Relazione - Guercino 2001 - ITA

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Claudio Metzger 1 Palazzo Otello - 6612 Ascona, Switzerland - Tel.++ 41 / 91 / 7915548 - Fax 7915549 - E-mail: [email protected] Studio su due dipinti attribuiti a Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino (1591-1666) e bottega, Bologna, ante 1652 Silvio che Ritrova Dorinda Ferita, olio su tela, 240 x 292 cm, Erminia che Ritrova Tancredi Ferito, olio su tela, 240 x 292 cm Le due opere oggetto di questo studio sono note agli storici dell’arte per essere state prese a modello da Pietro Bonato (1765-1820), artista amico di Canova, nel 1805-1806, che ne fece incisioni su rame (acquaforte e bulino) con la leggenda “FRANCESCO BARBIERI DETTO IL GUERCINO DIPINSE / DOMENICO DEL FRATE DISEGNÒ / PIETRO BONATO VENETO BASSANESE INCISE ROMA /...”. Il Guattani nel 1806 parla di questo lavoro nelle “Memorie Enciclopediche Romane”, affermando che il Bonato stava incidendo le lastre copiando due opere originali del Guercino, che si trovavano nel palazzo di una famiglia d’origini bolognesi, gli eredi Zagnoni. La deduzione che le due opere qui in esame sono quelle che il Bonato prese a modello e non il Silvio che Trova Dorinda, di 224 x 291 cm, oggi a Dresda, alla Staatliche Gemäldegalerie (Katalog der ausgestellten Werke Nr. 367, op.cit., vedi anche Salerno/Mahon 1988, Nr. 240, op.cit.) e dell’Erminia che Trova Tancredi di 244 x 287 cm, che si trovava nello Yorkshire, Howard Castle (inv.Nr.183), oggi alla Galleria Nazionale di Edinburgo (nuova acquisizione), è di Sir Denis Mahon, che ricorda ancor oggi d’averle viste a Roma, nella Raccolta del Barone Zezza. La cronologia delle due opere prime è stata definitivamente analizzata da Sir Denis Mahon nel testo della scheda di Erminia che Ritrova Tancredi Ferito, 1651, nel catalogo della mostra bolognese del 1968 (Mahon, scheda 88, op.cit.) e da Salerno (op.cit.) cat. Nr. 240, Dorinda Silvio e Linco (1646- 1647) e cat. Nr. 285, Erminia Ritrova Tancredi Ferito (1651). Per quanto riguarda la prima versione di Dorinda Silvio e Linco (1646-1647), Mahon e Salerno citano il Libro dei Conti (op.cit.) all’iscrizione del 16 gennaio 1647, che riporta il pagamento ricevuto da parte del Conte Alfonso di Novellara, citata anche dal Malvasia (op.cit., 1678, II, p.375; 1841, II, p.267), mentre per quanto riguarda la prima versione di Erminia Ritrova Tancredi Ferito (1651) l’identificazione dell’opera con il pagamento ed il committente sembra più complessa.

