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MONZA, 13 - 15 Ottobre 2016 RELAZIONE dell’Avv. Prof. Bruno SANTAMARIA Nuovo delitto di omessa bonifica art. 452-terdecies c.p.) e ruolo della pubblica amministrazione: dalla ricerca del responsabile all’obbligo legale di intervento”

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MONZA, 13 - 15 Ottobre 2016

RELAZ IONE

dell’Avv. Prof. Bruno SANTAMARIA

“Nuovo delitto di omessa bonifica

art. 452-terdecies c.p.) e ruolo della pubblica

amministrazione: dalla ricerca del responsabile

all’obbligo legale di intervento”

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Congresso Giuridico Forense 2016 Relazione dell’Avv. Prof. Bruno SANTAMARIA

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Nuovo delitto di omessa bonifica (art. 452-terdecies c.p.) e ruolo della

pubblica amministrazione: dalla ricerca del responsabile all’obbligo legale di intervento.

1. Premessa. Come noto grande attenzione è da tempo dedicata alla materia ambientale, sia

a livello comunitario (si pensi alla direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004 sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale o alla direttiva 2008/99/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008 sulla tutela penale dell’ambiente), sia nell’ambito del diritto nazionale, per fronteggiare l’esigenza di prevenire oltre che reprimere efficacemente condotte sia potenzialmente che effettivamente lesive del bene ambiente, complessivamente inteso.

Recentemente la Corte di Giustizia UE (sez. III, sentenza n. 534 del 04/03/2015 – causa C-534/2013) ha ribadito come la politica dell’Unione miri ad un elevato livello di tutela dell’ambiente, fondandosi sui principi della precauzione e dell'azione preventiva, della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché sul principio "chi inquina paga” (art. 191 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea), esplicitamente richiamato nel nostro ordinamento agli artt. 239 e 3-ter del DLgs n. 152/06.

In base al fondamentale principio da ultimo richiamato, la prevenzione e la riparazione del danno ambientale devono gravare su colui che l’ha prodotto o che ha concorso a produrlo, nel senso che sarà l'operatore la cui attività ha causato un danno ambientale o la minaccia imminente di tale danno ad essere considerato finanziariamente responsabile e a dover sostenere il costo delle necessarie misure di prevenzione o di riparazione, questo in modo tale che tutti gli operatori siano indotti ad adottare misure e a sviluppare pratiche atte a ridurre al minimo i rischi di danno ambientale.

Invero, lo stesso Consiglio di Stato, in sede Plenaria (sentenza n. 21/13), pur riconoscendo come tale principio costituisca “regola giuridica precettiva, su cui si fonda tutto il sistema di responsabilità ambientale” ha ritenuto ancora incerti i margini della sua reale portata precettiva, in quanto “se c'è concordia nel ritenere che la sua ratio sia quella di "internalizzare" i costi ambientali (c.d. esternalità ovvero costi sociali estranei alla contabilità ordinaria dell'impresa), evitando di farli gravare sulla collettività o sugli enti rappresentativi della stessa, sono incerti i "limiti" che incontra questa operazione di "internalizzazione" del costo ambientale” ovvero “se il danno ambientale possa essere addossato soltanto a "chi" abbia effettivamente inquinato (di cui sia stata, pertanto, accertata la responsabilità) o se, al contrario, pur in assenza dell'individuazione del soggetto responsabile, ovvero di impossibilità di questi a far fronte alle proprie obbligazioni, il principio comunitario, postuli, comunque di evitare che il costo degli interventi gravi sulla collettività, ponendo tali costi quindi, comunque, a carico del proprietario.

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Ciò in quanto, escludere che i costi derivanti dal ripristino di siti colpiti da inquinamento venga sopportato dalla collettività, costituirebbe proprio la ragion d'essere sottesa al principio comunitario del "chi inquina paga"”.

La soluzione attualmente condivisa dalla giurisprudenza interna è quella per cui le misure di riparazione di una contaminazione ambientale possono essere imposte solo al soggetto responsabile - o corresponsabile - del pregiudizio o del rischio di pregiudizio ambientale a prescindere dal fatto che sia proprietario o meno del sito in questione e che il soggetto incolpevole ha una mera facoltà di sostituirsi al responsabile, rivalendosi su di lui delle spese sostenute: questo in quanto tale quadro è previsto proprio dalla nostra normativa in materia ambientale (DLgs n. 152/06) che la stessa Corte di Giustizia UE ha escluso si ponga in contrasto con i principi e la normativa comunitaria.

Il nostro codice dell’ambiente prevede però che se il responsabile non è individuato o non si attivi, dovrà intervenire d’ufficio - per le operazioni di caratterizzazione ed eventuale bonifica - la pubblica amministrazione in quanto è intollerabile che la situazione di (potenziale) inquinamento non venga rimossa, punendo peraltro a titolo contravvenzionale il responsabile che, pur essendosi attivato, non abbia poi bonificato i luoghi contaminati (per accertato superamento delle concentrazioni soglia di rischio) secondo il progetto approvato dall’amministrazione.

Ciò detto, va evidenziato come il recente intervento normativo di cui alla legge n. 68/15 si sia spinto oltre nella tutela del bene ambiente, anche e soprattutto nel settore della bonifica dei suoli contaminati, in quanto ha introdotto nuove fattispecie incriminatrici, costruite come “delitti,” per sanzionare (penalmente e) più gravemente condotte a forma libera sostanzialmente e fortemente lesive di tale bene giuridico, e ha mostrato di seguire un’ottica diversa da quella adottata in precedenza in materia di bonifica dei suoli, laddove si è ricorsi ad ipotesi contravvenzionali incriminanti condotte in qualche modo “irrispettose” dei doveri procedimentali incombenti sul privato nei confronti della pubblica amministrazione o delle decisioni dalla stessa assunte, come nel caso di omessa comunicazione delle misure di prevenzione assunte o di omessa bonifica secondo il progetto approvato dall’amministrazione competente ai sensi dell’art. 242 del DLgs n. 152/06 di un sito, in cui si sia accertato il superamento delle concentrazioni soglia di rischio, ipotesi contravvenzionali contemplate dall’art. 257 del DLgs n. 152/06.

Con la legge n. 68/15 il legislatore è infatti intervenuto per garantire una tutela rafforzata dell’ambiente ed in particolare ha introdotto – all’interno del nuovo Titolo VI-bis del c.p. – il delitto di omessa bonifica (452-terdecies c.p.) in cui si incrimina la mancata attuazione di bonifica, recupero o ripristino dello stato dei luoghi, doverosi per legge, ordine del giudice o dell’autorità pubblica, delitto destinato in qualche modo a convivere con la preesistente contravvenzione di omessa bonifica sopra citata (peraltro modificata dalla legge n. 68/15) e nel quale il ruolo della pubblica amministrazione (latamente intesa) acquisisce, come vedremo, una duplice valenza penalmente rilevante.

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2. Il nuovo delitto di omessa bonifica introdotto dalla L. n. 68/15 (art. 452-

terdecies c.p.). Come detto, il legislatore italiano ha introdotto il nuovo reato di omessa

bonifica all’art. 452-terdecies c.p., il quale prevede che: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, essendovi obbligato per legge, per ordine del giudice ovvero di un'autorità pubblica, non provvede alla bonifica, al ripristino o al recupero dello stato dei luoghi è punito con la pena della reclusione da uno a quattro anni e con la multa da euro 20.000 a euro 80.000».

Dalla tipologia di pena prevista dalla legge, si evince chiaramente come si tratti di un delitto e non di una contravvenzione, il quale viene però a configurarsi solo laddove il fatto contestato non costituisca più grave reato, evenienza che si potrebbe ad esempio configurare laddove la mancata bonifica/rispristino/recupero dello stato dei luoghi abbia determinato un “disastro ambientale” (art. 452-quater c.p.), reato di recente introduzione, che troverebbe quindi esclusiva applicazione.

Tale delitto è costruito come reato omissivo, a forma libera (integrabile con qualsiasi condotta che porti alla mancata bonifica/ripristino/recupero dello stato dei luoghi), proprio in quanto pur rivolgendosi a “chiunque” può essere commesso solo da un soggetto qualificato ovvero colui che è obbligato ad effettuare bonifica, ripristino e recupero dello stato dei luoghi, in quanto destinatario di un obbligo di legge, di un ordine del giudice (civile o penale) o di una pubblica autorità (l’amministrazione).

Peraltro la norma non richiede – diversamente dalla contravvenzione prevista e punita dall’art. 650 c.p. (Inosservanza dei provvedimenti dell’autorità) – che l’ordine dell’autorità sia legalmente dato e quindi legittimo, ma punisce il destinatario dell’ordine dell’autorità pubblica che tale obbligo non adempia.

La norma, per come formulata, pare incriminare distintamente ed alternativamente sia la mancata bonifica, sia il mancato rispristino sia il mancato recupero dello stato dei luoghi, ma il legislatore non dà contestualmente una specifica nozione di bonifica, rispristino, recupero rilevante per questa nuova fattispecie incriminatrice, sicché soccorrono in tal senso le norme del DLgs n.152/06.

Ai sensi dell’art. 240, comma 1 lett. p) del DLgs n. 152/06 per bonifica (dei siti contaminati) si intende “l'insieme degli interventi atti ad eliminare le fonti di inquinamento e le sostanze inquinanti o a ridurre le concentrazioni delle stesse presenti nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee ad un livello uguale o inferiore ai valori delle concentrazioni soglia di rischio (CSR)”; mentre ai sensi dell’art. 240, comma 1 lett. q) per “ripristino e ripristino ambientale” si intendono “gli interventi di riqualificazione ambientale e paesaggistica, anche costituenti

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complemento degli interventi di bonifica o messa in sicurezza permanente, che consentono di recuperare il sito alla effettiva e definitiva fruibilità per la destinazione d'uso conforme agli strumenti urbanistici”.

L’art. 240 cit. tuttavia non definisce, ai fini della bonifica dei siti inquinati, le operazioni di recupero dello stato dei luoghi.

Anche il nuovo art. 452-duodecies c.p.(1) rubricato Ripristino dello stato dei luoghi e introdotto contestualmente al nuovo reato di omessa bonifica, richiama ma non definisce il concetto (penalmente rilevante) di recupero, con riferimento allo stato dei luoghi, né richiama per esso il Codice dell’ambiente, che invero utilizza il termine recupero con riferimento alle operazioni di riutilizzo dei rifiuti, con il rischio di equivoci.

Come evidenziato nella relazione dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione del 29/05/2015 di commento alla legge n. 68/15, il lemma dovrebbe essere interpretato in modo omnicomprensivo nel senso di riguardare “ogni attività materiale e giuridica necessaria per il “recupero” dell’ambiente inquinato o distrutto, e dunque anche e soprattutto la bonifica del sito da ogni particella inquinata o da ogni agente inquinante”, precisando che “il ripristino si colloca evidentemente su un piano ulteriore che contempla, ove possibile, la ricollocazione e riattivazione delle componenti che siano andate distrutte ovvero rimosse in quanto irrimediabilmente compromesse”; in ciò quindi confermando la non sovrapponibilità dei tre diversi concetti (bonifica ripristino, recupero).

Peraltro l’obbligo di bonifica pare sorgere solo in caso di superamento delle CSR da accertare previa analisi di rischio sito specifica (Cass. Pen, sez. III, sent. n. 9492/2009), analisi che viene effettuata sulla base delle risultanze della previa caratterizzazione del sito, a sua volta doverosa nel momento in cui venga dimostrato l’avvenuto superamento delle CSC.

Solitamente il ripristino è invece fase finale o comunque successiva alla bonifica stessa.

Dalla lettura piana della norma deriva che il nuovo delitto potrebbe configurarsi anche in caso di inottemperanza, da parte del privato, ad un ordine dell’amministrazione di svolgimento di tutte le attività utili e necessarie al ripristino

1 Art. 452-duodecies c.p.: “Quando pronuncia sentenza di condanna ovvero di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale per taluno dei delitti previsti dal presente titolo, il giudice ordina il recupero e, ove tecnicamente possibile, il ripristino dello stato dei luoghi, ponendone l'esecuzione a carico del condannato e dei soggetti di cui all'articolo 197 del presente codice. Al ripristino dello stato dei luoghi di cui al comma precedente si applicano le disposizioni di cui al titolo II della parte sesta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in materia di ripristino ambientale”.

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ambientale dell’area ed al recupero dello stato dei luoghi, senza riferimento espresso alla bonifica.

Quanto al tentativo si tende ad escluderne la configurabilità, essendo un reato omissivo, anche se alcuni commentatori ipotizzano la tentata omessa bonifica nel caso di una Società che si adoperi inizialmente, in conformità a quanto imposto, a procedere alla bonifica, ma che, prima della scadenza del termine, provochi fraudolentemente il proprio fallimento per evitare di sostenere i costi della bonifica stessa.

