Renzi si piega al diktat della ue - PMLI · 2014. 11. 6. · Renzi si piega al diktat della ue PAG....

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Settimanale Fondato il 15 dicembre 1969 Nuova serie - Anno XXXVIII - N. 41 - 13 novembre 2014 PAG. 2 Come facevano Mussolini e Berlusconi IL MANGANELLO DI RENZI E ALFANO SI ABBATTE DURAMENTE SUGLI OPERAI AST DI TERNI Due operai e due sindacalisti Fiom feriti. Landini prima attacca Renzi, poi butta acqua sul fuoco dei lavoratori manganellati. Alfano e il questore di Roma devono dimettersi SOLIDARIETÀ E PROTESTE IN TUTTA ITALIA, A LA SPEZIA OCCUPATA LA SEDE DEL PD COMUNICATO DELL’UFFICIO STAMPA DEL PMLI Gli operai in lotta non si manganellano Alla Palazzoli dove alla CGIL è negato il diritto di indire assemblee sindacali RENZI CHIAMA GLI INDUSTRIALI A SOSTENERLO E A COMBATTERE UNITI IL SINDACATO I lavoratori della fabbrica in ferie forzate. Fischi e contestazioni al premier da parte del corteo della Fiom e della CGIL MANGANELLATI I GIOVANI DEI CENTRI SOCIALI CHE ASSEDIANO IL NUOVO BERLUSCONI 29 ottobre 2014. La pro- ditoria carica della po- lizia contro i lavoratori della AST di Terni che manifestavano a Roma Renzi si piega al diktat della UE PAG. 2 PAG. 3 PAG. 5 Rapporto Svimez sull’economia e le condizioni del Mezzogiorno PIÙ EMIGRATI, PIÙ POVERTÀ, PIÙ DISOCCUPAZIONE, MENO CONSUMI NEL SUD D’ITALIA Solo una giovane donna su cinque ha un lavoro. I redditi sono crollati del 15%. Due milioni di neet Per il trionfo della causa del socialismo in Italia Anche un solo euro al mese Il PMLI ha bisogno dell’aiuto economico di tutti i fautori del socialismo, gli anticapitalisti, gli antirenziani ovunque partiticamente collocati. Con le quote mensili dei soli militanti e dei contributi dei simpatizzanti attivi non ce la fa a sostenere le spese crescenti delle attività, della propaganda e delle sedi. I contributi, anche un euro al mese, possono essere consegnati direttamente ai militanti del Partito oppure versati attraverso il conto corrente postale n. 85842383 intestato a: PMLI – via Antonio del Pollaiolo, 172/a – 50142 Firenze. Grazie di cuore All’incontro con i movimenti popolari del mondo IL PAPA INSISTE: “NON SONO UN COMUNISTA”. STIA TRANQUILLO, CONFERMIAMO CHE NON LO È DICA INVECE CHE IL SISTEMA CHE GIUSTAMENTE CRITICA È IL CAPITALISMO PAG. 8 ELEZIONI DEL 26 OTTOBRE NELLA CITTÀ DELLO STRETTO Stravince l’astensionismo alle comunali di Reggio Calabria Falcomatà sindaco votato da una minoranza dell’elettorato “Indicibili accordi” LA TESTIMONIANZA DI NAPOLITANO NON CONVINCE NON POTEVA NON SAPERE DELLA TRATTATIVA STATO-MAFIA di un simpatizzante calabrese del PMLI RIMBORSOPOLI PIEMONTESE Chiamparino rinnova la fiducia a due assessori PD inquisiti per le spese pazze Ennesimo scandalo per le corrotte istituzioni borghesi della regione PAG. 11 PAG. 9 PAG. 6 PAG. 8 di Eugen Galasso

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  • Settimanale Fondato il 15 dicembre 1969 Nuova serie - Anno XXXVIII - N. 41 - 13 novembre 2014

    PAG. 2

    Come facevano Mussolini e Berlusconi

    Il MAnGAnello dI RenzI e AlfAno sI ABBAtte duRAMente

    suGlI oPeRAI Ast dI teRnIDue operai e due sindacalisti Fiom feriti. Landini prima attacca Renzi, poi butta acqua sul fuoco

    dei lavoratori manganellati. Alfano e il questore di Roma devono dimettersi

    soLiDARietà e pRoteste

    in tuttA itALiA, A

    LA speziA occupAtA LA seDe DeL pD

    CoMunICAto dell’uffICIo stAMPA del PMlI

    Gli operai in lotta non si

    manganellanoAlla Palazzoli dove alla CGIl è negato il diritto di indire assemblee sindacali

    RenzI ChIAMA GlI IndustRIAlI A sosteneRlo e A CoMBAtteRe unItI Il sIndACAtoi lavoratori della fabbrica in ferie forzate. Fischi e contestazioni al premier da parte del corteo della Fiom e della cGiLMAnGAneLLAti i GiovAni Dei centRi sociALi che AsseDiAno iL nuovo BeRLusconi

    29 ottobre 2014. La pro-ditoria carica della po-lizia contro i lavoratori della Ast di terni che manifestavano a Roma

    Renzi si piega al diktat della ue

    PAG. 2

    PAG. 3PAG. 5

    Rapporto svimez sull’economia e le condizioni del Mezzogiorno

    PIù eMIGRAtI, PIù PoveRtà, PIù dIsoCCuPAzIone, Meno ConsuMI nel sud d’ItAlIA

    solo una giovane donna su cinque ha un lavoro. i redditi sono crollati del 15%. Due milioni di neet

    Per il trionfo della causa del socialismo in Italia

    Anche un solo euro al meseIl PMLI ha bisogno dell’aiuto economico di tutti i fautori del socialismo,

    gli anticapitalisti, gli antirenziani ovunque partiticamente collocati. Con le quote mensili dei soli militanti e dei contributi dei simpatizzanti attivi non ce la fa a sostenere le spese crescenti delle attività, della propaganda e delle sedi.

    I contributi, anche un euro al mese, possono essere consegnati direttamente ai militanti del Partito oppure versati attraverso il conto corrente postale n. 85842383 intestato a: PMLI – via Antonio del Pollaiolo, 172/a – 50142 Firenze.

    Grazie di cuore

    All’incontro con i movimenti popolari del mondo

    Il PAPA InsIste: “non sono un CoMunIstA”. stIA tRAnquIllo, ConfeRMIAMo Che non lo è DicA invece che iL sisteMA che GiustAMente cRiticA è iL cApitALisMo

    PAG. 8

    elezIonI del 26 ottoBRe nellA CIttà dello stRetto

    stravince l’astensionismo alle comunali di Reggio Calabria

    Falcomatà sindaco votato da una minoranza dell’elettorato

    “Indicibili accordi”

    lA testIMonIAnzA dI nAPolItAno non ConvInCe

    non potevA non sApeRe DeLLA tRAttAtivA stAto-MAFiA

    di un simpatizzante calabrese del PMlI

    RIMBoRsoPolI PIeMontese

    Chiamparino rinnova la fiducia a due assessori Pd inquisiti per le spese pazze

    ennesimo scandalo per le corrotte istituzioni borghesi della regione

    PAG. 11 PAG. 9

    PAG. 6

    PAG. 8di eugen Galasso

  • 2 il bolscevico / classe operaia N. 41 - 13 novembre 2014Come facevano Mussolini e Berlusconi

    Il Manganello dI RenzI e alfano sI aBBatte duRaMente

    suglI opeRaI ast dI teRnI Due operai e due sindacalisti Fiom feriti. Landini prima attacca Renzi,

    poi butta acqua sul fuoco dei lavoratori manganellati. Alfano e il questore di Roma devono dimettersi

    soLiDARietà e pRoteste in tuttA itALiA, A LA speziA occupAtA LA seDe DeL pD

    Dopo le parole i fatti. Dopo le dichiarazioni arroganti e minac-ciose di Renzi e dei suoi uomi-ni contro i sindacati e i lavorato-ri sono arrivate le manganellate agli operai. A questo punto tutti dovrebbero aver capito cosa in-tende il Berlusconi democristiano

    in camicia bianca quando lancia i suoi proclami del tipo: “prosegui-remo per la nostra strada”, “non ci faremo intimidire”, e qual è il suo “linguaggio diverso” e il suo “cambiare verso” all’Italia. Porta la camicia bianca ma si comporta come le camicie nere, come Mus-solini e Berlusconi che manganel-lavano i lavoratori.

    Le botte date dalla polizia ai la-voratori delle Acciaierie Specia-li Terni (AST) sono un fatto gra-vissimo, un’ulteriore riprova della natura reazionaria ed antioperaia del governo Renzi. Mercoledì 29 ottobre circa 600 operai della fab-brica umbra erano a Roma per di-fendere il proprio posto di lavoro e l’esistenza della fabbrica stes-sa. La ThyssenKrupp, la stessa del rogo di Torino, proprietaria del-la fabbrica, vuole licenziare 537 persone, oltre un sesto dell’intero organico, e sembra anche che vo-glia gradualmente disimpegnarsi dall’Italia, mettendo così a rischio quasi 5.000 posti di lavoro consi-derando anche l’indotto, il pilastro occupazionale su cui si regge l’in-tera città di Terni.

    La manifestazione era iniziata con un presidio davanti all’amba-sciata della Germania affinché il governo di Berlino facesse pres-sione sulla multinazionale tedesca per ritirare i licenziamenti. Dopo che una delegazione era stata rice-vuta i lavoratori si volevano spo-stare verso il Ministero dello Svi-luppo Economico. A questo punto, all’altezza di Piazza Indipenden-za, è partita la carica a freddo del-la polizia che ha spaccato la testa a quattro operai e ha lasciato per terra anche alcuni dirigenti sin-dacali. Le testimonianze dei la-voratori e le riprese coi telefonini smentiscono la versione del Mi-nistero dell’Interno e del prefetto che “giustificano” la carica, anzi il “contenimento” come dicono loro, con l’obbiettivo di fermare un eventuale blocco della stazione Termini da parte dei manifestanti, stazione che, guarda caso, si tro-va nella direzione opposta in cui si dirigeva il corteo.

    Non è certo la prima volta che vengono scagliate le forze repres-sive dello Stato borghese contro le lotte operaie e delle masse. Senza andare troppo indietro nel tempo basta ricordare la repressione del movimento NO-Tav, delle lotte studentesche e, proprio recente-mente, il 17 ottobre, le botte alla manifestazione contro il vertice UE sul lavoro a Torino. Con gli operai di Terni siamo arrivati per-sino a voler far tacere con i man-ganelli chi sta lottando per difen-dere il proprio posto di lavoro, il sostentamento economico per i la-voratori delle Acciaierie e di tutta la popolazione di Terni che difat-ti partecipa e sostiene attivamen-te con grande spirito di solidarietà gli operai della ThyssenKrupp.

    Un atto così grave che ha sca-

    tenato le dure reazioni della Cgil e dei sindacati. La Camusso: “Ci sono persone che rischiano il po-sto di lavoro e che oggi sono sta-te picchiate dalla polizia”, “Renzi abbassa i manganelli”, Angeletti: “oggi è successo un fatto grave e inaccettabile. Questa la cifra del-la politica di attacco ai sindaca-ti?”. Imbufalito e arrabbiato Lan-dini che era in mezzo agli operai a manifestare e che intervistato a caldo ha detto “Anch’io ho preso le botte dai poliziotti. Alcuni dei nostri sono finiti in ospedale. Ma non finisce qui.” e “Altro che pal-le, leopolde e cazzate varie. Basta, basta slogan, basta! Hanno rotto le scatole. E dobbiamo prendere an-che le botte, noi che lavoriamo?”. In seguito però ha gettato acqua sul fuoco e si parla di una miste-riosa telefonata tra lui e Renzi che Palazzo Chigi conferma mentre il leader della Fiom smentisce. E infatti partecipava in modo col-laborativo all’incontro con Ren-zi a Palazzo Chigi e alla successi-va conferenza stampa insieme alla ministro Guidi e al sottosegreta-rio Del Rio, senza peraltro avan-zare alcuna richiesta di scuse da parte di Renzi né tantomeno le di-missioni del ministro manganel-latore di operai Alfano. Tanto che quest’ultimo parlando alle camere darà apertamente il merito a Lan-dini di aver “contribuito a porta-re la calma tra i manifestanti” in piazza.

