vantaggi nei riguardi delle opere in

malta e pietrame o in calcestruzzo, ascrivibili alla loro “permeabilità”, che in genere

consente un buon drenaggio del terreno a tergo e di conseguenza una diminuzione della

spinta delle terre e delle sovrapressioni idrauliche. A tutto ciò si aggiungono la semplicità

costruttiva, il costo ridotto e la perfetta integrazione paesaggistica nell’ambiente montano;

di contro, necessitano di periodiche manutenzioni.

4.4 OPERE DI RINFORZO E DI COPERTURA

4.4.1 Gradonate

Le gradonate vengono realizzate collocando a dimora talee (o piantine radicate) sul fondo

di banchine scavate nel versante o nelle scarpate (Figura 25), sono opere che combinano la

funzione di copertura esercitata dall’apparato epigeo con quella di stabilizzazione

esercitata dall’apparato ipogeo. Oltre all’azione di rinforzo esercitata dalle radici, le talee

(o i fusti delle piantine) fungono da rinforzi in maniera analoga agli elementi sintetici delle

terre rinforzate (Figura 26).

L’esecuzione avviene procedendo dal basso verso l’alto, realizzando nel versante un

gradone cui viene conferita una pendenza verso monte di circa il 10%; sul fondo della

banchina vengono poi poste in tutta profondità talee (in genere di salice), astoni o piantine

radicate con una densità di almeno 10 pezzi/metro. La banchina viene poi riempita con il

materiale proveniente dallo scavo della banchina superiore. Per ulteriori dettagli si rimanda

al Manuale delle opere tipo di Ingegneria Naturalistica (Regione Lombardia, 2000) ed ai

numerosi testi specializzati.

Figura 25:schema costruttivo delle gradonate (da Regione Lombardia, 2000)

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RINFORZO

PARAMENTOESTERNO

TALEA RADICATA

R

Figura 26: similitudine tra rinforzo sintetico e con talea

4.4.1.1 Dimensionamento

Facendo riferimento agli schemi sviluppati per le terre rinforzate, Bischetti e D’Agostino

(2002) hanno sviluppato uno schema di calcolo per valutare il fattore di sicurezza dei

versanti sistemati a gradonata in funzione sia delle caratteristiche geometriche e

geotecniche del versante, sia ai parametri progettuali della sistemazione (numero,

lunghezza e diametro delle talee, distanza tra i gradoni). In analogia a tali schemi il

rinforzo esercitato dalle talee può essere calcolato basandosi sull’analisi delle forze

all’equilibrio limite (cfr. Appendice 1) ed in particolare calcolando la resistenza

mobilizzata dal rinforzo al di sotto del generico piano di scivolamento. Con riferimento

alla Figura 27, il fattore di sicurezza (FS) del pendio è dato dalla seguente relazione:

( ) ( )( )βαββγ

φβγγβα+−

−+++=

coscossin

cossin

1

12

1

nRzl

tglzmnRlcFS

t

at [7]

dove z è la profondità del generico piano di scivolamento [m], m è la frazione di z

interessata dalla falda, γt è il peso nell’unità di volume del terreno [kN/m3], γa è il peso

specifico dell’acqua [kN/m3], c è la coesione del terreno [kN/m2], n è la densità delle talee

[numero/m], s è lo spessore del terreno al di sopra del piano di scivolamento [m], s* è la

lunghezza della talea sopra il piano di scivolamento [m], l3 è la lunghezza della talea [m],

( )*3 sl − è la lunghezza della talea al di sotto del generico piano di scivolamento [m], β è

l’inclinazione del versante, α è l’inclinazione del piano di posa delle talee, φ è l’angolo di

resistenza al taglio del terreno, R è la resistenza allo sfilamento mobilizzata dalla talea

[kN/m].

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Nel caso dei rinforzi sintetici, si assume che la forza mobilizzata, R, sia rappresentata dalla

resistenza allo sfilamento assicurata dalle forze d’attrito all’interfaccia terreno-rinforzo.

Nel caso delle talee tale meccanismo è valido solamente nel primo periodo dopo la messa a

dimora, in quanto già dopo pochi mesi la talea ha emesso una significativa quantità di

germogli radicali. Bischetti e Vitali (2001) hanno osservato per talee di salice rosso dopo

tre mesi dalla messa a dimora, un numero medio dei germogli radicali (sebbene solamente

di pochi centimetri) che andava da alcune decine fino ad oltre cento per metro.

Nel caso delle talee radicate, quindi, oltre alle forze di attrito durante lo sfilamento, viene

mobilizzata una resistenza dovuta alla presenza delle radici che si originano dalla talea

stessa. Per valutare tale resistenza è ragionevole ipotizzare che il punto più debole dei

germogli radicali sia la loro inserzione sulla talea. La forza d’attrito complessiva che si

genera tra il terreno e le singole radici che compongono le ramificazioni di ciascun

germoglio, infatti, può essere assunta superiore alla resistenza alla trazione del germoglio

nel suo punto d’inserzione.

Applicando lo schema illustrato sulla base dei dati di Bischetti e Vitali (2001) sono state

calcolate le distanze massime tra i gradoni affinché sia garantito un fattore di sicurezza

superiore a 1.3 nel caso di una gradonata realizzata con talee di salice rosso di 1 metro di

lunghezza, poste a dimora con un angolo di 10° e una densità di 10 talee/m. In Tabella XIV

sono riportati i valori per diverse tipologie di terreno, caratterizzati da angoli di resistenza

al taglio di 27, 30, 35 e 40°, senza considerare, in via cautelativa, l’eventuale coesione del

terreno ed adottando un peso del terreno di 20 kN/m3 (in tali casi il Fattore di Sicurezza per

Figura 27: schema di rinforzo di un pendio sistemato a gradonata

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versanti non sistemati è sempre inferiore a 1.3, salvo il caso di un terreno con φ di 40° e

pendenza 25°). I calcoli sono stati effettuati per due diversi gradi di saturazione (0.5 e 0.7)

e per profondità di 50 cm e 70 cm, ponendosi nella condizione di fine lavori, trascurando

cioè il contributo delle radici. I valori calcolati per la medesima situazione dopo un periodo

di 15 mesi sono invece riportati in Tabella XV.

Dai risultati riportati è possibile evidenziare che l’efficacia della sistemazione aumenta

all’aumentare della pendenza del versante; tale effetto è dovuto sostanzialmente al fatto

che a parità di profondità (z, cfr. Figura 27) e mantenendo un’inclinazione della talea di

10°, la porzione di talea che si trova dietro il piano di taglio aumenta con la pendenza del

piano stesso (si ricorda che nel caso del pendio indefinito, il piano di taglio viene ipotizzato

parallelo alla superficie). Nel caso di pendenze inferiori a 30°, la porzione di terreno che

può essere stabilizzata (FS>1.3) con talee di 1 m, in genere non supera i 50 cm, mentre

oltre i 30° supera i 70 cm. Per quanto riguarda la distanza tra i gradoni, per versanti

caratterizzati da materiale avente angolo di resistenza al taglio fino a 35°, la distanza

minima non supera i 3 m (fino a 5 m per φ pari a 40°) al termine dei lavori; dopo 15 mesi,

l’effetto delle radici permette di ottenere la stabilizzazione del versante anche con distanze

tra i gradoni di 7-10 m.