Per tale delitto opera la particolare e nuova attenuante del ravvedimento operoso (art. 452-decies(2)) nonché l’aggravante ambientale di nuova introduzione (art. 452-novies(3)); esso non è richiamato né tra i delitti puniti anche a titolo di colpa (art. 452-quinquies(4)) nè tra i nuovi ecodelitti per i quali è prevista la confisca (art. 452-undecies(5)).

2 Art. 452-decies c.p.: “Le pene previste per i delitti di cui al presente titolo, per il delitto di associazione per delinquere di cui all'articolo 416 aggravato ai sensi dell'articolo 452-octies, nonché per il delitto di cui all'articolo 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, sono diminuite dalla metà a due terzi nei confronti di colui che si adopera per evitare che l'attività delittuosa venga portata a conseguenze ulteriori, ovvero, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, provvede concretamente alla messa in sicurezza, alla bonifica e, ove possibile, al ripristino dello stato dei luoghi, e diminuite da un terzo alla metà nei confronti di colui che aiuta concretamente l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria nella ricostruzione del fatto, nell'individuazione degli autori o nella sottrazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti. Ove il giudice, su richiesta dell'imputato, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado disponga la sospensione del procedimento per un tempo congruo, comunque non superiore a due anni e prorogabile per un periodo massimo di un ulteriore anno, al fine di consentire le attività di cui al comma precedente in corso di esecuzione, il corso della prescrizione è sospeso”. 3 Art. 452-novies c.p.: “Quando un fatto già previsto come reato è commesso allo scopo di eseguire uno o più tra i delitti previsti dal presente titolo, dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, o da altra disposizione di legge posta a tutela dell'ambiente, ovvero se dalla commissione del fatto deriva la violazione di una o più norme previste dal citato decreto legislativo n. 152 del 2006 o da altra legge che tutela l'ambiente, la pena nel primo caso è aumentata da un terzo alla metà e nel secondo caso è aumentata di un terzo. In ogni caso il reato è procedibile d'ufficio”. 4 Art. 452-quinquies (Delitti colposi contro l’ambiente): “Se taluno dei fatti di cui agli articoli 452-bis e 452-quater è commesso per colpa, le pene previste dai medesimi articoli sono diminuite da un terzo a due terzi. Se dalla commissione dei fatti di cui al comma precedente deriva il pericolo di inquinamento ambientale o di disastro ambientale le pene sono ulteriormente diminuite di un terzo”. 5 Art. 452-undecies: “Nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti, a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per i delitti previsti dagli articoli 452-bis, 452-quater, 452-sexies, 452-septies e 452-octies del presente codice, è sempre ordinata la confisca delle cose che costituiscono il prodotto o il profitto del reato o che servirono a commettere il reato, salvo che appartengano a persone estranee al reato. Quando, a seguito di condanna per uno dei delitti previsti dal presente titolo, sia stata disposta la confisca di beni ed essa non sia possibile, il giudice individua beni di valore equivalente di cui il condannato abbia anche indirettamente o per interposta persona la disponibilità e ne ordina la confisca. I beni confiscati ai sensi dei commi precedenti o i loro eventuali proventi sono messi nella

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Quanto all’elemento soggettivo si tratta di delitto a dolo generico (essendo sufficiente la coscienza e volontà di non procedere alla bonifica che si sa essere comunque imposta) e, come detto, non è incriminato nella sua configurazione colposa.

Entrando nel dettaglio della struttura del reato, è certo di grande rilevanza l’individuazione del soggetto attivo o meglio dell’autore dell’illecito che rientra in un catalogo certamente più ampio, come vedremo, rispetto al soggetto attivo del reato di cui all’art. 257 del DLgs n. 152/06.

Innanzitutto la norma fa riferimento ai soggetti tenuti ad intervenire (per bonifica/ripristino o recupero dei luoghi) per legge.

Oltre ad alcune previsioni di legge come l’art. 301, comma 2 del DLgs n. 152/06, il quale obbliga l’operatore ad adottare le misure di riparazione del danno ambientale cagionato dalla propria attività o l’art. 29-sexies comma 9-quinquies del medesimo decreto, che impone al gestore di impianto assoggettato ad AIA di adottare le misure necessarie a riportare il sito nello stato precedente e a rimediare all’inquinamento rilevato al momento della cessazione definitiva dell’attività, è l’art. 242 DLgs n. 152/06 a dettare ed imporre il fondamentale obbligo giuridico di intervenire in capo al soggetto responsabile della potenziale contaminazione di un sito, imponendo di attivarsi per la messa in sicurezza, la caratterizzazione, l’eventuale bonifica e il ripristino dello stato dei luoghi (analizzeremo in separato paragrafo l’art. 250 del DLgs n. 152/06 e il suo contenuto ugualmente impositivo nei confronti dell’amministrazione)

Infatti, il responsabile dell’inquinamento deve per legge spontaneamente attivarsi riconoscendo la propria responsabilità (art. 242 DLgs n.152/06), altrimenti dovendosi attivare su ordine dell’amministrazione che ne abbia previamente riconosciuto, all’esito di un procedimento accertativo iniziato d’ufficio, la responsabilità nella potenziale contaminazione (o meglio nell’accertato superamento delle CSC nel sito considerato – art. 244 DLgs n. 152/06) (“solo il responsabile dell’inquinamento ha l’obbligo legale di provvedere alla bonifica dei terreni che ha inquinato. L’attivazione dell’obbligo legale di bonifica può discendere dal riconoscimento spontaneo della responsabilità ambientale, oppure da un accertamento d’ufficio” (TAR Lombardia, Milano, sez. III, sentenza 29/06/2016 n. 1297).

Il soggetto per antonomasia tenuto per legge a bonificare, ripristinare e recuperare lo stato dei luoghi è quindi il responsabile della loro (potenziale)

disponibilità della pubblica amministrazione competente e vincolati all'uso per la bonifica dei luoghi. L'istituto della confisca non trova applicazione nell'ipotesi in cui l'imputato abbia efficacemente provveduto alla messa in sicurezza e, ove necessario, alle attività di bonifica e di ripristino dello stato dei luoghi”.

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compromissione, il quale potrebbe sì coincidere con il proprietario dell’area ma anche esserne il mero gestore/utilizzatore.

Come anticipato nella premessa la giurisprudenza e la dottrina si sono a lungo interrogate sul ruolo che in materia ricopre il proprietario del sito che non sia anche il responsabile o almeno corresponsabile del potenziale inquinamento, il quale, se certamente è tenuto – per espressa previsione di legge (art. 245, comma 2 del DLgs n. 152/06) – non solo a dare comunicazione alla Regione, alla Provincia ed al Comune territorialmente competenti del rilevato superamento o pericolo concreto e attuale del superamento della concentrazione soglia di contaminazione (CSC) in un sito, ma anche ad attuare le necessarie misure di prevenzione secondo la procedura di cui all'articolo 242, era dubbio potesse essere destinatario anche di obblighi di messa in sicurezza di emergenza e di bonifica.

Attualmente la giurisprudenza (avallata dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato - sentenze nn. 21/13 e 26/13) è oramai assestata nel ritenere che ad esso - in quanto tale - non possa essere addossato alcun obbligo di intervento riparativo del danno ambientale inteso sia come intervento di bonifica (previa caratterizzazione ed analisi di rischio sito), ma anche di messa in sicurezza di emergenza (TAR Toscana, Firenze, Sez. II, sentenza 9/12/2015 n. 1676), dovendosi escludere in capo allo stesso la sussistenza di una responsabilità di posizione (che esuli dall’accertamento del nesso di causalità tra condotta ed evento) o basata unicamente sugli obblighi di custodia del terreno che farebbero scattare una responsabilità ex art. 2051 c.c.(norma che si ritiene dettata ad altri fini e operante in altro contesto, quindi ispirata a criteri di imputazione della responsabilità diversi da quelli del tutto autosufficienti vigenti in materia ambientale, la cui applicazione implicherebbe comunque la necessità di accertare la qualità di custode dell’area al momento dell’inquinamento (Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 13/06/2016 n. 2533; TAR Friuli Venezia Giulia, Trieste, sez. I, sentenza 05/05/2014 n. 183).

Tale soggetto potrebbe essere tenuto ad intervenire solo laddove se ne accerti almeno la corresponsabilità (oltre che ovviamente una responsabilità esclusiva) nella contaminazione, in ossequio al fondamentale principio “chi inquina paga”, non potendosi ammettere – continua la giurisprudenza - un sistema sanzionatorio o anche di tipo preventivo che si apra ad ipotesi di responsabilità oggettiva per mera qualità di proprietario o possessore dell’immobile (Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 14/04/2016 n. 1509 che richiama la precedente sentenza 30/07/2015 n. 3756) o per fatto altrui (TAR Puglia, Lecce, sez. I, sentenza 01/11/2011 n.1901; TAR Campania, Salerno, sez. II, sentenza 04/02/2015 n. 232).

Tuttavia in giurisprudenza si è anche ammessa la possibilità (invocando i principi comunitari di precauzione e azione preventiva) di imporre al proprietario in quanto tale la messa in atto di misure di messa in sicurezza del sito qualificandole non come misure sanzionatorie o ripristinatorie, ma come misura di correzione dei

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danni che rientra nel genus delle precauzioni che possono gravare sul proprietario o detentore del sito da cui possano scaturire i danni all’ambiente e che non presuppongono quindi l’individuazione dell’eventuale responsabile (Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 14/04/2016 n. 1509; TAR Lazio, Roma, sez. I, sentenza 12/02/2015 n. 2509) (“Il principio comunitario che accolla al colpevole dell’inquinamento l’onere di porvi rimedio, sia con misure di bonifica sia di messa in sicurezza, non può essere inteso come assoluto, ma va contemperato con gli altri principi di precauzione, prevenzione e tutela dell’ambiente, per cui al proprietario ancorché non responsabile della situazione di inquinamento illecito si possono accollare limitati e definiti oneri di realizzazione di misure precauzionali, soprattutto in occasione di interventi gestionali e manutentivi sulla zona e ovviamente previa congrua istruttoria e motivazione” (TAR Friuli Venezia Giulia, Trieste, sez. I, sentenza 05/05/2014 n. 183).

Il proprietario incolpevole tuttavia potrebbe avere interesse ad intervenire per evitare l’apposizione sulla propria area di un onere reale, nascente a seguito dell’intervento d’ufficio dall’amministrazione ai sensi dell’art. 250 DLGS n. 152/06 (onere iscritto sul bene a seguito dell’approvazione del progetto di bonifica e da indicarsi nel CDU - art. 253, 1° comma, DLGS n. 152/06) aree su cui peraltro è previsto un privilegio speciale immobiliare che assiste le spese sostenute dall’amministrazione per gli interventi imposti ex art. 250 cit, esercitabile anche in pregiudizio dei diritti acquistati dai terzi sull'immobile stesso. Per tale ragione l’amministrazione, competente a diffidare il responsabile ad intervenire, deve notificare anche al proprietario del sito siffatta ordinanza impositiva (art. 244, comma 3 DLgs n. 152/06) per consentire a quest’ultimo di attivarsi e quindi rivalersi delle spese sostenute (e dell’eventuale maggior danno subito) sull’effettivo responsabile (art. 253, comma 4 DLgs n. 152/06).

Oltre ai soggetti tenuti alla bonifica, al ripristino e al recupero dello stato dei luoghi per legge, la norma si riferisce anche ai soggetti destinatari dell’obbligo di bonifica/ripristino e recupero dello stato dei luoghi per ordine (contenuto in un provvedimento passato in giudicato, precisano molti commentatori) del giudice, sia esso penale o civile, ma – si ritiene – non amministrativo, in quanto quand’anche quest’ultimo dovesse essere adito dal privato per l’annullamento di un’ordinanza dell’amministrazione impositiva della bonifica e dovesse rigettare il ricorso, la fonte dell’obbligo resterebbe l’ordinanza impugnata, la cui legittimità e cogenza risulterebbe confermata, e non la sua pronuncia di annullamento.

Il ripristino dello stato dei luoghi, con indicazione delle relative modalità, contenuti, tempi etc, potrebbe essere in particolare imposto dal giudice penale in sede di condanna per uno dei nuovi reati contro l’ambiente (il già citato art. 452-duodecies c.p. – “Ripristino dello stato dei luoghi”) la cui inattuazione sarebbe quindi penalmente sanzionata come omessa bonifica.

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Oppure tale reato potrebbe scaturire anche dall’inottemperanza all’ordine di adottare condotte attive riparatorie discrezionalmente impartito dal giudice penale ai fini della concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena (art. 165 c.p.) soprattutto per i reati ambientali non inclusi nell’art. 452-duodecies c.p. (che, infatti, riguarda i soli reati contemplati dal nuovo Titolo VI-bis del c.p. (6)), ordine peraltro passibile di essere adottato dal giudice anche nel caso di condanna per la contravvenzione prevista dall’art. 257 DLGS n. 152/06.

Anche il giudice civile potrebbe ordinare al privato tali adempimenti, la cui inottemperanza configurerebbe quindi reato: si pensi ad una causa civile per responsabilità da inadempimento contrattuale nella quale il giudice condanni il venditore - pur non responsabile della contaminazione - ad eliminare, mediante bonifica, i vizi e difetti del bene venduto o a bonificarlo a titolo di risarcimento del danno in forma specifica.

