Relazione La mobilità in Puglia · Mentre nel ’29 la crisi fu affrontata e superata, in linea...
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"LA MOBILITA' IN PUGLIA: DAL TPL AL SERVIZIO UNIVERSALE"
Relazione
“La mobilità in Puglia:
dal TPL al Servizio Universale”
“I tagli indiscriminati ai servizi pubblici essenziali, all’assistenza ai poveri, fanno
solo male alle prospettive di ripresa del Paese, e che ciò avviene perché in Europa,
come negli Stati Uniti, troppe persone molto serie sono state plagiate dal culto
dell’austerità, dall’idea che l’attuale pericolo sia il deficit di bilancio e non la
disoccupazione di massa, e che la riduzione del deficit possa risolvere in qualche
modo un problema nato dagli eccessi del settore privato” (Paul Krugman – nobel
per l’economia nel 2008).
CONTESTO SOCIO/ECONOMICO.
La crisi, presente da un quinquennio, continuerà a mordere ancora per molto tempo. La
cancelliera Merkel, non più di un mese fa, ha affermato che tutta l’Europa sarà coinvolta dalla
crisi per altri cinque anni, ma per il Fondo monetario ne servirebbero il doppio. Che ciò sia
vero è confermato dalle affermazioni di altri autorevoli personaggi, come ad esempio il
Governatore della BCE e della Banca d’Italia, nonché da alcuni fattori economici. L’Istat, ad
esempio, conferma che la disoccupazione nel 2013 salirà oltre l’11.1% e tra i giovani oltre
36.5% (circa 2.9 milioni di disoccupati ad ottobre 2012), il PIL si attesterà ad un meno 0.5% e
i consumi continueranno a contrarsi. A questo stato di cose e ai precedenti tagli lineari del
governo Berlusconi, il governo Monti risponde con continue riduzioni di trasferimenti di
risorse dallo Stato alle Regioni, attraverso tagli e revisione della spesa.
Entrambi i Governi, con i dovuti distinguo tra il governo Monti e quello precedente, se non
altro per la credibilità recuperata con i partner europei e con i mercati finanziari, hanno e
continuano a trascurare la crescita, puntando esclusivamente su una politica d’austerità.
Il dramma è che la crisi, esplosa nel corso del 2007, non è stata generata dal debito pubblico,
che potrebbe pure giustificare la politica di rigore del bilancio, bensì dalle banche e dalla bolla
immobiliare per eccesso di debito privato, di certo non generato in Italia.
Le banche UE sono gravate da una montagna di debiti e di crediti di cui non si riesce a stabilire
l’esatto ammontare, né il rischio d’insolvenza. Ciò è stato causato, grazie alla complicità di
governi e di legislazioni, da una “finanza ombra”, ovviamente sostenuta da un sistema
totalmente deregolarizzato. La crisi, generata dalle banche, è stata mascherata dal debito
pubblico. Il paradosso è che, invece di stare sul tavolo degli imputati il sistema bancario, è
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sotto accusa il debito pubblico.
“Il banchiere ti presta il suo ombrello quando splende il sole, ma lo rivuole indietro
non appena si mette a piovere”.
Tutto ciò non ci impedisce di riconoscere il ruolo centrale che hanno le banche per il
funzionamento dell’intero sistema economico e, quindi, la necessità d’interventi per
impedire che singoli istituti possano fallire.
Ora, a prescindere dalle responsabilità, il problema vero sono le ricette attuate per uscire o
almeno contenere la crisi. Mentre nel ’29 la crisi fu affrontata e superata, in linea con il
pensiero keynesiano, con il New Deal di Roosevelt che rilanciò con l’intervento dello Stato la
crescita economica e la costruzione del Welfare State, ricordiamo, per inciso, che gli interventi
richiesero tre anni negli Stati Uniti e due in Inghilterra per uscire dalla crisi, oggi viene
affrontata solo con politiche d’austerità e con lo smantellamento dello stato sociale.
Gli effetti di queste misure sono sotto gli occhi di tutti: disoccupazione in forte rialzo, crescita
delle disuguaglianze, salari stagnanti, e così via.
“La disoccupazione è un male assai peggiore del deficit” diceva William Vickrey.
Da un punto di vista umano la disoccupazione di massa, insieme alla povertà che diffonde, è
uno scandalo perché i loro effetti, come ha scritto Amartya Sen, scardinano e sovvertono la
vita personale e sociale.
