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ANALISI E STRUMENTI PER L’INNOVAZIONE I MANUALI PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI Regole e regolamenti di organizzazione nelle amministrazioni pubbliche Rubbettino

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ANALISI E STRUMENTI PER L’INNOVAZIONEI MANUALI

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Regole e regolamenti di organizzazione nelle amministrazioni pubbliche

Rubbettino

Le regole di organizzazione sono costituite dalla specificazione di modelli di comportamento attesi o vietati di carattere generale, uguali per tutti,adottati all’interno di una istituzione.Le amministrazioni pubbliche hanno subito nell’ultimodecennio una modifica significativa dei paradigmi di riferimento per quanto attiene l’organizzazione e la gestione del personale. In particolare ciò che è cambiato non sono solo le regole con cui si fa organizzazione nelle amministrazioni pubbliche, ma anche i soggettiche le emanano e le modalità con cui le regole devono essere governate.Nel passaggio dal sistema pubblicistico, in cui vigeval’imperium della legge, al sistema privatistico, dove il datore di lavoro deve confrontarsi con interessiparticolari, si sono ampliate le fonti delle regole e le logiche con cui queste possono essere gestite, passando dalla sola legge ai contratti ed ai regolamentiinterni (mansionari, procedure, organigrammi, ecc.),arricchendo di conseguenza gli schemi concettuali di riferimento che alle logiche pubblicistiche aggiungonologiche più propriamente di carattere manageriale.Se nella tradizione amministrativa, in tema di organizzazione e gestione del personale, chi doveva gestire l’amministrazione pubblica dovevaapplicare le norme, magari con interpretazioni più o meno ardite, oggi deve in buona parte emanare talinorme e in generale deve essere in grado di gestirle.Il lavoro descrive quindi le diverse regole con cui si influisce sull’organizzazione ed in particolare ne individua le modalità di gestione e governo, ponendo attenzione al passaggio relativo alla produzionedi nuove regole, momento questo in cui i processi di comunicazione diventano fondamentale strumentodi governo di un progetto di cambiamento organizzativo.Il governo e la gestione delle regole di organizzazionesecondo gli obiettivi perseguiti da parte dei soggettiinterni all’organizzazione costituisce il managementdelle regole, che rappresenta una delle funzioni fondamentali, proprie, di ogni dirigente pubblico.

Il manuale è stato realizzato nell’ambito del laboratoriosui regolamenti di organizzazione negli enti locali del Programma Cantieri del Dipartimento della Funzione Pubblica.

Hanno contribuito alla stesura del volume:

RENATO RUFFINIProfessore associato di economia delle aziende e delle amministrazioni pubbliche presso l’Università C. Cattaneo di Castellanza, ha curato il volume ed è autore dei paragrafi 1.1, 1.4, 3.1, 3.4, 4.1;

PIERLUIGI MASTROGIUSEPPEDirigente Aran, ha curato il volume ed è autore dei paragrafi 1.3, 1.4 e del cap. 2;

ANGELO TANESEResponsabile dei Laboratori del Programma Cantieri, è autore del paragrafo 1.2;

DOMENICO DI COCCODirettore Aran, è autore del paragrafo 3.3;

ALBERTO CAPORALEUfficio relazioni sindacali presso Unioncamere, è autore del paragrafo 3.2;

PIETRO LEONEConsulente del Programma Cantieri, è autore del paragrafo 4.3;

BARBARA LUISIFunzionario amministrativo della Provincia di Campobasso, è coautrice del paragrafo 2.4;

CARMINE PACEConsulente esperto U.P.I., è coautore del paragrafo 2.4;

VITTORIO VANTADORIDirigente del Comune di Crema, responsabile comunicazione interna, è autore del paragrafo 4.2.

Il caso della Provincia di Milano, nel capitolo 4, e il box n. 36 nel capitolo 2 sono stati rispettivamente curati da Giovanni Giagoni e Giovanni Basolu.

A CURA DI RENATO RUFFINI E PIERLUIGI MASTROGIUSEPPE

Regole e regolamenti di organizzazione nelle amministrazioni pubbliche

ANALISI E STRUMENTI PER L’INNOVAZIONEI MANUALI

DIPARTIMENTO DELLA FUNZIONE PUBBLICAUFFICIO PER L’INNOVAZIONEDELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI

PRESIDENZADEL CONSIGLIODEI MINISTRI

Rubbettino

Si desidera ringraziare in modo particolare tutti i referenti delle amministrazioni che hanno partecipato attivamente al gruppodi lavoro del laboratorio su “Regole e regolamenti di organizzazionenelle amministrazioni pubbliche”.In particolare il nostro ringraziamento va a Barbara Luisi e CarminePace della Provincia di Campobasso, capofila della comunità tematica,Renato Ruffini L.I.U.C.,PierLuigi Mastrogiuseppe dell’Aran,Pietro Leone del Programma Cantieri,Vittorio Vantadori del Comune di Crema,Alberto Caporale Union Camere,Giovanni Basolu del Comune di Siniscola,Giovanni Giagoni della Provincia di Milano,Elisabetta Cuoco della Provincia di Benevento.Si ringraziano Renato Tasca e Mauro Bonaretti,responsabili del team di coordinamento del Programma Cantieri del Dipartimento della Funzione Pubblica,Paolo Testa responsabile del laboratorio su “Regole e regolamenti di organizzazione nelle amministrazioni pubbliche”,per il contributo di indirizzo scientifico fornito.Gli autori desiderano ringraziare Domenico Di Cocco,direttore Aran, per i preziosi consigli e gli utili suggerimenti.

© 2003 - Rubbettino Editore Srl88049 Soveria Mannelli - Viale Rosario Rubbettino, 10

Tel. 0968.662034 - www.rubbettino.it

Impaginazione e dtp Pierrestampa • Roma

Presentazione di Federico Basilica 7

Introduzione 9

1. Le regole nelle organizzazioni 131.1 Qual è la definizione di “regola di organizzazione”

utilizzata in questo manuale 151.2 Regole e cambiamento nelle amministrazioni pubbliche:

un binomio possibile 161.3 Il management delle regole 241.4 La mappa delle regole nelle organizzazioni pubbliche:

le caratteristiche generali dei principali ambiti di produzione delle regole 31

2. I regolamenti di organizzazione (ordinamento degli uffici e dei servizi) 36

2.1 Il regolamento come strumento per perseguire una strategia organizzativa e di gestione del personale 37

2.2 Il regolamento come strumento per introdurre elementi di chiarezza e trasparenza nell’organizzazione 61

2.3 Il regolamento nella sua funzione di completamento ed integrazione delle fonti normative sovraordinate 65

2.4 I contenuti del regolamento: cosa va disciplinato e cosa va rinviato ad altri “momenti di regolazione”,i rischi della iper-regolazione 69

Indice

3. I contratti collettivi di lavoro 833.1 I contratti collettivi di lavoro e la formazione delle regole 833.2 Ruolo e contenuti delle regole contrattuali 973.3 Negoziare le regole: indicazioni per lo sviluppo

del percorso negoziale nella contrattazione decentrata 1103.4 Le regole contrattuali tra consenso sociale e legalità:

il paradosso delle regole nulle 120

4. Comunicare le regole 1224.1 Il ruolo della comunicazione per l’efficacia

delle regole di organizzazione 1224.2 Gli aspetti tecnici della comunicazione delle regole 1284.3 Principi guida e suggerimenti

per una efficace scrittura delle regole 137

Bibliografia 153

Il cambiamento delle regole che definisco-no gli assetti organizzativi e di gestione delpersonale costituisce il cuore dei processiinnovativi di ogni tipologia di organizzazio-ne. Ciò è tanto più vero nelle amministrazio-ni pubbliche, ormai da più di un decennioorientate alla ricerca di assetti sempre piùidonei ad assicurare ai cittadini il rispetto deiprincipi di buona amministrazione.

Per questa ragione, nell’ambito delProgramma Cantieri è stato attivato un labo-ratorio sui regolamenti di organizzazionenegli enti locali, con lo scopo di affrontare ilproblema del fare organizzazione nelle ammi-nistrazioni più vicine al cittadino.

Il laboratorio ha affrontato il tema secon-do un’ottica estesa ed innovativa. Non si èlimitato infatti, come sarebbe stato anchelecito aspettarsi, a ragionare sui regolamentidi organizzazione in quanto atti giuridico-for-mali, di definizione degli ordinamenti degliuffici e dei servizi degli enti locali. Un simileapproccio avrebbe infatti portato a produrreindicazioni e buoni esempi di drafting nor-mativo, senza tuttavia risolvere in modocompiuto il problema degli indirizzi con cuisi influenza concretamente l’organizzazione;aspetto, quest’ultimo, che vive della concretaapplicazione delle norme formali, e quindidella gestione dei processi di cambiamento,istituzionali ed organizzativi.

Il gruppo di lavoro ha quindi scelto diestendere la sua analisi dai soli regolamenti,in quanto atti giuridici, alle regole di organiz-zazione, in quanto insieme di indirizzi e

principi che governano logiche operative eprocessi reali.

Il manuale presenta, così, un più ampiopanorama di strumenti di elaborazione delleregole di organizzazione, intese come“modelli di comportamento attesi o vietati dicarattere generale, uguali per tutti, adottatiall’interno di una istituzione”. Oltre all’ordi-namento degli uffici e dei servizi, quindi,sono analizzati i contenuti e le problematicheconnesse, ad esempio, ai contratti decentratied alle regole tipicamente datoriali (mansio-nari, procedure, ecc.); ma anche, non ultimo,il problema di come gestire il processo attra-verso il quale le regole stesse vengono pro-dotte e comunicate.

Cuore del volume è l’idea di un manage-ment delle regole, ovvero della necessità, pergovernare efficacemente un’organizzazione,di gestire in concreto le norme, utilizzandolecome strumenti per contemperare in manieraflessibile gli interessi di tutti; nella convinzio-ne che, in una organizzazione moderna, iprincipi organizzativi vadano non solo appli-cati, ma anche concretamente implementati.

E’ questa un’importante chiave di letturadel problema delle regole di organizzazione.Il dirigente pubblico infatti, nell’ambito dellefunzioni di organizzazione e gestione del per-sonale, per garantire una reale esplicazionedei principi dell’art. 97 della Costituzionenon può limitarsi ad applicare le norme, madeve anche saperle gestire, ovvero dare dina-mica attuazione ai principi operativi implica-ti dal dato letterale.

PRESENTAZIONE 7

Presentazione

Questa impostazione del problema deiregolamenti di organizzazione è in linea conla logica generale di Cantieri, che in tutte lesue attività tende ad assecondare i processi diinnovazione delle istituzioni pubbliche spo-sando l’ineludibile rispetto del dato normati-vo con innovazioni più tipicamente manage-riali. Sul presupposto che l’innovazione siaun processo che deve essere guidato nel suosviluppo ed efficacemente divulgato e nonuna semplice e meccanica conseguenza delpur necessario presupposto giuridico.

Federico BasilicaCapo del Dipartimentodella Funzione Pubblica

8 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

INTRODUZIONE 9

Le modifiche intervenute nel titolo V dellaCostituzione, che hanno stabilito una nuovacollocazione degli Enti territoriali nel pano-rama dei poteri pubblici in Italia, impongonouna rivisitazione del concetto tradizionale cuisi ispirano le norme di organizzazione inqueste realtà, che consenta l’ideazione diregole il cui carattere non sia solo normativoma anche (e soprattutto) organizzativo.

Le amministrazioni pubbliche, così comele imprese, sono sempre più spinte ad intra-prendere percorsi di innovazione che consen-tano loro di migliorare i processi interni e laqualità dei servizi erogati. Ma il cambiamentoè un processo che deve essere pianificato,richiede un massiccio impiego di risorse e lacreazione di sistemi di protezione che tuteli-no i soggetti e le strutture coinvolte.

Le amministrazioni devono innanzituttostabilire delle strategie complessive di innova-zione, investendo su progetti visibili e concre-ti, promuovendo la comunicazione interna ela partecipazione di tutti gli operatori. Tuttestrategie, queste, che implicano una revisionedel concetto stesso di “organizzazione”.

Nelle realtà organizzative complesse que-sta revisione passa comunque attraverso ladefinizione di regole condivise, che nelleamministrazioni pubbliche devono comun-que trovare sanzione nel regolamento diorganizzazione (ordinamento degli uffici edei servizi). Questo strumento, però, secondo

il giudizio di molti operatori, resta spesso“lettera morta”; si rivela, in altre parole, pocoefficace, limitato da dinamiche quali debolez-za di comunicazione all’interno, disattenzio-ne nei confronti dei processi di lavoro, assen-za di coerenza con gli altri regolamenti cherecano norme di azione: in sintesi, strumentodi fatto non sempre adeguato a regolare illavoro delle persone e a favorire il migliora-mento dei servizi.

Lo spazio di autonomia degli enti, giàribadito dal legislatore con il D.Lgs. 267/2000,e, in seguito, il nuovo impulso recato dall’in-tervento della riforma costituzionale lascianoritenere che le scelte di fondo adottate nelregolamento di organizzazione debbano esse-re la logica base di tutte le strategie operativeche riguardano i campi di azione tradizionalidelle amministrazioni locali; da esso occorrefar discendere in maniera coerente tutti glialtri sistemi di regole.

Nella gestione quotidiana del lavorosono necessari strumenti che consentano ilcorretto funzionamento dell’amministrazio-ne attraverso la partecipazione di tutti ilivelli dell’organizzazione, in una logica di“processo” e non esclusivamente nel rispet-to dei vincoli giuridico-formali. È necessa-rio superare il pregiudizio che per risolverei problemi di tutti i giorni sia sufficienteuna mera elencazione di norme e leggi, acui può anche accadere che nessuno dia poiseguito.

Introduzione

10 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

L’analisi contenuta nel manuale parte dal-l’esame delle regole, in quanto elementi fon-danti del processo decisionale; ciò sia dalpunto di vista individuale (quanto alla com-prensione del proprio ruolo, alle informazio-ni da elaborare e alla gestione delle relazioniorganizzative), sia dal punto di vista organiz-zativo (quanto alla fondamentale funzione dicoordinamento dell’azione del team).

Le regole di organizzazione costituisconoquindi una delle modalità di partecipazionedelle persone al “gioco organizzativo”: infatti,l’individuo tende per sua natura ad accettarele regole giuste, ma l’organizzazione deve, perparte sua, rappresentare il luogo istituzionalein cui il singolo abbandona la sua individua-lità, in funzione di una convenienza che noncomprometta le relazioni.

L’obiettivo del laboratorio è stato quellodi individuare dei criteri empirici per definirele regole considerate efficaci: la regola è effi-cace quando è legittima e ha carattere genera-le, indirizza modelli di comportamento attesie promuove il cambiamento all’interno del-l’organizzazione.

Il laboratorio ha così concepito unmanuale operativo non solo tarato sulle esi-genze di progettazione organizzativa, ma,più in generale, su quelle di pianificazione edi regolazione dei processi di lavoro, defi-nendo al contempo le modalità per svilup-pare le capacità di management delle regole

all’interno delle istituzioni pubbliche; conl’auspicio che possa diventare uno strumen-to d’uso quotidiano per chi si occupa delgoverno e della gestione degli strumenti diorganizzazione.

LE REGOLE NELLE ORGANIZZAZIONI 13

Premessa

Le amministrazioni pubbliche sono considerate il regno delle regole.La gestione della cosa pubblica implica, infatti, che l’attività svolta siasempre controllabile. Tra i diversi strumenti di controllo, le regolehanno da sempre assunto un ruolo centrale. Ma la necessità di regola-zione, sviluppata principalmente attraverso norme giuridiche, è tantonecessaria quanto generalmente considerata come elemento di frenoall’innovazione, alla modernizzazione e più in particolare, all’efficien-za organizzativa e gestionale. In particolare è il diritto amministrativoche, spesso, è messo sotto accusa, soprattutto da chi meno lo conosce.

In realtà, l’imprescindibilità stessa delle regole nei contesti socialirende sterile qualsiasi discussione di carattere ideologico tra fautoridel diritto e denigratori dello stesso. Conviene invece adottare unapproccio pragmatico e focalizzare l’attenzione sulla differenza trabuona regola e cattiva regola, rispetto ad un fine che essa si pone.

Alla ricerca di buone regole, si sono quindi sviluppati nell’ultimodecennio, in Italia come in Europa e nel mondo, profondi processi diriforma di tutti i settori della pubblica amministrazione, riforme chehanno profondamente modificato il quadro istituzionale ed operativodelle pubbliche amministrazioni per conciliare nel modo migliorepossibile la necessità di tutelare lo Stato di diritto e dei servizi, con lenecessità di avere uno Stato più efficiente (che costi meno e producadi più a parità di tasse).

Generalizzando il discorso, i pilastri portanti dei processi di rifor-ma attuati sono stati due:• la delegificazione;• il decentramento.

In sostanza, laddove possibile, i processi di riforma hanno attuatoprocessi di delegificazione, spostando le fonti regolative di determina-ti fenomeni dal livello legislativo a livelli regolamentari, consentendo

1. Le regole nelle organizzazioni

14 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

il decentramento delle responsabilità alle singole amministrazioni espostando le responsabilità operative della regolazione dall’alto albasso, dalle amministrazioni centrali alle periferiche, dagli organipolitici alla dirigenza.

Questo fenomeno, particolarmente evidente nei processi di rifor-ma che hanno riguardato gli strumenti dell’amministrazione (bilanci,organizzazione e personale, acquisti, procedimenti amministrativi,ecc.) è stato comunque generalizzato, nella convinzione che il perse-guimento di una maggiore efficacia ed efficienza nella produzione deiservizi pubblici (qualsiasi sia la loro natura) sia più facilmente perse-guibile responsabilizzando maggiormente le singole istituzioni/azien-de pubbliche. Tutto ciò infine, in sintonia con un’evoluzione delcomune sentire dei cittadini sempre più attento ed esigente rispettoall’attività della pubblica amministrazione.

È proprio l’ambito dell’organizzazione ed in parte del personalequello che ha avuto il maggiore intervento in termini di delegificazio-ne e responsabilizzazione.

In questo contesto è quindi mutato non tanto il ruolo delle singo-le amministrazioni e dei dirigenti, quanto il modo e il metodo, dioperare delle istituzioni pubbliche e di chi lavora al loro interno.

In particolare vi è stata una piccola rivoluzione copernicana, nelsenso che le singole amministrazioni grazie al processo di delegifica-zione (soprattutto in materia di organizzazione, personale e bilanci)da soggetti attuatori di regole sono passati a soggetti produttori diregole. Si pensi in particolare al tema dell’ordinamento degli uffici edei servizi negli enti locali, ai contratti integrativi in tema di gestionedel rapporto di lavoro e dei regolamenti datoriali in tema di organiz-zazione e gestione del personale.

Ormai da anni, quindi, le amministrazioni si confrontano con leregole da esse stesse prodotte e spesso accade che se ne lamentino,magari prendendosela con “incolpevoli” soggetti esterni, in onore allevecchie abitudini.

I tempi ci sembrano quindi ormai maturi per fare un discorsocomplessivo ed operativo sul tema delle regole che servono all’orga-nizzazione del lavoro nelle amministrazioni pubbliche. L’attenzioneverterà sulle “regole per fare i regolamenti”: ci occuperemo quindi diregolamenti come contenitori di regole, ma il nostro centro di atten-zione saranno queste ultime. Ciò significa, in pratica, ragionare sullemodalità del fare organizzazione nelle amministrazioni pubbliche e digestire in modo chiaro i processi produttivi, prima ancora di produr-re documenti, circolari, regolamenti o dare ordini.

LE REGOLE NELLE ORGANIZZAZIONI 15

1.1 Qual è la definizione di “regola di organizzazione” utilizzata in questo manuale

Ma cosa sono le regole di organizzazione? In generale possiamo defi-nire una regola come la specificazione di modelli di comportamentoattesi o vietati di carattere generale, uguali per tutti, adottati all’inter-no di una istituzione o sistema organizzato in quanto accettate comelegittime.

Essendo modelli di comportamento le regole costituiscono un ele-mento importante del processo decisionale individuale rispetto alproprio ruolo, rispetto alle informazioni da elaborare, rispetto allagestione delle relazioni organizzative.

Trattando delle regole e di comportamenti di organizzazione siaffronta un tema delicato, vale a dire un tema che ha risvolti etici ecomportamentali precisi, e che facendo parte del vissuto di tutti noipuò essere facilmente oggetto di incomprensioni. Vale quindi la penadi precisare alcune premesse di valore e di metodo che abbiamo adot-tato come gruppo di lavoro in questo scritto e rispetto alle qualioccorre leggere i diversi contributi prodotti:• in primo luogo occorre precisare che lo scopo delle regole di orga-

nizzazione è quello di minimizzare i costi e gli sforzi nel coordina-re l’attività organizzativa (coerentemente con l’assetto istituzionalee culturale) contribuendo in modo positivo all’efficienza e all’effi-cacia dei processi produttivi pubblici;

• sono buone regole di organizzazione quelle che, nell’assolvere illoro ruolo di coordinamento, agiscono in modo proattivo allo svi-luppo ed all’innovazione dell’organizzazione dell’istituzione pub-blica, garantendo un armonico sviluppo di tutte le componentidell’amministrazione;

• sono cattive regole di organizzazione quelle che, nell’assolvere illoro ruolo di coordinamento, bloccano le capacità di innovazionee sviluppo dell’organizzazione dell’istituzione pubblica o creanosituazioni di eccessiva conflittualità interna;

• le regole di organizzazione sono efficaci, vale a dire che funziona-no e sono buone regole, quando riescono a promuovere il cambia-mento voluto. L’efficacia delle regole dipende dalla loro capacità ditenere conto delle pluralità dei punti di vista, contemperando gliinteressi di tutti in modo comunque da garantire l’innovazioneorganizzativa;

• le regole di organizzazione non sono efficaci, quando sonovelleitarie e vessatorie o cercano di cementare lo status quoattraverso compromessi al ribasso tra le componenti internedell’organizzazione (che in questo modo esternalizzano i costidei loro accordi). Le regole di organizzazione non efficacidistruggono il tessuto organizzativo dell’ente e possono por-tarlo al declino, laddove vi sia la concomitante scarsità dirisorse.

16 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

Partendo da queste premesse il laboratorio di cantieri si è postol’obiettivo di individuare criteri operativi ed empirici per definireregole di organizzazione efficaci.

Il governo e la gestione di queste regole di organizzazione secondogli obiettivi perseguiti da parte dei soggetti interni all’organizzazione(ed in particolare gli organi di direzione di vertice) lo abbiamo defi-nito “management delle regole”.

Il laboratorio e questo lavoro trattano in definitiva del manage-ment delle regole e cercano di individuare esempi e modalità per svi-luppare le capacità di management delle regole all’interno delle istitu-zioni pubbliche.

1.2 Regole e cambiamento nelle amministrazioni pubbliche:un binomio possibile

Quando si parla di amministrazioni pubbliche, il tema delle regoleviene spesso evocato con giudizi anche molto contrastanti, dall’ideache riscrivendo le regole si risolveranno le inefficienze e i mali delsistema all’idea, opposta, che proprio la persistenza di un apparato divincoli e di regole formali sia il principale ostacolo alla realizzazionedi amministrazioni dinamiche, veloci e vicine ai bisogni dei cittadini.Anche nei discorsi e nel vissuto di chi opera all’interno delle ammini-strazioni pubbliche troviamo spesso affermazioni o percezioni deltipo “le regole ci sono, basta rispettarle” o “tutto è fermo se non sicambiano le regole del gioco” o ancora “le regole sono fatte per nonessere rispettate”.

È bene da subito chiarire che il nostro approccio alle regole non sifonda su giudizi a priori: non riteniamo che esista in assoluto labuona regola universalmente valida e in grado di determinare da solauna buona organizzazione né, al contrario, che una buona organizza-zione sia quella che fa a meno delle regole. Ora che l’attenzione deldibattito è sempre più centrata sulle riforme, sul cambiamento e sul-l’innovazione all’interno delle nostre istituzioni, il nostro compito èquello di chiarire se, e in che modo, all’interno di tali processi di tra-sformazione giochi un ruolo decisivo la capacità di utilizzare almeglio le modalità di attuazione e, soprattutto, di produzione delleregole.

A tal fine, prima di descrivere più concretamente cosa intendia-mo per “management delle regole”, è opportuno operare una rifles-sione sul rapporto inscindibile (e in parte imprevedibile) che esistetra regole e organizzazione; solo analizzando e comprendendo itermini di questa relazione sarà possibile cercare di stabilire princi-pi e linee guida per un “buon uso” delle regole nelle amministra-zioni pubbliche, scevro da semplificazioni ideologiche o da astrattipregiudizi.

Tabella 1 Le caratteristiche del modello ideale di burocrazia secondo Weber

LE REGOLE NELLE ORGANIZZAZIONI 17

a) Regole e burocraziaInnanzi tutto, occorre ricordare che il nostro sistema amministrativo,al pari di quello esistente in altri paesi, si fonda sui principi dell’ideal-tipo burocratico, e quindi su regole. Secondo Max Weber la prevalenzadi regole distingueva le organizzazioni che fondano la loro legittimitàsu un’autorità di tipo legale-razionale da quelle tradizionali tenuteinsieme da relazioni di tipo informale o religioso. Se consideriamo lecaratteristiche di fondo della burocrazia elencate da Weber e le con-frontiamo con quelle delle nostre moderne amministrazioni pubbli-che, troviamo che la maggior parte di esse è ancora valida, anche separzialmente mutata e adattata alle nuove esigenze. La natura di unapparato burocratico è fondata sulle regole e sul loro rispetto.

1. Fedeltà d’ufficio I funzionari obbediscono solo a doveri oggettivi di ufficio

2. Competenza disciplinata A ogni dipendente sono affidati precisi compiti da svolgere formalizzati e standardizzati

3. Gerarchia degli uffici Esiste un sistema rigido di subordinazione dell’autorità.Comandi e controlli procedono sempre attraverso una gerarchia.

4. Preparazione specializzata È necessaria una qualificazione specializzata secondo un corso di studi predeterminato

5. Concorsi pubblici Per entrare o passare a livelli superiori sono previsti concorsi che valutano il merito con criteri universalistici

6. Sviluppo di una carriera Si lavora nella burocrazia lungo tutto l’arco della vita attiva,con la possibilità di ricoprire posizioni sempre più alte in base all’anzianità di funzioni e prestazioni

7. Attività a tempo pieno Il lavoro in una burocrazia è una professione a tempo pieno,svolta in modo continuativo, unica o principale

8. Segreto d’ufficio La burocrazia prevede la non divulgazione delle pratiche di ufficio e la rigida separazione tra vita d’ufficio e vita privata dei funzionari

9. Stipendio monetario fisso L’amministrazione provvede a pagare i propri dipendenti con uno stipendio in denaro, per lo più con diritto alla pensione

10. Non possesso degli strumenti Gli strumenti sono dati in dotazione dall’amministrazionedel proprio lavoro e i dipendenti sono tenuti e rendere conto del loro buon uso

1. Determinanti al riguar-do sono stati i contributiforniti da Herbert Simonallo studio dei limiti dellarazionalità umana e l’ana-lisi delle decisioni e degliscopi organizzativi realiz-zata da Cyert e March.

2. Un approfondimento diqueste teorie esula da que-sto volume. I riferimentiprincipali sono gli studi diAlvin Gouldner, P.M.Blau, Robert Merton eMichel Crozier.

18 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

Secondo questa visione, il funzionario pubblico dovrebbe esseremosso dalla ricerca di adeguatezza tra il suo comportamento e l’insie-me di regole predefinite. In virtù della sua posizione, ogni dipendentepubblico dovrebbe costantemente chiedersi “come devo comportarmiin questa situazione secondo quanto previsto?”. La sua identità di fun-zionario coincide così con ciò che ci si aspetta da lui. Secondo ilmodello burocratico, è quindi sufficiente avere buone regole, chedescrivono accuratamente e nel modo più razionale il comportamen-to migliore per ogni situazione, e l’organizzazione si adeguerà ad esse,ottimizzando così i propri risultati.

Questa teoria, molto rassicurante, per la quale l’azione dei dipen-denti all’interno delle organizzazioni si basa sulle regole che ad essisono state date, è stata messa in discussione dalla scoperta che, inrealtà, i comportamenti delle persone, anche all’interno di organizza-zioni molto strutturate, sono sempre il frutto di una libera scelta. Gliindividui posti in una data situazione intraprendono le azioni chemeglio possono servire ai propri scopi, sulla base di un calcolo. Inaltri termini, ciò che decidono di fare non risponde alla ricerca dellamaggiore uniformità alle regole, ma al raggiungimento di ciò che peressi è il risultato più soddisfacente, sulla base delle proprie aspettativee preferenze individuali1.

Le regole allora non sono più la guida e il riferimento dell’azione,ma uno strumento: sono rispettate e ritenute valide solo se funzionaliallo scopo perseguito dai singoli attori all’interno dell’organizzazione.

Sulla base di questa intuizione, un lungo filone di studi ha dimo-strato negli ultimi cinquant’anni come le regole possano generaredelle disfunzioni e degli effetti imprevisti all’interno delle organizza-zioni2. Paradossalmente, proprio il rispetto delle regole può portare aderesponsabilizzare chi si limita ad applicarle, può essere oggetto dinegoziazione e di scambio tra dipendenti e superiori, può proteggereo rafforzare il potere di un funzionario nei confronti degli altri,creando forti ostacoli al cambiamento. Insomma, nella realtà il siste-ma di regole formali che dovrebbe caratterizzare un’organizzazionerazionale e orientata allo scopo non solo non determina in modomeccanicistico i comportamenti degli individui, ma al contrario può

Figura 1 Razionalità e superiorità tecnica della burocrazia secondo Weber

AZIONE RAZIONALERISPETTO ALLO SCOPO

REGOLEBUROCRATICHE

MASSIMIZZAZIONEEFFICIENZA

LE REGOLE NELLE ORGANIZZAZIONI 19

diventare esso stesso la causa di lentezze, rigidità, conflitti e inefficien-ze. Per questo motivo il termine stesso burocrazia ha acquistato neltempo una connotazione negativa, evocando l’idea di un’organizza-zione strutturalmente incapace di correggere i propri errori.

Ormai molti anni sono passati dalla realizzazione di questi studied è largamente condivisa l’idea (e acquisita nella prassi) che non siapossibile né funzionale voler definire e determinare a priori tutti icomportamenti di ogni soggetto all’interno di un’organizzazioneattraverso un sistema di regole. Soprattutto a fronte di una sempremaggiore personalizzazione dei servizi e discrezionalità del singolooperatore nello svolgimento dei propri compiti, anche le amministra-zioni pubbliche hanno cercato di spostare l’attenzione e i comporta-menti del “buon funzionario” dal rispetto delle regole all’orientamen-to ai risultati. Non c’è regola più forte dell’interiorizzazione dellefinalità istituzionali e degli obiettivi dell’organizzazione per guidare icomportamenti delle persone; prova ne è, ad esempio, la progressivaminor attenzione delle amministrazioni pubbliche alla stesura dimansionari e alla definizione puntuale di tutti i compiti previsti perogni posizione organizzativa rispetto al crescente investimento sullaformazione, sulla responsabilizzazione e condivisione degli obiettivi,sull’organizzazione per processi, sul lavoro di gruppo, sulla leader-ship.

Tuttavia, rimane il problema di definire che ruolo possono edevono giocare le regole formali all’interno di organizzazioni chemantengono, per loro natura, una grossa componente burocratica enormativa. È possibile orientare il sistema di regole in modo funzio-nale al perseguimento delle finalità e degli obiettivi istituzionali, evi-tando le derive burocratiche e gli effetti perversi che l’esperienza hadimostrato?

b) L’importanza e il ruolo delle regole nella vita delle organizzazioniPer provare a rispondere al quesito, innanzi tutto occorre essere con-sapevoli del fatto che, contrariamente a una visione deterministica erazionale del comportamento umano, le regole non precedono l’orga-nizzazione ma si inseriscono all’interno del processo di costruzione ecambiamento di ogni sistema organizzativo.

Le regole formali permeano la vita delle organizzazioni in tutti iloro aspetti (ordinamento dei livelli gerarchici, modalità di ingresso econtratti di assunzione, sistemi di ricompensa e sanzione, orari dilavoro, procedure amministrative, ecc.), ma costituiscono solo unodegli elementi attraverso i quali si strutturano le relazioni all’internoe all’esterno delle organizzazioni, al pari ad esempio delle tecnologie,dei saperi, delle culture, degli spazi fisici e delle risorse economichedisponibili. Gli individui “utilizzano” tutti questi elementi nellacostruzione continua e quotidiana delle proprie relazioni, in virtù deipropri interessi e a seconda delle proprie capacità cognitive, inventan-do un gioco sempre nuovo e spesso imprevedibile.

Figura 2 Le regole come elemento del sistema organizzativo

20 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

Se non si tiene conto di questa natura artificiale, costruita e contin-gente delle nostre amministrazioni pubbliche diventa difficile spiegareperché, a parità di regole formali, gli stessi uffici di due comuni posso-no avere standard di efficienza differenti o perché la qualità del servi-zio di due reparti di uno stesso ospedale possa essere tanto diversa.

Non possiamo dunque andare alla ricerca di regole in assolutoefficaci, ma semmai di quelle relazioni tra regole e organizzazione chegenerano comportamenti proattivi e producono risultati efficaci inquel determinato contesto.

Per prima cosa, le regole sono necessarie per definire stabili sche-mi di comportamento collettivo, per costruire cioè delle routine orga-nizzative che standardizzano soluzioni ritenute valide e che possonoessere date per scontato. Di fatto, la maggior parte delle attività svolteall’interno di un’organizzazione, sia pubblica che privata, risponde aregole (procedure, regolamenti, contratti, convenzioni) che nessunomette in discussione, perché sono soluzioni sperimentate nel tempo elargamente condivise. Queste routine organizzative garantiscono effi-cienza al sistema, perché consentono di non dover “reinventare” ogni

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TECNOLOGIE

RISORSE ECONOMICHE

CULTURA

CONOSCENZE

RELAZIONIESTERNE

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volta le soluzioni, ma le fissano una volta per tutte attraverso un siste-ma di regole. Nessuno mette in discussione, ad esempio, che gli oraridi apertura al pubblico di un servizio siano espliciti, che il non paga-mento di una tassa possa generare una sanzione, o che per l’otteni-mento di una data autorizzazione sia necessario presentare unarichiesta scritta. Nuove regole progressivamente possono trasformarsiin abitudini, come ad esempio l’autocertificazione, l’utilizzo di e-mailper comunicare o pagare le tasse on-line. Ed è interessante notareanche come soluzioni non tradizionali, come la gestione per obiettivi,la predisposizione di un piano annuale di formazione, o la misurazio-ne della qualità percepita di un dato servizio, possano diventare routi-ne organizzative, se inserite stabilmente nei comportamenti e nelleaspettative condivise di tutto il personale.

In sintesi, se le regole da sole non bastano a determinare i com-portamenti delle persone, possiamo però affermare che:• le regole sono un elemento ineliminabile delle organizzazioni, e

contribuiscono a strutturare le modalità con cui le persone agisco-no e interagiscono nel tempo, aiutandole anche a definire attraver-so routine schemi e soluzioni stabili;

• le regole sono indispensabili nella vita dell’organizzazione, perchéogni cambiamento organizzativo deve confrontarsi con le routinepreesistenti e con la possibilità/capacità di crearne di nuove.Se accettiamo questo rapporto dialettico tra regole e organizzazio-

ne, ne consegue che è inutile cercare di definire se le regole vengano“prima” o “dopo” un cambiamento organizzativo, e cioè se esse sianola causa o, al contrario, l’acquisizione formale di nuovi comporta-menti. Se adottiamo un approccio più empirico e contingente, dob-biamo considerare le regole come un elemento fondamentale dell’or-ganizzazione, interno al sistema, e che evolve con esso. La qualitàdelle regole non è mai assoluta, ma dipende dal modo in cui le perso-ne all’interno dell’organizzazione fanno uso di esse per definire,negoziare e modificare costantemente le loro relazioni.

c) Regole e cambiamentoIl passaggio da una visione dell’organizzazione come sistema mecca-nico ad una che pone al centro la capacità di cooperazione e dicostruzione (artificiale) di relazioni tra i soggetti che ne fanno parte,equivale a riconoscere alle regole lo statuto di componente attiva delsistema stesso; le regole possono favorire o ostacolare la cooperazione,a seconda di come vengono percepite e utilizzate da coloro chedovranno rispettarle e farle rispettare.

Il processo di delegificazione e di decentramento di cui abbiamo pre-cedentemente parlato non è altro se non il tentativo di selezionare mag-giormente le regole che realmente possono incidere sulle performancedell’organizzazione e, soprattutto, di spostare la funzione di produzione diregole il più vicino possibile a coloro che tali regole dovranno utilizzare.

Questo processo merita una particolare attenzione rispetto aldiscorso che sinora abbiamo portato avanti, perché implica una mag-

22 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

giore consapevolezza delle nostre istituzioni circa la natura strumentalee contingente delle regole. Anziché alimentare il sistema amministrati-vo italiano con sempre nuove regole, che spesso nascono per garantireil rispetto di regole preesistenti (in un processo di proliferazione buro-cratica inarrestabile), il processo di riforma in atto in Italia sembrereb-be riconoscere l’esigenza di collegare maggiormente le regole ai processireali di modernizzazione amministrativa, di sviluppo di managerialità edi governance in atto nel settore pubblico a livello centrale e locale.

È in questo senso che si ripropone in modo nuovo il rapporto traregole e cambiamento organizzativo; ancora una volta le regole sonoun ingrediente necessario, benché non sufficiente, per il cambiamen-to. Se, come affermava Michel Crozier in un celebre saggio, non sicambia la società per decreto, è vero che un utilizzo consapevole delruolo e degli effetti delle regole nelle organizzazioni è fondamentaleper portare avanti con successo una strategia di cambiamento.

In quest’ottica, sempre più le amministrazioni pubbliche hannobisogno di regole “su misura”, come un vestito che tenga conto dellecaratteristiche specifiche del corpo che lo indosserà, e le funzioni diguida e direzione (amministratori e top management) devono quali-ficarsi per la capacità di costruire una coerenza tra gli obiettivi dichia-rati e le modifiche al sistema di regole sottostanti. Per fare un esem-pio: non si può dichiarare di voler premiare i risultati e non avere unsistema di valutazione delle prestazioni adeguato, e non si può dichia-rare di voler valutare le prestazioni e poi rinunciare perché non sipossiedono tutte le informazioni e le competenze per gestirlo.

Oggi il rafforzamento dell’autonomia delle amministrazioni pubbli-che locali (ma lo stesso discorso vale, ad esempio, per le agenzie o gliistituti previdenziali nazionali) crea le condizioni per una gestione delleregole strettamente collegata alla gestione dell’organizzazione; e sicco-me a fronte delle continue richieste esterne e interne al settore pubblicogestire l’organizzazione oggi significa gestire processi di cambiamentoorganizzativo, l’attività di produzione e attuazione delle regole si tra-sforma anch’essa in uno strumento al servizio del cambiamento.

In altri termini, occuparsi di regole oggi nelle amministrazionipubbliche non significa più definire in termini statici l’assetto ottima-le dell’organizzazione, delle procedure, dei servizi, ecc., ma si trasfor-ma progressivamente in un’azione di preparazione, accompagnamen-to e consolidamento formale di comportamenti e processi di sviluppoorganizzativo. Basta guardare ai ritmi con cui si modificano oggi gliorganigrammi e i regolamenti interni delle amministrazioni, alla fles-sibilità con cui si cerca di gestire il personale, al proliferare di formedi accordi, contratti e convenzioni che disegnano un’organizzazionesempre più snella, sempre più dinamica, sempre più a rete.

Il problema del management pubblico oggi è dunque quello diconiugare regole e cambiamento, stabilità e sviluppo, routine e innova-zione. Anzi, potremmo dire che è quello di far sì che le regole stabili-scano delle routine consolidate di orientamento all’innovazione e al

LE REGOLE NELLE ORGANIZZAZIONI 23

cambiamento, come è oramai richiesto dalla continua pressione esternae interna. Di qui peraltro buona parte del sentimento di smarrimento,di perdita di riferimenti e di incertezza diffuso tra coloro che operanoall’interno delle nostre amministrazioni; ma di qui anche le opportu-nità di crescita professionale e di confronto con il mondo esterno untempo precluse (o quanto meno rare) per il dipendente pubblico.

Rimane ora da chiarire un ultimo punto: chi e come deve assicu-rare questo binomio tra regole e cambiamento? La risposta non puòche essere una: colui che è principalmente responsabile, in ultimaanalisi, della formulazione e della realizzazione di una strategia dicambiamento, vale a dire il management pubblico.

Dinanzi a questo nuovo approccio alle regole, il management hasempre meno alibi o attenuanti: non si può incolpare sempre e solo ilsistema burocratico di inerzia e resistenza al cambiamento. Benchétali inerzie ci siano e soffochino spesso i tentativi e le spinte allamodernizzazione, il compito del manager non è quello di giudicare ilsistema e agire dall’esterno, ma quello di sperimentare e creare dal-l’interno le condizioni per un cambiamento reale e duraturo. Entrarenel sistema, nel gioco organizzativo, significa abbandonare definitiva-mente una visione ancora deterministica e burocratica dell’organizza-zione, in cui regole e organizzazione sono elementi distinti, e svolgereun nuovo ruolo, di colui che costruisce e mobilita la cooperazionedelle persone intorno ad un progetto o a una strategia di cambiamen-to, utilizzando al meglio tutte le risorse (formali, informali, tecniche,economiche, culturali) di cui il sistema dispone.

Figura 3 Il ruolo del manager nella gestione del cambiamento organizzativo

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In questo nuovo ruolo il manager pubblico sa che il problema nonè trovare le “buone regole” o distinguere “buoni e cattivi” all’internodell’organizzazione, ma garantire che la strategia di cambiamentoabbia successo.

Se la direzione ritiene che il cambiamento va in una direzionediversa da quella auspicata, non ha senso accusare l’organizzazione diirrazionalità, di inerzia, o di burocratizzazione, ma semplicementeoccorre riconoscere che la strategia messa in atto per cambiare quellaorganizzazione si è basata su principi e metodi sbagliati. Insomma, sela strategia di cambiamento di un sistema organizzativo fallisce, non è“colpa” del sistema ma della strategia, che non è stata in grado dicomprendere e agire sulla struttura e sulle relazioni sottese a quellaorganizzazione.

Questa è la vera sfida per il management pubblico, quella di riu-scire a generare nuove modalità di cooperazione e di organizzazionenelle amministrazioni pubbliche, non a partire da un’idea astratta oda modelli predefiniti, ma agendo dall’interno sulle condizioni dilavoro, sulle relazioni e sulle culture che si sono consolidate neltempo, sugli “equilibri” che le persone hanno trovato. E deve essereanche consapevole che qualsiasi nuova regola formale, per quantoritenuta valida e utile per generare un cambiamento, aprirà nuoveopportunità di comportamento, di relazione, di cui si dovrà tenerconto. Molti fallimenti o insuccessi nell’introduzione di pratiche etecniche di management, ad esempio, nascono proprio dall’idea cheesse siano “neutre”, cioè siano semplicemente da applicare. Si sotto-valuta il fatto che il loro ingresso produce nuove opportunità enuovi spazi di azione per coloro che dovranno utilizzare tali tecni-che, e l’esito del processo dipenderà proprio dal modo con il qualesi ridefinisce il sistema di cooperazione di scambio tra i soggetticoinvolti.

Il cambiamento organizzativo rimane un processo (e un proble-ma) sempre aperto. La definizione e l’introduzione di nuove regoledeve essere vista e gestita sempre come l’immissione nel sistema orga-nizzativo di un ulteriore elemento che entra a far parte del processodi sviluppo organizzativo. La regola non è mai una decisione puntua-le, un semplice atto, ma l’input iniziale di un processo; generare que-sto input sulla base di una buona conoscenza del sistema su cuiimpatta e soprattutto accompagnare e guidare il processo di sviluppoche esso genera costituiscono i principali requisiti per un manage-ment delle regole nelle amministrazioni pubbliche.

1.3 Il management delle regole

Nell’ottica del management, le regole sono “uno degli strumenti” adisposizione di chi esercita funzioni di governo e di direzione diun’amministrazione pubblica, per svolgere nel modo migliore e più

LE REGOLE NELLE ORGANIZZAZIONI 25

efficace tali funzioni. È un’ottica utile, come cercheremo di dimostra-re, sia per chi svolge funzioni politiche sia per chi svolge funzioni dimanagement e di gestione. In entrambi gli ambiti, infatti, si produco-no regole per l’organizzazione.

Per comprendere le peculiarità di questa ottica, occorre richiamarebrevemente quali sono gli altri approcci e i punti di vista intorno alleregole, comunemente adottati.

Nell’ottica giuridica, tuttora dominante nella pubblica ammini-strazione, il problema delle regole è essenzialmente un problema divalidità giuridica. Il centro dell’attenzione è cioè stabilire se una rego-la è valida o meno ovvero argomentare pro o contro la sua validità,secondo i canoni dell’interpretazione giuridica.

L’ottica sociologica è invece interessata al problema della vali-dità sociale; poiché, infatti, la validità giuridica della norma non èsufficiente a renderne spontanea l’osservanza e l’accettazione socia-le, occorre porsi il problema di quanto essa sia “socialmente” affer-mata, presente e condivisa. La regola è vista, in questo caso, comeelemento di funzionamento di un sistema sociale, che struttura ilcampo d’azione dei soggetti agenti, che fornisce a questi ultimi rife-rimenti per l’azione, che limita il potere dei suoi destinatari, masenza annullarlo completamente. Regole e potere dei soggetti agentisi pongono dunque come “poli dialettici” tra i quali si stabilisce unatensione dinamica.

L’ottica del management delle regole riguarda invece il problemadi come, anche attraverso le regole, si possa gestire in modo efficaceun’organizzazione pubblica. Le regole entrano cioè nel “cassetta degliattrezzi” di chi gestisce (anche della politica, nella sua funzione diindirizzo della gestione), il quale se ne serve per svolgere al meglio lesue funzioni gestionali.

Quest’ultima ottica non può naturalmente disinteressarsi dellealtre due:• non può cioè ignorare il problema della validità giuridica, dal

momento che, nella sua azione, chi gestisce è condizionato dalfatto di poter vantare una pretesa di validità giuridica ed anche dairischi derivanti dalle eventuali sanzioni previste dall’ordinamentogiuridico in caso di violazione della regola;

• né, d’altro canto, può ignorare il problema della validità sociale,cioè del grado di accettazione e condivisione delle regole; del fatto,ad esempio, che alcune regole sono sistematicamente ignorate oapplicate in modo puramente “formale”.

Il manager delle regole, nella sua azione, deve riuscire a gestire leincoerenze e le contraddizioni tra i due diversi piani appena individuati.

3. Art. 40, comma 3 delD.Lgs. n. 165 del 2001.

26 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

Vi sono infatti situazioni nelle quali la validità sociale entra inconflitto con la validità giuridica. Gli esempi sono molteplici. Capitaspesso che regole interne concepite, nel pieno rispetto delle normedi legge, determinino “problemi” e “rallentamenti” dell’attività deci-sionale. Quindi, pur se pienamente legittime, vengono sostanzial-mente aggirate (o ignorate) da chi sarebbe chiamato ad applicarle.Problemi analoghi si verificano anche nella definizione delle regoledei contratti collettivi di lavoro del personale, nella sede locale. Nelpubblico, esiste una regola generale (stabilita da una legge3) che san-cisce la nullità delle clausole difformi o in contrasto con le regoledefinite nel contratto collettivo nazionale di lavoro. Quindi: unaregola del contratto locale gode di validità giuridica solo se non sipone in contrasto con le regole nazionali. Spesso accade, tuttavia,che per “far passare” una regola localmente, cioè per acquisire tutti iconsensi necessari (del sindacato, della politica, dei diretti interessa-ti), sia necessario “mettere a repentaglio” la validità giuridica (o,comunque, correre il rischio che la regola sia dichiarata nulla o nonapplicabile).

Più nello specifico, sono diversi gli aspetti e le criticità a cui ilmanager delle regole deve porre particolare attenzione.

Il manager delle regole deve porre attenzione all’ambivalenza della regolaLa regola si presenta infatti come “strumento ambivalente”: il mana-ger se ne può servire per promuovere il cambiamento o per interve-nire su situazioni di scarsa chiarezza organizzativa, ma deve porremolta attenzione agli effetti di rigetto ed all’inevitabile “confusione”che produce l’overdose di regole, la sedimentazione di regole formu-late in tempi diversi, la sollecitazione continua attraverso lo stru-mento normativo.