    Il capo del Governo e il mi-nistro degli interni Alfano han-no dichiarato che “verificheran-no” l’operato della polizia quando le cose invece sono molto chiare. Sappiamo benissimo che quando le “forze dell’ordine” si scagliano contro i manifestanti non lo fan-no mai a caso, ma perché ricevo-no ordini in tal senso, e la mattan-za al G8 del 2001 a Genova ce lo insegna benissimo. Quindi Alfano e il prefetto di Roma si devono di-mettere perché diretti responsabi-li delle manganellate agli operai di Terni. Mentre la responsabilità po-

    litica non può che essere di Renzi. I suoi attacchi ai sindacati e ai di-ritti dei lavoratori, a cui vanno ag-giunte le dichiarazioni provocato-rie di esponenti del PD o di amici della Leopolda che vogliono ne-gare addirittura il diritto di sciope-ro, generano quel clima ottimale in cui le forze di polizia sono au-torizzate a scatenare la repressio-ne delle lotte operaie. Renzi aveva detto di avere rispetto della piaz-za, ma la sua risposta alla grandio-sa manifestazione del 25 ottobre è stata il manganello.

    La solidarietà ai lavoratori del-le AST non si è fatta attendere. Il 30 e 31 ottobre è stato un susse-guirsi d’iniziative in tutta Italia. Sciopero e manifestazione della Fiom a Genova, Savona e Mila-no, presidi a Napoli, a Palermo e a Perugia, due ore di sciopero alla Same di Treviglio, astensioni dal lavoro contro la repressione del-la polizia alla Oerlikon di Torino, alla Novartis di Siena, alla Perini di Lucca e in centinaia di fabbri-che, specie metalmeccaniche, di tutte le regioni. Solidarietà dal-le organizzazioni sindacali e dal-le Camere del Lavoro di tutta Ita-lia. A La Spezia è stata occupata simbolicamente la locale sede del PD da un centinaio di militanti della Cgil per protestare contro la repressione e per rispondere alle continue provocazioni antisinda-cali e antioperaie di quello che oramai è diventato il partito dei padroni.

    L’Ufficio stampa del PMLI, in un tempestivo comunica-to dal titolo “Gli operai in lotta non si manganellano”, ha scrit-to: “I marxisti-leninisti italiani si stringono in maniera militante agli operai dell’Ast di Terni con-siderando la loro lotta è la pro-pria lotta, esprimono la loro fra-terna solidarietà ai due operai e ai due sindacalisti FIOM feriti e chiedono le dimissioni imme-diate del neofascista Alfano.” (si legga il testo integrale in questa stessa pagina).

    gli operai in lotta non si

    manganellanoRenzi la deve finire di

    manganellare gli operai in lotta per il lavoro, come fa-cevano Mussolini e Berlu-sconi. A parole dice che ri-spetta la piazza e la CGIl, nei fatti attacca il sindacato e manganella i lavoratori. È troppo. Va spazzato via, pri-ma che si realizzi un nuovo ventennio berlusconiano e mussoliniano.

    I marxisti-leninisti italia-ni si stringono in maniera militante agli operai dell’Ast di Terni considerando che la loro lotta è la propria lotta, esprimono la loro fraterna solidarietà ai due operai e ai

    due sindacalisti FIOM feriti e chiedono le dimissioni im-mediate del neofascista Al-fano.

    Gli operai in lotta non si manganellano!

    Nessun licenziamento all’Ast!

    Renzi, vattene!Il potere politico al prole-

    tariato!Italia unita, rossa e socia-

    lista!

    L’Ufficio stampa del PMLI

    Firenze, 30 ottobre 2014ore 9:30

    glI opeRaI della thyssenKRupp BloCCano

    la teRnI-oRteDeterminati e con una resi-

    stenza d’acciaio a non mollare la lotta, per scongiurare la chiusu-ra della fabbrica, gli operai del-la ThyssenKrupp hanno dato vita la sera del 31 ottobre ad un’al-tra combattiva forma di protesta. Finita l’assemblea indetta dal-le Rsu di fronte ai cancelli del-la fabbrica, circa in 300 lavora-tori sono partiti in corteo e, dopo aver attraversato tutta la città, si sono diretti verso il raccordo Ter-ni-Orte occupandolo in entrambi i sensi e bloccando il traffico. In-sieme a loro, in solidarietà, anche il sindaco della città.

    Una ferma e necessaria rispo-sta all’ennesimo arrogante ricatto provocatorio della multinazionale che, per fiaccare la resistenza de-gli operai e dividerne il fronte di lotta, ha annunciato che non pa-gherà gli stipendi fin quando gli operai Ast resteranno in sciopero.

    Una vera rappresaglia che, insie-me alle manganellate, ricordano metodi e mezzi intimidatori antio-perai del ventennio fascista.

    Ma gli operai non si piegano: “Andiamo avanti. Almeno fino a giovedì” annunciano, quando ci sarà al Mise il primo incontro, dopo quasi un mese dalla rottura delle trattative,

    con l’azienda e il governo Renzi che, garantisce il ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi, è impe-gnato “giorno e notte per trovare una soluzione”. E tuttavia avverte che “il governo debba ascoltare tutti, ma poi debba decidere e portare le sue deci-sioni in Parlamento”. Appunto.

    a fIRenze In pIazza In solIdaRIeta’ aglI opeRaI ast

    ManganellatIRedazione di Firenze Giovedì 30 ottobre nel tardo

    pomeriggio in cinquecento han-no partecipato al presidio sotto la prefettura di Firenze indetto da Fiom, Fim e Uilm in solidarietà con gli operai Ast manganellati a Roma. Un’iniziativa combattiva con tante bandiere rosse della Cgil e gli striscioni delle fabbriche, che ha chiuso una mobilitazione iniziata la mattina con assemblee in numerose fabbriche.

    Nel comunicato delle tre orga-nizzazioni sindacali si legge: “Que-sto drammatico episodio segna un inasprimento forte della situazione sociale del Paese che desta preoc-cupazione perciò esprimiamo indi-gnazione: le piazze si ascoltano, si rispettano, non si reprimono.

    Siamo vicini a quei lavoratori, in particolare a coloro che, bru-talmente aggrediti, sono finiti in ospedale ed ai quali auguriamo una pronta guarigione.

    Usare violenza contro chi ma-nifesta pacificamente ci riporta a periodi bui della nostra storia e va contro ogni principio democrati-co, denigrando cittadini ed orga-nizzazioni sindacali”.

    Durante il presidio, che è du-rato un’ora e mezzo, ha preso la parola anche il presidente dell’An-pi di Firenze, il partigiano Silvano

    Sarti, per condannare l’operato del governo Renzi. I partecipanti hanno intonato “Bella Ciao”.

    Ai lavoratori di Terni è stata espressa la solidarietà da nume-rose organismi sindacali, fra cui la Rsu Esaote, la Rsu e la Cgil della Sammontana di Empoli.

    Altre iniziative di lotta si sono tenute in tutta la Toscana.

    Renzi e Landini durante l’incontro a palazzo chigi il 30 ottobre scorso

    30 ottobre 2014. i lavoratori della Ast bloccano il raccordo terni-orte

    landini e Renzi, ma cosa hanno da ridere?

    Firenze, 30 ottobre 2014. il presidio dei lavoratori metalmeccanici sotto la sede della prefettura in solidarietà dei lavoratori della Ast manganellati a Roma (foto il Bolscevico)

  • N. 41 - 13 novembre 2014 classe operaia / il bolscevico 3AllA PAlAzzoli dove AllA CGil è neGAto il diritto di indire Assemblee sindACAli

    renzi chiama gli industriali a sostenerlo e

    a combattere uniti il sindacatoI lavoratori della fabbrica in ferie forzate.

    Fischi e contestazioni al premier da parte del corteo della Fiom e della CGILManGaneLLatI I GIovanI deI CentrI soCIaLI Che assedIano IL nuovo BerLusConI

    Messo all’angolo dalla straor-dinaria mobilitazione operaia che vede ogni giorno migliaia di la-voratori in piazza a lottare in di-fesa del posto di lavoro e dell’ar-ticolo 18, contro il Jobs Act, la legge di stabilità e gli antipopo-lari provvedimenti varati dal suo nero governo; il Berlusconi de-mocristiano Renzi il 3 novem-bre è passato al contrattacco e dal pulpito dell’assemblea annuale dell’associazione degli industria-li bresciani (Aib), presieduta da Marco Bonometti, ha da una par-te accusato i sindacati e in parti-colare la CGIL di essere gli or-ganizzatori di un vero e proprio golpe per far cadere il governo e, dall’altro, ha dato sfogo a tut-

    to il suo livore antioperaio e an-tisindacale chiamando a raccolta i padroni, con alla testa il presi-dente Giorgio Squinzi presente all’iniziativa, affinché lo sosten-gano e diano man forte al gover-no per liquidare definitivamente i sindacati.

    È stato “calcolato, studiato, progettato in queste settimane un disegno per dividere il mondo del lavoro” ha affermato Renzi che rincara la dose e aggiunge che la CGIL e la Fiom alimentano “lo scontro verbale e non solo” sfrut-tando “il dolore di disoccupati e cassaintegrati per attaccare il go-verno”. Ma il governo non per-metterà, assicura il premier, di di-videre in due l’Italia, da un lato i

    “padroni”, dall’altro i “lavorato-ri”. Il sindacato, sentenzia, è libe-ro di fare il suo lavoro “ma noi andiamo avanti per far ripartire l’Italia e su questo non molliamo di un millimetro... Vogliono cam-biare il presidente del Consiglio? Ci provino, non mi posso preoc-cupare di questo”.

    Immediato il sostegno del boss degli industriali Squinzi che a tambur battente ha invita-to Renzi a non cedere alla piazza e ad andare avanti perché: “Lei si è assunto il fardello di far usci-re l’Italia dalle secche di regole e culture sorpassate che condurreb-bero a un inarrestabile declino” e di questo “non possiamo che es-serle grati: se ne sentiva la neces-sità. Non bisogna temere qualche dispiacere e non poco dissenso: sono resistenze per inerzie e pri-vilegi del passato”.

    Significativa in tal senso è stata anche la cornice scelta da Renzi per rilanciare il suo ana-tema contro i sindacati. Il dibat-tito infatti si è svolto all’interno della Palazzoli, storica azienda bresciana di impianti elettrici per l’energia, dove il modello di rela-zioni sindacali imposto da Mar-chionne alla Fiat la fa da padrone. La Palazzoli, infatti, è una delle

    aziende bresciane che impedisce ai metalmeccanici della Fiom di tenere assemblee in fabbrica vi-sto che essa non ha firmato il contratto nazionale. Inoltre, per evitare al premier ulteriori con-testazioni, l’azienda ha deciso di mettere in ferie forzate metà dei 130 lavoratori.

    Per nulla intimoriti centina-ia di operai si sono dati appun-tamento fuori dai cancelli del-la fabbrica dove al termine di un combattivo corteo hanno dato vita a una contro-assemblea or-ganizzata dalla Fiom bresciana e aperta alla cittadinanza nel corso della quale il sindacato dei me-talmeccanici ha sottolineato che “Renzi finora è venuto qui per incontrare sempre e solo gli im-prenditori, peraltro quelli a ‘tra-zione Marchionne’, i falchi della Confindustria. Con la Cgil e i la-voratori lui non parla”.

    Alle contestazioni hanno pre-so parte anche esponenti del-la mozione due della CGIL, con alla testa Giorgio Cremaschi, i sindacati di base, gli attivisti del centro sociale Magazzino 47 e i movimenti studenteschi che han-no contestato il premier e i padro-ni a suon di slogan, fischi e car-telli. I manifestanti hanno fatto

    alzare in volo anche un drone a cui erano legati quattro striscio-ni in difesa dell’articolo 18, i di-ritti dei lavoratori e l’uso musso-liniano dei manganelli la scorsa settimana a Roma. Molti gli slo-gan, come: “Renzi non hai mai lavorato giù le mani dal sindaca-to” e un grande striscione rosso

    con su scritto “Assediamo Renzi e le sue politiche”. Contestazioni che hanno mandato su tutte le fu-rie il premier che ancora una vol-ta ha risposto agli operai e a chi lo contesta a suon di lacrimogeni e manganellate distribuite a man bassa dalla sua polizia.

