Reggio Calabria. - Espanet Italia · 2017. 2. 24. · Reggio Calabria. L’impatto della crisi su...
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Conferenza ESPAnet
ITALIA Università degli Studi di Salerno, 17 - 19 Settembre 2015
Welfare in Italia e welfare globale: esperienze e modelli di
sviluppo a confronto
L’offerta pubblica di servizi di cura per gli anziani a
Reggio Calabria.
L’impatto della crisi su un deficit strutturale
Autori
Angela Bagnato*, Stefania Barillà* e Flavia Martinelli*
* Dipartimento Architettura e Territorio – DarTe
Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria
L’offerta pubblica di servizi di cura per gli anziani a Reggio Calabria.
L’impatto della crisi su un deficit strutturale.
ABSTRACT
Nel quadro della crisi economica che ha investito numerosi paesi determinando tagli alla spesa sociale
e un’accelerazione dei processi di ristrutturazione del welfare, gli autori hanno ricostruito lo stato
dell’offerta pubblica di servizi di cura per gli anziani (sia domiciliare che residenziale) nella città di
Reggio Calabria allo scopo di valutare gli effetti della crisi.
Tale ricostruzione è stata effettuata analizzando il quadro normativo e di programmazione delle
politiche sociali per gli anziani in Calabria e nel comune di Reggio Calabria (all’interno del più ampio
contesto nazionale), elaborando gli scarsi dati statistici disponibili su tali servizi, e realizzando
interviste a testimoni locali privilegiati (funzionari pubblici, operatori del settore, associazioni). La
rassegna ha consentito di individuare quelle caratteristiche specifiche del territorio che, intrecciate
alle più generali tendenze innescate dalle politiche di contenimento, determinano il quadro attuale
dell’offerta.
In particolare, la ricerca ha messo in luce come la ridotta dimensione dei servizi per gli anziani nella
città di Reggio Calabria, registrata tanto a livello socio-assistenziale quanto a livello socio-sanitario,
è connessa in prima istanza a un deficit strutturale storico del welfare calabrese, accentuato
dall’autonomia regionale in materia di servizi sociali seguita alla riforma del Titolo V della
Costituzione nel 2001, piuttosto che a un effetto contingente della crisi. La politica sociale regionale,
infatti, è caratterizzata da rilevanti vuoti normativi, specie nei regolamenti attuativi dei servizi sociali,
da una persistente assenza di analisi dei bisogni del territorio da parte dei governi regionale e locali,
e dalla mancanza di qualunque monitoraggio dell’offerta. A queste deficienze si aggiunge uno stile
di programmazione regionale improntato a un clima di perenne emergenza (con un forte orientamento
al cash-for-care), una protratta incertezza dei finanziamenti (grande frammentazione di fondi e azioni
, quasi mai dedicati), una forte centralizzazione del controllo, opacità delle procedure, e toni
familistici.
Sul versante locale, che è quello investito in prima linea dai crescenti bisogni degli anziani, si sono
così realizzate – anche in Calabria – grandi differenziazioni territoriali. A Reggio Calabria, in
particolare, benché negli spazi vuoti lasciati dalla programmazione regionale si siano avviate nel
tempo modalità sperimentali di erogazione di alcuni servizi (sia in termini di esternalizzazione, che
di accreditamento), i servizi di cura per gli anziani sono rimasti residuali e l’offerta pubblica che si è
formata nel territorio comunale è sempre stata labile e discontinua. Si rileva, inoltre, una perdurante
difficoltà di integrazione tra i servizi sociali e quelli sanitari, spesso con l’assunzione di ruoli impropri
in entrambi i settori. Vanno segnalate infine le difficoltà legate alla suddivisione del territorio
comunale in ben tre distretti sociosanitari, fatto che ha ulteriormente vincolato lo sviluppo di una
programmazione unitaria.
