rererefdsf

10
DESIDERIO E PIACERE Vorrei concentrarmi su questo testo scritto da Gilles Deleuze nel 1977, appena dopo l’uscita de La volonté de savoir di Foucault, un testo che si sviluppa attraverso una serie di note numerate dalla A alla H, e che costituisce secondo François Ewald (a cui queste note furono consegnate da Deleuze per farle avere a Foucault) «un resoconto delle convergenze come pure delle divergenze […] un invito, interamente animato dalla sincerità dell’amicizia, a riprendere il dialogo che si era interrotto» 1 . Deleuze inizia sottolineando preliminarmente tre tipi di novità teoriche che i dispositivi di potere foucaultiani presentano già a partire da Surveiller et punir: in primo luogo tali dispositivi sono in opposizione ad ogni teoria dello Stato e come tali sono irriducibili al lessico del “gauchisme” del tempo; secondariamente essi consentono di superare il dualismo tra formazioni discorsive e formazioni non discorsive che, secondo Deleuze, era ancora presente ne L’archéologie du savoir, mostrando altresì come è possibile articolare questi due livelli; infine rispetto alle più importanti teorie sul potere i dispositivi non procedono né dal concetto di repressione né da quello di ideologia, essi sono invece inquadrati entro la cornice della normalizzazione e della disciplina. [nota A] Come tali, i dispositivi di potere, pur non essendo affatto riconducibili all’apparato di Stato, sembrano operare lungo due direzioni distinte ma non per forza in contraddizione. Da un lato essi si distribuiscono come una molteplicità diffusa ed eterogenea su una scala microfisica (micro-dispositivi) e dall’altro rinviano a un diagramma («una macchina astratta immanente al campo sociale») come è esemplificato nel Panopticon. Per Deleuze questo secondo livello mostrerebbe come Foucault non si accontentasse solo di una semplice disseminazione di questi dispositivi a livello “micro”, ma tenesse anche in considerazione le loro articolazioni d’insieme nella dimensione “macro”. [nota B] 1 G. Deleuze, Désir et plaisir, apparso per la prima volta in « Le magazine littéraire », n° 325, octobre 1994 e tradotto in italiano da Antonio Negri, in « Futuro anteriore », I, 1995, pp. 23-34, ora in G. Deleuze, Divenire molteplice. Nietzsche, Foucault ed altri intercessori , ombre corte, Verona 1996, (1999 3 ), pp. 77-90. Il testo francese è disponibile online presso il sito della rivista « Multitudes » ( http://multitudes.samizdat.net/article1353.html ).

description

sxasdas

Transcript of rererefdsf

Page 1: rererefdsf

DESIDERIO E PIACERE

Vorrei concentrarmi su questo testo scritto da Gilles Deleuze nel 1977, appena dopo l’uscita de La volonté de savoir di Foucault, un testo che si sviluppa attraverso una serie di note numerate dalla A alla H, e che costituisce secondo François Ewald (a cui queste note furono consegnate da Deleuze per farle avere a Foucault) «un resoconto delle convergenze come pure delle divergenze […] un invito, interamente animato dalla sincerità dell’amicizia, a riprendere il dialogo che si era interrotto»1.

Deleuze inizia sottolineando preliminarmente tre tipi di novità teoriche che i dispositivi di potere foucaultiani presentano già a partire da Surveiller et punir: in primo luogo tali dispositivi sono in opposizione ad ogni teoria dello Stato e come tali sono irriducibili al lessico del “gauchisme” del tempo; secondariamente essi consentono di superare il dualismo tra formazioni discorsive e formazioni non discorsive che, secondo Deleuze, era ancora presente ne L’archéologie du savoir, mostrando altresì come è possibile articolare questi due livelli; infine rispetto alle più importanti teorie sul potere i dispositivi non procedono né dal concetto di repressione né da quello di ideologia, essi sono invece inquadrati entro la cornice della normalizzazione e della disciplina. [nota A]