Si ritiene comunque opportuno consigliare una certa cautela nell’adozione generalizzata di

tali valori, che pur essendo cautelativi (è stata trascurata l’eventuale coesione del terreno ed

è stato assunto un peso del terreno piuttosto elevato), sono frutto di una sperimentazione al

Tabella XIV: distanze tra i gradoni in funzione delle caratteristiche del materiale e la pendenza del versante a fine lavori, per talee di salice rosso di 1 m di lunghezza, 5 cm di diametro e 10 pezzi/m

m=0.5 φ=27 φ=30 φ=35 φ=40 pendenza z=0.5 z=0.7 z=0.5 z=0.7 z=0.5 z=0.7 z=0.5 z=0.7

25 4.5 - 6.5 - 10.0 - 10.0 - 30 4.5 - 6.0 - 9.0 - 10.0 - 35 5.0 2.5 6.0 2.5 8.0 2.5 10.0 4.0 40 5.0 2.5 6.5 2.5 8.0 3.0 9.5 5.0 45 5.5 2.5 7.0 3.5 8.0 4.0 9.0 5.0

m=0.7 φ=27 φ=30 φ=35 φ=40

pendenza z=0.5 z=0.7 z=0.5 z=0.7 z=0.5 z=0.7 z=0.5 z=0.7

25 4.0 - 4.5 - 7.0 - 10.0 -

30 4.5 - 4.5 - 7.0 - 10.0 -

35 4.5 2.5 5.0 2.5 7.5 2.5 9.0 3.0 40 4.5 2.5 5.0 2.5 7.5 2.5 9.0 4.0 45 4.5 2.5 5.5 2.5 8.5 3.0 9.0 4.5

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momento limitata e che andrà estesa ad altre specie e contesti di crescita.

Dal punto di vista puramente meccanico, infine, dai risultati emerge che al fine di

mantenere la maggior porzione possibile di talea oltre il piano di taglio sarebbe opportuno

variare l’inclinazione delle talee in relazione all’inclinazione del versante; tali osservazioni

devono però essere contemperate con considerazioni relative alla distribuzione delle

sostanze responsabili della radicazione, che sono influenzate dall’inclinazione data alla

talea stessa.

4.4.2 Grate vive

Si tratta di opere realizzate con pali in legname disposti tra loro perpendicolarmente a

formare dei riquadri (camere) in cui vengono messe a dimora talee e/o piantine radicate

(Figura 28). La grata viva agisce quindi come sostegno del terreno fino a che non si sono

sviluppati gli elementi vivi che, con lo sviluppo degli apparati radicali, producono un

effetto stabilizzante.

Queste opere sono utilizzate con successo negli interventi di sistemazione e stabilizzazione

di pendii in erosione o in frana, caratterizzati da inclinazioni molto elevate (anche superiori

a 45°), dove non è possibile ridurre con mezzi meccanici la pendenza del versante e non

sono applicabili altre tecniche di ingegneria naturalistica.

La tecnica costruttiva consiste nel rivestire l’area interessata con una griglia di pali in larice

o castagno aventi diametro di 15÷20 cm, disposti a formare camere di 1,5÷2,0 metri di

lato. La difficoltà consiste nel fare aderire il più possibile questa struttura rigida alla

Tabella XV: distanze tra i gradoni in funzione delle caratteristiche del materiale e la pendenza del versante dopo 15 mesi dall’impianto, per talee di salice rosso di 1 m di lunghezza, 5 cm di diametro e 10 pezzi/m

m=0.5 φ=27 φ=30 φ=35 φ=40 pendenza z=0.5 z=0.7 z=0.5 z=0.7 z=0.5 z=0.7 z=0.5 z=0.7

25 10.0 - 10.0 - 10.0 - 10.0 stabile 30 10.0 7.5 10.0 8.5 10.0 10.0 10.0 10.0 35 10.0 8.5 10.0 9.0 10.0 10.0 10.0 10.0 40 10.0 8.5 10.0 9.0 10.0 10.0 10.0 10.0 45 10.0 8.5 10.0 8.5 10.0 10.0 10.0 10.0

m=0.7 φ=27 φ=30 φ=35 φ=40

pendenza z=0.5 z=0.7 z=0.5 z=0.7 z=0.5 z=0.7 z=0.5 z=0.7

25 10.0 - 10.0 - 10.0 - 10.0 - 30 10.0 6.0 10.0 7.5 10.0 9.0 10.0 10.0 35 10.0 8.0 10.0 8.5 10.0 9.5 10.0 10.0 40 10.0 8.5 10.0 9.0 10.0 9.5 10.0 10.0 45 10.0 9.0 10.0 9.0 10.0 9.5 10.0 10.0

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superficie del terreno, che deve

essere fissata al substrato stabile

mediante l’infissione di picchetti

di legno della lunghezza di 1

metro circa. Si procede poi al

riempimento delle camere con

materiale inerte e terreno

vegetale ed alla messa a dimora

di talee, ramaglia e/o piantine

radicate (con l’eventuale

supporto di una rete metallica o

di una biostuoia per il

contenimento del terreno fine).

La superficie esterna della grata

può poi essere inerbita per una

migliore resistenza all’erosione.

Maggiori indicazioni circa le

modalità costruttive, gli

interventi sistematori collegati e

il periodo di intervento per le

grate vive si trovano all’interno

del “Quaderno opere tipo di ingegneria naturalistica” (Regione Lombardia, 2000) e

vengono ampiamente trattate all’interno dei numerosi manuali e testi scientifici di

ingegneria naturalistica.

4.4.3 Inerbimenti

Il rivestimento delle scarpate con specie erbacee, è di norma sufficiente a proteggere gli

strati più superficiali del terreno dall’azione battente delle acque meteoriche e dal deflusso

superficiale. L’inerbimento di pendii e scarpate rappresenta una delle soluzioni a minor

impatto ambientale, combinando l’efficacia tecnico-funzionale agli aspetti paesaggistici e

naturalistici.

Le tecniche ed i materiali impiegati sono differenti in relazione al campo di impiego

(versanti franosi, scarpate naturali ed artificiali, argini fluviali, ecc.) e alle caratteristiche

litologiche, pedologiche, morfologiche e climatiche dell’area d’intervento. Diverse sono le

Figura 28: schema costruttivo della grata viva (da Regione Lombardia, 2000)

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tipologie di inerbimento per semina o per posa in opera di rivestimenti vegetali, tra cui si

ricordano la semina a spaglio, la copertura con zolle erbose, il sistema nero-verde,

l’idrosemina. In questa sede si ritiene di dover sottolineare come nel caso dell’inerbimento

delle scarpate stradali, sia particolarmente indicato il ricorso all’idrosemina, che per essere

realizzata necessita di un’attrezzatura che solitamente è caricata su mezzi (Figura 29). Per

indicazioni dettagliate circa la scelta della specie, le modalità e il periodo d’intervento, gli

interventi sistematori collegati si rimanda al “Quaderno opere tipo di ingegneria

naturalistica” (Regione Lombardia, 2000) ed agli ormai numerosi testi che si occupano di

ingegneria naturalistica e di sistemazioni idraulico-forestali.

Figura 29: idrosemina su scarpate stradali

4.4.4 Coperture diffuse

Si tratta di opere usate tipicamente in ambito di sistemazione delle sponde dei corsi

d’acqua, ma che possono essere efficacemente utilizzate anche per la stabilizzazione delle

scarpate stradali, talvolta in combinazione con opere di sostegno quali le palificate (Figura

30) Oltre all’azione di copertura ad opera dell’apparato epigeo, le radici che si originano

dagli astoni forniscono un rinforzo che può essere espresso in termini di coesione

aggiuntiva, consentendo di creare scarpate con una pendenza superiore a quella consentita

dal solo materiale. Tale effetto che può esercitarsi fino ad una profondità nell’ordine del

metro, può essere quantificato da alcuni kPa ad alcune decine di kPa, in funzione della

specie e soprattutto della densità (Hammod et al., 1992; Bischetti, 2001; Bischetti et al.,

2002).