Soprattutto, è necessario percepire la regola come parte di unastrategia più complessiva di cambiamento. Infatti:• essa non è l’unico strumento da mettere in campo;• accanto al problema della validità giuridica, va affrontato e gestito

anche il problema della validità sociale;• non è affatto scontato che la regola produca automaticamente il

cambiamento auspicato.

L’ambivalenza delle regole è particolarmente evidente nei casi,ampiamente studiati in letteratura, di circoli viziosi derivanti dall’uti-lizzo incauto dello strumento normativo.

Lo schema base dei diversi circoli viziosi derivanti dall’applicazio-ne di regole si può sintetizzare nei termini seguenti (vedi fig. 4):• c’è un problema organizzativo da affrontare e risolvere: ad esem-

pio, il problema di due uffici che non collaborano o il problema di

LE REGOLE NELLE ORGANIZZAZIONI 27

un conflitto di competenze tra due dirigenti;• si pensa di risolvere tale problema utilizzando lo strumento nor-

mativo: ad esempio, ponendo una regola che stabilisce i casi in cuii due uffici sono tenuti a collaborare ovvero le competenze delprimo e del secondo ufficio;

• una volta posta la regola, i singoli si riappropriano tuttavia dellapropria autonomia decisionale e, pertanto, sfruttando i margini diautonomia, tra le pieghe delle regola, riescono a ritagliarsi un’in-terpretazione a loro favorevole, che consente loro di servirsi dellaregola per legittimarsi ulteriormente: ad esempio, per rifiutare, lacollaborazione poiché la regola non contempla espressamente ilcaso concretamente verificatosi; oppure per rifiutare (o rivendica-re a sé) una competenza attraverso una interpretazione di partedel caso concreto;

• quindi la regola ha ottenuto l’effetto opposto rispetto a quellovoluto: non ha risolto il problema, ma anzi lo ha reso più com-plicato;

• l’ulteriore complicazione fa nascere l’esigenza di intervenire connuove regole che finiscono con l’esasperare ulteriormente il pro-blema allontanando sempre di più la sua soluzione.

Figura 4 Il circolo vizioso delle regole

effetto indesiderato della regolaREGOLA PENSATA COME STRUMENTO PER RIDURRE LA COMPLESSITA’O PER RISOLVERE IL PROBLEMA

COMPLESSITA’ DA AFFRONTAREPROBLEMI DA RISOLVERE

REGOLA COME CAUSADI ULTERIORI PROBLEMI

E FONTE DI ULTERIORI COMPLESSITA’

La regola è dunque uno strumento da utilizzarsi con estrema cau-tela. Perfino regole pensate con le migliori intenzioni possono deter-minare effetti completamente opposti a quelli voluti.

28 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

La regola è il tipico strumento in cui l’offerta alimenta la doman-da. Infatti, l’offerta di regole, troppo disinvolta e a buon mercato, puòavere l’effetto di far crescere la richiesta di altre regole (vi sono molticasi in cui regole, generano nuove regole che vanno a precisare e aspecificare le precedenti).

Buone regole sono dunque quelle che risolvono problemi e nonne creano di nuovi.

Sono quelle che, a partire da bisogni e problemi dell’organizzazio-ne, conosciuti a fondo in tutte le loro implicazioni e guidate da unaconsapevole strategia, danno un contributo alla loro soluzione. Alcontrario, regole che nascono solo come mero adempimento (il rego-lamento sull’ordinamento degli uffici e servizi è un obbligo per tuttigli enti!) rischiano di “vivere” solo nell’ordine formale del diritto.

Porre attenzione all’ambivalenza della regola vuol dire, concreta-mente:• privilegiare soluzioni normative semplici, di facile applicazione,

rinunciando, se necessario, a regolare situazioni che la regola nonriesce ad affrontare con “semplicità”;

• valutare preventivamente l’opportunità di agire attraverso lo stru-mento normativo e valutare le alternative alle regole.

Nella valutazione della opportunità di intervenire o meno con lostrumento normativo occorre considerare:• primo: se la regola è adeguata alla complessità dei problemi; si

verifica spesso, infatti, che ci sia una sottovalutazione dei problemida affrontare attraverso la regola: ad esempio, non si percepisconofino in fondo i nessi politici tra i diversi attori, la rilevanza degliinteressi in campo, la distanza tra i modelli astratti preconizzatinella regola e le prassi consolidatesi nel tempo;

• secondo: se la regola presenta un eccessivo livello di astrattezzarispetto alle prassi consolidate: è inutile infatti imporre modelli nor-mativi astratti, secondo una visione potestativa del diritto, completa-menti estranei alle prassi e molto distanti dalle evidenze empiriche;

• terzo: se non esistano strumenti alternativi alla regola, più efficacia risolvere i problemi al centro dell’attenzione; ad esempio: perrisolvere un conflitto di competenza tra due uffici, forse è più utileorganizzare una riunione tra i responsabili degli uffici, in cui siparli con franchezza e si negozino le soluzioni.

L’introduzione di nuove regole va sempre accompagnata da altre azioni managerialiQuasi sempre, le regole, da sole, non risolvono i problemi organizza-tivi, se non sono accompagnate da altre azioni a supporto. La produ-zione di regole è solo una parte di un lavoro molto più complesso ead ampio raggio.

Il manager delle regole deve, dunque, preoccuparsi non solo di“definire le regole”, con le procedure legittimanti previste per la loro“approvazione”, ma anche di comunicarle, di farle conoscere, di favo-

LE REGOLE NELLE ORGANIZZAZIONI 29

rirne l’apprendimento da parte dei destinatari.I problemi di gestione che l’introduzione delle nuove regole deve

affrontare sono soprattutto:• la ricerca del consenso degli attori chiave, attraverso negoziati

impliciti o espliciti;• le azioni di comunicazioni, prima e dopo, per facilitare l’apprendi-

mento delle regole e la loro applicazione.

Il manager delle regole non può ignorare il problema del consensoe del negoziato sulle regole, anche quando non siano prescrittimomenti formalizzati di negoziazione.

Le regole sono sempre, in una certa misura, negoziate. Lo sonoquelle che vengono definite all’interno di un momento negozialeformalizzato (ad esempio: regole dei contratti collettivi), maanche quelle che vengono definite da un decisore legittimato cheusa il suo “potere formale” di emanazione della regola (regola-mento sull’ordinamento degli uffici e servizi). Il manager delleregole deve quindi preoccuparsi che le regole godano del necessa-rio sostegno politico, dei necessari consensi. Nell’ottica del mana-gement delle regole, le buone regole non sono un “corpo estra-neo” dell’organizzazione, un elemento che si impone dall’esterno,sia pure con tutti i crismi della legittimazione formale. Sono inve-ce, sempre, costruite socialmente e, in quanto elementi di una“costruzione sociale”, vivono solo della disponibilità dei soggettiad utilizzarle come strumenti di regolazione della loro “conviven-za organizzativa”.

Passando al secondo problema posto, va ricordato che la regolanon è altro che un particolare “medium linguistico”, all’interno di unarelazione di comunicazione, in cui interagiscono “soggetti comuni-canti” e “soggetti riceventi”.

Come in tutte le relazioni di comunicazione, si stabiliscono“distorsioni”, fraintendimenti, equivoci interpretativi, letture di partedel messaggio. Il manager delle regole deve dunque riuscire a gestirela relazioni di comunicazione e le sue dinamiche.

Ciò significa, in pratica, avere sensibilità ed attenzione per le fasidi “comunicazione” che precedono e seguono l’introduzione dellenuove regole.

Prima, è necessario spiegare il cambiamento voluto dalle nuoveregole, preparare il terreno, far comprendere le ragioni pratiche econcrete che stanno dietro alle nuove regole. È necessario anche evi-tare formulazioni troppo “tecniche” e “complesse”. È vero: spesso leregole assumono la natura di “costruzioni tecniche”, con un linguag-gio per specialisti ed addetti ai lavori. Esse “danno per scontato” unosfondo di “altre regole” o di “principi generali”, la cui conoscenza ècondizione necessaria per la loro comprensione. Tuttavia, l’eccessivotecnicismo nella costruzione della regola determina, inevitabilmente,problemi di comunicazione.

30 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

Dopo che la regola è stata introdotta, è bene dedicare tempo edenergie alla sua comunicazione: che non può essere solo rimessa aitradizionali canali dell’articolato e della sua pubblicazione ufficiale.L’evoluzione degli strumenti e delle tecnologie della comunicazionein rete apre, a questo riguardo, interessanti scenari.

La prova che esiste un problema di comunicazione della regolasi ha quando, una volta introdotta, vengono sollevati molti dubbi,problemi interpretativi, richieste di chiarimento, quesiti sulla suacorretta applicazione. Tutto ciò indica che vi è stato un problemadi comunicazione che non è stato affrontato e risolto. È il segnaledi un problema che è stato sottovalutato e non presidiato adeguata-mente. Né si può ridurre tutto a un problema di “incapacità” deidestinatari di recepire il messaggio della regola ed il suo codice lin-guistico.

Il manager delle regole deve porsi il problema del tipo di regola più adatto ai differenti contestiUn altro aspetto da considerare è il tipo di struttura che la regola deveavere. A questo riguardo, va operata una distinzione tra:• regole formulate rigidamente, che prescrivono minutamente le

azioni da intraprendere;• regole lasche, che lasciano spazi, aperture, possibilità interpretati-

ve, limitandosi a fornire solo un quadro di massima dentro ilquale possono coesistere comportamenti anche non uniformi operfino sensibilmente differenziati.

Ci sono situazioni nelle quali si dimostrano più efficaci le une o lealtre. Ci sono anche delle situazioni che spingono inevitabilmenteverso l’una struttura o l’altra.

Per esempio, se occorre regolare l’intera vita organizzativa di unente non conviene entrare su tutti gli aspetti del funzionamento orga-nizzativo, ma limitarsi solo a questioni di notevole rilevanza lasciandopoi a successivi “momenti regolativi” il compito di definire più in det-taglio le soluzioni.

Ancora, vi sono contesti nei quali il mancato accordo su tutti gliaspetti da regolare spinge inevitabilmente verso la definizione di rego-le lasche che lasciano aperte differenti opzioni interpretative. Questosi verifica tipicamente nelle regole che vengono definite in contesti diforte divergenza tra gli interessi in campo (ad esempio: alcune situa-zioni di contrattazione collettiva di lavoro), dove il negoziato sulleregole spinge spesso gli attori del negoziato ad evitare formulazionitroppo rigide.

LE REGOLE NELLE ORGANIZZAZIONI 31

Nell’attuale contesto delle amministrazioni pubbliche, il manager delle regole deve spesso affrontare problemi di semplificazione normativa ereditati dal passatoStoricamente, il problema che molte organizzazioni pubbliche speri-mentano è quello di una eccessiva produzione normativa, spesso stra-tificata, con norme successive che si aggiungono a norme precedenti,a comporre un quadro di notevole complessità. Molta di questa com-plessità normativa interna è indotta anche dall’esterno, e in particola-re dalle continue sollecitazioni a “regolare” o a modificare regolepreesistenti che provengono dalle leggi e dai contratti nazionali dilavoro.

L’ottica del management delle regole implica anche la necessità diintervenire su situazione di eccessiva complessità normativa, conazioni di semplificazione e di deregulation.

A questo proposito, la questione che si pone è quella di individua-re altri strumenti di guida delle organizzazioni pubbliche, diversidalle regole.

In generale, occorre “contrastare” un certo atteggiamento chespinge a regolare tutto, a non lasciare nulla fuori dal raggio d’in-fluenza dello strumento regolamentare, a prevedere tutto il possi-bile, con relative prescrizioni. Questo atteggiamento deriva ancheda una domanda di regole che proviene dagli stessi soggetti titola-ri del potere decisionale, i quali, non essendo abituati a situazionidi “rischio decisionale”, preferiscono cercare riparo nelle regole,chiedendo formulazioni esaurienti e complete, senza vuoti nor-mativi.

Invece, occorre prestare maggiore attenzione alle alternative alleregole. Ad esempio, agli indirizzi e alle direttive, alle comunicazionipiù o meno formalizzate, ai piani ed agli obiettivi di gestione, alladirezione giorno per giorno con modalità dirette o informali.

1.4 La mappa delle regole nelle organizzazioni pubbliche:le caratteristiche generali dei principali ambiti di produzione delle regole

Le regole che influenzano l’attività organizzativa di un ente sonodiverse e di varia natura, ogni strumento agisce secondo proprie logi-che operative ed ha proprie finalità che non possono essere distorte oconfuse pena la creazione di cattive regole di organizzazione. Nel loroinsieme le regole di organizzazione sviluppate con i diversi strumentisvolgono un ruolo sinergico e complementare per creare un assettoorganizzativo – dato da struttura organizzativa, sistemi operativi ecultura organizzativa – che sia efficace e dia all’istituzione i necessaristimoli per sapersi innovare costantemente (vedi fig. 5).

32 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

Le diverse regole di organizzazione potrebbero essere classificate equindi anche analizzate secondo diverse tassonomie, quali:• le fonti di legittimazione;• le modalità di loro formazione e definizione;• il grado di generalità e di astrazione;• i contenuti trattati.

Seguendo un criterio di analisi empirica in questa sede procedia-mo ad elencare i diversi “contesti di produzione di regole” e descri-verne le caratteristiche principali seguendo la tassonomia sopraesposta.

Statuto, ordinamenti e regolamentiLa prima tipologia di regole è quella che deriva dalla legge attraversoun processo di delega legislativa alle singole istituzioni in virtù dellaloro autonomia statutaria e regolamentare.

Si tratta quindi di regole che hanno una legittimazione giuridica,derivano da una fonte esterna che consente di produrle “unilateral-mente” e “autoritativamente”, al di fuori di momenti formalizzati dinegoziazione.

Sono regole di carattere costitutivo, trattano cioè degli elementifondamentali e dei principi dell’organizzazione, hanno una fortevalenza istituzionale ed una forte incidenza sulla “cultura organizzati-va” (o quanto meno sulle prassi) dell’amministrazione.

Di solito, il processo di decisione delle regole, in questo ambito,segue procedure di tipo democratico. Esse sono infatti deliberate a

Figura 5

CULTURAORGANIZZATIVA

STRUTTURAORGANIZZATIVA

(MICRO E MACRO)

SISTEMIOPERATIVI

ASSETTO ORGANIZZATIVO INNOVATIVO E DI SVILUPPO

REGOLED ’ORGANIZZAZIONE

LE REGOLE NELLE ORGANIZZAZIONI 33

maggioranza all’interno di assemblee elettive (consigli comunali oprovinciali) o di organismi politici di governo (come la giunta deglienti locali).

Le regole di questo tipo hanno, di solito, un grado di generalitàmolto elevato (soprattutto, nel caso dello statuto e dei regolamenti diorganizzazione). Trattano aspetti molto generali del funzionamentodell’istituzione o dell’organizzazione e per lo più sono rivolte alla fis-sazione di valori di riferimento, principi generali, procedure fonda-mentali di funzionamento, individuazione di ruoli politici di governoo di ruoli direzionali.

Possono, in taluni casi, avere anche contenuti più specifici e pre-scrittivi, come avviene, per esempio, con le regole che disciplinano iconcorsi pubblici, i contratti e il sistema contabile dell’ente.

Regolamenti del datore di lavoro pubblicoIn questo ambito, le regole sono finalizzate soprattutto a disciplina-re alcuni aspetti della vita dell’organizzazione, ma con un’otticagestionale. Esse sono assunte dai responsabili dalla gestione, con lacapacità e i poteri del privato datore di lavoro, ovvero con la stessalegittimazione (e conseguente riferimento alle medesime fonti giuri-diche) che permettono ad esempio, al capo dell’impresa o ai diri-genti privati, di stabilire regole interne di funzionamento per le pro-prie organizzazioni.

Anche queste regole, come i contratti di lavoro che vedremo trabreve, sono la conseguenza del processo di riforma (in senso privati-stico) che ha investito le regole del lavoro alle dipendenze delle ammi-nistrazioni pubbliche.

Vi sono compresi, ad esempio, i regolamenti sull’orario di lavo-ro, alcune regole sulla disciplina del part-time, le regole per disci-plinare la mobilità interna del personale o, ancora, gli aspetti didettaglio della disciplina delle missioni, non regolati dai contrattidi lavoro ecc.

Di solito, nell’assunzione di questi regolamenti, il datore di lavoropubblico è vincolato a confrontarsi preventivamente con i sindacati,all’interno di momenti non negoziali (o, almeno, formalmente confi-gurati come tali), i quali sono previsti e regolati dai contratti colletti-vi nazionali. Nei contratti pubblici, questi momenti di incontro pre-ventivo, prendono il nome di “concertazione” o “consultazione”.

Le regole prodotte in questo ambito hanno, di solito, contenutipiù specifici, un carattere di maggior dettaglio e di maggiore pre-scrittività.

Contratti collettivi di lavoro stipulati nella sede localeI contratti di lavoro, all’interno di un assetto giuridico come quelloattuale caratterizzato da una piena contrattualizzazione del rapportodi lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, assumonoconnotati peculiari per le modalità di loro formazione, vale a dire peril fatto di essere delle regole “necessariamente” negoziate.

34 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

Il loro contenuto, come noto, non concerne specificamente l’as-setto organizzativo ma gli aspetti fondamentali del rapporto di lavo-ro (retribuzione accessoria, incentivazione, progressioni economi-che ecc.), talché le regole, spesso molto specifiche, che essi defini-scono, hanno una fortissima valenza non solo operativa, ma ancheistituzionale, dando messaggi fondamentali a chi opera nell’ammi-nistrazione sulle modalità di intendere i principi di equità, merito,appartenenza ecc.

La fonte che legittima le amministrazioni a produrre regole inquesto particolare ambito è il contratto collettivo nazionale.Quest’ultimo stabilisce infatti:• materie rimesse a tale livello negoziale;• risorse finanziarie spendibili;• procedure da seguire e soggetti formalmente abilitati a trattare.

Si tratta quindi di un ambito di regolazione che deve riuscire agestire la incoerenza (tipica del sistema pubblico) tra:

• l’indeterminatezza tipica dei negoziati, in cui ciascuna parte agiscesecondo i propri interessi e in cui gli esiti negoziali sono determi-nati dai rapporti di forza tra le parti;

• la determinatezza e la rigidità che deriva dalle “regole esterne” alnegoziato, che impongono precisi limiti alla negoziabilità dellematerie, alle risorse, alle procedure ed ai soggetti “abilitati” atrattare.

Procedure di lavoro, mansionari e routine organizzativeQueste regole di organizzazione, al pari delle altre, hanno carattereformale, ma se ne differenziano sotto vari aspetti.

Innanzitutto, per i contenuti. Si tratta infatti di regole che riguar-dano un aspetto peculiare della vita organizzativa: il modo in cui ilavoratori devono svolgere i compiti loro assegnati o devono eseguiredeterminati lavori. In questo tipo di regole, è incorporata la cono-scenza accumulata dall’organizzazione per svolgere i lavori e risolverei problemi. Non è in primo piano, come nei contratti o nei regola-menti datoriali, l’esigenza di governare la relazione tra lavoratori eamministrazione, né quella di definire le basi istituzionali dell’orga-nizzazione (come nei regolamenti pubblicistici e nello statuto). Qui,invece, domina su tutto l’esigenza di standardizzazione dei comporta-menti organizzativi e di accumulazione della conoscenza. Esigenzache investe la relazione tra il lavoratore ed il suo lavoro.

La fonte di legittimazione è nei poteri del datore di lavoro,come, peraltro, nei regolamenti datoriali. Ma, a differenza di questiultimi, non sempre vi sono negoziati o momenti di confronto pre-ventivo con il sindacato. Accade, invece, che queste regole sianonegoziate con i singoli o con i gruppi, all’interno di una relazionedi tipo organizzativo (ad esempio, la relazione gerarchica capo-subordinato).

Si tratta, dunque, di regole con una valenza specificamente inter-na, le quali nascono, si legittimano e si sviluppano all’interno dell’or-

LE REGOLE NELLE ORGANIZZAZIONI 35

ganizzazione, come necessità del datore di lavoro, ovvero del manage-ment che cerca di individuare le migliori modalità per organizzare illavoro. Ma anche come necessità dei singoli, che hanno bisogno dipunti di riferimento e conoscenze per svolgere bene il loro lavoro.

La trattazione dei successivi due capitoli si soffermerà soprattuttosu due ambiti di produzione delle regole: i regolamenti di organizza-zione (capitolo 2) e i contratti collettivi di lavoro stipulati in sedelocale (capitolo 3). Si tratta infatti di momenti regolativi particolar-mente rilevanti all’interno di una pubblica amministrazione, chehanno impatti non trascurabili sul funzionamento organizzativo esulla efficacia complessiva della gestione.

Entrambi i temi saranno affrontati applicando le logiche delmanagement delle regole, discusse nel presente capitolo, con un’otticache privilegerà, quindi, l’analisi dei risvolti gestionali ed organizzativiconnessi all’utilizzo dei due strumenti.

Infine, l’ultimo capitolo affronterà un tema centrale, all’internodell’approccio prescelto da questo manuale: quello della comunica-zione efficace delle regole (capitolo 4).

Premessa

In questo capitolo viene affrontato il tema dei regolamenti sull’ordi-namento degli uffici e dei servizi, nell’ottica del management delleregole presentata nel capitolo 1.

La trattazione si soffermerà, ove necessario, anche sugli aspettigiuridici del regolamento, ma inserendoli all’interno di una prospetti-va più generale e, in ogni caso, non ponendo tali aspetti al centrodella trattazione.

Coerentemente con queste premesse, il regolamento viene quindiconcepito come strumento di supporto all’organizzazione, come “levagestionale” di cui dispone il manager, la cui messa in campo può ser-vire a favorire processi di cambiamento organizzativo o, più semplice-mente, ad introdurre elementi di chiarezza sui ruoli decisionali e sualcune procedure interne.

Naturalmente, anche in questo particolare ambito occorre porremolta attenzione agli aspetti di “ambivalenza” della regola già messi inevidenza nel primo capitolo; per esempio evitando che il regolamentopossa introdurre, esso stesso, elementi di confusione e di incertezza.Particolare attenzione va rivolta anche a tutte le azioni di supportonecessarie a favorire l’apprendimento delle regole e la loro efficacecomunicazione.

Nell’ottica del management delle regole, è importante chiedersi:“perché il regolamento?”

Cioè: al di là del fatto che esso rappresenta un adempimentoobbligatorio, cui tutti gli enti sono tenuti, quali sono le sue funzionidi organizzazione e in che senso esso può diventare uno strumentoefficace per organizzare?

Quest’analisi preliminare consente anche di cogliere, nella suadimensione più pragmatica, il valore dell’autonomia regolamentaredegli enti.

2. I regolamenti di organizzazione(ordinamento degli uffici e dei servizi)

36 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

I REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE 37I REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE 37

Possiamo enucleare almeno tre funzioni fondamentali svolte dalregolamento:• una funzione di individuazione delle strategie di fondo sul model-

lo organizzativo e sull’organizzazione1 (si veda il paragrafo 2.1);• una funzione di chiarificazione organizzativa2, attraverso la fissa-

zione di alcuni elementi di chiarezza e trasparenza (ad esempio:sulla struttura organizzativa, sui principali ruoli decisionali, sullecompetenze decisionali dei decisori) (si veda il paragrafo 2.2);

• una funzione di “completamento e integrazione” delle fonti nor-mative di ordine superiore (leggi, statuto, e contratti collettivinazionali), le quali spesso, utilizzando la cosiddetta “tecnica delrinvio”, rimandano allo strumento regolamentare la definizionedegli aspetti ulteriori o di dettaglio delle diverse discipline (si vedail paragrafo 2.3).

Quanto più il regolamento riesce a svolgere queste funzioni (e asvolgerle al meglio), tanto più esso può essere ritenuto strumentoefficace per organizzare. Inoltre, è necessario perseguire un obietti-vo generale di “consonanza” o “coerenza” tra le tre funzioni indivi-duate e tra le diverse parti del testo regolamentare, evitando peresempio che una certa strategia di fondo sull’organizzazione(magari enfaticamente dichiarata in premessa) sia poi contraddettadalle scelte sulla struttura organizzativa o sulla definizione dei ruolidecisionali.

Occorre inoltre evitare che il regolamento non travalichi gliambiti che gli sono propri, definendo regole che potrebbero, piùopportunamente, “entrare” in altri strumenti regolamentari o chepotrebbero sottrarre spazi alle decisioni del management. In questosenso, diventa importante stabilire con precisione l’ambito dei rego-lamenti sull’ordinamento degli uffici e servizi, chiarendo che cosadevono regolare e cosa, invece, è bene non inserire, per evitare uneccesso di regolazione (questo tema viene approfondito nel para-grafo 2.4).

2.1 Il regolamento come strumento per perseguire una strategia organizzativa e di gestione del personale

Nel regolamento di organizzazione deve essere possibile leggere – onelle enunciazioni di principio o, in “controluce”, nelle soluzioniadottate – una strategia di fondo sull’organizzazione.

Molti regolamenti dichiarano in premessa alcune finalità generalio “principi ispiratori” (box 1), sul modello di quanto avviene anche,talvolta, nella legislazione statale3.

Tali principi rappresentano la “missione” del regolamento e nondelineano ancora una vera e propria strategia, ma ne rappresentano,

1. Sul concetto di “strate-gia organizzativa e digestione delle risorseumane” vedi Rebora,Meneguzzo, 1990, pag.269.

2. Sul concetto di “chiari-ficazione organizzativa”,vedi Hay Management.

3. Ad esempio, il D.Lgs. n.165 del 2001, sull’ordina-mento del lavoro alledipendenze delle ammini-strazioni pubbliche,dichiara all’art. 1 le fina-lità generali perseguitedallo stesso decreto.

38 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

per così dire, la premessa. Essi sono comunque importanti perché ser-vono a richiamare l’attenzione sulle finalità che il regolamento deveperseguire.

Nelle premesse, i regolamenti dichiarano spesso anche alcuni cri-teri di organizzazione. Nell’esempio riportato nel box 2, alcuni deicriteri dichiarati aspirano a porsi, come reali elementi di guida e diindirizzo delle scelte regolamentari. Ad esempio, il punto e), che fariferimento alla semplificazione della catena di comando, al tenden-ziale superamento della gerarchia ed al decentramento delle decisio-ni secondo i principi della direzione per obiettivi; o il punto f), checontiene un esplicito richiamo all’esigenza che le decisioni, riservatealla dirigenza con la capacità ed i poteri del privato datore di lavoro,siano caratterizzate da adeguati margini di autonomia; di seguito, ipunti l) e m) che pongono l’accento sulla necessità che l’ente si dotidi sistemi informativi a supporto delle decisioni e di sistemi di con-trolli interno (ivi compresi i controlli di qualità e sulla soddisfazio-ne dell’utenza).

Il modello organizzativo dell’ente ..., come definito dal presente regolamento, persegue in particolare le seguenti

finalità:

a. realizzare un assetto dei servizi funzionale alla attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti dagli organi

di direzione politica;

b. ottimizzare le prestazioni e i servizi nell’interesse dei cittadini amministrati;

c. realizzare la migliore utilizzazione e valorizzazione delle risorse umane;

d. incentivare l’autonomo e responsabile esercizio delle funzioni di responsabilità della dirigenza e delle posizioni

organizzative;

e. accrescere l’efficienza e la qualità dell’organizzazione e la sua capacità di rispondere alle esigenze e ai bisogni

della comunità amministrata;

f. assicurare la economicità, la speditezza e la rispondenza al pubblico interesse dell’azione amministrativa;

g. accrescere la capacità di innovazione e la competitività dell’organizzazione anche al fine di favorire l’integra-

zione con altre pubbliche istituzioni.

Box 1 Finalità

Oltre l’enunciazione di finalità generali (missione) e di criterigenerali di organizzazione (vision), i regolamenti di organizzazionedovrebbero anche delineare le scelte di fondo sull’organizzazione esulla gestione del personale (strategia organizzativa e di gestione delpersonale). In particolare, sugli ambiti di seguito indicati:• sulla struttura organizzativa;• sulla funzione direzionale e l’esercizio della leadership (sia politica

che gestionale);• sui meccanismi operativi;• sullo sviluppo delle risorse umane.

Su ciascuno di questi quattro ambiti, il regolamento dovrebbeporsi nel ruolo di strumento guida delle scelte future, delineando per-corsi e prospettando nuovi scenari organizzativi.

L’ente è organizzato secondo i seguenti criteri:

a. attuazione del principio della distinzione tra responsabilità politiche, di indirizzo e controllo degli organi di

direzione politica e responsabilità gestionali della dirigenza;

b. valorizzazione prioritaria delle funzioni di programmazione, coordinamento, indirizzo e controllo;

c. funzionalità rispetto ai programmi ed agli obiettivi, secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità; a tal

fine, periodicamente e comunque all’atto della definizione dei programmi di gestione e dell’assegnazione delle

risorse, si procede a specifica verifica e ad eventuale revisione dell’assetto organizzativo;

d. articolazione delle strutture per funzioni omogenee, distinguendo tra strutture permanenti e strutture tempo-

ranee, nonché tra strutture di line e strutture orizzontali;

e. semplificazione delle catene di comando, tendenziale superamento della gerarchia e decentramento delle deci-

sioni, secondo i principi della direzione per obiettivi;

f. ampia adattabilità alle dinamiche dell’ambiente di riferimento, assicurando un adeguato margine alle decisioni

da assumersi con le capacità e i poteri del privato datore di lavoro, secondo la disciplina dell’art. ..., comma ...;

g. collegamenti orizzontali, attraverso contatti diretti, sistemi informativi interfunzionali, comitati temporanei,

ruoli di integrazione, team di progetto;

h. garanzia di trasparenza e di imparzialità, anche attraverso la istituzione di apposite strutture per l’informazio-

ne ai cittadini e, per ciascun procedimento, attribuzione ad un’unica struttura della responsabilità complessiva

dello stesso, nel rispetto della legge n. 241/1990;

i. armonizzazione degli orari di servizio e di apertura degli uffici al pubblico con le esigenze dell’utenza e con gli

orari delle amministrazioni pubbliche dei paesi della Unione Europea;

j. responsabilità e collaborazione di tutto il personale per il risultato dell’attività lavorativa, anche attraverso il

coinvolgimento, la motivazione e l’arricchimento dei ruoli;

k. formazione continua del personale e sviluppo delle competenze e delle conoscenze necessarie nei diversi ruoli

organizzativi;

l. sviluppo dei sistemi informativi a supporto delle decisioni;

m. previsione di controlli interni, della qualità, della soddisfazione dell’utenza, dell’efficienza e della economicità.

Box 2 Criteri di organizzazione

I REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE 39

40 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

La struttura organizzativa dell’ente … si articola in:

a. strutture permanenti, che assicurano l’esercizio di funzioni e attività di carattere istituzionale e/o continuativo;

b. strutture temporanee, connesse alla realizzazione di programmi o progetti a termine, anche di particolare rile-

vanza strategica, ovvero allo svolgimento, per periodi definiti, di funzioni di integrazione tra più strutture.

L’ente è organizzato secondo i seguenti criteri.

Box 3 Articolazione di base dello schema organizzativo

Struttura organizzativaIn questo ambito, il regolamento dovrebbe fare una scelta sul tipodi assetto organizzativo dell’ente. I punti da sviluppare sonosoprattutto i seguenti:• quale articolazione di base deve avere lo schema organizzativo

(box 3);• quale tipologia di schema organizzativo viene adottato (diparti-

mentale, funzionale ecc.) e quali tipologie strutturali “stabili” sonopreviste nell’organigramma (box 4);

• la funzione di direzione generale (box 5);• le strutture di integrazione e di staff (box 6);• le altre strutture di particolare rilievo (ad esempio: strutture di

supporto agli organi politici) o strategiche (box 7);• le strutture temporanee (box 8).

Attraverso il regolamento, occorre quindi delineare una sorta di“organigramma tipo dell’ente” (non i suoi contenuti, che inveceattengono a decisioni successive) (vedi fig.1), la cui articolazione deveriflettere una chiara strategia organizzativa.

In molti casi, questa strategia organizzativa si pone come “scelta dicambiamento e di rottura” rispetto ad un assetto precedente. Ed è evi-dente che, in tali casi, il regolamento sull’ordinamento degli uffici edei servizi diviene il “tassello” di un percorso decisionale molto piùarticolato e complesso, che si pone l’obiettivo di un cambiamentoorganizzativo profondo. Diviene fondamentale, in tali casi, costruireintorno al regolamento, ed al disegno organizzativo che ne è alla base,il necessario grado di consenso politico e di partecipazione (del per-sonale, dell’utenza e dei sindacati).

I REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE 41

Le strutture organizzative permanenti di cui all’art. …, comma …, lett. a) sono:

a. il dipartimento;

b. il settore;

c. il servizio;

d. le unità orizzontali di livello dirigenziale;

e. le unità orizzontali di livello non dirigenziale.

Il dipartimento è la struttura organizzativa di maggiore rilevanza, costituita per garantire il governo di aree omo-

genee di funzioni provinciali. Il dipartimento è punto di riferimento per la gestione delle politiche, per le attività

di pianificazione e controllo strategico, per le politiche finanziarie, di organizzazione e gestione del personale, per

i rapporti tra organi di governo e dirigenza. Il dipartimento è affidato alla responsabilità di un dirigente, secondo

la disciplina dell’art. …

Il settore è una unità organizzativa di notevole rilevanza e complessità individuata nell’ambito del dipartimento,

per garantire la gestione di un insieme ampio ed omogeneo di servizi o processi amministrativo-produttivi. Il set-

tore è il punto di riferimento per le innovazioni organizzative, di servizio, di prodotto e di processo, nonché per la

programmazione ed il controllo della gestione. Il settore è affidato alla responsabilità di un dirigente, secondo la

disciplina dell’art. …

Il servizio è una unità organizzativa complessa, specializzata nella gestione integrata – secondo criteri di efficacia e

di economicità – di servizi o processi amministrativo-produttivi interdipendenti. Il servizio è il punto di riferi-

mento per la micro-organizzazione, per la programmazione operativa, per i controlli di efficienza e di qualità su

specifici processi. Il servizio costituisce articolazione sia del dipartimento, sia del settore, sia della direzione gene-

rale. Il servizio è caratterizzato da elevata responsabilità di prodotto e di risultato e corrisponde alla “posizione

organizzativa” disciplinata dal contratto collettivo di lavoro. Il servizio è affidato alla responsabilità di un dipen-

dente classificato nella categoria D, secondo la disciplina dell’art. …

Box 4 Schema organizzativo e tipologie strutturali presenti nell’organigramma

La direzione unitaria dell’assetto organizzativo dell’ente … è assicurata dal direttore generale che sovrintende al

funzionamento complessivo dell’ente, perseguendo livelli ottimali di efficacia, di efficienza e di economicità di

gestione, anche attraverso la adozione di specifiche direttive. Le strutture di livello dirigenziale rispondono al

direttore generale della gestione svolta, degli obiettivi assegnati e dei risultati conseguiti.

Box 5 Funzione di direzione generale

42 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

Le unità orizzontali di livello dirigenziale sono costituite, con equiparazione al settore, per soddisfare esigenze

organizzative di integrazione permanente tra diverse strutture (unità di integrazione), quali ad esempio la gestio-

ne di processi orizzontali richiedenti l’apporto congiunto e coordinato di più strutture, nonché esigenze di sup-

porto professionale altamente qualificato al servizio di una o più strutture (unità di staff). Esse corrispondono a

posizioni individuali con autonomia e responsabilità dirigenziali che riportano al direttore di dipartimento o al

direttore generale.

Le unità orizzontali di livello non dirigenziale sono costituite, con equiparazione al servizio, per le stesse finalità

delle unità di cui al comma … in situazioni organizzative caratterizzate da minore complessità e problematicità.

Esse corrispondono a posizioni individuali ad elevata autonomia di risultato che riportano al dirigente di settore,

al direttore di dipartimento o al direttore generale.

Box 6 Eventuali strutture di integrazione e di staff

A. UFFICIO DI GABINETTO

Il sindaco (o il presidente) dell’ente si avvale di un “ufficio di gabinetto” per l’assolvimento dei propri compiti

istituzionali.

L’ufficio di gabinetto, oltre ai compiti specifici assegnati dal sindaco (o dal presidente), provvede, tra l’altro, all’e-

spletamento di compiti di raccordo politico-amministrativo tra gli organi si direzione politica e le strutture del-

l’ente nonché con il consiglio comunale (o provinciale); intrattiene rapporti, a prevalente contenuto politico, con

i rappresentanti di organismi, locali, nazionali e internazionali nonché con le formazioni sociali e le comunità

locali; cura l’istruttoria relativa alle nomine di competenza della provincia.

Il sindaco (o il presidente) può avvalersi, per lo svolgimento delle funzioni di supporto dell’ufficio di gabinetto, di

qualificate professionalità esterne. Gli incarichi sono deliberati dalla giunta, su proposta del sindaco (o del presi-

dente), e sono disciplinati da una specifica convenzione che ne definisce i contenuti, gli obiettivi, i compensi e la

durata che non può eccedere la permanenza in carica del presidente.

Il capo di gabinetto può essere scelto tra i dirigenti a tempo indeterminato in servizio presso l’ente oppure tra

personale esterno o interno in possesso di comprovati requisiti professionali adeguati al ruolo da svolgere secon-

do la disciplina dell’art. …

L’assunzione di personale interno o esterno per la direzione dell’ufficio di gabinetto è proposta dal sindaco (o dal

presidente) ed il relativo rapporto di lavoro è disciplinato da un contratto a tempo determinato di durata non

superiore a quella del mandato amministrativo e che, in ogni caso, si risolve con la cessazione dell’incarico del

presidente. Il trattamento economico è definito con le modalità indicate nell’art. …

Box 7 Eventuali strutture di particolare rilievo o strategiche

I REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE 43

La giunta definisce, su proposta del sindaco (o del presidente), la dotazione di risorse umane dell’ufficio di gabi-

netto, per la cui disciplina si applica l’art. …, nonché la dotazione di risorse finanziarie.

B. STRUTTURA DEDICATA AL CONTROLLO DI GESTIONE

In coerenza con le finalità e modalità individuate dall’articolo 147 comma 1 e dal titolo III capo IV del D.Lgs. n.

267/2000, il controllo di gestione è finalizzato a verificare il grado di conseguimento degli obiettivi di gestione

individuati nel piano esecutivo di gestione e nel piano dettagliato degli obiettivi attraverso idonee tecniche di rile-

vazione dei risultati, nonché a valutare il rapporto tra costi sostenuti e risultati conseguiti mediante l’utilizzazione

di indici e misure di efficienza ed economicità. La rilevazione dei risultati conseguiti è basata anche su standard di

qualità o su analisi del livello di soddisfazione dell’utenza.

L’ufficio del controllo di gestione, di seguito denominato ufficio, strutturalmente e funzionalmente incardinato

nell’ambito della direzione generale, è responsabile della progettazione e della attuazione del controllo di gestione.

L’ufficio si configura come una struttura tecnica, la cui azione è ispirata ai metodi propri dell’economia aziendale

e del management pubblico. La sua missione consiste nel fornire informazioni rilevanti, tempestive e di qualità a

supporto dell’attività di direzione, anche attraverso l’utilizzo delle moderne tecnologie di rete. L’ufficio collabora

con i dirigenti destinatari delle informazioni prodotte, con la struttura dedicata alla contabilità economica ed

analitica, con il nucleo di valutazione e con il collegio dei revisori.

L’ufficio assiste il direttore generale e i dirigenti nell’elaborazione del piano esecutivo di gestione e del piano det-

tagliato degli obiettivi.

L’ufficio predispone rapporti periodici sullo stato di attuazione degli obiettivi e sui complessivi andamenti gestio-

nali e, entro il mese di febbraio di ciascun anno, il rapporto consuntivo del controllo di gestione. Le stesse infor-

mazioni sono inoltre rese disponibili e costantemente aggiornate attraverso la rete interna.

Le strutture organizzative temporanee sono unità organizzative istituite:

a. per la elaborazione, attuazione e monitoraggio di programmi, progetti o obiettivi di interesse provinciale

caratterizzati da innovatività, strategicità e temporaneità (unità di progetto);

b. per la integrazione temporanea di differenti strutture attorno a progetti o processi interfunzionali richiedenti

apporti congiunti e coordinati (unità di integrazione temporanea);

c. per esigenze temporanee di supporto professionale o specialistico al servizio di una o più strutture (unità di

staff temporanea).

Box 8 Strutture temporanee

44 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

Funzione direzionaleUn altro ambito dove deve delinearsi la strategia organizzativaperseguita dall’ente è quello delle regole che riguardano la fun-zione direzionale e l’esercizio della leadership (sia politica chegestionale).

Al regolamento spetta di “allocare” i poteri decisionali tra le diver-se figure di decisori presenti all’interno dell’ente. Quindi, l’eserciziodella leadership, sia politica che gestionale, i rapporti che si stabilisco-no tra i diversi decisori, il peso assunto dai diversi ruoli decisionali èsensibilmente influenzato dal regolamento, pur nell’ambito delledisposizioni legislative entro le quali si esercita l’autonomia regola-mentare.

Andando con ordine, si può affermare che il regolamento ha unimpatto molto significativo su almeno tre questioni, tutte di indubbiorilievo strategico:• la distinzione tra funzione politica e funzione gestionale;• l’assetto generale dei poteri di direzione, attraverso la previsione

dei diversi ruoli di direzione e di eventuali organismi di coordina-mento e partecipazione alle scelte;

• le relazioni tra i dirigenti ed i responsabili, lungo la catena dicomando dell’ente.

Figura 1 Schema organizzativo dell’ente definito nel regolamento

DIREZIONE GENERALE

DipartimentoDipartimento Dipartimento

STAFF UFFICIOCdG

SettoreSettore

SERVIZIOSERVIZIO

I REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE 45

Conviene soffermarsi separatamente sulle tre questioni e mostrarecome le strategie adottate su ciascuna di esse possano tradursi in coe-renti scelte regolamentari.

Riguardo ai rapporti tra funzione politica e funzione gestionale,bisogna ricordare che tutta la legislazione degli ultimi anni in materiadi organizzazione delle pubbliche amministrazioni4 ha posto al centrodell’attenzione l’esigenza di una chiara distinzione tra ruoli politici eruoli gestionali. I regolamenti sono chiamati a sviluppare questoprincipio, definendo la cornice di regole interne entro la quale i dueruoli ricordati possano “coesistere” e “collaborare” in modo efficace evirtuoso.

Si tratta di una problematica che attiene non solo alla specificazio-ne del contenuto della funzione di direzione politica e di direzionegestionale (contenuto già chiaramente delineato dalle leggi di riferi-mento), ma anche alla definizione dei più specifici poteri (e dei relati-vi strumenti) che consentano a politici e dirigenti, ciascuno nel pro-prio ambito, di esercitare nel modo più efficace il proprio ruolo5.

Il modo in cui il regolamento affronta tale problema è rivelatoredi una strategia di fondo. Vi sono infatti regolamenti che si preoccu-pano di rendere efficace e concreto il principio della distinzione deiruoli politici e ruoli direzionali ed altri in cui tale preoccupazione èmeno presente e resta, per lo più, a livello di affermazioni di princi-pio.

Nei regolamenti si trovano spesso affermazioni di principio moltogenerali sulla esigenza di attuare una distinzione tra ruoli politici eruoli gestionali e sulla connessa esigenza che le relazioni tra questiultimi siano basate sul principio della direzione e non su quellogerarchico (vedi box 9).

4. Cfr. il D.Lgs. n.165/2001.

5. Il problema della rela-zione politici-dirigenti nelregolamento non vaaffrontato con l’idea che sitratti di due poteri incompetizione, in una spe-cie di “gioco a sommazero”, per cui occorre limi-tare l’uno a vantaggio del-l’altro. L’idea alternativa èche invece si tratti di duediverse funzioni, tra lequali devono stabilirsiintense relazioni, ciascunadelle quali deve operarenell’ambito e con gli stru-menti che le sono piùpropri. La realtà di moltienti mostra, in verità,situazioni nelle quali sia ilpotere dei politici sia ilpotere dei dirigenti apparelimitato da fattori struttu-rali e non riesce ad eserci-tarsi pienamente e nelmodo più funzionale allosviluppo organizzativo.

L’ente è organizzato secondo i seguenti criteri:

a. attuazione del principio della distinzione tra responsabilità politiche, di indirizzo e controllo degli organi di

direzione politica e responsabilità gestionali della dirigenza;

b. …

In armonia con i principi generali che ispirano la legislazione di riforma della organizzazione delle pubbliche

amministrazioni, il modello organizzativo dell’ente assume a canone fondamentale il principio di direzione in

sostituzione di quello gerarchico per riqualificare il rapporto tra gli organi di direzione politica e la dirigenza.

Box 9 Relazioni politici-dirigenti

46 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

Tali enunciazioni di principio devono poi trovare attuazione inregole più specifiche, che vadano a definire, in concreto:• attraverso quali strumenti e percorsi si attua il principio della

direzione in sostituzione di quello gerarchico;• in quali ambiti, con quali contenuti e strumenti, politici e dirigen-

ti, ciascuno nella propria sfera, esercitano i rispettivi poteri.

Attuare la sostituzione del modello gerarchico con quello di dire-zione, nelle relazioni tra politici e dirigenti, significa in concretointrodurre un processo decisionale nel quale (vedi box 10):• i politici svolgono funzioni di indirizzo e programmazione;• i dirigenti si occupano della gestione, nell’ambito degli indirizzi e

degli obiettivi ricevuti;• i politici, infine, esercitano il controllo sui risultati conseguiti.

Al regolamento compete anche l’individuazione degli ambiti incui si esercita, nello specifico, il potere degli organi politici e dei diri-genti, nonché degli strumenti che rendono concreto ed effettivo taleesercizio.

Per esempio, il regolamento potrebbe porre, in capo all’organopolitico, un generale potere di direttiva, all’indirizzo dei dirigenti(vedi box 11), ma anche individuare i più specifici ambiti decisionalie strumenti riservati alla funzione di direzione politica (vedi box 12).

Il regolamento deve anche chiarire l’ambito e le modalità in cui siesercita il potere dei dirigenti. Questa area di contenuti è particolar-mente importante perché, in generale, si osserva un grosso ritardodegli enti nell’affermazione di una moderna cultura della direzione.

Il problema della chiara definizione degli spazi di gestione delladirigenza va affrontato dando coerente attuazione ad alcuni principiche sono già enunciati nelle fonti legislative. Può assumere valorestrategico, ad esempio, dare evidenza e concreta specificazione alpotere di organizzazione della dirigenza sancito dall’art. … del D.Lgs.n. 165 del 2001 (vedi box 13).

I REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE 47

Le relazioni tra gli organi di direzione e politica e la dirigenza vengono regolate mediante l’utilizzo dello strumen-

to della direttiva di indirizzo politico.

La direttiva di indirizzo politico ha per oggetto la indicazione delle scale di priorità, degli obiettivi gestionali e dei

criteri guida per la direzione. I soggetti destinatari della direttiva di indirizzo politico, nell’ambito della propria

autonomia gestionale, come definita dal presente regolamento, individuano i mezzi, gli strumenti e i percorsi rite-

nuti più utili per il conseguimento degli obiettivi assegnati assumendo le conseguenti responsabilità di risultato

Box 11 La direttiva di indirizzo politico

Nel rispetto delle scelte e delle linee di indirizzo formulate dagli strumenti di programmazione e di bilancio di

competenza del consiglio e per il perseguimento delle finalità di cui all’art. ..., comma …, compete alla giunta:

a. la definizione, attraverso il piano esecutivo di gestione, degli obiettivi generali dell’azione di governo, delle

politiche da perseguire e dei risultati da raggiungere nelle varie aree di intervento nonché dei relativi vincoli di

tempo e di costo;

b. la individuazione delle risorse umane, materiali ed economico-finanziarie, nell’ambito dello stesso piano ese-

cutivo di gestione;

c. la emanazione di direttive di indirizzo e programmazione, anche in corso d’anno ad integrazione ed ulteriore

specificazione del piano esecutivo di gestione, ai sensi dell’art. 5, comma 3 e dell’art. 11;

d. la verifica della rispondenza dell’attività gestionale e dei risultati conseguiti agli obiettivi e agli indirizzi stabiliti;

e. la formulazione dei criteri per la concessione di sovvenzioni, contributi ed altri ausili finanziari nonché per la

determinazione di tariffe, canoni e rette e per il rilascio di autorizzazioni, licenze ed altri analoghi provvedimenti;

f. la cura dei rapporti esterni ai vari livelli istituzionali, ferme restando le competenze proprie della dirigenza;

Box 12 Specificazione della funzione di indirizzo politico

Il modello della direzione, assunto come guida dal presente regolamento, si sviluppa secondo il seguente percorso:

a. gli organi di direzione politica definiscono, attraverso propri momenti decisionali e di indirizzo, la program-

mazione delle attività, la individuazione degli obiettivi e la determinazione delle scale di priorità;

b. la dirigenza, mediante la adozione di autonome decisioni sia di contenuto pubblicistico che di natura privati-

stica, organizza le risorse disponibili per il conseguimento degli obiettivi assegnati nel rispetto delle direttive di

indirizzo e programmazione ricevute;

c. gli organi di direzione politica accertano e apprezzano i risultati conseguiti dalla dirigenza e assumono le conseguenti

decisioni secondo la disciplina del presente regolamento e delle previsioni in materia dei contratti collettivi di lavoro.