Come tali, i dispositivi di potere, pur non essendo affatto riconducibili all’apparato di Stato, sembrano operare lungo due direzioni distinte ma non per forza in contraddizione. Da un lato essi si distribuiscono come una molteplicità diffusa ed eterogenea su una scala microfisica (micro-dispositivi) e dall’altro rinviano a un diagramma («una macchina astratta immanente al campo sociale») come è esemplificato nel Panopticon. Per Deleuze questo secondo livello mostrerebbe come Foucault non si accontentasse solo di una semplice disseminazione di questi dispositivi a livello “micro”, ma tenesse anche in considerazione le loro articolazioni d’insieme nella dimensione “macro”. [nota B]

Ed è nella nota D. che Deleuze torna a interrogarsi su come le micro-analisi relative ai dispositivi di potere si collocano rispetto a queste due dimensioni. Le micro-analisi non riguarderebbero i piccoli gruppi (la famiglia non ha minore estensione di altre formazioni sociali) né implicherebbero un «dualismo estrinseco» visto che milioni di micro-dispositivi si esercitano entro l’apparato dello Stato così come, al contrario, alcuni segmenti dell’apparato dello Stato penetrano nei micro-dispositivi. Bisogna allora considerare tale differenza come «una differenza di scala»? Una pagina de La volonté de savoir, sostiene Deleuze, esclude tale ipotesi rinviando semmai il livello “micro” ad un modello tattico e il “macro” a quello strategico. Deleuze si mostra critico rispetto a questa prospettiva poiché tutti i micro-dispositivi appaiono come strategici soprattutto nella misura in cui sono inseriti in quel diagramma da cui essi sono inseparabili. Un’altra soluzione potrebbe essere

1 G. Deleuze, Désir et plaisir, apparso per la prima volta in « Le magazine littéraire », n° 325, octobre 1994 e tradotto in italiano da Antonio Negri, in « Futuro anteriore », I, 1995, pp. 23-34, ora in G. Deleuze, Divenire molteplice. Nietzsche, Foucault ed altri intercessori, ombre corte, Verona 1996, (19993), pp. 77-90. Il testo francese è disponibile online presso il sito della rivista « Multitudes » ( http://multitudes.samizdat.net/article1353.html ).

Page 2: rererefdsf

ricondurre questi micro-dispositivi ai rapporti di forza che vi sono sottesi, tuttavia, a detta di Deleuze, Foucault dovrebbe specificare meglio lo statuto teorico di tali rapporti di forza. La differenza tra “macro” e “micro” (che non esclude comunque la loro reciproca immanenza) è all’origine del primo ordine di perplessità manifestate verso la concezione foucaultiana del potere, poiché, se non si possono intendere i micro-dispositivi come l’esito di una «miniaturizzazione dello Stato», essi non possono nemmeno essere semplicemente derivati dalla «miniaturizzazione di un concetto di potere». Pertanto Deleuze afferma di non esser sicuro che i micro-dispositivi si possano descrivere in termini di potere.

Vorrei adesso tornare indietro alla nota C. dove risulta con una certa chiarezza come le problematiche legate alla differenza “macro”/“micro” si collochino all’interno di alcuni spostamenti teorici di Foucault riguardo ai micro-dispositivi che Deleuze riscontra nel passaggio da Surveiller et punir a La volonté de savoir. In quest’ultimo testo infatti i dispositivi di potere non sarebbero più solo normalizzanti2 ma costituenti (della sessualità); in secondo luogo essi non formerebbero solo dei saperi ma sarebbero costitutivi di verità («la verità del potere»); infine non si riferirebbero più a categorie negative (follia, delinquenza e i rispettivi luoghi di internamento) ma anche a una categoria positiva (la sessualità). Se questo orientamento generale segna per Deleuze un avanzamento rispetto a Surveiller et punir, presenterebbe tuttavia dei rischi legati addirittura al ritorno di un «analogo del “soggetto costituente”», o ancora, al fatto che verrebbe così ripristinato il concetto di verità (sebbene il suo statuto sia di certo diverso da quello tradizionalmente inteso)3.