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L’esecuzione dell’opera, nel caso delle

scarpate stradali, si riduce alla posa di uno

strato continuo di astoni di salice o talee in

senso trasversale alla strada, collocando la

base in un fosso al piede della scarpata

stessa; al fine di mantenere gli astoni a

contatto con il terreno e facilitarne la

radicazione, è opportuno fissare gli astoni

con filo di ferro zincato ancorato a paletti ed

effettuare una copertura con un sottile strato

di terreno vegetale.

Figura 30: copertura diffusa su scarpata stradale

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58

APPENDICE 1: ANALISI DI STABILITA’ DEI PENDII

Introduzione

Quando il piano campagna non è orizzontale, come nel caso dei pendii naturali e delle

scarpate artificiali, le tensioni di taglio indotte dalle forze gravitazionali tendono ad

innescare il movimento del terreno stesso (o della roccia) lungo potenziali superfici di

scorrimento. Quando le tensioni tangenziali superano le resistenze al taglio vengono a

mancare le condizioni di equilibrio globale per cui la massa di terreno scivola verso valle

fino al raggiungimento di un nuovo stato di equilibrio.

La complessità del sistema versante, la variabilità delle condizioni climatico-ambientali e i

diversi scopi di analisi fanno sì che i fattori da considerare nel corso di un’analisi di

stabilità siano differenti; tra questi ricordiamo:

• la geometria del pendio;

• il tipo di pendio (naturale, artificiale, in rilevato, in scavo);

• la struttura geologica dell’area in esame;

• il materiale geologico coinvolto (roccia, terreno, ecc.);

• le condizioni idrogeologiche (e loro variazioni);

• le forze esterne (sovraccarichi, sismicità, ecc.);

• le conseguenze di una ipotetica rottura.

Tra i diversi metodi a disposizione, quelli maggiormente utilizzati fanno riferimento al

principio dell’equilibrio limite; nel caso dei movimenti che caratterizzano l’ambiente agro-

silvo-pastorale particolarmente utili, sebbene drasticamente semplificati, sono i metodi

lineari del pendio indefinito, degli scivolamenti planari e quello non lineare di Bishop.

Metodo del pendio indefinito

Il metodo del pendio indefinito è stato sviluppato da Skempton e Delory (1957) per

l’analisi di tutti quei versanti in cui la lunghezza del fenomeno di instabilità è di gran lunga

più grande rispetto alla profondità e in cui non esistono forti effetti dovuti al controllo

laterale. Il caso tipico è quello dell’instabilità delle coperture detritiche o di terreni sciolti

in genere (di spessore contenuto) posti al di sopra di un substrato resistente. La superficie

di scivolamento è quindi assunta coincidente con il piano di contatto roccia-terreno e tale

piano è assunto essere parallelo alla superficie topografica e, se esiste, alla superficie della

falda. Tutte queste ipotesi facilitano la risoluzione e consentono di analizzare la stabilità

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59

del pendio

analizzando quella

di un singolo

elemento di

lunghezza unitaria,

poiché l’estensione

longitudinale della

schematizzazione

consente di

trascurare l’azione

delle forze di

interconcio (Figura

31).

Le variabili necessarie per l’analisi comprendono:

• le proprietà del terreno: c’ (coesione efficace), φ’ (angolo di resistenza al taglio

efficace), γt peso di volume del terreno;

• il peso di volume dell’acqua: γw;

• il peso dell’elemento di terreno: W=γtzb;

• la pressione neutra alla base del piano di scivolamento: u=γwhw e ru=u/γtz;

Poiché il versante è infinitamente esteso, le risultanti interconcio sono pari sui due lati:

IL=IR. Le forze agenti alla base del concio saranno le due componenti (P normale, T

tangenziale) dovute al peso del concio stesso:

P=W cosβ [ 8]

T=W sinβ [ 9]

ed i relativi sforzi (forza/area) alla base del concio saranno:

σ = (W/b) cos2β [ 10]

τ = (W/b) sinβ cosβ [ 11]

La resistenza a rottura sulla base del principio di Mohr-Coulomb sarà:

s = c’ + σ’ tanφ’ = c’ + (σ-u) tanφ’ [ 12]

e all’equilibrio deve valere:

Figura 31: schema del pendio indefinito

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60

FS

s=τ [ 13]

per cui utilizzando le espressioni sopra riportate, si ottiene:

ββγφβγ

cos sin z

'tancos ' 2

t

uzcFS

−+= [ 14]

oppure:

ββ

φβγ

cos sin

'tancosz

' 2u

t

rc

FS

−+

= [ 15]

dove ru avrà valore controllato dalla pendenza del versante; nel caso di filtrazione parallela

al versante ed esprimendo l’altezza della superficie piezometrica in termini di frazione (m)

della profondità z:

( )ββγ

φβγγcos sin z

'tan cos' 2

t

wt mzcFS

−+= [ 16]

Un caso particolare è rappresentato dalla presenza di terreni incoerenti (c’=0) con falda a

piano campagna (m=1):

( )βγ

φγγ tan

'tan

t

wtFS−

= [ 17]

In assenza di acqua nel versante (sempre per terreni non coesivi), il fattore di sicurezza si

riduce a:

βφ

tan

'tan=FS [ 18]

Casi decisamente più complessi, e in verità più realistici, saranno quelli con linee di flusso

non parallele all’inclinazione del versante e di conseguenza in grado di considerare

condizioni di deflusso locali o particolari. La soluzione generalizzata della stabilità di un

pendio indefinito in caso di filtrazione variabile è decisamente più complicata, pertanto si

rimanda a pubblicazioni specifiche di stabilità e di idrologia dei versanti.

Scivolamenti planari

Come già accennato, questo tipo di analisi si utilizza in genere per frane in roccia anche se

la procedura può essere applicata agli scivolamenti nei terreni. Indipendentemente dal

materiale coinvolto, le analisi per gli scivolamenti planari possono essere condotte in

diverso modo in funzione della geometria del blocco interessato. Tali verifiche possono

essere effettuate con il metodo dell’equilibrio limite, verificando in diverse condizioni il

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61

grado di stabilità del blocco stesso.

Indipendentemente dalla geometria,

lo schema implica alcune

condizioni (Figura 32):

• venuta a giorno del piano di

scivolamento: α > β;

• inclinazione del piano di

scivolamento superiore

all’angolo di attrito del

materiale: β > ϕ;

• immersione del piano di scivolamento entro l’intervallo ± 20° dall’immersione della

scarpata esterna del blocco;

• presenza di due piani laterali e ortogonali al piano di scivolamento tali da isolare un

blocco e che non sviluppino resistenza ai lati della massa in movimento, oppure profilo

trasversale del pendio convesso (sperone).

In termini generali lo scivolamento di un cuneo (ma anche di blocchi di forma complessa)

può essere schematizzato nell’ambito dell’equilibrio alla traslazione lungo il piano

inclinato, ottenendo per le condizioni asciutte la seguente espressione generale per il

calcolo del fattore di sicurezza:

βφβ

sin

'tancos

W

WACFS

+⋅= [ 19]

dove:

A è l’area del tratto di superficie di scivolamento considerato (che considerando una

larghezza unitaria coincide con la sua lunghezza L), β è l’angolo di inclinazione della

superficie di scivolamento, W è il peso del blocco, C è la coesione totale (dovuta cioè alla

coesione del terreno e al contributo della vegetazione), φ è l’angolo di resistenza al taglio

del materiale.

Di seguito vengono proposte le soluzioni per alcuni casi particolari.

Presenza di acqua lungo il pendio

Per tener conto della presenza dell’acqua nei calcoli del fattore di sicurezza con i metodi

dell’equilibrio limite, è possibile introdurre la sottospinta idraulica U dovuta alle pressioni

neutre distribuite lungo la superficie di scivolamento. La definizione delle condizioni

Figura 32: schema dello scivolamento planare di un cuneo di riporto

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62

idrauliche realmente esistenti è

però problematica; in assenza di

fratture e supponendo che il

pendio sia completamente saturo, è

ragionevole ipotizzare che la

pressione massima si abbia in

corrispondenza di metà

dell’altezza del blocco (RocPlane -

Theory Manual, 2001; Figura 33).