Box 10 Il modello della direzione nel rapporto politici-dirigenti

48 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

g. la formulazione di indirizzi e linee guida per la organizzazione interna dei dipartimenti e, in particolare, per la

istituzione delle eventuali strutture decentrate sul territorio;

h. la emanazione o la sottoscrizione di atti generali originati dai rapporti tenuti, nell’ambito dei poteri di rappre-

sentanza della provincia, con soggetti pubblici e privati, organizzazioni di categoria e sindacati;

i. la stipula, con i soggetti e organismi di cui alla lett. h), di specifici contratti, convenzioni, accordi, intese che si

ritengano di rilevante interesse pubblico;

j. la formulazione delle proposte al consiglio provinciale;

k. le altre attribuzioni espressamente previste dalle leggi e dal presente regolamento;

l. la determinazione della composizione della delegazione di parte pubblica per la contrattazione decentrata

integrativa e la nomina del presidente e dei componenti;

m. la graduazione delle posizioni di direttore di dipartimento.

Il sindaco, nel quadro del programma amministrativo e degli obiettivi e degli indirizzi generali approvati dalla

giunta provinciale, attribuisce gli incarichi dirigenziali, emana le direttive e gli indirizzi di sua competenza secon-

do le previsioni del presente regolamento, provvede alle nomine, designazioni ed altri atti analoghi che gli sono

attribuiti da specifiche disposizioni.

Gli assessori, nell’esercizio delle funzioni di titolarità politica e di rappresentanza istituzionale e sulla base delle

determinazioni della giunta provinciale, promuovono l’attività delle strutture organizzative che svolgono compiti

attinenti alle materie ad essi rispettivamente delegate e le indirizzano al perseguimento degli obiettivi prefissati.

Spetta, in ogni caso, alla giunta di adottare, anche su proposta del direttore generale, tutti i provvedimenti neces-

sari per assicurare ad ogni dipartimento le condizioni organizzative idonee per il conseguimento degli obiettivi e

per la realizzazione dei programmi prefissati.

La giunta non può revocare, riformare, riservare a sé o altrimenti adottare provvedimenti o atti di competenza dei

dirigenti. In caso di inerzia o ritardo, il direttore generale può fissare un termine perentorio entro il quale il diri-

gente deve adottare gli atti o i provvedimenti. Qualora l’inerzia permanga, o in caso di grave inosservanza delle

direttive di indirizzo e programmazione da parte del competente dirigente, il direttore generale può nominare,

salvi i casi di urgenza, previa contestazione, un altro dirigente quale commissario ad acta, per l’adozione dell’atto

o del provvedimento. Qualora ciò non sia possibile, può provvedervi direttamente.

I REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE 49

La regola riportata nel box 13 non si limita a riaffermare una pre-visione normativa, ma contiene importanti specificazioni.

Innanzitutto, introduce un criterio concreto ed operativo perseparare le decisioni cosiddette di “alta organizzazione”, che competo-no all’organo politico, dalle decisioni di organizzazione che invecerientrano nei poteri gestionali della dirigenza. Anche in questo caso ladistinzione si ritrova già nella fonte legislativa6, ma senza che siaenunciato un criterio specifico (né poteva essere altrimenti, poiché sitratta di fonte dal contenuto generale applicabile a tutte le pubblicheamministrazioni). Ciascun regolamento dovrà (e potrà) tradurre taleprincipio generale in un criterio valido per il proprio contesto di rife-rimento. Ad esempio, nel caso della regola qui all’esame, si sancisceche tutte le decisioni relative all’organizzazione interna dei diparti-

6. Vedi art. 5, comma 2 delD.Lgs. n. 165/2001.

Nell’ambito della disciplina definita ai sensi dell’art. … comma …, le decisioni relative alla organizzazione interna

dei dipartimenti ed alla articolazione della dotazione organica ai sensi dell’art. …, comma …, nonché le misure

inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro, sono assunte, con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro,

dai dirigenti competenti secondo il presente regolamento, in relazione alla tipologia specifica degli interventi da

porre in essere.

Gli atti di organizzazione e di gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro possono assumere la

forma di:

a. “regolamenti interni”, rivolti alla formulazione delle discipline, delle procedure e dei criteri necessari per l’ap-

plicazione di specifici istituti, espressamente demandati dai contratti collettivi di lavoro alla autonoma deter-

minazione dei singoli enti, nel rispetto delle prescritte relazioni sindacali; la competenza in materia è affidata

al direttore generale;

b. “direttive gestionali”, di competenza dei singoli dirigenti di settore per gli aspetti che riguardano l’organizza-

zione delle relative strutture, nonché dei direttori di dipartimento e del direttore generale, per gli aspetti che

riguardano le strutture affidate alla loro diretta responsabilità;

c. “contratti individuali di lavoro”, di competenza del dirigente responsabile della struttura competente in mate-

ria di personale e organizzazione;

d. “comunicazioni” che attengono alle decisioni relative alla gestione del rapporto di lavoro del personale per gli

aspetti ordinamentali ed economici, nel rispetto delle vigenti disposizioni legislative, regolamentari e contrat-

tuali; le predette comunicazioni sono di competenza dei singoli dirigenti di settore per gli aspetti che riguarda-

no la gestione delle relative strutture, nonché dei direttori di dipartimento e del direttore generale, per gli

aspetti che riguardano le strutture affidate alla loro diretta responsabilità.

Il nucleo di valutazione e i direttori di dipartimento, secondo le rispettive competenze valutative ai sensi dell’art. …,

verificano periodicamente la rispondenza delle determinazioni organizzative adottate secondo la disciplina del comma

1 ai principi indicati nell’art. …, comma … ed alle direttive di indirizzo politico, anche al fine di proporre l’adozione di

eventuali interventi correttivi e di fornire elementi di conoscenza per la valutazione delle prestazioni dirigenziali.

Box 13 Potere di organizzazione della dirigenza

50 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

7. Quanto sia importantequesto chiarimento lodimostra la realtà di moltienti, nei quali le decisionidi organizzazione e gestio-ne (dopo dieci anni dallariforma!) continuano adessere assunte con le stesseforme delle decisionicosiddette pubblicistiche(vedi, al riguardo, Aran,2003).

menti ed all’articolazione della dotazione organica (microstruttura)rientrino nell’area delle decisioni gestionali di organizzazione, dicompetenza dei dirigenti. Mentre, quelle relative alla struttura deidipartimenti ed alla dotazione organica complessiva (macrostruttura)vadano ricomprese nell’ambito delle decisioni politiche di organizza-zione. Questa regola introduce un elemento di chiarezza, ma assumeanche un “valore strategico” poiché intende dare contenuto e sostanzaalla funzione dirigenziale.

In secondo luogo, la regola riafferma la competenza dei dirigentisu tutte le misure inerenti alla gestione del rapporto di lavoro ericorda che le decisioni di organizzazione e gestione del rapporto dilavoro sono assunte con la capacità ed i poteri del privato datore dilavoro. Anche questo è un principio già sancito normativamente,ma che può assumere, nel contesto di un regolamento, un valorestrategico. Difatti il comma successivo indica e specifica quali sonoin concreto gli atti di diritto comune (di organizzazione e gestione)che il dirigente pubblico assume “come” un privato datore di lavoro.Anche qui viene operata una distinzione cruciale: tra le decisionidirigenziali di contenuto pubblicistico, assunte con le modalità e leforme del diritto amministrativo (ad esempio il rilascio di una con-cessione), e le decisioni dirigenziali di contenuto privatistico, assun-te con la capacità ed i poteri del privato datore di lavoro (quelle diorganizzazione e gestione, ad esempio la formalizzazione dellastruttura interna del dipartimento). È importante, nel contesto dellanorma in esame, la specifica che le decisioni di organizzazione egestione possono assumere la forma di “regolamenti di dirittocomune” oppure di semplici “comunicazioni”, assunte senza partico-lari formalità7.

In terzo luogo, la regola sul potere di organizzazione e gestione deidirigenti chiarisce molto opportunamente che il potere in questioneviene attribuito in generale ai dirigenti, ma dovranno essere altreregole successive a dire con chiarezza quali specifici poteri per qualipiù specifiche funzioni dirigenziali (“…dai dirigenti competentisecondo il presente regolamento, in relazione alla specifica tipologiadegli interventi posti in essere”). Questo è un tipico aspetto che attie-ne alla “funzione di chiarificazione organizzativa”, che sarà esaminatanel paragrafo successivo.

Infine, il regolamento si preoccupa, ancora una volta con otticastrategica, di fare in modo che l’esercizio dei poteri sia accompagnatodalle conseguenti responsabilità e avvenga in coerenza con il quadrod’insieme definito dallo stesso regolamento e dalle direttive di indiriz-zo politico (si veda il comma di chiusura).

Accanto ai poteri di organizzazione e gestione del personale, ilregolamento potrebbe anche definire (o riaffermare) il “potere di

I REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE 51

spesa” e il “potere di gestione tecnica ed amministrativa” della diri-genza8, i quali, insieme al “potere di organizzazione e gestione dellerisorse umane”, concorrono a definire “strategicamente” i contenutisostanziali della funzione dirigenziale (box 14 e box 15).

Veniamo ora alla seconda delle tre questioni poste inizialmente.Attraverso il regolamento, si tratta infatti di “dare forma” ad un asset-to generale dei poteri di direzione all’interno dell’ente.

Tale assetto, si costruisce intorno alle seguenti scelte:• il ruolo e la configurazione dei poteri del direttore generale sia in

relazione agli altri dirigenti, sia in relazioni ai politici;• presenza o meno di un doppio livello di direzione di struttura (ad

esempio direzione di area e direzione di settore);• nel caso del doppio livello di direzione, ruolo e potere dei dirigenti

di area rispetto ai dirigenti di settore.

8. Questo potere viene, tal-volta, disciplinato nel rego-lamento di contabilità.

Nell’ambito della direttive di indirizzo politico e dei budget di spesa assegnati e nel rispetto delle previsioni del

regolamento di contabilità, ai dirigenti competono autonomi poteri di spesa. L’esercizio di tali poteri, unitamente

a quelli di organizzazione e gestione disciplinati all’art. … ed a quelli di gestione tecnica ed amministrativa di cui

all’art. …, è direttamente finalizzato al conseguimento degli obiettivi assegnati.

Box 14 Potere di spesa della dirigenza

I dirigenti esercitano autonomi poteri di gestione tecnica ed amministrativa e sono competenti, nell’ambito delle

direttive di indirizzo politico ricevute, su tutti gli atti e provvedimenti amministrativi e su tutte le decisioni di

diritto privato, necessari ed opportuni per la realizzazione dei programmi e progetti di competenza e per il conse-

guimento degli obiettivi assegnati, fatti salvi gli atti e le decisioni espressamente riservate all’organo politico, sulla

base delle vigenti disposizioni di legge.

Box 15 Potere di gestione tecnica ed amministrativa della dirigenza

52 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

Il direttore generale provvede ad attuare gli indirizzi e gli obiettivi stabiliti dagli organi di governo dell’ente,

secondo le direttive impartite dal sindaco (o dal presidente della provincia), e sovrintende alla gestione dell’ente,

perseguendo livelli ottimali di efficacia ed efficienza. Al direttore generale sono affidate tra l’altro la direzione dei

sistemi di programmazione e controllo, nonché la direzione strategica del personale e dell’organizzazione, delle

politiche dei sistemi informativi e informatici, delle politiche di formazione del personale, delle politiche di

comunicazione ed informazione ai cittadini, delle politiche di qualità dei servizi.

Competono, in particolare, al direttore generale:

a. la supervisione sulla predisposizione della proposta di relazione previsionale e programmatica;

b. la predisposizione della proposta di piano esecutivo di gestione, attraverso il supporto alla giunta ed il coordi-

namento dei direttori di dipartimento;

c. la predisposizione e l’aggiornamento, nel corso dell’esercizio, del piano dettagliato degli obiettivi, attraverso la

esplicitazione, di obiettivi di dettaglio, tempi di realizzazione degli interventi e modalità attuative;

d. il controllo della gestione dei dipartimenti, verificando periodicamente lo stato di attuazione degli obiettivi;

e. i più ampi poteri di intervento, in caso di inerzia dei direttori di dipartimento, secondo la disciplina dell’art. 7,

comma 5;

f. la supervisione sulla predisposizione dei report del controllo di gestione e della relazione sullo stato di attua-

zione dei programmi;

g. la collaborazione con il sindaco (o presidente della provincia) alla definizione di progetti strategici;

h. la elaborazione del piano annuale della formazione, sentito il comitato di direzione;

i. la gestione della mobilità interna intersettoriale del personale e la assegnazione dei dipendenti ai dipartimenti

e all’ufficio della direzione generale;

j. la formulazione delle proposte di aggiornamento al regolamento degli uffici e servizi;

k. la elaborazione del programma triennale e annuale dei fabbisogni di personale, da sottoporre alla approvazio-

ne della giunta, sentito il comitato di direzione;

l. la supervisione delle relazioni sindacali e il coordinamento delle attività dei dirigenti di dipartimento per le

relazioni sindacali dipartimentali o settoriali, al fine di garantire la necessaria uniformità di comportamento;

m. la partecipazione al nucleo di valutazione;

n. la definizione, in collaborazione con i responsabili competenti, degli interventi necessari per migliorare la qua-

lità dei servizi;

o. la soluzione dei conflitti positivi e negativi di competenza tra dirigenti di settore;

p. le attribuzioni di direttore di dipartimento, di cui all’art. 22, nella gestione dell’ufficio di direzione generale;

q. i più ampi poteri di direttiva e supervisione relativamente alle materie sulle quali vengono svolte, ai sensi del

comma 1, funzioni di direzione strategica;

r. la individuazione dell’ufficio competente per i procedimenti disciplinari ai sensi dell’art. 55, comma 4 del

D.Lgs. n. 165/2001.

Al direttore generale rispondono, nell’esercizio delle funzioni loro assegnate, i dirigenti dell’ente, ad eccezione del

segretario della provincia. Il direttore generale risponde al sindaco (o presidente della provincia) dell’attuazione

degli obiettivi e dei programmi dell’ente.

Box 16 Ruolo e poteri del direttore generale

I REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE 53

• presenza o meno di eventuali organismi di coordinamento deidirigenti (intesi anche come momento di partecipazione dei diri-genti alle scelte politiche o alle scelte del direttore generale) e rela-tive funzioni;

• ruolo e funzioni delle posizioni organizzative e relazioni tra questeultime e i dirigenti.

Le scelte sull’assetto direzionale vanno naturalmente raccordatecon tutte le altre questioni affrontate dal regolamento e, in modo par-ticolare, con lo schema seguito per attuare la distinzione tra ruolipolitici e ruoli dirigenziali.

In concreto, un possibile modello da proporre, per un ente medio-grande, potrebbe vedere:• il direttore generale in un ruolo di cerniera “forte” tra politici e

dirigenti, con poteri assai penetranti e con notevoli ed importanti“opportunità” di influenzare le decisioni politiche, attraverso pro-poste e momenti di partecipazione nei confronti dell’organo poli-tico (si veda, nel box 16, un esempio di norma regolamentare chetraduce questa impostazione);

• direttori di dipartimento, in numero limitato, ma dotati di ampipoteri di direzione strategico-organizzativa dell’area e dei suoimacro-processi (si veda il box 17);

• dirigenti di settore con funzioni di direzione su ambiti più limita-ti, nominati dagli stessi dirigenti di area e da questi delegati agestire con ampi margini di autonomia, sulla base di una preventi-va assegnazione di obiettivi e risorse (box 18).

I direttori di dipartimento, nell’ambito dell’incarico conferito e di quanto stabilito dall’art. ..., e fermo restando il

potere di indirizzo della giunta e del direttore generale, esercitano, tra l’altro, i seguenti poteri e competenze:

a. curano l’attuazione dei piani, programmi, progetti, obiettivi e direttive generali definite dalla giunta provincia-

le, dal presidente e dal direttore generale, secondo le rispettive competenze; partecipano inoltre, secondo quan-

to previsto dall’art. ..., al processo di definizione del piano esecutivo di gestione e del piano dettagliato degli

obiettivi;

b. formulano proposte ed esprimono pareri alla giunta, nelle materie di competenza;

c. adottano gli atti relativi alla istituzione e organizzazione dei settori e delle altre posizioni dirigenziali equiva-

lenti nonché dei servizi dell’area delle posizioni organizzative, secondo la disciplina dell’art. ...;

d. conferiscono ai dirigenti gli incarichi delle posizioni dirigenziali del dipartimento, ne definiscono i poteri, le

responsabilità e le risorse in relazione alle competenze ed agli obiettivi affidati; realizzano la mobilità del per-

sonale tra i settori;

e. affidano gli incarichi di consulenza per le questioni complesse attinenti all’esercizio delle funzioni affidate, nel-

l’ambito delle risorse a tal fine assegnate e nel rispetto dell’art. 7, comma 6. del D.Lgs. n. 165/2001;

f. adottano gli atti di natura privatistica e i provvedimenti amministrativi ed esercitano i poteri di spesa e quelli

Box 17 Ruolo e poteri del direttore di dipartimento

54 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

di acquisizione delle entrate rientranti nella competenza delle rispettive strutture, salvo quelli assegnati ai diri-

genti ai sensi della lett. d);

g. dirigono, coordinano e controllano l’attività dei dirigenti, anche con potere sostitutivo, previa diffida, in caso

di inerzia, ritardo o inosservanza delle direttive;

h. vigilano su tutti gli adempimenti relativi alle prestazioni di servizio dei dirigenti; formulano direttive per una

uniforme e corretta applicazione degli istituti disciplinati dai contratti collettivi di lavoro;

i. determinano i criteri generali di organizzazione delle strutture del dipartimento secondo le direttive genera-

li della giunta e del direttore generale definendo, in particolare, nell’ambito delle stesse direttive, l’orario di

apertura al pubblico, l’orario di servizio e l’orario contrattuale di lavoro, informandone le organizzazioni

sindacali;

j. promuovono le condizioni migliori per rendere effettivi i diritti dei cittadini e per assicurare la trasparenza

dell’azione amministrativa, la snellezza dei procedimenti, la correttezza e la coerenza dell’attività di diritto pri-

vato; a tal fine coordinano le attività dei responsabili dei procedimenti individuati ai sensi della legge n.

241/1990 e dell’art. 41 del presente regolamento; favoriscono la partecipazione interna ed esterna al procedi-

mento amministrativo;

k. adottano gli atti finalizzati alla sicurezza, all’igiene e alla salubrità dei posti di lavoro, nel rispetto delle disposi-

zioni contenute nel D.Lgs. n. 626/1994 e successive modificazioni e integrazioni;

l. indicono le conferenze di servizi previsti dall’art. 14 della Legge n. 241/1990 per le materie di competenza e

partecipano, per le stesse materie, alla conferenze di servizi indette da altre amministrazioni, nel rispetto degli

indirizzi formulati a norma del precedente art. ...;

m. promuovono e resistono alle liti e hanno il potere di conciliare e di transigere;

n. assumono gli atti privatistici di organizzazione e di gestione del personale e di gestione dei rapporti sindacali e

di lavoro, fatti salvi quelli espressamente assegnati alla competenza dei dirigenti di settore.

I direttori di dipartimento, nell’esercizio delle funzioni loro assegnate nel piano esecutivo di gestione e nel piano

dettagliato degli obiettivi, rispondono al direttore generale. Essi riferiscono al direttore generale sull’attività da

essi svolta correntemente e in tutti i casi in cui il direttore generale lo richieda o lo ritenga opportuno. Informano

inoltre tempestivamente il direttore generale in ordine agli adempimenti relativi alle proprie prestazioni di servi-

zio, attenendosi alle direttive dallo stesso impartite.

I dirigenti titolari di incarichi dirigenziali all’interno di ciascun dipartimento, nell’ambito di quanto previsto dal-

l’art. ..., esercitano, tra l’altro, i seguenti poteri e competenze:

a. forniscono collaborazione al direttore di dipartimento nella formulazione delle proposte di piano esecutivo di

gestione e di piano dettagliato degli obiettivi, secondo la disciplina prevista dall’art. ...;

b. negoziano con i direttori di dipartimento gli obiettivi specifici dei rispettivi settori e le relative risorse umane,

finanziarie e strumentali nonché gli eventuali aggiornamenti;

c. curano l’attuazione dei progetti e delle gestioni ad essi assegnati dai direttori di dipartimento, adottano i rela-

tivi atti e provvedimenti amministrativi o decisioni di diritto privato, esercitano i poteri di spesa nei limiti

definiti dai direttori di dipartimento;

Box 18 Ruolo e poteri dei dirigenti

I REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE 55

Un assetto di questo tipo (che potremmo definire “forte ed unita-rio”) potrebbe però, in determinati contesti, causare problemi edisfunzioni.

Innanzitutto, in contesti dove la logica dell’assessore di riferimen-to è molto pervasiva, dove questi ultimi svolgono di fatto una funzio-ne di direzione “a tutto campo” delle proprie deleghe assessorili, c’è ilrischio che un modello di questo tipo possa avere effetti troppodirompenti e determinare conflitti non sanabili tra top-management(direttore generali e direttori di dipartimento) ed assessori.

Ancora, un direttore generale forte potrebbe inserirsi con diffi-coltà in contesti organizzativi dove esiste un ruolo storico e consoli-dato di dirigenti, che hanno acquistato un forte potere, magari inrelazione diretta con l’assessore di riferimento e con componentidella giunta. In modo analogo, figure di direttori di area forti potreb-bero avere problemi a relazionarsi con i dirigenti di settore.

d. conferiscono a personale della categoria D gli incarichi di direzione dei servizi e delle altre posizioni equiva-

lenti, nel rispetto della disciplina prevista dai contratti collettivi nazionali di lavoro, ne definiscono i poteri e le

responsabilità in relazione ai programmi da realizzare e agli obiettivi assegnati;

e. definiscono gli obiettivi che i responsabili dei servizi devono perseguire e attribuiscono le conseguenti risorse

umane, finanziarie e materiali;

f. organizzano le risorse umane, finanziarie e strumentali e le assegnano alle eventuali strutture di livello non

dirigenziale; curano la mobilità del personale all’interno del settore sentiti i responsabili dei servizi interessati;

g. attribuiscono i trattamenti economici accessori, nel rispetto della disciplina dei contratti collettivi;

h. individuano, in base alla legge n. 241/1990, i responsabili dei procedimenti che fanno capo alla struttura e

verificano, anche a richiesta dei terzi interessati, il rispetto dei termini e degli altri adempimenti;

i. verificano e analizzano periodicamente le condizioni organizzative del settore assegnato e la produttività del

personale;

j. assumono iniziative e formulano direttive per ottimizzare l’utilizzo delle risorse disponibili;

k. coadiuvano il direttore di dipartimento per la soluzione di problemi di razionalizzazione e di semplificazione

dei procedimenti e delle procedure.

I dirigenti di cui al comma 1, nell’esercizio delle competenze e degli obiettivi loro assegnati ai sensi dell’art. ...,

comma ..., lett. d), rispondono al direttore di dipartimento. Essi riferiscono al direttore di dipartimento sull’atti-

vità da essi svolta correntemente e in tutti i casi in cui il direttore di dipartimento lo richieda o lo ritenga oppor-

tuno. Informano inoltre tempestivamente il direttore di dipartimento in ordine agli adempimenti relativi alle pro-

prie prestazioni di servizio, attenendosi alle direttive dallo stesso impartite.

I dirigenti di settore, in base alla legge n. 241/1990, i responsabili dei procedimenti amministrativi per le materie

di rispettiva competenza e verificano, anche su richiesta dei terzi interessati, il rispetto dei termini e degli altri

adempimenti.

Le funzioni e le competenze previste per i dirigenti settore sono svolte dai direttori di dipartimento e dal direttore

generale, qualora riguardino i servizi posti alle loro dirette dipendenze.

56 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

9. Le strategie organizzati-ve più efficaci sono quelleche sanno guardare lonta-no, capaci di una visioneprospettica, che vedono iltraguardo preceduto datappe progressive di avvi-cinamento.

Quindi, un modello nato e costruito attorno all’idea di una unita-rietà della funzione dirigenziale e di un suo sviluppo “a cascata”(direttore generale, direttori di dipartimento e dirigenti di settore)potrebbe paradossalmente determinare “maggiore frammentarietà” erafforzare le divisioni interne.

Altre possibilità sono: rinunciare a costruire figure di top-manage-ment forti, definendo, in alternativa, figure di coordinamento (adesempio: coordinatori d’area), rinunciare alla direzione generale, isti-tuendo più blandi “organismi di coordinamento” (ad esempio: grup-po dei coordinatori d’area). Si tratta di un assetto molto diverso dalprecedente, che potremmo definire, “a legame debole”, che cerca diassicurare l’unitarietà attraverso la mediazione ed il confronto (spessodefatiganti ed improduttivi; in ogni caso: costosi) piuttosto che attra-verso la funzione direzionale, classicamente intesa. In alcuni contesti,una “soluzione a legame debole” potrebbe essere preferibile, “megliodigerita” dal contesto per non mettere in discussione poteri consoli-dati. Essa potrebbe anche essere pensata come “soluzione ponte”verso assetti più unitari9.

Per la attuazione delle funzioni di cui all’art. 7, la giunta si avvale di un “comitato di direzione” composto dai direttori

di dipartimento, eventualmente integrato, anche in via transitoria su specifiche problematiche, da esperti esterni dotati

di alta e riconosciuta competenza, professionalità ed autorevolezza nel campo delle discipline amministrative, economi-

che, organizzative e di gestione del personale. Il comitato di direzione è convocato e presieduto dal direttore generale.

Il comitato fornisce assistenza tecnica alla giunta provinciale e al presidente della provincia nell’assolvimento delle

rispettive funzioni istituzionali in tutti i casi previsti dal presente regolamento e, in particolare, formula proposte

e pareri relativi:

a. alla predisposizione e ai contenuti del piano esecutivo di gestione, prima della sua approvazione da parte della giunta;

b. alla elaborazione dei programmi e dei progetti speciali di attività dell’ente, con la indicazione delle relative

previsioni di bilancio;

c. alla individuazione delle attività da promuovere con criteri di priorità;

d. alla determinazione delle direttive generali per favorire il coordinamento delle iniziative rivolte al consegui-

mento degli obiettivi prefissati;

e. alla valutazione dei provvedimenti e delle iniziative in materia di organizzazione e di procedure, necessari per

la attuazione della programmazione dell’ente e per favorire la semplificazione degli adempimenti e la maggio-

re efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa;

f. alla attribuzione di nuove competenze alle strutture organizzative;

g. al piano triennale ed annuale dei fabbisogni di personale;

h. al piano di formazione del personale.

Il direttore generale, sentito il comitato, può adottare ai sensi dell’art. …, comma …, lett. …), apposito regola-

mento di funzionamento interno di tale organismo.

Box 19 Attività di indirizzo e coordinamento

I REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE 57

Altra soluzione possibile è quella che non rinuncia ad un assettoforte ed unitario, ma lo “tempera” attraverso una serie di meccanismicorrettivi e di aggiustamento, finalizzati da un lato a dare al politicoconcreti strumenti di intervento (ad esempio, la previsione esplicita erafforzata di un potere di direttiva; si veda, al riguardo, il box 11) edall’altro a favorire la partecipazione dei dirigenti alle scelte del diret-tore generale: ad esempio, attraverso un comitato di direzione chia-mato ad esprimersi con pareri obbligatori, ancorché non vincolanti,su tutte le più importanti scelte in materia di organizzazione (si veda,nel box 19, un esempio di articolo di regolamento dedicato ad unorganismo di questo tipo).

La terza questione da affrontare, in tema di funzione direzionale,direttamente legata alle prime due, è la definizione dei rapporti tra idirigenti lungo la catena di comando dell’ente.

Anche per questo aspetto, sono possibili diverse scelte e sarà, perl’appunto il regolamento, a tracciare la strada e ad indicare un model-lo di riferimento.

In enti medio-grandi, una possibile scelta è quella di individuaredifferenti livelli di responsabilità dirigenziale, i cui rapporti disovraordinazione sono definiti non attraverso il principio di gerarchiaclassico, ma attraverso il rapporto di direzione.

Il rapporto di direzione implica che il dirigente di primo livelloassegni obiettivi e risorse al dirigente di secondo livello, che viene così“delegato” a gestire con autonomia e responsabilità; al dirigente diprimo livello competono poteri di sostituzione in caso di inerzia epoteri di controllo dei risultati. Lo stesso schema – con eventualiadattamenti e variazioni – potrebbe governare anche i rapporti tradirigenti e responsabili di posizione organizzativa.

In questo modello sembra coerente ipotizzare che i dirigenti diprimo livello conferiscano l’incarico ai dirigenti di secondo livello e,questi ultimi, ai responsabili di posizione organizzativa.

Le soluzioni regolamentari che traducono l’impostazione delinea-ta, sono riportate nei successivi box 20, e 21.

58 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

10. Per la definizione di“meccanismi operativi” siveda Rugiadini, 1979.

11. “Questi strumenti, chedanno ‘ritmo’ al funziona-mento di un’organizzazionecomplessa, non sono altroalla fine che ‘veicoli’ per latrasmissione di una culturagestionale, o, se si vuole, ele-menti di un linguaggio chea poco a poco diviene ele-mento di comunicazioneindispensabile per la gestio-ne dell’interdipendenza,

Meccanismi operativiLa strategia organizzativa del regolamento investe anche i cosiddettimeccanismi operativi10, cioè l’insieme delle tecniche e dei sistemigestionali che completano l’assetto strutturale dell’organizzazione,promuovendo il coordinamento tra le strutture, la circolazione delleinformazioni, la responsabilizzazione della dirigenza e delle altre figu-re con funzioni di responsabilità.11

Tipici meccanismi operativi di un’organizzazione sono, adesempio, i sistemi di programmazione e controllo, i sistemi divalutazione delle prestazioni, i sistemi per il miglioramento dellaqualità ecc.

I direttori di dipartimento, nell’ambito dell’incarico conferito e di quanto stabilito dall’art. ..., e fermo restando il

potere di indirizzo della giunta e del direttore generale, esercitano, tra l’altro, i seguenti poteri e competenze:

...) conferiscono ai dirigenti gli incarichi delle posizioni dirigenziali del dipartimento, ne definiscono i poteri, le

responsabilità e le risorse in relazione alle competenze ed agli obiettivi affidati; realizzano la mobilità del per-

sonale tra i settori;

...) dirigono, coordinano e controllano l’attività dei dirigenti, anche con potere sostitutivo, previa diffida, in caso

di inerzia, ritardo o inosservanza delle direttive;

...) vigilano su tutti gli adempimenti relativi alle prestazioni di servizio dei dirigenti; formulano direttive per una

uniforme e corretta applicazione degli istituti disciplinati dai contratti collettivi di lavoro.

Box 20 Rapporto di direzione tra direttori di dipartimento e dirigenti

I dirigenti titolari di incarichi dirigenziali all’interno di ciascun dipartimento, nell’ambito di quanto previsto dal-

l’art. ..., esercitano, tra l’altro, i seguenti poteri e competenze:

...) conferiscono a personale della categoria D gli incarichi di direzione dei servizi e delle altre posizioni equiva-

lenti, nel rispetto della disciplina prevista dai contratti collettivi nazionali di lavoro, ne definiscono i poteri e le

responsabilità in relazione ai programmi da realizzare e agli obiettivi assegnati;

...) definiscono gli obiettivi che i responsabili dei servizi devono perseguire e attribuiscono le conseguenti risorse

umane, finanziarie e materiali;

I dirigenti di settore, di norma, delegano specifiche funzioni e poteri di gestione ai responsabili dei servizi ivi

compresa la sottoscrizione finale degli atti e dei provvedimenti amministrativi e delle decisioni di diritto comune,

gli impegni di spesa anche con un limite di valore, gli atti di gestione del rapporto di lavoro del personale asse-

gnato. Il provvedimento di delega deve essere accompagnato da specifiche direttive o indirizzi per la realizzazione

delle attività delegate con particolare riguardo agli obiettivi e ai risultati gestionali da perseguire, al monitoraggio

e alla verifica periodica della attività svolte, al sostegno e alla assistenza nella esecuzione dei compiti delegati.

Box 21 Rapporto di direzione tra dirigenti e responsabili di posizione organizzativa

I REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE 59

In ottica strategica, il regolamento può diventare il veicolo per la pro-mozione di tali meccanismi. Può, in altre parole, incentivarne l’adozionee la diffusione, dando ad essi “dignità istituzionale”, facendoli assurgere alruolo di “componenti essenziali” dell’assetto organizzativo dell’ente.

integrando le lacune deltradizionale linguaggio uni-ficante degli enti pubblici,quello del diritto ammini-strativo” (Rebora, 1993).

La metodologia di lavoro delle strutture organizzative si fonda sulla programmazione e sul controllo dei risultati,

che costituiscono le leve essenziali a disposizione dell’ente per orientare il sistema organizzativo alla realizzazione

degli obiettivi e delle strategie.

Il processo di programmazione e controllo è finalizzato a:

a. definire gli obiettivi della gestione e le dotazioni ad essi correlate;

b. assicurare il controllo costante del raggiungimento degli obiettivi, in rapporto alle dotazioni assegnate e utilizzate.

Lo strumento di cui l’ente si avvale per le finalità indicate nei commi 1 e 2 è il piano esecutivo di gestione nel

quale sono definiti operativamente:

a. gli obiettivi generali che l’ente intende perseguire prioritariamente;

b. le dotazioni di risorse necessarie per il conseguimento degli stessi obiettivi;

c. i direttori di dipartimento responsabili degli obiettivi e delle dotazioni di cui ai punti precedenti, nonché gli

obiettivi e le dotazioni la cui responsabilità è affidata al direttore generale.

Gli obiettivi del piano esecutivo di gestione di cui al comma 2, lett. a) individuano:

a. risultati attesi particolarmente qualificanti, sfidanti e significativi, specificamente orientati alla generazione di

valore per l’utenza esterna o interna ovvero per la collettività nel suo complesso;

b. misure di risultato o altre tecniche di valutazione utilizzate per la verifica finale dei risultati effettivi e per l’a-

nalisi degli scostamenti.

Il processo di programmazione, rivolto alla predisposizione del piano esecutivo di gestione, si svolge con modalità

e tempi definiti periodicamente dalla giunta in stretta correlazione alla predisposizione e gestione del bilancio.

Il direttore generale, anche attraverso specifiche riunioni del comitato di direzione, sollecita la partecipazione propositiva

dei direttori di dipartimento al processo annuale di identificazione degli obiettivi e di assegnazione delle risorse. Analoga

sollecitazione è rivolta dai direttori di dipartimento e dal direttore generale, per le strutture di propria competenza, ai

dirigenti di settore ed agli altri dirigenti. Il piano esecutivo di gestione viene predisposto dal direttore generale, di concer-

to con il responsabile dei servizi finanziari per la parte economico-finanziaria, ed è sottoposto all’esame della giunta.

Successivamente alla approvazione del piano esecutivo di gestione, il direttore generale, sentito il comitato di dire-

zione, predispone il piano dettagliato degli obiettivi, contenente l’ulteriore specificazione degli obiettivi e delle

risorse assegnate a ciascun dipartimento e settore ed alla direzione generale, in relazione anche alla loro articola-

zione organizzativa interna. Detto piano viene comunicato ai competenti dirigenti per la coerente attuazione.

La programmazione delle attività di cui ai precedenti commi rappresenta la base per la successiva attività di con-

trollo strategico e di gestione, nonché per gli eventuali interventi correttivi sulla stessa gestione, secondo la disci-

plina degli artt. … e …

Box 22 Centralità dei sistemi di programmazione e controllo

60 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

Ad esempio, nel regolamento potrebbe essere inserita una normache sancisca la centralità dei sistemi di programmazione e controllo,nella complessiva organizzazione dell’ente (si veda box 22).

Tale disposizione non afferma solo la centralità del sistema di pro-grammazione e controllo, ma cerca anche di definirne i contenuti,con scelte che rivelano una prospettiva strategica.

Accanto alla classica definizione del ciclo di programmazione econtrollo, la cui funzione è quella di orientare l’organizzazione alconseguimento degli obiettivi ed alla realizzazione delle strategie e diassicurare gli interventi correttivi sulla gestione, la norma in esamecontiene alcune interessanti riferimenti:• gli obiettivi del piano di gestione non sono micro-obiettivi parcel-

lizzati, ma “obiettivi generali che l’ente intende perseguire priori-tariamente”; in questa precisazione, si avverte la preoccupazionedi far sì che il piano di gestione sia un documento contenenteobiettivi importanti e prioritari, a differenza del piano dettagliatodegli obiettivi, che presenta invece un maggior livello di articola-zione e dettaglio;

• altra preoccupazione è quella di incentivare la definizione diobiettivi qualificanti e sfidanti, (“risultati attesi particolarmentequalificanti, sfidanti e significativi, specificamente orientati allagenerazione di valore per l’utenza esterna o interna ovvero per lacollettività nel suo complesso”), ma anche concreti e misurabili(gli obiettivi individuano “misure di risultato o altre tecniche divalutazione utilizzate per la verifica finale dei risultati effettivi eper l’analisi degli scostamenti”);

• viene affermata la centralità del ruolo e della funzione deldirettore generale per il funzionamento dell’intero sistema diprogrammazione e controllo (“Il direttore generale, ancheattraverso specifiche riunioni del comitato di direzione, solleci-ta la partecipazione propositiva dei direttori di dipartimento alprocesso annuale di identificazione degli obiettivi e di assegna-zione delle risorse”; “Il piano esecutivo di gestione viene predi-sposto dal direttore generale …”; “Successivamente alla appro-vazione del piano esecutivo di gestione, il direttore generale,sentito il comitato di direzione, predispone il piano dettagliatodegli obiettivi …”).

In modo analogo, le disposizioni regolamentari possono sof-fermarsi anche su altri meccanismi operativi (si veda il successivobox 33 dedicato ai sistemi di valutazione delle prestazioni diri-genziali).

I REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE 61

Sviluppo risorse umaneUna strategia organizzativa deve essere costruita anche intorno adun’idea di sviluppo delle risorse umane12. Anche in questo caso, ilregolamento può svolgere una funzione di promozione e di rafforza-mento dell’idea13.

Si riporta un esempio di norma regolamentare dedicata al temadello sviluppo delle risorse umane (box 23).

2.2 Il regolamento come strumento per introdurre elementidi chiarezza e trasparenza nell’organizzazione

Nell’ottica del management delle regole, il regolamento dovrebbesvolgere un’altra importante funzione: quella di introdurre alcuni ele-menti di chiarezza organizzativa.

Occorre subito precisare che la chiarezza organizzativa non è unobiettivo assolutizzabile. Vi sono infatti situazioni nelle quali un certogrado di ambivalenza può essere necessario e perfino desiderabile14.

12. Per una definizionedei “processi di sviluppodelle risorse umane”, vediCosta, 1997.

13. Naturalmente, questiprocessi potrebberoavere una loro importan-za e diffusione indipen-dentemente dalla previ-sione di una normaregolamentare.

14. Si veda Calabrò, 1997.

La gestione del personale dell’ente è prioritariamente rivolta allo sviluppo delle competenze professionali del per-

sonale in coerenza con le strategie dell’ente.

Per “competenza professionale” si intende: l’insieme delle caratteristiche individuali casualmente collegate a risul-

tati efficaci o superiori in una posizione di lavoro, rilevabili sulla base di criteri prestabiliti.

Nella competenza professionale rientrano:

a. conoscenze teorico-pratiche: conoscenze di discipline o argomenti specifici e capacità di individuare le cono-

scenze e gli argomenti rilevanti per la soluzione di problemi;

b. capacità (o skill): capacità di eseguire un determinato compito, intellettivo o fisico;

c. attitudini: disposizioni ad agire e a comportarsi in un determinato modo in una situazione lavorativa, schemi

mentali, valori personali, atteggiamenti, motivazioni.

La direzione del personale adotta le misure necessarie a:

a. definire le competenze professionali richieste a ciascun profilo professionale ed alle diverse posizioni di lavoro;

b. valutare le competenze professionali dimostrate da ciascun dipendente nell’ambito della propria attività lavo-

rativa;

c. costituire una banca dati delle competenze professionali detenute da ciascun dipendente;

d. realizzare una elevata coerenza tra le prove selettive (sia interne che esterne) e le competenze professionali

richieste dalla posizione da coprire;

e. programmare e realizzare attività di formazione e di addestramento in correlazione con le attività di cui ai

punti precedenti.

Box 23 Lo sviluppo delle risorse umane

62 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

Di contro, un eccesso di ambivalenza può rallentare le decisioni,determinare troppa incertezza, sovraccaricare i decisori, non fornireagli utenti esterni ed interni chiari punti di riferimento.

Il regolamento deve quindi cercare di tracciare un quadro minimodi regole che, senza alcuna pretesa di “assoluta chiarificazione delquadro organizzativo”, dia però, ai decisori interni ed agli utenti,punti di riferimento minimamente stabili e condivisi.

Il regolamento svolge questa funzione attraverso:• la definizione delle competenze decisionali dei diversi decisori del-

l’ente;• la fissazione di alcune premesse per fare in modo che l’assetto

organizzativo sia definito in modo sufficientemente chiaro e tra-sparente.

Competenze decisionaliIl regolamento stabilisce quali decisioni per quali decisori. Questaspecifica rimanda sicuramente ad una scelta strategica (si vedano leconsiderazioni già svolte nel punto precedente), ma introduce ancheun elemento di chiarezza perché risolve i problemi e le incertezze tipi-che delle situazioni nelle quali non è del tutto chiaro chi è competen-te a decidere.

Abbiamo visto che, in generale, il regolamento individua le fun-zioni dei dirigenti. Nel fare questo, però, non dovrebbe limitarsi adire, in generale, quali funzioni per la dirigenza. Dovrebbe, invece,definire, con riferimento alle diverse figure dirigenziali previste nel-l’assetto organizzativo quali decisioni in materia di organizzazione egestione del personale sono ad esse attribuite.

Ad esempio, l’articolo riportato nel box 16, attraverso una impo-stazione abbastanza tipica, delinea il ruolo del direttore generale(comma 1), specifica i poteri che gli sono attribuiti (comma 2), indi-vidua le relazioni tra il direttore generale e l’organo politico e tra ildirettore generale e gli altri dirigenti (comma 3).

Analoga impostazione potrebbero avere gli articoli dedicati allealtre figure dirigenziali (vedi box 17, box 18).

Ulteriori elementi di chiarezza nel regolamento potrebbero deri-vare dalla individuazione di funzioni di supplenza e sostituzione tem-poranea (box 24) oppure di procedure da seguire qualora insorganoconflitti di competenza (box 25).

I REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE 63

Premesse per la definizione di un assetto organizzativo chiaro e trasparenteIl regolamento dovrebbe contenere le premesse affinché l’assettoorganizzativo dell’ente sia definito in modo chiaro, con l’indicazionedi tutti gli elementi necessari a fornire punti di riferimento non equi-voci; ma dovrebbe anche preoccuparsi di far sì che ogni modifica del-l’organizzazione sia comunicata, tanto all’interno quanto all’esterno, atutti i portatori di interessi istituzionali.

Quando una delle posizioni di livello dirigenziale risulti vacante o vi è temporanea assenza o impedimento del

titolare, l’assolvimento delle relative funzioni di direzione delle attività e di emanazione degli atti di competenza, è

affidato, con apposito incarico del presidente della provincia o del direttore di dipartimento, secondo le rispettive

competenze e sentito il direttore generale, ad altro dirigente responsabile di diversa struttura organizzativa.

Al dirigente con funzioni di supplenza di cui al comma 1 compete una quota integrativa del trattamento econo-

mico di risultato individuata con le modalità dell’art. … e secondo la disciplina del contratto collettivo.

In caso di impossibilità a provvedere ai sensi del comma 1, il presidente può, in via eccezionale, affidare l’incarico

di supplenza al direttore generale ovvero può avviare le procedure per la costituzione di un apposito rapporto a

tempo determinato secondo la disciplina dell’art. …

Ai sensi di quanto previsto dall’art. …, comma …, lett. e) e dall’art. …, comma …, il direttore di dipartimento e i

dirigenti di settore, nell’ambito della propria struttura, individuano rispettivamente i dirigenti e i responsabili dei

servizi abilitati alla loro temporanea sostituzione nei casi di assenza breve, comunque non superiore a cinque giorni.

Box 24 Funzioni di supplenza e di sostituzione temporanea

I conflitti di competenza tra le strutture organizzative dei dipartimenti sono risolti con decisione del competente

direttore di dipartimento.

Le controversie relative alla competenza dei dipartimenti, vengono definite dal direttore generale, sentiti i dirigen-

ti interessati.

Nel rispetto del principio della distinzione tra ruoli politici e ruoli dirigenziali, la giunta, previo parere del comi-

tato di direzione, definisce le eventuali questioni dubbie in ordine alla ripartizione delle attribuzioni e dei poteri

tra la stessa giunta e i direttori di dipartimento.

Box 25 Soluzione dei conflitti di competenza

64 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

Tale importante obiettivo può essere perseguito sia attraverso laindicazione di principi e requisiti generali di chiarezza e trasparenzaorganizzativa (box 26) sia attraverso la fissazione di percorsi decisio-nali e di standard minimi di chiarezza per le successive decisioni inmateria di struttura organizzativa (box 27 e 28).

Nella definizione della struttura organizzativa dell’ente, i diversi soggetti decisori di volta in volta competenti, ai

sensi del presente regolamento, si attengono ad un generale principio di chiarezza e trasparenza organizzativa.

Gli atti istitutivi e modificativi delle unità organizzative definiscono, in modo chiaro e sintetico, evitando in ogni

caso previsioni ridondanti e di dettaglio, la denominazione, la missione istituzionale di riferimento, le principali

categorie di utenti interni o esterni serviti ovvero i bisogni pubblici da soddisfare, le principali funzioni affidate, le

più importanti relazioni organizzative interne o esterne.

Tutti i provvedimenti istitutivi e modificativi di cui al comma …, sono tempestivamente portati a conoscenza

della Direzione del personale e di … Qualora si renda necessario, l’ufficio … provvede all’adeguamento del sito

internet, l’ufficio … all’adeguamento della segnaletica interna agli uffici, della carta intestata e di ogni altro ele-

mento atto ad identificare, sia all’interno che all’esterno, l’unità organizzativa di nuova istituzione.

Box 26 Chiarezza e trasparenza organizzativa

La giunta, con apposita deliberazione, adottata previo parere del comitato di direzione, istituisce i dipartimenti e

ne definisce la denominazione e la missione istituzionale, con la specificazione delle relative funzioni, delle rela-

zioni con gli altri dipartimenti e di ogni altro aspetto che abbia rilievo per assicurare la più efficiente ed efficace

funzionalità dell’organizzazione provinciale.

Con le modalità del comma 1 si provvede anche all’adeguamento di dipartimenti già costituiti ovvero alla revisio-

ne e aggiornamento dell’assetto organizzativo dei dipartimenti.

In occasione dell’avvio di ogni mandato del presidente della provincia o, nell’ambito dello stesso mandato, in

relazione alla evoluzione delle esigenze organizzative dell’ente ovvero anche in occasione della predisposizione dei

documenti di programmazione annuale e pluriennale, la giunta provinciale, sentito il comitato di direzione, può

procedere, anche su proposta del direttore generale, alla verifica e alla eventuale revisione e aggiornamento del-

l’assetto organizzativo dei dipartimenti.