Il risultato è che la famiglia torna a essere protagonista essenziale delle risposte locali alla crescente
domanda di cura per gli anziani, rappresentando nello stesso tempo uno degli attori meno visibili
nell’orizzonte di programmazione del welfare, senza alcun riconoscimento politico, sociale ed
economico del lavoro di cura. In un contesto di offerta limitata e di accesso sempre più selettivo e
residuale ai servizi, si generano così forme crescenti di esclusione sociale, sia per gli utenti che per i
loro familiari.
SOMMARIO
Introduzione
Il quadro teorico-analitico
L’approccio analitico
Modelli e regimi di welfare
Ruolo, forme e stili di governo
Il modello italiano di cura per gli anziani
La cura degli anziani in Calabria e a Reggio Calabria
La legislazione regionale e il modello di programmazione calabrese
La LR 23/2003
Il Piano dei Servizi 2007-09
Il modello di programmazione
L’offerta pubblica di servizi di cura per gli anziani a Reggio Calabria
I servizi residenziali
I servizi domiciliari
Una valutazione critica
Un deficit strutturale di lunga durata
I condizionamenti del modello regionale di programmazione
I problemi a scala comunale
Le difficoltà dell’integrazione socio-sanitaria
Le ricadute sociali Riferimenti bibliografici
Introduzione
In questo contributo presentiamo alcuni risultati di un caso studio sviluppato nel contesto dell’Azione
COST IS1102 SO.S. COHESION - Social Services, Welfare State and Places, finanziata dalla
European Science Foundation (2012-15) e coordinata dall’Università Mediterranea di Reggio
Calabria 1 . Il paper documenta il sottodimensionamento dei servizi di cura per gli anziani (sia
domiciliare, che residenziale) e gli effetti della crisi finanziaria sull’offerta di tali servizi nella città di
Reggio Calabria – nel contesto più ampio della programmazione dei servizi sociali in Calabria e del
modello italiano di cura per gli anziani – e avanza alcune ipotesi esplicative2.
La ricostruzione dello stato attuale dell’offerta pubblica di servizi socio-assistenziali e sociosanitari
per gli anziani è stata effettuata analizzando l’evoluzione del quadro normativo e di programmazione
delle politiche sociali per gli anziani nella regione Calabria e nel comune di Reggio Calabria,
elaborando gli scarsi dati statistici disponibili su tali servizi, e realizzando interviste a testimoni locali
privilegiati (funzionari pubblici, operatori del settore, associazioni). Va rilevato che non esistono
studi recenti sul settore in Calabria e la ricostruzione dei finanziamenti, della programmazione e
dell’erogazione dell’offerta pubblica di servizi di cura per gli anziani è stata effettuata consultando
direttamente le fonti amministrative (legislazione, regolamenti, decreti, delibere, bandi, graduatorie,
etc., sia regionali, che comunali). La rassegna – assieme alle interviste – ha consentito di individuare
quelle caratteristiche specifiche del territorio che, intrecciate alle più generali tendenze innescate dalle
politiche di contenimento, determinano il quadro attuale dell’offerta a Reggio Calabria.
La ricerca mette in luce come la ridotta dimensione dei servizi per gli anziani nella città di Reggio
Calabria, registrata tanto a livello socio-assistenziale quanto a livello socio-sanitario, è connessa a un
deficit strutturale storico del welfare calabrese, accentuato dall’autonomia regionale in materia di
servizi sociali seguita alla riforma del Titolo V della Costituzione nel 2001, piuttosto che a un effetto
1 Il coordinamento scientifico dell’azione, che ha coinvolto 24 paesi europei e circa 40 istituzioni
universitarie e di ricerca, è stato assicurato dal DArTe – Dipartimento Archiettura e Territorio, nella
persona di Flavia Martinelli. Obiettivo dell’azione era condividere e confrontare le ricerche svolte dai
partner sui processi di ristrutturazione dei servizi sociali in corso nei diversi stati membri dell’UE,
con particolare attenzione agli effetti della crisi sulla coesione sociale e territoriale (per ulteriori
dettagli si veda il sito http://www.cost-is1102-cohesion.unirc.it). L’Unità di ricerca di Reggio
Calabria ha lavorato sui servizi socio-educativi per la prima infanzia, sui servizi di cura per gli
anziani e sui servizi per l’inclusione urbana degli immigrati.
