Relazione Truffa e Malversazione · STUDENTI Dominique Di Graziano, Matteo Laugeni e Gennaro Cerra...
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DIPARTIMENTO DI STUDI LINGUISTICO-LETTERALI,
STORICO-FILOSOFICI E GIURIDICI
Relazione per il Corso di Laurea magistrale in
“Giurisprudenza”
TRUFFA E MALVERSAZIONE:
CONCORSO APPARENTE DI NORME O CONCORSO DI REATI?
Cattedra
Diritto penale progredito
STUDENTI Dominique Di Graziano, Matteo Laugeni e Gennaro Cerra
Prof. Carlo Sotis e Dott. Nicolò Amore
Viterbo, 5 Aprile 2017
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INDICE SOMMARIO
Il problema……………………………………………………………………………………........….pag. 4
Capitolo 1
CONCORSO DI REATI
1. Il concorso formale di reati: la struttura……………………………………...…….................pag. 4
1.1. Il trattamento sanzionatorio……………………………………….....………..............….pag. 5
2. Il concorso materiale di reati: la struttura…………………………..………....…................…pag. 6
2.1. Il trattamento sanzionatorio………………………………………..……….….………....pag. 6
3. Il reato continuato: nozione e fondamento………………………......………...………......….pag. 6
Capitolo 2
CONCORSO APPARENTE DI NORME
1. Le due ipotesi di concorso apparente di norme: unico fatto concreto………...……...........….pag. 7
1.1 Unico fatto concreto: (a) la specialità……………………....….............….…….........…...pag. 7
1.2 (Segue): (b) la sussidiarietà……………………………………...…...……….............…...pag. 9
1.3 (Segue): (c) l’assorbimento…………………………………………………....................pag. 10
2. Più fatti concreti: le ipotesi di antefatto e postfatto non punibile……………......…...............pag.11
Capitolo 3
TRUFFA
1. La truffa: nozione, struttura e presupposto…………………………………..……................pag. 12
1.1. (Segue): elemento oggettivo e soggettivo.…......................................…..……................pag. 13
2. Fattispecie aggravanti…………………………………..….................................…...............pag. 15
2.1. (Segue): circostanza aggravante o autonoma figura di reato?…......................................pag. 16
2.2. (Segue): elemento oggettivo………………………....…….............................................pag. 16
Capitolo 4
MALVERSAZIONE AI DANNI DELLO STATO
1. Reato di malversazione: nozione…………………………………......…...............................pag. 17
1.1. (Segue): fattispecie criminosa………………………………...........................................pag. 17
1.2. (Segue): interesse protetto…………………………...…..................................................pag. 17
1.3. (Segue): dolo…………………….…..……......................................................................pag. 18
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Capitolo 5
L’OGGETTO E LE RAGIONI DEL CONTRASTO
GIURISPRUDENZIALE E DOTTRINALE
1. Premessa: la questione rimessa alle Sezioni Unite…………………………...…….....……..pag. 18
2. La valutazione dei criteri applicabili……….............…...……..……...……..............…..…pag. 19
2.1. Il principio di specialità: l’inapplicabilità……….............…...……..……...………...…pag. 19
2.2. La sussidiarietà: il possibile criterio risolutore…….……………....…..…....................pag. 20
2.3. L’assorbimento: il criterio giusto...........………………………..……....……............. pag. 21
Bibliografia………………………………………………………………………………..........…....pag. 22
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Il problema
Uno dei problemi più controversi del diritto penale riguarda i casi in cui con una sola azione od omissione
ovvero con una pluralità di azioni od omissioni si integrino gli estremi di più figure di reato. Si tratta cioè
di stabilire in quale rapporto si trovano tra loro le norme che prevedono quelle figure di reato. Può darsi
che la natura di quel rapporto comporti l’applicazione di una soltanto di tali norme, escludendo
l’applicazione delle altre, nel qual caso si parlerà di concorso apparente di norme. Può darsi, invece, che
tutte quelle norme reclamino la loro applicazione, nel qual caso si parlerà di concorso di reati.
Nella nostra relazione tratteremo di due reati e la natura del loro rapporto. In particolare ci occuperemo di
analizzare il reato disciplinato dall’art. 640 c.p. (truffa) e quello previsto dall’art. 316-bis c.p.
(malversazione ai danni dello Stato). Esamineremo un caso e vedremo in concreto la problematica da
vicino.
Capitolo 1
CONCORSO DI REATI
1. Il concorso formale di reati: la struttura
Il fenomeno del concorso dei reati può verificarsi sia per la contemporanea inerenza a una medesima
condotta di più disposizioni incriminatrici, sia per la consumazione di più figure criminose a seguito della
realizzazione di più fatti distinti. In ragione di ciò, il punto di riferimento essenziale per verificare quando
si è commesso un unico reato o, altresì, diversi fatti tipici, è rappresentato dall’azione commessa dal
soggetto attivo, ossia dal comportamento materiale e offensivo corrispondente alla condotta tipizzata dalla
norma incriminatrice (ad esempio l’infliggere un colpo mortale con un pugnale).
Il problema sorge perché, in alcuni casi, l’azione può essere anche scomposta in diversi segmenti, c.d.
“atti” (si pensi a un omicidio realizzato mediante le diverse pugnalate), ognuno dei quali astrattamente
idoneo ad acquisire autonoma rilevanza penale. A riguardo, la dottrina prevalente, in accordo con la
giurisprudenza di legittimità, ha ritenuto che più atti tipici possano essere valutati in chiave unitaria
qualora questi siano diretti a offendere il medesimo interesse protetto (ad esempio la vita), e siano stati
posti in essere contestualmente1.
1 V. ex multis F. MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale, Padova 2011, p. 129; Cass. pen., Sez. V, 12/12/2005, n. 851 in CED, 2006/233757. 2 Per capire meglio il concetto appena esposto, è doveroso riportare un esempio. Si pensi al caso in cui Tizio si introduca nell’appartamento di Caio, riempia una borsa di refurtiva, esca dall’appartamento e porti le cose sottratte nella sua auto, parcheggiata davanti la casa di Caio, poi ritorni dentro l’appartamento e prosegua rubando denaro, gioielli, argenterie, quadri, etc che verranno portati in auto a più riprese. In questo caso si tratta di un unico furto in quanto quelle azioni si sono susseguite
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In queste ipotesi, quindi, alla pluralità di atti tipici corrisponderà comunque una sola azione penalmente
rilevante2, e non si potrà perciò invocare la disciplina del concorso materiale di reati (artt. 71 e ss. c.p.). Si
potrà, invece, applicare la disciplina del c.d. concorso formale di reati (art. 81, co. 1 c.p.).
1.1. Il trattamento sanzionatorio
Nel concorso formale di reati il giudice, ai sensi dell’art. 81 co. 1 c.p., deve operare il cumulo giuridico
delle pene, individuando il più grave fra i reati in concorso e applicando la pena che infliggerebbe per
questo reato aumentata fino al triplo. A tale scopo, dovrà indicare un quantum di pena per ciascuno dei
reati meno gravi (“reati satellite”).
Una delle problematiche di maggior rilievo con riferimento al cumulo giuridico, è quella che attiene
all'interpretazione da darsi alla “violazione più grave”, alla cui pena occorre riferirsi come base per il
calcolo del cumulo. Secondo una parte della giurisprudenza3 la violazione più grave deve essere
individuata in concreto, ossia a prescindere dalla comminatoria edittale prevista in astratto, avuto riguardo
degli indici forniti dall’art. 133 c.p., nonché delle eventuali circostanze. L’interpretazione appena
enunciata si contrappone con quella proposta dall’altra parte della giurisprudenza4, stando alla quale,
invece, dovrebbe aversi riguardo della sola pena edittale prevista in astratto per il reato. Invero, come
specificato dalle Sezioni Unite, “qualora si attribuisse rilievo alla decisione adottata in concreto dal
giudice in relazione alla singola fattispecie [...] si invaderebbe uno spazio riservato al legislatore, al quale
soltanto spetta stabilire se una condotta contraria alla legge debba essere qualificata [come] più o meno
grave”. Inoltre, da un punto di vista sistematico, l'interpretazione c.d. “in astratto” sarebbe l'unica
coerente “con le scelte effettuate dal legislatore in ambito processuale”, dove, in tema di competenza per
materia, per connessione e con riguardo all’applicazione di misure cautelari personali, si ha riguardo alla
sola comminatoria edittale5.