    Direttrice responsabile: MONICA MARTENGHIe-mail [email protected] Internet http://www.pmli.itRedazione centrale: via A. del Pollaiolo, 172/a - 50142 Firenze - Tel. e fax 055.5123164Iscritto al n. 2142 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze. Iscritto come giornale murale al n. 2820 del Registro della stampa del Tribunale di FirenzeEditore: PMLI

    ISSN: 0392-3886 Associato all’USPIUnione StampaPeriodica Italiana

    chiuso il 5/11/2014ore 16,00

    Come ai tempi di mussolini

    renzi: “non trAtto Con i sindACAti, quel temPo e’ finito”

    “La cosa surreale è che la Camusso dica che si deve trat-tare. Deve trattare con gli im-prenditori, non con il governo. Le leggi il governo non le scri-ve trattando coi sindacati. Noi ascoltiamo tutti, dobbiamo par-lare col sindacato, ma è il mo-mento che in Italia ognuno torni a fare il suo mestiere. Noi abbia-mo detto: questa è la nostra ma-novra, diteci cosa pensate, an-che via mail. Ma nessuno può pensare di trattare sulla legge di Stabilità”.

    Questa è la sprezzante ri-sposta che il Berlusconi demo-cristiano Renzi ha dato il 27 ottobre dagli schermi della tra-smissione “Otto e mezzo” ai sindacati e in particolare alla CGIL che, all’indomani della

    grandiosa manifestazione del 25 in Piazza San Giovanni a Roma, chiedeva alcune modifiche alla legge di stabilità e al Jobs Act.

    Un atteggiamento di chia-ro stampo mussoliniano che ri-chiama alla memoria il famige-rato “me ne frego della piazza” di Craxi e Berlusconi. La repli-ca del vero e proprio schiaffo assestato da Renzi ai sindacati il giorno precedente quando li ha fatti ricevere dai suoi ministri e sottosegretari solo per umiliar-li e per ribadire che comunque il governo non contratta le sue leggi con chi non è eletto perché “non è pensabile che una piazza blocchi un Paese”.

    Il piglio ducesco di Renzi ha subito riscosso il plauso del suo grande sponsor e finanziatore

    Davide Serra, titolare del fon-do Algebris con sede alle Cay-man, che ha detto che “Il Jobs Act lo avrei fatto più aggressi-vo”, e che il diritto di sciopero scoraggia gli investitori stranieri e fa perdere posti di lavoro, per-ciò andrebbe “molto regolato”.

    Una vera e propria dichiara-zione di guerra contro i lavora-tori, i sindacati e la manifesta-zione del 25 ottobre a Roma e in appoggio a Renzi controfirma-ta anche dal padronato naziona-le con Squinzi che al convegno dei giovani industriali di Con-findustria a Napoli ha afferma-to “Non credo che in questo mo-mento di crisi manifestazioni o scioperi siano la migliore delle soluzioni” e, successivamente, dall’assemblea di Confindustria

    di Pavia ha tuonato: “È necessa-rio che chi difende i lavoratori ammetta che a volte si sono di-fese situazione indifendibili”.

    Due motivi in più per indur-re la CGIL e la Camusso a rom-pere gli indugi e a indire subi-to lo sciopero generale di 8 ore con manifestazione nazionale sotto Palazzo Chigi per caccia-re via Renzi e il suo nero gover-no come ha chiesto a gran voce il milione di lavoratori a Piazza San Giovanni.

    Intanto ha fatto bene la FIOM che il 30 ottobre ha annunciato lo sciopero generale di catego-ria e due manifestazioni: a Mila-no il 14 e a Napoli il 21 novem-bre in vista della proclamazione dello sciopero generale entro novembre di tutta la CGIL.

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    CALENDARIO DELLE MANIFESTAZIONIE DEGLI SCIOPERI

    CALENDARIO DELLE MANIFESTAZIONIE DEGLI SCIOPERI

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    CGIL-CISL-UIL - Manifestazioni a Milano, Roma Palermo dei pensionati

    CGIL-CISL-UIL - Manifestazione nazionale a Roma dei lavoratori dei servizi pubblici e della scuola

    NOVEMBRE

    FIOM - Sciopero generale dei metalmeccanici del Centro-Nord con manifestazione a Milano

    Cobas - CUB - SLAI - USI-Ait - ADL Cobas (più Sisa) - Centri sociali e del territorio. Sciopero generale con manifestazioni in molte città

    FIOM - Sciopero generale dei metalmeccanici del Centro-Sud con manifestazione a Napoli

    Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil - Sciopero in tutta Italia dei lavoratori dei call center con

    manifestazione a Roma

  • 4 il bolscevico / classe operaia N. 41 - 13 novembre 2014Contro il Jobs Act e il governo

    ViVA lo sCiopero generAle di 8 ore promosso dAllA Fiom

    Finalmente: il 30 ottobre la FIOM ha rotto gli indugi e, sulla scia della grande manifestazione del 25 ottobre, ha indetto lo scio-pero generale di categoria contro il Jobs Act e il governo!

    Viva lo sciopero generale!Viva la Fiom che ha finalmen-

    te dato attuazione alle richieste della stragrande maggioranza del milione di lavoratori che ha riem-pito Piazza San Giovanni a Roma e ha risposto con grande coraggio alla brutale repressione degli ope-rai dell’Ast di Terni manganella-ti senza pietà dalle “forze dell’or-dine” in camicia nera di Renzi e Alfano.

    Lo sciopero si articolerà in due date: venerdì 14 novembre

    toccherà ai lavoratori del Centro Nord incrociare le braccia e par-tecipare in massa alla manife-stazione che si svolgerà a Mila-no; mentre il venerdì successivo, 21 novembre, tutto il Centro Sud scenderà in piazza a Napoli.

    La Fiom-Cgil ha annunciato che le manifestazioni saranno “a sostegno e in preparazione dello sciopero generale di tutte le ca-tegorie per contrastare le misure contenute nel Jobs Act e per ri-vendicare scelte diverse di politi-ca economica e industriale, che la Cgil deciderà nel proprio direttivo già convocato il prossimo 12 no-vembre”.

    I vertici sindacali hanno poi dato indicazione di realizzare fin

    da subito “fermate e assemblee in tutti i luoghi di lavoro e iniziati-ve sul territorio... per rispondere ai gravi fatti accaduti ieri a Roma durante la manifestazione degli operai di Terni... Confermiamo che continueremo la lotta artico-lata nei territori, delle categorie e che andremo verso lo sciopero ge-nerale. Obiettivo è avere risposte ai temi che abbiamo posto sul la-voro e i diritti, tutte questioni sin-dacali”.

    Le tute blu rispondono con la mobilitazione “all’aggressio-

    ne - si legge nella nota - con-tro i lavoratori che manifestava-no pacificamente per difendere la fabbrica e il posto di lavoro e alle falsità contenute nel comuni-cato della questura di Roma che cerca di addossare la colpa ai la-voratori. Il Comitato centrale del-la Fiom, nell’esprimere solidarie-tà ai lavoratori dell’Ast impegnati in una difficile vertenza contro la multinazionale Thyssen che vuo-le smantellare il polo siderurgico di Terni, ringrazia quanti di loro presenti ieri a Roma hanno mani-

    festato pacificamente in una situa-zione di grande tensione”.

    La Camusso durante il suo in-tervento al Comitato centrale del-la Fiom ha chiesto ai metalmec-canici di prepararsi a una “lunga battaglia” perché “man mano che andremo avanti le provocazioni si moltiplicheranno” in riferimento alla brutale aggressione a suon di calci, pugni e manganellate ordi-nata da Renzi e Alfano contro gli operai Ast di Terni in piazza Indi-pendenza a Roma.

    “Per vincere la partita di lun-go periodo” ha detto ancora la Ca-musso è indispensabile che “tutti insieme siamo convinti che stia-mo attraversando una stagione nuova diversa dal passato e perciò

    dobbiamo avere un forte radica-mento sul territorio, conquistarne ogni giorno uno in più. Solo così possiamo farcela”.

    Nella sua replica conclusiva al Comitato centrale, Landini ha ri-cordato l’importanza della mani-festazione del 25 ottobre scorso a piazza San Giovanni, prometten-do che “lo sciopero generale che abbiamo indetto è la prima con-tinuazione di quella mobilitazio-ne”.

    Che si sbrighi allora anche la Cgil e la Camusso indica subito lo sciopero generale di 8 ore con ma-nifestazione unitaria sotto Palaz-zo Chigi per spazzare via il Berlu-sconi democristiano Renzi e il suo nero governo.

    Che si sbrighi la CGIL SpazzIamo vIa RenzI

    Al direttiVo proVinCiAle dellA FilCtem-Cgil tenutosi A pisA hA inVitAto A “bAttere il Ferro quAndo è CAldo”

    Cammilli: Vogliamo subito lo sciopero generaleRedazione di Fucecchio Il direttivo provinciale dei la-

    voratori chimici, tessili ed elettri-ci si è tenuto il 31 ottobre a Pisa, quindi subito dopo la grandiosa manifestazione del 25 che ha vi-sto in piazza a Roma oltre un mi-lione di lavoratori. Questo evento, oltre ad essere tra i punti all’ordi-ne del giorno, è stato quello che ha trovato più spazio negli interven-ti. I lavori si sono comunque aper-ti con l’elezione dei nuovi organi dirigenti dopo l’ultimo congres-so, come ad esempio la segreteria provinciale.

    Adempimenti organizzativi che

    hanno riconfermato come in Cgil a Pisa, ma pensiamo anche altrove, prevalgano gli interessi dei vari se-gretari di categoria che collocano i loro “delfini” e della maggioranza della Camusso che hanno di fatto estromesso da qualsiasi organismo la mozione 2 (quella raccolta attor-no al documento congressuale de “il sindacato è un’altra cosa”) e i lavoratori più combattivi.

    Gli interventi sono stati tutti improntati all’ottimismo dopo il successo della manifestazione di Roma, anche da parte di chi, di-rigenti in primis, aveva sempre giudicato i lavoratori italiani ras-

    segnati e poco inclini alla lotta. In molti hanno espresso solidarietà ai lavoratori delle acciaierie di Terni manganellati dalla polizia di Al-fano e Renzi. La Camera del La-voro di Pisa aveva comunque già espresso il proprio sostegno ai la-voratori della Thyssen Krupp.

    Nel suo intervento il compa-gno Andrea Cammilli ha espresso la necessità di arrivare allo scio-pero generale nazionale in tempi molto brevi, anche se le ultime no-tizie davano solo la Fiom protesa a questo obiettivo mentre il resto della Cgil è propenso a farlo addi-rittura a dicembre.

    La manifestazione del 25 otto-bre ha dimostrato che la forza per respingere l’attacco di Renzi c’è, ma occorre mantenere l’iniziativa e sopratutto battere il ferro ades-so che è ancora caldo e l’entusia-smo, la mobilitazione, la rabbia e la collera sono ad alti livelli. “Non si può scioperare tra un mese, ma-gari quando il parlamento ha già approvato il Jobs Act” ha detto Cammilli.

    Se la Cgil farà intendere che stavolta farà sul serio, allora i la-voratori la seguiranno, se inve-ce tergiverserà, magari aspettan-do un’ intesa con i dirigenti di Cisl

    e Uil, sprecherà quella forza che i lavoratori hanno sprigionato sa-bato 25 ottobre a Roma dando un potente pugno rosso a Renzi, e il

    Berlusconi democristiano e neo-fascista troverà la strada spianata nel suo attacco ai diritti dei lavo-ratori.

    Solidarietà ai lavoratori delle acciaierie di Terni

    riunione del direttivo della FilCtem-Cgil di FirenzeIl 15 ottobre, alla presenza di

    55 delegate e delegati, si è svolta la riunione del direttivo provincia-le della FILCTEM–CGIL di Firenze presso la Casa del popolo di San Bartolo a Cintoia. Presenti Mau-ro Fuso (Segretario della Camera del Lavoro di Firenze e Gabriele Mazzariello (Segretario organiz-zativo della FILCTEM–CGIL na-zionale).