Il dovere di bonificare o ripristinare/recuperare lo stato dei luoghi potrebbe infatti essere stato assunto dal privato anche in virtù di un contratto o di un altro atto negoziale liberamente assunto, che laddove rimasto ineseguito potrebbe essere imposto giudizialmente, con la conseguenza che la sua mancata attuazione consentirebbe di configurare in capo al soggetto inottemperante il nuovo delitto di omessa bonifica, nonostante lo stesso (come nel caso che vedremo dell’amministrazione che agisce in sostituzione del responsabile) non sia responsabile della causazione della pregressa contaminazione (“Per quanto attiene ai soggetti privati esecutori degli interventi di bonifica, la giurisprudenza interna (Cons. Stato, Ad. Plen. 13 novembre 2013 n. 25) e comunitaria (C.G.C.E., III, 4 marzo 2015 in causa C-534/13) hanno chiarito che, allo stato attuale della legislazione italiana in materia, solo il responsabile dell'inquinamento ha un obbligo legale di provvedere alla bonifica dei terreni che ha inquinato. La giurisprudenza di merito ha poi spesso adottato una concezione sostanzialistica di soggetto responsabile, al fine di evitare facili aggiramenti degli obblighi legali (es. TAR Abruzzo, Pescara, I, 30 aprile 2014 n. 204). L'attivazione dell'obbligo legale di bonifica può discendere dal riconoscimento spontaneo della responsabilità ambientale, oppure da un accertamento d'ufficio. È possibile che un obbligo di bonifica sorga a carico di soggetti privati non autori dell'inquinamento anche da fonte contrattuale o negoziale in senso lato, in particolare attraverso l'approvazione di piani urbanistici, dai quali derivi per il privato un obbligo di bonifica a fronte spesso di vantaggi riconosciuti dall'amministrazione sull'utilizzo futuro dell'area. In mancanza del riconoscimento spontaneo della responsabilità ambientale o al di fuori di un obbligo giuridico, legale o negoziale, a bonificare, nessun soggetto può essere costretto a bonificare un'area, quand'anche

6 M. Zortea – V. Manca, “I reati di omessa bonifica: Antico e nuovo testamento nelle legge n. 68/15” in Ambiente e Sviluppo, 2016, 4, 251.

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ne sia il proprietario” (TAR Lombardia, Milano, sez. III, sentenza 14/07/2015 n. 1652; TAR Lombardia, Milano, sez. III, sentenza 29/06/2016 n. 1297).

Infine l’obbligo di intervento può scaturire da un ordine dell’autorità pubblica.

Infatti, il privato può (o meglio dovrebbe) riconoscere la propria responsabilità in caso di possibile o accertato inquinamento di un’area (soprattutto laddove la stia utilizzando) ed intervenire spontaneamente, ma ciò avviene raramente in quanto è quasi sempre necessario – a fronte di un rifiuto di intervenire fondato sulla dichiarata irresponsabilità nella causazione della (potenziale) contaminazione – la sua individuazione ad opera della competente amministrazione (ovvero la Provincia, ai sensi dell’art. 244 DLGS n. 152/06, in caso di individuazione da parte delle pubbliche amministrazioni nell’esercizio delle loro funzioni di siti in cui i livelli di contaminazione siano superiori ai livelli delle CSC).

Ciò accade soprattutto per le attività successive alla verifica dell’avvenuto superamento delle CSC, in quanto il privato se si attiva lo fa solitamente per la sola assunzione di misure di prevenzione o di messa in sicurezza di emergenza del sito o al massimo di indagine preliminare sui parametri oggetto di inquinamento per verificare il livello delle CSC, poi però rifiutandosi di effettuare spontaneamente la complessa e costosa procedura di caratterizzazione del sito, che costituisce un adempimento obbligatorio ex lege in caso di accertato superamento delle CSC anche per un solo parametro (TAR Trentino Alto Adige, Trento, sez. I, sentenza 13/04/2016 n. 202)) caratterizzazione il cui scopo “è raccogliere in un unico documento tutte le informazioni inerenti il sito: dalla sua descrizione dal punto di vista geologico ed idrogeologico alla ricostruzione storica delle attività produttive ivi svolte, dalla individuazione delle indagini già effettuate alla definizione del piano di investigazione, fino all'elaborazione di un modello concettuale definitivo del sito, con le caratteristiche specifiche in termini di stato delle fonti della contaminazione, grado ed estensione della stessa nel suolo, nel sottosuolo, nelle acque superficiali e sotterranee e nell'ambiente, e con i percorsi di migrazione dalle sorgenti di contaminazione” (TAR Trentino Alto Adige, Trento, sez. I, sentenza 13/04/2016 n. 202).

Ne deriva che, una volta accertato l’intervenuto superamento delle CSC anche per un solo parametro e sempre che il responsabile non si sia spontaneamente attivato, sarà l’amministrazione – previa sua identificazione – a doverlo diffidare ad intervenire, in primis chiedendo la presentazione del piano di caratterizzazione e i quindi i successivi adempimenti di legge per la bonifica del sito, la cui inattuazione è ora sanzionata ai sensi dell’art. 452-terdecies c.p.

Rilevante però è il caso in cui l’ordinanza dell’autorità pubblica, impositiva di bonifica, ripristino e recupero dello stato dei luoghi, sia illegittima, in quanto affetta da vizi procedurali o sostanziali (assenza di indicazioni sulle relative modalità, sui tempi,

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scorretta individuazione del responsabile, incompetenza dell’autorità) ma non impugnata nei termini (quindi definitivamente efficace) e quindi nemmeno sospesa cautelarmente dal giudice amministrativo, posto che se è vero che il giudice penale potrebbe disapplicarla per assolvere l’imputato, non potrebbe però rimettere in discussione questioni di legittimità già analizzate (e respinte) dal giudice amministrativo sicchè la sussistenza di una pronuncia passata in giudicato del giudice amministrativo che abbia rigettato il ricorso contro l’ordine di bonifica impartito dall’amministrazione, escluderebbe tale possibilità di disapplicazione da parte il giudice penale (Al giudice penale è preclusa la valutazione della legittimità dei provvedimenti amministrativi che costituiscono il presupposto dell'illecito penale qualora sul tema sia intervenuta una sentenza irrevocabile del giudice amministrativo, ma tale preclusione non si estende ai profili di illegittimità, fatti valere in sede penale, che non siano stati dedotti ed effettivamente decisi in quella amministrativa”(Corte di Cassazione, sez. III, Sentenza 18/07/2014 n. 44077; sez. I, sentenza 11/01/2011 n. 11596); “Il potere del giudice penale di valutare la legittimità dei provvedimenti amministrativi, che costituiscono il presupposto dell'illecito penale, incontra un limite nei provvedimenti giurisdizionali del giudice amministrativo passati in giudicato che abbiano espressamente esaminato lo specifico profilo di illegittimità dell'atto fatto valere, incidentalmente, in sede penale; la preclusione del cosiddetto giudicato amministrativo non si estende a tutte le questioni deducibili ma esclusivamente a quelle che sono state dedotte ed effettivamente decise”, Cassazione penale, sez. IV, 20/09/2012, n. 46471).

Ciò posto, ci si può interrogare sull’ipotesi in cui il soggetto responsabile tenuto (per legge o ordine dell’autorità) ad intervenire sia una Società soggetta a fallimento, per verificare se l’amministrazione possa rivolgersi al curatore fallimentare per ottenere l’attuazione di quei necessari interventi di bonifica o ripristino o recupero del sito contaminato che spetterebbe alla Società fallita effettuare.

La giurisprudenza – soprattutto in materia di rifiuti – ha più volte precisato che, salva l’eventualità di un’univoca, autonoma e chiara responsabilità del curatore fallimentare nell’abbandono dei rifiuti, la curatela fallimentare non può essere destinataria, a titolo di responsabilità di posizione, di ordinanze sindacali dirette alla tutela dell’ambiente, per effetto del precedente comportamento omissivo o commissivo dell’impresa fallita, non subentrando tale curatela negli obblighi più strettamente correlati alla responsabilità del fallito e non sussistendo pertanto alcun dovere di adozione di particolari comportamenti attivi finalizzati alla tutela sanitaria degli immobili destinati alla bonifica da fattori inquinanti (TAR Lombardia, Milano, sez. III, sentenza 05/01/2016 n. 1; TAR L’Aquila, sez. I, sentenza 17/06/2014 n. 564; TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, sentenza 05/08/2013 n. 2062; TAR Veneto, Venezia, sez. III, sentenza 04/12/2012 n. 1498; TAR Campania, Salerno, sez. I, sentenza 18/10/2010 n. 11823; TAR Toscana, Firenze, sez. II, sentenza 08/01/2010

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n. 8; TAR Sicilia, Catania, sez. I, sentenza 10/03/2005 n. 398; Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 29/07/2003 n. 4328).

La conclusione presuppone ovviamente che il curatore non sia stato autorizzato all’esercizio provvisorio dell’impresa e/o non l’abbia comunque esercitata (si veda in tal senso TAR Lombardia, Milano, sent. n. 1/16).

Le norme della legge fallimentare riconoscono infatti al curatore la sola amministrazione del patrimonio fallimentare (art. 31 del R.D. n. 267/1942), senza prevedere particolari doveri di intervento, soprattutto se il cespite industriale presso il quale effettuare i richiesti interventi di bonifica è stato acquisito alla massa fallimentare già in stato di abbandono e fatiscenza a causa della ormai risalente cessazione dell’attività produttiva, così assimilandosi la sua posizione a quella del proprietario incolpevole e dovendosene quindi escludere una responsabilità di mera posizione. Del resto l’accettazione di una legittimazione passiva in subiecta materia del curatore fallimentare determinerebbe un sovvertimento del principio “chi inquina paga” scaricando i costi sui creditori che non hanno alcun collegamento con l’inquinamento (TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. n. 1987/2015 e 916/2015).

In particolare si è precisato che il fallimento non può ritenersi soggetto subentrante, ossia successore dell’impresa sottoposta alla procedura fallimentare, in quanto la società dichiarata fallita conserva la propria soggettività giuridica e rimane titolare del proprio patrimonio perdendone solo la facoltà di disposizione (subendo la caratteristica vicenda dello spossessamento) e correlativamente il fallimento non acquista la titolarità dei beni del fallito, ma ne è solo amministratore con facoltà di disposizione, facoltà poggiante non sulla titolarità dei relativi diritti ma, a guisa di legittimazione straordinaria, sul munus pubblicum rivestito dagli organi della procedura, sicchè nei confronti del Fallimento non è ravvisabile un fenomeno di successione (TAR Campania, n. 1987/15 che cita Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 30/06/2014 n. 3274).

Ne consegue che nel caso di fallimento della Società responsabile - come nel caso del responsabile che non possa/voglia intervenire e vista l’impossibilità di addossare oneri di intervento al curatore in quanto tale così come al proprietario incolpevole – sarà la pubblica amministrazione a dover intervenire potendo rivalersi delle spese, effettivamente sostenute e non solo previste o preventivate, insinuandosi al passivo fallimentare, con un credito (ritenuto prededucibile stante la natura pubblicistica degli obblighi di bonifica), posto che altrimenti la massa dei creditori si avvantaggerebbe indebitamente dell’incremento di valore, degli immobili del fallimento, apportato dall’intervento della pubblica amministrazione.

