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Giancarlo ProvasiProcessi negoziali nelle organizzazioni

5. Il processo negozialePotere negoziale, regole del gioco, strutturazione

strategica

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Giochi strategici e processi negoziali reali

Nei giochi sin qui visti le funzioni di utilità degli attori sono date prima e indipendentemente dal gioco e con le mosse strategiche gli attori possono condizionare le scelte del partner ma non cambiare la struttura del gioco.

Nella realtà negoziale invece:

le funzioni di utilità si “costruiscono” durante il processo;

è possibile “cambiare gioco”, ovvero una parte essenziale del processo negoziale è la sua “strutturazione strategica”.

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Inoltre la teoria dei giochi considera, anche nel caso dei giochi ripetuti, poste invariabili (per lo più semplici) e la persistenza degli stessi attori (due, unitari e che non modificano le loro preferenze durante il ripetersi del gioco).

Nella realtà negoziale invece:

quasi sempre si negozia una relazione e non una singola posta;

durante la negoziazione le poste possono cambiare;

spesso anche gli attori cambiano (possono entrare o uscire; sono spesso attori compositi e cambiano le loro preferenze).

Giochi strategici e processi negoziali reali

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Per comprendere un processo negoziale reale

Per comprendere questi aspetti dei negoziati reali è necessario introdurre alcuni elementi teorici estranei all’approccio analitico razio-nale (a cui si può ascrivere anche la teoria dei giochi):

la costruzione intersoggettiva delle utilità;

il potere negoziale;

le regole del gioco e l’escalation (o slittamento) del gioco;

la complessità degli attori negoziali.

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Il potere negoziale nella teoria economica della contrattazione

Il concetto di potere negoziale è sostanzialmente estraneo alla teoria economica della contrattazione. Esso è derivato in modo deterministico dalle reciproche funzioni di utilità delle parti in gioco. In altri termini essa presuppone che:

tra due soggetti vi sia un rapporto di dipendenza reciproca (uno ha bisogno dell’altro per soddisfare le sue utilità);

abbia più potere contrattuale il soggetto che è meno dipendente dall’altro, ovvero il potere contrattuale è funzione inversa della dipendenza reciproca degli attori.

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Il potere negoziale e la teoria “della dipendenza”

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Il potere negoziale e la teoria “della dipendenza”

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Incertezza e costruzione intersoggettiva delle utilità

Se le funzioni di utilità (i punti di resistenza e la zona contrattuale) fossero date prima e indipendentemente dal negoziato, il potere negoziale sarebbe dunque già determinato e il negoziato si ridurrebbe ad un semplice processo di appren-dimento reciproco (scambio di informazioni, più o meno veritiere, tra le parti).

E’ l’indeterminatezza delle funzioni di utilità in una situazione di doppia contingenza (incertezza strategica) che rende invece il negoziato qualche

cosa di più che un mero processo di apprendimento reciproco.

Le funzioni di utilità non hanno uno statuto oggettivo, sono delle valutazioni soggettive (SEU: subjective expected utility secondo Walton e McKersie) che tengono conto non solo dell’utilità ma anche della probabilità di successo del proprio corso di azione rispetto a quello della controparte e dei costi conseguenti al mancato accordo.

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Il costo del mancato accordo

Il negoziato si esplica dunque sempre sotto l’alea del mancato accor-do e dei costi che ne possono derivare per sé e per la controparte.

Di qui l’importanza tattica – già ricordata – di preparare il negoziato precostituendo la Migliore Alternativa ad un Accordo Negoziato (MAAN) ma ancor prima …

…. la necessità teorica di meglio comprendere come attraverso le mosse di un negoziato possa variare la percezione della probabilità del mancato accordo e la conseguente determinazione delle parti a perseguire i propri corsi di azione.

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Incertezza negoziale e preferenze adattive

Secondo il modello dell’utilità soggettiva attesa (subjective expec-ted utility), gli attori tendono ad adeguare le loro aspirazioni e il valore che attribuiscono a determinati esiti negoziali alla probabilità o oppor-tunità che attribuiscono alla loro realizzazione.

Il modello ritiene così che le parti, attraverso il processo negoziale, adeguino le loro aspettative e dunque i punti di resistenza reciproci così da giungere ad un accordo.