    All’ordine del giorno vi erano la presentazione delle proposte per la presidenza del direttivo e per la composizione della nuova segreteria della categoria, e la si-tuazione politico-sindacale gene-rale collegata all’organizzazione della manifestazione di Roma del 25 ottobre.

    Alla presidenza del direttivo è stato eletto un funzionario della FILCTEM e come Vicepresidente il sottoscritto in rappresentanza della minoranza congressuale “Il Sindacato è un’altra cosa”.

    Dopo il voto del direttivo, all’unanimità, sull’elezione di Presidente e Vicepresidente ho preso la parola per ringraziare le compagne ed i compagni della mozione congressuale che con il loro impegno e la loro dedizione hanno permesso alla nostra mo-zione appunto di raggiungere un risultato che, seppur piccolo in termini numerici, ribadisco è pur sempre un risultato e che così fa-cendo hanno contribuito alla mia elezione. È chiaro, così come ho

    detto poi nell’intervento, che il mio impegno sarà quello di ope-rare nella direzione di un rafforza-mento del potere decisionale e direttivo e di partecipazione attiva proprio di un’Assemblea di lavo-ratrici e lavoratori e di controllo sull’operato della nuova segre-teria (composta tra l’altro, cosa inedita, anche da tre delegati lavoratori). Al mio intervento ha fatto seguito un lungo e caloroso applauso. Di tutto ciò, frutto di un lungo lavoro che non si esaurisce certamente qui, ringrazio con tut-to me stesso il PMLI che mi ap-poggia e mi sostiene ogni giorno nel lavoro sindacale.

    Dopo l’elezione della segrete-ria si è passati alla relazione del Segretario della FILCTEM pro-vinciale Bernardo Marasco sulla situazione politico-sindacale. Pur criticando l’operato del governo Renzi anche con espressioni forti tipo “bisogna opporsi con vigore ad un modello culturale che a noi è contrario” oppure “se veniamo sconfitti vincerà il paese dei pre-potenti che decreteranno la pa-rabola discendente del Paese”,

    dimostra poi la mancanza di vo-lontà della dirigenza della CGIL di spingere fino in fondo sull’acce-leratore della protesta afferman-do che “abbiamo la nostra idea di come fare le riforme” oppure “il contratto a tutele crescenti è uti-

    le se abolisce tutte le altre forme contrattuali oggi presenti”.

    Finita la relazione si è passati agli interventi, la maggioranza dei quali molto critici anche sull’ope-rato della CGIL in questi frangen-ti.

    Un delegato di una fabbrica del Valdarno fiorentino ha detto: “ci si aspettava lo sciopero gene-rale, se il governo Renzi sta pro-cedendo velocemente sul Jobs Act anche la CGIL ha le proprie responsabilità!”. Un lavoratore di una fabbrica di materie plastiche ha affermato che c’è timore tra i lavoratori soprattutto sulla mi-sura del controllo a distanza del lavoratore e che la CGIL deve fare di più sulla prevenzione dei contrasti tra lavoratori italiani e stranieri (è già la seconda volta consecutiva che lo afferma, sin-tomo di una situazione di perico-lo crescente). Un operaio di una fabbrica della piana fiorentina ha detto: “è emblematico che al Se-nato Guglielmo Epifani e Valeria Fedeli, già dirigenti del Sindacato ai massimi livelli, abbiano votato a favore del Jobs Act! Dirigenti e

    delegati e lavoratori della CGIL se iscritti al PD si facciano un esame di coscienza perché le due cose non possono andare più di pari passo!”.

    Sono intervenuto anch’io, de-nunciando a più riprese l’attacco che Renzi ed il suo governo stan-no portando alla classe operaia, attacco che tende ad uniformare al basso le lavoratrici ed i lavora-tori e affermando che “non è un caso che il Jobs Act sia stato pre-sentato dal ministro Poletti che da presidente delle cooperative ha di fatto sperimentato da tem-po tutte le forme di precarietà e di bassi salari!”. Ho poi continuato dicendo che di fronte a questo attacco non sono più possibili e giustificabili tentennamenti da parte del Sindacato che, pur con-tinuando a lavorare per un’ottima riuscita della manifestazione di Roma, deve da subito presentarsi nei luoghi di lavoro per organizza-re lo sciopero generale in risposta alle prevaricazioni governative. Ho così concluso: “Ci si deve mobilitare perché ormai si è già in forte ritardo, dobbiamo far capire

    a Renzi, governo e padroni una volta per tutte che il potere po-litico spetta di diritto alla classe operaia che produce l’intera ric-chezza del Paese!”.

    L’intervento è stato fortemen-te e convintamente applaudito e non sono mancati gli attestati di stima da parte di alcuni delegati.

    I lavori sono proseguiti con le conclusioni di Fuso e Mazzariello che hanno ribadito da par loro il pensiero riformista, proprio del-la maggioranza di destra della CGIL. Fuso in particolare non ha mancato di esprimere le sue so-lite “stoccate” ai compagni più combattivi del tipo: “Il consenso a Renzi c’è, ha preso il 41%, però o fa altre politiche o va via”, op-pure, “lo sciopero generale ora depotenzia la manifestazione del 25 ottobre”, oppure, “il sociali-smo in un solo Paese non si fa, la storia ce lo insegna!”.

    Concludendo, credo che sia stata una riunione molto inte-ressante che ha palesato, più di altre volte, l’ormai evidente scol-lamento tra la dirigenza sindacale ed i lavoratori. Sarà mio compito fare in modo che le contraddizio-ni oggi esistenti maturino e si ca-nalizzino nel verso giusto.

    Coi Maestri ed il PMLI, vince-remo!

    Andrea, operaio del Mugello - Firenze

    i lAVorAtori Contro il Jobs ACt spingono lA Cgil A indire lo sCiopero generAle

    Interventi in maggioranza critici verso l’operato del vertice CGIL. Un combattivo operaio del mugello eletto all’unanimità vice presidente del direttivo, fortemente applaudito il suo intervento. Fuso difende Renzi e attacca lo sciopero generale e il socialismo

    Corrispondenza delle masseQuesta rubrica pubblica interventi dei nostri lettori, non membri del PMLI. Per cui non è detto che le loro opinioni e vedute collimino perfettamente, e in ogni caso, con quelle de “il bolscevico”

    Roma, 25 ottobre 2014. Un gruppo di lavoratori della provincia di Firenze al concentramento del corteo al piaz-zale dei partigiani per la manifestazi-one nazionale contro il Jobs act

    Il compagno andrea Cammilli che ha coadiuvato la direzione della Delegazione nazionale del pmLI alla manifestazione nazionale contro il Jobs act

  • N. 41 - 13 novembre 2014 interni / il bolscevico 5

    Renzi si piega al diktat della UE“L’Italia non viene a prendere

    lezioni o reprimende. Il governo italiano rispetta tutti ma non si fer-ma davanti a nessuno. Ogni anno diamo all’Europa venti miliardi e ne prendiamo dieci. Serve in Eu-ropa una presenza più forte, orgo-gliosa e determinata dell’Italia”: così un baldanzoso Matteo Ren-zi aveva fatto la voce grossa re-candosi al vertice UE di Bruxel-less per negoziare le condizioni per evitare la bocciatura della sua Legge di stabilità da 36 miliardi. Bocciatura duramente minacciata dal presidente uscente della Com-missione europea, Manuel Barro-so, se l’Italia non fosse rientrata di uno 0,5% del deficit per rispettare i parametri europei, mentre il go-verno italiano si dichiarava dispo-sto ad effettuare solo un aggiusta-mento dello 0,1%.

    Nella Legge di stabilità di Ren-zi e Padoan, infatti, su 36 miliardi di entrate previste circa un terzo, 11 miliardi, sono finanziati in de-ficit, vale a dire utilizzando qua-si tutto il margine consentito dal rapporto deficit/pil, attualmente attestato al 2,2%, fino a sfiorare il tetto massimo del 3% fissato dai

    parametri UE. Una manovra for-temente voluta da Renzi, anche per dimostrare al Paese che egli, al contrario dei premier preceden-ti, è in grado di difendere gli in-teressi nazionali sfidando la Com-missione europea e la Germania per battere la loro feroce politica di austerity e imporre una poli-tica espansiva e per la “crescita” economica. Più prudentemente il ministro dell’Economia aveva ac-cantonato 3,4 miliardi nel bilancio proprio in previsione di una richie-sta di aggiustamento da parte della Commissione, ma Renzi ha voluto recitare fino in fondo la parte del “ribelle”, ingaggiando con Barro-so un lungo braccio di ferro, an-che a base di dichiarazioni bellico-se dall’una e dall’altra parte, salvo poi finire come sempre per cedere al diktat europeo, accettando l’ag-giustamento di “compromesso” dello 0,3%, e presentandolo per di più come una “vittoria” del gover-no italiano e sua personale.

    “Siamo per la massima flessi-bilità entro le regole esistenti. La Commissione sta verificando se c’è o meno una deviazione parti-colarmente importante rispetto alle

    regole”, aveva infatti tagliato cor-to Barroso alle dichiarazioni pole-miche di Renzi, che si appoggia-va anche al governo francese alle prese con un problema simile al suo, dovendo anch’esso far fronte ad una analoga richiesta di aggiu-stamento da parte della Commis-sione. Sta di fatto che il via libera di quest’ultima alla Legge di sta-bilità è arrivato soltanto dopo la lettera inviata da Padoan al vice-presidente della Commissione, il finlandese Katainen, in cui il go-verno Italiano si impegnava a “raf-forzare” la manovra tagliando di altri 4,5 miliardi il deficit, pari allo 0,3% del Pil, anziché di 1,6 miliar-di, pari allo 0,1% dell’offerta ini-ziale. In pratica azzerando quasi il “tesoretto” di riserva che Padoan aveva accantonato nella Finanzia-ria e che Renzi progettava di spen-dere per ridurre le tasse.

    In realtà non si tratta nemmeno di un vero e proprio via libera alla Legge di stabilità. Più esattamen-te la Commissione europea, per bocca del falco “rigorista” Katai-nen, che nella nuova Commissio-ne presieduta da Juncker avrà an-che il ruolo di commissario agli

    Affari monetari, si è limitata a far sapere di “non poter al momento rilevare casi di gravi deviazioni” tali da richiedere una bocciatura. E questo grazie all’“atteggiamen-to costruttivo” dimostrato da Italia e Francia nell’accettare le corre-zioni richieste. Tuttavia Bruxelles si riserva di fare a breve termine una “valutazione dettagliata” delle manovre sotto esame, demandan-do il compito di redarre le pagel-le finali entro il 30 novembre alla nuova Commissione: “Eventuali carenze o rischi saranno chiara-mente evidenziati in quella fase”, ha avvertito Katainen.

    Con che faccia tosta allora il ministro Padoan ha potuto soste-nere in parlamento che “questo sforzo ulteriore rappresenta un impegno notevole per il Paese, ma nessuna resa alla UE”? Tan-to più se poi, quasi a smentire se stesso, ha aggiunto che “una even-tuale procedura per deficit ecces-sivo non è ancora scongiurata per-ché nei prossimi mesi avremo a che fare con le regole del debito”. E difatti l’implacabile Katainen lo ha confermato, accogliendo positi-vamente “gli sforzi di bilancio per

    il 2015” dell’Italia, ma avvertendo che “esamineremo anche i dati del deficit e del debito”.

    La verità è che il governo ita-liano ha fatto la voce grossa per un po’, ma poi ha ceduto come sem-pre al diktat della UE. Lo ricono-sce anche l’economista francese Fitoussi, che in un’intervista a la Repubblica del 29 ottobre, alla do-manda di come giudica il compro-messo raggiunto da Italia e Fran-cia con Bruxelles, ha dichiarato: “Secondo me è andata malissimo. Due governi democratici che ese-guono gli ordini, anche piuttosto discutibili, di un funzionario eu-ropeo. Sia Padoan che Sapin (il ministro francese dell’Economia, ndr) si sono adattati alle indicazio-ni, forse sarebbe meglio chiamar-le diktat, della Commissione sul-la crescita potenziale per l’anno prossimo, il frutto di una elabora-zione puramente teorica che Bru-xelles ha fatto calare dall’alto ad-ducendo un potere d’imperio che non ha”.