Si pongono inoltre diverse problematiche con riferimento ai casi in cui debbano essere applicate pene di specie
diversa (reclusione/arresto; multa/ammenda) o pene di genere diverso (pena detentiva/ pena pecuniaria). Con riferimento alle
pene di specie diversa, la giurisprudenza ha ritenuto doversi fare applicazione del cumulo giuridico partendo dalla pena
prevista per la violazione più grave come se essa fosse della stessa specie della pena prevista per il reato satellite. Al riguardo, 2 Per capire meglio il concetto appena esposto, è doveroso riportare un esempio. Si pensi al caso in cui Tizio si introduca nell’appartamento di Caio, riempia una borsa di refurtiva, esca dall’appartamento e porti le cose sottratte nella sua auto, parcheggiata davanti la casa di Caio, poi ritorni dentro l’appartamento e prosegua rubando denaro, gioielli, argenterie, quadri, etc che verranno portati in auto a più riprese. In questo caso si tratta di un unico furto in quanto quelle azioni si sono susseguite senza soluzioni di continuità e si sono realizzate offendendo un unico soggetto (Caio). Da contro, si avrà una pluralità di reati quando manchi il requisito della contestualità delle azioni o il requisito della unicità della persona offesa. Per riprendere l’esempio precedentemente riportato, si pensi al caso in cui Tizio in un primo momento sottragga dalla casa di Caio denaro ed il giorno successivo gioielli. O, ancora, il caso in cui un borseggiatore sfili il portafoglio dalle tasche di un passeggero su un autobus affollato, in ora di punta, e subito dopo sfili un altro portafoglio dalle tasche di un altro soggetto. 3 Cass. pen., Sez. III, 24/03/2009, Angioni, in CED, 2009/19978; Cass. pen., Sez. Un., 19/06/1982, Alunni, in CED, 1982/9559; Giust. pen., 1982, II, 673. 4 Cass. pen., Sez. Un., 27/03/1992, Cardarilli, in CED, 1992/4901 e in Riv. pen., 1992, 1059, con nota di LEPRI; Cass. pen., Sez. Un., 12/10/1993, Cassata, in CED, 1994/748; Cass. pen., Sez. Un., 26/11/1997, Varnelli, in CED, 1998/15; Cass. pen., Sez. V, 11/02/2010, Salviani, in CED, 2010/12473. 5 Cfr. Cass. pen., Sez. Un., 13/06/2013, Ciabotti, in www.italgiure.giustizia.it.
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la Corte Costituzionale, con sentenza n. 312/1988, ha avuto modo di precisare come «non sussista violazione del principio di
legalità» in quanto la pena non è solo quella esplicitamente prevista dalla singola fattispecie incriminatrice ma anche quella
risultante dall'applicazione dalla combinazione di norme di parte generale e di norme di parte speciale. Per quel che concerne,
invece, l'applicazione del cumulo giuridico con riferimento a violazioni che prevedono pene di genere diverso (pena detentiva/
pena pecuniaria), con la sentenza delle Sezioni Unite n. 15/1998, la Suprema Corte ha stabilito che «il cumulo giuridico può
effettuarsi in ogni caso a prescindere dalla sussistenza di omogeneità tra le pene previste dalle varie fattispecie penali in
concorso». Ha aggiunto che «le pene previste per i reati satelliti perdono di individualità in quanto, in relazione al reato
continuato ed al concorso formale, la pena è unica ed è quella relativa alla violazione più grave aumentata sino al triplo».
2. Il concorso materiale di reati: la struttura
Il concorso materiale di reati si caratterizza per la presenza di una pluralità di azioni o di omissioni.
Anche qui, come per il concorso formale di reati, parleremo di concorso materiale omogeneo se quella
pluralità di azioni od omissioni viola più volte la stessa norma; concorso materiale eterogeneo se quella
pluralità di azioni od omissioni viola più norme incriminatrici.
2.1. Il trattamento sanzionatorio
Il concorso materiale di reati è assoggettato al cumulo materiale delle pene, ai sensi degli artt. 71 ss. c.p.
La pena complessiva non può essere superiore al quintuplo della più grave delle pene concorrenti. Ciò
significa che il giudice applicherà la somma aritmetica delle pene stabilite per ciascun reato, se si tratta di
pene della stessa specie; nel caso di pene di specie diversa o genere diverso, le varie pene si applicano
«tutte distintamente»6 «e per intero»7. Pene detentive di specie diversa concorrenti fra loro non si
applicano tra loro per intero se la durata complessiva delle varie pene supererebbe gli anni trenta8.
3. Il reato continuato: nozione e fondamento
L’art. 81 co. 2 c.p.9 delinea e disciplina la figura del reato continuato, che si caratterizza per la presenza di
una pluralità di reati, e più precisamente di un concorso materiale di reati, unificati però dal c.d.
“medesimo disegno criminoso”. Esso rappresenta l’elemento che giustifica la deroga al regime del
cumulo materiale in favore del cumulo giuridico (art. 81 co. 2 c.p.), e si risolve in un coefficiente di
natura intellettiva, per la cui integrazione si ritiene sufficiente “l’iniziale programmazione e
deliberazione, generiche, di compiere una pluralità di reati, in vista del conseguimento di un unico fine
prefissato sufficientemente specifico”10.
6 Art. 74 co. 1 c.p. 7 Art. 75 co. 1 c.p. 8 Art. 78 co. 2 c.p. 9 L’articolo citato dispone che quando taluno “con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette anche in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge”. 10 Cfr., F. MANTOVANI, Diritto penale, Torino 2011, p. 495. In senso conforme v. ex multis T. PADOVANI, Diritto penale, Milano 2006, p. 385 ss.
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I reati che formano oggetto del disegno criminoso possono consistere sia in più violazioni della stessa
disposizione di legge, sia nella violazione di diverse disposizioni di legge. In ogni caso, dovrà trattarsi di
violazioni dolose, poiché la necessità di ricondurle a un unico disegno criminoso sembra escludere in
radice la possibilità che si instauri una continuazione tra reati colposi e tra reati colposi e dolosi11. Quanto
appena affermato, seppur condiviso da una parte della dottrina12, non convince nella misura in cui sembra
postulare anche una coincidenza tra dolo del fatto tipico e disegno criminoso.
Capitolo 2
CONCORSO APPARENTE DI NORME
1. Le due ipotesi di concorso apparente di norme: unico fatto concreto
L’istituto del concorso di reati non può trovare applicazione laddove più norme incriminatrici convergono
o sembrano convergere verso il medesimo fatto concreto, realizzando un c.d. concorso apparente di
norme. In questo caso si applica solamente una delle norme convergenti, e in tal senso l’ordinamento
giuridico prevede alcuni criteri per stabilire se ci troviamo di fronte a un concorso apparente di norme o a
un concorso di reati.
1.1. Unico fatto concreto: (a) la specialità
Una prima distinzione deve essere fatta tra due categorie di orientamenti principali: orientamenti
monistici (i quali fanno riferimento alla teoria monistica) e orientamenti pluralistici (teoria pluralistica).
Gli orientamenti monistici possono ritenersi prevalenti rispetto ai secondi, anche alla luce della più
recente giurisprudenza della Corte di Cassazione13. I fautori di questa teoria prevedono solamente un
criterio di risoluzione dei casi di concorso apparente di norme, e questo criterio è il principio di specialità,
il quale trova espresso fondamento nell’art. 15 c.p., ai sensi del quale “quando più leggi penali o più
disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge
speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito”.
Secondo la visione monistica solamente questo principio può essere applicato nella risoluzione del
concorso apparente di norme perché, differentemente dai principi di sussidiarietà e assorbimento (propri
delle teorie pluraliste), è l’unico che presenta un fondamento normativo. Infatti «i giudizi di valore che i
criteri di assorbimento e di consunzione richiederebbero sono tendenzialmente in contrasto con il
11 Cass. pen., Sez. IV, 19/06/2007, Di Toro, in CED, 2007/35665; Cass. pen., Sez. IV, 17/01/2001, Mariani, in CED, 2001/8164. 12 Cfr. A. VALLINI, Concorso di norme e di reati, in Le forme di manifestazione del reato (a cura di G. DE FRANCESCO), Torino 2011, p. 315. In senso conforme v. ex multis G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Manuale di Diritto Penale Parte Generale, IV Ed., 2012, Milano, p. 454. 13 Cass. pen., Sez. Un., 20/12/2005, n. 47164.
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principio di legalità, in particolare con il principio di determinatezza e tassatività, perché fanno
dipendere da incontrollabili valutazioni intuitive del giudice l’applicazione di una norma penale»14.