2 Il rapporto sul caso studio nella sua interezza è in corso di pubblicazione. Si veda Bagnato, A.,
Barillà, S. e Martinelli, F. (2016), ‘L’offerta pubblica di servizi di cura per gli anziani a Reggio
Calabria. Le ragioni di un deficit strutturale, l’impatto della crisi e le opportunità di politica sociale’,
COST Working Papers. Case studies Series, Reggio Calabria: Edizioni Centro Stampa di Ateneo-
Università Mediterranea di Reggio Calabria.
contingente della crisi. La politica sociale regionale, infatti, è caratterizzata da rilevanti vuoti
normativi, specie nei regolamenti attuativi dei servizi sociali, da un’endemica assenza di attenzione
all’analisi della domanda proveniente dal territorio e al monitoraggio dell’offerta esistente, e da un
persistente sotto-finanziamento dei servizi. A queste deficienze si aggiunge uno stile di
programmazione regionale improntato a un clima di perenne emergenza (con un forte orientamento
al cash-for-care), una protratta incertezza dei finanziamenti (grande frammentazione di fondi e
azioni, quasi mai dedicati), una forte centralizzazione del controllo, opacità delle procedure e toni
familistici.
Sul versante locale, che è quello investito in prima linea dai crescenti bisogni degli anziani, si sono
così realizzate – anche in Calabria – grandi differenziazioni territoriali. A Reggio Calabria, in
particolare, benché il comune abbia avviato negli spazi vuoti lasciati dalla programmazione regionale
alcune modalità sperimentali di erogazione di alcuni servizi (sia in termini di esternalizzazione, che
di accreditamento), i servizi di cura per gli anziani sono rimasti sostanzialmente residuali e l’offerta
pubblica che si è formata nel territorio comunale è sempre stata labile e discontinua. Si rileva, inoltre,
una perdurante difficoltà di integrazione tra i servizi sociali e quelli sanitari, spesso con l’assunzione
di ruoli impropri in entrambi i settori. Vanno segnalate infine le difficoltà legate alla suddivisione del
territorio comunale in ben tre distretti socio-sanitari, fatto che ha ulteriormente vincolato lo sviluppo
di una programmazione unitaria.
Il risultato di queste caratteristiche strutturali, ulteriormente aggravate negli ultimi anni dalla crisi, è
che la famiglia torna a essere protagonista essenziale delle risposte locali alla crescente domanda di
cura per gli anziani, rappresentando nello stesso tempo uno degli attori meno visibili nell’orizzonte
di programmazione del welfare, senza alcun riconoscimento politico, sociale ed economico del lavoro
di cura. In un contesto di offerta limitata e di accesso sempre più selettivo e residuale ai servizi, si
determinano processi di crescente esclusione sociale, sia per gli utenti che per i loro familiari.
Il paper è strutturato in tre parti. Nella prima parte tracciamo il quadro teorico all’interno del quale si
è mossa la ricerca, specificando la nostra strumentazione analitica. Nella seconda parte entriamo nel
vivo del caso studio e, dopo una breve descrizione del contesto regionale in termini di regolazione e
programmazione dei servizi per gli anziani, documentiamo l’evoluzione e il quadro attuale
dell’offerta pubblica di tali servizi nella città di Reggio Calabria, considerando sia i servizi socio-
assistenziali che quelli socio-sanitari, sia i servizi residenziali che quelli domiciliari. Nella terza parte
presentiamo una valutazione critica dei risultati dell’indagine, identificando alcuni fattori esplicativi
e i principali nodi da sciogliere.
1. Il quadro teorico-analitico
Il tema della ricerca si trova alla confluenza di diversi filoni di letteratura: da una parte la letteratura
sui modelli di welfare e – più specificamente – sulle caratteristiche del modello sociale italiano, con
particolare attenzione ai servizi di cura per gli anziani; dall’altra, dato il ruolo chiave dello stato nelle
politiche sociali, la letteratura su forme, ruoli e stili di governo. Nella cornice di questa letteratura,
inoltre, abbiamo applicato al caso studio una lettura storica e geografica.