    Eppure Renzi si gonfia il petto come un tacchino, aggirandosi per i saloni di Bruxelles come Mussolini alla conferenza di Monaco, e si at-

    teggia a “vincitore” di questa parti-ta perché ha ottenuto uno “sconto” sulla correzione imposta alla sua manovra! Correzione che comun-que vale un bel pacchetto di mi-liardi che andranno coperti con ul-teriori tagli alla spesa e/o maggiori imposte, come gli aumenti già ven-tilati delle aliquote Iva e della ben-zina. E per di più senza nemme-no la garanzia che la manovra non verrà bocciata e non ci costerà una procedura di infrazione con relativa multa per altri miliardi.

    Il fatto è che il nuovo Berlusco-ni è un abilissimo promotore di se stesso, che conosce e sa sfruttare a menadito la potenza persuasiva delle nuove tecnologie nel campo dei mass media e dei social net-work, riuscendo a spacciare per oro colato le più invendibili patac-che. Come quella che lui sarebbe, a parole, l’alfiere della politica di “crescita” in Europa in contrap-posizione alla politica di “rigore” della Merkel, mentre in realtà non fa che applicarla con particolare accanimento ai lavoratori e alle masse popolari italiane, come di-mostrano le sue nere “riforme” an-tioperaie, antipopolari e piduiste.

    Pagato a peso d’oro come i grandi manager capitalisti

    Il boss dElla CIsl bonannI aRRaffaUna PEnsIonE dI 8mIla EURo mEnsIlI, l’UltImo

    stIPEndIo ERa dI 336 mIla EURo l’anno Alla faccia degli esodati, dei

    pensionati sociali e anche dei co-muni pensionati che non arrivano alla fine del mese, a nome dei qua-li egli ha pur sempre dichiarato di battersi, Raffaele Bonanni, il boss della Cisl che ha mollato lo scor-so 24 settembre la poltrona della segreteria generale del secondo sindacato italiano, va in pensione con la bellezza di 8.593 euro lorde al mese: l’ultimo stipendio era di 336.260 euro l’anno, una cifra su-periore di quasi centomila euro ri-spetto a quella percepita dai gran-di manager di Stato, il cui tetto è fissato per legge a 240.000 euro, e che va semmai nella direzione - come fosse una beffa del destino - al trattamento dei grandi mana-ger privati dei quali egli ha sempre detto di contrastare i privilegi.

    Ed è chiaro anche come il ca-pobastone cislino sia giunto a que-

    sto sfavillante (per lui) risultato.Nato in provincia di Chieti nel

    1949, inizia a lavorare come ope-raio edile, si iscrive alla Cisl nel 1970, si sposta in Sicilia negli anni ’80 dove diviene braccio destro dell’ex segretario generale della Cisl D’Antoni, nel 1998 è compo-nente della segreteria confederale, nel 2001 diviene segretario con-federale, infine succede a Savino Pezzotta il 27 aprile 2006 alla se-greteria nazionale per otto anni e mezzo fino allo scorso settembre.

    Nulla fino a questo punto sem-brerebbe giustificare un simile ab-norme stipendio, alla faccia dei lavoratori, attraverso il quale per-cepire una altrettanto conseguente e scandalosa pensione, questa vol-ta alla faccia dei pensionati e degli

    esodati: infatti quando era segre-tario confederale Bonanni guada-gnava meno di 80mila euro lordi all’anno, precisamente 75.223 nel 2003, 77.349 nel 2004 e 79.054 nel 2005 e quando diventa segre-tario generale nel 2006, secondo le norme del regolamento interno alla Cisl, il suo stipendio viene in-crementato del 30%.

    Infatti il caporione sindacale dichiara nel 2006 all’Inps, ai fini contributivi, uno stipendio ricchis-simo di 118.186 euro, che è mag-giore di quello previsto ma non molto, e può giustificarsi con altre entrate che non riguardano la sua attività sindacale.

    Negli anni successivi però, con un atteggiamento degno, più che di un rappresentante di lavorato-

    ri e pensionati, di un vero e pro-prio boss, si aumenta letteralmen-te lo stipendio da solo, e senza che nessuno lo contrasti all’interno del sindacato che egli dirige: nel 2007, infatti, la retribuzione complessi-va dichiarata all’Inps è di 171.652 euro lordi annui, nel 2008 diviene di 201.681 annui, con un aumento ingiustificabile negli anni succes-sivi, ossia 255.579 euro nel 2009, 267.436 nel 2010 per schizzare a 336.260 (triplicando quindi in cin-que anni) nel 2011, che, non va di-menticato, è l’anno della famigera-ta riforma Fornero che ha imposto il sistema pensionistico contributi-vo, ovvero quello secondo il quale l’ammontare della pensione si cal-cola in base ai contributi effettiva-mente versati dai lavoratori.

    Al contrario, il caporale sin-dacale Bonanni, ben sapendo in tempo che le regole sarebbero cambiate, si è aumentato in tem-po e vertiginosamente gli ultimi stipendi per beneficiare in pieno dei vantaggi del sistema retribu-tivo, secondo il quale l’ammonta-re delle pensioni si calcola in base alla media degli ultimi anni di sti-

    pendio percepito, sfuggendo così alla riforma Fornero che ha invece colpito, e duramente, i pensionati, condannando contemporaneamen-te gli esodati a un vero e proprio inferno, categorie sociali alle qua-li Raffaele Bonanni giurava, come Giuda Iscariota, fedeltà mentre, da servo del sistema, riceveva il pre-mio per avere da sempre ignobil-mente fatto gli interessi dei padro-ni e dei parassiti ai danni sia dei lavoratori sia dei pensionati.

    Per conoscere direttamente dai lavoratori e dagli studenti quali sono i loro problemi, le loro rivendicazioni, il loro parere sulla situazione politica, il loro stato d’animo, non c’è modo migliore di intervistarli durante le manifestazioni e le occupazioni.Naturalmente bisogna prepararsi bene prima dell’intervista avendo in mente le domande da porre in linea di massima e avendo con sé un registratore (o almeno un taccuino) e una macchina fotografica. Abbiamo già due modelli cui ispirarsi. Le interviste fatte dalla compagna Giovanna Vitrano e dal compagno Federico Picerni pubblicate rispettivamente su “Il Bolscevico n. 38/13 e n. 21/13.Si possono fare delle interviste anche durante i banchini.Le interviste sono utili pure per attirare l’attenzione sul PMLI e il suo organo .Coraggio, intervistate i lavoratori e gli studenti in lotta! Chi saranno i prossimi compagni a farle?

    Un insulto verso gli esodati condannati senza pensione e senza stipendio, i pensionati sociali e le pensioni di fame percepite dai lavoratori

    Condanniamo la repressione degli studenti napoletaniIl PMLI condanna con for-

    za la brutale repressione polizie-sca subita da studenti e precari questa mattina a Napoli davanti alla Stazione Marittima, dov’era in corso la 14° Conferenza del FEMIP con i vertici della Ban-ca Europei degli Investimenti, alla quale presenziava il mini-stro dell’economia del governo Renzi, Padoan.

    Studenti e precari hanno col-to l’occasione della presenza del ministro per far sentire la loro voce con striscioni e megafoni, scandendo slogan contro il go-verno del Berlusconi democri-stiano Renzi e il Jobs Act.

    Significativo e commovente il gesto degli studenti di indos-sare dei caschi blu per esprime-re la loro solidarietà agli operai delle acciaierie di Terni, manga-nellati ieri a Roma dalla polizia di Renzi e Alfano.

    La risposta da parte della po-lizia ( e del governo) alle prote-ste è arrivata con manganellate, pugni e spintoni nei confronti dei manifestanti, i quali non si

    sono fatti comunque intimidi-re e non hanno indietreggiato di un passo di fronte alla repressio-ne di regime capitalista e neofa-scista.

    I marxisti-leninisti solidariz-zano in maniera militante con gli studenti aggrediti dalla po-lizia, e salutano con gioia rivo-luzionaria la solidarietà di clas-se espressa da studenti e precari napoletani agli operai ternani, auspicando che si moltiplichi-no le lotte degli operai e degli studenti, uniti, verso lo sciopero generale di 8 ore, contro il co-mune nemico che li affama e li opprime, il governo Renzi e il capitalismo!

    Viva l’unità di lotta tra classe operaia e studenti!

    Renzi, vattene!Il potere politico al proleta-

    riato!Italia unita, rossa e sociali-

    sta! La Commissione giovani del Comitato centrale del PMLI

    Firenze, 30 ottobre 2014, ore 18,30

  • 6 il bolscevico / corruzione N. 41 - 13 novembre 2014Un colpo alla libertà di stampa e al diritto di informazione

    MUlte salatissiMe per chi “diffaMa” a Mezzo staMpa

    L’Aula del Senato ha approvato lo scorso 29 ottobre - con 170 voti favorevoli, 70 contrari e 10 astenu-ti - il liberticida disegno di legge n. S1119 in tema di diffamazione, ed il testo ora passa alla Camera per la definitiva approvazione.

    Spicca - tra gli altri contenuti del disegno di legge quali il divie-to di carcere per i giornalisti, l’in-troduzione del diritto all’oblio e la previsione del diritto di rettifi-ca - un enorme aumento delle san-zioni pecuniarie anche per le testa-te online.

    Il testo presenta aspetti inquie-tanti per ciò che riguarda la libertà di stampa: infatti, accanto alla pre-visione che vieta la condanna alla reclusione per i giornalisti con-dannati per diffamazione a mezzo stampa, vengono introdotte pesan-tissime sanzioni di carattere pecu-niario che costituiscono un’arma di ricatto e uno spauracchio for-se ancora più temibile dello stesso

    carcere, soprattutto per i giornali-sti precari e freelance non legati ai grandi gruppi editoriali che, è op-portuno ricordarlo, costituiscono la stragrande maggioranza di tutti i giornalisti iscritti all’albo in Ita-lia, mentre i giornalisti coperti dai grandi gruppi editoriali (i quali possono tranquillamente farsi cari-co delle sanzioni pecuniarie) saran-no liberi nei fatti di poter organiz-zare, in combutta con i loro editori, qualsiasi campagna di carattere diffamatorio.

    Il disegno di legge è composto di quattro articoli.

    L’articolo 1 modifica la legge n. 47/1948 che disciplina l’attività della stampa quotidiana, periodica e non periodica introducendo per i giornalisti l’obbligo di rettifica che dovrà essere pubblicata senza commento e gratuitamente a cura del giornalista condannato nella stessa testata cartacea, telematica, radiofonica o televisiva. Lo stes-

    so articolo poi, dopo aver inserito, con il comma 3, il nuovo articolo 11 bis alla legge n. 47/1948 il quale dispone che “nella determinazio-ne del danno derivante da diffama-zione commessa con il mezzo del-la stampa o della radiotelevisione, il giudice tiene conto della diffu-sione quantitativa e della rilevan-za nazionale o locale del mezzo di comunicazione usato per compie-re il reato, della gravità dell’offe-sa, nonché dell’effetto riparatorio della pubblicazione e della diffu-sione della rettifica”, tratta al com-ma 5 proprio lo spinoso tema delle nuove pene pecuniarie con la pre-visione dell’inserimento di un te-sto completamente diverso al posto dell’art. 13 della nominata legge n. 47/1948. Il primo comma del nuo-vo articolo 13 disporrà infatti che “nel caso di diffamazione commes-sa con il mezzo della stampa o della radiotelevisione, si applica la pena della multa da 5.000 euro a 10.000

    euro. Se l’offesa consiste nell’at-tribuzione di un fatto determina-to falso, la cui diffusione sia avve-nuta con la consapevolezza della sua falsità, si applica la pena del-la multa da 20.000 euro a 60.000 euro”. L’attuale articolo 13 invece dispone, come pena per i giornali-sti, che “nel caso di diffamazione commessa col mezzo della stam-pa, consistente nell’attribuzione di un fatto determinato, si applica la pena della reclusione da uno a sei anni e quella della multa non infe-riore a lire 500.000”.