E’ un modello dunque che si fonda sulla teoria delle preferenze adattive (o della “riduzione della dissonanza cognitiva”), secondo quello che Elster ha chiamato il meccanismo “dell’uva acerba”.

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Preferenze adattive e azioni pro-attive

E però nella situazione di indeterminatezza che deriva dalla situazione strategica di doppia contingenza, la possibilità (o probabilità) di conse-guire certi risultati dipende strettamente dall’impegno o determinazione che il soggetto mette in campo: ovvero da quanto è disposto “a pagare” per ottenere il risultato.

La determinazione dipende certamente dal valore che il soggetto attri-buisce al risultato ma anche dalla valutazione della resistenza della controparte e dei costi che si prevedono di dover sostenere per sormon-tarla.

Si determina quindi una sorta di impasse della ragione: adattare le proprie aspirazioni o perseguirle pro-attivamente, con determinazione? Impasse che può essere risolta solo con un atto di volontà:

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Ragione e volontà

La ragione – intesa come esercizio di valutazione della situazione, delle risorse di cui si dispone, delle intenzioni della controparte, ecc. – è comunque necessaria per evitare azioni sconsiderate (e potenzial-mente catastrofiche), ma non è sufficiente.

L’indeterminazione dei rapporti di interdipendenza strategica, può es-sere superata solo infatti da un atto di volontà: da una assunzione rischiosa e potenzialmente costosa di responsabilità.

Il potere negoziale di cui un attore dispone dentro un negoziato (e da cui dipende l’esito finale dello stesso) è inscindibilmente connesso a questo atto rischioso e costoso di volontà.

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Il potere negoziale

Il potere negoziale non è dato infatti prima e indipendentemente dal processo negoziale, si dà solo nel momento in cui viene concreta-mente esercitato, con un atto di volontà che mette in gioco in modo rischioso il soggetto.

Ma perché non è possibile definire a priori (prima del negoziato) le risorse negoziali di cui un soggetto dispone e decidere “a freddo” se convenga o meno impegnarsi in un negoziato?

La risposta a questa domanda è insita nella natura stessa delle risorse negoziali e nel rischio ineludibile che la loro mobilitazione concreta comporta.

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Le risorse negoziali come “risorse sociali”

La risposta alla domanda ci viene suggerita da Crozier e Friedberg (in Attore sociale e sistema) che definiscono il potere negoziale come la capacità di attivare delle aree di incertezza sociale.

In altri termini si mobilita concretamente potere negoziale rendendo incerte (imprevedibili) le prestazioni socialmente dovute al partner.

La fonte ultima del potere negoziale è anche per Crozier e Friedberg la struttura delle dipendenze reciproche ma si tratta di una struttura determinata socialmente, ovvero che discende dall’insieme di norme (o regole di reci-procità) esplicite o implicite che governano le relazioni sociali tra gli individui.

Il potere negoziale si esercita dunque concretamente ritirando la propria adesione incondizionata al sistema di norme esistente e usando della minaccia (di non garantire più le prestazioni dovute) per ristrutturarlo.

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Potere negoziale e regole di reciprocità sociale

Il processo negoziale – come già anticipato – è dunque un’azione strategica che ha come oggetto le regole che governano una relazione sociale:

si attiva potere minacciando la trasgressione di una regola di reciprocità (incertezza), al fine di ristrutturare un nuovo rapporto

più confacente e stabile (sicurezza).

Un sistema normativo non è infatti definito una volta per tutte, è piuttosto “l’istituzionalizzazione provvisoria e sempre contingente della soluzione che attori relativamente liberi … hanno trovato al problema della loro cooperazione” (Crozier-Friedberg).

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Il potere negoziale come “defezione”

In questa prospettiva, il potere negoziale consiste nella possibilità (e volontà) di un attore di defezionare (strategia D nella “teoria dei giochi”)…

… cioè di rendere incerta o di negare la propria collaborazione pagando un costo inferiore a quello del partner, ovvero procurando al partner un danno superiore a quello che quest’ultimo può causare defezionando a sua volta.

Ma per meglio comprendere questo passaggio e le sue implicazioni conviene introdurre il concetto di “regole del gioco”.