Per questo bisogna rimettere al centro dell’economia il lavoro, il reddito delle famiglie, l’equità
sociale, in altre parole l’occupazione, perché per molti, anzi troppi guardare chi lavora senza
poter lavorare è un vero dramma, con il rischio di deriva politico/sociale per il paese.
Il governo Monti e le politiche economiche europee sottovalutano la gravità della situazione e
il DDL di stabilità 2013 riconferma la politica dei tagli e delle tasse. Sulla politica economica
italiana pesano come macigni due provvedimenti: il pareggio di bilancio che difatti impedisce
allo Stato di finanziare parte della domanda indebitandosi, esponendosi, nel contempo, al
rischio implosione (vedi la Grecia) quando in tempi di crisi si riduce in modo consistente la
spesa pubblica e il “Patto Fiscale”, approvato a luglio scorso, che impone una riduzione del
debito pubblico al 60% del PIL in un ventennio (dal 2013 al 2032), che significa una riduzione
del debito di circa cinquanta miliardi l’anno e che inevitabilmente condannerà il Paese ad un
crescente impoverimento e ad un aumento delle disuguaglianze.
Una recente analisi del Fondo monetario rileva che l’impatto dei tagli di bilancio sulla crescita
potrebbe produrre una riduzione della crescita in Italia fra 0.9 e 1.7% del PIL, ma in Europa
potrebbe oscillare tra 0.2-0.8% e 0.5-0.7%. A metà novembre, l’ISTAT ha confermato nel III°
trimestre il calo del PIL e il perdurare della recessione.
L’ufficio studi della CGIL, analizzando il DDL di Stabilità, stima un ulteriore incremento della
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tassazione a carico del contribuente in una logica redistribuiva perversa per l’incidenza
maggiore che avrebbe sulla fascia più povera, senza rilevare alcuna efficace politica per la
crescita. Forse il governo Monti dovrebbe tener conto del discorso post elettorale del
Presidente americano, BaracK Obama, secondi cui, per un approccio fiscale più bilanciato, chi
guadagna più di 250 mila dollari l’anno dovrebbe pagare più tasse che dovrebbero contribuire
ad abbassare le tasse alla classe media.
In Italia invece, anche se decorre da luglio 2013, si continua ad aumentare l’IVA che
inevitabilmente mette in sofferenza i cittadini più deboli, a parere del Rettore dell’università
Bocconi, partendo dall’accertata consistente ricchezza italiana una tassa patrimoniale con
un’aliquota modesta farebbe incassare ingenti risorse, senza che ciò crei problemi di liquidità
e di effetti recessivi.
Adesso, se per un attimo distogliamo lo sguardo da questo ragionamento e ci soffermiamo,
seppure per un istante, anche sulla situazione ambientale, e in particolare sull’emissione di
CO2 nell’atmosfera, rileviamo (fonte: dati Ispra e Mse) che dal 1990 al 2010 l’emissione
dovuta ai trasporti è passata dal 27% al 32%. Nell’analisi disaggregata di quest’ultimo dato,
con riferimento al trasporto passeggeri, viene rilevata un’incidenza dell’auto del 77%,
dell’autobus urbano ed extraurbano del 11%, del treno del 5%, tram e metro 0.5%.
Discorso a parte merita il trasporto merci.
Dai suddetti dati consegue che, in questa situazione di crisi e in un’ottica di cambiamento delle
politiche d’austerità, il rilancio del TPL e del Servizio Universale potrebbe contribuire alla
ripresa, soddisfacendo almeno tre condizioni:
1. svolgere un servizio sociale, per far fronte alle crescenti esigenze di mobilità dei
cittadini sempre più impoveriti dalla crisi;
2. svolgere una funzione “anticiclica”, volta in pratica a superare il ciclo economico
sfavorevole rilanciando la domanda interna e il reciproco sostenersi dei salari, consumi e
profitti;
3. svolgere una funzione ecologica, contribuendo ad una sensibile riduzione
dell’’emissione di CO2 nell’atmosfera, migliorando la vivibilità, soprattutto delle grandi città.