    Si passa quindi - quanto alla condanna per diffamazione con l’attribuzione di un fatto deter-minato, cosa che costituisce ov-viamente la regola negli articoli giornalistici che quasi sempre con-tengono esposizioni di fatti deter-minati - dalla minima sanzione di 258 euro di multa dell’attuale ar-ticolo 13 a quella di 20.000 euro, con un aumento di quasi ottan-

    ta volte, mentre anche il massimo della multa, che secondo l’articolo 24 del codice penale può al massi-mo raggiungere i 50.000 euro per la generalità dei reati, viene ulte-riormente aumentata di un quinto nella condanna per diffamazione a mezzo stampa con l’attribuzione di un fatto determinato.

    L’articolo 2 del disegno di legge inasprisce le pene pecuniarie anche per la diffamazione commessa da privati nell’ambito di attività non giornalistica, e a risentirne saran-no sicuramente blogger e opinioni-sti che, pur non essendo quasi mai giornalisti, alimentano discussioni sulla rete telematica: infatti il testo dell’articolo 595 del codice penale viene così modificato: “chiunque, fuori dei casi indicati nell’artico-lo 594 [che prevede il reato di in-giuria, ovvero dell’oltraggio com-piuto nei confronti della persona presente, n.d.r.], comunicando con più persone, offende l’altrui repu-

    tazione, è punito con la multa da euro 3.000 a euro 10.000. Se l’offe-sa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della multa fino a euro 15.000. Se l’of-fesa è arrecata con un qualsia-si mezzo di pubblicità, in via tele-matica ovvero in atto pubblico, la pena è aumentata della metà”. An-che in questo caso la multa passa da un minimo di 516 euro a un mi-nimo di 3.000 fino a un massimo di 15.000, ma se la diffamazione è compiuta attraverso la via telema-tica può raddoppiare, ovvero arri-vare a 30.000.

    È chiaramente una legge liberti-cida che ha lo scopo di imbavaglia-re la stampa e i giornalisti scomodi e che sono anche i più esposti eco-nomicamente ma anche per i blog-ger e gli opinionisti e in generale gestori di siti internet. Figurarsi per un Partito povero in canna come il PMLI, il suo sito e il suo organo di stampa “Il Bolscevico”.

    riMborsopoli pieMontese

    chiamparino rinnova la fiducia a due assessori pd inquisiti per le spese pazze

    Non accenna a diminuire lo scandalo della rimborsopoli pie-montese che, dopo avere assesta-to un colpo mortale alla giunta del fascio-leghista Cota (il colpo di grazia glielo ha poi assestato la vicenda delle firme false) sembra sia in procinto di travolgere an-che la giunta del renziano Sergio Chiamparino. Le cose, se possibi-le, sono addirittura peggiorate con il cambio della guardia dei partiti borghesi alla guida della Regione. Gli inquisiti Aldo Reschigna (PD) e Monica Cerutti (SEL) all’epo-ca dei fatti erano soltanto, nel Pie-monte a guida fascio-leghista, dei consiglieri di opposizione mentre ora sono degli assessori regionali con deleghe di peso. Monica Cer-ruti è attualmente assessore alle pari opportunità mentre Aldo Re-schigna, oltre all’importante delega al bilancio è anche vicepresidente e quindi braccio destro dello stesso Chiamparino. Per entrambi l’accu-sa è di peculato per aver utilizzato impropriamente i fondi dei gruppi regionali. L’inchiesta, iniziata ai danni del governatore Cota e del-la sua maggioranza, nonostante le richieste di archiviazione dei pm della procura di Torino, si è estesa anche a chi allora stava all’opposi-zione e adesso governa. Una ven-

    tina i consiglieri ed ex-consiglieri, oltre ai due assessori, che si appre-stano ad andare a giudizio.

    il marcio della corruzione nella

    giunta del renziano chiamparino

    Con le elezioni del 25 maggio scorso, elezioni che hanno visto la vittoria del centrosinistra borghese, il sistema della corruzione non è stato neppure scalfito anzi, se pos-sibile, è ancora peggiorato nelle marce istituzioni regionali borghe-si. Uno dei cavalli di battaglia di Chiamparino durante la campagna elettorale è stata la “differenza” che avrebbe caratterizzato la sua amministrazione: nessun pregiudi-cato e nessun inquisito in lista! Il tema della rimborsopoli piemon-tese è stato il vero cavallo di bat-taglia per Chiamparino il cui pro-gramma economico e sociale non si è discostato di una sola virgola da quello del centrodestra. Sull’as-soluta equiparazione tra centro-de-stra e “centro-sinistra” borghesi si è espresso lo stesso Chiamparino il

    21 ottobre scorso, in un’intervista al giornalista de La Stampa, Mauri-zio Tropeano. Al giornalista che gli chiedeva conto del suo spregiudi-cato utilizzo della tangentopoli in campagna elettorale, Chiamparino ha avuto l’indecenza di dichiara-re: “Non ho mai pensato che esi-sta una diversità del centrosinistra scritta nel Dna o definita per natu-ra (…) c’è stato un cambiamento e trovo sia coerente, opportuno e di buon senso confermare la mia fidu-cia nei due assessori e lasciare che si arrivi al dibattimento. Per motivi morali e politici, ho chiesto ai miei amministratori di restare. Non farlo sarebbe stato un delitto. Credo che nemmeno la magistratura sarebbe lieta se gli si desse il potere di fare e disfare amministrazioni che stan-no lavorando” Al colmo dell’ipo-crisia, degna davvero della peggio-re classe dominante borghese, in un’altra occasione ha minimizzato il capo delle imputazioni in quanto: “(…) qui stiamo parlando nel caso peggiore di un uso improprio del denaro pubblico per attività politi-ca e non per fini privatistici.” Soli-darietà totale ai propri assessori a dispetto di tutto. Questo il leitmotiv ripetuto fino alla nausea dal capo-

    rione Chiamparino. Il capo d’accusa fissato dal gip

    (giudice per le indagini preliminari) di Torino Roberto Ruscello, dopo avere respinto le richieste di archi-viazione presentate dai pm, è di pe-culato. Leggere le imputazioni che gravano sui due assessori in cari-ca fanno letteralmente accappona-re la pelle, soprattutto nell’attuale crisi capitalistica che sta succhian-do fino all’ultima goccia di sangue dalle masse affamate. I consiglieri regionali indagati ora divenuti as-sessori hanno avuto l’indecenza, si legge nel verbale del gip, di chie-dere rimborsi per decine di coppet-te gelato, cappuccini, brioche e cibi da fast-food. A quanto pare prima di ogni consiglio, e durante le sue numerosissime pause, era abitudi-ne consumare spuntini di ogni tipo, inclusi spumanti e liquori tra i più pregiati. Mentre le masse popola-ri piemontesi sono in ginocchio e vengono via via private dei propri diritti sociali quali sanità, assisten-za e scuola i caporioni borghesi si strafogavano nei più prestigiosi ri-storanti di Torino.

    Per i gruppi consiliari, prosegue l’inchiesta, erano organizzati ban-chetti a base di tartufo. Sembra in-credibile ma l’indecenza degli in-quisiti si è spinta al punto tale da farsi rimborsare centinaia di gratta e vinci, una decina di confezioni di gorgonzola piccante e persino una cuccia di cane. Ogni natale erano decine e decine i regali messi nel conto spese della Regione. Le note spese complessive superano le di-verse centinaia di migliaia di euro, soldi rubati dalle casse della Re-gione e quindi sottratti alle masse popolari piemontesi.

    La vicenda ha scatenato un ver-gognoso scambio di accuse, tipi-

    ca commediola del pantano della partitocrazia borghese. “La sini-stra è specializzata nel fabbricare a suo uso e consumo una doppia morale e nell’utilizzo sistematico della strumentalizzazione” que-sto il commento del presidente del gruppo regionale della Lega Nord, Gianna Gancia. Il Movimento 5 Stelle chiede che Chiamparino sia coerente e ritiri le deleghe agli as-sessori Reschigna e Cerutti. Il ca-pogruppo di Forza Italia in Regio-ne, Gilberto Pichetto ha affermato che: “(…) è indicativa la coerenza del governatore e del Partito demo-cratico che hanno utilizzato il tema di rimborsopoli in campagna elet-torale.”

    la corruzione è intrinseca al sistema

    capitalista La corruzione, in Piemonte

    come in Italia, in questi ultimi anni ha assunto dimensioni impressio-nanti. La Corte dei conti, all’avvio del corrente anno giudiziario, ha valutato la perdita economica cau-sata dalla corruzione in ben 60 mi-liardi l’anno, senza contare i dan-ni indiretti, pagati in primo luogo dalle masse lavoratrici, in termi-ni di cattivo funzionamento della pubblica amministrazione, dei ser-vizi e delle opere pubbliche. Lun-gi da essere propria solo di questo o quel governo borghese la corru-zione è intrinseca al sistema capi-talista e alla proprietà privata che rappresenta e di cui cura gli inte-ressi, e pertanto è inestirpabile fin-ché non saranno aboliti il capitali-smo e la proprietà privata. Quanto avvenuto in Piemonte non deve quindi stupirci, ci conferma anzi

    che le corrotte istituzioni borghe-si sono marce fino alle radici e non possono in alcun modo esse-re riformate. Egoismo, individuali-smo, carrierismo, sete di arricchi-mento, disprezzo del pubblico ed esaltazione del privato: ecco i va-lori del sistema della dittatura del-la borghesia! Un sistema culturale e morale profondamente reaziona-rio e corrotto, e il caso piemontese ne costituisce solo l’ennesima pro-va, non può essere per definizione “onesto”, “etico”, rispettoso di “re-gole”. La corruzione non è una sua anomalia, ma un suo costituente in-dispensabile, senza il quale la sua economia e la sua macchina statale non potrebbero funzionare. Il capi-talismo ha il suo motto: “arricchi-tevi”! Dobbiamo stupirci se i suoi beceri tirapiedi e lacchè seguono le sue indicazioni? Il proletariato e le masse lavoratrici devono essere coscienti che solo con la conquista dell’Italia unita, rossa e socialista è possibile creare le premesse per sradicare una volta per tutte questo grave fenomeno dalla società e da-gli individui. Come ha magistral-mente spiegato il Segretario gene-rale, compagno Giovanni Scuderi: “Il proletariato, la classe più ri-voluzionaria apparsa nella storia, che produce l’intera ricchezza del Paese, è l’unica classe capace di sradicare lo sfruttamento dell’uo-mo sull’uomo e le cause economi-che che generano le classi, le guer-re imperialistiche, le ingiustizie sociali, la disoccupazione, la mise-ria, il razzismo e la disparità ter-ritoriale e di sesso; capace anche di sradicare la cultura e la mora-lità borghesi fondate sull’indivi-dualismo, l’egoismo, l’arrivismo, l’arricchimento personale, il pre-dominio dell’uomo sulla donna, la sopraffazione del più forte sul più debole, la corruzione.”

    Ennesimo scandalo per le corrotte istituzioni borghesi della regione

    Numero di telefono e fax della Sede centrale del PMLI e de “Il Bolscevico”

    Il numero di telefono e del fax della Sede centrale del PMLI e de “Il Bolscevico” è il seguente 055 5123164. Usatelo liberamente, sa-remo ben lieti di comunicare con chiunque è interessato al PMLI e al suo Organo.