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Studio su due dipinti attribuiti a Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino (1591-1666) e bottega, Bologna, ante 1652 Silvio che Ritrova Dorinda Ferita, olio su tela, 240 x 292 cm, Erminia che Ritrova Tancredi Ferito, olio su tela, 240 x 292 cm Le due opere oggetto di questo studio sono note agli storici dell’arte per essere state prese a modello da Pietro Bonato (1765-1820), artista amico di Canova, nel 1805-1806, che ne fece incisioni su rame (acquaforte e bulino) con la leggenda “FRANCESCO BARBIERI DETTO IL GUERCINO DIPINSE / DOMENICO DEL FRATE DISEGNÒ / PIETRO BONATO VENETO BASSANESE INCISE ROMA /...”. Il Guattani nel 1806 parla di questo lavoro nelle “Memorie Enciclopediche Romane”, affermando che il Bonato stava incidendo le lastre copiando due opere originali del Guercino, che si trovavano nel palazzo di una famiglia d’origini bolognesi, gli eredi Zagnoni. La deduzione che le due opere qui in esame sono quelle che il Bonato prese a modello e non il Silvio che Trova Dorinda, di 224 x 291 cm, oggi a Dresda, alla Staatliche Gemäldegalerie (Katalog der ausgestellten Werke Nr. 367, op.cit., vedi anche Salerno/Mahon 1988, Nr. 240, op.cit.) e dell’Erminia che Trova Tancredi di 244 x 287 cm, che si trovava nello Yorkshire, Howard Castle (inv.Nr.183), oggi alla Galleria Nazionale di Edinburgo (nuova acquisizione), è di Sir Denis Mahon, che ricorda ancor oggi d’averle viste a Roma, nella Raccolta del Barone Zezza. La cronologia delle due opere prime è stata definitivamente analizzata da Sir Denis Mahon nel testo della scheda di Erminia che Ritrova Tancredi Ferito, 1651, nel catalogo della mostra bolognese del 1968 (Mahon, scheda 88, op.cit.) e da Salerno (op.cit.) cat. Nr. 240, Dorinda Silvio e Linco (1646-1647) e cat. Nr. 285, Erminia Ritrova Tancredi Ferito (1651). Per quanto riguarda la prima versione di Dorinda Silvio e Linco (1646-1647), Mahon e Salerno citano il Libro dei Conti (op.cit.) all’iscrizione del 16 gennaio 1647, che riporta il pagamento ricevuto da parte del Conte Alfonso di Novellara, citata anche dal Malvasia (op.cit., 1678, II, p.375; 1841, II, p.267), mentre per quanto riguarda la prima versione di Erminia Ritrova Tancredi Ferito (1651) l’identificazione dell’opera con il pagamento ed il committente sembra più complessa.

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Scrive il Mahon (cat.88, op.cit.): “E’ chiaro che il Cardinale (il Cardinale Fabrizio Savelli era arrivato a Bologna il 10 settembre 1648 come Legato e ci resterà fino al 1651, nota dello scrivente) aveva ordinato (come pendant a quell’Erminia e il Pastore che aveva sottratto al Ruffo) (don Antonio Ruffo, importante collezionista siciliano al quale il Guercino aveva scritto il 1.agosto del 1648 promettendogli un’Erminia con il Pastore (Mahon, op.cit., cat. 88), nota dello scrivente) un grande dipinto del soggetto di questa scheda. Il Guercino probabilmente cominciò a lavorarvi nel 1650, ma prima che fosse finito e consegnato, il Duca e l’arciduchessa di Mantova fecero una visita nello studio del Guercino e l’arciduchessa espresse evidentemente il desiderio di acquistare due quadri ai quali il