Allora, alla luce dei fatti che stanno accadendo, forse è giunto il momento di porre fine al
dibattito fra i sostenitori dell’austerità e i sostenitori della crescita, considerato che anche la
BCE, in un suo recente studio, è giunta alla conclusione che le austerità fanno male
all’economia, mentre le espansioni fiscali fanno bene. “L’austerità genera recessione, povertà e
angoscia sociale”, veniva scritto dai quotidiani italiani su il giorno 14 novembre 2012 in
occasione dello sciopero “globale”. Per la prima volta la Confederazione europea dei sindacati,
indice una mobilitazione comune nel continente per contrastare un’austerità definita, “corta di
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vista” che “fa molto male”, e “non cambia le cose”. Quindi : “Basta all’austerità, a quelle politiche
che stanno rovinando il sogno europeo”.
il Presidente Giorgio Napolitano durante l’incontro con il Presidente Francois Hollande, ha
richiamato l’attenzione sulla necessità della crescita in campo europeo.
Quindi, all’interno di questo complesso ragionamento e in una logica di crescita, il TPL e il
Servizio Universale, come innanzi detto, possono essere – tra i tanti – dei validi volani per la
ripresa economica.
RISORSE E REGOLE
Risorse e regole, regole e risorse: un binomio interdipendente ed inscindibile. Senza regole
coerenti le risorse si perderebbero in mille rivoli; cosi come accadrebbe se determinate
risorse non fossero coerenti con le regole, sarebbero inapplicabili, rimarrebbero sulla carta!
Oggi possiamo affermare che il TPL anche ferroviario ha risorse adeguate?
Sotto certi aspetti dovremmo dire di sì. La norma che prevede l’esclusione di tali risorse dai
tagli di spesa e quella che le rende finalizzate a tale scopo, rende strutturale il sistema di
finanziamento del TPL anche ferroviario e scongiura quanto accaduto sino ad oggi, ossia
l’utilizzo da parte di tante regioni di queste risorse per fronteggiare altri tipi di esigenze. In
questo caso va riconosciuto il merito alla Regione Puglia di aver mantenuto invariati i
finanziamenti al settore e i livelli di servizio.
Invece, sotto l’aspetto delle quantità abbiamo qualche perplessità. In fatti, a seguito del
decreto Burlando di riforma del TPL, con la legge 244/2007 furono completate le risorse da
destinare al settore, prevedendo anche un meccanismo per finanziare i futuri CCNL, senza
altro ricorso allo Stato. Tali risorse ammontavano complessivamente nel 2010 a circa 6300
mln di euro annui per le Regioni a Statuto ordinario. L’art. 9 del DDL di Stabilità 2013,
modificando dopo pochi mesi l’art 16bis, DL 95/2012, introduce significativi cambiamenti al
sistema di finanziamento del settore. Senza entrare nel dettaglio, possiamo dire che
complessivamente nel costituendo Fondo nazionale del TPL anche ferroviario le risorse
ammontano a poco più di 4900 mln di euro annui, da cui facilmente si desume la mancanza di
circa 1400 mln di euro annui. Va precisato che nelle risorse che alimentano il Fondo nazionale
non sono previste le risorse dell’ex Fondo Perequativo che, per gli anni 2013-2014-2015,
ammontano a circa 1100 mln di euro annui. Tuttavia, anche se queste risorse fossero
implicitamente previste, ancora mancherebbero circa 300 mln di euro.
La prima considerazione è che senza il recupero dei circa 1400 mln di euro tutto il settore
TPL, compreso il ferroviario, andrebbe in crisi, considerando la sua un’incidenza sul totale di
quasi il 30%.
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La seconda considerazione è che, se pur considerassimo acquisite le risorse dell’ex Fondo
Perequativo, il fatto che queste risorse non siano sottratte ai tagli e non siano finalizzate,
potrebbero a livello di singole regioni essere distratte per altre esigenze e di conseguenza
mettere ugualmente in crisi il TPL anche ferroviario.
Terza considerazione è che la scomparsa di un sistema di finanziamento dei rinnovi dei CCNL,
come prima detto, previsto dalla Legge 244/2007, potrebbe precludere, ora e nel futuro, ai
lavoratori del settore il diritto al rinnovo del contratto.
Dopo queste considerazioni, alcune domande sono d’obbligo: visto che l’art 9 abroga le fonti
originarie dei finanziamenti e costituisce un unico Fondo nazionale, l’incidenza delle risorse
mancanti, all’incirca 300 mln se facciamo salve le risorse dell’ex Fondo Perequativo, come si
rifletterebbero sulle varie modalità trasportistiche pugliesi?
Come la Regione Puglia pensa di fronteggiare tale minor finanziamento?