  • 2 il bolscevico / documento dell’UP del PMLI N. 23 - 12 giugno 2014

    www.pmli.it

    Sede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE Tel. e fax 055.5123164 e-mail: [email protected]

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    IL PROLETARIATO AL POTEREITALIA UNITA, ROSSA E SOCIALISTA

    Spazziamo via il governodel Berlusconi democristiano Renzi

    LAVORO8 ORESCIOPERO GENERALE DI

    Giù le mani dall'articolo 18 e dallo Statuto dei lavoratori

    Abolizione del precariato e assunzione di tutti i precari

    Rinnovo dei contratti di lavoro del Pubblico impiego

    PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO

  • 8 il bolscevico / interni N. 41 - 13 novembre 2014Rapporto Svimez sull’economia e le condizioni del Mezzogiorno

    Più eMigRati, Più PoveRtà, Più diSoccuPazione, Meno conSuMi nel Sud d’italia

    Solo una giovane donna su cinque ha un lavoro. I redditi sono crollati del 15%. Due milioni di neetAnche quest’anno il rapporto

    Svimez (Associazione per lo Svi-luppo dell’industria nel Mezzo-giorno) ha fotografato un’econo-mia meridionale in caduta libera, in balia della crisi economica del capitalismo, degli interventi deva-stanti o inesistenti dei governi na-zionali e locali, delle organizza-zioni criminali. Non solo, il dato economico e politico che emerge con forza dal rapporto 2014 è che il crollo dell’economia meridiona-le, come l’impoverimento gene-ralizzato delle masse meridionali, sta trascinando con sé l’intera eco-nomia e società nazionale.

    Il calo delle nascite e le migra-zioni verso il Centro-Nord stanno assumendo sempre più le dimen-sioni di uno Tsunami demografi-co. Nel 2013 ci sono stati più mor-ti che nati al Sud. Il saldo negativo si era verificato soltanto altre due volte nel corso della storia dello Stato italiano, cioè nel 1867, dopo la Terza guerra d’Indipendenza, e nel 1918, alla fine del Primo con-flitto mondiale. Nel 2013 il nume-ro dei nati ha toccato il suo mini-mo storico, 177mila, il valore più basso mai registrato dal 1861.

    In dieci anni, dal 2001 a l 2011, sono migrate dal Mezzogiorno verso il Centro-Nord oltre 1 milio-ne e mezzo di abitanti e nel 2013 si sono trasferiti dal Mezzogiorno al Centro-Nord circa 116 mila abi-tanti, andando a premere su un’of-ferta di lavoro già molto limitata.

    Dati molto preoccupanti ri-guardano il calo dei consumi del-le famiglie meridionali, (dal 2008 al 2013 -16,2% al Sud e -5,4% al Centro-Nord), che rischia di influ-

    ire sempre più pesantemente sulla produzione concentrata al Centro-Nord. Del resto, il calo dei consu-mi è direttamente proporzionale all’aumento della povertà assolu-ta. Nel periodo 2007-2013 al Sud le famiglie assolutamente povere sono cresciute da 443mila a 1 mi-lione 14mila.

    il lavoroDei 985mila occupati che in

    Italia hanno perso il posto di la-voro, ben 583mila sono residenti nel Mezzogiorno. Nel Sud, dun-que, pur essendo presente appe-na il 26% degli occupati italiani si concentra il 60% delle perdite de-terminate dalla crisi. Nel 2013, ri-spetto al 2012, il Sud ha perso oltre 17mila posti di lavoro in agricoltu-ra, 98mila nell’industria e 166mi-

    la nei servizi. E la discesa conti-nua anche nel 2014, anno apertosi con la presa del potere da parte del nuovo Berlusconi democristiano, Renzi. Nel secondo trimestre 2014 il Sud ha perso 170mila posti di la-voro rispetto all’anno precedente, contro -41mila nel Centro-Nord.

    Il dato ufficiale della disoc-cupazione al Sud è di 19,7% e al Centro-Nord del 9,1% Ma per comprendere a fondo la realtà, bi-sogna aggiungere i “disoccupa-ti impliciti”, coloro cioè che non hanno effettuato azioni di ricerca nei sei mesi precedenti l’indagine. Il tasso di disoccupazione reale nel Centro-Nord oltrepasserebbe la soglia del 13% e al Sud si atte-sterebbe al 19,7%.

    È soprattutto l’occupazione giovanile (under 34) a calare a precipizio. Il problema purtroppo

    riguarda l’intero territorio italia-no e costituisce uno degli elemen-ti della cosiddetta meridionalizza-zione della penisola. Dal 2008 al 2013 sono andati persi in Italia 1 milione e 800mila posti di lavo-ro fra gli under 34. La sfiducia dei giovani verso il proprio futuro è un dato che sta crescendo velo-cemente in tutta Italia. Sono 3 mi-lioni 593mila Neet (Not in educa-tion, employment or training, cioè i giovani che non studiano, non la-vorano e non sono impegnati in alcuna formazione sul lavoro) re-gistrati nel 2013, 2 milioni sono donne e quasi 2 milioni si trova-no al Sud.

    Particolarmente difficile la condizione delle giovani meridio-nali. Solo una giovane su cinque ha un lavoro e spesso si tratta di lavori precari e supersfruttati. Pe-

    raltro, la scarsità di servizi all’in-fanzia e un sistema di tassazione che scoraggia la partecipazione al mercato del lavoro della donna, costringono queste ultime a riti-rarsi dal mondo del lavoro. Oltre 1 milione e 100mila sono le donne che al Sud nel 2013 hanno smesso di lavorare.

    la posizione del PMliI dati dello Svimez dimostrano

    senza ombra di dubbio che quella meridionale è la Questione nazio-nale. E lo è diventata a tal punto che rischia di trascinare nel fosso l’intera economia e società italia-ne. Colpisce il silenzio totale del-le istituzioni sul Rapporto Svimez. Certo i mali del Mezzogiorno ven-gono da lontano, ma è vero anche che grazie agli interventi degli ul-

    timi governi, Renzi compreso, si sono incancreniti alcuni degli elementi strutturali del problema: la condizione giovanile e quel-la femminile, la disoccupazione e la povertà. Aggiungiamo noi che i provvedimenti del governo Ren-zi, dalla Legge di Stabilità al Jobs Act, proseguono nel programma di scaricare la crisi del capitalismo sui lavoratori e sulle masse popo-lari, soprattutto del Sud. Lottare per risolvere i problemi del Sud significa anzitutto lottare contro il governo Renzi per affossare il Jobs Act e per conquistare il lavo-ro stabile, a salario intero, a tem-po pieno e sindacalmente tutela-to. Significa lottare per creare in tutto il Mezzogiorno una struttu-ra economica simile a quella che possiede il Centro-Nord attraverso piani straordinari, la destinazione di ingenti finanziamenti pubblici e l’utilizzazione di aziende pub-bliche per lo sviluppo industriale, tecnologico e infrastrutturale, per il rilancio dell’industria, dell’agri-coltura e il turismo, per il risana-mento del degrado ambientale, ru-rale e urbano.

    È, dunque, il governo Renzi il principale nemico delle masse popolari meridionali. Che tutte le forze politiche, sociali, sindacali, culturali e religiose democratiche e antifasciste cui sta a cuore la sor-te del Sud, si uniscano per spaz-zare via il governo del Berlusconi democristiano.

    Il ribaltamento definitivo delle sorti del Sud avverrà tuttavia solo abbattendo il capitalismo e facen-do vincere l’Italia unita, rossa e socialista.

    di eugen galasso

    Il convegno romano su “Tier-ra, Techo y Trabajo” (ossia “Ter-ra, tetto e lavoro”) di fine ottobre con i movimenti popolari (c’era-no, tra gli altri, il presidente boli-viano Evo Morales, indio, ex-co-calero, ossia produttore di coca, l’Associazione “Sem Terra” (i senza terra) del Brasile, i carto-neros, cioè coloro che riciclano i cartoni per renderli riutilizza-bili, l’associazione internaziona-le “Via Campesina”, che si batte per politiche solidali e compati-bili ecologicamente, per le politi-che agricole, il collettivo italiano “Sherwood” legato al “Leonca-vallo” (sic!), ancora la fabbrica italiana di componentistica (tubi, soprattutto) “Ri-Maflow”, che da anni si batte per la sopravviven-za, pur essendo di per sé quasi “leader” a livello europeo e non solo (ma le “logiche” del capita-

    lismo sono spietate, si sa).Il papa, cordialissimo, si è

    detto entusiasta e particolarmen-te coinvolto, esprimendo le sue concezioni, piene di buona volon-tà quanto generiche: ha detto che “l’amore per i poveri è nel Van-gelo, non si tratta di comunismo” (come “Il Bolscevico” aveva già avuto modo di scrivere, non ab-biamo alcun dubbio in proposito; chi scrive era stato uno dei non pochi destinatari italiani di una lettera di fuoriusciti argentini an-ti-golpe che addirittura riteneva-no Bergoglio, allora vescovo di Buenos Aires, troppo tiepido ri-spetto al golpe argentino; un’ac-cusa, possiamo dirlo ora alla luce di vari altri documenti, decisa-mente infondata - da questo, tut-tavia, a definirlo “comunista” ce ne passa, però...). Poetiche e sin-cere, quasi certamente, le espres-sioni papali nei confronti degli intervenuti: “Odorate di terra, di popolo, di lotta”, senz’altro sen-

    tita la sua vibrata accusa contro chi fa in modo che le persone non abbiano un tetto sopra di sé (in al-tri termini: una casa) e un lavoro. Ma il problema è a monte: non si tratta tanto di un “chi” malvagio e oppressore, quanto di strutture oppressive, strutture che, per noi (PMLI) hanno un nome ben pre-ciso: capitalismo.

    Che l’attuale deriva “neo-li-berista”, come si suole definir-la, rappresenti un peggioramen-to della condizione capitalistica è certamente vero (si pensi alla privatizzazione di tutto, anche dell’acqua, potenzialmente per-sino dell’aria...), ma il problema, come papa Bergoglio e un catto-licesimo “di sinistra” dovrebbero sapere e comunque sforzarsi di capire, è nella causa, nel sistema socio-economico capitalistico, appunto. Da sempre un sistema che teorizza e pratica lo sfrutta-mento dell’uomo sull’uomo, la schiavitù salariale etc. Illudersi

    che il capitalismo possa “emen-darsi”, “migliorare” è moralismo antistorico, una pia quanto peri-colosa illusione. “Questo nostro incontro non risponde a un’ide-ologia”, ha avvertito Bergoglio, salvo poi esporre un’ideologia di tipo riformista, interclassista e pacifista laddove ha invitato i suoi interlocutori a non contrap-porsi all’attuale sistema econo-mico ma a lavorare per “cam-biarlo”: “Va fatto con coraggio, ma anche con intelligenza. Con tenacia, ma senza fanatismo. Con passione, ma senza violenza. E tutti insieme, affrontando i con-flitti senza rimanervi intrappola-ti, cercando sempre di risolvere le tensioni per raggiungere un li-vello superiore di unità, di pace e di giustizia.” Insomma li ha spin-ti ad abbandonare ogni antagoni-smo nei confronti del capitalismo e piuttosto a “rivitalizzare le no-stre democrazie”, li ha invitati a “camminare insieme” evitando

    di “racchiudere il movimento in strutture rigide”.

    Quando Evo Morales, che sembra abbia avuto un rapporto particolarmente fecondo e positi-vo con papa Francesco inizia par-lando di un suo (di Bergoglio) so-stanziale anticapitalismo, ma poi parla di un sentimento “in Ame-rica Latina (includendo anche il papa latino) probabilmente non anticapitalista ma certamente anticolonialista” compie un evi-dente errore, in quanto i residui “colonialisti” derivano evidente-mente dal capitalismo, da come i paesi capitalisti tendono a crea-re colonie economiche, anche se non più esplicitamente politiche, nei (e dei) paesi più deboli.