Box 27 Costituzione e adeguamento dei dipartimenti

I REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE 65

2.3 Il regolamento nella sua funzione di completamento ed integrazione delle fonti normative sovraordinate

Un’ultima funzione del regolamento è quella di completare ed inte-grare le disposizioni di legge o di statuto che rinviano alle disposizio-ni regolamentari.

La tecnica del rinvio di una fonte normativa superiore ad un’altradi livello inferiore è piuttosto frequente nel nostro ordinamento.Spetta quindi al regolamento “prendere posizione” su tali rinvii edefinire “le regole” che sono rimesse alla sua autonomia.

I rinvii al regolamento possono derivare dalla legge o dallo statu-to. Vi sono anche casi in cui è il contratto collettivo nazionale arichiamare disposizioni contenute nel regolamento dell’ente.

I direttori dei dipartimenti, con i poteri di cui all’art. ..., comma ..., e nel rispetto degli indirizzi generali formulati

dalla giunta provinciale, adottano le decisioni necessarie per la migliore organizzazione delle attività e dei servizi

delle rispettive aree di competenza.

Per le finalità di cui al comma 1, i direttori dei dipartimenti:

a. istituiscono i settori e le unità orizzontali di livello dirigenziale, nell’ambito dei posti di livello dirigenziale

assegnati dalla giunta ai singoli dipartimenti, nel rispetto dei vincoli derivanti dalla dotazione organica com-

plessiva nonché delle direttive formulate dalla giunta ai sensi del comma …;

b. istituiscono i servizi e le unità orizzontali di livello non dirigenziale alle dirette dipendenze del direttore ovve-

ro, su proposta del competente dirigente di settore, nell’ambito dei settori, nel numero massimo delle posizio-

ni stabilite dalla giunta per ogni dipartimento secondo i criteri definiti, previo parere del comitato di direzio-

ne, in attuazione della disciplina del contratto collettivo sulla classificazione professionale del personale e nel

rispetto dei vincoli derivanti dalla dotazione organica.

Con l’atto di istituzione delle unità organizzative di cui al comma … il direttore di dipartimento definisce anche

le competenze delle singole strutture, le relazioni tra le stesse e ogni altro aspetto che abbia rilievo per assicurare

la più corretta funzionalità del sistema organizzativo.

La giunta, in relazione ai contenuti dei documenti di programmazione annuale e pluriennale, formula indirizzi

cui i direttori dei dipartimenti devono attenersi per la adozione delle iniziative di adeguamento delle strutture di

rispettiva competenza e delle relative attribuzioni, anche con riferimento alle eventuali modificazioni del contesto

economico e sociale di riferimento.

Nell’ambito dell’ufficio di direzione generale, il direttore generale può istituire le unità organizzative di cui al

comma 2, lett. b), con gli stessi poteri e limiti stabiliti dal presente articolo per i direttori di dipartimento

Box 28 Organizzazione interna dei dipartimenti

66 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

Ad esempio, il D.Lgs. n. 267/2000 (testo unico delle autonomielocali) contiene diversi rinvii al regolamento, alcuni dei quali di note-vole rilievo. Nel box 29 ne sono indicati alcuni. Il successivo box 30contiene invece una esemplificazione pratica di disposizione regola-mentare che sviluppa il rinvio contenuto nell’art. 110, comma 2, delD.Lgs. n. 267/2000 sulla dirigenza a termine.

Il regolamento può essere richiamato anche dai contratti collettividi lavoro. Vi sono, infatti, alcuni casi di clausole contrattuali chefanno espressamente riferimento a disposizioni contenute nell’ordi-namento degli enti, ivi comprese eventuali norme regolamentari (siveda il box 31).

ART. 90, COMMA 1

1. Il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi può prevedere la costituzione di uffici posti alle

dirette dipendenze del sindaco, del presidente della provincia, della Giunta o degli assessori, per l’esercizio

delle funzioni di indirizzo e di controllo loro attribuite dalla legge, costituiti da dipendenti dell’ente, ovve-

ro, salvo che per gli enti dissestati o strutturalmente deficitari, da collaboratori assunti con contratto a

tempo determinato, i quali, se dipendenti da una pubblica amministrazione, sono collocati in aspettativa

senza assegni.

ART. 97, COMMA 5

5. Il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, può prevedere un vicesegretario per coadiuvare il

segretario e sostituirlo nei casi di vacanza, assenza o impedimento.

ART. 108, COMMA 1

1. Il sindaco nei comuni con popolazione superiore ai 15.000 abitanti e il presidente della provincia, previa deli-

berazione della Giunta comunale o provinciale, possono nominare un direttore generale, al di fuori della dota-

zione organica e con contratto a tempo determinato, e secondo criteri stabiliti dal regolamento di organizza-

zione degli uffici e dei servizi, che provvede ad attuare gli indirizzi e gli obiettivi stabiliti dagli organi di gover-

no dell’ente, secondo le direttive impartite dal sindaco o dal presidente della provincia, e che sovrintende alla

gestione dell’ente, perseguendo livelli ottimali di efficacia ed efficienza. Compete in particolare al direttore

generale la predisposizione del piano dettagliato di obiettivi previsto dall’articolo 197, comma 2, lettera a),

nonché la proposta di piano esecutivo di gestione previsto dall’articolo 169. A tali fini, al direttore generale

rispondono, nell’esercizio delle funzioni loro assegnate, i dirigenti dell’ente, ad eccezione del segretario del

comune e della provincia.

Box 29 Alcuni rinvii al regolamento contenuti nel D.Lgs. n. 267/2000

I REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE 67

ART. 109, COMMA 1

1. Gli incarichi dirigenziali sono conferiti a tempo determinato, ai sensi dell’articolo 50, comma 10, con provve-

dimento motivato e con le modalità fissate dal regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, secondo

criteri di competenza professionale, in relazione agli obiettivi indicati nel programma amministrativo del sin-

daco o del presidente della provincia e sono revocati in caso di inosservanza delle direttive del sindaco o del

presidente della provincia, della Giunta o dell’assessore di riferimento, o in caso di mancato raggiungimento al

termine di ciascun anno finanziario degli obiettivi assegnati nel piano esecutivo di gestione previsto dall’arti-

colo 169 o per responsabilità particolarmente grave o reiterata e negli altri casi disciplinati dai contratti collet-

tivi di lavoro. L’attribuzione degli incarichi può prescindere dalla precedente assegnazione di funzioni di dire-

zione a seguito di concorsi.

ART. 110, COMMA 2

2. Il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, negli enti in cui è prevista la dirigenza, stabilisce i

limiti, i criteri e le modalità con cui possono essere stipulati, al di fuori della dotazione organica, contratti a

tempo determinato per i dirigenti e le alte specializzazioni, fermi restando i requisiti richiesti per la qualifica

da ricoprire.

Tali contratti sono stipulati in misura complessivamente non superiore al 5 per cento del totale della

dotazione organica della dirigenza e dell’area direttiva e comunque per almeno una unità. Negli altri enti,

il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi stabilisce i limiti, i criteri e le modalità con cui

possono essere stipulati, al di fuori della dotazione organica, solo in assenza di professionalità analoghe

presenti all’interno dell’ente, contratti a tempo determinato di dirigenti, alte specializzazioni o funzionari

dell’area direttiva, fermi restando i requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire. Tali contratti sono sti-

pulati in misura complessivamente non superiore al 5 per cento della dotazione organica dell’ente arro-

tondando il prodotto all’unità superiore, o ad una unità negli enti con una dotazione organica inferiore

alle 20 unità.

ART. 110, COMMA 6

6. Per obiettivi determinati e con convenzioni a termine, il regolamento può prevedere collaborazioni esterne ad

alto contenuto di professionalità.

68 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

La giunta, per soddisfare particolari esigenze correlate al conseguimento di prioritari obiettivi istituzionali, può

autorizzare, anche su proposta del dirigente generale, l’assunzione di dirigenti e di qualifiche di alta specializza-

zione con contratto a termine di diritto privato:

a. per la copertura di posti vacanti della qualifica dirigenziale correlati alla responsabilità di strutture di

livello dirigenziale; ed entro il tetto del … per cento della vigente dotazione organica della stessa qualifica

dirigenziale;

b. al di fuori della dotazione organica, nel limite del 5% del totale della dotazione organica della dirigenza e della

categoria D.

I dirigenti a contratto devono essere in possesso dei requisiti prescritti per la partecipazione alle selezioni pubbli-

che per l’accesso alla qualifica di dirigente.

Il contratto individuale viene stipulato dal dirigente competente in materia di personale.

Il dirigente da assumere a contratto viene individuato, anche tra il personale di categoria D già in servizio presso

la provincia, sulla base del “profilo” preventivamente definito dalla giunta ed a seguito del conseguente accerta-

mento di una comprovata qualificazione professionale e di una elevata esperienza nell’esercizio di funzioni di

direzione e di gestione di strutture complesse in enti o aziende pubbliche o private.

Ai dirigenti assunti a contratto si sensi della lettera a) del comma 1, vengono conferiti gli incarichi dirigenziali

previsti dall’assetto organizzativo dell’ente, nel rispetto della disciplina del presente regolamento.

Ai dirigenti assunti a contratto ai sensi della lettera b) del comma 1, vengono conferiti incarichi dirigenziali corre-

lati alla realizzazione di progetti di particolare rilevanza ed allo svolgimento di funzioni professionali, di supporto

e di integrazione altamente qualificate. La natura dell’incarico viene definita dalla giunta nell’atto di autorizzazio-

ne alla assunzione.

Ai dirigenti assunti a contratto si applicano, per tutta la durata del rapporto, le disposizioni in materia di respon-

sabilità e di incompatibilità previste per i dirigenti con rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

La durata del contratto non può essere superiore a quella del mandato de sindaco (o del presidente della pro-

vincia).

Il trattamento economico, equivalente a quello previsto dai vigenti contratti collettivi per il personale dirigenziale

degli enti locali, può essere integrato, con provvedimento motivato della giunta provinciale, sentito il direttore

generale, da una indennità “ad personam” commisurata alla specifica qualificazione professionale e culturale pos-

seduta, anche in considerazione della temporaneità del rapporto e delle condizioni di mercato relative alle specifi-

che competenze professionali possedute dall’interessato. Il trattamento economico e l’eventuale indennità “ad per-

sonam” sono definiti nel rispetto degli equilibri di bilancio dell’ente e non vanno imputati al costo contrattuale e

del personale.

Ai dirigenti a contratto si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni legislative e dei contratti collettivi che

disciplinano il rapporto di lavoro e il trattamento economico del restante personale dirigenziale.

Ove il rapporto di lavoro sia costituito con personale già dipendente dell’ente, in possesso dei prescritti requisiti,

la stipulazione del relativo contratto comporta il contestuale collocamento del dipendente interessato in posizione

Box 30 Dirigenza a contratto

I REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE 69

2.4 I contenuti del regolamento: cosa va disciplinato e cosa va rinviato ad altri “momenti di regolazione”, i rischi della iper-regolazione

L’ottica del management delle regole è particolarmente attenta ad evi-tare che il regolamento non travalichi gli ambiti che gli sono propri.

Per definire correttamente tali ambiti, è opportuno riferirsi innanzi-tutto alla normativa. Occorre richiamare, a questo proposito, alcunefondamentali previsioni contenute nel D.Lgs. n. 165/2001 che consen-tono di delimitare, in modo abbastanza chiaro, cosa va nel regolamentoe cosa, invece, è riservato ad altre sfere di regolazione (si veda box 32).

Art. 10, comma 4, secondo periodo, ipotesi di CCNL comparto regioni e autonomi locali sottoscritta il 16.10.2003

La retribuzione di risultato può essere corrisposta, previa valutazione dei soggetti competenti sulla base dei risul-

tati certificati dal servizio di controllo interno o dal nucleo di valutazione, secondo l’ordinamento vigente.

Box 31 Esempio di riferimento all’ordinamento degli enti contenuto nei contratti collettivi di lavoro

di aspettativa senza assegni per tutta la durata del nuovo rapporto dirigenziale; l’ente può ricoprire il posto tem-

poraneamente vacante mediante assunzioni a tempo determinato nel rispetto della disciplina legislativa e contrat-

tuale vigente. Al termine, per qualsiasi causa, del rapporto di livello dirigenziale, il dipendente viene ricollocato

nella posizione in precedente ricoperta o in altra equivalente.

Non possono essere nominati dirigenti a contratto dipendenti dell’ente cessati dal servizio per qualsiasi causa,

se non sono trascorsi almeno tre anni dalla data di cessazione.

Per il periodo di durata del contratto, ai dipendenti di pubbliche amministrazioni si applica, la disciplina

dell’art. 19, comma 6, ultimo periodo, del D.Lgs. n. 165 del 2001.

Con la dizione “alte specializzazioni” si intendono quelle professionalità che presuppongono il possesso del

diploma di laurea e di particolari competenze acquisite mediante studi specialistici o specifiche precedenti

esperienze lavorative, comunque inquadrabili in profili professionali appartenenti almeno alla categoria D.

Alle alte specializzazioni si applica, in quanto compatibile, la disciplina definita dai commi precedenti per i

dirigenti a contratto.

70 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

15. Per gli enti locali, siveda l’analoga previsionecontenuta nell’art. 89 delD.Lgs. n. 267/2000.

16. Ulteriori materieriservate ai regolamentipubblicistici sono adesempio anche le normesulle selezioni pubbliche.

Tali disposizioni di legge fissano, in modo abbastanza preciso, iconfini che i regolamenti sull’ordinamento degli uffici e dei servizinon dovrebbero superare. Questi confini si desumono sia in positivo,che in negativo.

In positivo, i regolamenti dovrebbero limitarsi esclusivamente aipunti richiamati sinteticamente nell’art. 2, comma 1 del D.Lgs. n. 165del 200115 e cioè:• linee fondamentali di organizzazione;• uffici di maggior rilevanza e conferimento della titolarità dei

medesimi;• dotazioni organiche complessive16.

ART. 2, COMMA 1 DEL D.LGS. N. 165/2001

“Le amministrazioni pubbliche definiscono, secondo principi generali fissati da disposizioni di legge e, sulla base

dei medesimi, mediante atti organizzativi secondo i rispettivi ordinamenti, le linee fondamentali di organizzazio-

ne degli uffici; individuano gli uffici di maggior rilevanza e i modi di conferimento della titolarità dei medesimi;

determinano le dotazioni organiche complessive”

ART. 5, COMMA 2 DEL D.LGS. N. 165/2001

“Nell’ambito delle leggi e degli atti organizzativi di cui all’art. 2, comma 1, le determinazioni per l’organizzazione

degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte dagli organi preposti alla gestione

con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro”

ART. 2, COMMA 3, SECONDO PERIODO DEL D.LGS. N. 165/2001

L’attribuzione di trattamenti economici può avvenire esclusivamente mediante contratti collettivi o, alle condizio-

ni previste, mediante contratti individuali.

ART. 40, COMMA 1 DEL D.LGS. N. 165/2001

La contrattazione collettiva si svolge su tutte le materie relative al rapporto di lavoro ed alle relazioni sindacali.

ART. 45, COMMA 1 DEL D.LGS. N. 165/2001

Il trattamento economico fondamentale ed accessorio è definito dai contratti collettivi.

Box 32 I contenuti dei regolamenti secondo la legge

I REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE 71

In negativo, i regolamenti non dovrebbero “occuparsi” di questioniche rientrano nei poteri della dirigenza (poteri esercitati con le stesseprerogative e limiti dei datori di lavoro privati) e cioè non dovrebberocontenere disposizioni sull’organizzazione degli uffici o disposizioniche invadano la sfera di “gestione del rapporto di lavoro” (salvo, perl’appunto, le linee fondamentali di organizzazione, gli uffici di mag-gior rilevanza e le dotazioni organiche complessive).

Sempre in negativo, i regolamenti non dovrebbero occuparsi ditrattamento economico (stante la riserva assoluta posta dalle leggirichiamate in favore dei contratti collettivi) né invadere la sfera con-trattuale sulle materie rimesse all’autonomia collettiva (ad esempio,sulle materie oggetto di contrattazione integrativa negli enti).

In generale e andando oltre la delimitazione giuridica appenarichiamata, i regolamenti dovrebbero porre attenzione, anche perragioni di opportunità, a due particolari invasioni di campo:• a non sottrarre spazi decisionali alla dirigenza, entrando su que-

stioni che è opportuno riservare ad altri momenti di regolazione;in questo senso il regolamento si configura come “spazio di rego-le” su questioni di alta organizzazione (di strategia organizzativa);è bene che tale strumento non affronti questioni e problematichesulle quali si dimostrano più efficaci altri strumenti di regolazione(per banali ragioni di economia dei tempi, per il livello dei deciso-ri coinvolti, per l’elevato livello di attenzione che di solito accom-pagna la sua emanazione, perché il regolamento non è facilmentemodificabile);

• a non trattare materie che, più opportunamente, dovrebbero esseredefinite attraverso la contrattazione collettiva integrativa di ente, per-ché sono rimesse giuridicamente a tale sfera e perché non è possibileprescindere dall’acquisizione formalizzata del consenso sindacale.

Entrando più nello specifico, i regolamenti non dovrebbero defi-nire la struttura organizzativa dell’ente (almeno negli enti medio-grandi), ma solo precostituire il quadro (di principi e riferimentigenerali, di competenze decisionali) entro il quale vanno ad inserirsile decisioni successive in materia di struttura organizzativa.

Anche sui meccanismi operativi, il regolamento dovrebbe avere unapproccio non eccessivamente prescrittivo. Non è compito di talestrumento disciplinare in dettaglio il funzionamento dei sistemi diprogrammazione e controllo o dei sistemi di valutazione delle presta-zioni dirigenziali, ma solo di fornire linee generali di riferimento perla loro successiva progettazione (si veda, nel box 33, un esempio dinorma regolamentare sui sistemi di valutazione delle prestazioni diri-genziali, in cui ci si limita alla individuazione di finalità e di principimolto generali).

72 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

La norma riportata nel box 33 contiene due tipi di cautele, per evitarele invasioni di campo più sopra richiamate:• innanzitutto, il rinvio ad un successivo momento di regolazione,

che vede coinvolti il nucleo di valutazione (progetta il sistema), ildirettore generale (formalizza la decisione), la giunta (viene senti-ta); la decisione del direttore viene assunta con la capacità e ipoteri del privato datore di lavoro” e riguarda solo i criteri genera-li e il metodo di valutazione; infatti, la valutazione in concretocompete, con i necessari margini di autonomia che tale decisionepresuppone, ai soggetti che il regolamento stesso avrà individuatocome “competenti”;

La valutazione dei dirigenti è finalizzata ad individuare i punti di forza e di debolezza delle prestazioni dei diri-

genti, al fine di predisporre mirate azioni formative e di sviluppo organizzativo e di responsabilizzarne l’azione.

Della valutazione si tiene conto ai fini dell’attribuzione della retribuzione di risultato.

La valutazione ha per oggetto:

a. la capacità di conseguire gli obiettivi assegnati e di assicurare un utilizzo ottimale delle risorse;

b. le attitudini e le competenze organizzative e direzionali dimostrate nel corso della gestione;

c. la propensione dimostrata a sostenere i processi di innovazione e di apprendimento organizzativo, partecipan-

dovi attivamente.

La valutazione si ispira ai seguenti principi:

a. preventiva comunicazione dei criteri e dei metodi di valutazione adottati;

b. conoscenza dei risultati e dei comportamenti dei valutati;

c. partecipazione dei valutati nella fase di definizione dei criteri e dei metodi;

d. garanzia del contraddittorio in caso di valutazione negativa;

e. comunicazione e discussione dei risultati della valutazione;

f. collegamento tra risultati della valutazione ed azioni formative e di sviluppo;

g. periodicità della valutazione nel corso dell’anno e valutazione finale a fine anno.

I criteri generali e la metodologia di valutazione sono definiti dal nucleo di valutazione e sono adottati, con la

capacità e i poteri del privato datore di lavoro, dal direttore generale, sentita la giunta, nel rispetto delle relazioni

sindacali previste dai contratti collettivi di lavoro.

In coerenza con i principi di cui ai precedenti commi e con i criteri e i metodi di cui al comma 4, il nucleo di

valutazione valuta i direttori di dipartimento e questi ultimi valutano gli altri dirigenti nell’ambito della propria

struttura.

La valutazione dei responsabili di servizio è di competenza del dirigente di settore e si svolge in coerenza con i

principi generali previsti dal presente articolo, nel rispetto dei contratti collettivi di lavoro.

Box 33 Il sistema di valutazione delle prestazioni dirigenziali

I REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE 73

I direttori di dipartimento, nell’ambito dell’incarico conferito e di quanto stabilito dall’art. ..., e fermo restando il

potere di indirizzo della giunta e del direttore generale, esercitano, tra l’altro, i seguenti poteri e competenze:

a) determinano i criteri generali di organizzazione delle strutture del dipartimento secondo le direttive generali

della giunta provinciale e del direttore generale definendo, in particolare, nell’ambito delle stesse direttive, l’o-

rario di apertura al pubblico, l’orario di servizio e l’orario contrattuale di lavoro, informandone le organizza-

zioni sindacali;

...)

Box 34 Definizione delle regole in materia di orari: rinvio ad un successivo regolamento privatistico

• in secondo luogo, il richiamo al “rispetto delle relazioni sindacalipreviste dai contratti collettivi di lavoro”.Proseguendo nell’analisi, il regolamento non dovrebbe occuparsi

di regole che riguardano aspetti peculiari del funzionamento organiz-zativo. Tali regole dovrebbero essere definite:• in un momento successivo, nel quadro delle disposizioni di legge,

statutarie e regolamentari;• dal dirigente individuato come “competente a decidere” dallo stes-

so regolamento (si veda il box 34, che contiene un esempio dinorma regolamentare sulla definizione delle regole in materia diorari);

• con regolamento non pubblicistico (“regolamento aziendale o pri-vatistico”) assunto con la capacità e i poteri del privato datore dilavoro.

Per ulteriori esempi di materie o questioni che dovrebbero essereregolate attraverso regolamenti interni, al di fuori del regolamentosull’ordinamento degli uffici e servizi, si veda il box 35, che contieneuno specifico approfondimento su tale tematica.

Nel box 36, viene invece presentato un esempio di regolamento suorario di lavoro, di servizio e di apertura al pubblico assunto con lacapacità e i poteri del privato datore di lavoro.

74 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

Tratto da Rapporto di ricerca Aran su Monitoraggio sull’esercizio dei poteri del privato datore di lavoro nel comparto

regioni e autonomie locali, a cura di Domenico Di Cocco, Pierluigi Mastrogiuseppe e Rosario Soloperto, pubblica-

to sul sito dell’Aran, www.aranagenzia.it, pagg. da 8 a 10.

Un ulteriore momento, altrettanto significativo, della capacità datoriale privata può essere individuato nella possi-

bilità di formulare regole di comportamento attinenti, in modo particolare, alla gestione dei rapporti di lavoro

contrattualizzati; le relative iniziative potrebbero concretizzarsi attraverso la emanazione di “regolamenti interni o

aziendali”.

Siamo, naturalmente, al di fuori della ipotesi regolamentare pubblicistica di cui al più volte citato art. 2, comma 1,

del D.Lgs. n. 165 del 2001.

Qui siamo invece nel campo più strettamente privatistico della formulazione di indirizzi gestionali, nell’ambito

del potere direttivo riconosciuto al datore di lavoro privato, al fine di disciplinare il corretto svolgimento dei rap-

porti interni all’ente o anche per dare corretta attuazione alle fonti contrattuali nazionali, per gli aspetti non pun-

tualmente definiti dalle stesse fonti.

In altri termini dobbiamo ritenere che la decisione relativa alla adozione di un “regolamento interno” possa e

debba essere esercitata dal dirigente competente, secondo il regolamento pubblicistico degli uffici e servizi, in tutti

i casi in cui, ad esempio, il contratto collettivo di lavoro affida alla autonoma “regolazione” di ogni ente, la appli-

cazione e la gestione di alcuni istituti contrattuali.

Naturalmente si deve trattare di materie non espressamente destinate alla contrattazione integrativa, in quanto, in

questi casi, la fonte regolativa coincide con la stipula del contratto decentrato.

Per molti istituti, infatti, il Ccnl del comparto delle regioni e delle autonomie locali prevede la adozione di uno

specifico atto di regolazione da parte di un soggetto competente, secondo l’ordinamento tipico di ciascun ente

interessato.

Tra questi istituti possiamo, ad esempio, ricomprendere:

a. la disciplina dei criteri e del procedimento per la attivazione delle progressioni verticali o delle selezioni

interne;

b. la regolazione pratica dell’orario di lavoro;

c. il completamento della disciplina sul trattamento di trasferta;

d. i criteri e le procedure per il conferimento delle mansioni superiori;

e. la individuazione e la disciplina delle posizioni organizzative, limitatamente agli enti con dirigenza;

f. le modalità e i criteri per il conferimento, la modifica e la revoca delle posizioni organizzative;

g. la definizione del modello di valutazione permanente del personale;

h. ecc.

In tutti i casi sopra elencati, il contratto collettivo prevede uno specifico modello di relazioni sindacali (informa-

zione preventiva o concertazione) che dovrà essere puntualmente osservato prima della decisione finale del diri-

gente datore di lavoro.

Box 35 Approfondimento sui regolamenti interni assunti con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro

I REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE 75

La natura “aziendale” o “privata” dei regolamenti relativi alle materie sopra indicate si ricava da due ordini di con-

siderazioni.

Il primo si collega alla circostanza che l’art. 2, comma 1, del D.Lgs. n. 165 non ricomprende dette materie tra

quelle che devono essere necessariamente disciplinate da fonti legali (leggi o regolamenti pubblicistici); nel conte-

sto dello stesso decreto legislativo le ulteriori fonti o disposizioni speciali che diversificano il lavoro pubblico da

quello privato riguardano altri e ben individuati istituti (incompatibilità e cumulo di impieghi, procedure seletti-

ve per l’accesso dall’esterno, ecc.).

Il secondo e più pregnante elemento di chiarimento deriva dalla constatazione che gli istituti che abbiamo elenca-

to sono espressione di momenti qualificanti della gestione del rapporto di lavoro che, secondo la disciplina

sulle fonti definita dall’intero art. 2 del D.Lgs. n. 165, è totalmente affidata alla sede della contrattazione collettiva.

In ossequio a tale qualificazione di negoziabilità, il contratto collettivo nazionale ha ritenuto più opportuno, in

talune circostanze, non definire puntualmente ed esaustivamente la regolazione di alcune materie ma ha preferito

affidare la disciplina di dettaglio o di attuazione alla sede locale o attraverso la procedura della contrattazione

integrativa, oppure, come nei casi sopra segnalati, riconoscendo un autonomo potere regolativo alla parte datoria-

le, sia pure condizionata da un preventivo confronto sindacale.

È evidente, peraltro, che in tali casi non può in alcun modo rivivere un potere regolativo pubblicistico che il legi-

slatore riformista ha voluto notevolmente ridurre, limitandone la praticabilità a poche e significative materie.

La fonte contrattuale collettiva nazionale, espressione più elevata della autonomia regolativa di diritto comune,

non ha e non può avere la capacità di individuare e autorizzare l’utilizzo di strumenti regolativi pubblicistiche,

ma, come abbiamo chiarito, può distribuire legittimamente l’esercizio completo dei poteri datoriali privati tra più

centri decisionali, tutti in ogni caso caratterizzati da capacità e poteri di diritto comune.

76 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

ART. 1

OGGETTO

1. Il presente regolamento, adottato con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, ai sensi dell’art. 5,

comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, disciplina i tempi e le modalità della prestazione lavo-

rativa del dipendente.

ART. 2

ORARIO DI SERVIZIO

1. Per orario di servizio si intende il periodo di tempo giornaliero necessario per assicurare la funzionalità degli

uffici e per garantire l’erogazione dei servizi all’utenza.

2. L’orario di servizio del personale dipendente del Comune di …, fatte salve particolari esigenze organizzative, è

articolato su cinque giorni settimanali e due rientri pomeridiani.

ART. 3

ORARIO DI LAVORO

1. Per orario di lavoro si intende la durata della prestazione lavorativa a cui ciascun dipendente è tenuto contrat-

tualmente, nella sua articolazione distribuita nei vari giorni della settimana e nell’ambito dell’orario di servi-

zio.

2. L’orario di lavoro ordinario si articola su cinque giorni la settimana, anche con prestazioni pomeridiane, come segue:

• Dal Lunedì al Venerdì dalle ore … alle ore …

• Martedì-Giovedì dalle ore … alle ore …

ART. 4

ORARIO DI APERTURA AL PUBBLICO

1. Per orario di apertura al pubblico si intende quella parte dell’orario di servizio in cui è possibile l’accesso agli

uffici da parte degli utenti.

2. L’orario di sportello e di accesso del pubblico agli uffici sarà articolato come segue:

Ufficio Protocollo

Tutti i giorni dalle ore … alle ore …

Il Giovedì dalle ore … alle ore …

Tutti gli altri uffici

Il Lunedì, Mercoledì ed il Venerdì dalle ore … alle ore …

Il Giovedì dalle ore … alle ore …

3. Eventuali deroghe, per motivate esigenze di funzionalità dei servizi, saranno definite dai responsabili dei servi-

zi, che avranno cura di provvedere alla necessaria informazione agli utenti.

Box 36 Regolamento in materia di orario di servizio, di lavoro e di apertura al pubblico assunto con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro17

I REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE 77

ART. 5

FLESSIBILITA’

1. L’articolazione dell’orario di lavoro è finalizzata alla flessibilità in entrata e in uscita per tutti i servizi dell’ente

ad eccezione di quelli organizzati in turni e/o ad orario rigido.

2. Al personale dipendente è concessa la flessibilità oraria di … (…) minuti sia in entrata che in uscita: posticipa-

re l’orario di inizio e/o di anticipare l’orario di uscita, anche in occasione del rientro pomeridiano, purché non

vi sia incidenza sugli orari di apertura al pubblico degli uffici.

3. Oltre la fascia di flessibilità autorizzata non è consentito effettuare ritardi rispetto all’orario di lavoro, fatto salvo

che il dipendente non sia stato di volta in volta opportunamente autorizzato dal responsabile del servizio.

4. In ogni caso la fascia oraria di massima operosità nella quale deve essere garantita la funzionalità di tutti gli

uffici comunali è individuata dal seguente arco temporale: dalle ore … alle ore … e nei giorni di rientro dalle

ore … alle ore … Sarà pertanto compito dei singoli responsabili dei servizi organizzare l’orario di lavoro e di

servizio dei propri uffici in maniera che sia garantita la funzionalità nelle suddette fasce orarie

5. Rimane inteso che il dipendente che abbia usufruito dell’istituto della flessibilità sia in entrata che in uscita sarà

comunque tenuto a restituire il tempo eventualmente non lavorato rispetto allo orario ordinario (… o … ore a

seconda che si tratti di giorni di rientro o meno) nell’arco del trimestre successivo a quello di riferimento. Viceversa

le “eccedenze di orario flessibile” rispetto all’orario ordinario, andranno recuperate entro il mese successivo.

6. Per il personale in turnazione con orario rigido è previsto un comporto di cinque minuti in entrata da recupe-

rare comunque nell’arco della stessa giornata lavorativa.

ART. 6

TURNAZIONE

1. Per lavoro a turni si intende quella particolare organizzazione del lavoro in base al quale, dei lavoratori siano

successivamente occupati negli stessi posti di lavoro di altri lavoratori, in un arco temporale di riferimento, al

fine di garantire la continuità nell’erogazione dei servizi a favore degli utenti.

2. I turni possono essere attuati in strutture operative che prevedano un orario di servizio giornaliero di almeno … ore.

3. I turni si distinguono in antimeridiani, pomeridiani e notturni e, nella loro articolazione organizzativa, devo-

no garantire una effettiva rotazione del personale.

4. Spetta al responsabile del servizio predisporre i vari turni, la cui durata può anche essere eccedente le sei ore

giornaliere se più funzionale a garantire la funzionalità del servizio.

5. Il periodo di riferimento per programmare e calcolare la ciclicità dei turni è il mese.

ART. 7

REPERIBILITA’

1. L’istituto della reperibilità consiste nel porre a disposizione di un servizio dell’ente un determinato contingen-

te di personale, che resta disponibile presso il proprio domicilio, in modo da garantire la possibilità di inter-

vento nel posto di lavoro assegnato, nell’arco di trenta minuti, su chiamata telefonica.

2. Il responsabile del servizio interessato stabilisce i turni di reperibilità, su base mensile, con l’indicazione dei

dipendenti tenuti ad effettuarla e individua il modulo del turno da garantire con la pubblicazione degli stessi

in apposito spazio accessibile a tutti.

78 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

ART. 8

ORARIO DI LAVORO PLURISETTIMANALE

1. Ferma restando la disciplina relativa agli orari di apertura al pubblico dei singoli servizi, al fine di limitare il

ricorso a prestazioni di lavoro straordinarie, ai Responsabili dei servizi è consentito, in relazione ai ciclici, ovvero

straordinari purché prevedibili, picchi di attività dei servizi di competenza, modulare l’orario di lavoro di parte

dei propri collaboratori su base mensile, con la più ampia facoltà di articolazione nell’arco della giornata/settima-

na/mese, in relazione alle esigenze del servizio e delle attività programmate, fermo restando l’obbligo contrattual-

mente previsto delle 36 ore di lavoro settimanali su base mensile dei singoli dipendenti a tempo pieno assegnati-

gli. Analogamente, ove possibile, il Responsabile dei servizi potrà procedere, con riguardo ai dipendenti a tempo

parziale assegnatigli, fermo restando il limite orario contrattualmente stabilito nei singoli contratti di lavoro.

2. I singoli responsabili devono, comunque, garantire la presenza contemporanea in servizio, sia numericamente

che per tipologia delle attività di competenza, di personale in grado di fornire un servizio efficace ed efficiente

all’utenza, sia esterna, durante gli orari di apertura al pubblico, che interna, nella fascia oraria compresa tra le

… e le … e, nella giornata di rientro pomeridiano aperto al pubblico, tra le … e le …

3. I responsabili devono concordare con i propri collaboratori le concrete modalità di effettuazione delle prestazioni

lavorative dei medesimi, settimanalmente e/o mensilmente, tenendo conto delle assenze programmate per ferie e, nei

limiti del possibile, delle altre assenze impreviste e imprevedibili, in relazione al programma di attività del periodo.

4. Nel caso di attività per il cui svolgimento si renda necessaria la collaborazione di personale appartenente a ser-

vizi diversi, di competenza di più responsabili, la programmazione delle predette attività sarà disposta dal

Segretario/Direttore Generale d’intesa con i responsabili interessati.

5. Ai responsabili di servizio spetta le periodica verifica della funzionalità dei servizi affidatigli, le conseguenti ed

eventuali opportune correzioni ed il rispetto dell’orario plurisettimanale dei propri collaboratori.

6. L’istituzione dell’orario plurisettimanale, in presenza di una efficace ed oculata programmazione delle attività

da parte del responsabile di servizio e nei periodi dell’anno nei quali viene istituito, deve tendenzialmente ren-

dere estremamente eccezionale, o comunque comportare una riduzione stabile del monte ora annuo per pre-

stazioni di lavoro straordinario del personale assegnato. In ogni caso la relativa autorizzazione all’effettuazione

di lavoro straordinario comporta la necessità di rivedere l’articolazione oraria plurisettimanale dei collabora-

tori interessati in funzione della programmazione delle attività. La gestione di tale strumento e l’efficacia dello

stesso è parte integrante della valutazione del responsabile incaricato di posizione organizzativa.

7. A livello di ente, su iniziativa dell’Amministrazione o della RSU dell’ente, si realizzano incontri tra le parti,

almeno una volta all’anno, finalizzati al monitoraggio dei provvedimenti concernenti orari plurisettimanali

consentiti e dell’andamento delle attività e del ricorso alle prestazioni di lavoro straordinario.

ART. 9

LE PRESTAZIONI DI LAVORO STRAORDINARIO

1. Per prestazioni di lavoro straordinario si intendono tutte le prestazioni rese dal personale dipendente oltre l’o-

rario normale di lavoro.

2. La gestione delle prestazioni di lavoro straordinario è di competenza dei singoli responsabili di servizio che

potranno autorizzarle unicamente per fronteggiare situazioni di lavoro eccezionali e tenendo presente che

tale istituto non può essere utilizzato come fattore ordinario di programmazione del lavoro dei dipendenti

assegnatigli.

3. Il provvedimento di autorizzazione dovrà indicare la motivazione del ricorso alla prestazione di lavoro straor-

dinario, il numero delle ore, nonché i tempi e le modalità di svolgimento della prestazione medesima.

I REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE 79

4. Ogni responsabile di servizio non può chiedere né autorizzare l’effettuazione di prestazioni di lavoro straordi-

narie eccedenti il monte ore complessivo autorizzato, tenendo conto altresì dei limiti contrattuali.

ART. 10

PARTICOLARI ESIGENZE DI SERVIZIO

1. Qualora per improcrastinabili esigenze di servizio il personale sia tenuto ed effettuare il rientro pomeridiano

in giornata diversa da quella indicata per i rientri obbligatori (Martedì e Giovedì), tale rientro, su autorizzazio-

ne del responsabile del servizio, potrà essere ritenuto sostitutivo di quello obbligatorio. Ciò al fine di contenere

al massimo il ricorso a prestazioni di lavoro straordinario.

ART. 11

PERMESSI BREVI

1. Fermo restando il limite delle 36 (trentasei) ore contrattuali annue, i permessi brevi possono essere usufruiti

esclusivamente durante la fascia dell’orario rigido, con le seguenti modalità:

giornata senza rientro: minimo … - massimo …

giornata con rientro: minimo … - massimo …

oppure: minimo … - massimo … al pomeriggio

2. Il recupero dei permessi brevi deve essere effettuato, su disposizione del responsabile del servizio, entro il mese

successivo a quello di fruizione.

ART. 12

RIPOSO E PAUSA

1. Fermo restando la durata normale dell’orario di lavoro, il dipendente ha diritto a undici ore di riposo giorna-

liero consecutivo ogni ventiquattro ore.

2. Qualora l’orario di lavoro giornaliero dovesse eccedere il limite di sei ore, il dipendente deve effettuare una

pausa di dieci minuti. Tale pausa deve essere evidenziata con la “strisciata” del badge e non diminuisce il debi-

to orario nei confronti dell’ente.

3. Il pasto va consumato al di fuori dell’orario di servizio. Relativamente a detta fattispecie, si applicano le norme di cui

al disciplinare per l’utilizzo dei buoni pasto approvato con deliberazione della Giunta comunale n. … in data …

4. Durante l’orario di lavoro, ma al di fuori dell’orario di apertura al pubblico degli uffici, il responsabile del servi-

zio può autorizzare, in via generale e preventiva, la fruizione di un pausa giornaliera della durata massima di …

minuti e per una sola volta durante la giornata lavorativa, per esigenze di carattere personale (pausa caffè, ...).

5. Il personale che usufruisce della pausa di cui al precedente comma, deve segnare sia l'uscita che il rientro con la

“strisciata” del badge e la differenza di orario dovrà essere recuperata previa intesa con il Responsabile di servizio.

ART. 13

RIPOSO SETTIMANALE, FESTIVITA’ E GIORNI FERIALI NON LAVORATI

1. Il lavoratore, ogni sette giorni, ha diritto di fruire di un periodo di riposo di 24 ore consecutive.

80 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

2. La fruizione del riposo settimanale, di regola, coincide con la domenica. Può cadere in altro giorno della setti-

mana, diverso dalla domenica, per il personale impegnato in turni.

3. Il dipendente ha altresì il diritto di non lavorare il giorno del Patrono o qualora una festività ricada in periodo

infrasettimanale. Qualora la ricorrenza del Patrono cada in giorno non lavorativo non potrà essere recuperata

in altro modo.

4. Qualora una prestazione lavorativa venga richiesta per particolari esigenze organizzative al lavoratore spetta, a

richiesta:

a. diritto ad equivalente riposo compensativo, cioè nella stessa misura delle ore prestate in detto giorno, o il

diritto alla corresponsione del compenso per prestazioni straordinarie;

b. Il dipendente ha diritto di non lavorare anche il giorno feriale non lavorativo (ad es. il sabato), salvo che

non vi ostino particolari esigenze di servizio, qualora l’articolazione oraria della sua prestazione lavorativa

sia impostata su cinque giorni.

Tuttavia, in caso di prestazione lavorativa al dipendente, a richiesta, spetta alternativamente:

• diritto ad un equivalente riposo compensativo.

• diritto alla corresponsione del compenso per lavoro straordinario non festivo.

Art. 14

RIDUZIONE DELL’ORARIO

1. Al personale adibito a regimi di orario articolato in più turni o secondo una programmazione plurisettimana-

le è applicata una riduzione di orario fino a raggiungere le 35 ore medie settimanali.

2. La conseguente articolazione oraria settimanale, predisposta dal responsabile del servizio, dovrà conformarsi

alle seguenti tipologie:

a riduzione di … minuti del lavoro ordinario giornaliero, in entrata e/o uscita, per regimi orari articolati su

sei giorni settimanali (… minuti per regimi orari articolati su cinque giorni settimanali);

b. riduzione di … minuti del lavoro ordinario giornaliero, in un giorno prestabilito della settimana, eventual-

mente anche in forma frazionata in entrata e/o uscita;

c. istituzione di un conto individuale per ciascun lavoratore nel quale far confluire le ore eccedenti il limite

orario di cui trattasi. Le ore accantonate nell’arco temporale massimo di tre mesi devono essere utilizzate

in recupero, di norma, entro i tre mesi successivi in misura frazionata non inferiore a … ore. Il recupero

può essere fruito dal dipendente previa richiesta e relativa autorizzazione del responsabile del servizio.

3. L’applicazione delle suddette tipologie sarà concordata dal Responsabile con i lavoratori.

4. La riduzione dell’orario di lavoro non può essere applicata al personale che, per qualsiasi motivo (ferie, malat-

tia, permessi, …), non ha reso la prestazione lavorativa.

ART. 15

ASSEMBLEA SINDACALE

1. I lavoratori hanno diritto di partecipare, durante l’orario di lavoro, ad assemblee sindacali in idonei locali con-

cordati con l’amministrazione, per … ore annue pro capite senza decurtazione della retribuzione.

2. Il soggetto o l’organizzazione che indice l’assemblea deve comunicare, con preavviso scritto di almeno tre

giorni prima dell’evento, la convocazione, la sede, l’orario di inizio e di fine dell’assemblea stessa, l’ordine del

giorno e l’eventuale partecipazione di dirigenti sindacali esterni.

3. Eventuali condizioni eccezionali e motivate che comportassero l’esigenza per l’amministrazione di uno sposta-

I REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE 81

mento della data dell’assemblea devono essere da questa comunicate per iscritto entro … ore prima alle rap-

presentanze sindacali promotrici.

4. I lavoratori che partecipano all’assemblea, sia prima dell’inizio che alla fine, devono strisciare il “badge”, dopo

aver selezionato l’apposita causale.

ART. 16

FERIE

1. Le ferie costituiscono un diritto irrinunciabile per il lavoratore, ragion per cui non è consentita la rinuncia né

in forma espressa né in forma tacita attraverso il non esercizio del diritto.

2. Il diritto alla ferie non è pertanto monetizzabile salvo il caso in cui all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, esse

non siano state fruite dal dipendente per esigenze di servizio congruamente motivate dal responsabile del servizio.

3. Il dipendente ha diritto ad un periodo di ferie retribuito di 32 ovvero di 28 giorni lavorativi, secondo che l’orario set-

timanale della struttura in cui il dipendente presta servizio sia articolato, rispettivamente, in 6 o 5 giorni lavorativi.

Oltre alle ferie i dipendenti godono di 4 giornate di riposo, a titolo di festività soppresse, da fruire nell’anno solare.

4. Al personale neoassunto, per i primi tre anni di servizio, spettano 30 o 26 giorni lavorativi di ferie, con l’ag-

giunta delle 4 giornate di riposo, a titolo di festività soppresse.

5. Per la determinazione dei giorni di ferie spettanti è determinante il criterio dell’articolazione settimanale del-

l’orario di lavoro e non già quello delle ore effettivamente prestate nei singoli giorni della settimana, pertanto

il numero dei giorni spettanti a titolo di congedo ordinario è determinato in riferimento all’orario ordinario

di lavoro che ciascun dipendente è tenuto di norma a prestare settimanalmente, senza tenere conto di situazio-

ni lavorative che, pur di fatto verificandosi, siano ascrivibili ad ulteriori titoli.

6. Il dipendente con rapporto di lavoro a tempo parziale orizzontale ha diritto a un numero di giorni di ferie

pari a quello dei lavoratori a tempo pieno, mentre il dipendente con rapporto di lavoro a tempo parziale verti-

cale ha diritto ad un periodo di ferie proporzionalmente ridotto.

7. Le ferie devono essere fruite su richiesta del dipendente e previa autorizzazione del responsabile del servizio di

appartenenza compatibilmente con le esigenze di servizio e nel rispetto di eventuali turni prestabiliti.

8. Le ferie devono essere fruite, irrinunciabilmente, nel corso di ciascun anno solare di riferimento, anche frazio-

natamente in più periodi.

9. Al fine di garantire il regolare funzionamento dei servizi, il responsabile del servizio deve predisporre, entro il

mese di aprile, il piano ferie.

10. Al dipendente che ne faccia richiesta deve essere comunque assicurato il godimento di due settimane consecu-

tive di ferie nel periodo compreso dal 1° giugno al 30 settembre.

11. In soli due casi è possibile fruire delle ferie nell’anno successivo a quello di riferimento:

a. per indifferibili esigenze di servizio il responsabile del servizio ne può consentire la fruizione entro e non

oltre il primo semestre dell’anno successivo;

b. per motivate esigenze di carattere personale, e comunque compatibilmente con le esigenze di servizio, il

responsabile del servizio può consentire, con specifico provvedimento motivato, il differimento della frui-

zione delle ferie al 30 aprile dell’anno successivo a quello di spettanza.

12. Qualora, alla scadenza del 31 dicembre, il dipendente non abbia fatto richiesta di fruire delle ferie, il responsa-

bile del servizio è tenuto ad assegnare le ferie medesime d’ufficio in modo che vengano fruite entro il 30 aprile

dell’anno successivo a quello di spettanza.

13. I responsabili dei servizi, che per indifferibili esigenze di servizio o personali non abbiano potuto godere delle

ferie nel corso dell’anno, dovranno goderne entro il primo semestre dell’anno successivo. Solo in caso di esi-

genze di servizio assolutamente indifferibili, ponderate e valutate dal Segretario/Direttore Generale per i

82 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

responsabili dei servizi e dal Sindaco per il Segretario/Direttore Generale, tale termine potrà essere prorogato

fino alla fine dell’anno successivo.

14. Le ferie sono sospese da malattie che si protraggono per più di 3 giorni o diano luogo a ricovero ospedaliero. In tali

casi deve essere fornita tempestiva comunicazione all’Amministrazione al fine di poter attivare i dovuti accertamenti.

15. Il lavoratore è tenuto, nella sussistenza dei presupposti di cui sopra, qualora intenda modificare il titolo della

sua assenza da ferie a malattia, alla relativa comunicazione al servizio Risorse finanziarie e Personale. È suffi-

ciente che tale comunicazione avvenga a mezzo posta con preavviso telefonico. Resta salvo il potere da parte

dell’ufficio personale di richiedere alla ASL competente i necessari accertamenti.

16. Per motivate esigenze di servizio le ferie già in godimento possono essere interrotte o sospese con atto privati-

stico del responsabile del servizio di appartenenza del dipendente. In questo caso competono al dipendente

previa esibizione di idonea documentazione:

a. il rimborso delle spese personali di viaggio di rientro al posto di lavoro e del viaggio di eventuale ritorno

nella località delle ferie;

b. l’indennità di missione per la durata del medesimo viaggio;

c. il rimborso delle spese anticipate per il periodo di ferie non goduto.

ART. 17

PERSONALE INCARICATO DELL’AREA DELLE POSIZIONI ORGANIZZATIVE

1. L’incarico di posizione organizzativa non determina alcuna modifica all’obbligazione relativa all’orario di

lavoro che rimane fermo nelle 36 ore settimanali, senza nessuna particolare flessibilità, eccetto quanto previsto

dall’art. 5, comma 2, del presente regolamento.