Come la Regione Puglia, oltretutto, con le risorse che avrà disponibili, pensa di soddisfare la
continua e crescente domanda di mobilità dei cittadini che, in particolare, in questo momento
di crisi, si affidano al trasporto collettivo?
Inoltre, l’art 9, DDL di Stabilità 2013, non si limita a definire, a decorrere dal 2013, il nuovo
Fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del TPL, anche ferroviario,
ma predispone pure criteri e modalità con cui ripartire alle regioni a statuto ordinario le
risorse del Fondo che determina, a nostro parere, una sorta di corto circuito con le norme del
DL 95/2012.
Infatti, quest’ultimo DL stabilisce che le compensazioni economiche per lo svolgimento degli
obblighi di servizio pubblico del settore TPL sono determinate secondo il criterio dei costi
standard; e il costo standard assieme ai livelli adeguati di servizio su tutto il territorio
nazionale dovrebbe determinare il fabbisogno complessivo del finanziamento del TPL anche
ferroviario. Va detto anche che tale criterio è più aderente alle disposizioni comunitarie (RE
1370/2007). Inoltre, sempre il DL 95/2012 prevedeva criteri e modalità di ripartizione e di
trasferimento alle regioni esclusivamente delle risorse del Fondo del TPL anche ferroviario
(1200 mln di euro), lasciando invariate tutte le altre risorse.
Ora, quali sono gli elementi di novità, se non di criticità, dell’art 9, DDL di stabilità 2013:
1. il riparto delle risorse per l’anno in corso non avverrà più con il criterio storico, ma in
base ai nuovi parametri;
2. il Fondo nazionale istituito è unico e in esso confluiscono, come prima evidenziato,
tutte le risorse ad eccezione di quelle dell’ex Fondo Perequativo;
3. i criteri e le modalità riguarderanno tutte le risorse contenute nel Fondo;
4. i criteri e le modalità dovranno tener conto del rapporto ricavi da traffico e costi dei
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servizi previsti dalla normativa nazionale vigente, ossia 0.35%;
5. le risorse saranno ripartite previo espletamento delle verifiche effettuate sugli effetti
prodotti dai piani di riprogrammazione;
6. le regioni, al fine di ottenere assegnazioni di contributi statali destinati ad investimenti
o a servizi di TPL anche ferroviario, dovranno procedere alla riprogrammazione dei servizi,
alla rimodulazione dei servizi a domanda debole e alla sostituzione delle modalità di trasporto
ritenute diseconomiche, ossia quelle che non raggiungono 0.35%.
Di conseguenza ci chiediamo:
- come si rifletterà il contenuto dell’art 9 nella definizione da parte della
Regione del nuovo Piano Triennale dei Servizi?
- Quale incidenza avrà sui contratti di servizio in essere?
- che fine faranno i servizi a domanda debole, dovuti non ad inefficienza, ma
a situazione socio-territoriale? Saranno forse a totale carico della Regione, delle Province o dei
Comuni?
- se quest’impostazione non marginalizza le funzioni programmatorie della
Regione: oggi la programmazione avviene in base alle risorse assegnate, con o senza 0.35%,
domani cosa accadrà?
- Come mai in quest’impostazione non c’è spazio per una politica industriale
del settore, che faccia superare la frammentazione societaria e incentivi, almeno a livello
regionale, le aggregazioni?
Nel lavoro effettuato dalla Conferenza Unificata Stato/Regioni per l’efficientamento e la
razionalizzazione del settore, le Regioni individuavano la possibilità di un rapporto
ricavi/costi (0.35%) a livello regionale, così da tener insieme tutte le necessità: servizi a
domanda debole insieme a quelli forti. In questa logica ci si dovrebbe muovere, se non
vogliamo ancora una volta pensare solo in termini economici escludendo la funzione sociale.
Invece, per quanto riguarda specificatamente le regole non possiamo non ripartire dalla
sentenza n° 199/2012 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato, per le ragioni note,
l’illegittimità costituzionale dell’art 4, DL 138/2011, determinando al contempo la
riespansione della disciplina contenuta nella normativa di settore: Dlgs 422/1197, R.E.
1370/2007, art 61 - L.99/2009, art 4bis - L.102/2009 e art 3bis - DL 138/2011, quest’ultimo
salva diversa legislazione regionale di settore.
Un primo importante effetto positivo della succitata sentenza è stato la decadenza del
principio di preferenza per il regime di concorrenza “nel” mercato a scapito di quello “per” il
mercato.