La definizione del concetto di “stessa materia”, risulta dunque decisiva per individuare il perimetro del
principio di specialità, il quale postula che le norme vertano sul medesimo oggetto. Sulla sua
interpretazione, tuttavia, i sostenitori della teoria monista propongono due soluzioni ricostruttive
differenti: alcuni interpretano la “stessa materia” come identità del bene alla cui tutela le norme in
concorso sono finalizzate; altri, invece, escludono che il concorso apparente di norme sia configurabile
sulla base del bene giuridico protetto dalle disposizioni apparentemente confliggenti15. Una parte della
giurisprudenza16 ha affermato che «ai fini dell’applicabilità dell’art. 15 c.p., rubricato “Materia regolata
da più leggi penali o da più disposizioni della medesima legge penale”, occorre che i reati presi in esame
presentino la stessa obiettività giuridica, ovvero che si tratti di reati disciplinanti tutti la stessa materia
ed aventi identità di struttura». Di diverso avviso è un’altra parte della giurisprudenza17 secondo la quale
«è dunque da ritenere che per “stessa materia” debba intendersi la stessa fattispecie astratta, lo stesso
fatto tipico di reato nel quale si realizza l’ipotesi di reato». Si tratta della c.d. teoria del rapporto
strutturale tra fattispecie legali astratte, secondo la quale due o più norme regolano la stessa materia
quando «in ragione del particolare rapporto strutturale tra loro intercorrente, sono idonee, se applicate
congiuntamente, ad attribuire analoga rilevanza giuridica ad un medesimo profilo fattuale di un
determinato “quadro storico di vita”»18.
Da ciò deriva che, che il rapporto di specialità deve essere vagliato alla luce del rapporto strutturale
intercorrente tra le fattispecie legali astratte. Una norma è speciale rispetto a un’altra quando descrive un
fatto che presenta tutti gli elementi del fatto contemplato dall’altra e inoltre uno o più elementi
specializzanti. Specializzante può essere un elemento che specifica un elemento del fatto previsto dalla
norma generale, in tal caso si parla di specialità per specificazione19; oppure, un elemento che si aggiunge
a quelli espressamente previsti dalla norma generale ed in tal caso si parla di specialità per aggiunta20.
L’elemento specializzante può rilevare, oltre che come elemento costitutivo, come circostanza aggravante
o attenuante di un dato reato.
14 Cass. pen., Sez. VI, ord. 03/11/2016 (dep. 09/11/2016), n. 47174. 15 Cass., Sez. Un., 28/11/1981, Isman, in CED, Cass., rv. 134578, n. 420. 16 Cass., Sez. Un., 20/01/2011, n. 1235, in www.penalecontemporaneo.it. 17 Cass., Sez. Un., 19/04/2007, n. 16568, Ric. G. C. 18 Cfr. A. VALLINI, Concorso di norme e di reati, in Le forme di manifestazione del reato (a cura di G. DE FRANCESCO), Torino 2011, p. 287. 19 Per capire meglio cosa significa specialità per specificazione si riporta lo schema della norma generale (A+B+C): aggiungendo un elemento che specifica un elemento del fatto previsto dalla norma generale si avrà lo schema A1+B+C. Si pensi al caso di appropriazione indebita e peculato o al caso di ingiuria e oltraggio a pubblico ufficiale, dove l’elemento specializzante riguarda il soggetto attivo nel primo caso e il soggetto passivo nel secondo. 20 Per capire meglio cosa significa specialità per aggiunta si riporta lo schema della norma generale (A+B+C): aggiungendo un elemento espressamente previsto dalla norma generale si avrà lo schema A+B+C+D. Ad esempio se la fattispecie costitutiva ha come elemento aggiuntivo il dolo specifico: sequestro di persona comune e sequestro di persona a scopo di estorsione.
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Due fattispecie incriminatrici si pongono in un rapporto di specialità reciproca (o “bilaterale”) quando
coincidono soltanto per alcuni elementi costitutivi, ma per il resto ciascuna si differenzia rispetto all’altra
per alcuni elementi speciali, vuoi per aggiunta, vuoi per specificazione21. Tra due fattispecie
bilateralmente speciali, nessuna è necessariamente ed interamente “contenuta” nell’altra, proprio perché
le stesse si differenziano reciprocamente. Nondimeno, in taluni casi vi può essere un’integrazione
congiunta di entrambe le figure criminose con un medesimo complesso di fatti e/o atti, e in particolare
quando, oltre a realizzarsi il segmento di fattispecie comune, si concretizzano tutti gli elementi speciali
dell’una e dell’altra disposizione. Merita evidenziare, come l’applicazione congiunta ad uno stesso
comportamento di due norme in rapporto di specialità reciproca che attribuiscono, ciascuna per proprio
conto, ruolo tipico a elementi tra loro diversi e ulteriori rispetto a una condotta invece “condivisa”, dà
luogo a un concorso formale di reati. Quando, invece, le due fattispecie in rapporto di specialità reciproca
corrispondono per altri elementi, oltre alla condotta, o comunque una di esse si limita a “specificare” dati
costitutivi dell’altra, l’integrazione simultanea di più reati si ha non solo mediante un’unica azione od
omissione, ma anche in virtù della realizzazione unitaria di altri profili fattuali, idonei a fungere da
elemento costitutivo sia per l’una che per l’altra fattispecie incriminatrice. Bisogna chiedersi se questi
casi, in cui unica è sì l’azione, ma non soltanto l’azione, siano ancora riconducibili all’art. 81 co. 1 c.p., o
non siano piuttosto da considerare situazioni di concorso apparente ex artt. 15 e 84 c.p.
1.2. (Segue): (b) la sussidiarietà
Come anticipato, alla teoria c.d. “monista” si contrappongono i sostenitori di quella c.d. “pluralista”, i
quali ritengono che il principio di specialità non possa essere considerato l’unico criterio risolutivo delle
antinomie normative. Esso, infatti, si è dimostrato incapace di soddisfare adeguatamente le esigenze di
giustizia sostanziale ricorrenti nella prassi, permettendo alla giurisprudenza di contestare più reati per un
fatto che, seppur formalmente sussumibile in più fattispecie astratte strutturalmente eterogenee, poteva
invece essere considerato unico sul piano assiologico22. Secondo tali orientamenti pluralistici, il concorso
può essere apparente anche quando le norme non si pongono tra di loro in rapporto di specialità. Detti
orientamenti prendono spunto da una considerazione empirica, secondo la quale determinate norme,
nonostante non siano poste in un rapporto di specialità logico-formale, non possano comunque trovare
congiunta applicazione, poiché in caso contrario si infliggerebbe una sanzione penale oltremodo
sproporzionata rispetto alla reale offensività del fatto. Il loro fondamento normativo è ricavato
indirettamente dall’art. 15 c.p., il quale si chiude con una clausola di riserva, “salvo che sia altrimenti
21 Per capire meglio cosa significa specialità per specificazione si riporta lo schema della norma generale (A+B+C): A è l’elemento caratterizzante, e una norma costituita da B, C e D, dove D è specializzante. 22 Cfr. A. VALLINI, Concorso di norme e di reati, in Le forme di manifestazione del reato (a cura di G. DE FRANCESCO), Torino 2011, p. 266.
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stabilito”. Detto inciso, in combinato disposto con le clausole di riserva23 contenute in numerose
fattispecie incriminatrici della parte speciale del codice24, ha indotto parte della dottrina25 e della
giurisprudenza26 a ritenere che il principio di specialità non sia l’unico principio di soluzione del concorso
apparente di norme.
Interpretando la ratio delle clausole di riserva espressamente contemplate dal legislatore, si è perciò
ritenuto di poter individuare dei criteri generali di risoluzione delle antinomie normative, uno dei quali è
costituito dal principio di sussidiarietà. In particolare, «la sussidiarietà si ha quando per identità, se non
del preciso bene giuridico tutelato, degli scopi prevalenti perseguiti dalle norme concorrenti, lo scopo
della norma che prevede un reato minore sia chiaramente assorbito da quello relativo ad un reato più
grave, il quale esaurisca il significato antigiuridico del fatto sicché appaia con evidenza inammissibile la
duplicità di tutela e di sanzione in relazione al principio di proporzione tra fatto illecito e pena che ispira
il nostro ordinamento».
Una norma è sussidiaria rispetto ad un’altra (norma principale) quando quest’ultima tutela, accanto al
bene giuridico protetto dalla prima norma, uno o più beni ulteriori o reprime un grado di offesa più grave
allo stesso bene27. Due sono i presupposti della sussidiarietà: il rapporto di specialità reciproca tra
fattispecie e l'assorbimento dell'interesse tutelato da una norma nell'interesse tutelato dall'altra. Accanto
alla sussidiarietà espressa, in cui l'assorbimento è previsto dalla stessa legge, con le clausole di riserva, si
ammette una sussidiarietà tacita, tramite l'estensione analogica del criterio di sussidiarietà espressa a casi
analoghi. Mentre il criterio di specialità ha carattere regolare, e su di esso s'incentra il concorso apparente,
la sussidiarietà ha carattere eccezionale, perché, ove si accetti la sua configurabilità, essa partecipa alla
struttura del concorso formale di reati (specialità reciproca).