2. Gli stessi sono tenuti a garantire prestazioni lavorative ulteriori alle 36 ore in relazione agli adempimenti ine-

renti l’incarico di posizione organizzativa.

3. Le eventuali prestazioni eccedenti le 36 ore non sono remunerabili, eccezion fatta per il lavoro straordinario

prestato per le consultazioni elettorali o referendarie.

4. Agli incaricati dell’area delle posizioni organizzative deve, comunque, essere riconosciuto il riposo settimanale

ed, eventualmente, il riposo e la pausa di cui al precedente articolo 13.

ART. 18

UTILIZZO BADGE MAGNETICO

1. L’ingresso al lavoro, l’uscita e qualsiasi altra interruzione della prestazione lavorativa devono essere documen-

tate a mezzo del badge magnetico di cui ogni dipendente è in possesso, mediante la “strisciata” nel terminale

presente nelle sedi di servizio.

2. Il badge è strettamente personale e come tale deve essere utilizzato esclusivamente dalla persona a cui è intestato.

3. Il dipendente che consegni il proprio badge ad altra persona è perseguibile secondo quanto previsto dal codice

disciplinare, fatta salva l’azione penale. Analogamente è perseguibile chiunque timbri con il badge di altri.

4. Entro il cinque del mese successivo a quello di riferimento ad ogni responsabile di servizio è trasmessa copia della

stampa delle “strisciate” del badge del personale assegnato alla struttura a cui risulta preposto, per il controllo del cre-

dito o debito orario degli stessi. Le schede dei responsabili dei servizi sono trasmesse al Segretario/Direttore Generale.

5. In casi di smarrimento o deterioramento del badge è dovere del dipendente richiederne immediatamente la

sostituzione al responsabile del servizio “Risorse finanziarie e Personale”. Al dipendente verrà addebitato il

relativo costo.

I CONTRATTI COLLETTIVI DI LAVORO 83

3.1 I contratti collettivi di lavoro e la formazione delle regole

In questo capitolo viene affrontato il tema dei contratti collettividecentrati di lavoro nell’ottica del management delle regole presenta-ta nel primo capitolo.

Anche in questo caso, come avvenuto nei capitoli precedenti, latrattazione svilupperà gli aspetti giuridici solo e nella misura in cuiessi sono collocabili all’interno della più generale prospettiva del lorocontributo alla creazione di buone regole, quelle cioè che facilitano losviluppo dell’organizzazione e non nell’ambito di valutazioni giuridi-che specificamente tecniche.

Nel primo paragrafo del capitolo cercheremo di chiarire in chemodo i contratti decentrati costituiscono un elemento di sviluppodi buone regole per l’innovazione organizzativa aziendale, succes-sivamente nel secondo paragrafo si approfondiranno le problema-tiche del contratto cercando di capire quali regole esso può ragio-nevolmente contribuire a sviluppare. Nei paragrafi successivi sianalizzeranno e descriveranno le modalità per fare buone regolecontrattuali, ciò attraverso l’analisi delle procedure e dei criteriper lo sviluppo dell’attività negoziale in sede di contrattazioneaziendale.

Per comprendere il ruolo del contratto decentrato in termini disua capacità strutturale di creare buone regole occorre partire inprimo luogo dalla comprensione della natura stessa del contratto col-lettivo aziendale nel contesto pubblico.

Da questa analisi dobbiamo chiederci, in particolare, se e come ilcontratto collettivo decentrato può essere un luogo in cui si produco-no buone regole di organizzazione1.

In prima approssimazione le regole contrattuali sono regole checoncernono esclusivamente le modalità di utilizzo e retribuzione delfattore lavoro e per loro natura tendono a definire, in via negoziale, iconfini entro i quali si può esercitare il potere di organizzazione deldatore di lavoro.

3. I contratti collettivi di lavoro

1. Il termine organizzazio-ne è qui inteso in sensolato, cioè di assetto orga-nizzativo, il quale è datodalla struttura organizzati-va, dai sistemi operativi edalla cultura organizzativa.

84 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

Le capacità ed i poteri datoriali, come noto attribuiti alla dirigenzain base all’art. 5 del D.Lgs. 165/01, sono esercitati, conseguentemente,nell’ambito dei principi espressi dall’ordinamento degli uffici e deiservizi e nei limiti definiti dal sistema contrattuale, vale a dire dalcontratto collettivo nazionale e da quello integrativo.

Occorre poi considerare che si opera in un contesto pubblicocaratterizzato da alcuni importanti peculiarità in particolare:a. il sistema di responsabilizzazione e di incentivi del datore di lavo-

ro pubblico è strutturalmente più debole di quello del datore dilavoro privato, in particolare il datore di lavoro pubblico nonmette in gioco il proprio reddito. Chi paga i costi contrattuali(cioè la collettività) non gestisce e chi gestisce non paga;

b. la necessaria separazione tra organo di indirizzo ed organi di gestio-ne fa si che gestire il processo negoziale, che si sviluppa sempre subasi economiche, tecniche e politiche sia più complicato rispetto asituazioni di maggiore concentrazione dei soggetti;

c. la necessità di controllare i soggetti aziendali nell’utilizzo deldenaro pubblico pone vincoli aggiuntivi rispetto a quelli classicidella contrattazione integrativa, all’attività negoziale dei tavolipubblici, in particolare quello della nullità delle clausole contrat-tuali non coerenti con il contratto nazionale.In pratica la contrattazione collettiva aziendale nel settore pubbli-

co si sviluppa all’interno di un campo ben delimitato (che saràmeglio precisato nel paragrafo successivo) di materie, principalmentedi tipo retributivo secondo modalità precisamente espresse dal con-tratto nazionale. Nonostante la delimitazione dello spazio negoziale ilgoverno del processo negoziale ai fini del perseguimento delle strate-gie di sviluppo organizzativo dell’ente è comunque particolarmentecomplesso stante le peculiarità e, in fondo, le debolezze, del datore dilavoro pubblico.

All’attività di contrattazione collettiva si aggiunge poi l’attività dinatura partecipativa, prima fra tutte la concertazione con le parti sin-dacali. Tale attività come noto non produce regole contrattuali, macostituisce semplicemente una modalità tecnica di confronto su mate-rie che sono specifica responsabilità datoriale e che quindi sarannoregolate nell’ambito dei regolamenti aziendali di carattere privatistico,ovvero norme di fonte datoriale.

In entrambi i casi si producono regole negoziate, tuttavia ciò checambia è la forza di tali regole, giuridica nel caso di norme contrat-tuali nelle quali le due parti hanno impegni reciproci giuridicamentesanciti, morale nel caso di norme concertate.

All’interno del contesto ora sinteticamente descritto le funzionidei contratti di lavoro decentrato sono in prima approssimazione lestesse dell’ordinamento degli uffici e dei servizi analizzati nel capitoloprecedente, vale a dire:• la funzione di definizione delle strategie di fondo in termini di

politica del personale;

I CONTRATTI COLLETTIVI DI LAVORO 85

• la funzione di chiarificazione e trasparenza delle regole di governodella risorsa umana;

• la funzione di completamento ed integrazione delle fonti normativedi ordine superiore, in particolare del contratto collettivo nazionale.Dal punto di vista regolamentare infatti il contratto decentrato

come produttore di regole scritte è uno strumento funzionalmentemolto simile, si potrebbe dire parallelo, al regolamento degli uffici edei servizi. Semplificando si può dire che il primo si occupa di perso-nale, l’altro di organizzazione. A distinguere i due strumenti sono tut-tavia le materie e le fonti giuridiche di riferimento.

Proprio la diversità di fonti e di materia, ed il conseguente fattoche l’attività contrattuale è prodotta attraverso un processo negozialedi tipo dialettico con una controparte portatrice di interessi propri,rende tuttavia molto diversi i due strumenti di regolazione.

Ciò che cambia è in sostanza il fatto che con il processo negoziale(al contrario di quanto accade nei regolamenti) il confronto con lacontroparte rende possibili diversi risultati negoziali, in termini diopzioni di contemperamento degli interessi delle parti, è ciò rendemolto complesso (e talora impossibile) il governo della contrattazio-ne aziendale intesa come strumento di creazione di buone regole,ovvero come fonte di regolazione utile ai fini dello sviluppo organiz-zativo dell’Amministrazione.

In altri termini l’attività negoziale decentrata mette in gioco, comeposta negoziale, il potere organizzativo del datore di lavoro, nelrispetto dei vincoli del contratto nazionale.

Il contratto migliore dal punto di vista delle regole di organizza-zione, in un contesto come quello pubblico, che noi ora definiremo“contratto organizzativo”, è quello che attraverso il processo negozialeriesce a rendere congruenti i limiti (im)posti al datore di lavoro con lecapacità manageriali e di leadership dello stesso. È in pratica quelcontratto che pone i giusti limiti al datore di lavoro, non lasciandolotroppo libero in assenza di mezzi e di strumentazioni manageriali, nélo vincola troppo, fino, nei casi peggiori, a inibirne totalmente l’auto-nomia attraverso clausole contrattuali che creano applicazioni auto-matiche degli istituti contrattuali e che conseguentemente sostituisco-no totalmente la discrezionalità manageriale e ne frustrano ognivolontà di responsabilizzazione rispetto ai risultati da perseguire.

Nella pratica quindi il “contratto organizzativo” aziendale dovreb-be trovare il migliore equilibrio tra autonomia manageriale e capacitàdi governo del sistema. Un contratto di questo tipo consente all’entedi definire un quadro condiviso di regole e di criteri per la gestionedel personale, che verranno poi applicati dal management aziendaleall’interno di fisiologici livelli di discrezionalità manageriale, coerenticon gli strumenti e le capacità in possesso dal management stesso.

I risultati negoziali possono tuttavia portare a diverse tipologie di con-tratto, o di singole clausole, oltre a quelli di carattere organizzativo (si vedafigura 1), ogni tipologie delle quali ha un preciso senso negoziale, quali2:

2. La classificazione diseguito descritta è ripresada un’idea del Prof.Antonio Viscomi, che lapresentò con alcuni lucidiad un convegno organizza-to dall’Aran.

86 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

• contratto o clausole distributivo/e (alto controllo sindacale, bassadiscrezionalità datoriale, elevato livello di automatismi). In questocaso le clausole contrattuali vengono strutturate in modo da garan-tire a priori determinati risultati distribuitivi tra i dipendenti. Inquesto caso si lasciano assai pochi spazi per la gestione, dominanogli automatismi retributivi, prevale la soddisfazione dei microinte-ressi corporativi ed al management viene tolta ogni possibilità auto-noma di gestione del personale. Esso infatti si limiterà ad applicaresenza alcuna discrezionalità le diverse clausole contrattuali.Contratti di questo tipo nascono evidentemente non solo dal poterenegoziale del sindacato (peraltro tali contratti spesso trattanocomunque materie previste dal Ccnl) ma anche da una diffusa sfi-ducia da parte delle diverse componenti interne all’ente delle capa-cità e/o delle possibilità di esercitare da parte della dirigenza unaefficace azione di management all’interno dell’ente stesso.

ART. 17 PROGRESSIONE ORIZZONTALE ALL’INTERNO DELLA CATEGORIA ECONOMICA

(ART.5 C.2, ART.14 C.3, ART.16 C.1, C/N) (ART.4,C.3, C/A) (ART.15 C/N)

1. Criteri di gestione

Le parti concordano che vanno preventivamente assegnate le risorse annualmente a disposizione, e ricordano che

dal 01.01.2001 il costo non potrà superare il valore della media ponderata per ogni categoria.

Piano di sviluppo: l’Amministrazione si impegna ad attuare annualmente il piano di sviluppo all’interno delle

categorie sulla base dei criteri di seguito elencati:

a. inserimento di indicatori per la misurazione delle performance e prevalenza del risultato della valutazione

rispetto agli altri fattori;

b. consentire la partecipazione alla selezione partendo da un requisito minimo di accesso di n. 2 anni di servizio

nel Comune di … e n. 2 anni di inquadramento nella categoria e nella singola posizione economica;

c. inserire l’elemento della formazione all’interno del criterio denominato “arricchimento professionale” conside-

randolo un fattore di crescita professionale, tenendo conto della corretta programmazione della formazione

all’interno dell’ente.

Scopo ed obiettivi: la progressione economica all’interno della categoria è finalizzata, in forma selettiva e di meri-

to, a riconoscere le aumentate competenze ed impegno che i lavoratori hanno acquisito nel tempo e manifestato

concretamente sul lavoro all’interno della categoria di appartenenza.

Periodicità: si stabilisce che l’effettuazione delle selezioni necessarie a dare attuazione ai percorsi di sviluppo, com-

patibilmente con i fondi stanziati a tal fine, avrà cadenza annuale.

2. Definizioni

Ai fini dell’applicazione dei criteri di cui al presente articolo, si definiscono in:

a. esperienza acquisita: si intende per esperienza acquisita quell’insieme di capacità ed abilità, non necessaria-

mente legate ad una specifica capacità correlata ad un profilo, ma legate all’insieme delle esperienze maturate

nell’arco della carriera. Lo strumento per valutarla è il curriculum professionale di ogni soggetto in relazione

alle varie attività relative al profilo svolte nel tempo all’interno e all’esterno dell’ente;

Esempio di clausola distributiva

I CONTRATTI COLLETTIVI DI LAVORO 87

b. arricchimento professionale: per arricchimento professionale si intende l’aver dimostrato capacità di sostituire

colleghi di categoria superiore, dimostrabili con gli atti formali dell’ente di appartenenza e solo per i periodi

ammessi dalla legge. Rientrano nel concetto di arricchimento professionale i titoli di studio acquisiti, oltre ai

titoli derivanti dalla partecipazione con esito finale positivo a corsi d’aggiornamento su materie che abbiano

specifica attinenza alle mansioni svolte. Questi ultimi vengono valutati a partire dall’introduzione del credito

formativo annuale e comunque a partire dal 1.1.2001;

c. valutazione delle prestazioni: a tal fine si fa riferimento al sistema di valutazione definito dal vigente Ccnl.

La valutazione deve avere lo scopo di orientare e migliorare le prestazioni in un processo continuo e artico-

lato che deve coinvolgere in un impegno costante tutto il personale dell’ente, a prescindere dall’inquadra-

mento in una categoria piuttosto che in un’altra. Le progressioni orizzontali devono premiare quei soggetti

che più connotano la loro prestazione in termini di valore aggiunto rispetto agli obiettivi non solo gestiona-

li, ma soprattutto strategici dell’ente. La valutazione viene effettuata dal Dirigente di settore cui è assegnato

il dipendente.

Modalità di attribuzione dei diversi punteggi

Premesso che per accedere alla selezione finalizzata alla progressione economica i candidati devono essere in pos-

sesso di un requisito minimo di accesso di n. 2 anni di servizio presso il Comune di … e n. 2 anni di inquadra-

mento all’interno della categoria e della singola posizione economica; si definiscono le modalità di attribuzione

dei punteggi come segue:

• esperienza acquisita (punti da 0 a 5);

• il servizio prestato nella medesima categoria viene valutato 0.2 punto per anno;

• il servizio prestato nelle categorie immediatamente inferiori viene valutato 0,1 per anno;

• per i dipendenti provenienti da altre Amministrazioni, il servizio viene valutato con gli stessi criteri, avendo

riguardo alla corrispondenza del profilo precedentemente ricoperto;

• arricchimento professionale (punti da 0 a 5);

• si valuta la capacità di sostituzione di profili professionali della categoria superiore (max 0,1 punto per anno,

rapportati al periodo svolto).

Vengono valutati i seguenti titoli di studio posseduti al momento della selezione:

• laurea 1,00 punto;

• diploma di laurea (laurea breve) 0,75 di punto;

• diploma di maturità 0,50 di punto;

• diploma specializzazione statale o equiparato (2 o 3 anni) 0,25 di punto;

• specializzazione post-laurea 0,25 di punto.

La partecipazione ad attività formative interne ed esterne all’ente (corsi di aggiornamento) su materie aventi spe-

cifica attinenza alle mansioni ricoperte dal dipendente viene valutato 0,1 punti per ogni corso con almeno 20 ore

di frequenza con esito positivo fino ad un massimo di 2 punti.

Valutazione della prestazione (punti da 1 a 5)

La valutazione delle prestazioni viene effettuata sulla base del sistema di valutazione definito ai sensi del vigente

Ccnl, come determinato dalle schede di valutazione sotto riportate.

La verifica delle prestazioni individuali conduce alla formulazione di giudizi in merito agli obiettivi assegnati ed ai

risultati raggiunti: il Dirigente considererà le capacità dei dipendenti utilizzando il complesso dei parametri indi-

viduati.

Tali parametri sono differenziati in base all’appartenenza ad uno dei seguenti gruppi di posizioni economiche:

1° gruppo: passaggi da A.1 a A.2, da A.2 a A.3, da A.3 a A.4, da B.1 a B.2, da B.2 a B.3;

88 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

2° gruppo: passaggi da B.3 a B.4, da B.4 a B.5, da B.5 a B.6, da C.1 a C.2, da C.2 a C.3;

3° gruppo: passaggi da C.3 a C.4, da D.1 a D.2, da D.2 a D.3, da D.3 a D.4, da D.4 a D.5.

Ad ogni gruppo di posizioni economiche corrispondono differenti elementi di valutazione e per ogni elemento

sono indicati i giudizi sintetici ed a ciascun giudizio è correlato il punteggio da attribuire.

Al 1° gruppo corrispondono i seguenti parametri di valutazione (elementi di valutazione, giudizi sintetici e pun-

teggio).

1. IMPEGNO

(capacità di comprendere le istruzioni relative al lavoro e di valutare esattamente fatti e situazioni; capacità di ese-

guire il lavoro con attenzione, sollecitudine e cura).

Sulla base dell’analisi della capacità del dipendente di comprendere le istruzioni relative al lavoro, di valutare esat-

tamente fatti e situazioni, di eseguire il lavoro con attenzione, sollecitudine e cura, è attribuito il punteggio corre-

lato al seguente giudizio sintetico:

Punti Giudizio

5 Comprende molto bene e rapidamente istruzioni e metodi di lavoro anche complessi. Sa cogliere gli aspetti

più importanti dei problemi. Apprende facilmente lavori diversi dai propri abituali. Lavora con notevole scru-

polo, precisione e sollecitudine anche in caso di notevoli carichi di lavoro.

4 Comprende normalmente istruzioni e metodi di lavoro. Di solito non ha bisogno di spiegazioni. Afferra con

semplicità l’essenziale dei problemi. Lavora con sollecitudine, si verificano eccezionalmente errori ed impreci-

sioni di lieve rilevanza.

3 In genere comprende abbastanza bene le istruzioni di ordinaria difficoltà; a volte necessità di spiegazioni.

Coglie l’essenziale dei problemi quando gli è fatto notare. Di rado è necessario intervenire per correggere erro-

ri ed imprecisioni nell’esecuzione del lavoro.

2 Non sempre riesce a comprendere in modo corretto le istruzioni. Talvolta ha difficoltà a comprendere fatti e

situazioni. In genere lavora in modo soddisfacente, gli errori sono di lieve entità.

1 Necessità di istruzioni dettagliate. Lavora con mediocre precisione.

… Prosegue poi nella descrizione puntuale dei diversi fattori di valutazione per diversi gruppi …

Successivamente il contratto precisa la pesatura dei punteggi per l’attuazione del sistema di progressione orizzon-

tale: per esempio per i passaggi da b2 a B3 peso 3 esperienza, peso 0,5 arricchimento professionale e peso 1,5 la

valutazione.

Infine vengono definite le procedure ed altre norme per l’attivazione delle progressioni. Per esempio la clausola

prevede che:

Una volta determinate le graduatorie per ogni categoria, verranno effettuati i passaggi in sequenza, sulla base delle

risorse disponibili, e comunque tenendo conto del limite previsto dall’art.16 comma 2 del C/A, dal 01.01.2001.

In caso di parità in graduatoria, saranno reperite le necessarie risorse per la progressione di tutti gli interessati.

La selezione sulla base dei criteri individuati, verificati con la Parte sindacale preventivamente all’attuazione della

selezione stessa, sarà svolta normalmente con riferimento al 31 dicembre di ogni anno, pubblicata entro e non

oltre il 31 gennaio dell’anno successivo, a cura dell’Ufficio Personale.

Eventuali contestazioni potranno essere rivolte entro 15 giorni alla Commissione per i ricorsi appositamente isti-

tuita di cui al precedente art. 16, la quale avrà 15 giorni di tempo per decidere sul ricorso; entro la fine di febbraio

le graduatorie divengono definitive. La competenza della Commissione consiste, previo tentativo di conciliazione,

I CONTRATTI COLLETTIVI DI LAVORO 89

nel proporre eventuali provvedimenti di rettifica da parte del Dirigente.

L’attivazione del nuovo sistema di progressione orizzontale, potrà richiedere delle correzioni che le parti possono

introdurre a partire dal 1.1.2001.

Un altro esempio di contratto distributivo è il seguente:

2. PROGRESSIONI ECONOMICHE ORIZZONTALI

2.1 Prima progressione

Spetta una progressione economica a tutti i dipendenti in relazione ai processi di riorganizzazione avvenuti negli

ultimi anni, di quello in corso e del riconoscimento dello sviluppo professionale rapidamente in evoluzione anche

a seguito della consolidata attività di formazione già svolta. Tale progressione spetterà al personale in servizio al

Comune di … alla data di decorrenza dello scatto, che abbia una anzianità di servizio di almeno un anno al

31.12.1999 maturata all’interno della pubblica amministrazione.

Per pubblica amministrazione si rimanda alla definizione di cui all’art. 1, 2° comma, D.Lgs. 29/1993. Al fine del

computo dell’anno di anzianità si ritiene utile il servizio prestato – anche con soluzione di continuità – in rappor-

ti di lavoro sia a tempo indeterminato, sia a tempo determinato. Si assimilano altresì all’anzianità di servizio i

periodi di lavoro prestato all’interno dei Lavori Socialmente Utili.

Da tale progressione sono comunque esclusi i dipendenti che negli anni 1998 e 1999 abbiano conseguito una

valutazione consecutiva “insufficiente”. La valutazione di “insufficiente” che inibisce la possibilità di progressione,

deve essere stata formulata nel pieno rispetto delle regole procedurali vigenti.

Lo scatto spetta in relazione alla categoria di inquadramento alla data di decorrenza dello scatto medesimo.

La decorrenza di tale scatto è dal 1° gennaio 2000.

2.2 Seconda progressione

Spetta una seconda progressione economica a tutti i dipendenti in possesso dei requisiti sotto indicati a seguito

della frequenza ad uno o più corsi per un numero complessivo di ore di formazione diversificato per categoria di

appartenenza:

A-B 20 ore

B3 da 30 a 40 ore

C da 50 a 60 ore

D1-D3 da 65 a 80 ore

Tale progressione spetterà al personale che abbia maturato almeno un anno di servizio nella categoria al 1° luglio

2000 per le categorie A, B1, B3; 1° ottobre 2000 per le categorie C, D1, D3. L’anzianità nella categoria deve essere

stata maturata nel Comune di … all’interno di rapporti di lavoro a tempo indeterminato.

Lo scatto spetta in relazione alla categoria di inquadramento alla data di decorrenza dello scatto medesimo.

La progressione avrà luogo, dalla decorrenza prevista e sottoindicata, al termine della frequenza al/ai corsi con

relativa attestazione di “esito positivo”.

Ciascun dipendente dovrà frequentare attivamente i corsi programmati dalla Amministrazione nella misura mini-

ma dell’80% delle ore di presenza sul totale della durata del corso e partecipare alla verifica finale sul grado di

raggiungimento dell’obiettivo formativo.

In assenza di segnalazioni negative, formulate per iscritto nella relazione finale dei docenti, la presenza alle lezioni

e alla verifica finale costituiranno titolo sufficiente per l’acquisizione del secondo scatto.

Saranno individuate soluzioni per garantire casi particolari di assenza quali malattia, maternità, motivi indifferi-

bili di servizio attestati dal dirigente con ordine di servizio.

90 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

La decorrenza dello scatto è individuata nel: 1° luglio 2000 per i dipendenti inquadrati nelle Cat. A - B - B3

1° ottobre 2000 per i dipendenti inquadrati nelle Cat. C - D - D3. La progressione non avrà luogo per quei dipendenti

che negli anni 1999 e 2000 conseguano una valutazione consecutiva di “insufficiente”. La valutazione di “insufficiente”

che inibisce la possibilità di progressione, deve essere stata formulata nel pieno rispetto delle regole procedurali vigenti.

Il complessivo processo formativo deve terminare entro il 30 novembre 2001. Le parti si impegnano a verificare

entro giugno 2001 l’andamento della formazione anche al fine di individuare eventuali integrazioni o correttivi

che si rendessero necessari per assicurare in ogni caso il rispetto della data fissata di comune accordo onde dar

luogo alla corresponsione del secondo scatto.

Si precisa che il piano di formazione possa prevedere anche la necessità che parte della formazione si svolga al di

fuori dell’orario di lavoro. In tal caso sarà consentito al dipendente optare per la “tesaurizzazione” delle ore ecce-

denti nella Banca delle Ore (art. 38 bis coda contrattuale nazionale) oppure per la corresponsione di una inden-

nità che verrà stabilita nel seguito della trattativa.

Figura 1 Possibili esiti del processo negoziale

Materia di autonomia decisionale del datore di lavoro

Livello automatismidecisionali

Controllo

sindacale

MATERIEDI CONTRATTAZIONE

ZONANEGOZIALE

POTEREDATORIALE

•Clausole

distributive

•Clausole invasive

•Clausole

organizzative

•Clausola

discrezionale

•Clausole

di principio

•Clausole

di controllo

basso

alto

alto

alto

• contratto o clausola invasivo/a (alto controllo sindacale, materiadi autonomia datoriale con alti livelli di automatismo). In questocaso il contratto firmato contiene molte invasioni di campo rispet-to all’assetto dei livelli di relazioni sindacali, lo spazio negozialeaumenta di conseguenza a dismisura. È questo per esempio il caso

I CONTRATTI COLLETTIVI DI LAVORO 91

di quegli enti che hanno inserito nel contratto aziendale clausolenulle relative a materie di carattere giuridico, come per esempiohanno ampliato le materie della contrattazione decentrata, oppurehanno inserito nel contratto clausole relativa a materie di organizza-zione, tutt’al più concertabili nei principi generali, quali per esempioi sistemi specifici di valutazione delle prestazioni, i profili professio-nali o, in alcuni casi le dotazioni organiche, ecc. In questa situazionelo spazio gestionale dei dirigenti è quindi eroso in modo moltosignificativo, talora a dismisura, quando non solo sono contrattatematerie che chiaramente rientrano nell’autonomia datoriale, maaddirittura ne vengono dettati in modo preciso i contenuti applicati-vi specifici. In questo caso, al di là del problema della eventuale nul-lità delle clausole contrattuali si crea il rischio di una sorta di neo-corporativismo se non di vere e proprie pratiche congestionate, chese possono essere utili al fine della gestione quotidiana sono sicura-mente problematiche in termini di sviluppo organizzativo.

Un caso classico di “invasione di campo” si ha con la produzione di clausole contrattuali che trattano materie pre-

cluse al contratto decentrato e che quindi sono clausole nulle.

Di seguito si riporta la clausola di un contratto che inserisce tra le materie oggetto di contrattazione decentrata

anche l’organizzazione del lavoro.

ART. 6

CONTRATTAZIONE

Sono oggetto di contrattazione le materie previste dall’art. 4 del Ccnl, in particolare:

a. criteri per la ripartizione e destinazione delle risorse finanziarie ai fini della produttività, ordinamento profes-

sionale, posizioni organizzative, indennità, straordinario, ecc. (art. 15 e art. 17 Ccnl/Apr. 99);

b. criteri generali del sistema di incentivazione del personale (produttività);

c. programmi annuali e pluriennali relativi alla formazione professionale, riqualificazione del personale;

d. linee di indirizzo e criteri per migliorare l’ambiente di lavoro in applicazione della L. 626/94, della L. 104/92 e

delle norme vigenti;

e. qualità del lavoro, professionalità dei dipendenti in conseguenza d’innovazioni tecnologiche o riassetti organizzativi;

f. pari opportunità;

g. modalità e verifiche per l’attuazione della riduzione dell’orario di lavoro (35 ore);

h. criteri per le politiche dell’orario di lavoro;

i. disciplina del part-time;

j. risorse, criteri, modalità relative all’applicazione delle progressioni economiche all’interno di ogni categoria e

per le progressioni verticali;

k. organizzazione del lavoro e esternalizzazioni;

l. servizi sociali riferiti ai dipendenti;

m. mensa.

Gli incontri relativi alla contrattazione si svolgono preferibilmente fuori orario di lavoro.

92 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

• contratto o clausola di controllo (alta autonomia datoriale, altocontrollo sindacale, basso livello di automatismi), che è una varia-zione del contratto o della clausola invasivo/a. In questo caso sihanno infatti contratti di lavoro che trattano materie non contratta-bili, quali alcuni istituti giuridici o elementi rilevanti dell’organizza-zione del lavoro, ma si limitano a dettare al datore di lavoro gliorientamenti generali entro i quali deve muoversi la propria azione.

Altri casi tipici di contratti interi di natura invasiva si trovano soprattutto nei comuni di piccole dimensioni dove

spesso avviene che si contratti direttamente la soluzione organizzativa o addirittura avviene che vengano inseriti nel

contratto i nomi dei beneficiari di determinati emolumenti anche se a natura variabile. La spiegazione di tale fenome-

no è data dal fatto che il numero estremamente limitato di personale operante rende le regole scritte molto ridondanti

in quanto sempre si legge in controluce i soggetti beneficati o danneggiati delle clausole contrattuali stesse.

Per esempio nella recente tornata contrattuale è spesso accaduto un fenomeno che potremmo definire della “con-

certazione contrattata”. In pratica i medesimi soggetti che erano nel tavolo negoziale trattavano indifferentemente

materie da contrattare e materie di tipo concertativo, salvo il fatto che al fine di rispettare, almeno nella forma, i

vincoli del Ccnl, in allegato al contratto collettivo decentrato mettevano un verbale di concertazione che trattava

materie datoriali sviluppando tuttavia i contenuti non sulla base di automatismi ma con clausole più generali, in

grado comunque di influenzare il datore di lavoro.

Per esempio: un ente ha prodotto il seguente accordo, la cui natura di contratto o di verbale concertativo è di dif-

ficile comprensione, concernente materie di prerogativa datoriale, come la dotazione organica della dirigenza, sta-

bilendo numero e tempistica di assunzione.

VERBALE DI ACCORDO RELATIVO A: DOTAZIONE ORGANICA, FABBISOGNO E ASSUNZIONI

La delegazione di parte pubblica composta da:

Direttore Generale

Direttore Servizio Centrale Risorse Umane

e la delegazione sindacale aerea dirigenziale composta da:

DIRCOM

CGIL FP

CISL FPS

UIL FPL

Visto l’art. 6, del CIA;

Visti gli esiti dei momenti di approfondimento cui hanno partecipato le OO.SS.: DIRCOM, CGIL FP, CISL

FPS, UIL FPL, (Area dirigenza) le parti dichiarano chiusa la concertazione, pervenendo al seguente accordo:

I CONTRATTI COLLETTIVI DI LAVORO 93

• Contratto e/o clausole di principio (alta discrezionalità datoriale,basso controllo sindacale, bassa discrezionalità). E questo il casodelle clausole di natura programmatica inserite nei contratti azien-dali, la cui efficacia per l’attività aziendale è di solito dubbia, ma chepossono avere una certa utilità negoziale in quanto il loro scopo èspesso quello di creare i presupposti per affrontare eventuali futurenegoziazioni sulla base di linee generali precedentemente tracciate.

• Contratto o clausola discrezionale (bassa discrezionalità datoriale,basso controllo sindacale, bassi automatismi). In questo caso avvieneche materie di natura tipicamente contrattuale (come per esempio lematerie retributive) sono regolate in modo sommario in maniera dalasciare ampia discrezionalità al datore di lavoro anche su questionidi solito molto regolate (come per esempio la retribuzione). Questaiporegolazione nella gestione del personale ha effetti positivi nella

Dotazione organica

Viene approvata la dotazione organica della dirigenza, che è definita in 191 unita, avrà validità fino al 30.6.2006.

Fabbisogno

Il fabbisogno previsto per gli anni 2002/2003 è di 20 unità.

Assunzioni

L’amministrazione si impegna ad assumere:

n. 9 dirigenti dell’area Amministrativa;

n. 4 dirigenti area tecnica.

Le procedure di assunzione avranno presumibilmente le seguenti tempistiche:

Settembre/ottobre 2002 presentazione delle nuove posizioni dirigenziali;

Ottobre/novembre bando;

Novembre/dicembre selezione;

Febbraio/maggio corso di formazione;

Dal giugno 2003 nomine.

Un altro caso è il seguente:

ART. 30

NUOVA STRUTTURA DEI PROFILI PROFESSIONALI CONSEGUENTE ALL’APPROVAZIONE

DEL CCNL DEL 31.3.1999 – ORDINAMENTO PROFESSIONALE (ART. 3 - COMMA 6)

Si rinvia all’accordo contenuto nella deliberazione della Giunta Comunale n. 218/23007 del 9.5.2000 – riportata

in allegato – che modifica ed integra la deliberazione della G.C. n. 925/484 del 24.12.1999 relativa alla individua-

zione dei profili professionali.

Non si capisce infatti perché nel contratto occorra richiamare e inserire una delibera di giunta.

94 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

misura in cui si ha un management in grado di agire in modo tra-sparente ed equo attraverso adeguate strumentazioni tecniche di tipomanageriale, più spesso tuttavia essa è causa di tensioni operative edorganizzative in quanto in situazione complesse, spazi di discrezio-nalità eccessiva del management possono creare situazioni di conflit-to e di difficile controllo del sistema organizzativo.

• Contratto e/o le clausole organizzativo/e In questo caso si tratta dimaterie fisiologicamente inserite nello spazio negoziale definito dalcontratto nazionale, regolate con un mix di autonomia/automatismoche crea una giusta tensione organizzativa. Ne consegue che la contrat-tazione viene impiegata come risorsa organizzativa, dentro un quadrodi regole e criteri condivisi. In questo caso nell’ambito di materie digestione del personale in sede contrattuale, nell’ambito di un certospazio negoziale correttamente delimitato, vengono posti vincoli più omeno stringenti al datore di lavoro in coerenza con le risorse manage-riali in possesso dell’amministrazione. Tutto ciò permette quindi dinon “bruciare” alcuni strumenti di gestione (formazione, valutazione,

In un ente locale il processo negoziale ha portato ad una composizione per la quale a fronte delle risorse per la

produttività collettiva in gran parte distribuite a pioggia (sulla base di categoria e presenza in servizio), vi era

un’altra clausola contrattuale che prevedeva l’erogazione della produttività individuale senza particolare regole da

rispettare da parte del datore di lavoro. Tale clausola contrattuale recitava infatti:

“la produttività individuale di cui all’art 17 del Ccnl 31.3.99 verrà attribuita nel rispetto dei seguenti criteri:

l. non deve superare un importo di euro 4.200 per ciascun dipendente;

2. può essere utilizzata:

a. per compensare attività di particolare impegno valutate a consuntivo dal dirigente compente;

b. per compensare l’impegno in attività tendenti a migliore l’efficienza del servizio;

c. per compensare iniziative individuali, concordate preventivamente con il dirigente di servizio, per proporre

e realizzare soluzioni innovative o migliorative dell’organizzazione del lavoro, all’interno della propria

struttura.

3. l’utilizzo della produttività verrà portata a conoscenza, a consuntivo, delle OO.SS.”

Questa clausola contrattuale, ad evidenza, dava molta libertà al datore di lavoro, tuttavia operava nella concreta

realtà organizzativa dell’ente in assenza pressoché totale di adeguati sistemi di valutazione del personale e con

poca trasparenza, creando quindi malumori diffusi all’interno della struttura.

In sostanza il contratto decentrato in questione sviluppando un processo negoziale “a pendolo” a trovato l’accor-

do tra due opzioni estreme, sviluppando, per l’appunto, un pendolarismo tra regole che toglievano discrezionalità

alla dirigenza e regole che ne attribuivano troppa, mettendo in entrambi i casi in tensione il sistema organizzativo.

Le regole erano ovviamente e forzatamente applicate ma non erano buone regole in quanto non producevano un

cambiamento voluto ma solo tensioni interne sia organizzative che istituzionali. Tutto ciò, alla fine, va a detri-

mento dello sviluppo organizzativo dell’ente. Infatti coloro che in esso operano non tardano a convincersi che il

sistema di valutazione è qualcosa di soggettivo e arbitrario.

I CONTRATTI COLLETTIVI DI LAVORO 95

retribuzione variabile e di posizione, carriere, ecc.) attraverso applica-zioni inique e poco trasparenti, ma, al contrario, di attivare quindi unpercorso di sviluppo dei sistemi operativi medesimi in quanto vengo-no “protetti” dal contratto consentendo una loro applicazione conlivelli di discrezionalità manageriale sempre più ampi, attraverso suc-cessivi affinamenti, in relazione all’apprendimento organizzativo.

È bene precisare che le diverse opzioni negoziali possono in viagenerale essere tutte delle buone regole se contestualizzate nellasituazione specifica. Facciamo in questo senso nostra una battuta di

I contratti organizzativi sono i molti contratti che negli enti hanno tentato di inserire clausole contrattuali che

consentissero di sviluppare nuovi sistemi di gestione del personale in sintonia con le capacità di governo dei siste-

mi di gestione del personale da parte dell’ente.

Per esempio è il caso di tutti quegli enti che hanno prodotto clausole contrattuali in base alle quali la progressione

orizzontale dei dipendenti avveniva in via prioritaria attraverso valutazioni, individuavano i criteri di valutazione

e procedevano ad inserire alcuni accorgimenti finalizzati a salvaguardare il successo dell’attività valutativa. Una

volta firmato il contratto gli enti avrebbero poi dovuto e potuto cimentarsi nello sviluppo di un corretto processo

di valutazione delle prestazioni del personale.

Ecco alcuni esempi di queste clausole contrattuali:

ORDINAMENTO CCNL 31.3.99 ART. 16, COMMA 1, PRIMA ALINEA

(COMPLETAMENTO ED INTEGRAZIONE CRITERI PER LA PROGRESSIONE ECONOMICA

ALL’INTERNO DELLE CATEGORIE)

Fermi restando i criteri di cui all’art. 5, comma 2, dell’Ordinamento vengono individuate le schede di valutazione

di cui all’Allegato 2; tali schede saranno compilate dai dirigenti delle strutture presso di cui presta servizio il

dipendente, anche disgiuntamente a secondo della categoria.

In considerazione del fatto che, pur effettuando un’attività di formazione dei valutatori, potrebbero emergere difformità

applicative nei criteri di valutazione, il Nucleo di valutazione procederà alla verifica delle valutazioni e, ove sarà necessa-

rio, a colloqui basati sui parametri di riferimento e volti a verificare le professionalità ed il potenziale dei candidati alla

progressione, con particolare riferimento alle attitudini all’innovazione (tecnologica, organizzazione del lavoro, flessibi-

lità). L’esito dei suddetti colloqui sarà integrato con le valutazioni dei dirigenti al fine di formare una graduatoria.

Al fine di determinare il numero di dipendenti aventi diritto al trattamento economico del livello superiore di

categoria, compatibile con la somma destinata a compensare le progressioni orizzontali vengono fissate le seguen-

ti percentuali di progressione per categoria:

Categoria A tra il … % e il … % del personale in servizio;

Categoria B tra il … % e il … % del personale in servizio;

Categoria C tra il … % e il … % del personale in servizio;

Categoria D tra il … % e il … % del personale in servizio;

Segue la presentazione delle schede di valutazione.

96 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

origine sindacale che afferma che “il miglior contratto è quello fir-mato”. Ne consegue quindi che le diverse opzioni (e quindi i diversiesempi) non possono essere giudicati come esempi positivi o negati-vi in assoluto, ma sono stati da noi analizzati e valutati in terminirelativi rispetto alla premessa inizialmente dichiarata di verificarequanto le clausole contrattuali possono essere di aiuto allo sviluppoorganizzativo.

Considerate le diverse opzioni possibili in termini di tipologia diclausole contrattuali che possono scaturire dal processo negoziale, èevidente che, pur non essendo impossibile riuscire ad individuareclausole utili allo sviluppo organizzativo dell’ente, questo risultatonon può considerarsi come banale e facilmente raggiungibile. Anzisono molti i casi in cui le clausole contrattuali danno luogo ad uncontratto complessivamente poco adatto a contribuire allo sviluppoorganizzativo dell’amministrazione.

In altri termini è probabile che lo sviluppo organizzativo sipossa ottenere in modo più chiaro al di fuori di contesti negoziali.

Per ottenere un contratto che nel suo complesso possa definirsiutile allo sviluppo organizzativo occorrono in ogni caso alcuni prere-quisiti e condizioni quali:a. avere una strategia organizzativa e di conseguenza una strategia

negoziale chiara, in modo da sapere che cosa si vuole ottenere eche cosa si è disposti a concedere. Senza la chiara individuazionedelle opzioni di fondo, e quindi una chiara delimitazione dellospazio negoziale, il contratto rischia di essere visto un faticoso ecostoso adempimento amministrativo, con tutte le conseguenzenegative che ciò comporta;

b. avere capacità negoziali, vale a dire avere l’organizzazione internaall’ente e le capacità negoziali dei diversi soggetti rappresentantidel datore di lavoro, che consenta di portare avanti in modo effi-cace il negoziato contrattuale;

c. avere conoscenze tecnico-giuridiche approfondite e quindi utili asviluppare l’attività negoziale attraverso capacità interpretative edialettiche attorno all’interpretazione delle norme sul personale edelle clausole del Ccnl.

Più consona alla creazione di condizioni favorevoli allo sviluppoorganizzativo potrebbe essere, almeno in via astratta, l’attività dicarattere concertativo, o gli altri istituti di partecipazione. In questocaso infatti il confronto tra le parti, all’interno di responsabilitàdistinte, può portare l’azienda a prendere decisioni con maggioreconsapevolezza circa i loro effetti nel contesto organizzativo.Purtroppo però la disponibilità a confronti di natura non negoziale ègeneralmente molto bassa in quanto l’amministrazione tende a volereil consenso sindacale ed i sindacati tendono a volere il maggiore con-trollo possibile delle variabili interne del mercato del lavoro attraver-so impegni contrattualmente sanciti.

I CONTRATTI COLLETTIVI DI LAVORO 97

Di seguito approfondiamo il ruolo e i contenuti delle regole con-trattuali e svilupperemo alcune riflessioni utili allo sviluppo di unaefficace attività di negoziazione.

3.2 Ruolo e contenuti delle regole contrattuali

Ragionare di contratto collettivo nel più ampio contesto di analisi suiprocessi e le sedi di definizione delle regole all’interno di un’organiz-zazione pubblica, significa guardare ad esso (e, più in generale, aglistrumenti di partecipazione sindacale alle scelte del datore di lavoropubblico) secondo una prospettiva diversa da quella tradizionale.

Ed infatti, ai fini che interessano, non viene qui in discussionel’approfondimento circa la natura del contratto collettivo, se sia essoo meno fonte di norme nell’accezione tecnica del termine.

Questo sicuramente perché “il contratto collettivo ha svolto e con-tinua a svolgere la sua centrale funzione di fonte di regole sui rapportidi lavoro senza che tale funzione abbia una rigorosa riconduzione allanozione ed alla fisiologia delle fonti: né sotto il profilo ‘materiale’ o‘sostanziale’ (per il quale “sono fonti del diritto tutti gli atti e fatti che,di fatto, producono norme giuridiche”), né sotto il profilo formale(per il quale “l’espressione fonte del diritto denota ogni atto o fattonon già effettivamente produttivo di norme, ma autorizzato a produr-re norme)”3.

Ma anche, e soprattutto, perché il contratto collettivo vieneapprezzato in questa sede sotto il particolare profilo della sua idoneitàa porre regole, nel rispetto dei princìpi generali dell’ordinamento,riconosciute come tali nella comunità di lavoro nella quale vengonoapplicate in forza della validità c.d. sociale di cui dispongono, senzaporre particolare rilievo sul problema della natura giuridica e dellecaratteristiche che esse devono avere per essere osservate dai compo-nenti di detta comunità.

Per lo stesso ordine di ragioni, rimane sullo sfondo anche la rifles-sione sulle funzioni del contratto collettivo, in particolare:• quella normativa, che consiste nel dettare regole destinate a valere

per una serie indeterminata di rapporti di lavoro, già costituiti oda costituire;

• e quella gestionale, avente ad oggetto “più che la determinazio-ne, generale ed astratta, delle condizioni economiche e norma-tive di trattamento – caratteristica della parte c.d. normativadel contratto collettivo – la determinazione dei modi e dellecondizioni alle quali verrà esercitato – non per il futuro, manell’immediato – il ‘potere’ modificativo (organizzativo) deldatore di lavoro”4.

3. Santucci-Zoppoli, a curadi, “Contratto collettivo edisciplina dei rapporti dilavoro”, ed. Giappichelli,Torino 2002, pag. 7 .

4. Liso, Modifiche dell’orga-nizzazione e contratto dilavoro, in Giornale di dirit-to del lavoro e relazioniindustriali, 1981, p. 568.

98 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

Anche in questo caso, a dettare la scelta concorre un duplice ordi-ne di motivi:• non soltanto la considerazione che la funzione normativa della

contrattazione collettiva è più frequentemente propria del livellonazionale di essa, esterno quindi, come si dirà più oltre, alladimensione “aziendale” nella quale le regole vengono applicate(con tutto ciò che di critico ne deriva quanto ad assorbimento edefficace ritorno sulla struttura di dette regole);

• ma anche la constatazione che le regole che interessa esaminarenel presente lavoro possono ben essere contenute nella partegestionale del contratto e porre i medesimi problemi di valutazio-ne della loro osservanza effettiva (e, quindi, di efficacia), nellosvolgimento della vita organizzativa, di qualunque altra regolapresente nella parte normativa.

Né, infine, è suscettibile di ripercuotersi in misura apprezzabile sulcontenuto dei ragionamenti esposti la scelta tra le diverse sfumaturenelle quali viene inteso il termine negoziazione: siano esse rivolte alprocesso (per cui la negoziazione è “un processo di interazione poten-zialmente opportunistico attraverso il quale due o più parti in conflit-to cercano di massimizzare i propri interessi ricorrendo ad un’azionedecisionale congiunta”), ovvero più attente all’aspetto decisionale(per cui la negoziazione risulta essere “una decisione congiunta tradue o più parti che non hanno gli stessi interessi”).

Ancora una volta, infatti, l’aspetto sul quale occorre riflettereattiene alla valutazione sull’idoneità delle regole poste ad assolvereal proprio naturale ruolo di assicurare – a seconda dei casi – l’ordi-nato funzionamento dell’organizzazione, in rapporto ai fini cheessa persegue, ovvero la promozione del cambiamento e dello svi-luppo della stessa organizzazione, laddove cambiamento e svilupposiano imposti o ritenuti necessari per adeguarsi ai mutati scenarinei quali si opera.

In tutto questo, gli aspetti processuali e sostanziali del negoziatohanno sì un loro peso, ma quel che conta è l’analisi del suo risulta-to: vale a dire, perché la disciplina, i trattamenti fissati in via con-trattuale risultano efficaci e, quindi, si applicano con successo nel-l’organizzazione.

Ritenere di carattere secondario o, comunque, non dirimente – siripete, in questa sede – le connotazioni concettuali dello strumentonegoziale attraverso il quale vengono poste le regole daapplicare/gestire in una realtà pubblica risulta, inoltre, avvalorato ovesi considerino i presupposti, per così dire, “naturali” del ragionamen-to da sviluppare, quali:• nel particolare, l’insieme dei principi che governano il sistema

della contrattazione collettiva pubblica, rivelatori di un disegno

I CONTRATTI COLLETTIVI DI LAVORO 99

volto a garantire la generale ed indifferenziata applicazione delcontratto collettivo, sottoscritto da Aran e sindacati, nei rappor-ti di lavoro con le Pubbliche Amministrazioni destinatarie del-l’accordo5;

• più in generale, e salvo le precisazioni di cui oltre, la liceità/validitàgiuridica della regola posta per via negoziale, circostanza assor-bente rispetto a profili di valutazione – pure importanti, ma inquesto caso non altrettanto decisivi come in altri ambiti di rifles-sione, come quelli privatistici – quali la correttezza procedurale esostanziale delle decisioni negoziali che sola consente di imputarealle parti del rapporto individuale gli effetti regolativi di un con-tratto – quello collettivo, appunto – da esse non concluso.