Un altro aspetto da sottolineare è che la gara non è più l’unica modalità ordinaria di
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affidamento dei servizi. Infatti, oggi è possibile l’affidamento, in deroga alla disciplina di
settore, previste dal Regolamento Europeo predetto: Partenariato Pubblico-Privato, In House,
Affidamento sottosoglia e Affidamento in caso d’emergenza. Per i servizi ferroviari, invece, è
possibile procedere anche all’aggiudicazione diretta dei servizi.
Successivamente, con l’art 34, DL 179/2012, il legislatore è intervenuto ancora in materia dei
servizi pubblici locali con la finalità di armonizzare la disciplina nazionale con quella
comunitaria, senza porre alcun limite alle modalità di affidamento dei servizi da parte degli
enti affidanti. La condizione posta è che l’affidamento venga effettuato “sulla base di apposita
relazione, specificando ragioni e sussistenza dei requisiti previsti dall’ordinamento europeo
per la forma di affidamento prescelta, definendo gli obblighi di servizio pubblico e servizio
universale, ed indicando le compensazioni economiche”.
Per gli affidamenti in essere alla data di pubblicazione del DL, la predetta relazione dovrà
essere pubblicata entro il 31 dicembre 2013 e per gli affidamenti privi di data di scadenza gli
enti competenti provvederanno ad inserire nei contratti di servizio un termine di scadenza
che non contrasti con il regime transitorio previsto dal RE 1370/2007.
L’attuale disciplina è sicuramente più equilibrata rispetto a quella antecedente la sentenza
della Corte Costituzionale. Pensiamo, però, che il punto di criticità per il settore sia
rappresentato prima di tutto dai criteri e dalle modalità di ripartizione delle risorse del Fondo.
E’ evidente una centralizzazione di funzioni da parte dello Stato nella determinazione dei
flussi economici che, difatti, incideranno, limitandole, sulle funzioni e sulle possibilità di
programmazione dei servizi da parte delle regioni. Vediamo, altresì, compromessi i servizi a
domanda debole; più in generale vediamo compromesso il ruolo del TPL anche ferroviario,
sacrificato ad una logica solo di contenimento dei costi.
Questo non vuol dire che siamo contrari all’efficientamento e alla razionalizzazione del
settore, convinti di lasciare le cose così come sono. Al contrario, pensiamo che il settore
necessita di una profonda riorganizzazione, finalizzata ad avere, all’interno di un’offerta
integrata di trasporto collettivo, servizi di qualità e di quantità, senza però essere prigionieri
di rigidi e freddi parametri economici, ossia di un servizio capace anche di svolgere un ruolo
sociale, di un settore capace di rinnovarsi principalmente dal punto di vista degli assetti
industriali per superare le frammentazioni societarie ed avere aziende almeno di dimensioni
regionali in grado di effettuare economie di scala.
Il CONTRATTO. Parte del sistema delle regole e della regolamentazione del settore è il CCNL, il
CCNL della mobilità. Un contratto necessario per contrastare il dumping contrattuale, ossia
quella cattiva tendenza di scaricare il peso delle inefficienze aziendali solo sul costo del lavoro,
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prevedendo ed individuando strumenti e tutele adeguate per i lavoratori, indispensabili per
governare e per sostenere i necessari cambiamenti e le opportune trasformazioni del settore,
derivanti in particolar modo dalla normativa nazionale in fase di approvazione.
Il CCNL della mobilità è in linea con questi obiettivi e pertanto, dopo la firma del contratto
delle attività ferroviarie, il processo va reso incontrovertibile con la conclusione della
trattativa in corso.
Fino ad oggi, la lentezza e l’ostruzionismo di ASSTRA e ANAV, nonché l’atto arrogante
perpetrato dalle stesse Associazioni Datoriali con la notifica in data 5 luglio 2012 della
disdetta del protocollo del CCNL della mobilità datato 14 maggio 2009 e del CCNL della
mobilità datato 30 settembre 2010, sostenute da un atteggiamento di totale indifferenza da
parte del Governo, è stato intollerabile. Hanno negato per cinque anni un sacrosanto diritto
dei lavoratori ad avere un contratto rinnovato, a poter recuperare il potere d’acquisto delle
retribuzioni ferme al 2008, ad avere una clausola sociale.