Tuttavia diverso è il caso, analizzato da una recente pronuncia del giudice amministrativo di primo grado (TAR Friuli Venezia Giulia, Trieste, sez. I, sentenza 12/10/2015 n. 441) in cui sia richiesto al curatore fallimentare di bonificare dei luoghi

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in presenza di amianto, in cui il pericolo di contaminazione sia emerso in un memento successivo alla dichiarazione di fallimento: in questo caso si precisa come l’invocazione del principio chi inquina paga non possa applicarsi in quanto non si tratta di individuare il responsabile dell’inquinamento ma di intervenire con urgenza a tutela della salute pubblica ponendo tale obbligo in capo al curatore fallimentare in quanto attuale detentore del bene (“la presenza e soprattutto il pericolo di diffusione di materiali contenenti amianto in un edificio comporta per sua stessa natura la necessità d’interventi urgenti a tutela della salute, in maniera molto più incisiva rispetto a un semplice abbandono di rifiuti o all’inquinamento ambientale. Invero, va osservato che la disciplina speciale che regola la materia contiene principi in parte diversi da quelli applicabili al settore dei rifiuti e, in generale, all'inquinamento ambientale. Questa normativa, per essere anch'essa di derivazione comunitaria (vedasi, ad esempio, la direttiva 19/3/1987, n. 87/217/CEE), ha la medesima dignità di quella sulla quale si è formata la giurisprudenza richiamata in ricorso che si fonda sul principio "chi inquina paga". In effetti, dalla L. n. 257/1992 e dal D.M. 6/9/1994 (regolamento attuativo degli artt. 6, comma 3, e 12, comma 2, della legge) emerge in primo luogo la circostanza per cui l'amianto non è di per sé qualificabile come un rifiuto, visto che la normativa in commento non ha dichiarato "fuorilegge" sempre e comunque l'eternit. (..) Se il materiale è in buone condizioni e non viene manomesso, è estremamente improbabile che esista un pericolo apprezzabile di rilascio di fibre di amianto… ". Questo individua una prima significativa differenza rispetto alla materia dei rifiuti e dell'inquinamento ambientale, perché è evidente che nel caso dell'abbandono dei rifiuti o dell'inquinamento ambientale è possibile - anche se a volte molto difficoltoso - accertare chi sia stato il soggetto responsabile dell'inquinamento o, in negativo, se l'attuale proprietario del terreno inquinato o adibito a discarica abusiva sia o meno identificabile come responsabile della condotta illecita. Nel caso dell'amianto, invece, il discorso è diverso, perché l'eternit diviene pericoloso per la salute pubblica solo a certe condizioni, il che implica una continua evoluzione della situazione e quindi anche il passaggio delle responsabilità fra cedente e cessionario dei beni immobili in cui sia presente l'amianto. (omissis) Quindi, mentre nel caso di inquinamento del suolo e/o delle falde prodotto da complessi industriali in seguito dismessi o ceduti ad altri imprenditori e riconvertiti oppure entrati a far parte di procedure concorsuali è applicabile il principio "chi inquina paga" a condizione, ovviamente, che si dimostri che l'inquinamento è stato provocato dal precedente gestore dell'impianto - nel caso dell'amianto il discorso è diverso, in quanto la continua sorveglianza imposta dalla legge e il fatto che l'amianto divenga pericoloso per l'ambiente e la salute solo a certe condizioni consentono di scindere le responsabilità e obbligano passivamente il soggetto che detiene il bene nel momento in cui si verificano le condizioni per l'applicazione della normativa speciale. Inoltre, mentre nel caso dell'inquinamento da attività industriale è facilmente dimostrabile da parte della curatela fallimentare la propria estraneità alla condotta illecita - visto che di solito la curatela "gestisce" impianti già dismessi o inattivi da tempo - nel caso

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dell'amianto l'attività che si richiede al detentore attuale del bene è di mera sorveglianza ed è quindi attività che si può esigere anche da colui che risulti possessore nel momento in cui vengono rilevate le problematiche di cui alla L. n. 257/1992 e relativo regolamento attuativo. Infatti, la sorveglianza sui manufatti in amianto (tettoie, coperture, etc.) o contenenti amianto (tubature, etc.) va svolta di continuo, non potendosi mai escludere del tutto che nel corso del tempo i fenomeni atmosferici e naturali, come nel caso in esame in relazione alla tromba d’aria verificatasi il 17 febbraio 2014, rendano pericolosi per la salute pubblica manufatti che fino a quel momento potevano definirsi sicuri ai sensi della L. n. 257/1992. Per cui non è decisivo il richiamo alle massime giurisprudenziali secondo cui la curatela non subentra negli obblighi più strettamente correlati alla responsabilità dell'imprenditore fallito, e ciò in quanto nella specie si è in presenza di un obbligo proprio del detentore attuale del bene. D'altra parte la comprensibile esigenza del curatore fallimentare di preservare al massimo le ragioni dei creditori ammessi alla procedura va contemperata con interessi pubblici di rango superiore quale la tutela della salute” (TAR Marche n. 467 del 2015).

3. Il nuovo delitto di omessa bonifica previsto dall’art. 452-terdecies c.p. e la preesistente contravvenzione di cui all’art. 257 DLgs n. 152/06 (reato di omessa bonifica di sito inquinato secondo il progetto approvato).

La coesistenza delle previsioni dell’art. 452-terdecies del c.p. (delitto di Omessa bonifica) con quelle dell’art. 257 del DLGS n. 152/06 (rubricato Bonifica dei siti e contenente due distinte ipotesi contravvenzionali) impone di soffermarsi sui rapporti tra tali fattispecie di reato.

L’art. 257 DLGS n. 152/06, invero modificato dalla stessa L. n. 68/15 che vi ha introdotto, nell’incipit, una clausola di riserva, prevede che “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque cagiona l'inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee con il superamento delle concentrazioni soglia di rischio è punito con la pena dell'arresto da sei mesi a un anno o con l'ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro, se non provvede alla bonifica in conformità al progetto approvato dall'autorità competente nell'ambito del procedimento di cui agli articoli 242 e seguenti. In caso di mancata effettuazione della comunicazione di cui all'articolo 242, il trasgressore è punito con la pena dell'arresto da tre mesi a un anno o con l'ammenda da mille euro a ventiseimila euro. 2. Si applica la pena dell'arresto da un anno a due anni e la pena dell'ammenda da cinquemiladuecento euro a cinquantaduemila euro se l'inquinamento è provocato da sostanze pericolose. 3. Nella sentenza di condanna per la contravvenzione di cui ai commi 1 e 2, o nella sentenza emessa ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, il beneficio della sospensione condizionale della pena può essere subordinato alla esecuzione degli interventi di emergenza, bonifica e ripristino ambientale. 4. L'osservanza dei progetti approvati ai sensi degli articoli 242 e seguenti costituisce

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condizione di non punibilità per le contravvenzioni ambientali contemplate da altre leggi per il medesimo evento e per la stessa condotta di inquinamento di cui al comma 1”.

Il sistema sanzionatorio in materia di bonifica di siti inquinati – prima dell’introduzione del nuovo delitto di omessa bonifica (art. 452-terdecies c.p.) - era quindi fondato su questi due (soli) reati contravvenzionali di natura omissiva: quello di omessa comunicazione di cui all’art. 242, comma 1 del DLgs n. 152/06 (ovvero delle necessarie misure di prevenzione messe in opera entro le 24 ore dal verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito) posto a garanzia del celere avvio del procedimento di eventuale bonifica e a carico del solo soggetto responsabile e non anche del proprietario o gestore incolpevole (ex multis, Cassazione Penale, sez. III, sentenza 16/03/2011 n. 18503); quello di omessa bonifica del sito contaminato in conformità al progetto approvato, posto a presidio della effettiva attuazione del progetto di bonifica, nei tempi e modi approvati dall’autorità (7).

Ora il sistema si è arricchito, come detto, del nuovo delitto di omessa bonifica introdotto nel codice penale, il quale però presenta indubbie differenze strutturali rispetto alla preesistente ipotesi contravvenzionale.

Quanto alla condotta incriminata, nel caso del delitto si tratta della mancata effettuazione di una bonifica imposta dalla legge, dal giudice o dall’autorità, ma anche di un ripristino o recupero dello stato dei luoghi comunque imposti, mentre nel caso della contravvenzione della sola mancata effettuazione della bonifica di un sito contaminato in conformità al progetto approvato dall’autorità.

Quanto al soggetto attivo del reato, si rileva come nella ipotesi contravvenzionale esso sia unicamente il soggetto responsabile tenuto ad adempiere alla bonifica secondo il progetto approvato dall’autorità e non il soggetto comunque obbligato a bonificare, recuperare o ripristinare lo stato dei luoghi.

Quanto infine all’elemento soggettivo, solo la contravvenzione di cui all’art. 257 cit può essere, come tale, punita sia a titolo di dolo che di colpa, in quanto il nuovo delitto (doloso) di omessa bonifica, non è stato incriminato nella sua configurazione colposa.

Peraltro, a seguito della modifica al comma 3 dell’art. 257 DLgs n. 152/06 ad opera della L. n. 68/15 (che ha sostituito alla parola “reati” la parola “contravvenzioni”) l’effettuazione della bonifica (o meglio l’osservanza del progetto approvato) costituisce condizione di non punibilità per la sola contravvenzione di cui

7 M. Alesci, “Il reato di “mancata effettuazione della comunicazione dell’evento potenzialmente inquinante” di cui all’art. 257 , comma 1 D.LG. 3 aprile 2006 n.152, alla luce dei principi del diritto penale”, in Cassazione penale, fasc. 6, 2015, pag. 2374

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al medesimo articolo (o per le altre contravvenzioni ambientali contemplate da altre leggi per il medesimo evento) ma non anche per i delitti in materia ambientale, sicché nel caso di bonifica successiva all’imputazione di delitto di omessa bonifica, la stessa costituirebbe circostanza attenuante della pena edittale (quindi assoggettabile a bilanciamento), in virtù dell’operatività della norma sul ravvedimento operoso di cui all’art. 452-decies c.p., riguardante tutti i nuovi delitti ambientali introdotto al Titolo VI-bis del c.p. (“Le pene previste per i delitti di cui al presente titolo (…), sono diminuite dalla metà a due terzi nei confronti di colui che si adopera per evitare che l'attività delittuosa venga portata a conseguenze ulteriori, ovvero, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, provvede concretamente alla messa in sicurezza, alla bonifica e, ove possibile, al ripristino dello stato dei luoghi, e diminuite da un terzo alla metà nei confronti di colui che aiuta concretamente l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria nella ricostruzione del fatto, nell'individuazione degli autori o nella sottrazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti. Omissis”).

Quanto ai rapporti tra i due diversi reati, occorre evidenziare come l’art. 257 cit esordisca con la precisazione “salvo che il fatto costituisca più grave reato” portando alla sua configurazione solo nel caso in cui il superamento delle CSR non abbia raggiunto gli estremi dell’inquinamento ambientale (452-bis c.p.) e altresì consentendo di configurare, in caso di mancata effettuazione della bonifica comunque imposta dall’autorità (senza riferimento alla necessaria conformità al progetto approvato), proprio il nuovo delitto di omessa bonifica (452-terdecies c.p.).

Si ritiene pertanto che la contravvenzione di cui all’art. 257 DLgs n. 152/06 sia residuale e si configuri non solo nel caso in cui il responsabile della contaminazione ometta, per dolo o colpa, di bonificare in conformità al progetto approvato dall’amministrazione all’esito della procedura amministrativa di cui all’art. 242 e ss. DLgs. 152/06, diversamente potendosi configurare il nuovo delitto di omessa bonifica solo nella condotta, dolosa, che in ogni modo porti alla mancata bonifica o al mancato ripristino o al mancato recupero dello stato dei luoghi (magari anche attraverso l’omissione di una o tute le fasi procedimentali precedenti l’approvazione del progetto di bonifica((8)), posta in essere da chi era a ciò obbligato a vario titolo.

Ci si chiede peraltro se si possa configurare il nuovo delitto di omessa bonifica in caso di mancata presentazione del piano di caratterizzazione del sito da parte del soggetto responsabile (che pur si sia attivato spontaneamente per eseguire le opere di prevenzione e di messa in sicurezza di emergenza al verificarsi ad esempio di un evento potenzialmente in grado di inquinare un sito e da cui si sia verificato l’avvenuto superamento delle CSC): la caratterizzazione è infatti adempimento necessario e prodromico alla eventuale bonifica, ripristino e recupero dello stato dei luoghi, e la sua mancata effettuazione ne impedisce certamente la realizzazione

8M. Zortea – V. Manca, “I reati di omessa bonifica: Antico e nuovo testamento nelle legge n. 68/15” in Ambiente e Sviluppo, 2016, 4, 251.

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sicchè potrebbe rientrare in senso lato nel concetto di bonifica; questa conclusione però potrebbe ampliare eccessivamente, aggirando l’esigenza di stretta interpretazione della norma penale, il concetto di bonifica penalmente rilevante, che come si è detto, secondo la definizione data dal codice dell’ambiente, pur non espressamente richiamata dal nuovo art. 452-terdecies c.p., si ricollega al superamento dei valori delle CSR (la bonifica è “l'insieme degli interventi atti ad eliminare le fonti di inquinamento e le sostanze inquinanti o a ridurre le concentrazioni delle stesse presenti nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee ad un livello uguale o inferiore ai valori delle concentrazioni soglia di rischio (CSR)”).

Certamente, in caso di mancata presentazione del piano di caratterizzazione non si configura la contravvenzione prevista e punita dall’art. 257 del DLgs n. 152/06 (cagionamento dell’inquinamento del suolo con il superamento delle CSR e mancata bonifica in conformità al progetto approvato dall’autorità competente nell’ambito del procedimento di cui all’art. 242 D.Lgs n. 152/06) in quanto non vi è ancora stato l’accertamento del superamento delle CSR, verificabile solo a seguito della procedura di analisi di rischio sito specifica che si applica sulla base delle risultanze della caratterizzazione stessa; né è intervenuta l’approvazione del progetto di bonifica che non sarebbe stato attuato dal soggetto che ha causato il superamento delle CSR.

Diverso è il caso di mancata attuazione del piano di caratterizzazione, già approvato (e quindi a monte già presentato) e la cui attuazione venga imposta con ordinanza, posto che la sua mancata attuazione è tale da impedire la stessa formazione del progetto di bonifica e quindi risulterebbe penalmente rilevante ai sensi dell’art. 257 cit. (Cass. pen., sez. III, sent. n. 35774/2010).