Guercino stava allora lavorando, un Lot per il commerciante d’arte Girolamo Pavese (..) e l’Erminia per il Cardinale Savelli.” “Adi 6 maggio 1652 dalla Seri.ma Arciduchessa di Mantoua si è riceuto per mezzo del Sig.Quaranta Sampi da Bologna il pagamento del quadro, di Arminia e Tanchredi che fu ordinato dal Eme.mo Saueli, e questi sono stati Vnga.ri: n.o 300. che fa.no Scudi 375” (Il Libro dei conti del Guercino, 454, op.cit.). La cronologia delle ordinazioni, i pagamenti ed infine la consegna delle prime due versioni, ci permettono di notare come spesso il committente originario dell’opera non fosse, in effetti, colui al quale alla fine essa era venduta. E’ molto interessante a questo proposito lo studio di Arabella Cifani e Franco Monetti sul collezionismo delle opere del Guercino in quegli anni di grande frenesia lavorativa e di pressioni da parte dei committenti (Cifani, Monetti, Amedeo del Pozzo, marchese di Voghera, committente e collezionista di Guercino a Torino, pag.226, in: Studi di Storia dell’Arte in onore di Denis Mahon, Electa, Milano 2000) Lo scrupoloso Libro dei Conti nel quale le opere elencate dovevano essere solo quelle per le quali il Guercino stesso aveva incassato personalmente i pagamenti, non riporta comunque altre versioni di queste opere. Ricordiamo però che la Ghelfi (Libro dei Conti, p.24, nota Nr.16, op.cit.), scrive che già ai tempi del Guercino si confondevano le opere di bottega con gli originali e porta alcuni esempi. Per l’attività dei collaboratori ci si dovrà comunque rifare allo studio di Prisco Bagni su Benedetto Gennari e la Bottega (Bagni, op.cit.) e per una chiara visione dell’albero genealogico delle famiglie Barbieri–Gennari si veda pure Bagni nel suo testo sugli incisori del Guercino (Bagni, incisori, tabella 1, pag. 3, op.cit.). Tutti gli studiosi concordano sia sull’elevata qualità delle opere fornite dalla “ditta Barbieri-Gennari” sia sul fatto che nelle grandi opere toccava normalmente ai collaboratori occuparsi delle figure secondarie o degli elementi decorativi e di sfondo. Un’estrema cura era dedicata incondizionatamente a tutte le opere che uscivano dalla bottega, sia quelle menzionate nel Libro dei Conti come pagate direttamente al Guercino, che quelle eseguite in collaborazione e pagate al Gennari. Visto che risultano pure opere del Gennari pagate al Guercino e viceversa, sembra evidente che non basta il Libro dei Conti per stabilire con certezza i ruoli del Maestro e dei collaboratori nelle opere più grandi e finanziariamente più rilevanti per l’attività della cosiddetta “ditta”.

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Un altro aspetto da considerare dal punto di vista della spartizione dei compiti, delle spese e dei profitti è certo l’importanza data dal Guercino all’acquisto dei colori, in particolare il prezioso pigmento blu oltremare, 12 Ducatoni d’argento l’oncia quello fino e la metà, 6 Ducatoni d’argento, il cosiddetto mezzo azzurro e alle tele. Deve essere stato alquanto difficile, in effetti, ricondurre in una regolare contabilità, seppur di famiglia, i costi del materiale impiegato, il lavoro eseguito ed infine i pagamenti incassati. Non farei quest’annotazione se il Guercino stesso non si fosse lamentato dei costi del materiale, in particolare il prezioso blu oltremare (lapislazzuli), dando così evidentemente importanza anche alla destinazione di questo ed alla spartizione degli utili.