Di conseguenza, la pressione

massima dell’acqua nei pori

(condizione idrostatica) è:

HP ww γ2

1= [ 20]

e la relativa sottospinta idraulica:

HLLPU ww γ4

1

2

1== [ 21]

Il Fattore di Sicurezza può quindi essere scritto come:

βφβ

sin

'tan)cos(

W

UWACFS

⋅−+⋅= [22]

Un’ulteriore opzione, meno rigorosa, è quella di trascurare le forze esterne e utilizzare

nelle verifiche il peso di volume sommerso del terreno γ’, dato dalla differenza tra il peso

di volume saturo del terreno e il peso di volume dell'acqua. Tale soluzione può essere

utilizzata in prima approssimazione nei casi in cui non si riesca a tener conto della reale

distribuzione delle pressioni neutre.

Frattura di trazione

In presenza di movimenti franosi incipienti o in evoluzione è frequente che in superficie si

formino fratture di trazione. Queste, oltre a rappresentare vie preferenziali per

l’infiltrazione e lo scorrimento delle acque di superficiali nel corpo di frana, a lungo

termine possono portare alla formazione di ristagni superficiali agenti come sovraccarichi

sul pendio.

Figura 33:distribuzione delle pressioni con valore massimo a metà altezza

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63

In questi casi è possibile adottare

il meccanismo di rottura per

scivolamento planare, senza

scorrimento o resistenza

mobilitata lungo la frattura di

trazione.

Per il calcolo di FS in questo caso

si deve tenere conto anche della

spinta idrostatica V (Figura 34)

esercitata dall’acqua presente

nell’eventuale frattura di trazione

posta a monte del blocco instabile:

)cossin(

tan)sincos(

ββφββ

VW

VUWACFS

+⋅−−+⋅

= [ 23]

dove

2

2

1zV wγ= [ 24]

LzU w ⋅= γ2

1 [ 25]

con z altezza dell’acqua nella frattura di trazione e L lunghezza della superficie di

scivolamento.

Carico uniformemente distribuito

Un ulteriore caso, frequente nell’ambito della viabilità agro-silvo-pastorale, è quello in cui

sulla superficie del blocco viene posizionato un sovraccarico, come ad esempio un mezzo

meccanico (Figura 35). Con l’applicazione di un carico generico, Q, assunto

uniformemente distribuito si ha una variazione positiva o negativa (a seconda

dell’inclinazione θ del sovraccarico rispetto alla superficie potenziale di rottura) sia delle

forze normali sia di quelle tangenziali, con conseguente modifica dei valori di resistenza al

taglio massima e di quella mobilitata. Il fattore di sicurezza diventa:

Figura 34: scivolamento del blocco in presenza di una frattura di trazione

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θβφθβ

sinsin

tan)coscos(

QW

QWcAFS

+++

= [ 26]

Ovviamente questa soluzione può essere accoppiata con la soluzione del caso precedente,

anzi nel caso in cui la strada sia realizzata con materiali scadenti, per nulla o poco costipati,

e sia priva di un adeguato strato protettivo in superficie, il passaggio di mezzi

eccessivamente pesanti può contribuire alla formazione di fratture di trazione. Queste,

approfondendosi e saturandosi (caso frequente in aree particolarmente umide e piovose)

possono portare alla rottura del solido stradale secondo la geometria indicata in Figura 34.

Allo stato attuale delle conoscenze, nella letteratura statunitense questi meccanismi di

rottura, che associano il transito di mezzi pesanti alla formazione di fratture di trazione sul

piano viario e alla neoformazione di frane che finiscono per coinvolgere la scarpata di

valle, sono ben documentati (Bartle, 1999; Higman e Patrick, 2001); in Italia non vi sono

informazioni sufficienti su tali tipologie di dissesto lungo le strade agro-silvo-pastorali.

Metodo di Bishop semplificato (1955)

Poiché il pendio non sempre è omogeneo e possono sussistere condizioni di flusso non

facilmente schematizzabili, per un’analisi in termini di sforzi efficaci è indispensabile far

ricorso a metodi che suddividono la massa interessata da un movimento in un numero

conveniente di conci. Se si hanno n conci (Figura 36) il problema presenta le seguenti

incognite:

• n valori delle forze

normali Ni agenti alla

base di ciascun concio

• n valori della

coordinata del punto di

applicazione delle Ni

• (n-1) forze normali e

(n-1) forze tangenziali

agenti sull’interfaccia

dei conci

• (n-1) valori della

coordinata del punto di

Figura 35: schema delle forze nel caso di cuneo caricato

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65

applicazione delle forze normali

agenti sull’interfaccia.

Sommate all’ulteriore incognita costituita da

FS, richiedono (5n-2) condizioni per rendere

staticamente determinato il problema, mentre

si dispone solamente di 3n equazioni di

equilibrio.

Occorre quindi introdurre alcune ipotesi

aggiuntive; quelle più comunemente adottate

sono:

• n punti di applicazione delle forze N

al centro della base del concio.

• (n-1) inclinazioni θ delle forze interconcio o posizione, altezza, h della linea di

spinta

In questo modo il numero totale delle assunzioni (2n-1) è maggiore di quelle richieste

rendendo di conseguenza il problema sovradeterminato; ciò è risolto valutando due fattori

di sicurezza, rispettivamente per i momenti e per le forze. I valori di FSM e FSF sono uguali

per un certo valore di θ, ossia di inclinazione delle forze interconcio. I diversi metodi

reperibili in letteratura si differenziano tra loro nell’introduzione delle condizioni relative

alle forze interconcio.

Il metodo di Bishop semplificato si basa sulle seguenti ipotesi (Figura 37):

• la rottura avviene per scorrimento della massa di terreno lungo una superficie cilindrica

centrata in O;

• le forze interconcio sono orizzontali, quelle di taglio verticale sono trascurate (XR-

XL=0);

• si esamina l’equilibrio dei momenti;

• il criterio di rottura è quello di Mohr-Coloumb (cfr. [ 12])

Sulla base di tale schema, le forze agenti alla base del concio sono:

P = σl

T = τl [ 27]

da cui si ricava

Figura 36: schema delle forze sul concio nel metodo di Bishop

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66

( )[ ]'tan'1

φulPlcFS

T −+= [ 28]

Risolvendo verticalmente si avrà:

P cosα + T sinα = W - (XR-XL) [ 29]

e assumendo che XR=XL=0 (ossia forze interconcio orizzontali):

( )

α

αφα

m

ullcFS

WP

��

���

� −−=

sin'tansin'1

[ 30]

dove:

��

���

� +=FS

ααα

tantan1cos

[ 31]

Per l’equilibrio dei momenti rispetto al centro O si ha:

� �= TRWR αsin [ 32]

e sostituendo per T si otterrà:

( )[ ]�

� −+=

α

φ

sin

'tan'

W

ulPlcFSm [ 33]

Questa equazione contiene FS nel termine di destra e la risoluzione è ottenuta in modo

iterativo con convergenza rapida; il metodo è accurato salvo nel caso di problemi numerici.

L’errore insito nel metodo, infatti, è modesto e in genere minore del 5% ma tende a

crescere per cerchi profondi (10-15%).