1.3. (Segue): (c) l’assorbimento
23 Le clausole di riserva sono quelle formule inserite in una disposizione di parte speciale, volte a sancire la soccombenza di detta disposizione in caso di concorso con altre su di un medesimo fatto, secondo un modello di concorso apparente. Se la clausola attribuisce prevalenza a una o più norme specificatamente individuate, essa si dice “determinata” (v. art. 277 c.p.). È “relativamente determinata”, invece, quando il rinvio avviene nei confronti di reati non identificati nominalmente, ma in quanto appartenenti ad una certa categoria (v. ad esempio l’art. 494 c.p.). Infine la clausola è “indeterminata” se afferma genericamente l’inapplicabilità della disposizione che la contiene ove il fatto costituisca reato ai sensi di qualsiasi altra norma (v. art. 616 co. 1 c.p.). 24 Un esempio di tale clausola si ha nella norma che disciplina l’abuso d’ufficio, art. 323 c.p.: questa norma si apre con la formula normativa “salvo che il fatto non costituisca un più grave reato”. L’abuso d’ufficio è una norma che si autodichiara sussidiaria rispetto a qualsiasi altra norma che prevede o contempla lo stesso fatto punendolo in maniera più grave. Altra clausola di sussidiarietà si può riscontrare nell’art. 316 ter c.p., “indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato”. Questa norma si apre con una clausola di sussidiarietà determinata o specifica, in quanto l’art. 316 ter c.p. si autodichiara sussidiaria rispetto ad una norma determinata, l’art. 640 bis c.p.: “salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall’articolo 640 bis c.p.”. 25 Cfr. A. VALLINI, Concorso di norme e di reati, in Le forme di manifestazione del reato (a cura di G. DE FRANCESCO), Torino 2011, p. 298 In senso conforme v. ex multis G. FIANDACA- E. MUSCO, cit., p. 685. 26 Cass. pen., Sez. V, 09/03/1981, Fontana, in Giust. Pen., 1982, 2, 294. 27 Ad esempio, se Tizio prima percuote Caio, poi gli provoca una lesione e infine lo uccide: ci troviamo in questo caso di fronte a un crescente livello di offesa nei confronti di un medesimo bene giuridico (o comunque beni giuridici omogenei), ossia l’incolumità fisica in senso lato. Perciò, secondo il principio di sussidiarietà, troverebbe applicazione solamente la norma che prevede il grado di offesa più intenso, ovvero quella che disciplina l’omicidio.
11
I fautori della teoria pluralista, per descrivere un rapporto fra norme che comporta l’applicazione in via
esclusiva di una di esse, affiancano ai criteri della specialità e di sussidiarietà l’ulteriore criterio
dell’assorbimento o consunzione. Il principio di assorbimento “allarga il campo” rispetto al principio di
sussidiarietà: mentre quest’ultimo trova applicazione solamente di fronte a una progressione criminosa,
ossia a un’offesa crescente di un medesimo bene giuridico, l’assorbimento trova invece applicazione
anche nel caso in cui l’offesa verso un determinato bene giuridico, posta in essere da parte di un soggetto,
non possa essere realizzata senza il compimento di un’offesa collaterale (antecedente, contemporanea o
successiva) di un diverso bene giuridico. In questo caso trova applicazione la sola norma che sanziona
l’offesa più grave: questa assorbe le altre offese, nel senso che il trattamento sanzionatorio previsto per
l’offesa principale è un trattamento sanzionatorio dosato, modulato tenendo conto anche delle offese
collaterali28. In quest’ottica, sussidiarietà e assorbimento sono espressione di una medesima ratio
sostanziale: evitare cumuli sanzionatori eccessivi, evitare sanzioni eccessive rispetto all’offesa
effettivamente realizzata. Si ritiene che tali principi abbiano un proprio fondamento legislativo implicito e
non siano dunque delle semplici creazioni dottrinali, essendo conformi al principio di legalità29.
Inoltre, in diversi casi il codice penale fa riferimento ai principi di sussidiarietà e di assorbimento, pur
senza enunciarli in termini generali: si pensi a tal proposito a tutte le norme che si aprono con la clausola
di sussidiarietà, ossia tutte quelle norme che, prima di descrivere il fatto penalmente rilevante, contengono
una formula normativa di questo tipo: “salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, un altro
reato, quel determinato reato”. Con queste formule normative, il legislatore ci sta dicendo che quella
norma è sussidiaria rispetto all’altra e che ove il fatto integri due diverse fattispecie di reato presenti in
due diverse norme incriminatrici, trova applicazione solamente la norma principale a cui la norma
sussidiaria rinvia mediante la clausola di sussidiarietà.
Si pensi ad esempio al rapporto tra il reato di falso e il reato di uso di atto falso. Il nostro legislatore ci dice che il reato di uso
di atto falso è punibile solamente se è stato posto in essere da un soggetto diverso da quello che ha realizzato il falso o che ha
concorso nella falsificazione. Invece, se un soggetto prima falsifica l’atto e poi lo va ad utilizzare egli risponderà solamente del
falso non anche dell’uso dell’atto falso: l’uso dell’atto falso costituisce in questo caso un postfatto non punibile. A questo
punto dobbiamo cercare di capire qual è la ratio di questa non punibilità dell’utilizzo dell’atto falso nel caso di specie. Il
legislatore parte dal presupposto che chi crea un atto falso è normale che successivamente proceda ad utilizzarlo. Nel caso di
specie, il legislatore nell’andare a punire il falso protegge non solo la fede pubblica ma protegge anche un interesse ulteriore,
ossia quello in capo a quel soggetto che è tutelata dall’autenticità dell’atto. I reati di falso sono qualificati come reati
plurioffensivi, in quanto in primo luogo vanno a ledere la fede pubblica e, in secondo luogo, l’interesse in capo ad un
determinato soggetto tutelato dall’autenticità dell’atto. Tale ulteriore interesse non è leso tanto dal reato di falso in sé per sé ma
più che altro dalla successiva e prevedibile utilizzazione dell’atto falsificato. La norma che disciplina il falso in realtà punisce
anche la successiva e prevedibile utilizzazione dell’atto falsificato sicché, nel caso di specie, l’applicazione congiunta dell’art.
28 Consultabile nella videolezione del Consiglier R. GIOVAGNOLI in https://www.youtube.com/watch?v=M6-G-yflR9g 29 Consultabile nella videolezione del Consiglier R. GIOVAGNOLI in https://www.youtube.com/watch?v=M6-G-yflR9g
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482 c.p. e dell’art. 489 c.p. potrebbe determinare una lesione del principio del ne bis in idem nella circostanza in cui il soggetto
che ha proceduto all’utilizzazione dell’atto falsificato sia lo stesso che lo abbia creato30.
2. Più fatti concreti: le ipotesi di antefatto e postfatto non punibile
Situazioni particolari sono collegate al principio dell’assorbimento: postfatto non punibile e antefatto non
punibile. Il postfatto non punibile si ha nel momento in cui è ragionevole ritenere che a un reato ne
consegua un altro, il quale si presenta come una sua conseguenza inevitabile31. Nell’antefatto non
punibile si verifica l’inverso, invero il reato meno grave non verrà punito nel caso in cui l’agente
commetta un reato più grave32. La logica alla base dell’ipotesi di antefatto non punibile è quella della
sussidiarietà: tra più norme che prevedono stadi e gradi diversi di offesa dello stesso bene giuridico
prevale, come norma principale, e trova applicazione in via esclusiva, la norma che descrive lo stadio più
avanzato e il grado più intenso di offesa al medesimo bene o di beni analoghi, escludendo l’applicabilità
della norma sussidiaria ai fatti concreti antecedenti. In assenza di clausole espresse, le ipotesi tacite di
antefatto non punibile vengono ravvisate in casi di c.d. “progressione criminosa”33. Le ipotesi tacite di
postfatto non punibile sono numerose: si tratta di casi in cui il legislatore sancisce la punibilità “fuori dai
casi di concorso” in un fatto delittuoso antecedente34.
Prendiamo ad esempio l’art. 648 c.p. (Ricettazione) e l’art. 648-bis c.p. (Riciclaggio). Occorre cogliere il nesso esistente tra le
connotazioni assunte dai delitti di riciclaggio e reimpiego e la clausola, contenuta nell’incipit delle due disposizioni, che
prevedono entrambe l’impunità per tali reati nei confronti di colui che abbia commesso o concorso a commettere il delitto
presupposto. Le due ipotesi di delitto esordiscono facendo “salvi i casi di concorso di persone nel reato”, con la conseguenza
che il riciclaggio e l’impiego di denaro, beni o utilità, posti in essere dai partecipi dei delitti dai quali essi provengono non
determinano l’attribuzione di una responsabilità ulteriore rispetto a quella che deriva dall’art. 110 c.p.
Una parte della giurisprudenza35 ricollega la clausola, presente nell’incipit dei due articoli, al postfatto non punibile,
osservando che il disvalore della condotta susseguente è già incluso in quella precedente che integra il reato più grave e che le
operazioni di investimento dei proventi dei delitti costituiscono il normale sbocco della precedente attività criminale. Per tanto,
essendo tali condotte strettamente funzionali agli illeciti principali, sarebbe l’antefatto delittuoso a risolvere “sostanzialmente”
il contenuto offensivo della condotta consequenziale.