Infine occorre rilevare come la legge n. 68/15 - non si sa se per scelta consapevole del legislatore o per mera svista - non ha inserito il reato previsto dall’art. 452-terdecies c.p. nel catalogo dei reati presupposto posti a fondamento della responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato di cui al D.Lgs n. 231/01.

Infatti, l’art. 25-undecies del decreto stesso, modificato dalla L. n. 68/15, che detta le sanzioni pecuniarie per la commissione di reati ambientali nell’interesse o a vantaggio della Società, contempla i più gravi reati di inquinamento ambientale e disastro ambientale, anche colposi, ma non il nuovo e comunque grave delitto di omessa bonifica, anzi mantenendo il riferimento alla (meno grave) contravvenzione prevista dall’art. 257 del TUA, per mancata bonifica secondo il progetto approvato di un sito di cui si sia cagionato l’inquinamento con il superamento delle soglie di concentrazione di rischio.

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Ne consegue che della commissione di tale reato potrà rispondere il legale rappresentante o la persona fisica incaricata della gestione della Società ma non la Società stessa, laddove la scelta opposta avrebbe avuto effetto deterrente su condotte lesive dell’ambiente per incidenza sulle casse della Società e quindi sulle decisioni strategiche della stessa.

È stato peraltro sottolineato come tale scelta ingeneri esiti manifestamente irragionevoli che potrebbero anche ingenerare “qualificazioni giuridiche strumentali dei fatti di omessa bonifica all’interno dei capi di imputazione, inducendo le procure ad optare per la contestazione dell’ipotesi contravvenzionale quando abbiano intenzione di attingere anche l’ente coinvolto nel reato ambientale e di quella delittuosa quando l’ente sia già stato coinvolto nel processo tramite altre fattispecie incriminatrici”(9).

4. Nuovo delitto di omessa bonifica e ruolo della pubblica amministrazione: la ricerca del responsabile e le conseguenze dell’inottemperanza all’ordinanza di intervento.

Il nuovo delitto di omessa bonifica prende in considerazione il ruolo della pubblica amministrazione sotto un duplice profilo: la stessa - latamente intesa - può rivestire il ruolo di autorità che impone al responsabile interventi di bonifica, ripristino o recupero dello stato dei luoghi attraverso un ordine la cui inattuazione è penalmente sanzionata oppure può rivestire il diverso ruolo di soggetto cui l’ordine di bonifica, ripristino o recupero dello stato dei luoghi (di fonte legale) viene imposto e quindi passibile di sanzione penale in caso di inottemperanza ad esso.

Ricordiamo (parafrasando l’articolato testo dell’art. 242 DLgs n. 152/06) che laddove si verifichi un evento potenzialmente in grado di contaminare un sito o nel sito si individuino contaminazioni storiche che possano ancora comportare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione dello stesso, è il responsabile dell’inquinamento che dovrebbe attivarsi spontaneamente e quindi mettere subito in atto le necessarie misure di prevenzione (entro 24 ore) e comunicarle immediatamente al Comune, alla Provincia e alla Regione territorialmente competenti nonché al Prefetto della Provincia, per non incorrere nella contravvenzione prevista e punita dall’art. 257,comma 1 del DLgs n. 152/06 (arresto da 3 mesi a un anno o ammenda da 1.000 a 26.000 euro) nonché svolgere una indagine preliminare sui parametri oggetto dell’inquinamento, i cui esiti determinano una diversificazione degli adempimenti successivamente richiesti.

Laddove si accerti il mancato superamento dei livelli delle CSC (concentrazioni soglia di contaminazione) il responsabile dovrà ripristinare la zona contaminata,

9 G. Amarelli, “I nuovi reati ambientali e la responsabilità degli enti collettivi: una grande aspettativa parzialmente delusa”, in Cassazione Penale, fasc. 1, 2016.

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dandone notizia al Comune e alla Provincia competenti per territorio con autocertificazione che conclude il procedimento di notifica.

Diversamente, laddove si accerti il superamento dei livelli di CSC anche per un solo parametro, il responsabile deve darne immediata notizia al Comune e alla Provincia competente per territorio con la descrizione delle misure di prevenzione e messa in sicurezza di emergenza adottate nonché presentare a tali amministrazioni e alla Regione territorialmente competente, entro i successivi 30 giorni, il cd piano di caratterizzazione del sito che spetta alla Regione, convocata apposita conferenza di servizi, autorizzare anche con prescrizioni integrative (entro i successivi 30 giorni), in base alle cui risultanze si applica, al sito, la procedura di analisi di rischio sito specifica per verificare se la concentrazione dei contaminanti ivi presenti superi o meno le concentrazioni soglia di rischio (CSR).

Mentre in caso di mancato superamento delle CSR la procedura si conclude con l’approvazione del documento di analisi di rischio, cui può seguire un eventuale programma di monitoraggio sul sito, da approvarsi da parte dell’amministrazione, in caso di loro superamento, il responsabile deve presentare il progetto operativo degli interventi di bonifica o di messa in sicurezza, operativa o permanente, e, ove necessario, le ulteriori misure di riparazione e di ripristino ambientale, al fine di minimizzare e ricondurre ad accettabilità il rischio derivante dallo stato di contaminazione presente nel sito, progetto che viene poi approvato con eventuali prescrizioni o integrazioni dalla Regione, acquisito il parere del comune e della provincia interessati mediante apposita conferenza di servizi e sentito il soggetto responsabile.

Precisiamo che in Lombardia, l’interlocutrice procedimentale del privato, ovvero l’autorità titolare delle funzioni relative alle procedure operative e amministrative inerenti gli interventi di bonifica, di messa in sicurezza e le misure di riparazione e di ripristino ambientale dei siti inquinati sopra descritte è da tempo il Comune nel cui ambito territoriale ricadono tali siti, in quanto tali funzioni sono state ad esso trasferite (art. 5 della LR n. 27/12/2006 n. 30) dalla Regione, che ne è titolare per legge (art. 242 DLgs n. 152/06).

Al Comune quindi spetta (art. 5, comma 1 della LR n. 30/06) “a) la convocazione della conferenza di servizi, l'approvazione del piano della caratterizzazione e l'autorizzazione all'esecuzione dello stesso, di cui all'articolo 242, commi 3 e 13, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale); b) la convocazione della conferenza di servizi e l'approvazione del documento di analisi di rischio, di cui all'articolo 242, comma 4, del D.Lgs. n. 152/2006; c) l'approvazione del piano di monitoraggio, di cui all'articolo 242, comma 6, del D.Lgs. n. 152/2006; d) la convocazione della conferenza di servizi, l'approvazione del progetto operativo degli interventi di bonifica o di messa in sicurezza e delle eventuali ulteriori misure di riparazione e di ripristino ambientale,

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nonché l'autorizzazione all'esecuzione dello stesso, di cui all'articolo 242, commi 7 e 13, del D.Lgs. n. 152/2006; e) l'accettazione della garanzia finanziaria per la corretta esecuzione e il completamento degli interventi autorizzati, di cui all'articolo 242, comma 7, del D.Lgs. n. 152/2006; f) l'approvazione del progetto di bonifica di aree contaminate di ridotte dimensioni, di cui all'articolo 249 e all'allegato 4 del D.Lgs. n. 152/2006”. Ai sensi dell’art. 5, comma 2: “È altresì trasferita ai comuni l'approvazione della relazione tecnica per la rimodulazione degli obiettivi di bonifica, di cui all'articolo 265, comma 4, del D.Lgs. n. 152/2006”.

Quanto sopra descritto è quindi l’iter operativo e procedimentale che dovrebbe essere rispettato dal soggetto responsabile della potenziale contaminazione di un sito, all’atto della sua scoperta, e a seguito di sua attivazione spontanea, in cui l’amministrazione (il Comune) è l’interlocutore procedimentale che svolge la sua istituzionale funzione amministrativa di controllo e approvazione (infatti si è evidenziato come “la normativa vigente prevede che gli interventi di bonifica siano eseguiti dai privati, seguendo tuttavia un procedimento di programmazione e di esecuzione, autorizzato e vigilato dalle autorità amministrative, e in cui viene prevista la partecipazione di vari soggetti” TAR Lombardia, Milano, sez. III, sentenza 14/07/2015 n. 1652).

Tuttavia il responsabile del potenziale inquinamento potrebbe non attivarsi spontaneamente e quindi potrebbero essere le pubbliche amministrazioni ad accertare, d’ufficio, nell’esercizio delle proprie funzioni, un evento di potenziale inquinamento ovvero che i livelli di contaminazione di un sito sono superiori ai valori di concentrazione soglia di contaminazione oppure a ricevere dal proprietario o soggetto gestore dell’area (che abbiano rilevato nel sito il superamento o il pericolo concreto e attuale di superamento delle CSC ad essi non imputabile) la comunicazione di tale evento, da cui scaturisce la necessità di caratterizzazione.

In questo caso il primo e fondamentale obbligo che incombe sull’amministrazione è la ricerca del soggetto responsabile dell’evento di superamento delle CSC e quindi del potenziale inquinamento, cui ordinare di intervenire o comunque addebitare procedure e costi degli interventi di sistemazione ambientale che dovessero essere svolti d’ufficio dall’amministrazione competente, ciò in ossequio al principio di matrice comunitaria “chi inquina paga”, previsto all’art. 191 del TFUE e richiamato dallo stesso art. 239 e 3-ter del DLGS n. 152/06, dovere sussistente anche nel caso in cui dovessero spontaneamente attivarsi il proprietario incolpevole del sito o altro soggetto interessato, che peraltro potrebbero non poter/voler più proseguire in tale iniziativa.

Né il giudice potrebbe sostituirsi all’amministrazione, che non vi avesse provveduto, nella ricerca del responsabile, trattandosi di attività ad essa riservata (TAR Lombardia, Milano, sez. III, sentenza 29/06/2016 n. 1297: “tale riserva di amministrazione impedisce al giudice di accertare le relative responsabilità in quanto

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il giudice non può sostituirsi all’amministrazione nell’attuazione di poteri non ancora esercitati”).

Per legge (art. 244 del DLGS n. 152/06), laddove l’avvenuto superamento delle CSC in un determinato sito sia accertato dalle pubbliche amministrazioni nell’esercizio delle loro funzioni, spetta alla Provincia (pur sentito il Comune territorialmente competente) svolgere le opportune indagini per identificare il responsabile e diffidarlo con ordinanza motivata a provvedere ai sensi di legge (caratterizzazione, analisi di rischio sito, piano di monitoraggio, interventi di bonifica), e non il Comune, il quale, in questo caso, in cui difetta la spontanea attivazione del responsabile, sarebbe incompetente ad emettere un’ordinanza di individuazione del privato responsabile della contaminazione e impositiva della bonifica, previa presentazione del piano di caratterizzazione(10).

L’amministrazione competente all’individuazione del responsabile della potenziale contaminazione ha quindi il dovere di svolgere le opportune indagini a ciò finalizzate, dovendo ragionevolmente inviare una comunicazione di avvio dell’apposito procedimento (ai sensi dell’art. 7 e ss. della L. n. 241/90) al soggetto che potrebbe essere ritenuto responsabile (utilizzatore, gestore, locatario dell’area) della contaminazione, per consentire allo stesso di partecipare ed interloquire utilmente nell’ambito di un pieno contraddittorio, oltre che al proprietario, per consentirgli di attivarsi direttamente e volontariamente al fine di evitare di incorrere nella prevista responsabilità patrimoniale per le spese sostenute dall’amministrazione per gli interventi di bonifica in sostituzione del responsabile che non dovesse per qualunque motivo attivarsi.

Il procedimento accertativo della responsabilità nella causazione del (potenziale) inquinamento deve essere caratterizzato da compiuta ed adeguata istruttoria, istruttoria che si ritiene possa basarsi su elementi che dimostrino secondo il principio del “più probabile che non” (TAR Toscana, Firenze, Sez. II, sentenza 22/10/2012 n. 1687; TAR Abruzzo, Pescara, Sez. I, sentenza 13/05/2011 n. 318; TAR Piemonte, Torino, sez. I, sentenza 24/03/2010 n. 1575) il nesso di causalità tra la condotta attiva e/o omissiva del soggetto e l’evento di potenziale

10 In giurisprudenza si è arrivati a qualificare una siffatta ordinanza comunale come nulla per

carenza in astratto del potere (TAR Toscana Firenze, sez. II, sent. 19/02/2010 n. 436), precisando come tale conclusione riceva “ulteriore avallo (…) dall’art. 1 della l. reg. n. 30/2006 che trasferisce ai comuni “le funzioni amministrative inerenti agli interventi di bonifica che ricadano interamente nell'ambito del territorio comunale” e che, ai sensi dell’art. 242 del d.lgs. n. 152/2006 sono attribuite alla Regione. Ebbene, poiché l’art. 242 del Codice dell’ambiente trova applicazione solo per l’ipotesi di spontanea attivazione del responsabile della contaminazione al fine dell’attuazione delle misure di prevenzione e ripristino della zona contaminata, deve ritenersi impregiudicata la competenza provinciale quando, come nel caso in esame, sia l’Amministrazione a dare impulso al procedimento, in primo luogo attraverso l’accertamento della responsabilità così come stabilito dall’art. 244 dello stesso d.lgs. n. 152 del 2006”.