In ogni caso, al fine di ridurre al minimo le incertezze sui risultati ottenuti è opportuno

confrontare tali valori con quelli ottenuti da analisi in condizioni simili, eseguire le

Figura 37: schema delle forze nel metodo di Bishop semplificato

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67

verifiche con altri metodi sia più semplici, che più complessi ed, infine, effettuare una

analisi di sensitività in modo da verificare se i risultati delle analisi condotte con parametri

differenti mantengono una loro ragionevolezza (Crosta, 2001).

Il metodo semplificato di Bishop è inoltre utilizzabile per superfici di scivolamento non

circolari, adottando un centro di rotazione fittizio. Comunque per quanto riguarda le

assunzioni circa la geometria della superficie di scivolamento, si ritiene che le superfici di

forma circolare rappresentino in genere le più critiche per tutti i casi che interessano

materiali omogenei in assenza di discontinuità geologiche e/o strutturali particolari.

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68

APPENDICE 2: VERIFICHE DELLE OPERE DI SOSTEGNO

Forze agenti e cenni sul calcolo della spinta delle terre

Secondo quanto previsto dalla normativa vigente circa le opere di sostegno, le forze agenti

sul manufatto dovranno essere calcolate in modo da pervenire, di volta in volta, alla

condizione più sfavorevole nei confronti delle diverse verifiche da effettuare. In

particolare, tutte le ipotesi di calcolo delle spinte sulle opere di sostegno devono essere

giustificate con considerazioni sui prevedibili spostamenti relativi del manufatto rispetto al

terreno (D.M. 11/03/88).

Di conseguenza, per dimensionare correttamente opera di sostegno ( p. es. una palificata) si

devono considerare le principali

forze che entrano in gioco,

assicurandosi che le

semplificazioni introdotte nello

schema di calcolo siano sempre a

favore di sicurezza.

Se consideriamo lo schema

riportato in Figura 38, è evidente

come le forze agenti sull’opera

siano:

• il peso proprio dell’opera (P),

di facile determinazione noti il

volume del manufatto e il peso

nell’unità di volume del

materiale;

• la spinta attiva del terreno (Sa), che dipende dall’altezza della palificata e dalle

caratteristiche del terreno;

• la spinta passiva del terreno (Sp), rappresenta la resistenza (forza stabilizzante) del

terreno alla pressione esercitata dal manufatto, poiché ne ostacola il ribaltamento e lo

scivolamento lungo il piano di posa dell’opera stessa (in genere risulta modesta rispetto

alle altre azioni sollecitanti e, a favore di sicurezza, si preferisce trascurarla nei calcoli);

• l’eventuale sovraccarico (Q) esistente a tergo dell’opera, assunto uniformemente

distribuito.

Figura 38: schema delle forze agenti su un’opera di sostegno

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69

Per il calcolo della spinta delle terre si può far riferimento alla teoria degli stati di

equilibrio limite di Rankine (1857), della quale si richiamano brevemente le ipotesi:

• il terreno è assunto privo di coesione (c=0; φ≠0);

• la superficie di rottura è piana così come la superficie del terrapieno (che però può

anche essere inclinato);

• il cuneo di terreno contro il muro si comporta come un corpo rigido che subisce lo

spostamento senza deformarsi;

• non viene considerato l’attrito terreno-opera;

• la parete interna del muro è considerata verticale;

• il problema si riferisce ad una unità di opera (o terreno).

Come è noto, tali ipotesi portano a valori di spinta superiori, e quindi a favore di sicurezza,

rispetto a quelli calcolati secondo la teoria di Coulomb (1773) che tiene conto anche

dell’attrito che si genera tra l’opera di sostegno e il terreno.

Secondo la teoria di Rankine, in condizione di equilibrio limite attivo lo sforzo che agisce

su un piano verticale posto alla generica profondità z sotto il piano campagna, è

perpendicolare al piano stesso e vale:

ata zKγσ = [ 34]

dove γt è il peso dell’unità di volume del terreno e Ka è il coefficiente di spinta attiva del

terreno, il quale, sempre secondo Rankine, può essere calcolato come:

��

���

� −°=2

45tan2 φaK [ 35]

con φ angolo di resistenza al taglio del terreno.

Il diagramma delle pressioni che ne risulta è di forma triangolare (lo sforzo attivo aumenta

infatti linearmente con la

profondità) e per unità di

opera vale (area del triangolo

nella Figura 39):

Figura 39: Diagramma della spinta attiva di un terreno non coesivo su una parete verticale liscia

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70

at

H

aa KHdzS 2

0 2

1γσ� == [ 36]

dove H è l’altezza del terreno considerato (che coincide con l’altezza dell’opera di

sostegno indicata in figura), misurata dal piano di fondazione.

La spinta attiva così calcolata è applicata ad una distanza pari a 1/3 H dal piano stesso (o a

profondità 2/3 H dal piano campagna).

Estensione teoria di Rankine

Presenza di una falda

Nel caso di terreno completamente saturo, in condizioni idrostatiche in assenza cioè di

moti di filtrazione dietro l’opera, il valore della spinta attiva del terreno (spinta efficace)

diviene:

aa KHS 2' '2

1γ= [ 37]

dove γ’ è il peso dell’unità di volume di terreno immerso in acqua, calcolato come (γsat -

γw) con γsat peso dell’unità di volume di terreno saturo e γw peso specifico dell’acqua.

Anche in questo caso la spinta è applicata ad un terzo dell’altezza dell’opera a partire dal

piano di fondazione.

Per ottenere la spinta attiva totale agente a tergo dell’opera occorre aggiungere la pressione

idrostatica totale:

2

2

1HS ww γ= [ 38]

Per cui la spinta attiva totale varrà:

awtota KHHS 22 '

2

1

2

1γγ += [ 39]

Anche in questo caso il diagramma delle pressioni che ne deriva è di tipo triangolare e la

presenza dell’acqua non altera il coefficiente di spinta Ka del terreno, né la posizione della

superficie di rottura, mentre si modifica sensibilmente il valore della spinta totale agente

sul manufatto.

Effetto di un sovraccarico uniforme

Nel caso in cui il terrapieno sia soggetto ad un carico Q uniformemente distribuito

applicato su un’area infinitamente estesa, il problema può essere risolto notando che la

pressione che agisce alla generica profondità z sotto il piano campagna è perpendicolare al

piano stesso e la [ 34] diviene:

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71

aata QKzK += γσ [ 40]

Il diagramma delle pressioni che ne risulta è di forma trapezioidale (aree del triangolo e del

rettangolo nella Figura 40) e l’espressione della spinta attiva diviene:

aata QHKKHS 2

1 2 += γ [ 41]

In maniera analoga, nel caso di terreno completamente saturo, il carico Q viene inserito nel

calcolo della spinta attiva totale (cfr. [ 39].

Per identificare il punto d’applicazione della spinta, il carico può essere opportunamente

trasformato in altezza di terra equivalente:

teq

QH

γ=

[ 42]

a partire dal piano di fondazione dell’opera e può essere calcolata come:

eq

eq

HH

HHHH

2

3

3'

+

+⋅=

[ 43]

In presenza del sovraccarico, quindi, la spinta attiva totale è applicata ad una distanza che

varia da 1/3 H sino a 1/2 H.

Per tutte le situazioni considerate in precedenza, i parametri del terreno (γt e φ) necessari

per determinare la spinta delle terre dovrebbero essere ricavati, ogni qualvolta ve ne sia la

possibilità, mediante apposite indagini geognostiche e prove di laboratorio. In alternativa, i

valori dei parametri del terreno possono essere stimati in funzione della granulometria del

Figura 40: Diagramma della spinta attiva di un terreno non coesivo sottoposto ad un sovraccarico uniformemente distribuito.

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72

terrapieno, avvalendosi eventualmente dell’esperienza acquisita dal progettista e/o di dati

già reperiti in situazioni analoghe. Nella Tabella XVI, ad esempio in relazione alla

composizione granulometrica del terreno sono riportati alcuni valori dell’angolo di

resistenza al taglio φ del terreno.