Analizzando, quindi, il possibile ruolo che la contrattazione collet-tiva riveste sul piano della definizione di regole osservate all’internodi una data organizzazione, va a sua volta tenuto presente un insiemedi considerazioni prodromiche.

Anzitutto, lo strumento negoziale, di per sé, non investe i veri epropri assetti dell’organizzazione, quanto piuttosto la componente“risorse umane” all’interno di essa, intervenendo sulla regolazione e lagestione dell’apporto di tali risorse ai processi di produzione dei ser-vizi erogati dall’ente.

A ciò si aggiunga che la contrattazione diventa, a sua volta, fontedi individuazione ed abilitazione di altre sedi nelle quali pervenirealla produzione di regole sull’organizzazione della struttura e dellavoro che in essa si svolge (si pensi ai procedimenti di informazione,concertazione, consultazione che i contratti collettivi tipizzano, defi-nendone ambiti di intervento, attori e tempi).

Quest’ultima, del resto, rappresenta un’evoluzione dello strumen-to negoziale in linea con i processi di riforma che hanno interessatoin questo decennio la pubblica amministrazione nel suo complesso,laddove ad un progressivo arretramento delle fonti normative pubbli-cistiche e delle decisioni unilaterali ed autoritative è corrisposta unadecisa affermazione dello strumento negoziale e delle altre forme dicoinvolgimento del sindacato.

Processi, tutti, intesi a condizionare le scelte – in potenza libere –dei datori di lavoro sui temi dell’ordinato, strutturato e funzionale (inquanto, appunto, regolato) coinvolgimento degli uomini nelle atti-vità/missioni dell’ente, attraverso l’esercizio del ruolo per il sindacatostesso previsto all’interno dei processi che portano alle decisioni finalisu tali temi.

Ulteriore profilo valutativo che merita, pertanto, di essere posto inrilievo riguarda la relazione – che inevitabilmente emerge in tutta la

5. Disegno salvaguardato,pur in presenza dellamancata attuazione del-l’art. 39 Cost., dalla CorteCostituzionale con la sen-tenza n. 309/97, non giàsul piano della diretta effi-cacia erga omnes degli esitinegoziali, quanto piutto-sto, ed indirettamente, sulpiano delle conseguenzeche derivano dal vincolodi conformarsi alle deci-sioni contrattuali impostoalle pubblica amministra-zione e del legame strin-gente che “avvince” il con-tratto individuale a quellocollettivo.

100 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

sua importanza, allorché si ragiona di possibili influenze di regolenegoziate sull’assetto ordinamentale dell’ente – tra prerogative deci-sionali del datore di lavoro pubblico (ora pienamente assimilato,quanto a poteri e capacità da spendere in questo ambito, alla corri-spondente figura del settore privato; art. 5, co. 2, D.Lgs. n. 165/01) emeccanismi sindacali di interferenza/influenza rispetto all’esercizio ditali prerogative.

Il potere direttivo – attraverso il quale principalmente si esprimel’interesse datoriale a realizzare il presupposti dell’assetto organizzati-vo (ovvero a garantire la conservazione di esso) – implica infatti, nelsuo esplicarsi, un insieme di relazioni tra management e personale ilpiù possibile fondato su credibilità ed affidabilità reciproche e, ovepraticabile, condivisione di valori e scelte che toccano tale assettoorganizzativo.

Questo aspetto risulta tanto più critico (in organizzazioni di servi-zi, come le pubbliche amministrazioni in generale, che fondano ilproprio “successo” sulle persone che le animano), ove si consideri chel’adattamento dell’individuo all’organizzazione, di cui è parte in forzadi un rapporto contrattuale di lavoro, è in buona misura condiziona-to (anche in realtà, come quelle pubbliche, in apparenza distanti datali ragionamenti) dal grado di congruenza che sussiste tra valoriindividuali e valori dell’organizzazione.

Sistemi di attribuzione di responsabilità e connessi riconoscimentieconomici, capacità di selezione e trattenimento dei migliori, oppor-tunità di crescita professionale, sistema comunicativo integrato: tuttecomponenti, queste, della gestione e dello sviluppo delle risorseumane che, quanto più una data organizzazione è in grado di valoriz-zare e tradurre in maniera sistemica (tramite complessi definiti diregole) sul piano del proprio funzionamento, tanto più la stessa è incondizione di accrescere le possibilità di successo dell’inserimentodell’individuo al suo interno.

E, in una prospettiva simile, non vi è dubbio che il contratto col-lettivo rappresenta il principale, anche se non esclusivo, strumentoattraverso il quale i lavoratori partecipano – per il tramite delle rap-presentanze sindacali – all’elaborazione delle regole che governano illoro rapporto di lavoro (anche per quegli aspetti appena esaminati epiù direttamente attinenti alle aspettative del singolo sul lavoro e cheinfluenzano l’adattamento di cui si è detto).

Proseguendo nell’esame delle variabili che pesano sull’inquadra-mento concettuale del tema, va evidenziato che i processi decisionali– attivati in questo settore per giungere alla soluzione regolativa dellediverse fattispecie che investono organizzazione e gestione del lavoro– sono influenzati oltremodo, rispetto a quanto avviene in linea gene-

I CONTRATTI COLLETTIVI DI LAVORO 101

rale, dalla capacità degli attori di intendere i fenomeni di contesto(influenze esterne/interne, ruoli dei protagonisti, limiti di ordine lega-le, finanziario ecc.).

Ed è indubbio che il contesto nel quale attualmente operano idatori di lavoro pubblici è ancora caratterizzato da una consistenteincertezza quanto al consolidamento del patrimonio normativo uti-lizzabile ed al conseguente mutamento continuo delle variabili ingrado di influenzare i processi decisionali in tale sistema (chi fa checosa, entro quali limiti).

A ciò si aggiunga l’introduzione di meccanismi di “democraziapartecipativa” nella definizione della compagine sindacale abilitata aragionare con le Amministrazioni su tali temi (è il caso delle elezionidei componenti le Rappresentanze sindacali unitarie all’interno deiluoghi di lavoro, elezioni che fino ad ora hanno fatto registrare un’e-levata partecipazione dei dipendenti coinvolti).

Essi da una parte hanno certamente fatto crescere l’attenzione deisingoli lavoratori sulle questioni attinenti alla definizione del contestodi regole entro il quale nasce e si sviluppa il proprio rapporto di lavo-ro; dall’altro, però, si finisce per rendere inevitabilmente più comples-so – per i datori di lavoro pubblici – discutere con una delegazionesindacale articolata al suo interno in due anime (quella sindacale pro-priamente intesa e quella, sia pure riconducibile ad una genesi sinda-cale, comunque espressione dell’insieme dei lavoratori) di diversaestrazione e talvolta attestate su posizioni non convergenti.

Tutto questo si traduce in una condizione di fatto che con fre-quenza caratterizza le realtà pubbliche: l’assenza di intenzionalitàstrategica, per così dire, nella gestione del lavoro e nell’organizzare lostesso secondo regole predefinite.

Ciò premesso, occorre subito evidenziare che la dimensione collet-tiva degli aspetti di gestione del lavoro all’interno dell’organizzazione(che determina l’attivazione del rapporto con l’interlocutore rappre-sentativo dei lavoratori in vista di intese regolatrici valide per la gene-ralità del personale destinatario) appartiene alla competenza di diver-si livelli di negoziato, da quello comune a tutte le Amministrazionipubbliche (contratto collettivo nazionale quadro), a quello propriodegli enti inclusi nello stesso comparto (contratto collettivo di com-parto), a quello, infine, direttamente riferibile alla singola realtà locale(contratto decentrato integrativo).

Siffatta articolazione dei livelli del negoziato – esaminata conriguardo al focus del presente lavoro, vale a dire la singolaAmministrazione quale luogo di definizione e gestione delle regolesull’organizzazione del lavoro – determina un duplice effetto condi-

6. Ichino, a cura di,Strategie di comunicazionee statuto dei lavoratori,Giuffré, Milano 1992,p. 11 ss.

102 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

zionante le scelte che in tale luogo si vanno compiendo nel definiregli assetti di questo particolare ambito di funzionamento (quello cheha a che fare con l’apporto delle unità lavorative inserite nell’organiz-zazione), effetto che investe:• l’utilizzo di disposizioni, in varia misura precettive, dettate da sog-

getti al di fuori dell’organizzazione e che presentano necessaria-mente quei profili di generalità ed astrattezza che possono render-le non pienamente utilizzabili all’interno di essa, essendo al con-tempo preclusa la possibilità di integrarle o, addirittura, di sosti-tuirle con proprie;

• quand’anche siffatta possibilità sia ammessa, l’influenza che,comunque, le disposizioni suddette esercitano sulle successivedecisioni che i singoli enti si trovano a compiere, al proprio livellodi competenza, sulle medesime materie.

Se, dunque, l’essenza del ragionamento sul quale poggia il lavoroinveste gli elementi che valgono ad assicurare il miglior successo (intermini di accettazione/osservanza spontanea o, comunque, convinta)della regola affermata nel contesto negoziale, occorre a questo puntosoffermarsi sulle dinamiche che animano detto contesto, così daragionare con riguardo agli atteggiamenti che i responsabili delleorganizzazioni possono assumere tenuto conto:• dei limiti e, più generalmente, dei vincoli che condizionano il loro

operato;• delle opportunità che il confronto sindacale offre sotto il profilo

della possibile, migliore accettazione delle scelte regolatrici sull’or-ganizzazione del lavoro poste in ambito negoziale o, comunque,discusse con i rappresentanti dei lavoratori.

Entrambi questi aspetti possono essere apprezzati partendo dauna considerazione di fondo: promuovere, ottenere e mantenere l’a-desione del dipendente alla “filosofia aziendale” (intesa come stiledefinito nei rapporti interni ed esterni, modo di partecipare del per-sonale all’elaborazione ed attuazione di scelte e programmi azienda-li) è un qualcosa che “eccede, per lo più, la sua obbligazione contrat-tuale strettamente intesa; non può quindi essergli imposta…mediante gli strumenti sanzionatori che l’ordinamento stataleoffre...”6.

È su questo, fronte, pertanto, quello dell’accettazione e conseguen-te adesione al di fuori del loro carattere cogente, che si gioca il succes-so delle regole poste in forma negoziata.

Elemento, questo, che trascina con sé gli stessi interrogativi che,più in generale, suscita la questione dell’efficace processo di produ-zione delle regole in un’organizzazione, vale a dire:• quali le caratteristiche più adatte – in rapporto al contesto nel

quale matura la loro elaborazione – del complesso strutturato di

I CONTRATTI COLLETTIVI DI LAVORO 103

scelte che si compiono, vale a dire se e fino a che punto formali,prescrittive, stabili nel tempo;

• quali le dinamiche migliori per consentire – considerati i delicatiinteressi in gioco – un’efficace interiorizzazione di esse da partedei destinatari.

Le scelte che i responsabili dell’organizzazione possono compiere,al loro livello di determinazione (quello definito come “aziendale”),risentono fortemente, come visto, dei condizionamenti operati dailivelli sovrastanti della contrattazione.

Pur essendo qualificati come autonomi ed integrativi rispetto alcontratto collettivo nazionale, infatti, i momenti negoziali cui le orga-nizzazioni pubbliche danno vita al loro interno non possono toccareaspetti già affrontati in via esaustiva al livello superiore, né riguardareargomenti ad essi non affidati, né, infine, andare oltre gli ambiti adessi riservati sulle materie di competenza.

Le conseguenze, particolarmente rigorose, della violazione di taleassetto normativo della contrattazione (nullità delle clausole contrattualicosì definite, responsabilità dei loro autori e, prima ancora, perdita dicredibilità e, quindi, di efficacia dello strumento) rendono, dunque,improduttivo, per i protagonisti del negoziato interno, intraprenderestrade che portino a dare formale veste negoziale a decisioni rilevantiper l’assetto organizzativo riguardato dal contratto, ma in tal modoesposte al concreto rischio di essere vanificate da chiunque vi abbia inte-resse, ponendo in discussione gli equilibri raggiunti, anche con fatica.

Cosa diversa è che l’identità di vedute tra i rappresentantidell’Amministrazione e quelli dei lavoratori si traduca in intese –diverse dal contratto aziendale vero e proprio – che determinino lecondotte successive di chi possiede la titolarità a porre la regola con-creta di azione (è il caso, ad es., dei verbali redatti all’esito del proce-dimento di concertazione, dai quali le posizioni rispettive delle partirisultino in piena sintonia, orientando in maniera decisiva la susse-guente decisione che l’Amministrazione dovrà assumere sulla materiainteressata).

Si tratta, in tali casi, di momenti di confronto dialettico che – purnon comportando assunzione di impegni contrattuali di tipo formale– valgono a rafforzare il processo di condivisione, o comunque diaccettazione, della regola posta formalmente in via unilaterale dall’en-te nella fase successiva al confronto sindacale.

Oltre che dai vincoli appena illustrati, gli spazi per poter apprezza-re una reale incidenza del contratto collettivo nel processo di produ-zione di regole, rilevanti sotto il profilo organizzativo dell’ente, risul-tano ridotti anche in ragione del fatto che molte delle materie affron-

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tabili al tavolo del negoziato non hanno attinenza rigorosa con taleprofilo (buona parte di esse, infatti, investono l’aspetto economico delrapporto di lavoro).

Peraltro, il combinarsi dei due elementi appena detti potrebbe, inipotesi, portare ad un diverso modo di affrontare i, sia pur ristretti,ambiti nei quali vi è la possibilità di ragionare con i rappresentantisindacali di argomenti rilevanti in via generale per gli equilibri difunzionamento e di sviluppo dell’organizzazione.

Ed infatti, proprio dal deciso condizionamento cui vanno incon-tro le trattative a livello locale (poco da disciplinare in effettiva auto-nomia, rischi notevoli a muoversi fuori dal tracciato negoziale) e dal-l’esigenza di cimentarsi comunque con esse (non fosse altro che per larichiesta sindacale di attenersi al rispetto delle prerogative ad essaassegnate dal contratto nazionale) potrebbe scaturire l’opportunità diinvestire con decisione sugli ambiti, pur contenuti, nei quali dettareregole che informano l’organizzazione del lavoro dei singoli.

Questo per due ordini di ragioni:• perché il risultato potrebbe essere di successo per il buon anda-

mento dell’ente in misura forse più penetrante di quanto talvoltanon riescano a fare manifestazioni unilaterali di autonomia deci-sionale, pure possibili in un contesto nel quale spazi e capacitàsono gli stessi disponibili per il datore di lavoro privato, ma il cuisuccesso è affidato (senza la mediazione del consenso sindacale)alla credibilità ed all’autorevolezza – “alla prova dei fatti” dell’ap-plicazione – degli autori di tali decisioni;

• perché, per tale via, potrebbe restituirsi allo strumento negoziale ilsuo corretto ruolo nel rapporto con la titolarità dei poteri decisio-nali esistenti nell’organizzazione secondo il proprio modello ordi-namentale.

In altri termini, ragionare con il sindacato di criteri e modalità diverifica della produttività degli uffici, di criteri e modalità attraverso lequali programmare le attività di formazione, riqualificazione e aggior-namento del personale, necessari ad adeguare quest’ultimo ai processidi innovazione, di linee di indirizzo e criteri per la garanzia ed ilmiglioramento dell’ambiente di lavoro, di politiche dell’orario di lavo-ro, ove porti ad un corretto equilibrio nella soluzione finale, quanto arispetto dei vincoli e delle rispettive posizioni formali delle parti:• da una parte consente di rendere più forte la decisione finale

rispetto alle attese dei destinatari di essa;• dall’altra abitua alla percezione del rispetto dei reciproci ruoli dei

protagonisti della contrattazione e favorisce, almeno in potenza,un’adeguata comprensione degli esiti di altri momenti di confron-to sindacale che negoziato non sono e che, magari, toccano aspettiimportanti dell’organizzazione (si pensi all’informazione sugli atti

I CONTRATTI COLLETTIVI DI LAVORO 105

di valenza generale concernenti l’organizzazione degli uffici, allaconcertazione sull’articolazione dell’orario di servizio, o sui criterigenerali per la mobilità interna, momenti – questi – di confrontosindacale che non dovrebbero mai sostituirsi alla decisione del-l’ente, potendo solo influenzarne il contenuto).

Peraltro, diversi sono i livelli dei destinatari da considerare nelmomento in cui si propone e definisce la clausola contrattuale conte-nente la regola di organizzazione del lavoro; vi sono infatti:• gli interlocutori sindacali, il cui consenso può rivelarsi opportuno

o, addirittura, decisivo per la migliore affermazione del precettoinserito nella clausola stessa;

• l’interlocutore politico, non direttamente coinvolto nel processo didefinizione della clausola, ma il cui avallo delle impostazioniassunte e delle conseguenti discipline contrattuali è parimentiindispensabile per la loro traduzione in atto (il che rende obbliga-to mediare con esso inizialmente ed in itinere nel processo nego-ziale, al fine di ottenerne il convincimento sull’idoneità della rego-la contrattuale a disciplinare quel dato elemento dell’organizzazio-ne in modo confacente agli interessi di quest’ultima, interessi deiquali detto organo è portatore);

• l’insieme dei dipendenti, l’adesione dei quali al precetto negozialedovrebbe avvenire, come visto, facendo leva il meno possibile(almeno all’atto della sua prima presentazione) sull’“impegnati-vità” del vincolo formale scaturente dal contratto.

La complessità di tali livelli porta, dunque, a considerare in una pro-spettiva più ampia, di quanto non sia stato sino ad ora fatto, uno degliaspetti del processo di elaborazione delle regole: vale a dire, quello cheporta a stabilire se si è o meno in presenza di una “buona” regola (inten-dendosi per tale quella che garantisce l’adesione ad essa dei comporta-menti dei singoli in maniera non coartata né conflittuale e, in definitiva,un equilibrato svolgimento dei rapporti interni all’organizzazione).

È evidente, infatti, che l’incontro delle volontà degli interlocutorisuddetti, determinando una soluzione che tenti di mantenere in suffi-ciente equilibrio i diversi approcci al confronto da parte di ciascuno,può portare a soluzioni che non siano il frutto di operazioni negozialidi corretta autodelimitazione dell’ambito regolativi del contratto, matrascurino, per così dire, più o meno consapevolmente i limiti d’azio-ne sussistenti per la loro decisione.

Ciò in quanto le pressioni e gli interessi dei protagonisti finisconoper spingere verso un risultato magari non coerente con i limiti postialla contrattazione, ma ritenuto utile ed efficace per l’operatività del-l’ente in quanto espressione di un consenso diffuso, giunto al terminedi un processo di condivisione che agevola la sua traduzione operati-va all’interno dell’ente.

106 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

Si pensi, ad esempio, alla materia dell’orario di lavoro, affrontata –da parte di una nuova Amministrazione locale, che ha esigenza dimodificare condotte stratificatesi nel tempo – anziché con riguardoalle sole politiche generali di impostazione dello stesso (come il Ccnlvorrebbe che facesse il contratto decentrato) direttamente sotto ilprofilo sostanziale della sua articolazione.

Un simile percorso, che peraltro costituisce tratto comune dell’e-sperienza negoziale delle Amministrazioni pubbliche in questi anni,viene a determinare un effetto ambivalente: efficace quanto all’effetti-vità della regola, a rischio di contestazione quanto alla validità forma-le della stessa.

Come si vede, l’insieme delle variabili finora prospettate, se puòsenza dubbio rappresentare un elemento di complessità ai fini delragionamento da compiere, rende, peraltro, assai diversificato l’ap-proccio che gli artefici delle regole possono avere nel definirne il con-tenuto, dosando appieno le valutazioni di opportunità che i processinegoziali esaltano per definizione.

La scelta, quindi, di privilegiare l’aspetto formale o quello infor-male della regola, il carattere prescrittivo o quello meramente indica-tivo di essa risulta influenzata da un complesso di opzioni disponibili,che vanno dall’atteggiarsi dei rapporti con la controparte sindacale,alla natura degli interessi in gioco ed alla sensibilità dell’organo poli-tico e del personale tutto verso di essi, alla consapevolezza delle capa-cità di coloro che – per conto dell’Amministrazione – saranno chia-mati ad attuare le decisioni prese.

Ed il prevalere dell’una o dell’altra connotazione della regola, per-tanto, dipende da quale delle descritte opzioni si impone, nel giudiziodei responsabili dell’organizzazione, come decisiva da seguire per ilsuccesso della regola stessa.

E così:• il grado di generalità e di astrazione di una regola negoziata può giu-

stificarsi in quelle organizzazioni nelle quali lo iato tra i criteri gene-rali, discussi con il sindacato e confluiti nell’accordo su quella datamateria, e le prassi applicative, incerte nei loro esiti di conformità atali criteri, è sostenibile in ragione delle qualità di coloro che, perconto dell’organizzazione, a tali prassi daranno vita (i meccanismi diricerca del consenso possono infatti influenzare, in questi ultimi, icomportamenti individuali e, quindi, condizionare l’efficacia del“messaggio” solo generale e di indirizzo contenuto nell’accordo, acausa di condotte difformi tra loro ovvero incongrue rispetto ai cri-teri definiti); diversamente, una maggiore puntualità del dettato con-trattuale riesce, almeno in via presuntiva, a mantenere coerenza nelleazioni individuali poste in essere in base ai predefiniti criteri;

I CONTRATTI COLLETTIVI DI LAVORO 107

• la prevalenza delle forme nella configurazione contrattuale delleregole, come anche la misura del grado di esplicitazione di que-ste, dipendono – oltre che, naturalmente, dalla natura degliinteressi in gioco, che può richiedere un ingresso della prescri-zione di condotta nella comunità di lavoro non affidata ai meristandard di comportamento o prassi operative – dalla rilevanzadell’interesse alla conservazione, sufficientemente duratura, del-l’assetto complessivo di disciplina realizzato con la norma col-lettiva (può essere il caso, ad es., dei criteri attraverso i qualioperare la mobilità interna in strutture di media-elevata com-plessità, con sedi distribuite sul territorio di competenza, ad evi-tare che il dialogo con il sindacato si sposti sulla “contrattazio-ne” del singolo trasferimento); viceversa, l’opzione per formulepoco rigide e puntuali può affermarsi nel caso in cui la necessitàdi una condivisione preventiva delle regole spinge – per ragionidi tempo, di argomento, di posizioni coinvolte – a non affronta-re in maniera approfondita l’argomento sul tavolo del negozia-to, ove questo comporti per una delle parti un sacrificio, nonaccettabile in via ufficiale, della propria posizione di partenzanella trattativa (la “apertura” di interpretazioni della regola cosìdefinita sposta sul piano della sua gestione le tensioni accanto-nate durante il negoziato).

Più in generale, il “tasso” di negoziabilità (inteso, il termine, nelduplice senso di variabile ampiezza delle materie contrattate,anche rispetto a quelle consentite, e differente profondità dei con-tenuti contrattuali, anche in rapporto ai limiti del Ccnl) è in fun-zione della “naturale” tendenza sindacale ad affermare una con-trattazione di tipo partecipativo e della capacità dei responsabilidelle strutture pubbliche di ricercare il consenso dei sindacatisenza abdicare alle prerogative manageriali di direzione connesseal loro ruolo.

È, in definitiva, la logica dei “rapporti di forza” tra gli attori dellacontrattazione, e le valutazioni di opportunità ad essa strettamenteconnesse, che determina in sede locale – all’atto della definizionedegli spazi negoziali – l’affermazione di un modello di deciso coin-volgimento sindacale nelle scelte gestionali e, quindi, nella definizio-ne delle regole cui tali scelte si ispirano, ovvero di un modello nelquale il ruolo sindacale è quello di verificare, controllare la coerenzadelle decisioni datoriali – costituenti la regola concreta del caso –con gli indirizzi ed i princìpi discussi e negoziati con lo stesso datoredi lavoro.

A seconda del “dosaggio” con il quale tali componenti vengono traloro assemblate, si possono distinguere i differenti esiti della contrat-tazione analizzati nel paragrafo precedente (contratto distributivo,invasivo, organizzativo).

108 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

Molto della piega, per così dire, che può prendere il confrontoamministrazione-sindacati è influenzato dai temi in discussione; perquel che attiene alla materia dell’organizzazione del lavoro e gestionedel personale possono aversi:• da una parte le modalità di esecuzione dell’attività, le relazioni

interpersonali/di reciprocità, le regole comportamentali, tutti queicorollari, insomma, dell’obbligo, contrattualmente assunto, di ren-dere una determinata prestazione che valgono a rendere taleobbligo concretamente esigibile;

• dall’altra i capisaldi sui quali poggia l’azione dell’ente nel porre inessere ed animare i sistemi operativi di gestione e sviluppo dellerisorse umane (valutazione, incentivi, variabili e fissi come la pro-gressione orizzontale, formazione, progressione verticale).

Mentre il secondo dei profili appena esaminati è tipicamente inse-rito nelle dinamiche negoziali, il primo potrebbe risultare più perti-nente a manifestazioni di autonomia del datore di lavoro pubblico(anche strutturate, come un regolamento interno in tutto assimilabilea quello c.d. aziendale espressione tipica del potere direttivo del corri-spondente “datore di lavoro” del settore privato).

In questo secondo caso, la partita si sposta sui livelli di relazio-ni sindacali di tipo non negoziale previsti dalla normazione collet-tiva (informazione, concertazione), all’interno dei quali l’attenzio-ne maggiore andrà riposta nell’evitare che si verifichino fenomeniefficacemente definiti “di slittamento”, come rendere oggetto diveri e propri accordi contrattuali materie che il Ccnl delega allaconcertazione o trasformare i verbali di concertazione in accordicontrattuali (entrambi tali risultati, lungi dal rafforzare le sceltefatte con l’acquisizione del consenso sindacale, indeboliscono ilrisultato in ragione delle pesanti conseguenze, in termini di possi-bile nullità dello stesso, che la normativa generale prevede, comevisto in precedenza).

Un ausilio allo sforzo di rendere compatibili – tra loro e con gliinteressi dell’organizzazione che si vogliono/debbono perseguireattraverso il negoziato – i diversi profili valutativi finora descritti puòarrivare anche da scelte in prima battuta collegabili a strategie/tatti-che negoziali.

Tipico è il caso delle premesse al vero e proprio testo contrattuale,che racchiudono “dichiarazioni di intenti” delle parti; considerataspesso con scarsa attenzione dai lettori dell’accordo interessati soprat-tutto ai riflessi del medesimo sul piano dei costi e della garanzia della“pax” interna (amministratori), ovvero del miglioramento del pro-prio status economico, quando non anche giuridico (dipendenti),questa parte dell’intesa può, invece, assolvere un ruolo importante sulpiano dell’efficacia regolativa dell’intesa stessa.

I CONTRATTI COLLETTIVI DI LAVORO 109

Ed infatti, quanto più si riesce a connotare – sfruttando la forzatrainante che lo strumento contrattuale ha di per sé – l’aspetto intro-duttivo al contratto aziendale in termini di “messaggio”esplicativo/chiarificatore sulle politiche del personale che l’ente inten-de perseguire, tanto più si può riuscire ad incidere sui passaggi delcontratto stesso che evidenziano la stretta correlazione con tali politi-che, in definitiva sulle reciproche, positive interferenze che in talmodo vanno determinandosi tra decisioni in merito all’organizzazio-ne ed i sistemi di gestione e sviluppo delle risorse umane.

Questo per offrire all’intera comunità di lavoro una chiave di let-tura unica delle norme contrattuali e, in via anticipata, della posizio-ne che l’ente assumerà nell’applicarle e dalla quale non defletterà,richiamando ad analogo impegno il sindacato in forza del vincolocontrattuale assunto (che include tali premesse).

Non solo, ma la consuetudine con tali passaggi negoziali potrebbe,nel prosieguo, consentire di impostare su basi diverse il rapportoanche con il commitment politico, genericamente inteso, presentenelle organizzazioni e, al contempo, utilizzare tale livello per lamigliore affermazione di regole sugli equilibri gestionali che dovran-no poi passare al vaglio negoziale.

Ove si riuscisse, infatti, ad affermare anche in tale contesto ilmodulo direttiva-indirizzo/obiettivo/verifica risultato che contraddi-stingue il rapporto politici-dirigenti in tutti gli aspetti di gestione del-l’ente, potrebbe ottenersi:• da una parte una consapevolezza più avvertita (e, quindi, un’ade-

sione più convinta) del soggetto politico sulle tematiche organiz-zative e gestionali in gioco (sfruttando appieno la fase dialetticache precede la direttiva-atto d’indirizzo per la negoziazione), equindi una forza maggiore nella presentazione e discussione delleopzioni di fondo su organizzazione e gestione degli uomini che ilnegoziato deve affrontare;

• dall’altra una verifica più matura degli esiti di tale negoziato,all’atto della loro approvazione, appunto, ad opera del livello poli-tico, così da chiudere il cerchio tra tutti gli attori presenti nell’or-ganizzazione quanto a comprensione ed accettazione delle regolenegoziali e “lettura” in questa prospettiva delle susseguenti deci-sioni tecniche di gestione del personale.

In conclusione, non vi è dubbio che il contratto collettivo – vistocome fonte di produzione di regole applicate nell’organizzazione –presenta indubbi vantaggi ai fini del successo operativo di tali regole,vantaggi che si possono in via esemplificativa indicare nei seguenti:• forte interazione – sia pure nel rispetto reciproco dei ruoli – con il

sindacato, il cui ruolo di rappresentanza (in particolare per la RSU) lorende un canale ordinato e controllabile di rapporto con i dipendenti,

110 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

destinatari delle previsioni contrattuali, meglio di quanto possanogarantire i processi di produzione normativa delle regole interne;

• flessibilità del “contenitore” rispetto alle possibili mutazioni degliequilibri assicurati dalla regola così come in quel dato momentoaffermata, potendo le parti – in misura più agevole di quanto nonavvenga con le altre fonti – rivedere le rispettive posizioni, ristrut-turare le precedenti relazioni di potere, ridefinire, in tutto o inparte, il contenuto della regola;

• sostanziale insostituibilità nei casi di mutamenti che incidanoprofondamente sull’organizzazione del lavoro (ad es., innovazionitecnologiche che incidano sugli assetti di tale organizzazione): intali ipotesi, infatti, non vi è dubbio che sottoscrivere obiettivi con-giunti, condivisi dagli attori che formalmente si impegnano a rag-giungerli, può assicurare un più efficace transito nel cambiamentovenutosi a concretizzare;

• più in generale, il carattere negoziale, partecipativo (pur sempre, siripete, in ossequio ai rispettivi ruoli delle parti che danno vita all’ac-cordo) del processo che porta alla fissazione della regola procura, inpremessa, un’attenzione diversa nei destinatari di quanto non riescaa fare la produzione in modo unilaterale ed autoritativo (“calato dal-l’alto”, come suol dirsi) di regole più propriamente normative.

Tutto questo, naturalmente, in un contesto nel quale non vi sianoconfusioni di ruoli tra i soggetti che animano le decisioni all’internodell’organizzazione (per cui il negoziato non potrebbe costituire ilpretesto per rimettere in discussione titolarità decisionali chiare),ovvero di materie oggetto di discussione con le rappresentanze sinda-cali (per cui solo quelle – tra di esse – rispetto alle quali è riconosciu-to al sindacato un potere effettivamente condizionante dovrebberorisentire in misura reale – nella loro definizione – degli effetti dell’e-sercizio di tale potere in seno alla trattativa).

3.3 Negoziare le regole: indicazioni per lo sviluppo del percorso negoziale nella contrattazione decentrata

Lo sviluppo di una contrattazione decentrata integrativa che portialla definizione di regole correttamente mediate ed efficaci dipendeanche dalle modalità con cui si sviluppa il processo negoziale.L’individuazione giusta dei soggetti che per ruolo ricoperto devonoresponsabilizzarsi circa il processo negoziale, il percorso formale delnegoziato, ed altre aspetti, non rappresentano infatti vuoti rituali matappe di un percorso che se effettuate correttamente contribuisconoin modo reale al raggiungimento di un buon risultato negoziale, valea dire di regole utili ed applicabili per l’amministrazione nel rispettodei ruoli delle parti.

Di seguito si sviluppano quindi alcune suggestioni che riteniamoutili per lo sviluppo di una corretta ed efficace azione negoziale.

I CONTRATTI COLLETTIVI DI LAVORO 111

Nomina del presidente e dei componenti della delegazione di parte pubblicaLa funzione del presidente è importante e delicata: spetta a lui con-durre le trattative, formulare le proposte dell’ente, esprimere la posi-zione unitaria della delegazione.

Nel corso del confronto con il sindacato occorre evitare che tutti icomponenti la delegazione trattante intervengano in maniera autono-ma e scoordinata.

La delegazione deve avere una precisa linea di comportamento cheviene concordata preventivamente e rappresentata dal presidente.

Il presidente, infine, è il soggetto che deve firmare le ipotesi diaccordo e gli accordi definitivi. Non è, infatti, richiesta la firma ditutti i componenti la delegazione trattante.

Caratteristiche e qualità dei componenti della delegazione di parte pubblicaLa funzione di presidente può essere sicuramente affidata al Dirigentedel personale (per la sua specifica competenza, o al Direttore generale,se presente nell’ente, o anche al Segretario comunale o provinciale).Non può essere assunta da un soggetto politico (Sindaco o assessore).

Gli altri componenti della delegazione di parte pubblica dovrebberoessere scelti in ragione della loro maturata esperienza in ambiti di sicu-ro interesse per la contrattazione (dirigenti delle risorse finanziarie,dirigenti del settore legale, dirigenti esperti in organizzazione, ecc.).

Esponenti politici dell’ente possono senza dubbio essere presentialle riunioni di contrattazione, come uditori interessati, per acquisirein via diretta le sensibilità che emergono dall’ambiente negoziale; l’e-sperienza sarà utile sia nella eventualità che si dovesse rendere neces-sario un correttivo alle direttive già emanate sia quando l’organopolitico sarà chiamato a valutare i contenuti della ipotesi di accordo.

Per analogia, anche nei negoziati nazionali dell’Aran è auspicata econsentita la presenza di referenti del Comitato di settore, non comenegoziatori ma come interlocutori riservati e privilegiati dell’Aran neimomenti più critici della trattativa per un sostegno “politico” imme-diato ad eventuali soluzioni di particolare rilievo.

Elaborazione delle direttiveIl competente organo di direzione politica (Giunta o altro analogoorgano) deve necessariamente formulare alla delegazione trattante ledirettive utili per definirne gli obiettivi ed i vincoli.

Le direttive, in modo particolare, devono indicare gli interventiritenuti prioritari per la migliore realizzazione del programma digoverno, delle scelte di bilancio e degli obiettivi del peg.

Le direttive forniscono indicazioni anche in ordine alle scelte prio-ritarie che devono presiedere alla utilizzazione delle risorse sia stabilisia variabili.

Le direttive non devono essere dettagliate e vincolanti: sarebbe impos-sibile o di difficile conduzione una qualsiasi trattativa con il sindacato.

112 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

Costituzione della delegazione di parte sindacale (territoriale)Tutte le sigle sindacali dovrebbero essere preventivamente invitate ad“accreditare” i propri rappresentanti territoriali. Questo adempimen-to non è obbligatorio, ma utile ed opportuno.

Ciascuna sigla sindacale ha piena autonomia nella scelta dei pro-pri rappresentanti che può avvenire anche di volta in volta per le sin-gole convocazioni. Non esiste neanche un vincolo sul numero massi-mo dei rappresentanti per ogni sigla.

Sarebbe utile per tutti un accordo, anche informale, per evitareche gli eccessi di partecipazione rendano praticamente ingestibile lariunione.

La RSU partecipa come soggetto unitario.

Acquisizione della o delle piattaforme rivendicative sindacali (unitarie o distinte)La mancata presentazione della piattaforma (o i ritardi previsti nellasua elaborazione) non è di impedimento all’avvio delle trattative.

Il presidente della delegazione di parte pubblica, sulla base degliatti di indirizzo della Giunta, può sempre convocare la RSU e le dele-gazioni sindacali per rappresentare l’interesse dell’ente per un imme-diato avvio delle trattative rivolte a definire le regole su aspetti ritenu-ti particolarmente urgenti.

Svolgimento delle trattativeÈ opportuno che le convocazioni, sottoscritte dal presidente, sianoeffettuate per iscritto (anche per fax); dipende molto dal grado dicorrettezza e di fiducia delle parti trattanti se ammettere o meno con-vocazioni anche non formalizzate.

Sono da evitare riunioni riservate solo a ridotti interlocutori dialcune sigle, anche se con criteri di rotazione.

Le sigle sindacali possono richiedere la costituzione di un tavoloseparato dalle altre sigle. La RSU è un soggetto unitario e non divisi-bile; la relativa convocazione è unica ed è rivolta al soggetto designatocome referente. Non occorre l’invito per tutti i singoli componentidella RSU.

Normalmente non è necessario verbalizzare di volta in volta l’an-damento dei lavori e le posizioni espresse dai soggetti che sono inter-venuti nel corso del confronto.

La formalizzazione dei verbali crea necessariamente una condizio-ne di irrigidimento degli interlocutori ed è sempre causa, nelle riu-nioni successive, di precisazioni, di chiarimenti, di accuse e di conflit-ti: i verbali non favoriscono le trattative. L’unico verbale importante èquello che conclude le trattative.

Contenuti di merito delle trattativeLa delegazione di parte pubblica, sulla base delle direttive ricevute etenendo conto delle piattaforme sindacali, definisce una propria strate-gia negoziale e individua gli elementi di forza da proporre al sindacato.

I CONTRATTI COLLETTIVI DI LAVORO 113

In particolare è di estrema utilità che la parte pubblica elaboriun proprio documento di lavoro da sottoporre alla delegazione sin-dacale.

È sicuramente una scelta perdente quella oggi molto diffusa chetende a sottoporre al confronto negoziale il solo documento dei sin-dacati (o i documenti, quando sono più di uno).

È evidente che le scelte e le priorità del sindacato sono rivolteesclusivamente alla tutela massima dei lavoratori sia dal punto divista economico che delle tutele più generali. Non spetta, infatti, alsindacato, farsi carico della tutela degli interessi generali dell’ente nédella realizzazione del programma di governo.

È importante, pertanto, che le esigenze specifiche del “datoredi lavoro”, in contrapposizione a quelle del sindacato, siano tra-dotte in proposte concrete e trascritte in un apposito documentodatoriale.

Questo documento sarà proposto alla delegazione trattante, ancheper successive approssimazioni, in relazione all’andamento delle trat-tative.

Lo stato di avanzamento del documento, e il suo arricchimento inprogressione, rappresenta un utile elaborato che dimostra lo statodelle trattative, meglio di ogni verbale più o meno attendibile.

Cautele e sensibilità del presidente della delegazione pubblicaLa delegazione e in primis il suo presidente sono tenuti a realizzarenel modo migliore gli obiettivi e le priorità formulate dalla Giuntanell’atto di indirizzo.

Periodicamente il presidente informa la Giunta sull’andamentodel confronto con il sindacato e sugli aspetti critici di volta in voltaemersi.

Questo rapporto continuo e collaborativo consente un reciprocoscambio di informazioni e di valutazioni; sarà assolutamente indi-spensabile quando si rendesse necessario condividere soluzioni ocompromessi particolarmente impegnativi, specie in vista dalla con-clusione delle trattative.

Firma della ipotesi di accordo decentratoA conclusione delle trattative, viene sottoscritta una “ipotesi di con-tratto decentrato integrativo”.

Per la delegazione di parte pubblica, la firma è apposta dal presi-dente.

Per la parte sindacale, firmano: la RSU (soggetto unitario) e leorganizzazioni sindacali territoriali. Non ci sono regole, per il livellodecentrato, che impongano un numero minimo di firme o di percen-tuali di rappresentatività da parte dei sindacati.

Tutti i soggetti che hanno diritto di partecipare alle trattativedevono essere sempre formalmente invitati a partecipare e devonoavere tutti le medesime opportunità e occasioni per poter esprimerele proprie rivendicazioni.

114 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

Non necessariamente tutti devono anche firmare. Rivive, nel pub-blico, la medesima regola che vale nel privato: se non tutti i soggettisindacali sono disponibili alla sottoscrizione, il contratto può essereritenuto valido dal datore di lavoro (e quindi applicato) anche se fir-mato da una minoranza sindacale.

Occorre, a tal fine, valutare la portata dei rischi connessi alla firmaparziale e al sicuro contenzioso che potrebbe derivarne.

Trattandosi di una ipotesi di contratto, i soggetti che nonhanno firmato potrebbero sempre farlo in sede di sottoscrizionedefinitiva.

Verifica della compatibilità degli oneri finanziariIl presidente della delegazione di parte pubblica trasmette l’ipotesi diaccordo al collegio dei revisori (o revisore unico) o ai servizi di con-trollo interno.

Questi devono verificare che gli oneri derivanti dalla applicazionedelle clausole del contratto decentrato siano coerenti con i vincoliposti dal contratto nazionale e dal bilancio dell’ente.

Occorre, in altri termini, che sussistano le risorse necessarie perretribuire il personale che dovesse beneficiarne.

Il collegio dei revisori fornisce un parere motivato. Se il parerenon è positivo, il presidente della delegazione pubblica deve riavviarela trattativa con la delegazione sindacale per riconsiderare e modifica-re le clausole controverse.

Esame dell’organo di direzione politica e autorizzazione alla sottoscrizioneSe il parere del collegio dei revisori è favorevole, il presidente delladelegazione di parte pubblica trasmette la ipotesi di accordo, con ilparere del collegio dei revisori, al … (Sindaco) per la necessaria veri-fica da parte della Giunta.

La verifica riguarda la valutazione dei contenuti di merito dellaipotesi di accordo, al fine di verificarne la coerenza con gli obiettivi ele priorità indicate nell’atto di indirizzo.

Se la verifica è positiva, la Giunta autorizza il presidente delladelegazione pubblica a sottoscrivere in via definitiva il contrattodecentrato.

Sottoscrizione definitiva del contratto decentrato integrativoRicevuta la autorizzazione della Giunta, il presidente della delegazio-ne convoca tutta la delegazione sindacale (anche i soggetti che nonhanno firmato l’ipotesi) con esplicita indicazione, nella lettera, cheoggetto dell’incontro è proprio la sottoscrizione definitiva del con-tratto decentrato.

La sottoscrizione formale deve risultare da un verbale il cui conte-nuto può essere simile a quello utilizzato a livello nazionale.

Valgono le considerazioni già illustrate in ordine alla efficacia delcontratto in caso di un numero ridotto di firme sindacali.

I CONTRATTI COLLETTIVI DI LAVORO 115

Una o più sigle sindacali potrebbero firmare anche in secondomomento. A loro richiesta viene firmato un nuovo verbale integrativoin data naturalmente successiva.

Solo dopo la sottoscrizione definitiva il contratto decentrato acqui-sta efficacia e può essere applicato per tutti gli istituti disciplinati.

Non basta, pertanto, la “approvazione” da parte della Giunta o il“recepimento” del contratto con deliberazione. La Giunta autorizza ilpresidente della delegazione a firmare; non spetta alla Giunta appro-vare il contratto.

In questi casi non ci sarebbe alcun contratto in grado di produrreeffetti nei confronti dei lavoratori. Occorre sempre la sottoscrizionedefinitiva da parte delle delegazioni trattanti.

All’interno di questo quadro complessivo diventa fondamentaleporre particolare attenzione alla gestione del tavolo negoziale; saràinfatti nella fase di negoziazione vera e propria che l’ente giocheràuna parte anche rilevante della propria autonomia gestionale.

Il primo aspetto da analizzare è l’atteggiamento negoziale; l’atteggia-mento fondamentale con cui avviare una trattativa da parte del negozia-tore pubblico è quello di avere una forte consapevolezza della distinzio-ne dei ruoli tra la parte pubblica e le organizzazioni sindacali; da taleconsapevolezza deriva direttamente il riconoscimento che non può nonesserci un conflitto di interessi che creerà un confronto anche aspro, senecessario, basato sui rapporti di forza e profondamente dialettico.

La seconda condizione di partenza necessaria per sviluppare unabuona negoziazione è quella di perseguire obiettivi di interesse gene-rale e non parziale. Gli obiettivi di interesse generale perseguono con-dizioni di efficienza ed efficacia generale ed equità interna, gli obietti-vi parziali si riferiscono a categorie specifiche o fattispecie specifiche(per esempio assicurarsi la disponibilità dei lavoratori in certi orari).Gli obiettivi di carattere parziale rischiano di indebolire le strategienegoziali e raggiungere accordi di basso profilo.

Nel contratto decentrato così gli obiettivi che dovremo perseguiresaranno: gestire la parte variabile di reddito collegandola a risultatieffettivi e miglioramenti dei servizi dell’ente; per quanto riguarda leprogressioni orizzontali, utilizzare lo strumento in modo selettivo,andando a premiare i dipendenti che detengono competenze elevate(vale a dire elementi professionali che perdurano nel tempo e che nonsono collegati a risultati di breve periodo), avviando sistemi di valuta-zione che ci permettano di raccogliere informazioni strutturate sulpersonale; con riferimento agli istituti del rischio, reperibilità, turnoecc. applicarli quando effettivamente sussistono situazioni di effettivodisagio aumentandone così il valore assoluto e l’impatto motivazio-nale. In tema di organizzazione del lavoro è necessario non contratta-re materie relative alla struttura o la sistema dei ruoli (strutture degliuffici, profili professionali, modalità di passaggio tra profili ecc.), poi-ché non sono oggetto di contrattazione e vincolerebbero fortementel’autonomia di gestione dell’ente.

116 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

Bisogna poi preparare la trattativa vera e propria; la trattativacomincia sempre prima di incontrarsi al tavolo negoziale con unaconvocazione ufficiale. In proposito per affrontare in modo adeguatouna trattativa il negoziatore dovrebbe avere ben chiaro una serie diaspetti quali:a. il contesto negoziale;b. i propri obiettivi;c. la posizione della controparte;

La prima questione da capire per prepararsi alla trattativa è datadalla chiarificazione dal contesto negoziale in cui ci si trova, e di con-seguenza occorre interrogarsi circa:• I vincoli di sistema. Purtroppo la trattativa negli enti locali si svi-

luppa all’interno di chiari vincoli di sistema. Il primo vincolo èdato dal contratto collettivo nazionale.

• I vincoli economici. L’analisi delle risorse disponibili in relazioneal bilancio dell’ente ed in relazione alle disposizioni del contrattonazionale costituisce un elemento importante della preparazioneal negoziato in quanto pone un vincolo definito e chiaro attornoal quale fare ruotare la trattativa.Il secondo punto da chiarire per prepararsi in modo adeguato alla

trattativa è la chiarificazione degli obiettivi che si intendono persegui-re. Gli obiettivi degli enti in una determinata tornata contrattualepossono riguardare diverse questioni quali:a. entità complessiva delle risorse da dare, ovvero se dare o meno le

risorse aggiuntive;b. come distribuire le risorse tra le diverse componenti del salario

accessorio (in pratica stabile la distribuzione delle risorse previstedall’art. 17 del Ccnl del 1.4.1999) quale le varie indennità, la pro-duttività, le particolari posizioni organizzative e le progressioniorizzontali;

c. quanto puntare sui sistemi di valutazione;d. accettare o meno di inserire materie contrattuali (per esempio

alcune norme di principio sulle relazioni sindacali) oltre quellespecificamente previste e se si a quali condizioni.Il terzo aspetto da considerare con la dovuta attenzione sono

naturalmente le posizioni altrui. La trattativa consiste infatti nontanto nella vittoria di una delle due parti quanto nella composizionedegli interessi delle parti in causa, di conseguenza occorre conosceregli obiettivi di fondo della controparte per capire come procederenella trattativa. La non consapevolezza degli obiettivi fondamentalidella controparte potrebbe infatti causare gravi problemi nello svilup-po della trattativa.