Capitolo 3
TRUFFA
30 Consultabile nella videolezione del Consiglier R. GIOVAGNOLI in https://www.youtube.com/watch?v=M6-G-yflR9g 31 Si pensi ad esempio il caso della falsificazione di monete e messa in commercio: è ragionevole ritenere che al reato più grave si accompagnerà il reato meno grave come sua diretta conseguenza. 32 È il caso del possesso ingiustificato di chiavi alterate e grimaldelli, al fine di commettere un furto (colui che detiene i grimaldelli o le chiavi contraffatte crea il pericolo che egli stesso li utilizzerà per commettere un furto). 33 Ad esempio nel medesimo contesto d’azione l’agente passi da semplici percosse alla causazione di lesioni personali. 34 Ad esempio se Tizio commette, come autore o partecipe, un determinato delitto e successivamente aiuta un complice a sottrarsi alle investigazioni o alle ricerche dell’autorità, risponderà soltanto del primo delitto, mentre la condotta di favoreggiamento personale assumerà il ruolo di postfatto non punibile (si veda art. 378 c.p.). 35 Cfr., Cass. pen., Sez. V, 10/01/2007, n. 8432, Gualtieri
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1. La truffa: nozione, struttura e presupposto
Il reato di truffa è disciplinato dall’art. 640 co. 1 c.p.36, ed è collocato tra i delitti contro il patrimonio
mediante frode (Capo II Titolo XIII del codice penale). Il bene giuridico protetto dall’articolo in esame va
identificato nel patrimonio in quanto offendibile attraverso il ricorso alla frode, per cui l’intangibilità dei
beni patrimoniali viene salvaguardata riguardo alla libertà di disporne al riparo da capziose intromissioni
altrui. A questa visione è stata attribuita una valenza di stampo pubblicistico. Più che elevare a oggetto di
tutela il patrimonio e la libertà di consenso individuale si è data importanza alla buona fede del pubblico
quale elemento dell’ordine pubblico generale37. Tuttavia, questa scelta di pubblicizzazione del bene
protetto è stata oggi contraddetta dalla L. n. 869/1981 che estende il delitto di truffa al regime della
perseguibilità a querela. In tal senso il legislatore ha voluto attribuire alla vittima la facoltà di escludere
l’intervento punitivo.
1.1. (Segue): elemento oggettivo e soggettivo
Nella ricostruzione dell’elemento oggettivo l’interprete deve tener ben presente il collegamento
eziologico tra gli artifizi38 e raggiri39 posti in essere dal soggetto attivo, l’induzione all’errore del soggetto
passivo, l’atto dispositivo (elemento implicito per via interpretativa), danno patrimoniale e profitto
ingiusto. Scomponendo la struttura del fatto tipico, il nucleo centrale della condotta incriminata sta
nell’attività volta a persuadere con l’inganno («induzione mediante artifizi o raggiri»). Questa attività
deve a sua volta determinare l’errore del soggetto passivo (errore che assume a sua volta la veste di errore
intermedio, poiché a sua volta produttivo dell’evento costituito dal danno patrimoniale).
Sia in dottrina che in giurisprudenza40 si ritiene che non è necessario che gli artifizi o i raggiri presentino
un particolare grado di intensità. Si afferma che soltanto la manifesta grossolanità o verosimiglianza
dell’inganno escludono il reato. Ove l’inganno sia in concreto riuscito, non occorre provare l’astratta
idoneità dell’artificio o del raggiro a trarre in errore41.
È controverso se il silenzio, la reticenza o comunque la condotta omissiva possano essere considerati
inganno. In senso affermativo è orientata la giurisprudenza42 dominante, la quale subordina la rilevanza
36 Detto articolo afferma “Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni e con la multa da euro 51 a euro 1032”. 37 Cfr., G. FIANDACA- E. MUSCO, Diritto penale parte speciale, vol. II tomo II, Malversazione e truffa, p. 175. In senso conforme v. ex multis V. MANZINI, Trattato, cit., p. 584. 38 Esso è definito come una manipolazione o trasfigurazione della realtà esterna, provocata mediante la simulazione di circostanze inesistenti o per contro, la dissimulazione di circostanze esistenti. 39 Esso consta nell’attività simulatrice sostenuta da parole o argomentazioni atte a far scambiare il falso per il vero. Il raggiro può esaurirsi in una semplice attività di persuasione che influenza anche la psiche altrui. 40 Cfr., G. FIANDACA- E. MUSCO, Diritto penale parte speciale, vol. II tomo II, Malversazione e truffa, p. 175. In senso conforme v. ex multis in giurisprudenza, Cass. pen., 03/12/1988, in Riv., pen., 1990,895. 41 Cfr., G. FIANDACA- E. MUSCO, Diritto penale parte speciale, vol. II tomo II, Malversazione e truffa, p. 176. In senso conforme v. ex multis Cass. pen., 14/11/1989, in Arch. Circolaz., 1990,578; Cass. pen., 09/02/1988, in Riv. pen., 1990, 556. 42 Cfr., G. FIANDACA- E. MUSCO, Diritto penale parte speciale, vol. II tomo II, Malversazione e truffa, p. 177. In senso conforme v. ex multis Cass. pen., 10/04/2000, in Cass. pen., Sez. II, 18/02/1988 n. 312.
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penale del silenzio o della reticenza su determinate circostanze alla violazione di uno specifico obbligo
giuridico di comunicarle alla parte interessata43.
Ci si chiede, poi, se possa trovare applicazione l’art. 640 c.p. anche quando la condotta posta in essere dal
soggetto attivo del reato sia di natura omissiva o di natura attiva tale da comportare una condotta omissiva
della controparte. Parte minoritaria della dottrina44 sostiene la tesi negativa, poiché la clausola di
equivalenza di cui l’art. 40 c.p. non opererebbe con riferimento ai reati a forma vincolata, e nel nostro
ordinamento non sarebbero inoltre rinvenibili obblighi giuridici di affermare il vero, tanto in senso
oggettivo che soggettivo45. Tuttavia, la dottrina e la giurisprudenza46 prevalente ritengono l’art. 640 c.p.
applicabile anche alle condotte omissive, poiché nella realtà dei rapporti giuridici non solo vi può essere
un dolo omissivo, ma anche una condotta caratterizzata da artifizi e raggiri di natura omissiva
ogniqualvolta, in base a regole più o meno comuni di condotta, il soggetto passivo si aspetti informazioni
rilevanti che invece non riceve. Ad ogni modo, è sempre necessario accertare che il comportamento
omissivo costituisca violazione di un obbligo giuridico di attivarsi, che costituisce il parametro di
individuazione della condotta stessa.
Gli eventi naturalistici di truffa, poi, sono stati individuati dalla dottrina prevalente nell’errore, nel danno,
nel profitto ingiusto, nonché, in via interpretativa, dal c.d. atto di disposizione patrimoniale operato dal
soggetto passivo a cagione dell’avvenuta induzione in errore.
Procedendo con ordine, ci si chiede se il concetto di errore47 possa ricomprendere, ai fini dell’applicabilità
dell’art. 640 c.p., anche l’ignoranza. L’ignoranza pura non presuppone un concreto contenuto
rappresentativo non corrispondente alla realtà, ma una completa mancanza di rappresentazione. Ciò
significa che il soggetto che ignori del tutto determinate circostanze non versa in uno stato di errore.
Requisito tacito o implicito della fattispecie di truffa è l’atto di disposizione patrimoniale da parte
dell’ingannato. Esso rappresenta il secondo evento del reato, quale effetto dell’errore (primo evento) e
tramite causale, a sua volta, del danno patrimoniale (terzo evento) subito dal soggetto passivo.
Il danno è l’ulteriore evento provocato dall’induzione in errore. Ancorché si tratti di un requisito richiesto
dall’art. 640 c.p., la determinazione della sua portata e dei suoi confini a oggi è problematica. Nel passato
si distingueva tra concezione giuridica48 e concezione economica49 del danno. Occorre rilevare che in
merito alla prima concezione essa trascura le situazioni economiche non inquadrabili nello schema del
diritto soggettivo ed inoltre considera come elementi costitutivi del patrimonio anche diritti privi di 43 Esempio è il caso di un presidente di una società sportiva, il quale, nel procedere alla vendita di un atleta, ha taciuto sulle precarie condizioni di salute di quest’ultimo. 44 Cfr., G. FIANDACA- E. MUSCO, Diritto penale parte speciale, vol. II tomo II, Malversazione e truffa, p. 178. In senso conforme v. ex multis C. PEDRAZZI, Inganno ed errore nei delitti contro il patrimonio, Milano, 1955, cit., 201 ss. 45 Si rinvia a riguardo a T. PADOVANI, Giustizia criminale. Menzogna e diritto penale, Pisa 2014. 46 Cass. pen., Sez II, 02/03/1996, n. 2333, (ud. 18/12/1995), P. M. in proc. Capra. 47 Per errore si intende la falsa o distorta rappresentazione di circostanze di fatto capaci di incidere sul processo di formazione della volontà. 48 Il patrimonio è inteso come somma dei rapporti giuridici (diritti ed obblighi) relativi alle cose di pertinenza di una persona, il danno consiste nella perdita di un diritto o dell’assunzione di un obbligo. 49 Il patrimonio è inteso come l’insieme dei beni economicamente valutabili, spettanti si di diritto che di fatto ad una persona.