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Gioco negoziale e “regole del gioco”

Il negoziato può essere considerato un “gioco sociale”, ovvero una situazione in cui due o più attori interagiscono strategicamente, disponendo di signifi-cativi (ma non assoluti) “gradi di libertà”.

I giochi sociali sono definiti cioè da “regole del gioco”, vale a dire da regole che stabiliscono le mosse consentite e gli esiti delle stesse per il risultato del gioco.

Nei giochi “di società” le regole sono esogene: se non vengono rispettate si è sanzionati. Nel gioco negoziale invece le regole del gioco sono le norme sociali che le parti giudicano conveniente non dover mettere in discus-sione, onde permettere il mantenimento delle loro relazioni di lungo periodo (long-run relationship).

Di qui l’importanza dei criteri oggettivi o principi nei negoziati reali (si veda Fisher-Ury-Patton).

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Regole del gioco ed “escalation”

Ma se nel gioco negoziale non c’è un arbitro che fa rispettare le regole del gioco, gli attori possono allora decidere di giocare un certo gioco, definito dall’insieme di norme che non intendono mettere in discussione, oppure di cambiare gioco, ovvero di mettere in discussione insiemi più generali di regole e attivare così aree di incertezza più ampie.

La minaccia negoziale (che come abbiamo visto consegue a vincolarsi credibilmente ad un corso di azione) consiste nell’obbligare la controparte ad accettare la propria proposta o a rischiare un escalation del gioco, vale a dire a “cambiare gioco” e a mettere in forse livelli più ampi di collaborazione sociale.

Il potere negoziale tra le parti può così essere variato (si mobilitano nuove risorse negoziali) ma con rischi sempre maggiori di non poter ricostituire relazioni collaborative soddisfacenti di lungo periodo.

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Il “rischio calcolato” del cambiare gioco

Talvolta più che minacciare direttamente una escalation, la mossa consiste nell’obbligare il nostro interlocutore ad accettare una certa soluzione oppure a violare regole sociali che egli non può disattendere se non a costi molto elevati.

Per altro, se l’altro decidesse di non soccombere alla minaccia e deci-desse di dare corso comunque alla sua azione anche in violazione di norme di più generale valenza sociale, il costo delle conseguenze potrebbe essere molto elevato anche per colui che ha posto in essere la minaccia.

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Il “rischio calcolato” del cambiare gioco

p.za Tiennanmen, 5 giugno 1989

Fin dove ci si può spingere nella strategia volta ad attivare aree di incertezza per la controparte?

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L’incertezza del gioco negoziale

Date queste condizioni, il soggetto che assume per primo l’iniziativa, minacciando di attivare aree di incertezza essenziali per il partner (che prefigurerebbero, se applicate, una escalation del gioco), può acquista-re un vantaggio negoziale notevole, talvolta risolutivo.

Egli altera infatti, con una sola mossa, la percezione insieme altrui e propria delle opportunità disponibili e, di conseguenza, condiziona il grado di determinazione con cui entrambi i soggetti stanno nel gioco.

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L’incertezza del gioco negoziale

In questo quadro, allora, il negoziatore dovrà decidere le proprie stra-tegie sulla base non più solo della propria posizione all’interno di uno spazio negoziale dato, ma anche delle opportunità e dei rischi lega-ti a possibili nuovi scenari derivanti da una escalation del gioco.

A differenza dunque di quanto previsto nella teoria dei giochi, non solo non c’è perfetta informazione circa la matrice dei payoff, ma la matri-ce stessa può cambiare nel corso del negoziato per effetto delle mosse dei giocatori (che possono modificare l’agenda e le aree di incertezza).

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Come si decide in condizioni di incertezza?

Il negoziatore nel decidere le proprie mosse, non può dunque seguire le procedure tipiche previste dal modello della scelta razionale.

Secondo una letteratura sempre più accreditata (che applica un approccio di tipo cognitivista) il decisore, in un contesto decisionale complesso e soprattutto caratterizzato da incertezza strutturale, come è appunto quello negoziale, compie le proprie scelte sulla base di una rappresentazione della situazione.

Una rappresentazione degli interessi, delle intenzioni, del grado di determinazione e di propensione al rischio del partner, costruita sulla base della propria esperienza personale ma anche culturalmente e storicamente condizionata.