Tabella XVI: Valori di φ in relazione alla granulometria del terreno (da Terzaghi e Peck, 1967).

Addensamento Terreno

sciolto compatto sabbia a granuli arrotondati, uniforme

27.5 34

sabbia a spigoli vivi, ben gradata

33 45

ghiaia sabbiosa 35 50 sabbia limosa 27-33 30-35 limo inorganico 27-30 30-35

Opera con base inclinata

Secondo la teoria degli stati di equilibrio limite di Rankine (1857), il paramento interno

dell’opera dovrebbe essere verticale, cioè l’angolo d’inclinazione della base (α) pressoché

nullo. Il calcolo della spinta delle terre con tale teoria può però essere esteso anche al caso

di opere realizzate in lieve contropendenza (massimo 10-15%, che ad esempio per le

palificate il legno e pietrame costituisce tra l’altro la prassi costruttiva), introducendo nelle

verifiche di stabilità, la scomposizione della spinta attiva in due componenti, una normale e

l’altra parallela al piano di appoggio del manufatto.

Verifiche dei muri di sostegno

Come previsto dal DM 11/03/88 (cfr. § 4.3.2), per quanto riguarda la verifica della stabilità

esterna le opere a gravità devono soddisfare le seguenti condizioni, dettate dai consueti

criteri di equilibrio:

• stabilità alla traslazione sul piano di posa;

• stabilità al ribaltamento;

• stabilità al carico limite dell’insieme fondazione-terreno;

• stabilità globale dell’insieme opera-terreno;

Prima di esaminare nel dettaglio le relazioni per il dimensionamento e le verifiche delle

opere di sostegno, vale la pena ricordare che normalmente i calcoli statici sviluppati si

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73

riferiscono ad una schematizzazione del problema in termini bidimensionali, ovvero tali

calcoli si riferiscono sempre ad una unità di struttura.

Verifica alla traslazione

Per la verifica allo scorrimento si ipotizza che l’opera di sostegno possa scorrere senza

alcuna deformazione propria lungo piano di posa, sotto l’azione della componente

tangenziale della risultante delle forze agenti (T). A questa azione si oppone la resistenza di

attrito (f⋅N), che si ha sempre lungo il piano di posa del muro, dove f è il coefficiente di

attrito tra la fondazione e il terreno.

Secondo Terzaghi e Peck (1967) il coefficiente di attrito può essere calcolato,

prudenzialmente, come f=tanδ ponendo usualmente:

φδ3

2

2

1÷= [ 44]

con φ=angolo di resistenza al taglio del terreno.

Traducendo tutto questo in termini di Fattore di Sicurezza, si può quindi scrivere:

T

NfFSs

⋅= [ 45]

per cui all’equilibrio risulta:

TFSNf s ⋅=⋅ [ 46]

Facendo riferimento alla Figura 41, lungo la base dell’opera si ricava:

( ) ( )αα PsenSFSPf as −⋅=⋅ cos [47]

dove:

BHP op ⋅⋅= γ [48]

equivale al peso proprio dell’opera (adef), con γop peso di volume della palificata, H

altezza e B larghezza dell’opera stessa; e

aawa KQHKHHS ⋅+⋅⋅+⋅= ⊥⊥⊥22 '

2

1

2

1γγ

[ 49]

è la spinta attiva totale a tergo del muro e agisce perpendicolarmente alla parete di monte

del manufatto; essa comprende tre termini:

• la spinta esercitata dall’acqua interstiziale presente nel caso di terreno completamente

saturo. La sua intensità coincide con quella che l’acqua eserciterebbe sul muro in

assenza del terreno (spinta idrostatica);

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• la spinta esercitata dallo

scheletro solido (grani) del

terreno per effetto del peso

proprio. Si noti che in questo

caso compare il peso dell’unità

di volume del terreno

sommerso (γ’ = γsat - γw):

• la spinta esercitata sul muro dal

terreno per effetto di un

eventuale carico Q

(uniformemente distribuito)

presente a tergo del muro.

H⊥ è l’altezza verticale dell’opera

αcosHH =⊥ e Ka coefficiente di spinta attiva (cfr. Figura 40).

La [ 49] introduce una serie di semplificazioni: nel caso di terreno a tergo saturo si suppone

che esso sia a grana grossolana in modo da poter considerare il problema in condizioni

drenate e trascurare il contributo della coesione, il fondo e l’opera sono considerate

impermeabili, le pressioni neutre a tergo sono idrostatiche in modo da non avere un moto

di filtrazione.

Ovviamente, nel caso di terreno asciutto e in assenza di carichi sulla superficie il primo e il

terzo termine della [ 49] si elidono e nel secondo compare in luogo di γ’, il peso di volume

del terreno (γt).

Sostituendo la [48] e la [ 49] nella [47], si ottiene:

��

���

� −++=⋅⋅ αγααγαγαγ BHsenHQKHKHFSHBf opaawsop coscos'2

1cos

2

1cos 2222

[50]

e con opportuni passaggi si ricava:

( )��

��

�++⋅=+⋅ a

opa

opop

wss K

QHKHFSFSfB

γα

γγ

αγγ

α cos2

'cos

2tan

[ 51]

infine, si arriva alla condizione:

Figura 41: Schema statico di una palificata inclinata rispetto all’orizzontale (sezione).

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75

α

γα

γγ

αγγ

tan

cos2

'cos

2

s

aop

aopop

ws

FSf

KQ

HKHFS

B+

��

��

�++⋅

=

[ 52]

Adottando per FS il valore di 1.3 come previsto dal DM 11/03/88, si ottiene:

��

��

�++⋅

+≥ a

opa

opop

w KQ

HKHf

αγγ

αγγ

αcos

2

'cos

2tan3.1

3.1

[ 53]

Nel caso di terreno asciutto sempre con carico esterno uniformemente distribuito la

[ 53] si semplifica:

��

��

�+⋅

+≥ a

opa

op

t KQ

HKf

αγγ

αcos

2tan3.1

3.1

[ 54]

dove γt è il peso dell’unità di volume del terreno allo stato naturale.

5.1.1 Verifica al ribaltamento

Per assicurarne la stabilità, il rapporto tra il momento delle forze stabilizzanti (Ms) e quello

delle forze ribaltanti (Mr) calcolati rispetto allo spigolo di valle, dovrà essere ≥ 1.5.

Tradotto in termini di Fattore di Sicurezza, si può scrivere:

Mr

MsFSr = [ 55]

Lavorando nell’ambito della statica dei sistemi rigidi e con riferimento alla Figura 41,

risulta

SA

Pr bS

bPFS

⋅⋅

= [ 56]

dove bP è il braccio della forza peso:

( ) ααα costan2

1cos HBxbP +=⋅= [ 57]

e bS è il braccio della spinta attiva.