Di fronte a questa concezione foucaultiana dei micro-dispositivi come campo effettivo delle relazione di potere, Deleuze, insieme a Félix Guattari, oppone la nozione di desiderio, o meglio di “concatenamento di desiderio” (agencement de désir). Per spiegare meglio questa nozione anziché riproporre l’esempio che Deleuze fa in questo testo (la feudalità come concatenamento) vorrei invece richiamarmi a un brano tratto dal suo Abécédaire, più precisamente dalla voce Désir:

«Finora si è parlato di desiderio astrattamente perché si è isolato un oggetto che si suppone essere l’oggetto del desiderio, e allora si può dire ‘desidero una donna, desidero partire per un viaggio...’ E noi dicevamo (Deleuze e Guattari) una cosa semplice: non si desidera mai veramente qualcuno o qualcosa. Si desidera sempre un ‘insieme’. Qual è la natura dei rapporti tra gli elementi perché ci sia desiderio, perché diventino desiderabili? Dice Proust, non desidero una donna, ma desidero anche un ‘paesaggio’ che è contenuto in quella donna, un paesaggio che forse neanche conosco, ma che intuisco e finché non ho sviluppato questo paesaggio non sarò contento, cioè il mio desiderio non sarà compiuto, resterà insoddisfatto. Quando una donna dice ‘desidero un vestito’ è evidente che non lo desidera in astratto. Li

2 Nella traduzione italiana si legge «normalizzati» a fronte del francese «normalisants», si tratta ovviamente di un refuso.3 Al di là della semplificazione del rapporto tra potere e sapere entro il contesto della normalizzazione (i dispositivi di potere non “formano” i saperi senza a loro volta esserne “formati”), i riferimenti a una presunta «verità del potere» e al pericolo di un ritorno al «soggetto costituente» appaiono problematici per diverse ragioni. Non possiamo sviluppare qui tali questioni, le accenniamo solamente, lasciandole come semplici spunti di analisi.

Page 3: rererefdsf

desidera nel suo contesto, nella sua organizzazione di vita. Il desiderio non solo in relazione a un paesaggio, ma a delle persone, i suoi amici o no, la sua professione. Non si desidera mai qualcosa di isolato. Ma ancora, non desidero neanche un insieme, desidero IN UN insieme. In altri termini non c’è desiderio che non scorra in un concatenamento. Di modo che il desiderio per me è sempre stato…. Se cerco il termine astratto corrispondente, è ‘costruttivismo’. Desiderare è costruire un concatenamento, costruire un insieme. L’insieme di una gonna, di un raggio di sole…di una strada, il concatenamento di un paesaggio, di un colore. Ecco cos’è il desiderio. E costruire un concatenamento significa costruire una regione. Concatenare. Il concatenamento è un fenomeno fisico, è come una differenza. Perché accada qualsiasi evento c’è bisogno di una differenza di potenziale e ci vogliono due livelli, bisogna essere in due, allora accade qualcosa. Un lampo o un ruscelletto e siamo nel dominio del desiderio. Un desiderio è costruire. Tutti passiamo il nostro tempo a costruire. Per me quando qualcuno dice ‘desidero la tal cosa’ significa che sta costruendo un concatenamento. Il desiderio non è nient’altro»4.