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inquinamento, sulla base di elementi indiziari come l’effettivo e continuativo esercizio dell’attività nel sito interessato, la tipologia di attività svolta e le sostanze utilizzate, lo stato di conservazione e manutenzione dei macchinari utilizzati etc., l’impossibilità di spiegare con fonti alternative di contaminazione la concentrazione di agenti inquinanti etc., elementi che per precisione, gravità e concordanza, consentano di comporre un quadro indiziario completo ed esauriente, corroborato da indagini, sopralluoghi ed eventuali consulenze o verificazioni (in Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 1509/16 si richiama la necessità di poter desumere secondo l’ “id quod plerumque accidit” che l’inquinamento possa collegarsi in modo diretto ed immediato all’attività svolta nel sito da un operatore determinato).

In particolare si è precisato che “alla luce di tale esigenza di effettività della protezione dell’ambiente (…) ferma la doverosità degli accertamenti indirizzati ad individuare con specifici elementi i responsabili dei fatti di contaminazione, l’imputabilità dell’inquinamento può avvenire per condotte attive ma anche per condotte omissive, e che la prova può essere data in via diretta od indiretta, ossia, in quest’ultimo caso, l’amministrazione pubblica preposta alla tutela ambientale si può avvalere anche di presunzioni semplici di cui all’art. 2727 cod. civ, (le presunzioni sono le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato), prendendo in considerazione elementi di fatto dai quali possano trarsi indizi gravi precisi e concordanti, che inducano a ritenere verosimile, secondo l’“id quod plerumque accidit” che sia verificato un inquinamento e che questo sia attribuibile a determinati autori. Ai sensi dell’art. 2729 del cod. civ. “le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti.” Orbene tale norma - che spiega il proprio effetto diretto nel giudizio civile - pone un principio generale che consente alla pubblica amministrazione, specie quando deve svolgere complesse attività di indagine su fatti che non sono a sua diretta conoscenza ma che, per essere illeciti, sono conosciuti dai privati, il ricorso alla prova logica, alle presunzioni semplici, ad indizi gravi precisi e concordanti per la prova di determinati fatti. Peraltro in giurisprudenza è stato di recente affermato il principio della responsabilità ambientale in base al criterio del “più probabile che non “ che non fa che confermare la legittimità dell’ordinanza (…) impugnata” (TAR Toscana, Firenze, Sez. II, sentenza 22/10/2012 n. 1687; Consiglio di Stato, sez.V, sentenza n. 2532 del 03/05/2012; Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 16/06/2009 n. 3885, la quale peraltro richiama l’applicazione del principio presuntivo “in materia di accertamenti di illeciti anticoncorrenziali cfr. CdS VI 29 febbraio 2008 n. 760” precisando come “in tema di urbanistica va ricordato che si è ritenuta ravvisabile l'ipotesi di lottizzazione abusiva, prevista dall'articolo 18 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, solo quando sussistono elementi precisi ed univoci da cui possa ricavarsi agevolmente l'intento di asservire all'edificazione, per la prima volta, un'area non urbanizzata C.d.S., sez. V, 13 settembre 1991, n. 1157). La sentenza poi prosegue precisando che “né il difetto della prova testimoniale nel processo amministrativo

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(arg. ex art. 2729 comma 2 cod. civ.) esclude la possibilità per la pubblica amministrazione di ricorrere a presunzioni semplici, poiché il canone costituzionale dell'imparzialità della pubblica amministrazione e la previsione del sindacato giudiziario sugli atti della medesima (artt. 97 e 113 Cost.) nonché delle preventive garanzie procedimentali (artt. 3 e 7 della legge n. 241 del 1990) sono sufficienti per ritenere che vi sia un sistema equilibrato di pesi e contrappesi nel riconoscimento del potere - sindacabile dal giudice amministrativo - della p.a. di ricostruzione dei fatti rilevanti ai fini dell'adozione di provvedimenti amministrativi sfavorevoli ai privati, anche a mezzo di presunzioni semplici ove ciò sia imposto dalla natura degli accertamenti da espletare (come nel caso di illeciti anticoncorrenziali, di lottizzazioni abusive, di gravi fatti di inquinamento et similia)”, conclusione oggi corroborata dalla possibilità di ricorrere anche nel processo amministrativo alla prova testimoniale, ancorché solo in forma scritta).

Si è quindi ritenuta illegittima un’ordinanza impositiva di interventi ai sensi dell’art. 244 del DLGS n. 152/06 ad un operatore “colpevole” solo di una pregressa titolarità e di un risalente esercizio nel sito di un’attività potenzialmente inquinante, ma cessata da decenni, laddove non sia stato ragionevolmente possibile escludere che la fonte di inquinamento provenisse da attività produttiva in esercizio in prossimità del sito inquinato ed anzi fosse emerso dall’istruttoria che la tipologia del rifiuto rinvenuto nel sito non fosse riconducibile a tale attività produttiva (TAR Puglia, Lecce, sentenza n. 1901 del 02/11/2011).

Vero è che in altre pronunce si è ritenuto necessario un accertamento rigoroso del nesso di causalità fra il comportamento del "responsabile" ed il fenomeno dell'inquinamento, “fondato su una adeguata motivazione e su idonei elementi istruttori nonché "su prove e non su mere presunzioni" (Cons. di Stato, Sez. VI, 5 settembre 2005, n. 4525; Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 09/01/2013 n. 56).

Recentemente però il Consiglio di Stato (sez. V, sentenza n. 1489/2016) ha confermato quanto sostenuto dal TAR Friuli Venezia Giulia (sentenza n. 215/2015) in ordine al criterio di accertamento del nesso causale fondato su presunzioni, affermando che il “T.A.R. ha correttamente richiamato il più recente orientamento che, in ambito amministrativo, postula il superamento della più rigorosa teoria della condicio sine qua non (di marca penalista), in favore del criterio (operante in ambito civilistico) del ‘più probabile che non’ secondo la teoria della c.d. regolarità causale (sul punto, ex multis: Cons. Stato, V, 28 aprile 2014, n. 2195). (…).3.1.3. Ebbene, dalle risultanze in atti risultano effettivamente indici del tutto persuasivi in ordine all’attribuibilità delle richiamate condotte alla società Industrie A. Zanussi s.p.a. (dante causa dell’appellante), che nel periodo storico in cui si sono quasi certamente verificati gli imbonimenti in questione operava in un’area molto prossima (circa due chilometri dal sito in questione) nel settore della produzione di elettrodomestici. Si tratta di indici rivelatori che, singolarmente esaminati, non consentirebbero di affermare la

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responsabilità della Industrie A. Zanussi nell’aver operato e/o disposto l’imbonimento delle aree ma che nel loro complesso consentono di addivenire a conclusioni affatto diverse”.

Si pone quindi una questione di non poco conto, evidenziata da molti commentatori della nuova norma incriminatrice.

Se alla pubblica amministrazione ragionevolmente si consente di adottare un criterio causale (quello civilistico) per così dire “elastico” per l’individuazione del responsabile della potenziale contaminazione, al fine di poter allo stesso ordinare di intervenire, le implicazioni di tale scelta potrebbero essere fortemente discutibili dal punto di vista del privato destinatario dell’ordine di intervento, la cui inottemperanza assume rilevanza penale alla luce del nuovo delitto di omessa bonifica.

Posto che la responsabilità ambientale del soggetto cui è diretto un ordine della pubblica amministrazione di bonifica o di recupero o di ripristino dello stato dei luoghi può venir accertata, come detto (e proprio perché si tratta di un sistema di ricerca del responsabile su cui far gravare attività e costi), sulla base del criterio probabilistico (del più probabile che non) certamente meno rigoroso rispetto al criterio causale (dell’oltre ogni ragionevole dubbio”) che è posto alla base del riconoscimento di una responsabilità penale, ne consegue che si troverebbe ad essere penalmente sanzionato e quindi condannato per il nuovo delitto di omessa bonifica un soggetto la cui responsabilità nella contaminazione non è stata accertata oltre ogni ragionevole dubbio (criterio causale di imputazione della responsabilità penale), ma in base a presunzioni anche se basate su indizi gravi precisi e concordanti.

Certamente i due piani di responsabilità sono e vanno tenuti distinti, ma la nuova incriminazione li collega ora strettamente.

Ad ogni modo, nell’imporre l’obbligo di intervento riparativo, si ritiene preferibile dare rilevanza alla quota di contributo all’inquinamento o al rischio di inquinamento del singolo operatore, in luogo dell’applicazione della responsabilità solidale prevista dall’art. 2055 c.c. (pur maggiormente confacente alla tutela del pubblico interesse finalizzato a garantire un intervento riparatore), la quale pare riguardare solo il diverso ambito della generale responsabilità civile (Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 30/07/2015 n. 3756).

Ciò detto, occorre interrogarsi sulla possibile rilevanza penale della condotta della pubblica amministrazione che non attivi il procedimento di individuazione del responsabile del possibile inquinamento, cui motivatamente indirizzare l’ordinanza di diffida ad intervenire.

Certamente l’amministrazione ha il dovere di ricercare ed identificare il responsabile della possibile contaminazione (o concludere per l’impossibilità di sua identificazione) non solo per diffidarlo ad intervenire e, nel caso questi non provveda

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direttamente, per consentire all’amministrazione (competente ad intervenire d’ufficio ai sensi dell’art. 250 DLgs n. 152/06) di agire contro di esso per il recupero delle spese a tal fine sostenute, ma soprattutto per consentire all’amministrazione attivatasi in sua sostituzione di esercitare il privilegio speciale e la ripetizione delle spese sostenute nei confronti del proprietario incolpevole del sito (però solo nei limiti del valore di mercato del sito determinato a seguito dell’esecuzione degli interventi doverosi – art. 253, comma 4 DLgs n. 152/06(11) posto che per recuperare tali somme è necessario che l’amministrazione competente emetta un motivato provvedimento in cui giustifichi l’impossibilità di accertare l’identità del soggetto responsabile (a conclusione quindi del precedente procedimento volto a tale identificazione) oppure l’impossibilità di esercitare nei suoi confronti azioni di rivalsa o la loro infruttuosità (art. 253, comma 3 DLgs n. 152/06).

Accertamento fondamentale anche per consentire al proprietario incolpevole di esercitare il suo diritto di rivalersi nei confronti del vero responsabile dei costi del suo intervento spontaneo o dell’eventuale maggior danno subito.

Ci si può allora chiedere se l’ingiustificata inerzia nella ricerca del responsabile della potenziale contaminazione (che come detto consegue all’accertato superamento nel sito interessato delle CSC) possa configurare in capo alla competente amministrazione il reato di omissione di atti d’ufficio (art. 328 c.p.) vista la indiscussa doverosità della ricerca del responsabile per l’emanazione

11 Art. 253 DLgs n.152/06: “1. Gli interventi di cui al presente titolo costituiscono onere reale sui siti

contaminati qualora effettuati d'ufficio dall'autorità competente ai sensi dell'articolo 250. L'onere reale viene iscritto a seguito della approvazione del progetto di bonifica e deve essere indicato nel certificato di destinazione urbanistica. 2. Le spese sostenute per gli interventi di cui al comma 1 sono assistite da privilegio speciale immobiliare sulle aree medesime, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 2748, secondo comma, del codice civile. Detto privilegio si può esercitare anche in pregiudizio dei diritti acquistati dai terzi sull'immobile. 3. Il privilegio e la ripetizione delle spese possono essere esercitati, nei confronti del proprietario del sito incolpevole dell'inquinamento o del pericolo di inquinamento, solo a seguito di provvedimento motivato dell'autorità competente che giustifichi, tra l'altro, l'impossibilità di accertare l'identità del soggetto responsabile ovvero che giustifichi l'impossibilità di esercitare azioni di rivalsa nei confronti del medesimo soggetto ovvero la loro infruttuosità. 4. In ogni caso, il proprietario non responsabile dell'inquinamento può essere tenuto a rimborsare, sulla base di provvedimento motivato e con l'osservanza delle disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, le spese degli interventi adottati dall'autorità competente soltanto nei limiti del valore di mercato del sito determinato a seguito dell'esecuzione degli interventi medesimi. Nel caso in cui il proprietario non responsabile dell'inquinamento abbia spontaneamente provveduto alla bonifica del sito inquinato, ha diritto di rivalersi nei confronti del responsabile dell'inquinamento per le spese sostenute e per l'eventuale maggior danno subito. 5. Gli interventi di bonifica dei siti inquinati possono essere assistiti, sulla base di apposita disposizione legislativa di finanziamento, da contributi pubblici entro il limite massimo del cinquanta per cento delle relative spese qualora sussistano preminenti interessi pubblici connessi ad esigenze di tutela igienico-sanitaria e ambientale o occupazionali. Ai predetti contributi pubblici non si applicano le disposizioni di cui ai commi 1 e 2”.