Sebbene in realtà il punto di applicazione della spinta attiva cada tra 1/3 e 1/2 dell’altezza

dell’opera (cfr. § 0), in genere in assenza di carichi la spinta è applicata ad un terzo

dell’altezza dell’opera misurata verticalmente (come precedentemente illustrato e in

accordo con D’Agostino e Mantovani, 2000):

αcos3

1

3

1HHbS =≅ ⊥ [ 58]

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76

Nel caso sia presente un sovraccarico, invece, il punto di applicazione della spinta totale

viene assunto, a favore di sicurezza, pari a H2

1:

αcos2

1

2

1HHbS =≅ ⊥ [ 59]

La [ 57] diviene quindi:

( )

2'

2

1

2

1

tancos2

1

22 ⊥⊥⊥⊥ ⋅�

���

� ⋅+⋅⋅+⋅

+⋅⋅=

HKQHKHH

HBHBFS

aaw

op

r

γγ

ααγ [ 60]

da cui, risolvendo per B si ricava:

��

���

�++⋅−⋅+ aa

w

op

r QKHKHHFS

HBB αγ

αγ

αγ

α cos2

'cos

2costan2 [ 61]

Considerando la sola radice positiva in B, si arriva alla condizione:

( )2

tancos

2

'cos

2cos

4

tan 2α

αγ

αγ

αγ

α−

��

��

�++⋅+= aa

w

op

rQKHKHH

FSHB b [ 62]

Assumendo come valore di FS quello di 1.5, come previsto dal DM 11/03/88 si ottiene la

condizione per la verifica al ribaltamento:

( )2

tancos

2

'cos

2cos

5.1

4

tan 2α

αγ

αγ

αγ

α−

��

��

�++⋅+> aa

w

op

QKHKHHH

B [ 63]

Nel caso di terreno asciutto, la [ 63] diviene:

( )2

tancos

2cos

5.1

4

tan 2α

αγ

αγ

α−�

��

�+⋅+> aa

t

op

QKHKHH

B [ 64]

5.1.2 Verifica al carico limite dell’insieme fondazione-terreno (schiacciamento)

La stabilità allo schiacciamento è verificata quando la tensione di compressione massima

(σM), cui è sottoposta l’opera di sostegno, è minore del carico di sicurezza a compressione

(Cs) del terreno di fondazione. Traducendo tutto questo in termini di Fattore di Sicurezza,

si può scrivere:

M

ss

CFS

σ= [ 65]

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77

I carichi di sicurezza del terreno sono reperibili nella letteratura relativa alla meccanica

delle terre; in Tabella XVII se ne riporta un esempio.

Tabella XVII: Valori del carico di sicurezza del terreno in relazione alla caratteristiche del terreno di fondazione (modificato da Colombo, 1977).

Tipi di terreno

Carico di sicurezza Cs (kPa)

Terreni smossi, non compattati, di riporto 0÷98 Terreni incoerenti compatti sabbia con particelle di dimensione inferiore a 1 mm 196 sabbia con particelle tra 1 e 3 mm 294 sabbia e ghiaia (almeno 1/3 di ghiaia) 392 Terreni coerenti (classificabili in base al contenuto d’acqua presente allo stato naturale)

fluido, fluido-plastico 0 molle-plastico 39 solido-plastico 78 semisolido 147 solido 294 Rocce in buone condizioni (se fessurate o disgregabili i carichi di sicurezza indicati vanno ridotti almeno della metà)

arenarie, calcari, rocce vulcaniche, ecc. 980÷1470

Fissate le dimensioni dell’opera di sostegno, la risultante (R) delle forze agenti sulla

struttura (peso proprio dell’opera, P, e spinta delle terre, Sa) può essere scomposta in una

componente normale ed una tangente alla base del manufatto, V e O; il in cui la retta di

azione di R incontra la base dell’opera, rappresenta il centro di sollecitazione C.

Con riferimento alla Figura 42 si possono distinguere tre casi (Benini, 1990):

• il centro di sollecitazione è interno al nocciolo centrale di inerzia della sezione di base:

Se definiamo eccentricità (e) la distanza del centro di sollecitazione C dal baricentro

della sezione, per un’opera con sezione rettangolare e base B vale:

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Figura 42: Sezione basale della palificata. Centro di sollecitazione (a) interno al nocciolo centrale della sezione di base; (b) coincidente con l’estremo del nocciolo centrale; (c) interno al terzo medio di valle

uB

e −=2

[ 66]

dove u è la distanza della risultante dallo spigolo di valle della sezione:

V

MMu ribstab −= [ 67]

Quando C è interno al nocciolo centrale, la condizione può essere vista come e<B/6 (o

u>B/3).

La tensione di pressoflessione massima viene esplicata dalla reazione del terreno in

corrispondenza dello spigolo di valle del piano di appoggio e vale:

��

���

� +=B

e

B

VM

61σ [ 68]

mentre la sollecitazione minima vale:

��

���

� −=B

e

B

Vm

61σ [ 69]

In questo caso tutta la sezione di base è sollecitata a compressione e il diagramma delle

sollecitazioni è di tipo trapezoidale (Figura 42).

• il centro di sollecitazione coincide con uno degli estremi del nocciolo centrale di

inerzia.

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Se il centro di sollecitazione coincide con uno degli estremi del nocciolo centrale del

muro, cioè risulta che e=B/6 (o u=B/3), il diagramma delle sollecitazioni diventa

triangolare poiché σm=0 nello spigolo di monte, e la sollecitazione massima sul lembo

di valle si ricava facilmente come:

B

VM

2=σ [ 70]

• il centro di sollecitazione è interno al terzo medio di valle

nel caso di opere di sostegno realizzate con materiali sopportano male gli sforzi di

trazione (ad es. muratura in pietrame; Benini, 1990), le formule viste in precedenza non

valgono più, e per determinare il diagramma delle tensioni si deve considerare solo la

porzione di sezione reagente. Perciò, quando il centro di sollecitazione C cade nel terzo

medio di valle della sezione (condizione per e>B/6, oppure u<B/3), la [ 67] deve essere

sostituita con l’espressione che considera come reagente la sola zona dell’opera

sollecitata a compressione,; questa può essere valutata come:

u

VM 3

2=σ [ 71]

mentre la σm è nulla ad una distanza dallo spigolo di valle pari a 3u.

La verifica allo schiacciamento può anche essere effettuata considerando il carico limite

(Qlim) dell’insieme fondazione-terreno, un parametro che dipende sia dalle caratteristiche

fisico-meccaniche del terreno sia dalla geometria dell’opera di sostegno, anziché il carico

di sicurezza del terreno. La verifica dovrà inoltre essere effettuata tenendo conto

dell’inclinazione e dell’eccentricità della risultante delle forze trasmesse dal manufatto al

terreno di fondazione e il fattore di sicurezza dovrà essere ≥ 2 (DM 11/03/88, Sezione D).

Tale verifica prevede quindi il calcolo della capacità portante del complesso terreno-

fondazione (DM 11/03/88, Sezione C).

In termini di Fattore di Sicurezza deve risultare:

V

QFScl

lim= [ 72]

dove V è la componente normale della forza risultante delle azioni agenti sul piano di posa

della palificata.

Il carico limite è valutato sulla base della pressione limite, qlim:

LBqQ 'limlim = [ 73]

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Una volta ricavata la pressione limite

del terreno di fondazione qlim si può

calcolare il carico limite Qlim e

successivamente il Fattore di

Sicurezza al carico limite

dell’insieme terreno-fondazione

secondo la [ 72].

Per calcolare il valore di qlim occorre

conoscere l’esatta forma della

superficie di rottura del terreno;

poiché solitamente questa non è nota,

in genere viene ipotizzato che il

terreno si rompa in seguito al cedimento verticale della fondazione in maniera solidale con

un cuneo di terra sottostante, che provoca la rottura laterale del terreno lungo una

superficie arcuata (Figura 43).

In letteratura è possibile reperire diverse equazioni per calcolare la pressione limite, ma le

più diffuse sono tutte composte da tre termini che tengono conto delle forze di attrito

dovute al peso proprio del terreno, della coesione del terreno agente lungo la superficie di

rottura e del sovraccarico dello strato di terreno ai lati della fondazione; tale caratteristiche

sono riflesse in coefficienti, adimensionali, detti coefficienti di capacità portante variabili

in funzione dell’angolo di resistenza al taglio, indicati come Nγ , Nc e Nq.