(Libro dei Conti, introduzione, pag.34, nota 48, op.cit.) Il Salerno (op.cit., pag. 14) nota che “nelle stratigrafie si vede come su una base di oltremare puro egli dipingesse con oltremare misto a bianco di piombo per ottenere il modellato dei panneggi e quindi ultimasse l’effetto con una velatura finale di oltremare puro, che di per se è piuttosto trasparente, allo scopo di dare la giusta intensità al colore.”, e prosegue “In base ai procedimenti tecnici usati non si notano differenze fra le opere autografe e quelle della bottega, perché gli aiuti e gli allievi usavano gli stessi modi del maestro. La differenza che si avverte è sempre o soprattutto qualitativa”. (op. cit., pag.15) Le due tele oggetto di questo studio sono state analizzate presso l’Istituto svizzero di studi d’arte di Zurigo (SIK) (rapporti 0021a-b del 12.09.2000 citati) e dal Monumental Art International Pancella (Rapport 08/2000/MAIP del 20.09.2000 citato) con degli esiti estremamente interessanti e positivi: “La palette des pigments employés est identique pour les deux toiles”…”Il est à remarquer que les matériaux identifiés sur ces deux toiles, autant pour la préparation que pour les couches picturales, sont totalement conformes à la date d’attribution proposée, étant donné que leur utilisation remonte à l’Antiquité et que nous n’avons décelé aucun composé postérieur à cette date” (MAIP, p.7, op.cit.) E’ interessante notare che entrambi gli istituti che hanno lavorato indipendentemente sulla base di prelievi eseguiti dalla restauratrice Sabrina Pedrocchi (Rapporto di restauro, op.cit.), hanno sottolineato l’uso del lapislazzuli o blu oltremare, sia puro sia misto a bianco di piombo, concordando perfettamente con gli esiti delle stratigrafie eseguite su opere ritenute completamente autografe da parte del Dott.Joyce Plesters della National Gallery di Londra e della Dott.Rossi Manaresi di Bologna, citati dal Salerno a pag. 14 (op. cit.). Il periodo inquadrato è caratterizzato come visto, dalla costante massima cura dedicata all’esecuzione, quello che oggi sarebbe definito standard qualitativo e dal successo che il tema e l’invenzione delle due opere, Erminia in particolare, aveva avuto, in un momento dell’attività della “ditta” particolarmente frenetico. Per quanto riguarda l’utilizzo del Libro dei Conti, non possiamo escludere né che acquisti di tele di grandi dimensioni e di colori costosi come il lapislazzuli per il blu oltremare, siano stati poi destinati all’uso da parte degli aiuti, né che importanti ed estesi interventi del maestro non vi risultino contabilizzati. Resta il fattore qualità, sul quale sia il Mahon che Salerno concordano giudicandolo risolutivo del grado o misura di autograficità dell’opera.