    Forse non è un caso che l’edi-torialista de “il manifesto” Guido Viale (ex Lotta continua, ora am-bientalista), parli, per Bergoglio, commentandone il discorso tenu-to nell’occasione del convegno di cui parliamo, di un “preciso pro-

    gramma politico e sociale”. No, siamo ancora nelle secche, mol-to cariche di ambiguità, della co-siddetta “Dottrina sociale della Chiesa” (è anche una materia di insegnamento nelle Facoltà teo-logiche, nei Seminari, negli Isti-tuti superiori di scienze religiose e viene insegnata in modi anche molto diversi, non a caso), che si è affermata a fine Ottocento con la “Rerum Novarum” di Leone XIII e che nel corso del tempo si è realizzata in direzioni varie, teoricamente anticapitaliste ma mai veramente tali (Bergoglio si è spinto oltre i suoi predecesso-ri, soprattutto oltre il “papa eme-rito” Ratzinger, il più conservato-re dei papi recenti, che non a caso il “leader intellettuale” di “Co-munione e liberazione” Antonio Socci contrappone a Bergoglio, ma anch’egli, finora, non ha sa-puto esprimersi decisamente con-tro il potere economico-politico del capitalismo).

    all’incontRo con i MoviMenti PoPolaRi del Mondo

    il papa insiste: “non sono un comunista”. Stia tranquillo, confermiamo che non lo è

    DIca Invece che Il SIStema che gIuStamente crItIca è Il capItalISmo

    Due significative immagini della miseria che si incontra per le strade del nostro meridione

  • N. 41 - 13 novembre 2014 trattativa stato-mafia / il bolscevico 9“Indicibili accordi”

    La testImonIanza dI napoLItano non convInceNoN poteva NoN sapere della trattativa stato-mafia

    Il 28 ottobre la Corte d’assise di Palermo, affiancata dai legali de-gli imputati, si è recata al Quirina-le per porre una serie di domande a Giorgio Napolitano, sentito come teste in ordine al processo sulla trattativa Stato-mafia del 1992-1993. Una richiesta avanzata un mese prima dai pubblici ministeri (pm) palermitani, in base a nuove carte emerse, a cui l’inquilino del Quirinale aveva tentato di sottrar-si in tutti i modi evocando ostaco-li e conflitti di natura istituzionale, soprattutto per interposta persona, tramite le indignate proteste del governo, del PD e della compia-cente stampa di regime. Indigna-zione ipocrita e strumentale che aveva raggiunto l’apice dopo l’as-senso dei magistrati alle richieste di imputati come Salvatore Riina di presenziare all’udienza, assenso manifestamente tecnico e dettato unicamente dalla necessità di evi-tare un annullamento degli atti per violazione dei diritti degli imputa-ti, e non certo dalla volontà di re-care un’offesa alla dignità del capo dello Stato. Lo stesso Renzi ave-va tuonato dal palco della Leopol-da in sua difesa contro lo “sgarbo” dei magistrati.

    E anche quando è stato deciso in deroga alle regole di ammettere solo i legali degli imputati, Napo-litano ha preteso un ulteriore gra-ve strappo alla legge, per rimar-care che l’interrogatorio non era fatto a un cittadino comune, ma al capo dello Stato nel pieno del-le sue prerogative costituzionali, quasi fosse un atto di lesa maestà: ha preteso cioè di essere affianca-to dal vicesegretario generale della presidenza e, in spregio alle stesse consuetudini borghesi sul diritto di informazione, di tener fuori gior-nalisti e telecamere, di far effettua-re la registrazione esclusivamen-te da personale del Quirinale e di rendere pubbliche le sole trascri-zioni dei verbali. É stato riferito inoltre che per la prima mezz’ora ha risposto alle domande voltan-do le spalle alla Corte, in ostentato atteggiamento di alterigia. Anche se poi in un comunicato ufficiale, anche per smentire le dichiarazio-ni dell’avvocato di Riina e rifarsi un’immagine di “trasparenza de-mocratica”, ha teso a sottolineare che “il presidente ha risposto alle domande senza opporre limiti di riservatezza connessi alle sue pre-rogative costituzionali né obiezio-ni”.

    Le molte domande dei pm di palermoI pm palermitani Vittorio Teresi

    e Nino Di Matteo avevano prepa-rato una serie di 37 domande da ri-volgergli. In particolare chiedeva-no chiarimenti sulla famosa lettera di dimissioni del 18 giugno 2012 in cui il suo consigliere giuridico Loris D’Ambrosio, morto poche settimane dopo di infarto, faceva riferimento a non meglio precisati “indicibili accordi” di cui sarebbe stato inconsapevole strumento du-rante il periodo 1989-1993, in cui era stato collaboratore di Giovan-ni Falcone e capo dell’ufficio studi della Direzione generale del mini-

    stero della Giustizia. Volevano sa-pere cioè se Napolitano avesse al-lora chiesto a D’Ambrosio in cosa consistessero tali accordi, chi ne facesse parte e perché e che cosa questi gli avesse risposto.

    Volevano sapere inoltre se du-rante la stagione delle stragi ma-fiose del 1992-1993 da parte di Napolitano, allora presidente del-la Camera, e di altre cariche istitu-zionali vi fosse stata conoscenza di una trattativa tra organi dello Stato e Cosa nostra, se Napolitano fos-se a conoscenza di un piano della mafia per attentare alla sua perso-na e a quella dell’allora presiden-te del Senato Spadolini, se l’allo-ra presidente della commissione parlamentare Antimafia, Luciano Violante, gli avesse parlato di una richiesta di Vito Ciancimino di es-sere ascoltato dalla commissione, e altre domande riguardanti il pro-cesso.

    A tutte queste domande l’in-quilino del Quirinale ha risposto in maniera vaga e reticente, o non ha risposto affatto, agevolato in questo anche dal presidente della Corte, Alfredo Montalto, che gli ha evitato domande chiave come quella di Di Matteo se fosse sta-to a conoscenza della revoca di 334 provvedimenti di carcere duro (art. 41 bis) ad altrettanti capi ma-fiosi, disposta nel novembre 1993 dall’allora ministro della Giustizia Conso, che il ministro affermò di aver deciso in “perfetta solitudi-ne” e senza alcun condizionamen-to, mentre i pm sospettano sia sta-ta una contropartita dello Stato in cambio della cessazione delle stra-gi di mafia della primavera-estate di quell’anno a Firenze, Milano e Roma; tanto che Conso figura in-dagato per falsa testimonianza, come l’allora ministro dell’Inter-no Mancino che giura di non aver

    mai saputo nulla di questa tratta-tiva. Montalto non ha ammesso la domanda, perché, ha riferito Di Matteo, “si allontanava dal capito-lato di prova”.

    Anche gli avvocati di Manci-no e dei generali Mori e Subranni, che evidentemente non avevano che da guadagnare dalla reticen-za di Napolitano, hanno evitato di porre domande imbarazzanti. Quello del generale Mori ha rinun-ciato addirittura a porre domande “per rispetto istituzionale e della persona del capo dello Stato”. E solo con il legale di Totò Riina il

    capo dello Stato ha dovuto ingag-giare qualche battibecco, senza peraltro particolari conseguenze. Salvo impappinarsi in un malde-stro tentativo di giustificare i ma-

    neggi di D’Ambrosio per venire incontro alle pretese di Mancino di far avocare l’inchiesta di Paler-mo, trattandolo alla stregua di un intervento per evitare “scontri tra procure” come quello che ci fu per il caso De Magistris.

    silenzio tombale sugli “indicibili

    accordi” Sulla lettera di D’Ambrosio

    che gli comunicava le sue dimis-sioni dopo lo scandalo della pub-blicazione delle telefonate con

    Mancino, che insisteva affinché il Quirinale intervenisse per far asse-gnare ad un’altra procura l’inchie-sta di Palermo, Napolitano è sta-to praticamente tombale, nel senso che ha ribadito di non sapere nul-la e di non aver nemmeno chiesto al suo collaboratore cosa intendes-se dire riferendosi a quegli “indici-bili accordi”. Eppure dalla lettera sembra che D’Ambrosio desse per scontato che il presidente sapesse di che cosa si stava parlando: “Lei sa – scriveva infatti D’Ambro-sio in quella lettera - che di ciò ho scritto anche di recente, su richie-

    sta di Maria Falcone (per un suo li-bro sul marito ucciso a Capaci, ma nel libro ciò non risulta, ndr), e sa che in quelle poche pagine non ho esitato a fare cenno a episodi del

    periodo 1989-1993, che mi preoc-cupano e fanno riflettere. Che mi hanno portato a enucleare ipotesi, solo ipotesi, di cui ho detto anche ad altri (ad altri oltre a lei, sembra voler dire lo scrivente, ndr), qua-si preso anche dal vivo timore di essere stato allora considerato solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indici-bili accordi”.

    É forte il sospetto che D’Am-brosio parlasse proprio della trat-tativa segreta ingaggiata da orga-ni dello Stato con la mafia dopo l’uccisione di Salvo Lima e la suc-cessiva strage di Capaci del giu-gno 1992. Possibile che Napolita-no, che pure ha ammesso la “forte drammaticità” di questo passag-gio, si limiti a dire che non ritenne allora di doverne parlare col suo collaboratore e che è solo un passo di “difficile interpretazione”?

    Ad un certo punto, per chiu-dere questo spinoso argomento su cui i pm, evidentemente non molto convinti, insistevano a por-gli domande, Napolitano ha anche alluso alla possibilità di ricorrere alle sue prerogative di intoccabi-le, quando ha detto con malcelata ipocrisia: “Vorrei pregare la Cor-te e voi tutti di comprendere che da un lato io sono tenuto e ferma-mente convinto che si debbano ri-spettare le prerogative del capo dello Stato così come sono sanci-te dalla Costituzione repubblicana. Dall’altro mi sforzo, faccio il mas-simo sforzo per dare nello stesso tempo il massimo di trasparenza al mio operato e il massimo con-tributo anche all’amministrazione della giustizia. Sono, come dire, certe volte proprio su una linea sottile, quello che non debbo dire non perché abbia qualcosa da na-scondere, ma perché la Costituzio-ne prevede che non lo dica, e quel-lo che intendo dire per facilitare il più possibile un processo di chiari-ficazione”. A buon intenditor...

    altre omissioni e reticenze

    Sul possibile attentato alla sua persona Napolitano dice che ne

    fu informato dall’allora capo del-la polizia Parisi, presumibilmente a nome del ministro Mancino, ma non si capisce allora perché non ne aveva mai fatto cenno prima, e per-ché non lo ha fatto neanche Manci-no, pur sapendo tutti e due che i pm di Palermo indagavano sulle stragi e sulla trattativa. E la cosa è venuta fuori solo perché i pm palermitani a metà ottobre hanno scoperto una nota del Sismi depositata in un ar-chivio a Firenze. La stessa cosa più o meno è successa con la confiden-za avuta da Violante su Ciancimino che voleva deporre all’Antimafia: perché Violante non ne aveva mai parlato prima che la cosa venisse fuori sui giornali? Perché Napoli-tano ne parla solo ora che è inter-rogato? E a quale scopo Violante lo disse proprio a lui? E perché poi l’audizione non si fece? Tutte do-mande che rimangono tuttora sen-za risposta.

    Di tutte le sue “risposte” solo una è in grado di aggiungere qual-cosa a quanto già si sapeva (o non si sapeva) finora, e forse perché gli è più che altro scappata di boc-ca: quella in cui ha ammesso che nell’estate del 1993, dopo le bom-be a Milano e a Roma, con il black out che colpì Palazzo Chigi e che l’allora presidente del Consiglio Ciampi temette (come di recente ha rivelato) si trattasse di un ten-tativo di colpo di Stato ordito dalla mafia e dalla P2, egli e le altre ca-riche politiche del governo e isti-tuzionali furono consapevoli che si era in presenza di una strategia mafiosa per ricattare lo Stato. Alla domanda infatti di Di Matteo su quali furono le reazioni immedia-te ai vertici istituzionali e politici su quelle stragi, Napolitano ha am-messo che la valutazione comune “fu che si trattava di nuovi sussul-ti di una strategia stragista dell’a-la più aggressiva della mafia”, pre-sumibilmente dei corleonesi, “per

    mettere i pubblici poteri di fronte a degli aut aut”. E alla successiva domanda di Di Matteo se questo si potesse considerare un ricatto della Mafia allo Stato, Napolitano ha risposto: “Ricatto o addirittura pressione a scopo destabilizzante di tutto il sistema”. E subito dopo ha sentito il bisogno di aggiunge-re: “Probabilmente presumendo che ci fossero reazioni di sbanda-mento delle autorità dello Stato”, quasi si fosse accorto di essersi sbilanciato troppo e avesse cercato di rimediare precisando che quel-la della mafia era solo una “pre-sunzione” che però non ha trovato sponda nella politica e nello Stato.

    come poteva non sapere della

    trattativa?Questa mezza ammissione di

    Napolitano è stata comunque in-cassata dai magistrati palermita-ni con una certa soddisfazione, perché suffragherebbe in qualche modo la loro ipo