Auspichiamo che, il confronto - tuttora in pieno svolgimento - che si è avviato il giorno
08/11/2012, presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, a seguito della
proclamazione, con manifestazione nazionale a Roma, dell’ennesimo sciopero di ventiquattro
ore per il giorno 16 novembre, differito al 14 dicembre prossimo, possa concludersi in tempi
brevi, entro fine anno in corso. Tenendo conto che l’anno 2013, se la legislazione rimarrà tale,
potrebbe essere un anno di grandi trasformazioni per i processi di riorganizzazione previsti
dal DDL di stabilità 2013, che, in ogni caso, non potranno prescindere da un CCNL all’altezza
della situazione.
Il Governo, oggi più che mai, è chiamato alle sue responsabilità, per cui dovrà fattivamente
collaborare per portare a definitiva conclusione la vertenza.
ACCORDO PRODUTTIVITA’. Il giorno 17 novembre scorso, l’accordo sulla produttività non è
stato firmato dalla CGIL per le ricadute che potrebbe avere nel prossimo futuro, come ad
esempio:
a) un ridimensionamento del contratto nazionale fino al punto di non garantire più il
potere d’acquisto delle retribuzioni, facendo saltare anche i minimi contrattuali uguali per
tutti i lavoratori della medesima categoria;
b) una forte criticità per la possibilità che consente ai contratti di derogare alle leggi su
orari, mansioni e anche sulla vigilanza dei lavoratori.
Nell’attesa di vedere e valutare i criteri per la detassazione che il Governo fisserà entro la
prima metà di gennaio prossimo, non condividiamo comunque l’impostazione di barattare
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diritti per i soldi, con l’inevitabile rischio in Italia di frammentare ogni categoria azienda per
azienda, territorio per territorio.
Il problema di fondo è che ancora una volta si pensa di limitare gli interventi solo sulla
produttività del lavoro, solo su uno dei tanti fattori della produttività.
Siamo dell’avviso che bisogna uscire quanto prima da questa impasse, ripartendo
dall’Accordo del 28 giugno 2011, per dare centralità al contratto nazionale e concretezza ai
temi della democrazia e della rappresentanza, in un contesto come l’attuale accordi separati
non fanno bene a nessuno.
Come vanno sicuramente evitate le ricadute che tale accordo separato potrebbe avere sul
rinnovo del CCNL della mobilità in corso.
La Puglia
Aspetti generali. Insistono sul territorio cinque società ferroviarie, quattro ex concesse più
Trenitalia, per l’esercizio del trasporto ferroviario e oltre 50 aziende riunite in un consorzio
denominato Co.Tr.A.P. per il trasporto su gomma.
La rete ferroviaria si estende per circa 1500 Km, distribuita in cinque sub-reti corrispondenti
alle predette cinque società.
Il servizio di trasporto pubblico su gomma extraurbano è strutturato in linee di competenza
regionale, linee di competenza provinciale e linee gestite da aziende ferroviarie ex concessioni
statali, esercenti servizi automobilistici sostitutivi ed integrativi dei servizi ferroviari.
Complessivamente i chilometri eserciti sono circa 66,2 milioni.
Il consorzio effettua una produzione di servizi regionali e provinciali pari a circa 47 milioni di
bus/km, cui si aggiungono circa 4 mln bus/km di servizi aggiuntivi, ossia privi di corrispettivo,
i restanti chilometri sono eserciti dalle aziende ferroviarie ex concesse.
Il servizio ferroviario ha una produzione complessiva di circa 14.4 milioni di treni/km.
Il complesso dei servizi – ferro/gomma – soddisfano una mobilità di circa 73.6 mln di
viaggiatori/anno.
L'offerta di mobilità pugliese si completa con i servizi urbani, aventi una percorrenza
complessiva pari a circa 31.5 mln km/annui.
Il Trasporto Pubblico Locale, anche ferroviario. I servizi su gomma sono stati affidati tramite
procedure concorsuali. Il settore gomma è regolato da un contratto di servizio, di durata nove
anni, con scadenza al 31 dicembre 2013; quelli ferroviari sono stati dati in affidamento diretto,
sempre con contratto di servizio di durata, però, sei anni, rinnovabili per altri sei.
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La Regione Puglia coerente con la normativa vigente (L.R. 18/2002 di ricepimento dei
contenuti del Dlgs 422/1997 e s.m.i.), dopo il periodo transitorio iniziale che scadeva il
31/12/2003, ha indetto procedure di gara per il settore TPL su gomma che si conclusero nel
2004. Per il settore TPL ferroviario, inizialmente escluse dalle gare, recependo i contenuti
della normativa europea e di quella nazionale, la Regione stipula contratti di servizio in
affidamento diretto, tutti con validità sei anni, rinnovabili per altri sei.