Il processo negozialeIn primo luogo le trattative sindacali, soprattutto nel settore pubblicostanno assumendo o dovrebbero assumere sempre più una valenzaintegrativa piuttosto che distributiva. Questo permetterebbe di spo-stare i contratti decentrati verso la sfera del potere organizzativo, per-

I CONTRATTI COLLETTIVI DI LAVORO 117

mettendo così all’ente di realizzare politiche del personale.L’approccio corretto è quello di assumere un’ottica di scambio; ciòsignifica che per ogni cosa che ottengo dovrei chiedermi che cosacedo, ovvero per ogni cedimento che faccio dovrei chiedermi che cosaottengo. Un’altra caratteristica delle contrattazioni attuali, soprattuttoin sede decentrata è data dal fatto che gli interessi sono molto fram-mentati e spesso complicano oltremodo la trattativa e soprattutto gliesiti della sua successiva “tenuta”.

Tenuto conto di questi importanti elementi di complessità il pro-cesso negoziale si svilupperà definendo e gestendo in modo adeguatoalcuni elementi, quali:a. l’area negoziale;b. l’apertura delle trattative;c. gli strumenti del gioco negoziale.

a. Lo spazio o area negoziale concerne l’individuazione dei realimargini di convergenza esistenti tra le parti;

b. un elemento importante e da non sottovalutare in una trattativa èl’apertura del negoziato. Questa fase è spesso considerata pura-mente rituale in cui il sindacato presenta le sue rivendicazioni el’ente denuncia le sue difficoltà ad accoglierle. Pur non negando laritualità del primo incontro è tuttavia buona cosa utilizzarlo nelmodo migliore; vale a dire per scambiarsi messaggi chiari, chesenza attivare la trattativa delimitino in modo chiaro il campo d’a-zione. Questi messaggi sono cautelari e servono ad evitare erroridi interpretazione che potrebbero ripercuotersi in senso negativosul tavolo. Spetterà poi alle controparti valutare se i paletti messiin campo sono reali o sono dei “bluff”. Da qui si attiverà il nego-ziato ed il problema reale sarà quello di capire se “aprire” rispettoai paletti messi o aspettare che a “vedere” sia la controparte.Nelle trattative più complesse la prudenza può consigliare che leaperture siano molto marginali e sviluppate in contatti riservati(in riunioni ristrette);

c. gli strumenti del negoziatore sono quindi:• la dialettica. Questo è uno strumento fondamentale per con-

trastare le altrui ragioni, valorizzare le proprie ed individuareconvincenti vie di accordo;

• il comportamento. Il negoziatore deve alterare l’altrui perce-zione dei suoi obiettivi, deve essere quindi un bravo attore.Deve sapere irritare l’avversario ed ammansirlo al fine didimostrare la sua buona volontà negoziale a differenza dellamalafede dell’avversario, deve sapere litigare con gli amici, fin-gere il disaccordo o l’indignazione. A volte alcune “scenemadri” hanno portato a soluzione le trattative, più spessohanno divertito molti;

• il tempo. Nelle trattative sembra sempre di essere in affannoma ciononostante si spreca tempo in modo vistoso. Il fatto èche per i negoziatori (ma soprattutto per i sindacalisti) il

118 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

tempo è uno strumento negoziale importante, sempre amicodi qualcuno. In particolare il tempo può essere utilizzato pertrasmettere messaggi di difficoltà. Fare passare il tempo serveanche per avvicinare l’avversario verso scadenze insidiose (inparticolare le elezioni) al fine di indebolirlo e strappargli con-cessioni maggiori;

• le minacce. Anche la minaccia è un’arma fondamentale del nego-ziatore. Il sindacalista pubblico minaccia spesso di spostare ilconfronto in sede politica, oppure lo sciopero o l’anarchia inter-na all’ente. La minaccia serve come forma di pressione per faremodificare la posizione della controparte, e si attiva quando lasituazione costringe o per incrementare alcuni vantaggi. La con-troparte valuterà immediatamente se la minaccia è o meno reali-stica o un mero bluff;

• le riunioni ristrette. Le “ristrette” si hanno quando le delega-zioni delle due parti (qualora molto numerose) decidono disvolgere parte del negoziato limitando il numero dei parteci-panti a pochissimi decisori. Il loro scopo è quello di portaresoluzioni ad alcuni nodi contrattuali difficilmente affrontabiliin riunioni plenarie o comunque fare avanzare le trattativeprendendo decisioni di carattere procedurale.

La stesura del testo negozialeLa parte finale del negoziato è data dalla stesura del testo dell’accordo.Di norma il testo è scritto dalla parte datoriale e poi discusso inristretta o in plenaria con le rappresentanze sindacali. In realtà il testoè presente in modo implicito o esplicito, comunque sempre informa-le, per tutta la durata del negoziato. La stesura del testo è infatti beneche sia elaborata (in modo organico o per pezzi) sin dall’inizio delnegoziato e ciò in quanto è una buona bussola per il negoziatore.

Le prime redazioni del testo sono di parte padronale e quindispesso restrittive sapendo che comunque si richiedono modifiche diclausole e clausolette per migliorarlo.

Il testo poi dovrà essere “asciutto”; vale a dire prevedere strettamentele materie oggetto di contrattazione evitando materie aggiuntive, defini-zioni di principi e modalità tecniche già previste dal contratto collettivo.

Per poter gestire correttamente i diversi sistemi di gestione delpersonale è necessario ridurre la contrattazione degli stessi; per far ciòè indispensabile da un lato definire chiaramente le politiche e le stra-tegie del personale e dall’altro saper negoziare in un sistema definito edistinto di ruoli.

I CONTRATTI COLLETTIVI DI LAVORO 119

LE COSE DA FARE

• Contrattare soltanto le materie previste dal contratto nazionale.

• Definire gli obiettivi che si vogliono raggiungere in tema di sviluppo del personale; in particolare:

retribuzione variabile: collegarla a risultati individuali e/o di unità organizzativa; nel contratto decentrato defi-

nire risorse da stanziare e criteri generali di valutazione (es. merito, comportamenti di lavoro e risultati).

• Progressioni orizzontali: definire le risorse da stanziarsi utilizzando comunque il baricentro (anche se non più

contrattualmente obbligatorio) come criterio per verificare gli equilibri di lungo periodo, al fine di evitare di

congelare le politiche retributive per il futuro. Definire eventualmente percentuali massime di passaggi al fine

di realizzare quella selettività e controllo dello strumento che sono indispensabili perché possa divenire la base

di una gestione per competenze.

• Utilizzare una logica negoziale, in cui si concede (in particolare risorse) alla controparte solo e soltanto se si

otterranno vantaggi.

• Utilizzare la concertazione per comunicare e condividere le politiche di sviluppo del personale; in questo

modo sarà agevolato il processo di contrattazione soprattutto sugli elementi più tecnici (formazione, valuta-

zione del personale ecc.).

LE COSE DA NON FARE

• Contrattare materie non previste in sede decentrata.

• Definire le modalità di gestione dei rapporti sindacali (sono già definite dal contratto collettivo).

• Contrattare singoli fattori di valutazione, aspetti tecnici della stessa come il processo valutativo, le modalità di

ricorso, punteggi minimi di risultato ecc.

• Allegare al contratto schede di valutazione molto dettagliate, fattori di valutazione e ogni altro aspetto tecnico;

questo renderà difficoltoso la loro applicazione concreta poiché si tratta di sistemi di gestione articolati e com-

plessi che non possono essere ridotti a semplici allegati di un contratto; sarà poi difficile anche la loro modifi-

ca o miglioramento, con forte riduzione dell’esercizio del potere di gestione dell’ente.

• Inserire tra i fattori di valutazione elementi come anzianità e formazione svolta; si tratta di elementi che non

attengono alla valutazione del personale e rischiano di rendere ingestibili gli strumenti retributivi variabili e fissi.

• Contrattare elementi attinenti l’organizzazione del lavoro, come organigrammi, profili professionali, modalità

di cambiamento delle mansioni e ruoli ecc.; l’autonomia organizzativa è una delle componenti fondamentali

delle leve di gestione del personale, di esclusiva competenza della parte datoriale pubblica.

I contratti decentrati

120 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

3.4 Le regole contrattuali tra consenso sociale e legalità: il paradosso delle regole nulle

L’analisi delle regole contrattuali offre lo spunto per una riflessioneattorno all’applicabilità delle regole, riflessione che anche se puòapparire banale troppo spesso è dimenticata da chi produce e/o gesti-sce le regole.

Ragionando sulle regole nell’esperienza recente di contrattazionedecentrata si mette in evidenza un importante meccanismo di validitàdelle regole: le regole funzionano in relazione agli incentivi che visono nell’applicarle correttamente in un determinato contesto orga-nizzativo. Accade così che regole legalmente riconosciute restinoinapplicate o male applicate (per esempio il premio di eccellenzaindividuale per i dirigenti previsti nei vecchi contratti e di fatto pocoapplicati) e che regole palesemente nulle dal punto di vista giuridicosiano costantemente applicate (per esempio passaggi di progressioneorizzontale a pioggia, incrementi del fondo oltre a quanto stabilitodal contratto nazionale, ecc.).

Nella recente tornata contrattuale integrativa si sono avuti moltis-simi casi di enti locali che hanno firmato contratti collettivi decentra-ti integrativi infarciti di regole non previste dal contratto nazionale equindi nulle ai sensi dell’art. 40 del D.Lgs. 165/01.

Le cause più frequenti di nullità delle clausole contrattuali sonostate:a. inserimento di materie di carattere normativo o riguardante la

materia delle relazioni sindacali (gestione permessi sindacali,estensione delle materie negoziali, ecc.);

b. incremento del fondo per la produttività dei servizi senza che lerisorse in esso inserite avessero il richiamo di una precisa motiva-zione tra quelle previste dal contratto nazionale di lavoro;

c. distribuzione di incentivi o progressioni orizzontali a pioggiaovvero senza criteri di valutazione precisi.

Di queste clausole nulle vi è generalmente una precisa consapevo-lezza al momento della firma del contratto medesimo, ma ciò cheinduce alla firma delle clausole nulle è la valutazione della “conve-nienza” a rischiare, dettata dalla forte insofferenza rispetto a limiticontrattuali considerati in qualche modo iniqui e dal fatto che l’a-spettativa che si faccia effettivamente valere la nullità della clausola ègeneralmente considerata bassa.

Negli ultimi anni si sono tuttavia moltiplicate le ispezioni ministe-riali sui contratti decentrati, ispezioni che in molti casi hanno messoin luce i vizi del contratto e le relative clausole nulle.

Di fronte a tali controlli tende a svilupparsi una maggiore atten-zione circa il rispetto formale delle norme positive anche in materiacontrattuale. Lo sviluppo dei controlli ha in sostanza dato l’idea che sistia modificando il quadro degli incentivi che informano il compor-tamento del soggetto negoziatore di parte pubblica, spingendo ad

I CONTRATTI COLLETTIVI DI LAVORO 121

adottare certe regole piuttosto che altre, ovvero a rispettare le regoleformali anche al prezzo di un livello di consenso minore a processinegoziali più complessi e conflittuali.

Il funzionamento delle norme contrattuali nel contesto pubblicomette quindi in evidenza come le buone regole, ciò quelle applicate,sono fortemente influenzate dal sistema degli incentivi che influenzail comportamento dei decisori.

Da tale affermazione consegue che per ogni regola si può valutarea priori il suo tasso di applicabilità laddove si valuti il valore che essaha per le parti interessate e l’aspettativa che vi è che un’eventualedisapplicazione venga punita. Non si tratta conseguentemente di rite-nere necessaria una piena autonomia regolamentare degli enti, né diprodurre regole più stringenti, quanto piuttosto di dosare bene ilbeneficio/costo dell’applicazione della regola da parte dei soggettiinteressati con la possibilità di effettuare controlli ed irrogare sanzioniladdove necessario.

4.1 Il ruolo della comunicazione per l’efficacia delle regole di organizzazione

Prima di analizzare gli aspetti tecnici della comunicazione in generale enelle organizzazioni, è necessario chiarire in che modo l’attività dicomunicazione risulta essere importante al fine dell’efficacia delle regoledi organizzazione. In proposito la nostra affermazione è che la comuni-cazione delle regole, secondo modalità diversificate in ragione dell’og-getto da esse trattato, costituisce un passaggio obbligato e potenzialmen-te delicato, per la diffusione delle regole all’interno del sistema organiz-zativo e per lo sviluppo delle regole stesse in termini di maggiore effica-cia. La necessità di comunicare le regole impone quindi al manager delleregole di preoccuparsi non solo di come costruire le regole, ma anche dicome introdurle, diffonderle e modificarle attraverso i processi di intera-zione organizzativa tra gli individui nel sistema organizzativo.

Per comprendere meglio le affermazioni fatte è necessario richia-mare, brevemente, l’articolazione tipica di un sistema organizzativosecondo il classico approccio sistemico, tale descrizione sarà fatto tut-tavia non da un punto di vista esterno, ma dal punto di vista del sin-golo lavoratore. Ponendoci, infatti, il problema di come produrreregole efficaci, dobbiamo analizzare come queste influiscono sui com-portamenti individuali, allineando gli obiettivi dei singoli soggetti agliobiettivi organizzativi, di conseguenza analizzeremo il sistema orga-nizzativo dal punto di vista dei messaggi che un singolo soggetto rice-ve circa i contribuiti che esso deve dare all’organizzazione e le relativericompense (generalmente intese) che potrà ricevere.

Quali sono quindi i canali attraverso cui un lavoratore riceve ilmessaggio circa ciò che deve fare e quanto gli conviene farlo?

Posto che l’ambiente in cui si muove un lavoratore è il suo contestoorganizzativo (il cosiddetto assetto organizzativo) i messaggi che essoriceve si sviluppano attraverso le diverse variabili del sistema, vale a dire:a. struttura organizzativa;b. le relazioni interpersonale e la relativa cultura organizzativa;c. i sistemi operativi di programmazione e controllo e di gestione del

personale.

4. Comunicare le regole

122 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

COMUNICARE LE REGOLE 123

La struttura organizzativa definisce il ruolo dei singoli soggetti,in altri termini chiarisce al soggetto che cosa gli altri si aspettanodal lui e dal suo lavoro. La definizione del ruolo avviene attraversola strutturazione rispetto al singolo lavoratore delle sue mansioni,dei processi produttivi a cui partecipa, della sua posizione organiz-zativa.

La seconda variabile è data dai sistemi operativi. I sistemi ope-rativi “sono un vasto insieme di regole, di procedure e di program-mi che, complementarmente alla struttura organizzativa, guidano ilcomportamento delle persone che svolgono le combinazioni eco-nomiche aziendali. Si tratta dei sistemi di pianificazione strategicadi programmazione e controllo, di informazione e di gestione delpersonale”.

Sovraordinate ai sistemi operativi che devono essere progettati edefiniti in stretta coerenza con gli obiettivi, le esigenze e le specificitàaziendali, vi sono alcune tipologie di “metaregole”, vale a dire di rego-le che servono per definire i sistemi operativi, talora prodotte dall’or-ganizzazione stessa, talaltra da loro imposte da variabili esterne ditipo istituzionale e tecnico, che delimitano il campo entro cui si pro-gettano ed articolano i sistemi operativi. Tipicamente, per esempio, lemodalità di programmazione dell’attività è normata da leggi per glienti locali, così come le modalità di reclutamento, selezione, forma-zione, retribuzione, valutazione, del personale hanno, a monte dellescelte aziendali, normative giuridiche o contrattuali.

La terza dimensione della struttura organizzativa è data dallerelazioni interpersonale. Tali relazioni sono ovviamente una dina-mica ineliminabile del sistema organizzativo la cui importanza èfondamentale in quanto è solo attraverso di esse, vale a dire attra-verso l’interazione tra gli individui, che si riesce a trovare le solu-zioni ai problemi di fronte che l’organizzazione quotidianamentegestisce. In altri termini è attraverso l’interazione personale che simanifesta la capacità degli individui di essere dei risolutori di pro-blemi. Viceversa, interazioni errate fanno degli individui soggetti“troubles makers”.

Lo sviluppo delle relazioni interpersonale si basa in via preponde-rante attraverso la comunicazione interpersonale, tra capo e subordi-nato e tra parigrado.

Altri aspetti delle dinamiche relazioni sono date dai conflitti e daiprocessi negoziali.

La struttura organizzativa e i sistemi operativi operano solo inquanto si sviluppano all’interno di relazioni sociali tra i soggetti.

Comunicare le regole significa quindi inserirle all’interno di que-sto processo di interazioni sociali, senza le quali l’assetto organizzati-vo sarebbe solamente e meramente formale.

Inoltre le regole una volta inserite nel tessuto relazione interindi-viduali costituiscono l’elemento regolatore di tali interrelazioni,soprattutto laddove si creino conflitti o si debba attivare processinegoziali.

124 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

Ancora una volta inserite nel tessuto relazionale esse evolvono e sisviluppano. In proposito Levitt e March hanno chiarito come le rego-le si adattano alla storia attraverso l’apprendimento empirico. Leregole di organizzazione, come per esempio le routine, le procedureoperative standard, le dichiarazioni di intenti e i regolamenti, simodificano in conseguenza di inferenze tratte dall’esperienza che si fadi loro. Le regole che portano risultati di successo vengono rafforzate,quelle che portano risultati fallimentari vengono cessate. Le organiz-zazioni sostituiscono le vecchie regole con quelle nuove sulla base del-l’apprendimento empirico.

Comunicare le regole significa quindi vedere l’attività regolamen-tativa come un processo da gestire e non come un’attività statica, cosache purtroppo spesso attualmente accade.

In definitiva comunicare le regole:• è un passaggio obbligato per “fare organizzazione” in quanto

struttura e sistemi operativi agiscono solo attraverso le interazionisociali;

• è importante per creare l’apprendimento empirico delle regole,distinguendo così le buone regole dalle cattive regole, ovverofacendo si che regole prescrittive diventino patrimonio comune edinducano quindi un effettivo cambiamento;

• è importante per fare in modo che le regole agiscano effettiva-mente nelle interazioni sociali diventando regolatori dei conflitti edei processi negoziali.

Nella illustrazione di questo caso portiamo una esperienza significativa riguardante il rapporto tra “regole” e cam-

biamento organizzativo nell’ambito della gestione del rapporto di lavoro del personale ed in particolare riguar-

dante l’introduzione dell’orario di lavoro flessibile.

Più precisamente, a seguito della riorganizzazione dell’ente, avvenuta nel 2000, gli organi decisionali hanno deciso

di introdurre la modifica dell’orario di lavoro del personale nei servizi amministrativi, allineandolo approssimati-

vamente al modello adottato e ormai rodato dalla Regione …, anche sulla scorta dei principi di flessibilità tempo-

rale sanciti nei contratti nazionali più recenti, riguardanti il pubblico impiego.

Tenteremo, pertanto di individuare le tappe del percorso che hanno portato all’adozione del nuovo orario e,

soprattutto, che hanno determinato la attuale condivisione delle nuove “regole” da parte del personale e le relazio-

ni con gli attori interessati: sindacati, dirigenza e amministratori in primo luogo.

LE SPINTE AL CAMBIAMENTO

Già all’inizio del 2001, subito dopo la riorganizzazione dei vertici dirigenziali dell’ente, si respirava aria di innova-

zione anche nell’organizzazione del tempo di lavoro, e già da tempo nella Direzione del Personale si elaboravano

ipotesi di revisione dell’orario di lavoro del personale in particolare nei cosiddetti Servizi amministrativi.

Il caso della Provincia di …

COMUNICARE LE REGOLE 125

Le motivazioni al cambiamento addotte dalla Direzione dell’ente erano molteplici:

• razionalizzazione degli orari di lavoro funzionali alle esigenze di servizio, con le seguenti modalità: prolunga-

mento del servizio ordinario nei primi quattro giorni della settimana e prestazione lavorativa di mezza giorna-

ta il venerdì, nella mattinata, con introduzione di una forte flessibilità temporale;

• necessità di contenimento delle prestazioni straordinarie (grazie anche al prolungamento dell’orario dal quale

scatta lo straordinario) e introduzione di Banca delle Ore per l’effettuazione di piani di recupero su base

annuale;

• risparmio dei costi di gestione dovuti alla chiusura anticipata del venerdì;

• allineamento alla esperienza praticata alla Regione ...

Contemporaneamente l’ente decideva, per valutazioni strategico politiche di economicità e sicurezza sul lavoro, di

chiudere le mense aziendali, gestite allora da una Cooperativa, ed erogare ticket sostitutivi del pasto ai dipendenti,

presso servizi di ristorazione convenzionati nelle vicinanze delle sedi.

Pertanto si profilava per i dipendenti un duplice cambiamento ed adattamento: nuove regole sull’orario e nuovi

comportamenti rispetto alla consumazione del pasto. Il compito di gestire il confronto con le OO.SS. affidato

all’Assessorato al Personale e alla direzione del personale è stato arduo. La materia del conflitto verificatosi in

tema di servizio mensa non è però attinente a questa trattazione anche se si è fortemente incrociata con le temati-

che relative ai tempi di lavoro e ha provocato forti tensioni sindacali.

Tornando alle problematiche dei tempi di lavoro vi è da sottolineare che il cambiamento proposto dai vertici del-

l’ente (introduzione della flessibilità temporale) non andava nella sola direzione del soddisfacimento di obbiettivi

aziendali, bensì teneva conto anche delle esigenze dei lavoratori, ed in particolar modo delle lavoratrici/ori che

devono conciliare tempi di lavoro e tempi di cura familiare.

Da anni la Provincia di …, particolarmente attenta al rispetto dei principi di pari opportunità nel lavoro, anche

per la forte componente femminile tra il suo personale, è sensibile alle tematiche di conciliazione casa/lavoro, e

sviluppa azioni positive ai sensi della Legge n. 125/91 (oggi Legge n. 146/00) in tal senso.

Pertanto la progettazione del nuovo orario di lavoro teneva conto delle istanze di pari opportunità e di concilia-

zione casa/lavoro suddette, garantendo la flessibilità anche a favore dei lavoratori e soprattutto nulla modificava

nelle abitudini delle lavoratrici madri che si trovava transitoriamente, per impegni familiari, in questa condizione.

La flessibilità temporale andava, anzi, nella direzione di una maggiore gestibilità dell’orario di lavoro, nel rispetto

degli obiettivi e delle direttive diramate dalla dirigenza.

L’OGGETTO DEL CAMBIAMENTO

Più da vicino, il cambiamento organizzativo riguardava solo i dipendenti dei servizi amministrativi, ove era com-

patibile la flessibilità dell’orario, i quali peraltro rappresentano la stragrande maggioranza dei dipendenti.

Si intendeva passare da un orario semi-rigido (36 ore settimanali suddivise in 7.12 giornaliere, di cui 7.00 obbli-

gatorie giornaliere, con flessibilità fino ad un’ora, dalle 8 alle 9, in ingresso) ad una nuova articolazione, che pre-

vedeva l’introduzione di otto ore teoriche lavorative al giorno, dal lunedì al giovedì, e quattro al venerdì, da pre-

starsi nell’ambito di fasce di presenza obbligatorie (in cui deve essere assicurato il servizio, dalle 9.30 alle 12.15 e

dalle 14.15 alle 16.00) e l’introduzione di fasce di presenza facoltative, ove è possibile giostrare la flessibilità.

La flessibilità suddetta si inseriva nella impegnativa settimanale di 36 ore, previste da Ccnl, e l’uscita anticipata del

venerdì era praticabile ove il dipendente avesse già effettuato le ore ordinarie.

La flessibilità che si intendeva introdurre non modificava il sistema derogatorio all’orario di lavoro, già previsto

per le lavoratrici madri/padri che avessero problemi di conciliazione casa/lavoro e che ne facessero richiesta

all’Ufficio di Consulenza e Orientamento per la conciliazione di responsabilità familiari e di lavoro, istituito nel-

126 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

l’ambito della Direzione del Personale, quale azione positiva ex lege 125/91.

Dal 1999 è infatti operativo nella Direzione del Personale un Ufficio che favorisce la conciliazione casa/lavoro, for-

nendo un servizio di councelling ai dipendenti riguardo permessi, congedi ed orari, che rilascia deroghe tempora-

nee all’orario di lavoro ordinario ai lavoratori richiedenti.

LE “REGOLE” SCRITTE CHE HANNO INTRODOTTO IL CAMBIAMENTO

a. Il CCDI

La prima fonte normativa che introduce il cambiamento è stato il Contratto Collettivo Decentrato Integrativo,

che all’art. 9 fissa i “Criteri generali per le politiche dell’orario di lavoro”, cioè “funzionalità al servizio e all’utenza

esterna; frazionamento della prestazione lavorativa giornaliera al massimo in due periodi, salvo eccezionali esi-

genze di servizio; arco temporale giornaliero individuale non superiore, di norma, a 10 ore; garanzie di particolari

articolazioni per casi di inconciliabilità casa/lavoro”.

Questo è stato sottoscritto tra la Provincia e le OO.SS. il 18.12.2000.

b. Criteri di massima sull’orario di lavoro approvati dalla Giunta Provinciale (22.3.2001)

La Giunta Provinciale approvava alla fine di marzo 2001 un rapporto, proposto dalla Direzione del Personale, ove

venivano precisati i criteri di indirizzo del nuovo orario flessibile e le linee generali della nuova articolazione. Con

ciò la Direzione del Personale intendeva acquisire la conferma del gradimento da parte dei vertici politici del

nuovo modello orario.

c. L’accordo sindacale

Le Organizzazioni Sindacali iniziavano nell’ambito dell’attivazione del conflitto a diffondere notizie sulla ridefini-

zione dell’orario di lavoro e venivano affissi volantini indirizzati al personale, ove, per altro, erano riportate infor-

mazioni lacunose riguardo al nuovo orario, diffondendo un clima di incertezza e diffidenza tra i lavoratori.

Il 23.10.2001 dopo estenuanti sedute di trattativa sindacale veniva siglato un accordo sindacale con il quale uffi-

cialmente si introduceva l’orario flessibile alla Provincia di …

d. La circolare al personale

Il 25.10 2001 la Direzione del Personale emanava una circolare “Entrata in vigore dell’orario di lavoro flessibile dei dipen-

denti provinciali”, con la quale comunicava ufficialmente al personale l’entrata in vigore del nuovo orario dall’1.11.2001,

descrivendone le peculiarità e demandando ai dirigenti la definizione degli aspetti organizzativi per i diversi servizi.

Veniva inoltre ribadito contestualmente che, nonostante il nuovo orario di lavoro, venivano mantenute le condi-

zioni di particolare favore in materia di orario riservate alle lavoratrici/ori con responsabilità familiari e di lavoro.

Ciò con lo scopo di rassicurare i lavoratori che potevano temere disagi dal cambiamento organizzativo in atto.

L’IMPATTO ALLA INTRODUZIONE DELLE “REGOLE” DA PARTE DEI DESTINATARI

La reazione alle nuove regole introdotte, soprattutto in seguito alla circolare che rappresentava, in tutta l’opera-

zione, l’unico documento formalmente emanato dalla Amministrazione e indirizzato ai suoi destinatari diretti,

cioè dipendenti e dirigenti, non è stata quella auspicabile, cioè di condivisione.

Il personale, dopo mesi di incertezza dovuta alle “voci di corridoio” che circolavano sul nuovo orario di lavoro ed

alle iniziative delle OO.SS., ha avuto forti difficoltà a comprendere l’oggetto del cambiamento. Inizialmente non

ha compreso neanche lo sforzo dell’ente di rivedere le regole dell’orario per avvicinarle anche alle esigenze del

COMUNICARE LE REGOLE 127

personale, introducendo una forma di flessibilità temporale che teneva conto anche dei bisogni soggettivi (la cura

parentale, nello specifico), pensando di avere maggior vincoli dalla flessibilità introdotta. Tant’è che si è arrivati a

stabilire che i dirigenti, competenti a definire l’orario nei servizi loro afferenti, potevano autorizzare i dipendenti

“in difficoltà” a mantenere l’orario precedentemente in vigore.

L’aver diramato solo la circolare, che in due pagine, cambiava la abitudini di decenni, non è stato sufficiente a tra-

smettere un messaggio di cambiamento in positivo, bensì ha ingenerato perplessità, dubbi interpretativi e, nei casi

più gravi, diffidenza.

Gli Uffici del Personale sono stati tempestati di telefonate, anche riguardanti aspetti banali o di scarso rilievo, che

tuttavia non erano chiari al personale e con le telefonate, sono arrivate richieste di chiarimenti scritti che, qualora

evase, avrebbero richiesto pagine e pagine di spiegazioni.

I RIMEDI ALL’INSUCCESSO DELLE “REGOLE” SCRITTE

La Direzione del Personale ha rilevato la necessità di far metabolizzare il cambiamento ai propri dipendenti con

strumenti diversi dalle regole tradizionali, o meglio, avvalendosi anche di questi strumenti, a fianco delle “regole

scritte”.

Si è pensato che fosse necessario un incontro formativo rivolto agli addetti alla gestione del personale nelle

Direzioni Centrali, affinché si facessero portavoce delle novità e dei chiarimenti ricevuti. L’iniziativa, comunicata

con nota scritta ai dirigenti, ha avuto immediato riscontro, tanto da dover allargare i destinatari della formazione,

su richiesta dei dirigenti stessi, fino a comprendere un addetto o due per ciascun Servizio.

L’incontro formativo

Si è tenuto un incontro formativo sugli aspetti pratici relativi al nuovo orario di lavoro, realizzato dal Direttore

del Settore Acquisizione e sviluppo risorse umane e dal suo staff, suddiviso in due momenti: a) illustrazione delle

“regole” b) risposte a quesiti pratici. Al personale presente è stato inoltre consegnata ulteriore documentazione

illustrativa del nuovo orario.

La divulgazione di “F.A.Q.” sulla intranet aziendale

Per accompagnare il processo di assimilazione del cambiamento é stato previsto un apposito spazio sulla intranet

dedicato alla pubblicazione di risposte ai quesiti più frequenti in materia di orario e ticket, formulabili dai dipen-

denti stessi mediante posta elettronica.

Lo spazio è stato successivamente utilizzato anche per fornire risposte ed orientamenti da parte della

Direzione del Personale in materia di permessi, assenze, ecc., la cui brevità non richiedeva l’emanazione di

specifica circolare.

UN BILANCIO EX POST

A distanza di un anno e mezzo dall’introduzione dell’orario di lavoro, possiamo sostenere che la regola scritta

non ha sortito brillanti effetti, sia in termini di esaustività (una circolare non può essere mai così dettagliata da

soddisfare tutti i destinatari), che di condivisione.

Il cambiamento organizzativo introdotto è stato assimilato più celermente attraverso l’incontro diretto, il chiari-

mento e la rassicurazione verbale, fornita dal Direttore del Personale.

Probabilmente se tale passaggio fosse stato anche preceduto da un incontro con la dirigenza, che è stata chiamata

in prima persona a calare le regole nel quotidiano, la metabolizzazione sarebbe avvenuta prima.

128 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

4.2 Gli aspetti tecnici della comunicazione delle regole

La capacità di comunicare è, alla luce di quanto si è visto, un elemen-to essenziale nella produzione, gestione e cambiamento delle regole.

Tanto più quindi un manager delle regole non può eludere unapprofondimento su cosa significa comunicare e quali sono lemodalità e gli strumenti cui può far riferimento per svolgere inmodo efficace il proprio ruolo al fine di promuovere uno sviluppoorganizzativo.

Senza addentrarci nella scienza della comunicazione, che ci porte-rebbe lontano ed esula dagli obiettivi del presente manuale, si deveperò partire dall’assunto, prevalente tra gli studiosi, che la comunica-zione non consiste in un semplice processo meccanico di trasferimento diinformazioni da un soggetto, definito emittente, ad un altro soggetto,definito ricevente.

In altre parole, non esiste una comunicazione oggettiva, unprocesso lineare di trasmissione di contenuti, dai caratteri subitochiari e che perciò vengono immediatamente compresi. Questaconvinzione era dominante tra gli studiosi del passato, ma trovaancora numerosi sostenitori ai vertici delle amministrazioni pub-bliche, che ritengono la comunicazione solo uno strumento neutrodi semplice divulgazione delle regole, una sorta di adempimentomagari “alla moda” – la legislazione sin dagli anni ’90 ha postol’accento sulla necessità di comunicazione della PubblicaAmministrazione. Chiunque agisca in un contesto organizzativopuò comprendere dalla propria esperienza quanto questa sia una

L’importanza di questo passaggio è stata probabilmente sottovalutata, forse perché nell’ente tradizionalmente la

Direzione del Personale decideva in autonomia sulle questioni della gestione del personale, ovviamente confron-

tandosi, qualora fosse previsto dal Ccnl, con le OO.SS.

Un cambiamento così radicale e coinvolgente la dirigenza, per gli aspetti organizzativi, e il personale, per l’appli-

cazione, avrebbe invece richiesto il coinvolgimento di tutti gli attori dello stesso.

Si è curato l’aspetto del consenso politico e sindacale, ma non del supporto del contesto dell’organizzazione.

Oggi l’orario di lavoro flessibile è ampiamente praticato nei servizi amministrativi, e lo dimostra il “vuoto” che

caratterizza il venerdì pomeriggio nei Palazzi, fatte salve particolari urgenze da sbrigare.

Viene praticato anche dalle lavoratrici madri/padri che devono conciliare casa e lavoro: lo dimostrano le rinunce

a praticare deroghe orarie temporanee pervenute alla Direzione del Personale e le minori nuove richieste, che si

sono dimezzate rispetto al passato.

Che la flessibilità temporale fosse un vantaggio anche per i lavoratori era quasi scontato; non bisogna dare invece

per scontato che i lavoratori, i soggetti delle organizzazioni, debbano essere accompagnati nel cambiamento,

soprattutto culturalmente.

COMUNICARE LE REGOLE 129

visione limitata e semplicistica che contrasta con la pratica quoti-diana che vede, come in tutte le relazioni umane, la difficoltà dicapire e farsi capire.

Si può dire quindi, al contrario, che la comunicazione esprime lacapacità di influenzare e modellare la realtà in cui si esplica secondo leintenzioni e gli obiettivi dei soggetti interrelati. La comunicazione èdunque un processo complesso in cui vanno considerati fattori dimediazione e di disturbo di tipo personale, culturale e ambientale chepossono distorcere il contenuto e la capacità di comprensione dellostesso.

Attraverso l’utilizzo degli strumenti a disposizione è possibileintervenire sulla realtà, indirizzandola in modo tanto più efficacequanto più è stata corretta la scelta di tali strumenti.

È necessario perciò stabilire un contenuto chiaro e poi prestareuna cura ed un’attenzione particolari alla fase di comunicazione perconsentire una corretta comprensione dei contenuti e quindi deter-minarne il massimo livello di efficacia.

Come è stato efficacemente scritto, la comunicazione consiste inun “bilanciamento tra creatività e costrizione”, dove la creatività èintesa come risposta strategica alle costrizioni implicite in qualunqueorganizzazione, ma anche alle caratteristiche (e quindi anche i limiti)insite negli strumenti utilizzati.

Detto questo, rimane da richiamare la duplicità del ruolo dellacomunicazione: il ruolo strumentale ed il ruolo funzionale.

Il primo consiste appunto nelle azioni e nelle modalità utiliz-zate per trasmettere il messaggio, l’oggetto della comunicazioneche nel nostro caso sono le regole, dopo che esse sono state giàelaborate.

Il secondo ruolo, funzionale, consiste invece nel processo formale eorganizzativo di predisposizione, gestione e cambiamento del messag-gio nell’accezione che interessa al nostro ambito.

Se il primo aspetto consta di una serie di strumenti tecnici checonsentono una corretta trasmissione e condivisione dei contenuti, ilsecondo acquisisce un ruolo strategico nell’attività di manager delleregole, sin dalla definizione delle stesse per le implicazioni organizza-tive che presenta.

Risulta scontato a questo punto che la conoscenza di ambedue gliaspetti, la capacità di saperli utilizzare in vista delle finalità che ci sipropone di raggiungere, significa per il manager delle regole poterinnestare una marcia in più.

Per quanto riguarda il ruolo strumentale della comunicazione, èutile proporre di seguito in estrema sintesi una rassegna dei principaliaspetti teorici con le più comuni applicazioni, utile a inquadrare l’ar-gomento, evidenziando esempi di comunicazione che si sono dimo-strati efficaci, ossia hanno provocato significativi cambiamenti nelleorganizzazioni, ed altri invece rivelatisi inefficaci, ossia che nonhanno provocato il cambiamento auspicato.

130 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

In generale si può dire che la comunicazione si svolge attraversocanali, crea reti, segue una direzione, soffre di difficoltà o distorsioni.

Per quanto riguarda i canali, essi sono le modalità che si utilizza-no ai fini della comunicazione e sono comunemente divisi tra oralie scritti, da analizzare secondo il duplice criterio del livello di perso-nalizzazione (nella prassi della comunicazione “personalizzare”significa rendere il contenuto il più possibile adeguato e “su misura”,e quindi comprensibile, ai soggetti che comunicano) e del livello diformalizzazione.

Nelle organizzazioni questa distinzione è piuttosto semplice, inquanto tra gli strumenti orali si possono annoverare i colloqui, letelefonate, i gruppi di lavoro (workgroup).

La caratteristica principale è che presentano un elevato livello dipersonalizzazione – c’è un immediato riscontro sull’effettiva com-prensione del contenuto – e un basso livello di formalizzazione.

Sempre tra gli strumenti orali si possono anche annoverare le riu-nioni allargate, le conferenze, i sondaggi (opinion survey), ecc. in cuidiminuisce il livello di personalizzazione e rimane comunque basso illivello di formalizzazione.

ESEMPIO POSITIVO

Nell’ambito dell’applicazione del Ccnl nel Comune x, per comunicare l’esito delle procedure di valutazione con

compilazione di schede ai fini della progressione orizzontale, la conferenza dei dirigenti ha deciso di programma-

re colloqui individuali con ciascun collaboratore, per consentire un confronto diretto e personalizzato. Questo ha

consentito di legittimare lo strumento della valutazione, fin lì mai utilizzato, favorendo una comprensione della

valutazione come un momento naturale di verifica dell’attività svolta ed in ultima analisi di instaurare una rela-

zione diretta tra il responsabile ed il singolo collaboratore, nella chiarezza della distinzione dei ruoli, utili nel pro-

sieguo dell’attività lavorativa. Quindi uno strumento orale, per sua natura poco formale ma fortemente persona-

lizzato, ha costituito un efficace modo per comunicare un aspetto formale e delicato, come le valutazioni.

ESEMPIO NEGATIVO

Facendo riferimento sempre ai sistemi di valutazione delle prestazioni vi sono stati moltissimi casi di enti locali

nonché di altre tipologie di amministrazioni che dopo avere definito in sede negoziale il sistema di valutazione si

sono limitati a chiedere al dirigente attraverso una comunicazione scritta di “compilare la scheda di valutazione

entro la data del…”, senza preoccuparsi di “formare i valutatori” e quindi senza spiegargli come valutare (attraver-

so la produzione e la comunicazione di un manuale di valutazione, l’effettuazione di riunioni ecc.). Il risultato

ovvio del modo errato con cui si è gestito tale processo, con una comunicazione limitata ed errata, è stato quello

di avere lasciato i valutatori soli e senza nessuna adeguata informazione, inducendo quindi tali soggetti ad effet-

tuare valutazioni meramente formali che hanno creato forti disagi organizzativi senza contribuire minimamente

allo sviluppo professionale dei singoli operatori ed allo sviluppo organizzativo dell’amministrazione.

COMUNICARE LE REGOLE 131

Anche tra gli strumenti scritti si può effettuare una distinzione: cisono infatti gli strumenti di tipo tradizionale, ad esempio le lettereindirizzate o le circolari, gli ordini di servizio, i manuali, la rivista o lecomunicazioni aziendali (house organ, newsletter, ecc.). Essi presenta-no un basso livello di personalizzazione – anche la lettera indirizzataspesso è un facsimile valido per più destinatari – quindi non vi ègaranzia di comprensione. In compenso è elevato il livello di forma-lizzazione.

Ci sono poi gli strumenti scritti cosiddetti “virtuali”, in quantonon utilizzano un supporto fisico e sono basati sulle nuove tecnolo-gie, a partire da quelli informatici (e-mail, forum, rete intranet) fino aquelli di telefonia mobile (sms, messaggi vocali). Essi possono presen-tare un livello di personalizzazione variabile: l’e-mail e l’sms utilizza-no strumenti di lavoro tipicamente personali, appunto il personalcomputer ed il telefono cellulare, ma uno stesso messaggio può essereutilizzato come circolare spedita in contemporanea a più destinatari.Il livello di formalizzazione è comunque elevato – il messaggio puòessere stampato su supporto cartaceo o memorizzato in archiviocome un qualunque protocollo.

ESEMPIO POSITIVO

Nell’amministrazione x, il dirigente di un settore, venuto a conoscenza che un collaboratore contesta a sua insa-

puta nelle pause di lavoro il comportamento di un collega di ufficio che tende ad arrivare con qualche minuto di

ritardo, opta per un livello di richiamo informale al ritardatario e nel contempo richiama sempre informalmente

l’accusatore ad un comportamento di correttezza e lealtà, per evitare di adottare provvedimenti formali che

avrebbero procurato l’inasprimento in quell’ufficio di una situazione conflittuale latente

ESEMPIO NEGATIVO

Nel comune x non appena viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il nuovo Codice di comportamento dei

dipendenti della pubblica amministrazione, il dirigente al personale decise che la forma migliore era di fotoco-

piarne il testo e distribuirlo in ogni ufficio, senza accompagnarlo con alcuna modalità di verifica sull’effettiva

comprensione e applicazione. A distanza di anni non si è mai stati in grado di capire se ha prodotto effetti

oppure no.

Per definizione le reti sono le relazioni che si creano tra i vari sog-getti che partecipano alla comunicazione. Quindi se gli strumentiattengono all’oggetto della comunicazione ed alle modalità con cuiesso viene comunicato, sotto questo aspetto l’attenzione si concentrasulle persone.

I tipi fondamentali sono dunque, come per qualunque relazioneumana, il rapporto uno-a-uno, uno-a-molti, molti-a-molti.

Il rapporto uno-a-uno si rappresenta facilmente in un colloquioindividuale (di persona o al telefono) o, utilizzando strumenti scritti,in un ordine di servizio o una mail. È chiaro che questo tipo di rela-zione enfatizza la personalizzazione.

Il rapporto uno-a-molti si rappresenta con una conferenza o, alivello di strumenti scritti, in una disposizione di ente o settore o inuna lettera circolare.

Infine il rapporto molti-a-molti si evidenzia nel caso di un gruppodi lavoro, ecc.

Per direzioni si intende il verso in cui si esplica la comunicazione.I tipi fondamentali sono: dall’alto verso il basso (es. ordine di ser-

vizio) e dal basso verso l’alto (es. suggerimento).

Un’altra categoria che possiamo individuare rispetto alla direzioneè che la comunicazione può essere unidirezionale (es. compito asse-gnato o incarico) e bidirezionale (es. colloquio o forum).

ESEMPIO POSITIVO

Nell’amministrazione x la direzione generale decise l’introduzione della posta elettronica. Dopo una consultazio-

ne con i dirigenti tutti i dirigenti e le posizioni organizzative, oltre ai principali uffici a contatto con il pubblico,

furono dotati di indirizzi mail personalizzati (es. [email protected]). La scelta si rivelò efficace perché si arrivò in

breve tempo ad una significativa riduzione del volume di documenti cartacei in circolazione e dei tempi di acqui-

sizione di pareri o raccolta di informazioni, ecc.

ESEMPIO NEGATIVO

Il dirigente dei Sistemi Informativi dell’amministrazione x, dopo l’introduzione della posta elettronica, avvisò i

collaboratori dotati di questo strumento che avrebbe tenuto copia cartacea di tutta la corrispondenza intercorsa.

Lo scopo era di responsabilizzare e favorire una maggior efficienza, ma i collaboratori lo interpretarono solo

come mezzo di conservazione di eventuali “prove” di inefficienza e cominciarono a dedicare ai messaggi via posta

elettronica una cura formale fin troppo meticolosa, con diminuzione della produttività e aumento del livello di

insoddisfazione.

132 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

COMUNICARE LE REGOLE 133

Si sono finora analizzati gli aspetti che contribuiscono a costituireun processo di comunicazione.

Esistono però, come si osservava in precedenza, anche fattori cheostacolano lo svolgimento di tale processo, ed è necessario tenerli pre-senti perché possono mettere in dubbio l’efficacia di tutto il processocomunicativo.

Tali fattori sono definite le difficoltà o distorsioni e consistononegli eventi o negli ostacoli che impediscono un corretta ricezione delcontenuto formulato.

I tipi fondamentali si possono riunire in alcune categorie, anzitut-to i rumori (es. le “voci di corridoio”), le interruzioni (es. guasto sullalinea telematica), le barriere (es. bacheca inaccessibile), la diversità deicodici linguistici (es. tecnicismi) e dei filtri concettuali (es. diversolivello di scolarità).

L’altro aspetto rilevante della comunicazione riguarda il suo ruolofunzionale, che come detto attiene al processo formale e organizzativodi predisposizione, gestione e cambiamento del messaggio, nel nostrocaso le regole.

In realtà gli strumenti da utilizzare non sono diversi da quelli giàillustrati, cambia però la prospettiva e la finalità del loro utilizzo, per-

ESEMPIO POSITIVO

L’amministrazione x, rilevato l’elevato livello di anomalie nei dati relativi alle timbrature del personale, dopo l’intro-

duzione di un nuovo sistema informatizzato per la gestione della presenze in servizio, sviluppò un’indagine interna

verificando che tutto il problema nasceva dalla mancata comprensione da parte di molti dipendenti, con basso livel-

lo di scolarità, della circolare che era stata distribuita con la busta-paga in cui si illustravano le modalità di tale

nuovo sistema. Ciò consentì di predisporre un nuovo manuale di istruzioni, più semplice e chiaro, e le anomalie

diminuirono rapidamente, diventando assai inferiori al numero rilevato prima dell’introduzione del nuovo sistema.

ESEMPIO NEGATIVO

Il direttore generale del comune x, avendo sollecitato un utilizzo più intensivo della posta elettronica e dovendo

convocare una riunione dei dirigenti per trattare un argomento urgente per l’indomani, decise di inviare un mes-

saggio via mail a tutti significando l’urgenza dell’appuntamento e la necessità della partecipazione di tutti. Subito

dopo aver spedito il messaggio, il server di quel comune ebbe un guasto, di cui il direttore generale non si rese

conto, che impedì a tutti di ricevere la convocazione. Fatto sta che l’indomani all’ora fissata, era presente all’ap-

puntamento solo lui, che naturalmente indispettito, ordinò una verifica di quello che sembrava un vero “ammuti-

namento”, constatando però che nessuno degli invitati di fatto aveva potuto ricevere la comunicazione.

134 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

ché qui la comunicazione interviene per regolare le relazioni ed i mec-canismi di formazione e interviene dunque sul livello organizzativo,assumendo un ruolo strategico per facilitare il cambiamento.

Anzitutto è utile partire da una concezione assai consolidata nellapubblica amministrazione, per cui la formazione delle regole deverispondere essenzialmente ai principi di legittimità formale ed ilruolo che la comunicazione può svolgere è ritenuto perciò marginale.

D’altro canto bisogna anche evitare da subito la tentazione di pen-sare invece ad un processo troppo sbilanciato sul versante comunica-tivo, in quanto la legittimità di un atto è e rimane elemento essenzialedi ogni regola in un’amministrazione pubblica.

Si deve dunque individuare un giusto equilibrio tra queste com-ponenti, ponendosi sempre nella direzione di rendere le regole il piùpossibile efficaci.

Tanto che, volendo esprimere una provocazione che in realtà pre-senta più di un fondamento, gli strumenti della comunicazione, secorrettamente utilizzati, portano il manager delle regole a capire eregistrare anzitutto il “bisogno”, ossia la necessità di fissare delle regolesu un determinato aspetto dell’attività o dell’organizzazione. Questo èun elemento importante perché da ciò discende poi la capacità di indi-viduare gli obiettivi e verificare poi l’efficacia della regola introdotta epotrebbe essere utile ai livelli sovraordinati della pubblica amministra-zione per evitare di imporre agli altri livelli istituzionali l’adozione diregole del tutto superflue, o addirittura nocive, che inevitabilmente seapplicate per mero adempimento, non produrranno alcun risultatoefficace e, in molti casi, non verranno neppure applicate.