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dell’ordinanza di diffida ad intervenire e vista altresì l’indubbia necessità, anche se non palesata nella norma, di effettuare tale accertamento senza ritardo per la pronta emanazione dell’ordinanza di diffida e per consentire di attivare le procedure volte a reagire alla potenziale contaminazione, a tutela della salubrità ambientale che potrebbe peraltro rientrare nelle ragioni di sanità ed igiene che richiedono la pronta adozione del provvedimento.

L’art. 328 c.p., comma 1, incrimina la condotta del “pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio che indebitamente rifiuti un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo”, oltre che, al comma 2, “il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l'atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo” laddove “tale richiesta deve essere redatta in forma scritta ed il termine di trenta giorni decorre dalla ricezione della richiesta stessa”.

Si ritiene in particolare che presupposto della condotta di rifiuto contemplata dall'art. 328 c.p., comma 1, possa consistere in sollecitazioni o richieste di intervento oppure possa concretizzarsi nella stessa immanente urgenza di intervento sottesa alla situazione di pericolo di cui si impone la rimozione per mezzo di uno specifico atto o intervento pubblico (Trib. Firenze Sez. II, 17-06-2016) tanto che il rifiuto penalmente rilevante è integrato anche quando, “indipendentemente da una richiesta o da un ordine, sussista un’urgenza sostanziale impositiva dell’atto resa evidente da fatti oggettivi posti all’attenzione del soggetto obbligato ad intervenire, di modo che l’inerzia soggettiva del medesimo assuma valenza di rifiuto” (Cassazione penale, sez. VI, sentenza n. 210497/98)), con ciò facendo emergere come tale fattispecie incriminatrice si adatti più facilmente a provvedimenti urgenti e indifferibili del Sindaco per la rimozione della situazione di pericolo (ad esempio la presenza di rifiuti che possono provocare inquinamento) che a provvedimenti ordinari come l’ordinanza di identificazione del responsabile e conseguente imposizione del piano di caratterizzazione del sito prodromica alla verifica della possibile contaminazione che fa scattare la necessità di bonifica.

Tuttavia si è anche precisato che “ai fini della configurabilità del reato di rifiuto di atti di ufficio, l'indifferibilità dell'atto deve essere accertata in base all'esigenza di garantire il perseguimento dello scopo cui l'atto è preordinato ed agli effetti al medesimo concretamente ricollegabili. Di talché, l'assenza di termini di legge espliciti o la previsione di termini meramente ordinatori non esclude il dovere di compiere l'atto in un ristretto margine temporale quando ciò sia necessario per evitare un sostanziale aumento del rischio per gli interessi tutelati dalla norma incriminatrice” (Trib. Napoli Sez. I, 08-01-2015); ancora si legge come “Il delitto di omissione di atti d'ufficio è un reato di pericolo la cui previsione sanziona il rifiuto non già di un atto urgente, bensì di un atto dovuto che deve essere compiuto senza ritardo, ossia con

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tempestività, in modo da conseguire gli effetti che gli sono propri in relazione al bene oggetto di tutela” (Cass. pen. Sez. VI, 07-05-2014, n. 33857).

Peraltro si è anche sostenuto che “per integrare il rifiuto di atti d'ufficio non è necessaria una sollecitazione, essendo sufficiente l'esistenza di una norma che prescrive l'atto” (Cass. pen. Sez. VI, 13-01-2015, n. 6075).

Ebbene, quand’anche la natura dell’atto da adottare (ordinanza che diffida ad intervenire il responsabile, previa sua identificazione effettuata d’ufficio dall’amministrazione) e le connesse tempistiche non consentano di configurare un tale reato, la sua mancata adozione potrebbe forse avere rilevanza penale ai sensi del 2° comma dell’art. 328 c.p. laddove richiesta e/o sollecitata.

Nulla parrebbe escludere infatti che l’accertamento della responsabilità, per l’emanazione dell’ordinanza di diffida ad intervenire, pur doveroso da parte dell’amministrazione, sia richiesto e/o sollecitato da un soggetto interessato all’individuazione del responsabile, come ad esempio il proprietario incolpevole del sito, per tutte le conseguenze che da tale accertamento scaturiscono in suo favore.

La Suprema Corte di Cassazione (Cassazione penale, sez. VI, 06/10/2015, n. 42610) ha invero chiarito che “la fattispecie di cui all'art. 328 c.p., comma 2, incrimina non tanto l'omissione dell'atto richiesto, quanto la mancata indicazione delle ragioni del ritardo entro i trenta giorni dall'istanza di chi vi abbia interesse. L'omissione dell'atto, in sostanza, non comporta ex se la punibilità dell'agente, poichè questa scatta soltanto se il pubblico ufficiale (o l'incaricato di pubblico servizio), oltre a non avere compiuto l'atto, non risponde per esporre le ragioni del ritardo: viene punita, in tal modo, non già la mancata adozione dell'atto, che potrebbe rientrare nel potere discrezionale della pubblica amministrazione, bensì l'inerzia del funzionario, la quale finisce per rendere poco trasparente l'attività amministrativa. In tal senso, la stessa formulazione della norma, che utilizza la congiunzione "e", delinea una equiparazione ex lege dell'omessa risposta che illustra le ragioni del ritardo alla mancata adozione dell'atto richiesto (v., in motivazione, Sez. 6, 22 giugno 2011, n. 43647). Ne discende, conclusivamente, che la richiesta scritta di cui all'art. 328 c.p., comma 2, assume la natura e la funzione tipica della diffida ad adempiere, dovendo la stessa essere rivolta a sollecitare il compimento dell'atto o l'esposizione delle ragioni che lo impediscono, con il logico corollario che il reato si "consuma" quando, in presenza di tale presupposto, sia decorso il termine di trenta giorni senza che l'atto richiesto sia stato compiuto, o senza che il mancato compimento sia stato giustificato (Sez. 6^, 15 gennaio 2014 - 20 gennaio 2014, n. 2331)”.

Ancora si è sostenuto che “ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 328 c.p., il contegno inerte del pubblico ufficiale può acquistare rilevanza penale solo successivamente e non contestualmente al decorso del termine dei primi trenta giorni di cui alla l. n. 241 del 1990; è, infatti, necessario un primo tipo di istanza alla quale è

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connesso l'avvio del procedimento, ed una seconda istanza di messa in mora con la quale si richiede, per iscritto ma senza vincoli di particolare formalità, all'amministrazione di provvedere. Occorre, inoltre, affinché l'istanza di messa in mora possa considerarsi efficace, che il procedimento amministrativo sia scaduto e che decorra inutilmente l'ulteriore termine di trenta giorni di cui al secondo comma dell'art. 328 c.p. (nella specie, all'originaria istanza indirizzata all'imputato, peraltro del tutto inidonea a determinare un valido avvio del procedimento, in quanto priva dei requisiti essenziali, una volta decorso inutilmente il termine di trenta giorni di cui all'art. 2 comma 1 l. n. 241 del 1990 non ha fatto seguito un'ulteriore istanza di messa in mora di cui all'art. 328 comma 2 c.p., non rendendo pertanto configurabile il reato contestato) (Ufficio Indagini preliminari S.Angelo Lombardi, 28/02/2013).

Infine quanto “alla configurabilità dell'elemento psicologico del delitto di rifiuto di atti d'ufficio, è necessario che il pubblico ufficiale abbia consapevolezza del proprio contegno omissivo, dovendo egli rappresentarsi e volere la realizzazione di un evento "contra ius", senza che il diniego di adempimento trovi alcuna plausibile giustificazione alla stregua delle norme che disciplinano il dovere di azione. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato la sentenza di condanna emessa nei confronti di un sindaco e di un dirigente amministrativo di un comune in relazione all'omesso smaltimento del percolato di una discarica comunale non più attiva, escludendo la sussistenza del dolo, in quanto, durante il periodo di tempo trascorso dalle segnalazioni del problema all'affidamento dei lavori di smaltimento ad una ditta specializzata, il primo aveva fatto adottare dalla giunta comunale una delibera per la bonifica della discarica, ed il secondo aveva fatto svolgere accertamenti per risolvere definitivamente l'inconveniente). Cass. pen. Sez. VI, 09-04-2014, n. 51149).

Alcuni commentatori(12), hanno invece sostenuto si possa ipotizzare il nuovo reato di omessa bonifica in caso di mancata attivazione (da parte del funzionario dell’amministrazione competente) del procedimento volto all’accertamento del responsabile ex art. 244 DLGS n. 152/06 posto non solo che tale obbligo è doveroso per legge, ma è necessariamente collegato e prodromico alla bonifica stessa, in quanto – come detto – la stessa si impone nel momento in cui si accerti l’avvenuto superamento delle CSR a seguito di analisi di rischio sito specifica a sua volta conseguente alla caratterizzazione da effettuarsi da parte del responsabile della potenziale contaminazione.

Si è richiamato peraltro l’art. 40, comma II del c.p. ipotizzando in capo al funzionario su cui grava l’obbligo giuridico di attivarsi e che invece non abbia attuato le procedure di controllo e quelle prodromiche alla bonifica, una forma di responsabilità penale per non aver impedito l’evento di mancata bonifica.

12 M. Zortea – V. Manca, “I reati di omessa bonifica: Antico e nuovo testamento nelle legge n. 68/15” in Ambiente e Sviluppo, 2016, 4, 251.

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Ciò detto, occorre infine soffermarsi sulle già anticipate conseguenze della mancata ottemperanza da parte del soggetto - individuato come responsabile della potenziale contaminazione per accertato superamento delle CSC - all’ordinanza impositiva degli adempimenti di legge (ovvero quelli previsti dall’art. 242: caratterizzazione, analisi di rischio sito, bonifica ed eventuale ripristino) con particolare riferimento alla nuova norma incriminatrice.

Come detto, il reato si configura in caso di mancata effettuazione della bonifica, del recupero e del rispristino dello stato dei luoghi imposti dall’amministrazione.

Ma con l’ordinanza con cui si diffida il responsabile a presentare il piano di caratterizzazione, l’amministrazione potrebbe anche contestualmente ed espressamente imporre, anticipando i successivi adempimenti richiedibili per legge, anche lo svolgimento di tutte le attività necessarie per la bonifica e il ripristino dello stato dei luoghi, anche se la bonifica è successiva alla caratterizzazione stessa in quanto presuppone l’avvenuto superamento delle CSR (e non il mero superamento delle CSC) nel sito ed è contemplata nella sua concreta attuazione in un progetto da approvarsi dall’amministrazione competente.

Ebbene, l’attuazione di tale ordinanza, laddove e solo perché espressamente impositiva di tali adempimenti, e a prescindere dalla sua legittimità, parrebbe quindi fruire del presidio penale dato dal nuovo delitto di omessa bonifica in caso di mancato adempimento da parte del destinatario, consapevole di essere tenuto ad intervenire in forza di tale ordine dell’autorità; in passato, invece, essendo incriminata penalmente ai sensi dell’art. 257 DLgs n. 152/06 la sola omessa bonifica secondo il progetto approvato del sito in cui si fosse verificato il superamento delle CSR, il privato che fosse rimasto inottemperante ad un provvedimento (legittimo o meno) impositivo di misure complessivamente volte alla bonifica (e/o anche al ripristino dello stato dei luoghi) non sarebbe incorso in alcuna sanzione penale, salvo poter incorrere, in presenza però dei requisiti previsti dalla legge (ad es. specificate ragioni di igiene), alla contravvenzione di cui all’art. 650 c.p.(Inosservanza dei provvedimenti dell'autorità, che incrimina chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall'autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica o d'ordine pubblico o d'igiene, salvo che il fatto non costituisca un più grave reato).

5. Nuovo delitto di omessa bonifica e ruolo della pubblica amministrazione: l’obbligo legale di intervento e la possibile rilevanza penale della sua inottemperanza.

Si è detto che è il responsabile a dover intervenire per bonificare, ripristinare e recuperare un sito contaminato, salva la facoltà di spontaneo intervento del proprietario dell’area o di altro soggetto interessato (ad esempio il gestore dell’area) al fine di trarne comunque un vantaggio.

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Ma se tale soggetto non viene individuato dalla pubblica amministrazione o se, pur individuato di fatto non voglia o non possa (ad es. perché fallito) attivarsi, è indiscusso che debba intervenire la pubblica amministrazione (nella specie il Comune territorialmente competente o, in mancanza, la Regione).

Si tratta proprio di un obbligo di legge (art. 250 DLGS n, 152/06) che opera a certe condizioni e la cui inottemperanza pare essere ora penalmente sanzionata proprio nell’ambito del nuovo delitto di omessa bonifica.

Infatti l’art. 250 del DLGS n.152/06, rubricato ”Bonifica da parte della pubblica

amministrazione” prevede che:

“Qualora i soggetti responsabili della contaminazione non provvedano direttamente agli adempimenti disposti dal presente titolo ovvero non siano individuabili e non provvedano né il proprietario del sito né altri soggetti interessati, le procedure e gli interventi di cui all'articolo 242 sono realizzati d'ufficio dal comune territorialmente competente e, ove questo non provveda, dalla regione, secondo l'ordine di priorità fissato dal piano regionale per la bonifica delle aree inquinate, avvalendosi anche di altri soggetti pubblici o privati, individuati ad esito di apposite procedure ad evidenza pubblica. Al fine di anticipare le somme per i predetti interventi le regioni possono istituire appositi fondi nell'ambito delle proprie disponibilità di bilancio”.