Ad agosto scorso, La Regione ha legiferato per definire e disciplinare gli Ambiti territoriali
ottimali (ATO), gli Organi di governo e l’Autorità regionale. Il perimetro degli ATO ha
un’estensione normalmente non inferiore a quella provinciale, con facoltà di poter individuare
ambiti di diversa estensione, più ampia o più ristretta, rispetto al territorio provinciale,
qualora si rendessero necessario per motivate esigenze.
L’affidamento del servizio, nel rispetto dei principi europei, è previsto che avvenga tramite
affidamento diretto a società considerate in house, con l’indizione di una procedura di
evidenza pubblica, oppure con l’indizione di una procedura di evidenza pubblica per la
selezione del socio operativo della società a partecipazione pubblico-privata.
E’ prevista una disciplina transitoria che, in sede di prima applicazione, nel TPL prevede che:
a) per i servizi automobilistici che non richiedono l’esercizio unitario regionale, sono
istituiti ATO il cui perimetro coincide con quello amministrativo delle province;
b) è istituito un ATO di estensione regionale che, per quanto oggi ci riguarda, oltre ai
servizi ferroviari, comprende anche i servizi automobilistici che collegano tra loro più bacini
provinciali e che richiedono un esercizio unitario a livello regionale.
Alcune considerazioni:
Prima, essendo in atto una riorganizzazione con accorpamento delle attuali province nonché
la costituzione della città metropolitana di Bari, come questa disciplina sinteticamente
descritta potrà adeguatamente governare l’immediato processo di avvio delle nuove
procedure per gli affidamenti dei servizi di TPL su gomma, considerando che i contratti di
servizio scadono il 31/12/2013?
Seconda, la disciplina regionale, come quella nazionale, in caso di ricorso a procedure ad
evidenza pubblica, si limita ad una debole previsione di tutela dei livelli occupazionali e
reddituali dei circa 9500 lavoratori occupati nel settore in Puglia, prevedendo solo che
“l’adozione di strumenti di tutela dell’occupazione costituisce elemento di valutazione
dell’offerta”. Ci saremmo aspettati di più! Una norma più aderente al R.E. che avesse previsto
“la possibilità per le autorità competenti di imporre all’operatore del servizio pubblico di
garantire al personale già in forza i diritti come se fosse avvenuto un trasferimento ai sensi
della DE 2001/23/CE”. In tal caso recita il R.E. “i documenti di gara e i contratti di servizio
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pubblico individuano il personale interessato e precisano in modo trasparente i diritti
contrattuali e le condizioni alle quali si ritiene che i dipendenti siano vincolati ai servizi”.
SERVIZIO UNIVERSALE. Trenitalia ha ancora motivo di chiamarsi così? Non sarebbe più
calzante Treninord, da non confondere con Trenord, considerato che l’offerta commerciale è
rivolta sostanzialmente al Nord del Paese?
E, quindi, tutto il fascio dei binari della dorsale adriatica ha ancora motivo di esistere? Non
sarebbe meglio ipotizzare uno smantellamento, visto il disinteresse del Governo a sviluppare
un’adeguata politica dei trasporti su questa dorsale?
Provocazione a parte, se effettivamente non vogliamo condannare un pezzo del Paese ad un
lento declino, ad un isolamento, è necessario intervenire da subito. Prima di tutto, sarebbe
necessario cantierizzare in tempi brevi alcuni interventi infrastrutturali sulla dorsale
adriatica, tali da elevare la velocità massima a 200 km/h con un conseguente miglioramento
della velocità commerciale che porterebbe ad una significativa riduzione dei tempi di
percorrenza. Di ciò beneficerebbe anche la relazione AC Lecce-Bari-Foggia-Roma.
Gli interventi infrastrutturali necessari, già oggetto di progettazione da parte di RFI,
riguarderebbero il raddoppio dei binari per circa 35 km tra Lesina e Termoli, l’eliminazione
dei passaggi a livello, gli adeguamenti dei binari, le rettifiche del tracciato e l’adeguamento
della tecnologia per la marcia dei treni e del controllo della circolazione.