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Nonostante che lo strato di sporcizia che le ricopriva nascondesse i dettagli e mutasse i colori, Sir Mahon quando le vide a Roma, le ritenne entrambe provenienti dalla bottega del Guercino e certamente dipinte quando la versione antecedente, quasi contemporanea, non era ancora stata consegnata al rispettivo committente (Mahon, op.cit.). Al contrario di quelle oggi a Dresda e ad Edinburgo, di dimensioni leggermente diverse, le due Opere di cui qui scrivo, nate come pendant destinate allo stesso committente e pertanto di dimensioni identiche, sono ancor oggi fortunosamente unite e grazie al rispettoso restauro effettuato da Sabrina Pedrocchi a Losone in Svizzera nel corso del 2000, oggi oggetto di questo studio. Il committente che vide dal Guercino le due prime versioni, destinate come sappiamo a due diversi committenti, ne scoprì l’affascinate legame barocco, forse l’ammonimento a non mascherare i propri sentimenti, e volendole entrambe, dovette ordinarle al Guercino prima che i modelli lasciassero la bottega. Così facendo le unì fino ad oggi. (Tancredi ed Erminia, in Torquato Tasso, 1544-1595, Gerusalemme Liberata, del 1575, XII, 64-69; Silvio e Dorinda nel dramma pastorale di Battista Guarini, 1538-1612, Pastor fido, del 1595) Ebbi già occasione di stupirmi dell’alta qualità pittorica di queste due tele (in particolare di Silvio che Ritrova Dorinda Ferita che al mio occhio è di qualità superiore al suo pendant con Erminia), quando si trovavano a Londra, ancora quasi illeggibili, come le aveva viste tanti anni prima Sir Mahon e già allora consigliai al proprietario un intervento di pulizia e restauro che mi sembrava urgente e preziosissimo per ridare vita a quelle che risultavano con evidenza due capolavori. Nel descrivere le opere prima dell’intervento di pulitura la Pedrocchi scrive: “La leggibilità delle due opere era compromessa dalla presenza di una spessa coltre di vernice ingiallita. Durante la fase di pulitura sono emersi innumerevoli ritocchi eseguiti in precedenza …… Questi ritocchi apparivano alterati cromaticamente (scuri) a causa delle reazioni fotochimiche, dell’invecchiamento naturale del legante e della vernice di protezione, in particolare lungo la fascia perimetrale superiore del dipinto raffigurante Silvio.” (Pedrocchi, op.cit.). L’attuale proprietario ha voluto intraprendere un accurato procedimento di restauro conservativo accuratamente documentato fotograficamente (Pedrocchi, op.cit.), durante il quale si è proceduto ai prelievi oggetto degli studi del SIK di Zurigo (op.cit.) e del MAIP di Montreux (op. cit.). Il restauro estetico invece è poi risultato, in effetti, molto limitato, in quanto le opere erano quasi integre. Grazie alla macrofotografia dei dettagli eseguita a pulitura avvenuta, la pennellata è identificabile oggi con estrema nitidezza e forza ed è confrontabile con le versioni corrispondenti di Dresda ed Edinburgo. Sir Denis Mahon ha preso visione di questa documentazione fotografica mercoledì 27 settembre 2000 a Londra e felicitandosi per lo scrupoloso intervento di restauro che ha ridato luce e volume alle opere, è stato felice di riconoscere, in particolare nel volto di Silvio, ma anche in diverse altre parti delle due opere, interventi diretti del Guercino stesso, precedentemente solo ipotizzabili, ma assolutamente irriconoscibili sotto la spessa coltre di vernice giallastra che ricopriva ed appiattiva le due tele.