La relazione più diffusa e verificata per il calcolo di qlim, è senza dubbio quella di Terzaghi

(1943) valida per risultante dei carichi (R) verticale e centrata sulla fondazione. Essa è

affidabile per fondazioni superficiali, cioè per profondità d’incastro della fondazione (D)

minori della larghezza della fondazione (B):

qcct qNscNsBNq +⋅+⋅= γγγ2

1lim [ 74]

in cui c è la coesione e γt il peso di volume del terreno di fondazione, D è la profondità del

piano di posa del manufatto a partire dal piano campagna, q è il sovraccarico agente ai lati

della fondazione pari a γtD, Nγ , Nc e Nq sono i fattori di capacità portante (Tabella XVIII),

sγ, sc sono i fattori di forma della fondazione (sγ = 1.0 per fondazioni nastriformi, cioè con

una lunghezza L>> della sua larghezza B, sγ = 0.8 per fondazioni quadrate; sc = 1.0 per

fondazioni nastriformi e sc = 1.3 per fondazioni quadrate).

Figura 43: Schema di rottura del terreno per il calcolo di qlim

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Poiché Terzaghi ipotizza un terreno molto addensato, nel caso di terreni poco addensati

l’Autore stesso consiglia di ridurre i fattori di capacità portante effettuando i calcoli con

valori di φ’ e di c’ ridotti a 2/3 del loro valore effettivo.

Tabella XVIII: Valori dei fattori di capacità portante secondo Terzaghi (da Lancellotta, 1993).

φ (°)

(-) Nc

(-) Nq

(-) 0 0 5.7 1 5 0.5 7.3 1.6

10 1.2 9.6 2.7 15 2.5 13 4.4 20 5.0 18 7.5 25 10 25 13 30 20 37 22 35 42 53 41 40 100 95 81

Nel caso ci ritrovi in condizioni in cui si verifichi un’eccentricità della risultante sul piano

di base della fondazione e la conseguente deviazione di R dalla verticale, la [ 74] non è più

valida e deve essere modificata per tenere conto dei relativi effetti:

qqccct iqNiscNisNBq ⋅+⋅⋅+⋅⋅= γγγγ '2

1lim [ 75]

dove B’ è la larghezza ridotta della fondazione, introdotta per tenere conto dell’eccentricità

e della risultante e pari a eBB 2' −= ; iγ, ic e iq sono i fattori correttivi che tengono conto

dell’inclinazione del carico rispetto alla verticale.

Secondo Vesic (1970) per ricavare tali fattori correttivi si possono utilizzare le seguenti

espressioni ricavate empiricamente:

1

cot1

+

���

����

⋅+−=

m

gBLcV

Oi

φγ [ 76]

m

qgBLcV

Oi ��

����

⋅+−=

φcot1 [ 77]

φtan

1

−−=

c

qqc N

iii [ 78]

con LB

LBm

/1

/2

++

=

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I fattori di capacità portante possono essere valutati anche mediante espressioni diverse da

quelle proposte da Terzaghi (1943); per quanto Nc e Nq, ad esempio, in letteratura

normalmente si fa riferimento alle espressioni ricavate da Prandtl (1921) e Reissner (1924):

'tan2

2

'45tan φπφ ⋅⋅�

���

�+°= eNq [ 79]

'cot1 φ⋅−= qc NN [ 80]

mentre per Nγ la soluzione più accreditata risulta quella proposta da Caquot e Kérisel

(1953), approssimabile con l’espressione di Vesic (1970):

'tan12 φγ ⋅+⋅= qNN [ 81]

In letteratura, infine, si possono trovare molte altre relazioni analitiche per valutare la

capacità portante di una fondazione di tipo superficiale, tra cui le più utilizzate e attendibili

sono quelle di Meyerhof (1951), Brinch Hansen (1970) e Vesic (1973), che introducono

una serie di fattori correttivi rispetto alla formulazione originale di Terzaghi (1943), per

tener conto ad esempio della profondità di posa e inclinazione della base della fondazione

e/o della topografia originaria (es. fondazioni su pendio).

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APPENDICE 3: TERMINI DELLA LEGENDA DELLA CARTA LITOLOGICA ALLA SCALA 1:10.000 (CARTOGRAFIA GEOAMBIENTALE, REGIONE LOMBARDIA)

Simbolo Descrizione

Rocce Ignee

IA rocce intrusive acide

IB rocce intrusive basiche

EA rocce effusive acide

EB rocce effusive basiche

FL rocce filoniane

Rocce sedimentarie

Ac arenaria massiccia o stratificata ben cementata

As arenaria poco cementata

Al argillite

Fl flysch

Am argille e marne con livelli e lenti arenacei e/o calcarei

Cm calcare massiccio e stratificato in grossi banchi

Cs calcare mediamente e sottilmente stratificato, non selcifero

Cn calcare selcifero

Dm dolomia massiccia o stratificata

Mc marna e marna calcarea

Ss roccia sedimentaria silicea

Rocce Metamorfiche

GN gneiss

FD filladi e argilloscisti

MQ micascisti

SR serpentiniti e altre rocce ultramafiche

MC rocce metamorfiche carbonatiche

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APPENDICE 4: CLASSIFICAZIONE DEI TERRENI USCS (UNIFIED SOIL CLASSIFICATION SYSTEM)

Casi particolari: - termini doppi: i terreni con caratteristiche a cavallo di due gruppi vengono designati con i simboli di entrambi i gruppi. Ad esempio: GW-GC, GP-GM, etc. necessari qualora la % di fini sia compresa tra il 5 ed il 12%, o per intervalli particolari della carta di plasticità; - termini di confine: da adottare per terreni le cui proprietà variano in modo tale da non consentire una precisa identificazione in un singolo gruppo (CL/CH, SC/CL, GM/SM, etc.). Per esempio quando la percentuale dei fini varia tra 45% e 55% (es.: GM/ML, CL/SC) o quando la percentuale di sabbia e di ghiaia varia tra il 45% ed il 55% (es.: GP/SP, SC/GC, GM/SM, etc.) mentre è difficile avere un simbolo del tipo GW/SW; nel caso di difficile distinzione tra limo e argilla, specie in campagna, potremo avere: CL/ML, CH/MH, SC/SM così come quando sarà difficile distinguere tra terreni molto o poco compressibili: CL/CH, MH/ML. In genere le sigle saranno ordinate in funzione della frequenza e importanza con cui altri terreni sono stati classificati in prossimità delle aree dubbie

Simbolo del

gruppo Denominazioni tipiche

Terreni a grana grossolana (più del 50% è costituito da particelle con diametro > di 75 µm) GW ghiaie ben classate, miscele di ghiaia e sabbia, senza o con poco fine

GP ghiaie mal classate, miscele di ghiaia e sabbia, senza o con poco fine

GM ghiaie limose, miscele di ghiaia-sabbia-limo mal classate

GC ghiaie argillose, miscele di ghiaia-sabbia-argilla mal classate

SW sabbie ben classate, sabbie ghiaiose, senza o con poco fine

SP sabbie mal classate, sabbie ghiaiose, senza o con poco fine

SM sabbie limose, miscele di sabbia e limo mal classate

SC sabbie argillose, miscele di sabbia e argilla mal classate

Terreni a grana fine (più del 50% è costituito da particelle con diametro < di 75 µm) ML limi inorganici e sabbie molto fini, sabbie fini limose o argillose di bassa

plasticità, terreni limosi o sabbiosi fini CL argille inorganiche di plasticità da media a bassa, argille ghiaiose, argille

sabbiose, argille limose; argille “magre” OL limi organici e argille limose organiche di bassa plasticità

MH limi inorganici, terreni sabbiosi (sabbie fini) o limosi micacei, limi “elastici”

CH argille inorganiche di elevata plasticità; argille “grasse”

OH argille organiche di plasticità da media ad elevata

Terreni ad alto contenuto di sostanza organica Pt torbe e altri terreni ricchi di materia organica