Di pari passo, ad un percorso di adeguamento infrastrutturale, andrebbero ostacolate le
politiche del Governo dei tagli alle risorse per il Servizio Universale e la politica commerciale
di Trenitalia di riduzione dello stesso servizio, con la finalità di ripristinare i servizi decurtati
alla Puglia in particolare, e più in generale al Sud.
Ricordiamo il taglio effettuato dei servizi in Puglia che riduceva l’offerta commerciale del
Servizio Universale rispetto al 2009 di circa il 40%, con una incidenza significativa sull’offerta
notturna (-58%), azzerando il servizio da Taranto. Anche l’offerta “a mercato” aveva avuto una
contrazione (-40%), con una riduzione dell’offerta “ a mercato” notturna (-58%).
Tutto questo, ovviamente, accadeva alla Puglia e al Sud, mentre il servizio al Centro-Nord e
Nord aumenta del 18% per i servizi “a mercato”, +21% treni notte del Servizio Universale e
solo un misero -1% dei treni “contribuiti”.
Dopo tante pressioni e mobilitazioni fatte dal Consiglio regionale pugliese, dai parlamentari
locali, dalle forze sindacali e sociali, nonché dal dossier presentato dalla Regione Puglia al
Governo e dalla determinazione dell’Assessore ai Trasporti, con l’incontro del giorno 30
novembre scorso, presso il Ministero dei Trasporti tra i vertici di trenitalia e l’Assessore
Minervini, è stato parzialmente rimediato al disastro generato dalla riduzione dei servizi del
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FILT CGIL PUGLIA
"LA MOBILITA' IN PUGLIA: DAL TPL AL SERVIZIO UNIVERSALE"
lontano 2009. Il ripristino con il nuovo orario dei collegamenti ferroviari notturni e diurni, la
rottura dell’isolamento di Taranto, i collegamenti a destinazione diretta senza rottura di carico
a Bologna, fanno ben sperare. Non vanno sottaciute, però, alcune perplessità sui tempi e sui
modi di concreta applicazione dell’accordo.
In ogni modo, dovrebbe continuare una mobilitazione politica e sociale per risolvere
definitivamente il problema dell’isolamento della Puglia, in generale del Sud, dal resto del
Paese, contrastando la politica del Governo e le scelte commerciali di Trenitalia che vanno
nella direzione sbagliata perché, in particolare in questo momento di crisi, cresce nel Paese la
domanda di mobilità da soddisfare con un trasporto collettivo con le caratteristiche del
Servizio Universale.
CONCLUSIONI. La crisi, senza adeguate politiche per la crescita, rischia di segnare il Paese per
un lungo periodo, anche dopo l’avvio della ripresa economica. Un possibile contributo per
ridare slancio all’economia e fronteggiare la crisi può venire da una adeguata politica dei
trasporti, in particolare da investimenti nel TPL anche ferroviario. L’accordo, non firmato dalla
CGIL, sulle linee programmatiche per la crescita della produttività e della competitività
dell’Italia, oltre al fattore lavoro, riconosce l’incidenza dei trasporti nelle voci materiali che
producono costi e diseconomie, ovviamente se non sono adeguati.
Inoltre, vanno adeguate le risorse per il TPL anche ferroviario e per il Servizio Universale, e
definiti criteri e modalità di riprogrammazione dei servizi coerenti con la normativa europea e
con i bisogni dei cittadini, ridando centralità sia in termini di spesa, sia in termini di
programmazione dei servizi alle regioni, se non vogliamo abbandonare tutti quei servizi,
dovuti a situazioni socio-territoriali, a domanda debole. Altresì, vanno avviati quegli interventi
infrastrutturali per evitare l’isolamento del Sud dal resto del Paese.
In particolare, la regione Puglia deve attivarsi per l’adeguamento infrastrutturale della dorsale
adriatica, continuando una discussione con il Governo per impegnarlo in una politica
ferroviaria nazionale adeguata e bilanciata tra il Nord e il Sud del Paese.
Infine, va concluso prima possibile il CCNL della mobilità perché i lavoratori hanno diritto al
rinnovo del contratto, perché le retribuzioni sono ferme al 2008, perché è necessario definire i
meccanismi di tutela dell’occupazione e della salvaguardia dei redditi, nonché gli strumenti
per il governo dei processi di riorganizzazione. Il CCNL della mobilità è il primo appuntamento
contrattuale per rimediare agli effetti dell’accordo separato sulla produttività, ridando
centralità al contratto nazionale e rendendo esigibili i contenuti dell’accordo del 28 giugno
2011.
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