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effettivo valore patrimoniale. La dottrina prevalente50 propende per una concezione economica del danno.
Il danno viene identificato come danno patrimoniale effettivo, sotto forma di “danno emergente” o “lucro
cessante”, accertabile secondo le valutazioni di mercato.
La truffa presuppone oltre che alla causazione del danno, il conseguimento di un profitto. Danno e
profitto vanno accertati dal giudice in reciproca autonomia poiché può accadere che al verificarsi del
primo non si accompagni il secondo o viceversa. L’orientamento dominante51 definisce il profitto come
effettivo accrescimento di ricchezza o come mancata diminuzione di ricchezza. Deve comunque trattarsi
di un profitto ingiusto52.
Per quanto concerne l’elemento soggettivo, la truffa è un reato a dolo generico. Il profitto dell’agente e il
danno della vittima non sono semplici scopi cui l’azione criminosa deve tendere, bensì devono trovare
attuazione nella realtà esterna. Il reato si consuma quando si verifica l’ultimo degli eventi provocati dalla
condotta ingannatrice, sia il danno o il profitto. Finché non sfocino negli eventi finali, gli artifizi o raggiri
idonei ex ante a ingannare la potenziale vittima possono ben integrare un tentativo di truffa punibile53.
2. Fattispecie aggravanti
Il capoverso dell’art. 640 c.p. prevede due circostanze aggravanti. La prima ricorre “se il fatto è commesso a danno dello stato
o di un altro ente pubblico o col pretesto di fare esonerare taluno dal servizio militare”. La truffa aggravata dal pretesto di fare
esonerare taluno dal servizio militare sembra trovare la sua ratio nell’esigenza di tutela dell’immagine della P.A. contro il
discredito che le deriverebbe dall’apparenza di corruttibilità54. La circostanza di favore alla punibilità della truffa in atti illeciti
ha avuto scarsissima applicazione giurisprudenziale55. Questa circostanza aggravante consta di una particolare forma di
raggiro: il pretesto56. Per l’applicabilità di una simile aggravante è necessario che lo Stato o un altro ente pubblico assuma il
ruolo di soggetto passivo quale destinatario del danno.
Circa la configurabilità della truffa in danno dello Stato nei termini di una ipotesi aggravata di reato assunto delle
caratteristiche peculiari: per un verso, con riguardo al danno il patrimonio pubblico è caratterizzato e vincolato al
conseguimento di scopi pubblici (emerge come profilo del danno la frustrazione degli scopi perseguiti con l’erogazione
pubblica57). Per altro verso, l’identificazione del soggetto passivo nello Stato incide sul modo di atteggiarsi nella
50 Cfr., G. FIANDACA- E. MUSCO, Diritto penale parte speciale, vol. II tomo II, Malversazione e truffa, p. 184. 51 Cfr., G. FIANDACA- E. MUSCO, Diritto penale parte speciale, vol. II tomo II, Malversazione e truffa, p. 189. In senso conforme v. ex multis G. MARINI, Truffa, cit., p. 885. 52 In tal senso si prospettano due linee interpretative. L’ingiustizia può essere concepita come sinonimo di illeceità e quindi come contrasto con una norma giuridica; oppure come una mancanza di titolo di legittimazione, cioè come acquisizione di ricchezza senza giusta causa. Si ritiene preferibile la seconda interpretazione, poiché altrimenti si restringerebbe troppo l’ambito di applicazione della fattispecie. 53 Cfr., Cass. pen., 20/04/2000, in Foro it., 2003, II, 28 ss. Ad esempio il reato di tentata truffa si ha nell’ipotesi di mancata timbratura del cartellino marcatempo da parte del dipendente della Asl, prima di recarsi in sala mensa per la pausa pranzo. 54 Cfr., G. FIANDACA- E. MUSCO, Diritto penale parte speciale, vol. II tomo II, Malversazione e truffa, p. 192. In senso conforme v. ex multis G. CORTESE, La struttura della truffa, cit., p. 373; F. MANTOVANI, Delitti contro il patrimonio, cit., p. 168. 55 Cfr., G. FIANDACA- E. MUSCO, Diritto penale parte speciale, vol. II tomo II, Malversazione e truffa, p. 192. In senso conforme v. ex multis M. ZANOTTI, La truffa, cit., p. 130 ss. 56 Il pretesto è un comportamento fraudolento che deve indurre la vittima a credere che l’autore possa darsi da fare per ottenere l’esonero. 57 Cfr., G. FIANDACA- E. MUSCO, Diritto penale parte speciale, vol. II tomo II, Malversazione e truffa, p. 195. In senso conforme v. ex multis G. FIANDACA, Frode valutaria e truffa ai danni dello Stato, cit. La tesi suddetta sembra suffragata dalla
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corresponsabilità della vittima nella dinamica della frode. In alcune ipotesi della giurisprudenza58 inerenti a questa figura di
truffa, non è ravvisabile l’atto dispositivo e inoltre incombe sullo Stato un obbligo di controllo sulla genuinità e veridicità delle
dichiarazioni, delle informazioni e dei dati che i privati devono fornire al fine di conseguire le prestazioni pubbliche.
La seconda circostanza aggravante ricorre “se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo
immaginario o l’erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell’autorità”. La ratio di questa circostanza sta
nell’insidiosità della condotta ingannatrice. La prima ipotesi prospettata consiste nel far sorgere nella vittima la paura di un
male futuro: l’evento di carattere psicologico deve essere il frutto del comportamento fraudolento dell’autore e non di una
minaccia59. La seconda ipotesi si caratterizza per il fatto che il raggiro dell’agente deve far credere falsamente alla vittima di
dover eseguire un ordine dell’autorità. Anche in questo caso il comportamento dell’autore non dovrà tradursi in una minaccia.
In caso di contemporanea presenza delle due ipotesi sopra menzionate si configura il concorso delle circostanze, trattandosi di
fattispecie a più norme60.
Il reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche è stato introdotto recentemente
con l’art. 640-bis c.p.61
2.1. (Segue): circostanza aggravante o autonoma figura di reato?
Un ulteriore problema è se l’art. 640-bis c.p. configuri una circostanza aggravante della truffa o una
autonoma figura di reato. Nel primo caso62 si avrà l’identica struttura del fatto e l’intitolazione della
rubrica, a favore della seconda tesi63 si avrà invece una diversa qualificazione del bene protetto, essendo
l’oggetto di tutela costituito dal complesso delle risorse pubbliche destinate a obiettivi di incentivazione
economica. Sulla questione è stato ritenuto necessario l’intervento delle Sezioni Unite64, le quali hanno
optato per la natura circostanziale dell’art. 640-bis c.p., privilegiando il criterio strutturale della
descrizione del precetto penale, che avviene “attraverso il rinvio al fatto-reato previsto nell’art. 640”. circostanza che l’art. 640-quater estende, nel caso di condanna, la confisca obbligatoria dei beni che costituirono il profitto o il prezzo del reato, prevista dall’art. 322-bis per i reati di malversazione […]. 58 Cfr., G. FIANDACA- E. MUSCO, Diritto penale parte speciale, vol. II tomo II, Malversazione e truffa. In senso conforme v. ex multis G. MARINI, Truffa, cit., p. 878. In giurisprudenza, a proposito della truffa in danno a enti pubblici economici, v. Cass. pen., 20/09/2000, in Riv. pen., 2001, p. 63. 59 Ad esempio una fattucchiera, sfruttando la superstizione della vittima si fa dare del denaro facendole credere che, senza un determinato sortilegio, una persona cara morirà a causa di un incidente stradale. La stessa fattucchiera, sempre sfruttando la superstizione della vittima, si fa dare del denaro minacciando fatture mortali nei confronti del figlio. In entrambi i casi il male minacciato è immaginario: nel primo, la disposizione patrimoniale è l’effetto dell’inganno; nel secondo, consegue ad una minaccia. 60 Cfr., G. FIANDACA- E. MUSCO, Diritto penale parte speciale, vol. II tomo II, Malversazione e truffa, p. 194. In senso conforme v. ex multis G. MARINI, Truffa, cit., p. 887. 61 Detto articolo stabilisce che “la pena è della reclusione da 1 a 6 anni e si procede d’ufficio se il fatto di cui all’art. 640 riguarda contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominati, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee”. 62 Cfr., G. FIANDACA- E. MUSCO, Diritto penale parte speciale, vol. II tomo II, Malversazione e truffa, p. 197. In senso conforme v. ex multis M. PELISSERO, Truffa per conseguire erogazioni pubbliche: circostanza aggravante o fattispecie autonoma? (nota a Cass. 15/10/1998), in Dir. pen. e proc., 1999, 341; Truffa aggravata, cit., p. 929; G. SPAGNOLO, Breve commento, cit., p.703. 63 Cfr., G. FIANDACA- E. MUSCO, Diritto penale parte speciale, vol. II tomo II, Malversazione e truffa, p. 197. In senso conforme v. ex multis Cass., 27/10/2000, in Dir. pen. e proc., 2001, 64, con nota di S. CORBETTA, Sintesi della giurisprudenza. Truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche: è fattispecie autonoma; D’Arma, Sulla natura giuridica della truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, in Cass. pen., 1999, n. 1235. 64 Cass. pen., Sez. Un., 26/06/2002, in Dir. pen. e proc., 2003, 295 s, con nota di R. BARTOLI, Truffa aggravata per conseguire erogazioni pubbliche: una fattispecie davvero circostanziante?; Cass. pen., 2003, n. 3368, con nota di ARIOLLI, La truffa per il conseguimenti di erogazioni pubbliche è una circostanza aggravante del reato di cui all’art. 640 c.p.