L’attivazione dell’ente pubblico è pertanto ipotesi residuale, espressione di un potere sussidiario, sostitutivo, esercitato nell’interesse generale della comunità e non dei sostituiti (sebbene gli effetti incidano sulla loro sfera giuridica, avvalendosi dei risultati derivanti da un’attività altrui) e volto non a sanzionare il privato inadempiente (che, conseguentemente, non perde la possibilità di attivarsi operativamente fin tanto che non sia intervenuta l'Amministrazione) ma a garantire che l'interesse pubblico a contenere e a eliminare la contaminazione venga comunque tutelato, poco importando se dal responsabile in via primaria o da chi è titolare di competenza sostitutiva (TAR Trentino Alto Adige, Trento, Sez. I, sentenza 13/04/2016 n. 202).

Si è perciò chiarito che “dal carattere sussidiario del coinvolgimento diretto della pubblica amministrazione nell'esecuzione degli interventi necessari discende che l'amministrazione, in mancanza di un'ammissione di responsabilità oppure di un intervento spontaneo, deve individuare il responsabile dell'inquinamento e solo se questo non sia individuabile e non provvedano né il proprietario del sito né altri soggetti interessati, scatta l'obbligo dell'amministrazione pubblica di provvedere alla bonifica, come ben chiarisce l'art. 250 del D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152” (TAR Lombardia, Milano, sez. III, sentenza 14/07/2015 n. 1652).

L’intervento pubblico è quindi condizionato alla non controversa inerzia, oltre il termine di legge, per qualsiasi motivo del soggetto chiamato prioritariamente ex lege

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ad intervenire e di cui si sia potuto accertare l’identità ovvero di cui si sia accertata l’impossibilità di individuazione in modo certo.

Pertanto si è ritenuto che i presupposti per l’attivazione dell’obbligo legale sussidiario di intervento siano insussistenti laddove l’accertamento della sussistenza di obblighi di bonifica in capo ai privati sia ancora in fase di accertamento, non sia dimostrata l’impossibilità di identificare il responsabile e sia altresì in corso un intervento spontaneo di soggetti privati interessati non solo ad iniziare ma verosimilmente anche a concludere la procedura, magari perché hanno ottenuto l’approvazione di progetti urbanistici di sfruttamento dell’area (come un PII).

Del resto “dall'art. 250 (..) è chiaro che, se un responsabile è individuabile, prima dell'intervento pubblico occorre che questo sia individuato e che si attivi una procedura di adempimento coattivo nei suoi confronti, prima che diventi effettivo l'obbligo di intervento dell'ente pubblico. In particolare dall'esame degli atti risulta l'esistenza di obblighi contrattuali di bonifica che formano oggetto di accertamento da parte del giudice ordinario e che escludono un obbligo attuale del Comune di bonificare l'area. Né l'esistenza di supposti inadempimenti nelle precedenti fasi da parte di alcuni proprietari è sufficiente a radicare la competenza comunale, in quanto non è data prova che l'adempimento sia divenuto impossibile o che la volontà degli obbligati sia definitiva in senso dell'inadempimento, né che il Comune abbia rinunciato ad attivare forme di adempimento coattivo”.

Peraltro non è previsto alcun coinvolgimento, in contraddittorio, del soggetto inadempiente nelle operazioni svolte dall’amministrazione in sua sostituzione “..non tanto perché tale obbligo non è testualmente previsto dalla legge (come affermano le parti resistenti), ma piuttosto perché l'attivazione del potere sostitutivo, a seguito della conclamata inadempienza del privato, è logicamente inconciliabile con successive (e dunque tardive) pretese di partecipazione da parte dello stesso privato” (TAR Trentino Alto Adige, Trento, Sez. I, sentenza 13/04/2016 n. 202).

L’art. 250 DLgs n. 152/06 ha però acquisito un valore ancora più pregnante con la nuova incriminazione di omessa bonifica (art. 452-terdecies c.p.).

Infatti, laddove l’amministrazione non provvedesse alla bonifica o al ripristino o al recupero ambientale imposti da tale norma, potrebbe configurarsi il nuovo delitto di omessa bonifica anche a suo carico o meglio ed in prima battuta in capo al Sindaco, quale legale rappresentante del Comune chiamato ad intervenire.

I primi commentatori della norma - in attesa delle future pronunce giurisprudenziali in merito - hanno subito evidenziato la problematicità della questione e la difficoltà di sua soluzione, prospettando all’interprete due possibili alternative.

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Secondo una prima tesi il nuovo delitto di omessa bonifica si potrebbe configurare in capo all’amministrazione che non dovesse attivarsi in sostituzione del responsabile contravvenendo all’obbligo imposto dall’art. 250 DLgs n. 152/06, in quanto stando al tenore strettamente letterale della norma incriminatrice viene sanzionato chiunque (destinatario di un obbligo di bonifica previsto dalla legge), non vi ottemperi, a prescindere dalla sua effettiva responsabilità nella causazione dell’evento potenzialmente inquinante.

Anche se non è da escludere che l’amministrazione possa aver prodotto essa stessa direttamente il rilevato inquinamento, è indubbio come nel caso di doverosa sostituzione del vero responsabile ai sensi dell’art. 250 DLgs n. 152/06, la stessa non sia assolutamente responsabile e ciononostante assoggettata al dovere di intervento assistito da sanzione penale.

È da osservare che la conclusione non pare del tutto inaccettabile solo se si considera da un lato che il Comune, a prescindere dalle sue specifiche competenze, è l’ente territoriale che meglio può difendere l’interesse alla salubrità territoriale ed ambientale del cittadino appartenente alla sua comunità e quindi doverosamente tenuto ad intervenire, dall’altro che non sarebbe il solo soggetto chiamato ad intervenire ancorché irresponsabile e di cui il legislatore ha scelto di sanzionare penalmente l’inerzia: anche nelle ipotesi di ordine del giudice civile potrebbe non sussistere responsabilità nella contaminazione in capo al privato obbligato a bonificare per vincolo contrattuale e sanzionato in caso di sua inottemperanza.

Tuttavia, come evidenziato da alcuni commentatori(13) la norma così interpretata solleverebbe dubbi di costituzionalità per contrasto con gli artt. 3, 10 e 117 della Costituzione.

Infatti, non solo la medesima pena si applicherebbe irragionevolmente sia al soggetto responsabile che a quello incolpevole tenuto ad intervenire solo in sua doverosa sostituzione (e qualche commentatore ha sottolineato come “l’autore dell’inquinamento verrebbe irragionevolmente sottoposto (dall’art. 257 D.Lgs n. 152/06) a una pena uguale o più lieve di quella prevista per colui che della contaminazione non ha colpa alcuna (art. 452-terdecies c.p.(14))), ma tale lettura si porrebbe in contrasto con il principio “chi inquina paga” ormai costituzionalizzato nel nostro ordinamento e di immediata e diretta applicazione (costituzionalizzazione dovuta, secondo i citati commentatori(15), al richiamo effettuato dall’art. 10 della Costituzione alle “norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”, laddove ai sensi dell’art. 117 Cost. la potestà legislativa statale e regionale deve esercitarsi nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali).

13 L. Butti e F. Peres, B&P. Avvocati, “Sul nuovo delitto di omessa bonifica ancora tanti i punti da chiarire” in www.ambientesicurezzaweb.it n. 22 del 25.11.2015 14 L. Butti e F. Peres, B&P. Avvocati, “Sul nuovo delitto di omessa bonifica ancora tanti i punti da chiarire” in www.ambientesicurezzaweb.it n. 22 del 25.11.2015 15 L. Butti e F. Peres, B&P. Avvocati, “Sul nuovo delitto di omessa bonifica ancora tanti i punti da chiarire” in www.ambientesicurezzaweb.it n. 22 del 25.11.2015

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Il Consiglio di Stato ha del resto precisato che “il principio comunitario secondo cui “chi inquina paga” fissato dall’art. 175 del Trattato CE (ora art. 191 TFUE) deve ritenersi costituzionalizzato atteso che il nuovo art. 117 Cost. prevede che i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e quindi anche i principi generali sui quali detto ordinamento si fonda devono essere osservati dallo Stato e dalle Regioni” e che peraltro tale principio “trova diretta ed immediata applicazione nella legislazione nazionale. Infatti i trattati costitutivi della Comunità europea non sono comuni accordi internazionali in forza dei quali gli Stati contraenti si impegnano a rispettare specifiche obbligazioni reciproche, ma rappresentano gli atti costitutivi di un nuovo ordinamento, i cui atti normativi sono validi ed efficaci negli ordinamenti dei singoli stati membri indipendentemente da norme interne di recepimento; ne deriva che tutti i principi affermati nei trattati istitutivi delle Comunità europee trovano applicazione e il giudice ha l’obbligo di applicare integralmente il diritto comunitario, disapplicando eventualmente la normativa interna con esso confliggente” (Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 26/09/2013 n. 4756).

Senza contare che - come già anticipato - il principio “chi inquina paga” è richiamato sia all’art. 239 del DLGS n.152/06, secondo cui il titolo relativo alla bonifica dei siti inquinati “disciplina gli interventi di bonifica e ripristino ambientale dei siti contaminati e definisce le procedure, i criteri e le modalità per lo svolgimento delle operazioni necessarie per l'eliminazione delle sorgenti dell'inquinamento e comunque per la riduzione delle concentrazioni di sostanze inquinanti, in armonia con i principi e le norme comunitari, con particolare riferimento al principio «chi inquina paga»”, sia all’art. 3-ter del DLGS n. 152/06 contenente il Principio dell'azione ambientale (“La tutela dell'ambiente e degli ecosistemi naturali e del patrimonio culturale deve essere garantita da tutti gli enti pubblici e privati e dalle persone fisiche e giuridiche pubbliche o private, mediante una adeguata azione che sia informata ai principi della precauzione, dell'azione preventiva, della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché al principio “chi inquina paga” che, ai sensi dell'articolo 174, comma 2, del Trattato delle unioni europee, regolano la politica della comunità in materia ambientale”).

Si è fatta strada quindi una seconda tesi che nega l’applicazione della fattispecie incriminatrice anche all’amministrazione eventualmente inadempiente all’obbligo ex art. 250 DLgs n. 152/06, ragionevolmente ritenendo che alla nuova norma incriminatrice debba essere necessariamente data una lettura costituzionalmente orientata, che tenga conto proprio del su richiamato principio “chi inquina paga”.

Si conclude quindi nel senso della riferibilità della norma incriminatrice unicamente al soggetto che è tenuto sì ad attivarsi per legge, ma proprio e solo in quanto abbia preliminarmente causato l’inquinamento, circostanza che diverrebbe quindi il presupposto anche di tale nuovo delitto e non solo della preesistente contravvenzione, in tal modo peraltro determinando una restrizione del novero dei soggetti attivi di tale reato.

Questo il quadro, in attesa di sviluppi giurisprudenziali.

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In conclusione si può affermare che l’intento di incriminare tout court le condotte omissive di mancata riparazione (intesa in senso lato e quindi non solo bonifica, ma anche ripristino e recupero dello stato dei luoghi contaminati) di un sito inquinato laddove a vario titolo imposta, prevedendo un ambito soggettivo di applicazione della norma molto ampio in quanto riguardante tutti i soggetti comunque destinatari di tale obbligo, è certamente meritevole in un’ottica di tutela effettiva dell’ambiente e altresì di garanzia dell’effettività dell’ordine di intervento emesso dalla pubblica amministrazione nei confronti del responsabile della possibile contaminazione del sito, la cui cogenza e attuazione vengono presidiate con l’applicazione di sanzione penale in caso di sua inottemperanza. Ma tale nuova incriminazione, necessariamente interpretata secondo il suo tenore letterale, comporta per la pubblica amministrazione, latamente intesa, anche conseguenze pregiudizievoli laddove si renda inadempiente all’obbligo legale di intervenire in sostituzione del soggetto responsabile che non sia identificabile o che per qualsiasi motivo non intervenga (art. 250 DLGS n. 152/06).

L’amministrazione infatti sarebbe soggetta a sanzione penale per tale inadempimento, pur non essendo responsabile della contaminazione e dovendo già sostenere le ingenti spese connesse agli interventi necessariamente da attuare (spese che peraltro potrebbe anche non recuperare o recuperare parzialmente) sicché si auspica che la norma – nella parte in cui si riferisce al chiunque (…) obbligato per legge – se non modificata e precisata dal legislatore, venga riletta dalla giurisprudenza come applicabile al solo soggetto previamente ritenuto responsabile della contaminazione e proprio per questo obbligato ad intervenire (come avviene per l’ipotesi di cui all’art. 242 DLgs n. 152/06).

Avv. Prof. Bruno SANTAMARIA