Il desiderio circola sempre in questo concatenamento, in questa cartografia complessa che impedisce di pensare a un qualunque tipo di centro costituente da cui si irradierebbero i concatenamenti. Un desiderio così concepito fa a meno di qualunque soggetto costituente e presuppone che le diverse soggettività emergano semmai in modo sempre instabile e discontinuo a partire dai concatenamenti che vengono a essere “costruiti” incessantemente in una dimensione che resta però collettiva, plurale. Il desiderio disegna infatti una regione in cui le soggettività che possono ritagliarsi tra le sue linee rizomatiche si trovano inevitabilmente in un insieme: non siamo soli a desiderare, siamo sempre nel campo di un desiderio (di desideri molteplici), all’interno una macchina di desiderio che è collettiva, per questa ragione il desiderio circola in quello che Deleuze chiama «un concatenamento di eterogenesi»; ed è questa stessa eterogenesi che spinge i concatenamenti stessi verso nuove direzioni5. Il concatenamento di desiderio, inoltre, si sviluppa lungo un primo asse, in cui si possono distinguere gli “stati di cose” da un lato e le “enunciazioni” dall’altro; e lungo un secondo asse all’interno del quale si distinguono invece dei “territori” o delle “riterritorializzazioni” da una parte e, dall’altra parte, delle “deterritorializzazioni” che spostano sempre oltre se stessi i concatenamenti di desiderio6. Questa nozione di agencement de désir consente a Deleuze di concepire delle peculiari modalità di articolazione tra “macro” e “micro” che a loro volta orientano la critica nei confronti della concezione del potere di Foucault. I dispositivi di potere, infatti, sono per Deleuze collocabili solo entro una particolare componente di questo concatenamento generale di desiderio, ovvero quella relativa alle riterritorializzazioni, visto che di per sé i dispositivi non produrrebbero i concatenamenti e non sarebbero quindi costitutivi (come invece Foucault auspicava ne La volonté de savoir). I dispositivi di potere (“micro”) nel loro insieme verrebbero disseminati dai concatenamenti di 4 G. Deleuze, L’abécédaire de Gilles Deleuze, interviste televisive con C. Parnet dirette da P. A. Boutang, Vidéo Éditions Montparnasse 1996, voce : Désir.5 L’esempio portato da Deleuze in questo testo (la feudalità) illustra meglio la nozione di agencement de désir in quanto insieme di determinazioni storiche collettive, ho preferito tuttavia riferirmi alla voce dell’Abécédaire perché mi sembra che emerga con una maggiore chiarezza l’elemento “costruttivistico” relativo al concatenamento del desiderio.6 Possiamo qui tracciare un’analogia tra i rapporti di riterritorializzazione / deterritorializzazione da un lato e il movimento di ricodificazione-decodificazione / rottura dei codici dall’altro, di cui Deleuze parla ne Il pensiero nomade, testo in programma di esame.

Page 4: rererefdsf

desiderio lungo una delle loro dimensioni (“macro”) tanto da ridurre il potere a un’affermazione parziale del desiderio, andando così ad articolare le due dimensioni (micro e macro) - «il desiderio mi sembra primo e costituisce l’elemento della micro-analisi». (nota D)

Dunque secondo Deleuze sarebbe più corretto affermare che i dispositivi di potere anziché «normalizzare» e «disciplinare», in realtà «codificano» e «riterritorializzano». Tuttavia dinnanzi a questo primato del desiderio sul potere Deleuze si affretta a precisare, attraverso una formula che viene ribadita sans cesse tra le pagine di questo testo, che per lui e Guattari, il desiderio non implica “né repressione né ideologia”, ovvero non è inteso come dato naturale e spontaneo (semplificando: naturale in quanto entità trans-storica e spontaneo nella misura è riferito a un presunto nucleo profondo che apparterrebbe a ciascun individuo) [posizione che nel suo complesso condividerebbe in pieno con Foucault – rifiuto dell’«ipotesi repressiva»] né come la sedimentazione ideologica di contraddizioni oggettive che strutturerebbero il campo storico e sociale. Malgrado ciò per Deleuze le operazioni relative ai dispositivi di potere foucaultiani manterrebbero un carattere “repressivo” nella misura in cui esse annientano non il desiderio come dato naturale e spontaneo ma le punte dei concatenamenti di desiderio – ovvero il concatenamento di desiderio lungo una delle sue dimensioni. Come esempio Deleuze porta una tesi de La volonté de savoir, quella secondo cui il dispositivo di sessualità ripiegherebbe la sessualità sul sesso, cioè sulla differenza dei sessi: la psicanalisi sarebbe nel pieno di questo ripiegamento, alla frontiera del “macro” e del “micro”. Dinnanzi alla sessualità come concatenamento storicamente variabile con le sue punte di deterritorializzazione e le sue molteplici capacità di combinazione, il dispositivo di sessualità ripiegherebbe quest’ultima su un’istanza molare (cioè relativa a ciascun individuo), ovvero il sesso, distruggendo i concatenamenti di desiderio al livello di quella micro-realtà in cui essi cercano nuove configurazioni, riterritorializzandoli, per l’appunto, entro schemi già predisposti, mentre i nuovi concatenamenti sono degradati a livello di fantasma e vengono quindi percepiti come cose vergognose. (nota E)