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2.2. (Segue): elemento oggettivo
Quanto all’elemento oggettivo, la fattispecie è costituita dagli stessi requisiti della truffa, fatta salva la
specificità inerente all’oggetto della frode: contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre
erogazioni dello stesso tipo. L’identificazione di tutte le forme di erogazioni rientranti nell’art. 640-bis
c.p. è affidata alla discrezionalità interpretativa del giudice. Il concetto di “contributo” è piuttosto
generico e ci si è chiesti se esso ricomprenda soltanto le contribuzioni pubbliche finalizzate al sostegno
dell’attività economica o anche quelle destinate a favorire le attività socio-culturali.
Capitolo 4
MALVERSAZIONE AI DANNI DELLO STATO
1. Reato di malversazione: nozione
L’art. 316-bis c.p.65 punisce le frodi nei finanziamenti pubblici. Invero, il ricorso al reato di truffa ex art.
640 c.p. appariva problematico nei casi in cui la captazione illecita dei finanziamenti non fosse
accompagnata da veri e propri artifizi o raggiri, oppure ne risultasse difficile la prova in sede processuale.
La prima norma incriminatrice è stata introdotta per reprimere l’ottenimento di indebite sovvenzioni
comunitarie alla produzione agricola66, successivamente la L. n. 55/1990 ha introdotto nuove disposizioni
per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso introducendo l’art. 640-bis c.p. Ancorché segni un
passo avanti nella prospettiva di una più efficace repressione di fenomeni fraudolenti, la nuova fattispecie
solleva alcune riserve. Invero presenta una struttura che si discosta dai modelli di incriminazione ma
appare approssimativa sul piano della tipizzazione del fatto incriminato.
Il soggetto attivo del reato è un individuo estraneo alla P.A. e in quanto privo di ruoli pubblicistici, appare
discutibile la collocazione della malversazione ai danni dello Stato tra i delitti dei pubblici ufficiali contro
la P.A. Su questo punto alcuni sostengono che si tratti di un reato proprio perché il soggetto attivo non
può essere un qualsiasi individuo, ma soltanto il soggetto beneficiario del finanziamento67.
1.1. (Segue): fattispecie criminosa
La condotta incriminata ha natura omissiva: essa consiste nel non destinare i contributi, le sovvenzioni o i
finanziamenti alle previste finalità di pubblico interesse. Bisogna precisare che la mancata destinazione si
65 Detto articolo stabilisce che “Chiunque, estraneo alla pubblica amministrazione, avendo ottenuto dallo Stato o da altro ente pubblico o dalle Comunità europee contributi, sovvenzioni o finanziamenti destinati a favorire iniziative dirette alla realizzazione di opere od allo svolgimento di attività di pubblico interesse, non li destina alle predette finalità, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni”. 66 L’art. 5 L. n. 898/1986 punisce con la reclusione da 6 mesi a 3 anni “Chiunque mediante l’esposizione di dati o notizie false consegue indebitamente per sé o per altri, aiuti, premi, indennità, restituzioni, contributi o altre erogazioni a carico totale o parziale del fondo europeo agricolo di orientamento e garanzie”. 67 Cfr., G. FIANDACA- E. MUSCO, Diritto penale parte speciale, vol. II tomo II, Malversazione e truffa, p. 202. In senso conforme v. ex multis M. PELISSERO, Osservazioni, cit., p. 182 s. ma in senso contrario F. COPPI, Profili dei reati di malversazione, cit., p. 63.
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ha sia nel caso in cui il soggetto beneficiario si astenga del tutto dall’impiegare le somme ricevute, sia nel
caso in cui egli le destini ad uno scopo diverso a quello per il quale il finanziamento è stato concesso68.
Nel caso di condotta omissiva pura (cioè il mancato impiego delle risorse non accompagnato da una loro
distrazione ad altri fini), occorre accertare con attenzione se la mancata destinazione delle risorse ai fini
prestabiliti non sia dovuta a fattori oggettivi, o comunque a cause non imputabili all’agente.
1.2. (Segue): interesse protetto
L’oggetto materiale del reato è rappresentato dai contributi, dalle sovvenzioni e dai finanziamenti
destinati dallo Stato, da altro ente pubblico, dalle Comunità Europee, al fine di favorire iniziative dirette
alla realizzazione di opere o allo svolgimento di attività di pubblico interesse. Dunque, l’interesse protetto
dalla fattispecie attiene, più che alla P.A., all’economia pubblica; più precisamente, oggetto di tutela è la
corretta gestione e allocazione delle risorse pubbliche.
1.3. (Segue): dolo
L’elemento psicologico del reato in esame è rappresentato dal dolo generico. Esso consiste nella cosciente
e volontaria distrazione dei contributi pubblici ottenuti, dalle finalità per le quali erano stati previsti, al
fine di perseguire degli scopi che sono incompatibili con il pubblico interesse.
Capitolo 5
L’OGGETTO E LE RAGIONI DEL CONTRASTO
GIURISPRUDENZIALE E DOTTRINALE
1. Premessa: la questione rimessa alle Sezioni Unite
La questione che ha interessato le Sezioni Unite riguarda il ricorso proposto dalla Sig.ra Stalla Paola e la
Sig.ra Battilana Franca avverso la sentenza del 18/02/2016 della Corte di appello di Genova. Detta
sentenza confermava quella di primo grado, emessa dal Tribunale di Genova, con la quale si dichiarava
l’estinzione per prescrizione del delitto di cui all’art. 640-bis c.p.69, e si riconosceva la Sig.ra Stalla Paola
e la Sig.ra Battilana Franca colpevoli del delitto di cui all’art. 316-bis c.p.70, limitatamente alla cessione,
68 Cfr., G. FIANDACA- E. MUSCO, Diritto penale parte speciale, vol. II tomo II, Malversazione e truffa, p. 202. In senso conforme v. ex multis F. COPPI, Profili dei reati di malversazione, cit., p. 69; P. PISA, Malversazione a danno dello Stato, cit., p. 49 ss.; M. PELISSERO, Osservazioni, cit., p. 195. 69 Si tratta di un’ipotesi aggravata di truffa per la quale è prevista la reclusione da 1 a 6 anni, riguardante “contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee”. 70 Detto articolo punisce con la reclusione da 6 mesi a 4 anni “Chiunque, estraneo alla pubblica amministrazione, avendo ottenuto dallo Stato o da altro ente pubblico o dalle Comunità europee contributi, sovvenzioni o finanziamenti destinati a favorire iniziative dirette alla realizzazione di opere o allo svolgimento di attività di pubblico interesse, non li destina alle predette finalità”.
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non autorizzata da Sviluppo Italia s.p.a., di beni strumentali della società C.E.D. & Multiservice s.a.s.,
acquisiti attraverso le provvidenze erogate ai sensi del d.lgs. n. 185/2000.
Il delitto di cui all'art. 640-bis c.p. è stato contestato sul presupposto che le provvidenze di cui al d.lgs.
185/2000 fossero state ottenute attraverso l'artificiosa rappresentazione dei relativi presupposti; il delitto
di cui all'art. 316-bis c.p., è stato contestato con riguardo alla dispersione dei beni strumentali della
C.E.D. & Multiservice s.a.s., parte dei quali ceduti alla stessa Battilana, senza autorizzazione scritta di
Sviluppo Italia s.p.a., in violazione del vincolo di destinazione impresso originariamente su quei beni.