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In particolare, in condizioni di incertezza quali quelle descritte sin qui, le decisioni strategiche (che comportano sempre una espressione di volontà ed una assunzione di rischio) fanno emergere al massimo grado le differenze interne agli attori.

Chi negozia è spesso il rappresentante di imprese, associazioni, orga-nizzazioni, partiti, stati, ovvero attori collettivi e compositi, che annoverano al loro interno interessi diversi.

Questo obbliga i negoziatori a gestire contemporaneamente due processi: un negoziato esterno, con il partner, e un negoziato inter-no, con le diverse componenti che costituiscono il soggetto rappresen-tato.

Attori compositi e negoziato intra-organizzativo

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Attori compositi e strategie negoziali

In presenza di attori compositi, una parte rilevante delle decisioni negoziali (quali poste inserire o escludere dalla trattativa, quali conces-sioni fare, se e quali minacce o promesse mettere in campo) hanno come obiettivi quello di trovare un comune denominatore tra gli in-teressi della propria parte e/o quello di dividere e indebolire la determinazione del partner.

Le decisioni negoziali di attori compositi sono infatti sempre il risultato di un equilibrio tra i due momenti, quello esterno e quello interno. L’accordo (o la rottura) è sempre un accordo (o una rottura) tra partner e insieme tra le componenti interne di ciascun partner.

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L’importanza dell’agenda

chi sono gli attori coinvolti e quali gli interessi in gioco;

le possibili alleanze;

le aree di incertezza potenziali e quindi il potere negoziale;

gli scambi possibili tra le poste in gioco, così da rendere il negoziato un gioco a a somma positiva.

Definire l’agenda di un negoziato è forse il momento più importante dello stesso, perché è attraverso l’agenda che si determina:

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Le fasi del processo negoziale

la definizione dell'agenda o strutturazione strategica la fase tattica la soluzione

Di solito si distinguono tre momenti di un processo negoziale:

Strutturazione strategica

Fasetattica

Soluzione

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La strutturazione strategica

Si è visto come attraverso la definizione dell’agenda di determinano quali problemi debbano entrare nella trattativa, quali siano i partecipanti, quali livelli normativi possano essere messi in gioco e quindi le aree di incertezza potenzialmente attivabili, le possibili soluzioni.

La definizione dell'agenda può avvenire:

attraverso l'imposizione di pregiudiziali all’avvio della trattativa;

oppure nel corso del negoziato, consentendo all'inizio una certa ambiguità.

Assume un particolare rilievo se il negoziato avviene in un contesto poco istituzionalizzato.

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La fase tattica

Nella fase tattica (che di solito si svolge al tavolo, ma non esaurisce il negoziato) le parti esplorano le possibilità di soluzione del conflitto, agiscono sulla base della loro percezione del gioco negoziale e verificano/costruiscono la loro rappresentazione del gioco, dei rapporti di forza, delle soluzioni possibili.

Non sempre la fase tattica approda ad una soluzione soddisfacente per tutte le parti (e per le loro componenti interne). Si può tornare così alla strutturazione strategica, facendo intervenire nuovi soggetti, mettendo in campo (o togliendo) poste, attivando nuove aree di incertezza.

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La soluzione negoziale

Si raggiunge la soluzione del gioco (l’accordo), quando le parti reputa-no l’esito raggiunto soddisfacente sulla base della rappresentazione che si sono fatti della situazione e/o quando una ristrutturazione strate-gica sia ritenuta impossibile, troppo costosa o rischiosa.

La soluzione è sempre (deve essere) una soluzione sociale, ovvero deve ridefinire un ordine normativo accettabile per le parti, che ristabili-sca un sufficiente grado di certezza circa le prestazioni reciproche.

In quest’ottica la soluzione è tale solo se è stabile, vale a dire se – dopo aver cercato durante il negoziato di dividere e indebolire il partner – gli si offre un accordo che possa ricompattarlo. L’accordo non è solo tra le parti ma deve essere anche interno alle parti.

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Letture, esercizi, casi

G. Provasi, Il gioco negoziale, F. Angeli, Milano 1987, cap. 1 e 2 Thirteen days di R. Donaldson