Dando per scontato che il manager delle regole abbia individua-to la necessità di formare una regola, di qualunque tipo, e al di làdell’assetto organizzativo presente in una amministrazione, è unaspetto di comunicazione da non trascurare anzitutto il chiarire efornire istruzioni per lo svolgimento del lavoro, in questo caso di for-mazione delle regole, per esprimere in modo chiaro ed inequivoco iconcetti di base, le competenze, i caratteri e le finalità che la singolaregola in via di definizione presenta: ad esempio è diverso per ilmanager delle regole presentare la necessità di introduzione e, quin-di, la modalità di formazione di una regola ad un organo politico-amministrativo o, in base alla diversa competenza, ad un organotecnico-esecutivo o, a maggior ragione, quando i due ambiti (politi-co-amministrativo e tecnico-esecutivo) sono direttamente coinvoltinell’elaborazione o nelle conseguenze organizzative e operative cheuna regola comporta – non dimentichiamo in questo caso la neces-sità di prevedere una crescita esponenziale delle possibilità di quelleche abbiamo definito le difficoltà o le distorsioni della comunicazio-ne, visto che, soprattutto per quanto riguarda gli esponenti politico-amministrativi di nomina elettorale, possono presentare grosse dif-

COMUNICARE LE REGOLE 135

ferenze di formazione culturale sia a livello generale che a livellospecificamente amministrativo.

Analogamente gli strumenti della comunicazione supportano ilmanager delle regole nella indicazione chiara dei ruoli di lavoro (insenso lato) e delle relative funzioni, consentendo a tutti i soggetti coin-volti nel processo di formazione delle regole di conoscere esattamenteil proprio compito e poter quindi parteciparvi in modo consapevole emirato. In questo ambito è certamente da annoverare tra gli strumen-ti di comunicazione anche gli interventi di formazione che aiutano glioperatori a migliorare e migliorarsi, con un ritorno in termini dicompetenza e maggior qualità della prestazione resa.

Una volta individuata e introdotta una regola, rimane aperta laquestione relativa all’applicazione ed alla gestione.

Per quanto riguarda questi due aspetti, la comunicazione forniscegli elementi per formulare criteri di valutazione rispetto alla regolaapplicata e, attraverso gli strumenti di rilevazione (dall’indagine alfocusgroup, ecc.), le modalità per monitorare la diffusione, la compren-sione e quindi l’efficacia delle regole introdotte rispetto ai propositiiniziali. Tra l’altro gli strumenti di rilevazione possono fornire elemen-ti utili per intervenire o nel confermare o nel modificare, o magari deltutto eliminare, la regola originale. Ad esempio una corretta rilevazio-ne può far emergere che una regola che si considerava necessariointrodurre in realtà era resa vana da modalità relazionali informali maben radicate (le abitudini consolidate, elemento decisivo in ogni orga-nizzazione), che una regola formalizzata non riesce a scalfire.

Il ruolo funzionale della comunicazione si estrinseca anche nel faraccettare le regole di organizzazione. Bisogna distinguere inevitabil-mente tra modalità impositive o coercitive, che puntano al “dovere” perindurre all’applicazione delle regole e modalità persuasive, che punta-no invece a convincere all’utilità dell’applicazione delle stesse.

La grossa differenza di approccio psicologico e relazionale èovviamente che nel primo caso viene chiesta la totale accondiscen-denza e passività, negando in sostanza una capacità autonoma diinterpretazione e commento, facendo leva sul maggiore livello diresponsabilità o gerarchico. Di solito questo tipo di comunicazioneche è certamente più esplicito e diretto, sconta però un istintivoapproccio di repulsione e critica verso la modalità, che si traducefacilmente in un rifiuto o comunque indifferenza rispetto ai conte-nuti, anche se talora nell’applicazione di regole è inevitabile (ad es.una sanzione disciplinare).

Nel secondo caso indubbiamente si cerca una certa condivisione equindi viene riconosciuto in chi riceve il messaggio un certo ruolo diresponsabilità, non solo esecutivo ma anche proattivo. Questo tipo dicomunicazione comporta una minor incisività e nettezza, ma favori-sce di contro un approccio più positivo e collaborativo, anche se icontenuti possono essere comunque condivisi o no.

136 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

Un ultimo aspetto significativo, seppur estremo, che il managerdelle regole deve conoscere è il cosiddetto utilizzo paradossale dellacomunicazione, che si esprime nella determinazione ad affermare onegare informazioni o di scegliere di non essere espliciti nella sua for-mulazione, creando in questo modo volutamente condizioni di ambi-guità, in presenza di indirizzi od obiettivi poco chiari o a loro voltanon espliciti. Il paradosso consiste infatti proprio nell’evidenziare chela coerenza nell’attuazione di indirizzi poco chiari, comporta la rea-lizzazione di regole a loro volta confuse e perciò intrinsecamente inef-ficaci.

Criteri per una efficace comunicazioneNel tentativo di riassumere i contenuti di questa, necessariamentebreve e sommaria trattazione, si può dire che la comunicazione è unelemento importante nella “valigia” di un manager delle regole, inquanto presenta aspetti sia strumentali che funzionali.

Come suggerimenti per un manager delle regole, si può consiglia-re a livello strumentale di scegliere con oculatezza il canale da utiliz-zare, individuare il tipo di rete utile e la direzione corretta, cercandodi prevenire il più possibile le difficoltà ed intervenire sulle distorsioniche si dovessero manifestare.

A livello funzionale, il manager delle regole deve saper cogliere ilbisogno cui la regola deve rispondere, definire con chiarezza gli obiet-tivi e le modalità di lavoro, individuare ruoli e funzioni di chi colla-bora alla redazione delle regole, provvedendo se necessario ad attivarespecifici percorsi di formazione per il personale coinvolto. Una voltache la regola è entrata in applicazione, il manager deve prevedere glistrumenti adeguati per monitorarne l’attuazione e l’efficacia, anche aifini di rilevare la necessità di apportare cambiamenti e di effettuarli.

In ultima analisi il manager dev’essere consapevole e saper sfrutta-re il ruolo strumentale e funzionale della comunicazione per regola-mentare e favorire il miglioramento dell’organizzazione.

ESEMPIO NEGATIVO

La comunicazione paradossale è sempre negativa in quanto essendo per sua natura ambigua, invece di incentivare

determinati comportamenti, tende a bloccare l’azione del destinatario della comunicazione. Esempi di doppia

comunicazione paradossale sono molto frequenti. Il caso classico è quello della cosiddetta “circolare sorriso”, vale

a dire l’effettuazione di disposizioni che impongono comportamenti spontanei, come per l’appunto quello di

dimostrarsi sorridenti e felici di fronte agli utenti. Altre forme di comunicazione paradossale è quella in cui si

fanno dichiarazioni “ideologiche” come per esempio quella di credere nella meritocrazia, di fronte a comporta-

menti nei quali le valutazioni sono palesemente approssimative ed appiattite.

COMUNICARE LE REGOLE 137

4.3 Principi guida e suggerimenti per una efficace scrittura delle regole

PremessaNell’impostazione di questo manuale le regole sono state pensateed analizzate come strumenti per gestire l’organizzazione. Uncorollario di questo assunto è che buone regole, capaci di incideresull’organizzazione (e di guidarla), sono anche “regole che riesconoa farsi capire”.

Quando, invece, le regole sono poco chiare, contraddittorie,ridondanti, incomprensibili divengono – esse stesse – elementi dicomplicazione della vita organizzativa. Molto spesso, il fallimentodella regola è una “questione di forma e di linguaggio”1. Ma, inrealtà, il linguaggio è sostanza. Infatti, regole comunicate con unlinguaggio “poco chiaro” segnalano problemi nel processo che hacondotto alla loro formulazione, segnalano mancanza di visione edi strategia, segnalano un utilizzo strumentale della regola stessa(formidabile strumento, se si vuole, per aumentare complessità eincertezza, che gli esperti di regole sanno come “trattare” e “addo-mesticare”).

Il problema della chiarezza assume un particolare rilievo anche acausa della particolare natura del linguaggio delle regole. Esso èinfatti un linguaggio “tecnico” ed altamente formalizzato, che si pre-sta in modo particolare ad essere utilizzato come “linguaggio perpochi adepti”2. Il rischio, quindi, di scrivere regole poco chiare èquanto mai reale. Chi scrive regole dovrebbe costantemente ricor-darsene.

Muovendo da tali assunti, il presente paragrafo vuole forniresemplici strumenti per scrivere le regole in modo chiaro. Verrannoripresi i principi di redazioni delle norme, definiti soprattutto inambito legislativo, e verrà operata una loro trasposizione all’ambitopiù specifico delle regole d’organizzazione, di cui si occupa questomanuale.

Va ricordato, a questo proposito, che in molti Paesi, compreso ilnostro, si è posto il problema della semplificazione del linguaggio nor-mativo ed amministrativo, al fine di avvicinare sempre di più i cittadinialle pubbliche amministrazioni, anche in “risposta” alla grave crisi dilegittimazione che ha investito, in anni recenti, queste ultime. In molticasi, sono state adottate vere e proprie politiche di semplificazione nor-mativa ed amministrativa. Nell’ambito di tali politiche, sono state ema-nate regole e direttive per la corretta redazione dei testi normativi

Principi guida nella redazione normativaLa definizione di regole di organizzazione3 che abbiamo dato nelprimo capitolo, cioè quali specificazioni di modelli di comportamento

1. Ed è anche a causa diuna forma spesso nonappropriata che le stesseregole vengono apostrofa-te con l’epiteto di buro-cratico, sottolineando difatto una lettura di diffici-le comprensione, spessoarida e deludente.

2. I regolamenti esprimo-no regole importanti edeterminanti, ma sonosilenziosi. Non sono visto-si, non rappresentano unabandiera politica e la loroveste formale non è scin-tillante.

3. Le regole di organizza-zione sono pertantonorme. Sul punto èimportante l’inciso diVittoria Italia che riferen-dosi ai regolamenti deglienti locali, afferma: “…èopportuno che gli stessiregolamenti precisino laloro natura giuridico-nor-mativa, superando il per-durante equivoco giuri-sprudenziale che il regola-mento sia un atto ammini-strativo”.

138 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

attesi o vietati di carattere generale adottati all’interno di una istituzio-ne, presenta numerose similitudini con l’idea di norma ideale cheaveva F. Bacone: “Quae sit intimatione certa, praecepto iuxta, executionecomoda, cum forma politiae congrua et generans virtutem in subditis”.

La regola deve essere precisa nel disporre, costituzionalmentelegittima, di facile applicazione, giusta ed avente uno spiccato conte-nuto pedagogico.

Attengono alla formulazione linguistica del singolo atto, i principi di:• comprensibilità;• chiarezza;• economia.

Il principio di comprensibilità della regola rappresenta il comunedenominatore degli altri. La norma è un messaggio. Negli ordina-menti giuridici contemporanei, le regole hanno la forma di messaggilinguistici scritti.

Il significato etimologico dell’espressione messaggio presupponela presenza di due soggetti, l’emittente (colui che scrive il messaggio)e il destinatario (cui il messaggio è rivolto, destinato). Il messaggiopertanto rappresenta lo strumento attraverso cui si stabilisce la comu-nicazione tra due o più soggetti.

Affinché la comunicazione si realizzi, è necessario che il messaggiosia conoscibile e comprensibile.

Possiamo, senza indugio, definire la conoscibilità come la possibi-lità offerta al destinatario di ricevere il messaggio, cioè lo scritto,ovvero di conoscerne l’esistenza e di reperirlo.

Così definito, il tema della conoscibilità ha per oggetto gli stru-menti e le forme attraverso cui la regola perviene ovvero è reperibileal destinatario.

La presunzione di conoscenza rispetto alla regola non è tuttaviasufficiente, se non accompagnata dalla possibilità di comprensionedella stessa.

Un messaggio scritto è comprensibile quando è suscettibile disignificato, quando ha un senso per chi lo legge. Nel nostro caso lacomprensibilità della regola dipende dalla qualità redazionale e dallacapacità recettiva del destinatario.

Il secondo principio di cui dobbiamo tener conto è quello dellachiarezza. A tale proposito, dobbiamo distinguere due profili: unoavente carattere formale, l’altro sostanziale.

L’aspetto formale riguarda il titolo, l’articolazione e la numerazionedei commi, i rinvii ecc.

Sotto il profilo sostanziale, possiamo affermare che il redattoredelle norme non deve usare più parole per esplicare ciò che dovreb-be essere chiaro con una soltanto, né utilizzare una seconda frase

per esprimere in modo corretto un concetto definito oscuramentecon la prima.

La regola è chiara quando enuncia, con pochi e semplici enun-ciati, un concetto generale; ovvero quando enumera, in modo ana-litico attraverso numerosi enunciati, i casida regolare.

Il principio dell’economia, in ultimo,riflette la necessità di agire con parsimonianella regolamentazione e, laddove necessa-ria, con il minor numero di regole e dienunciati.

Il rapporto tra redazione e interpretazione4

Il messaggio legislativo può dirsi perfetta-mente compreso quando ricevente ed emit-tente gli attribuiscono lo stesso significato.

Di fatto, questa situazione si verifica solodi rado ed è facile riscontrare come ci siasempre un certo divario tra il significato cheil redattore emittente della regola attribuiscealle sue parole, al momento della formula-zione, e il senso che delle stesse ricava ildestinatario.

Per evitare un’interpretazione5 non desi-derata, chi scrive la regola deve preoccuparsidi ridurre quanto più possibile il divario traciò che vuole esprimere e quanto può esserecompreso, di fatto prevedendo e anticipandoil significato (l’interpretazione) da dare aglienunciati normativi e redigere gli stessienunciati in modo che il destinatario sia gui-dato ad adottare l’interpretazione voluta dal-l’emittente.

Il rapporto che si realizza tra la scritturae la lettura della norma è di tipo dialettico: laprima indirizza e condiziona la seconda, laquale, a sua volta, condiziona il significatocontenuto nella prima.

Risulta così indispensabile per chi redigela regola avere conoscenza dei canoni diinterpretazione giuridica, perché la nuovadisposizione dovrà essere costruita rispettoalla interpretazione effettivamente voluta.

Evitando le impegnative discussioni suicriteri interpretativi, è certo che l’obiettivodel bon legislateur deve essere quello di uti-

4. Sul rapporto intercor-rente tra interpretazione eredazione sono degne dinota le considerazioni diVittorio Frosini: “La tec-nica di interpretazionedegli atti normativi e latecnica della legislazione(legistica) sono propriodue facce della stessamedaglia, sono letteral-mente il verso e il rettodella stessa realtà dellalegge; secondo come unalegge è fatta così essa vieneinterpretata”.

5. Sull’interpretazionedelle regole di organizza-zione in generale e in par-ticolare sui regolamentidegli enti locali riportia-mo le considerazioni diItalia: “I regolamenti deiComuni sono delle norme,e contengono norme giuri-diche. Quindi i regolamen-ti degli enti locali devonoessere interpretati seguen-do i criteri di ermeneuticadelle norme giuridiche”.Sul punto anche Romanoche ha distinto tra l’inter-pretazione della delibera-zione, che è un atto, el’interpretazione del rego-lamento, che è unanorma. “ Peraltro, i criteridi interpretazione di cuiall’art. 12 delle preleggi alcodice civile devono essereadattati a queste regolegiuridiche locali. Il "signi-ficato proprio delle parole"e l’altro criterio "secondola connessione di esse",costituiscono dei criteri deiquali si può e si deve tene-re conto, e la stessa cosadeve dirsi per quantoattiene all’intenzione dellegislatore (purché sia essafedelmente documentatanella relazione al regola-mento, o dalla discussionedi esso). Ma il punto rile-vante è che questi regola-menti devono innanzi

tutto rispettare lo statuto,ed il loro spazio si attua,poi, nel rispetto dei princi-pi fissati dalla legge (art. 5,Legge n. 142/90, modifica-to dalla Legge n. 265/99),siano essi principi fissatidalla Legge n.142/90, oprincipi che siano fissatida altre leggi statali”.Devono pertanto essereconsiderate vetuste, sullabase delle considerazioniappena effettuate, quellenorme presenti all’inter-no di alcuni statuti cheprescrivono l’interpreta-zione dei regolamentilocali parafrasando l’art.12 delle preleggi es.: lostatuto del comune…prevede una norma sul-l’interpretazione dei rego-lamenti “1. Nell’applicare unregolamento, non si puòad esso attribuire altrosenso che quello fattopalese dal significato pro-prio delle parole secondola connessione di esse”. Iregolamenti degli entilocali non solo possonodare esecuzione alledisposizioni di legge, maanche attuazione, es: sta-tuto del comune … “iregolamenti hanno percontenuto le norme diattuazione dei principidelle disposizioni di leggee del presente statuto”.L’autore pertanto conclu-de affermando che i crite-ri di interpretazione deiregolamenti dei comunidevono essere individuatinel sistema in cui questiregolamenti si incardina-no. I regolamenti devonocosì essere collegati con lostatuto del relativo comu-ne, con le norme di prin-cipio della Legge n.142/90 e con altre normedelle leggi statali di prin-cipio e delle disposizionidelle leggi generali.

COMUNICARE LE REGOLE 139

lizzare in modo appropriato e corretto gli enunciati semantici e diarticolare in modo adeguato le proposizioni linguistiche6.

Iperlegislazione e inquinamentoPrima di analizzare le regole per una corretta redazione di un attonormativo è doverosa una premessa.

Il sistema della legislazione in Italia versa in un situazione di crisipreoccupante.

Due in particolare sono i fenomeni che affliggono il nostro sistema:• l’inflazione;• l’inquinamento.

Le lamentele sull’abbondanza delle leggi non sono mai mancate.Le cause dell’aumento della legislazione sono in primis rintraccia-

bili nel nuovo ruolo assunto dallo Stato, dive-nuto interventista ed assistenziale.

Il passaggio dall’uguaglianza davanti allalegge all’uguaglianza nella legge porta allaproduzione e applicazione di misure differen-ti data la differenza delle situazioni che devo-no essere regolate.

Altre cause di aumento delle regole sonoindividuabili nella intensificazione delle rela-zioni internazionali e nello sviluppo delleautonomie locali che hanno, di fatto, com-portato una diversificazione dei centri di pro-duzione normativa.

L’iperlegislazione che interessa il nostrosistema tutto è tale da comportare il parados-so, in particolare negli enti locali, che leamministrazioni funzionano meglio quandonon rispettano tutte le prescrizioni cui sonosoggette.

L’esistenza di un numero eccessivo dinorme (leggi, regolamenti ecc.) nel lorointrecciarsi e sovrapporsi rappresenta già, difatto, una causa rilevante di inquinamento.

Altre cause sono:• l’esistenza di una pluralità di fonti normati-ve concorrenti, in cui è evidente la carenza diripartizione delle competenze e di un rappor-to ben definito tra le stesse fonti;• la scarsa attenzione nella redazione, l’insuf-ficiente o mancato coordinamento con ilcontesto normativo in cui le nuove norme sicollocano.

Riportiamo di seguito un elenco aperto:

6. Risultano interessanti leconsiderazioni diModugno sul linguaggiodelle norme: “In linea dimassima le leggi sonoredatte in un linguaggionon formalizzato, ma uti-lizzando il linguaggiocomune; esiste poi unnucleo di termini propridel linguaggio giuridico,pochi e per lo più dalladoppia appartenenza allinguaggio giuridico e aquello comune, macomunque il linguaggiogiuridico, nel suo comples-so, rientra nel linguaggiocomune, ne segue la sintas-si ed è condizionato dall’u-so. Questo fenomeno, dellamancata formalizzazionedel linguaggio giuridico,viene per lo più giustificatocon la fondamentale esi-genza democratica e civile,che impone al legislatore diadottare disposizioni il cuisignificato sia comprensibi-le a tutti”. Cassese ha sin-tetizzato egregiamente laquestione affermando che“le leggi sono scritte dauomini comuni per fron-teggiare interessi comuni”.Continuando: “Tuttaviaoggi è evidente che l’ecces-so di diritto, la complessitàdelle fonti di cognizione ele difficoltà nel reperire ledisposizioni da interpreta-re, rendono difficile, ancheal giurista, conoscereapprofonditamente pur

solo ristretti settori deldiritto; questo è del resto laragione della progressivaspecializzazione delle pro-fessioni giuridiche.Dunque, anche in assenzadi un linguaggio formaliz-zato, i non giuristi devonorivolgersi ai tecnici.Probabilmente, la ragioneche fa rifuggire i legislatoridall’impiego di un lin-guaggio formalizzato è chesi pagherebbe la maggiorecertezza del diritto con uninaccettabile impoveri-mento delle possibilitàespressive del mezzo lingui-stico, che perderebbe quellamalleabilità e adattabilitànecessaria al funziona-mento di sistemi moltocomplessi come gli ordina-menti giuridici contempo-ranei. Se un elevato gradodi formalizzazione non èauspicabile, il pericoloopposto, di un’alta incer-tezza del diritto consigliaperaltro di adottare eseguire canoni e regolenella redazione dei testinormativi, il legal drafting,tesi a ridurre le imprecisio-ni del linguaggio comunenormativo. La esigenzadella certezza del diritto èconnessa non solo allaadozione di una particola-re tecnica nella redazionedelle leggi, ma deve tenereconto dell’orizzonte cultu-rale dei giuristi e degliinterpreti”.

140 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

COMUNICARE LE REGOLE 141

ambiguità semantica, sintattica; vaghezza; abrogazione innominata; lenorme intruse; stratificazione di norme; ricorso frequente a leggi“arlecchino”; antinomie; rinvii a catena.

La buona fattura della norma necessita di regole codificate, anche di tipo formaleLa necessità di porre rimedio ad una tale situazione è innegabile.

Altrettanto innegabile è che un contributo importante può esseredato dalla maggiore attenzione che occorre porre nella tecnica di reda-zione normativa, nel rispetto cioè di una serie di regole volte ad assicu-rare un uso chiaro univoco ed omogeneo del linguaggio normativo, unacorretta organizzazione del testo, una adeguata struttura della frase.

Le iniziative7 assunte negli ultimi anni in tema di drafting norma-tivo evidenziano come questo strumento si sia imposto nello scenariopolitico istituzionale e come tuttavia necessiti di ulteriori interventiper la realizzazione di un diritto chiaro: un diritto che, come ricorda-to in precedenza, esprimendosi per il tramite del messaggio normati-vo. sia facilmente comprensibile da tutti, non comporti equivoci ointerpretazioni fuorvianti.

Le regole principali del drafting formale sono due:a. struttura e organizzazione del testo normativo: il testo deve

riflettere un piano preordinato, tale da sviluppare una precisagerarchia tra le diverse informazioni contenute nell’atto; in parti-colare, è importante evitare l’inserimento di norme intruse rispet-to all’argomento trattato in via principale; scandire i precetti con-tenuti all’interno della regola utilizzando la ripartizione in sezioni,capi, titoli; rubricare ogni articolo, dedicando a quest’ultimo unoggetto ben determinato;

b. la struttura della frase ed il linguaggio utilizzato: usare perioditendenzialmente brevi, senza troppi incisi né subordinate; curarnela punteggiatura; evitare la doppia negazione e, ove possibile, laforma passiva; puntare all’essenzialità del testo; utilizzare paroleitaliane; evitare l’uso di termini arcaici e neologismi o di difficilecomprensione per il destinatario del messaggio.Il 20 aprile 2001 i Presidenti delle Camere e il Presidente del

Consiglio dei Ministri hanno congiuntamente adottato una letteracircolare recante “Regole e raccomandazioni per la formulazione tec-nica dei testi legislativi”, contenente i principi sopra richiamati.

È importante evidenziare che le regole e le raccomandazioni con-tenute nella circolare sono applicabili con gli opportuni adeguamentia qualunque atto normativo.

Cercheremo, pertanto, di estrapolare alcune regole e raccomanda-zioni maggiormente inerenti le regole di organizzazione.

Struttura e organizzazione del testo normativoLa prima raccomandazione che intendiamo riportare è riferibilealla struttura dell’atto normativo contenente la disciplina di una

7. Degno di nota l’attivitàdel Consiglio e dellaGiunta della RegioneToscana, che ereditando leesperienze dellaCommissione Basettoni-Arleri, organizzò, tra glianni 1983-84, alcuniseminari di perfeziona-mento, per i funzionariregionali, sul drafting legi-slativo e che portaronoalla redazione di un testodi studio “Suggerimentiper la redazione dei testinormativi”.

8. Rispetto ai regolamentiVittorio Italia parla addi-rittura di un’architetturainterna: “…tale da consen-tirne la lettura e l’applica-zione anche attraverso irichiami che talune normehanno nei confronti dellealtre”.

142 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

specifica materia e concerne la sequenza relativa all’ordine delledisposizioni8:a. parte introduttiva, che contiene le disposizioni generali come le

finalità dell’atto e i principi generali cui lo stesso si ispira; ilcampo di applicazione e eventuali definizioni;

ART…

OGGETTO

Il presente regolamento disciplina l’ordinamento degli uffici e dei servizi del comune di…..

ART…

FONTI

1. Il presente regolamento, nel rispetto dei contenuti dell’art. 2, comma 1, del D.Lgs. n. 165/2001 e dell’art. 89,

comma 2, del D.Lgs. n. 267/2000, definisce le linee fondamentali di organizzazione degli uffici, individua gli

uffici di maggiore rilevanza e i modi di conferimento della titolarità dei medesimi, stabilisce le regole e i criteri

per la quantificazione della dotazione organica complessiva.

2. Il rapporto di lavoro del personale e della dirigenza è disciplinato secondo le disposizioni dell’art. 2, commi 2 e

3 del D.Lgs. n. 165/2001 così come integrate dalle altre disposizioni specifiche contenute nello stesso decreto

legislativo con particolare riferimento al titolo IV.

ART…

FINALITA’

Il presente regolamento persegue le seguenti finalità generali:

ART…

Principi e criteri informatori

L’ordinamento degli uffici e dei servizi si informa ai seguenti principi e criteri:

a. di efficacia interna e esterna;

b. di efficienza tecnica e comportamentistica;

c. di economicità;

d. ecc.

Capo I Principi Generali

COMUNICARE LE REGOLE 143

b. parte principale: contenente le disposizioni sostanziali e procedu-rali relative alla materia disciplinata;

c. parte finale, contenente le disposizioni finali, quali ad esempiodisposizioni di coordinamento; disposizioni transitorie e abrogati-ve, disposizioni sull’entrata in vigore.

ART. X

PRIMA ATTIVAZIONE DEL NUOVO MODELLO ORGANIZZATIVO

1. I tempi per la piena operatività del presente regolamento sono così definiti, a partire dalla sua data di entrata

in vigore:

a. entro … giorni la giunta definisce ai sensi dell'art. … la struttura dei dipartimenti;

b. entro i successivi … giorni il sindaco (o il presidente della provincia) provvede a conferire gli incarichi di

direttore di dipartimento ai sensi dell'art. …;

c. entro i successivi … giorni i direttori di dipartimento definiscono ai sensi dell'art. … la struttura organiz-

zativa interna dei dipartimenti e conferiscono ai sensi dell'art. … i corrispondenti incarichi sulle strutture

di livello dirigenziale.

2. Dalla data di conferimento dei relativi incarichi i dirigenti assumono la piena titolarità delle attribuzioni stabi-

lite dal presente regolamento.

3. A decorrere dalle date derivanti dalla applicazione del comma 1, le disposizioni previgenti che abbiano confe-

rito agli organi istituzionali provinciali l’adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi

attribuiti ai dirigenti secondo la disciplina del presente regolamento, si intendono nel senso che la relativa

competenza spetta agli stessi dirigenti.

ART. X

ABROGAZIONI DI NORME REGOLAMENTARI

1. Sono abrogate tutte le previgenti disposizioni regolamentari in materia di personale ed organizzazione.

ART. X

ENTRATA IN VIGORE

1. Il presente Regolamento entra in vigore all’atto dell’approvazione della relativa deliberazione della giunta.

Titolo... Disposizioni transitorie e finali

144 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

Il testo normativo, oltre ad essere chiaramente strutturato nelleparti appena richiamate, deve anche mostrare una organizzazionelogica dei diversi argomenti trattati. Il lettore, consultando l’indice,deve essere in grado di cogliere i nessi fondamentali e deve percepireuno sviluppo coerente dell’intera struttura.

Regole elementari, a questo riguardo, sono le seguenti:• non introdurre parti all’interno delle quali non siano chiaramente

definiti tutti gli elementi: ad esempio, non trattare della figura del“direttore del dipartimento”, senza che, preventivamente, sia statodefinito e disciplinato il “dipartimento”;

• procedere ordinatamente da argomenti e temi di carattere generalead argomenti e temi che ne rappresentano la specificazione ed ildettaglio: ad esempio, disciplinare prima il modello generale delladirezione e successivamente affrontare i più specifici poteri e le piùspecifiche competenze decisionali delle singole figure di dirigenti;

• enucleare con chiarezza i diversi temi, evitando sovrapposizioni econfusioni; fare in modo, ad esempio, che i diversi “titoli” corri-spondano ad argomenti dotati di relativa autonomia (ad esempio,nella ripartizione logica degli argomenti concernenti l’organizza-zione, trattare separatamente la struttura organizzativa, la funzio-ne direzionale ed i sistemi di gestione).

Nel box si riporta un esempio di indice di regolamento, in cui c’èil tentativo di collocare in modo logico e coerente le diverse parti.

Oltre ai principi generali ed alle disposizioni finali e transitorie,che aprono e chiudono il testo regolamentare, sono enucleabili quat-tro argomenti fondamentali:• il primo, relativo alla distinzione tra indirizzo politico e attività di

gestione, collocato al primo posto perché “basilare” rispetto alfunzionamento complessivo dell’organizzazione;

• il secondo, relativo alla “struttura organizzativa”, definisce l’organi-gramma tipo, su cui vengono esercitate nel concreto le funzionidirigenziali;

• il terzo, relativo alla “funzione dirigenziale”, dopo aver definito l’orga-nigramma tipo e la struttura sulla quale sono conferiti gli incarichi;

• il quarto, relativo a tutti i “sistemi di gestione” che completano edintegrano il funzionamento complessivo dell’organizzazione.

COMUNICARE LE REGOLE 145

TITOLO I PRINCIPI GENERALI

Art. … Oggetto e finalità

Art. … Fonti

Art. … Criteri di organizzazione

TITOLO II INDIRIZZO POLITICO E ATTIVITA’ DI GESTIONE

Art. … Indirizzo politico-amministrativo

Art. … Attività di gestione

Art. … Potere di organizzazione

Art. … Relazioni politica-gestione

Art. … Raccordo tra indirizzo politico e attività di gestione

TITOLO III STRUTTURA ORGANIZZATIVA

Art. … Strutture organizzative permanenti

Art. … Strutture organizzative temporanee

Art. … Strutture speciali di supporto del sindaco (o del presidente della provincia)

Art. … Segreterie del sindaco (o del presidente) e degli assessori

Art. … Costituzione e adeguamento dei dipartimenti

Art. … Organizzazione interna dei dipartimenti

TITOLO IV FUNZIONE DIRIGENZIALE

Art. … Dirigenti a tempo indeterminato

Art. … Dirigenti a contratto

Art. … Competenze e poteri dei direttori di dipartimento

Art. … Competenze e poteri dei dirigenti

Art. … Incarichi di funzioni dirigenziali

Art. … Incarichi non dirigenziali (posizioni organizzative)

Art. … Costituzione del rapporto con il direttore generale

Art. … Ruolo del direttore generale

Art. … Revoca degli incarichi di livello dirigenziale

Art. … Ruolo del segretario provinciale

Art. … Conflitti di competenza

Art. … Funzioni di supplenza e di sostituzione temporanea

146 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

Struttura della frase e linguaggioUn’altra regola, contenuta nella circolare, che necessita di essererichiamata è quella relativa alla terminologia da usare nella redazionedegli enunciati.

Riportiamo le indicazioni maggiormente indicative contenutenella circolare:a. Nella formulazione dei precetti è adottata la massima uniformità

nell’uso dei modi verbali, la regola essendo costituita dall’indicativopresente, escludendo sia il modo congiuntivo sia il tempo futuro.

b. Va evitato l’uso del verbo servile diretto a sottolineare l’imperativitàdella norma (“deve”, “ha l’obbligo di”, “è tenuto a”).

TITOLO V SISTEMI GESTIONALI

Art. … Sistema integrato dei controlli interni

Art. … Controllo strategico

Art. … Controllo di gestione

Art. … Controllo di regolarità amministrativa e contabile

Art. … Sistema di valutazione delle prestazioni dirigenziali

Art. … Sistema di graduazione delle posizioni dirigenziali

Art. … Sviluppo delle competenze del personale

Art. … Dotazione organica e pianificazione dei fabbisogni

Art. … Mobilità del personale

TITOLO VI SISTEMA DELLA PARTECIPAZIONE E DELLE RELAZIONI SINDACALI

Art. … Relazioni con i soggetti sindacali

Art. … Partecipazione dei lavoratori

Art. … Partecipazione del comitato per le pari opportunità

TITOLO VII DISPOSIZIONI TRANSITORIE E FINALI

COMUNICARE LE REGOLE 147

c. Va evitata la forma passiva (in particolare il ”si” passivante) quandocon il suo impiego non risulta chiaro l’agente o il destinatario cui ladisposizione si riferisce.

d. Va evitata la doppia negazione.

Lungi dall’essere un problema di natura sintattica o di eleganzaformale, la presenza di più negazioni o enunciati in forma negativa inuna medesima frase comporta di frequente problemi legati ai contro-sensi; mentre per quanto concerne le espressioni al passivo non dirado si è avuta difficoltà a rintracciare i soggetti dell’azione descrittadal verbo che regge la frase.

e. Se si intende porre una formulazione disgiuntiva assoluta (aut…aut) e non relativa (vel) e dal contesto non risulta evidente taleintento, il dubbio va sciolto ripetendo la disgiunzione “o” due volte.È evitato l’impiego dell’espressione e/o.

ART. X

DIRETTORE GENERALE

Il Direttore Generale deve dare attuazione agli indirizzi e agli obiettivi stabiliti dalla Giunta provinciale secondo le diretti-

ve impartite dal Presidente della Provincia al fine di garantire il perseguimento di livelli ottimali di efficacia e efficienza.

La stessa disposizione può essere scritta

Il Direttore Generale ha il compito di dare attuazione agli indirizzi e agli obiettivi stabiliti dalla Giunta provincia-

le secondo le direttive impartite dal Presidente della Provincia al fine di garantire il perseguimento di livelli otti-

mali di efficacia e efficienza.

ART. X

COLLABORAZIONI ESTERNE AD ALTO CONTENUTO DI PROFESSIONALITA’

Quando non ci sia nessuno in grado di conseguire specifici obiettivi si ricorre a collaborazioni esterne ad alto con-

tenuto di professionalità.

Lo stesso enunciato può essere scritto

Il comune ricorre a collaborazioni esterne ad alto contenuto di professionalità per obiettivi determinati, quando

all’interno dell’amministrazione non vi siano le competenze professionali per conseguire i predetti obiettivi.

9. L’art. 4 della Legge n.142/90 prevede l’abroga-zione automatica dellenorme statutarie incom-patibili con i nuovi princi-pi. I Consigli comunali eprovinciali devono pertan-to procedere alle necessa-rie modifiche statutarie, ese ciò non avviene entroun determinato periodo ditempo, si verifica l’abroga-zione automatica dellenorme statutarie incom-patibili con i nuovi princi-pi. Tale norma è tuttaviaeccezionale, facendo ecce-zione alla regola generaleche prevede la necessitàdell’abrogazione esplicita:vi è quindi il divieto del-l’applicazione analogicadelle norme dell’art. 4della Legge n. 142/90.

148 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

f. il verbo “abrogare” è utilizzato con riferimento a disposizioni di attilegislativi di livello non inferiore al comma (o alla lettera se ilcomma è diviso in lettere o ad ulteriore unità minima in cui è ripar-tito il numero).Quando si intenda invece riferirsi a periodi (frasi sintatticamentecomplete che terminano con il punto) o parole è usato il verbo “sop-primere”L’abrogazione rappresenta la conseguenza della modificazione,

totale o parziale, della regola.Con la modificazione e contestuale sostituzione totale viene abro-

gato l’intero atto precedente. È pertanto importante che non vi sia trail precedente e successivo “regolamento” alcuna censura temporale eche al momento dell’abrogazione del precedente atto, il nuovo entriin vigore. Vi deve sempre una disciplina regolamentare, con soluzionedi continuità.

L’ipotesi più comune è comunque quella dell’abrogazione parzia-le. Tale abrogazione rappresenta la conseguenza di una modificazionesolo parziale della regola. Gli aspetti maggiormente rilevanti di questoistituto sono quelli dell’indicazione esplicita delle parti che sonomodificate, e che pertanto sono abrogate; di poi i tempi dell’entratain vigore del nuovo regolamento che devono coincidere con la cessa-zione di efficacia delle parti abrogate del precedente atto9.

Sicché quando dal contesto della disposizione non risulta evidente l’una o l’altra opzione il dubbio deve essere

sciolto come segue:

per specificare la disgiuntiva assoluta si ripete la disgiunzione “o” due volte:

“Il comune autorizza i soggetti in possesso o soltanto del requisito a o soltanto del requisito b”

per esprimere la congiunzione disgiuntiva relativa, va comunque evitato l’impiego dell’espressione “e/o”, ed è pre-

feribile utilizzare formule che esprimono con chiarezza il carattere additivo dell’elencazione quali “ovvero” o “con-

giuntamente o disgiuntamente” e simili:

“Il comune autorizza i soggetti in possesso di un requisito a ovvero del requisito b” .

COMUNICARE LE REGOLE 149

g. È evitato l’uso di termini stranieri, salvo che non siano entrati nel-l’uso della lingua italiana e non abbiano sinonimi in tale lingua diuso corrente.

h. Con riferimento ai termini è usata l’espressione proroga quando iltermine non è ancora scaduto e l’espressione differimento quando iltermine è già scaduto.

UN ESEMPIO CORRETTO DI UTILIZZO DEI TERMINI STRANIERI

Per garantire gli obiettivi di una formazione permanente, in grado di soddisfare le esigenze di riqualificazione e di

più stretto collegamento tra contenuti formativi e apprendimento sul lavoro, con un’ampia componente di svi-

luppo informatico e tecnologico, nonché l’esigenza della massima partecipazione a costi contenuti, l’ente assume

il criterio di incrementare le iniziative di formazione a distanza che utilizzano le nuove tecnologie (formazione on-

line o e-learning), di formazione mista aula e a distanza (blended learning), di formazione attraverso comunità di

pratica e di apprendimento, di formazione sul posto di lavoro (on the job).

ESEMPIO DI ABROGAZIONE PARZIALE

ART. X

Sono abrogate dall’entrata in vigore del regolamento di cui all’articolo Y, le seguenti disposizioni:

a. ...

b. ...

ESEMPIO DI SOPPRESSIONE

Al comma X le parole … sono soppresse.

10. Si ha rinvio quando“un atto normativo inten-de appropriarsi di un con-tenuto prescrittivo che èstato formulato in un attodiverso”. L’uso del rinviorichiede un valutazioneprudente; devono essereutilizzati solo se consento-no una semplificazionedel testo senza tuttaviacomprometterne la com-prensibilità.

150 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

Infine riportiamo i suggerimenti inerenti i riferimenti o rinvii10

normativi interni e esterni.Riferimenti normativi interni

a. Nei riferimenti interni, cioè agli articoli ed ai commi del medesimoatto legislativo che opera il riferimento, la citazione degli articoli ècompletata con l’espressione della presente legge solo quando ulterio-ri riferimenti ad altre fonti normative possano, nel contesto, produrreincertezze interpretative.

b. La medesima regola di cui alla lettera a) si applica alla citazione diun comma all’interno di uno stesso articolo; in questo caso, cioè, l’e-spressione del presente articolo è utilizzata soltanto se ulteriori riferi-menti ad alte fonti normative o ad altri articoli possano, nel contestoprodurre incertezza.

I rinvii interni si riferiscono immediatamente ad articoli o commiconsecutivi; è utile evitare espressioni quali “articolo o comma prece-dente o successivo”; bisogna invece sempre citare il numero dell’arti-colo o del comma a cui è fatto rinvio. Non sono rari i casi in cui, inun momento successivo, venga inserito tra due articoli uno nuovo,rendendo di fatti improprio il riferimento.

ART. X

PROCEDURE CONCORSUALI IN ASSOCIAZIONE CON ALTRI ENTI

1. Per motivi di efficienza ed economicità possono essere effettuate concorsi o corsi concorso in associazione con altri

enti, secondo modalità e procedure stabilite in accordo tra le amministrazioni e regolate attraverso appositi atti.

2. Il procedimento relativo al concorso unico e corso concorso unico è preceduto dalla approvazione, da parte

degli enti aderenti, di una convezione ai sensi dell’art. 30 del D.Lgs. n. 267/2000, o di un accordo, ai sensi del-

l’art. 15 Legge n. 241/90, in aggiunta alle fasi di cui agli articoli Y e Z del presente regolamento.

La proroga prevede che una norma la cui vigenza doveva cessare in un determinato giorno, cesserà in un termine

diverso e maggiore rispetto a quello inizialmente previsto.

Il termine di cui all’art. X è prorogato al …

Il differimento sancisce la vigenza della norma, laddove il termine sia già scaduto.

Il termine di cui all’art. X è differito al …

Riferimenti normativi esterniNei riferimenti esterni, cioè ad atti diversi dall’atto legislativo che operail riferimento, la citazione è fatta con l’indicazione della data di promul-gazione o emanazione della legge o del decreto citato, corredata con ilrelativo numero e omettendo il titolo dell’atto. In case di ripetute cita-zioni di una stessa legge o decreto, è ammessa – limitatamente peraltroalle citazioni successive alla prima – la semplice indicazione del numeroe dell’anno, omettendo il giorno e il mese.

I rinvii esterni richiamano altri atti dello stesso legislatore (es. lostatuto) o di altri legislatori dello stesso o di altri ordinamenti.

Un ultimo suggerimento per una corretta redazione del riferimen-to: la norma rinviante, anche in modo sintetico, deve specificare l’og-getto del rinvio in modo tale che il destinatario del messaggio conte-nuto nell’enunciato possa comprenderne il significato senza per forzaconsultare la disposizione citata.

L’ultima raccomandazione che vogliamo riportare si riferisce all’u-tilizzo delle definizioni.

La definizione rappresenta un strumento nelle mani del redattoreper contrastare l’ambiguità o la vaghezza di un termine corrente, perattribuire maggiore certezza al significato11

contenuto nell’enunciato normativo e diconseguenza meno incerta l’interpretazione.

Le definizioni hanno la veste di enunciatie naturalmente, come qualsiasi enunciato,acquistano significato quando sono interpre-tati. L’utilizzo di questo strumento risultautile12, riducendo le possibilità di interpreta-

11. I singoli termini piut-tosto che di un vero e pro-prio significato sono por-tatori di una gamma dipossibilità di avere unsignificato nell’ambito ditutti gli enunciati ediscorsi di cui potenzial-mente fanno parte.

12. Sull’utilità dello stru-mento delle definizioni sicita Scarpelli: “Una defini-zione ben apposta eviteràmolto controversie chel’imprecisione di un ter-mine altrimenti cagione-rebbe in sede di interpre-tazione-applicazione”.

ART. X

VICEDIRETTORE CENTRALE

L’incarico di vicedirettore centrale, se affidato ai dirigenti a tempo indeterminato comporta, in conformità all’art.

24 del Decreto Legislativo 30 marzo 2001 n. 165, recante, un trattamento economico accessorio graduato in ragioni

delle maggiori funzioni e responsabilità connesse all’espletamento degli incarichi.

ART. X

GRADUAZIONE DELLE POSIZIONI DIRIGENZIALI

La graduazione delle posizioni è definita con provvedimento della Giunta provinciale, nell’esercizio del proprio

potere di organizzazione, ai sensi dell’art. 5 del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, su proposta dell’Assessore com-

petente o dell’Assessore al Personale e Organizzazione e del Direttore Generale.

COMUNICARE LE REGOLE 151

13. Sul punto vedi Scarpelli.L’autore spiega come la“definizione consta di dueparti: il definiendum, che èil vocabolo che viene defi-nito, ed il definiens, che ècostituito di vocaboli datiper noti, i quali definisconoil significato del definien-dum”.

152 REGOLE E REGOLAMENTI DI ORGANIZZAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

zione del destinatario del messaggio contenuto nella regola, nellamisura in cui i termini contenuti nel definiens suscitano di fatto menocontroversie di quanto ne suscitano i termini contenuti nel definitum13.

Il caso sopra richiamato è esemplificativo di un uso inutile delladefinizione, in quanto il termine da definire è contenuto nel definiens.

Un buon esempio di utilizzo delle definizioni

Regolamento per la concessione di contributi, sovvenzioni e prestazioni agevolate

CAPO X

Criteri di accesso al minimo vitale.

ART. X

Per minimo vitale (definiendum) si intende il livello minimo di soddisfazione delle esigenze fondamentali (definiens).

Un cattivo esempio di utilizzo delle definizioni

LEGGE N. 59 DEL 1997

(Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della

Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa).

Art. 1 comma 1

Per enti locali s’intendono le province, i comuni, le comunità montane e gli altri enti locali.

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Finito di stampare nel mese di dicembre 2003dalla Rubbettino Industrie Grafiche ed Editoriali

per conto della Rubbettino Editore Srl88049 Soveria Mannelli (Catanzaro)

I MANUALI

Ripensare il lavoro pubblicoCome gestire le risorse umane e la contrattazione nelle amministrazioni pubblicheAprile 2001

SemplifichiamoGuida alle novità del testo unicosulla documentazione amministrativaAprile 2001

Manuale operativo per il controllo di gestioneNovembre 2001

Lavoro pubblico e flessibilitàAprile 2002

Benessere Organizzativo Per migliorare la qualità del lavoro nelle amministrazioni pubblicheAprile 2003

Il call center nelle amministrazioni pubblicheMigliorare la gestione dei contatti con i cittadiniAprile 2003

La customer satisfaction nelle amministrazioni pubblicheValutare la qualità percepita dai cittadiniAprile 2003

Manuale di finanza innovativa per le amministrazioni pubblicheAprile 2003

Strumenti per la pianificazione integrata del cambiamentonelle amministrazioni pubblicheAprile 2003

Guida operativa alle sponsorizzazioninelle amministrazioni pubblicheAprile 2003

Regole e regolamenti di organizzazionenelle amministrazioni pubblicheDicembre 2003

GLI APPROFONDIMENTI

La valutazione dei costi e benefici nell’analisi dell’impatto della regolazioneOttobre 2001

La consultazione nell’analisi dell’impattodella regolazioneNovembre 2001

Il controllo di gestione nelle amministrazioni centraliEsperienze italiane e internazionali a confrontoAprile 2002

I RAPPORTI

URP on lineIndagine sullo stato di attuazione degli Uffici per le relazioni con il pubblicoSettembre 2001

Donne e leadershipPer lo sviluppo di una cultura organizzativa delle amministrazioni pubbliche in ottica di genereGiugno 2003

LE ESPERIENZE

La valutazione e la retribuzionedelle prestazioniEsperienze e materialiAprile 2001

L’analisi di impatto della regolazionein prospettiva comparataOttobre 2001

Il controllo di gestione nell’amministrazione finanziaria dello Stato: l’esperienza dell’Agenzia delle entrateSettembre 2002

LE PROPOSTE

Proposte per il cambiamentonelle amministrazioni pubblicheAprile 2002

ANALISI E STRUMENTI PER L’INNOVAZIONEVOLUMI PUBBLICATI

La collana “Analisi e strumenti perl’innovazione” nasce per rendere disponibili a tutti coloro che sonointeressati dai cambiamenti cheriguardano le amministrazionipubbliche, in primo luogo agli operatori pubblici, gli strumenti diazione e di conoscenza del Programma Cantieri.

Cantieri è un’iniziativa del Dipartimento della Funzione Pubblica,realizzata in collaborazione con partner pubblici e privati, per accelerare e dare concretezza ai processi di innovazionenelle amministrazioni pubbliche.

La collana comprende:

I MANUALI, che contengono lineeguida e metodi di interventoaccompagnati da esempi di realizzazioni;

GLI APPROFONDIMENTI, che propongono studi di caso eriflessioni su argomenti di interesse particolare;

I RAPPORTI, che presentano analisi basate sulla raccolta di dati, sia qualitativi, sia quantitativi, per far conoscere e comprendere letrasformazioni che riguardano lepubbliche amministrazioni;

LE ESPERIENZE, che raccolgono casi nazionali ed internazionali con cui confrontarsi;

LE PROPOSTE, che contengonostrategie e politiche per ilcambiamento nelle amministrazioni pubbliche.

per il cambiamentonelle amministrazioni pubbliche

Progetto grafico: HaunagDesign

ISBN 88-498-0597-7