Questa interpretazione deleuziana viene estesa e generalizzata nella nota F. relativamente alle dinamiche che attraverserebbero il campo sociale. Tali dinamiche, come per Foucault, non rimandano a una serie di contraddizioni (ad es. borghesia/proletariato) ma a un gioco di interazioni strategiche («la società si fa strategica, essa fa strategia»). Se Deleuze sembra essere d’accordo con il fatto che una società non si contraddice, diversamente da Foucault tuttavia, egli ritiene che essa piuttosto fugga da tutte le parti, e anche se non sempre queste linee di fuga (che sono le punte di deterritorializzazione del concatenamento di desiderio) sono rivoluzionarie, il potere tenta comunque costantemente di imbrigliarle e di annullare così la creazione di nuove configurazioni del desiderio. Da questa considerazione deriva per Deleuze che ancora una volta queste linee di fuga vengono prima delle strategie del potere che cercano di riterritorializzarle. Sarebbero inoltre queste linee di fuga che segnerebbero in ultima analisi la cartografia del desiderio in quanto campo sociale definito da determinazioni storiche mutevoli e collettive. La strategia sarebbe pertanto subordinata alla novità e alla molteplicità veicolata dalle congiunzioni e dalle disgiunzioni dei flussi del

Page 5: rererefdsf

desiderio. Tale attenzione per le linee di fuga e le sue dinamiche di deterritorializzazione implica a sua volta un’ulteriore divergenza riguardo a ciò che riesce ad oltrepassare le maglie del potere o comunque ad opporsi ad esso. Per Foucault, sostiene Deleuze, sarebbero i fenomeni di “resistenza” a fronteggiare i dispositivi di potere (costituenti). Nondimeno questa nozione di resistenza, a detta di Deleuze, appare poco chiara anche quando si riconoscano tre diverse direzioni teoriche, le quali si imperniano rispettivamente su: i rapporti di forza; la verità; i piaceri. La prima direzione assegnerebbe alla resistenza un’immagine “inversa” dei dispositivi di potere (diffusione, eterogeneità, modalità di scontro antagonistiche); la seconda presupponendo che i dispositivi di potere costituiscano una «verità del potere» opporrebbe una controstrategia basata su un «potere della verità» che sarebbe propria dell’intellettuale teorizzato da Foucault; la terza invece vedrebbe come fronte di resistenza il corpo e i suoi piaceri, ma Deleuze si chiede in che senso in quest’ultima opzione dei piaceri possano animare dei contropoteri e come si debba concepire una siffatta nozione di piacere. Ad ogni modo per lui i fenomeni di resistenza restano non così prioritari come le linee di fuga, visto che i dispositivi di potere sono concepiti come prodotti dei concatenamenti di desiderio che a seconda dei casi li annientano o li colmano. Inoltre, aggiunge Deleuze, le linee di fuga non sono create, determinate o contraddistinte da alcun processo di marginalizzazione, sono delle linee che attraversano la società e che disegnano un campo di posizioni molteplice e variabile (in cui può trovar posto tale o tal altro marginale), senza che questo implichi per forza una resistenza o un valore rivoluzionario.