Nel caso in esame, i ricorrenti hanno presentato separati ricorsi, coincidenti con riguardo ai primi tre
motivi, sostenendo che i due reati contestati non possano concorrere tra loro71.
Tra i vari motivi di ricorso, quello su cui ci si deve soffermare è il terzo, comune alle due ricorrenti,
incentrato sull'assunto della non configurabilità del concorso del delitto di cui all'art. 316-bis c.p. e del
delitto di cui all'art. 640-bis c.p., nel presupposto che il secondo sia destinato ad assorbire il primo, induce
a rimettere la questione alle Sezioni Unite.
Alle Sezioni Unite, dunque, è stato posto il quesito concernente il caso in cui «un’erogazione da parte di
un ente pubblico di contributo o di finanziamento, ottenuto fraudolentemente, il delitto di cui all’art. 640-
bis c.p. concorra con quello di cui all’art. 316-bis c.p., ove il contributo finalizzato a favorire attività di
interesse pubblico sia destinato almeno in parte ad altre finalità, ovvero assorba tale ultimo delitto, nel
presupposto che esso realizzi uno stadio minore dell’offesa al medesimo bene protetto».
Proprio perché i finanziamenti sono stati ottenuti in maniera illecita ci fa pensare che si potrebbe
affermare l’esistenza di un concorso apparente di norme72. Quello che dobbiamo cercare di capire è quale
tra i criteri sia più idoneo a soddisfare le nostre esigenze interpretative.
2. La valutazione dei criteri applicabili
2.1. Il principio di specialità: l’inapplicabilità
Preliminarmente, si osserva che l’intreccio tra le due fattispecie incriminatrici si realizza nel momento in
cui l’agente ottenga con la frode un finanziamento e vi imprima una destinazione diversa dalla sua finalità
pubblicistica. Secondo una prima impostazione73, i due reati possono concorrere tra loro, denotando una
diversità strutturale e teleologica. Sotto il profilo della condotta tipica, si osserva che l’art. 316-bis c.p.
non presuppone l’ottenimento fraudolento del contributo, ma si concentra sulla sua distrazione e 71 L’esame di tale motivo di ricorso è stato ritenuto pregiudiziale dalla VI Sezione, poiché dal suo accoglimento discenderebbe la necessità di dichiarare l’estinzione dell’unico e assorbente reato di truffa aggravata, e quindi di prosciogliere le imputate dal reato di malversazione per cui erano state condannate nei precedenti gradi di giudizio. 72 Cass. pen., Sez. VI, 12/05/2009, n. 23063. Nello stesso senso, Cass. pen., Sez. II, 18/09/2014, n. 42934. In senso conforme v. ex multis C. BENUSSI, Note sul delitto di malversazione a danno dello Stato in Riv. trim. dir. pen. econom., 1997, p. 1066 s.; M. GAMBARDELLA, Sub art. 316-ter, in I delitti contro la personalità dello Stato, I delitti contro la pubblica amministrazione, Lattanzi G. e Lupo E. (a cura di), in AA.VV., Codice penale, Vol. III, Milano, 2005, p. 58; A. PAGLIARO, P. GIUSINO, Principi di diritto penale – Parte speciale, X ed., 2008, p. 121; M. ROMANO, I delitti contro la Pubblica Amministrazione, I delitti dei pubblici ufficiali, II ed., Milano, 2006, p. 74; S. SEMINARA, Sub art. 316-bis, in A. Crespi-F. Stella-G. Zuccalà, Commentario breve al codice penale, V ed., 2008, p. 762 s. 73 Cass. pen., Sez. II, 24/11/2011, n. 43349
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destinazione a scopi diversi da quelli per cui è stato concesso. La truffa presuppone, invece,
necessariamente la frode quale mezzo per il conseguimento dell’erogazione. Si individuano allora due
comportamenti illeciti differenti, puniti da norme diverse, ben potendosi concepire un finanziamento
ottenuto con modalità fraudolente, ma poi destinato alle finalità previste, e un’erogazione ottenuta
lecitamente, ma poi distratta dalle sue finalità.
2.2.La sussidiarietà: il possibile criterio risolutore
Secondo un contrapposto orientamento74, si ritiene invece che tra le due norme intercorra un rapporto di
sussidiarietà, alla stregua del quale, il reato di malversazione di cui all’art. 316-bis c.p. avrebbe natura
sussidiaria e residuale, rispetto alla truffa di cui all'art. 640-bis c.p. A sostegno di tale impostazione, si
esclude che possa avere rilevanza l’astratta diversità del fatto tipico, poiché il problema sorge proprio
quando la diversa destinazione venga impressa in presenza di erogazione ottenuta fraudolentemente.
Piuttosto che ad un rapporto di specialità si dovrebbe far riferimento alla sussidiarietà, applicabile in
presenza di fattispecie che realizzino gradi diversi di offesa al medesimo bene giuridico, affermandosi che
la diversa destinazione impressa al finanziamento ottenuto mediante frode, rappresenti in realtà la fase
esecutiva del medesimo progetto criminoso. In tale ottica, il diverso impiego del finanziamento non
sarebbe altro che una conseguenza naturale del conseguimento dell’erogazione con artifizi e raggiri.
Invero, non potrebbero sanzionarsi autonomamente due comportamenti offensivi dello stesso bene,
seppur afferenti a due momenti cronologicamente distinti. La truffa tutelerebbe il patrimonio da atti di
frode, aggravata nel caso di conseguimento di erogazioni pubbliche; la malversazione tutelerebbe la P.A.
da atti contrari agli interessi della collettività, anche di natura non patrimoniale.
2.3. L’assorbimento: il criterio giusto
Riteniamo tuttavia di condividere l’orientamento75 in base al quale si ritiene applicabile il principio di
assorbimento, poiché entrambe le condotte (la cessione dei beni aziendali al patrimonio personale delle
imputate in violazione del vincolo di destinazione impresso in sede di erogazione del mutuo agevolato e il
fraudolento ottenimento dell’erogazione) hanno arrecato offesa a beni tra loro omogenei. Invero, sia la
truffa a danno dello Stato sia la successiva malversazione hanno offeso tanto il patrimonio pubblico,
quanto il buon andamento della P.A. erogante. Sotto il profilo della condotta tipica, si osserva che la
malversazione non presuppone l’ottenimento fraudolento del contributo. Tuttavia nel caso in esame la
74 Cass. pen., Sez. VI, 12/05/2009 n. 23063, Bilotti, 244180; Cass. pen., Sez. II, 09/07/2004 n. 39644, Ambrosio, rv. 230365. 75 Cfr., sul punto, ad esempio, G. FIANDACA-E. MUSCO, cit., p. 716, ove si afferma “è ben possibile interpretare l’art. 15 del codice penale, che fa espresso riferimento al principio di specialità, come una norma che intende disciplinare non il generale fenomeno del concorso di norme, bensì una specifica ipotesi di concorso: quella nella quale le norme concorrenti si trovano, appunto, in rapporto di genere a specie; non dicendo alcunché sulle ipotesi diverse dalla specialità, l’art. 15 non può di conseguenza escludere che nel nostro ordinamento possano operare altri criteri legislativamente non previsti”.
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captazione del finanziamento è avvenuta con artifizi e raggiri (si ricorda che la Sig.ra Battilana aveva
dichiarato di avere tutti i requisiti idonei previsti dal d.lgs n. 185/2000).
La ragione che ci induce a ritenere applicabile al caso di specie il criterio dell’assorbimento è che la
fattispecie che incrimina la truffa è di per sé sufficiente a esprimere l’intero disvalore della condotta,
facendo degradare il comportamento illecito successivo ad un mero postfatto non punibile. Anche se il
reato descritto ai sensi dell’art. 640-bis c.p. risulta prescritto, e di conseguenza l’assorbimento del
secondo reato nel primo, estintosi, condurrebbe all’impunità delle imputate per entrambi i fatti bisogna
tenere presente che l’assorbimento costituisce espressione di un criterio volto a regolare un rapporto tra
norme giuridiche e non tra fattispecie concrete.
Concludendo, riteniamo, dunque, applicabile al caso in esame il criterio dell’assorbimento poiché i beni
giuridici sono tra loro omogenei e si può ben vedere come la condotta meno grave (la malversazione)
risulti una normale e prevedibile conseguenza del primo reato. Secondo questa logica, il reato susseguente
non sarà punibile tutte le volte in cui esso risulti un normale sviluppo della condotta precedente con il
quale l’agente consegue o consolida vantaggi derivanti dal primo reato.
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BIBLIOGRAFIA
G. FIANDACA- E. MUSCO, Diritto penale parte speciale, vol. II tomo II, Malversazione e truffa, p. 192 ss.;
G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Manuale di Diritto Penale Parte Generale, IV Ed., 2012, Milano, p. 454;
A. VALLINI, Concorso di norme e di reati, in Le forme di manifestazione del reato (a cura di G. DE FRANCESCO), Torino 2011.