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L’apparizione di colori vivi e brillanti, prima neppure intuibili, i dettagli del paesaggio riapparsi da un buio secolare, l’espressione di disperazione ancora incredula della tragedia sul viso di Silvio o le lagrime di Erminia, possono essere documentate fotograficamente, ma solo la visione diretta delle opere può confermare l’impressione di forza e di carattere, che testimonia a favore di una notevole autograficità del Guercino, intesa come importanti e marcati interventi diretti in entrambe le tele, ma maggiori in Silvio e Dorinda e meno estesi in Erminia e Tancredi. Nell’attesa di poter confrontare i dettagli più eloquenti con le prime versioni, grazie alla cortese collaborazione del dr. Gregor Weber curatore dei maestri antichi della Staatliche Gemäldegalerie di Dresden e del direttore della National Gallery of Scotland, dr. Michael Clarke e di presentare i risultati finale a Sir Denis Mahon, al quale sono profondamente riconoscente per l’incoraggiamento, ed al quale va tutta la mia gratitudine per l’attenzione dedicata a questo studio, vogliamo sin d’ora assicurare che i risultati saranno a disposizione di tutti gli studiosi interessati a proseguire la ricerca iniziata da Sir Denis Mahon. Claudio Metzger Ascona, 14 Febbraio 2001 Opere citate: Bagni, Prisco, Benedetto Gennari e la bottega del Guercino, Bologna, 1986; Bagni, Prisco, Il Guercino e i suoi incisori, Ugo Bozzi Editore, Roma, 1988; Cifani, Monetti, Amedeo del Pozzo, marchese di Voghera, committente e collezionista di Guercino a Torino, in: Studi di Storia dell’Arte in onore di Denis Mahon, Electa, Milano 2000; Ghelfi, Barbara, a cura di, Il Libro dei conti del Guercino, 1629-1666, con la consulenza scientifica di Sir Denis Mahon, Nuova Alfa Editoriale 1997; Istituto svizzero di studi d’arte, Schweizerische Institut für Kunswissenschaft, SIK, Zollikerstrasse 32, CH-8032 Zürich, analisi condotte sotto la direzione del Dr.Christoph Herm, Leiter Labor und Kunsttechnologieforschung, rapporti 0021a-b del 12.09.2000; Malvasia, C. C., Felsina Pittrice, Vite de'Pittori Bolognesi, Bologna, 1678; Mahon, Denis, Il Guercino, Dipinti, Catalogo Mostra con saggio introduttivo di C. Gnudi, Bologna 1968 & Nuova Alfa Editoriale, Bologna 1991;

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Monumental Art International Pancella, Grand Rue 20, CH-1820 Montreux, analisi condotte sotto la direzione del chimico ITIS/UTS, direttore Renato Pancella, e di Amalita Bruthus, responsabile dello studio, Rapport 08/2000/MAIP del 20.09.2000; Pedrocchi, Sabrina, Rapporto di restauro, Via ai Molini 47, CH-6612 Losone, Febbraio 2001; Salerno, Luigi, consulenza scientifica di Denis Mahon, I dipinti del Guercino, Ugo Bozzi Editore, Roma, 1988; Staatliche Gemäldegalerie Dresden, Alte Meister, Katalog der ausgestellten Werke, E.A.Seemann Leipzig 1992;

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Studio su due dipinti attribuiti a Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino (1591-1666) e bottega, Bologna, ante 1652 Silvio che Ritrova Dorinda Ferita, olio su tela, 240 x 292 cm, Erminia che Ritrova Tancredi Ferito, olio su tela, 240 x 292 cm Parte seconda, note sui confronti macrofotografici In riferimento al mio studio del 14 febbraio 2001, qui di seguito presentiamo alcune annotazioni preliminari sui confronti fra le tele in questione, la cui lettura è ora possibile in seguito all’accurato restauro documentato a parte (Pedrocchi, op. cit.) e le corrispondenti prime versioni: Erminia che Trova Tancredi, 244 x 287 cm, ex Howard Castle (inv.Nr.183), oggi alla National Gallery of Scotland, Edinburgh; Silvio che Trova Dorinda, 224 x 291 cm, Staatliche Gemäldegalerie, Dresden (Katalog der ausgestellten Werke Nr. 367, op. cit.); Grazie alla macrofotografia eseguita a pulitura avvenuta, prima della verniciatura e dei ritocchi (limitati e marginali, che non riguardavano le parti studiate), la pennellata è identificabile oggi con estrema nitidezza e forza ed è possibile tentare un primo prudente confronto utilizzando le foto dei dettagli delle versioni corrispondenti di Edinburgo e Dresda. (E’ evidente invece che le dimensioni delle opere hanno costituito un notevole problema per l’esecuzione di foto complete, che pur perfettamente nitide, non essendo state eseguito in studio, soffrono dell’influenza dei colori dell’ambiente e sono, seppur minimamente, disturbate da riflessi che l’angusto spazio a disposizione non ha permesso di eliminare.) Grazie alla cortese disponibilità del Direttore Generale della National Gallery of Scotland Dr. Timothy Clifford, del Direttore Michael Clarke e di Aidan Weston-Lewis, Curatore del dipartimento della pittura italiana e spagnola abbiamo avuto a disposizione le diapositive dei dettagli ed un’Ektachrome completa di Erminia che Trova Tancredi, 244 x 287. Un grazie altrettanto sentito va al Dr. Gregor Weber, Curatore dei maestri antichi della Staatliche Gemäldegalerie di Dresden, che ci ha pure messo a disposizione in un primo tempo l’Ektachrome e ci ha permesso in seguito di far eseguire a nostra discrezione una serie completa di foto e macrofotografie a Silvio che Trova Dorinda, 224 x 291 cm; La prima difficoltà incontrata nel tentare questo tipo di confronto è dovuta al differente stato di conservazione delle due versioni.