Nella nota G. Deleuze ritorna sulla terza direzione profilata da Foucault – inerente alla nozione di piacere – e spiega come egli rifiuti di impiegare il termine “desiderio” dal momento che non può evitare di pensare e di vivere il desiderio in quanto “mancanza”, e di considerarlo dunque in ultima istanza come qualcosa di “represso”. Deleuze nega questa implicazione e punta ancora sullo statuto del desiderio inteso come concatenamento di eterogenesi che sarebbe piuttosto da concepirsi come un «corpo senza organi», ovvero un corpo collettivo biologico e politico, storicamente variabile, e che rifiuta gli strati di organizzazione relativi tanto al biologico («organismo») quanto al politico («potere»): esso è un campo costituito da zone di intensità, da gradienti, da flussi e da soglie, un campo all’interno del quale i concatenamenti si fanno e si disfanno, dando luogo alle serie storicamente mutevoli di stratificazioni dei concatenamenti stessi. Date queste premesse Deleuze non può attribuire al piacere alcun valore positivo in quanto esso sembra collocarsi dal lato degli strati e dell’organizzazione riguardando la riterritorializzazione del desiderio, ovvero un «ritrovarsi» all’interno di un processo che spingerebbe al contrario sempre oltre l’identico. In ultima analisi il piacere, attraverso il soddisfacimento del desiderio, finirebbe per interrompere tanto la positività del desiderio stesso quanto la costituzione del suo campo di immanenza (le sue linee di fuga). Infine, rovesciando interamente la posizione di Foucault, questo piacere ripristinerebbe un concetto di desiderio come sottomesso alla legge della mancanza e alle norme dei piaceri. Del resto, continua Deleuze, esattamente come i dispositivi di potere, i piaceri operano una riterritorializzazione o un’organizzazione del corpo (ovvero la «biopolitica») contro quell’agente o luogo di deterritorializzazione che è invece il corpo senza organi. Nonostante queste

Page 6: rererefdsf

divergenze Deleuze si interroga sulla possibilità che il suo “corpo senza organi” possa essere messo in rapporto al “corpo-piacere” foucaultiano, opponendo a quest’ultimo il “corpo-carne” da correlare a sua volta come la nozione di “organismo”.

Al di là di queste ultime aperture, nella nota H. Deleuze ritorna ancora sulla relazione tra “macro” e “micro” che in Surveiller et punir era vista come rapporto tra il carattere diffuso e parcellare dei micro-dispositivi e il diagramma che copre l’insieme del campo sociale. Essendo la nozione di diagramma molto ricca, in quanto illustrava perfettamente la composizione delle forze che attraversano la società e le soggettività, potrà essa effettivamente essere rimpiazzata da quello che ne La volonté de savoir Foucault chiama «processi biopolitici»? Anche rispetto al tema della resistenza – che abbiamo visto essere concepito da Deleuze nei termini delle linee di fuga – l’impiego della nozione di diagramma sembra più proficua, andandosi a specificare come «macchina da guerra» in grado di integrare le linee di fuga secondo una configurazione che non ha nulla a che vedere con l’apparato di Stato, le istituzioni militari o gli stessi dispositivi di potere. Ma in fin dei conti anche il diagramma inteso da una parte come organizzazione del desiderio dal lato del potere (o della riterritorializzazione) e dall’altra parte come corpo senza organi dal lato delle linee di fuga (o della deterritorializzazione) duplicherebbe in un altro senso i problemi e le critiche precedentemente trattati.

Nella breve appendice che chiude queste note [“Addendum”] Deleuze propone di impiegare questi due stati opposti del diagramma all’interno di un modello alternativo di epistemologia storica. Viene così messo al centro dell’attenzione «lo scontro storico, che si dà in forme molto diverse» tra queste due opposte modalità del diagramma. Esse consisterebbero da un lato del «piano di organizzazione che è nascosto per natura ma fa vedere tutto ciò che è visibile», che tende cioè a organizzare il campo storico e sociale secondo delle linee di sviluppo che convergono verso forme d’ordine stabilite o che si muovono comunque verso una qualche forma di organizzazione (questo “piano di organizzazione” è legato allo Stato ma non è ovviamente sovrapponibile ad esso). Dall’altro lato la seconda modalità del diagramma è legata alla «macchina da guerra», una dimensione in cui non prevale l’organizzazione, ma l’allontanamento da essa sulla base di un regime temporale discontinuo fatto di molteplici variazioni di velocità e lentezze che minano la consistenza del piano di organizzazione stesso – è questo il campo dei contropoteri e dei saperi minori. Questi due livelli corrispondono infine anche ad un diverso modo di concepire la cornice all’interno della quale si inscrive l’attività dell’intellettuale. È dal lato della macchina da guerra che per Deleuze la funzione politica dell’intellettuale si specifica con più chiarezza rispetto a quanto detto da Foucault7.

Il primato del desiderio tanto sul potere quanto sul piacere argomentato da Deleuze in queste note riesce davvero a mettere in discussione l’impostazione foucaultiana? Riducendo i termini foucaultiani (potere e 7 Deleuze già nella nota F. aveva sollevato questo problema dell’intellettuale in riferimento all’intervista rilasciata da Foucault al settimanale « Politique-Hebdo » nel nov.-dic. 1976. Cfr. M. Foucault, La fonction politique de l’intellectuel, in Dits et écrits, vol. III, pp. 109-114.

Page 7: rererefdsf

piacere) a qualcosa di meramente negativo Deleuze coglie davvero nel segno la dinamica e le articolazioni storiche che Foucault cerca di mettere in luce? Sono queste effettivamente riducibili a quella «verità del potere» di cui parla genericamente Deleuze? Che cosa implica questo primato del desiderio rispetto all’epistemologia storica foucaultiana? Gli archivi aperti da Foucault ci mostrano un metodo storico che si confronta con la massa di enunciati che circolano in un’epoca data in funzione di determinate relazioni di potere che articolano storicamente le stesse formazioni discorsive: il modello proposto da Deleuze è altrettanto capace di cogliere gli elementi di continuità e di discontinuità che consentono di “fare” storia o sciolgono piuttosto quest’ultima in una molteplicità difficilmente riducibile ad un’impostazione storico-genealogica? Ancora, questa ontologia storica del desiderio, qualora divenga metodo di ricerca è in grado di individuare un archivio da cui partire o presuppone che vi sia una massa archiviale già dispiegata pronta per un lavoro di speculazione in grado di trovare a posteriori il desiderio come qualcosa che circola trasversalmente rispetto ad archivi e discorsi eterogenei? Come si muove concretamente uno storico “deleuziano”? Se la società di cui parla Deleuze «fugge da tutte le parti» come si individueranno gli eventi, le serie ritenute significative per ottenere una storia?8 Abbiamo tuttavia verificato come Deleuze proponesse dei concatenamenti di desiderio che eccedevano sempre in modo molteplice le riterritorializzazioni proposte dal potere, ma in che modo queste eccedenze eterogenee e diffuse possono essere integrate in una “macchina da guerra” che resiste al piano di organizzazione ugualmente riferito al desiderio? Basta soltanto opporsi ad una qualunque di queste riterritorializzazioni per ottenere lo status di contropotere o di controsapere ed essere integrato così nella “macchina da guerra”? Deleuze afferma che non tutte le linee di fuga sono rivoluzionarie sebbene tendano ad essere riterritorializzate, ma allora in base a che cosa si otterrà il diagramma delle linee di fuga che consente di approntare una narrazione storica alternativa?

8 Ringrazio Paolo Savoia per avermi invitato a riflettere su questi problemi.