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Erminia che Trova Tancredi, 244 x 287 cm di Edinburgo, si presenta alla lettura fotografica in miglior stato di conservazione della versione da noi studiata. In particolare il volto ed il collo di Erminia, i capelli ed il nastro che li lega, nella nostra versione sono quasi illeggibili per via di un’eccessiva usura, dovuta probabilmente ad antiche e maldestre puliture. Nonostante questo, la lagrima sulle gote di Erminia o particolari sempre molto importanti come entrambe le mani sempre di Erminia, sono di qualità e gran bellezza. Il volto di Vafrino nella versione qui studiata, meglio conservato di quello di Erminia, è di ottima esecuzione e regge meglio il confronto con la prima versione di Edinburgo. Ma certamente è in Silvio e Dorinda che il confronto macrofotografico con la versione di Dresda riserva maggiori soddisfazioni. Il volto di Silvio della versione qui studiata, presenta a mio avviso le caratteristiche dell’autograficità intuite già dopo la pulitura che lo annebbiava. Il volto è integro e ben conservato, al contrario di quello di Erminia. Come documenta il rapporto di restauro i colori sono vivi la pennellata ferma e decisa. Anche il confronto delle mani sia di Silvio che di Linco e Dorinda regge bene il confronto con la prima versione di Dresda. Il paesaggio di entrambe queste due seconde versioni, è anche al confronto macrofotografico con le due prime, di esecuzione meno curata. In attesa di poter mostrare le opere dal vivo alla critica specializzata, il mio giudizio, è in ogni modo positivo. Come già considerato nel mio scritto preliminare, sappiamo trattarsi di due opere dipinte per lo stesso committente, con la rappresentazione di tre personaggi per tela, di due metri e quaranta per due metri e novanta, eseguite, come mostrato grazie alle analisi dei pigmenti, con la stessa procedura ed impiego esteso di lapis lazzuli sia puro che semipuro, di opere conclamatamente autografe, Tutto ciò costituiva nell’ottica del Guercino stesso, per quanto possiamo desumere dal Libro dei Conti, un valido motivo per curare e sovrintendere personalmente alla stesura anche di queste versioni. Finalmente resta il fattore qualità, sul quale sia sir Mahon che Salerno concordano, giudicandolo infine risolutivo del grado o misura di autograficità dell’opera. Come già scritto nella mia presentazione del 14 febbraio, sono convinto in base allo studio diretto delle due opere ed ai confronti macrofotografici eseguiti, di essere in presenza di due tele dipinte quando le prime versioni si trovavano ancora in bottega, sotto la direzione del Guercino stesso come già scrisse sir Mahon (Mahon, 1968, scheda 88, nota, op. cit.) e vista l’importanza ed il valore commerciale, con suoi interventi diretti ed estesi in entrambe le tele, ma certo più importanti in Silvio e Dorinda che in Erminia e Tancredi. Claudio Metzger Ascona, 25 giugno 2001

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Opere citate: Bagni, Prisco, Benedetto Gennari e la bottega del Guercino, Bologna, 1986; Bagni, Prisco, Il Guercino e i suoi incisori, Ugo Bozzi Editore, Roma, 1988; Cifani, Monetti, Amedeo del Pozzo, marchese di Voghera, committente e collezionista di Guercino a Torino, in: Studi di Storia dell’Arte in onore di Denis Mahon, Electa, Milano 2000; Ghelfi, Barbara, a cura di, Il Libro dei conti del Guercino, 1629-1666, con la consulenza scientifica di Sir Denis Mahon, Nuova Alfa Editoriale 1997; Istituto svizzero di studi d’arte, Schweizerische Institut für Kunswissenschaft, SIK, Zollikerstrasse 32, CH-8032 Zürich, analisi condotte sotto la direzione del Dr.Christoph Herm, Leiter Labor und Kunsttechnologieforschung, rapporti 0021a-b del 12.09.2000; Malvasia, C. C., Felsina Pittrice, Vite de'Pittori Bolognesi, Bologna, 1678; Mahon, Denis, Il Guercino, Dipinti, Catalogo Mostra con saggio introduttivo di C. Gaudi, Bologna 1968 & Nuova Alfa Editoriale, Bologna 1991; Monumental Art International Pancella, Grand Rue 20, CH-1820 Montreux, analisi condotte sotto la direzione del chimico ITIS/UTS, direttore Renato Pancella, e di Amalita Bruthus, responsabile dello studio, Rapport 08/2000/MAIP del 20.09.2000; Pedrocchi, Sabrina, Rapporto di restauro, Via ai Molini 47, CH-6612 Losone, Febbraio 2001; Salerno, Luigi, consulenza scientifica di Denis Mahon, I dipinti del Guercino, Ugo Bozzi Editore, Roma, 1988; Staatliche Gemäldegalerie Dresden, Alte Meister, Katalog der ausgestellten Werke, E.A.Seemann Leipzig 1992;