L’approccio analitico
L’approccio analitico da noi applicato (Martinelli e Novy 2013) è, infatti, particolarmente sensibile
alle dimensioni del tempo e dello spazio. La dimensione tempo contribuisce a identificare
l’evoluzione dei fenomeni, ovvero i periodi storici significativi, che nel caso delle politiche
economiche e sociali sono caratterizzati da specifiche ideologie sul ruolo dello stato, precisi quadri
regolativi e distinti strumenti di intervento pubblico. Nella nostra analisi facciamo riferimento a due
principali regimi di welfare nel tempo: quello Keynesiano, che va generalmente dalla fine della
seconda guerra mondiale (anche se in alcuni stati inizia già negli anni tra le due guerre) alla metà
degli anni ’80 ed è caratterizzato da un forte intervento dello stato in ambito sociale, sorretto da
principi universalistici di cittadinanza sociale; e quello Neo-liberale, attuato a partire dagli anni ’80
in alcuni stati e dagli anni ’90 in altri, caratterizzato da una sostanziale riduzione dell’intervento
pubblico, a favore di meccanismi regolativi guidati da o ispirati al mercato (liberalizzazioni,
privatizzazioni, managerialismo, etc.). La dimensione spazio, invece, contribuisce al nostro approccio
analitico in due modi: nell’accezione di luogo ci aiuta a spiegare le differenze – ovvero i diversi
modelli di welfare – che esistono tra nazioni, regioni e località, ognuna storicamente condizionata da
specifiche strutture e istituzioni, che definiscono anche i meccanismi di path-dependency;
nell’accezione di scala, ci consente di apprezzare il ruolo reciprocamente condizionante dei rapporti
tra le diverse scale di governo: quello che avviene a livello locale è, infatti, influenzato dalle scale
superiori e viceversa.
In quest’ottica analitica, il caso dei servizi di cura per gli anziani a Reggio Calabria è stato da noi
contestualizzato sia nel particolare periodo storico in cui si afferma il modello sociale italiano, sia nel
particolare modello italiano di servizi di cura per gli anziani e nel particolare modello regionale di
programmazione, porgendo particolare attenzione alle relazioni tra governo centrale, governo
regionale e governo comunale.
Modelli e regimi di welfare
Nella ormai vasta letteratura sui modelli di welfare – iniziata da Esping-Andersen con il suo famoso
saggio del 1990 sui tre ‘mondi’ del welfare e perfezionata da numerosi altri contributi (fra i tanti si
vedano in particolare Arts e Gelissen 2002; Jensen 2008; Kazepov 2008; Ferrera 2010; Schiek 2013),
che hanno portato a cinque le principali ‘famiglie’ di welfare state – l’Italia è generalmente
classificata nel ‘modello mediterraneo o familistico’ (Ferrera 1996; Da Roit e Sabatinelli 2005;
Gough 2010). In estrema sintesi, tale modello, che include anche la Spagna, la Grecia e il Portogallo,
è caratterizzato da un ruolo residuale dello stato, un protratto affidamento dei servizi di cura alla
famiglia (essenzialmente le donne), e un ruolo sussidiario della chiesa e dell’associazionismo
cattolico.
Per quanto riguarda i regimi di welfare, il modello sociale italiano è un ‘late comer’, si afferma cioè
– in forte ritardo rispetto agli stati nordici o continentali – a partire dalla seconda metà degli anni’70.
Si caratterizza pertanto per un approccio ‘schizofrenico’: da una parte un progressivo riconoscimento
di rischi e bisogni sociali, associato ad ambiziosi obiettivi universalistici ancora improntati
all’ideologia Keynesiana, che si traducono in un quadro normativo a crescente complessità; dall’altra,
e contemporaneamente, stanziamenti di risorse limitati rispetto agli obiettivi e ad altre nazioni
europee, così come l’adozione di modalità di gestione già improntate ai principi neo-liberali.
Ma una delle caratteristiche più salienti del modello sociale italiano è la sua forte differenziazione
territoriale. Come hanno messo in luce numerosi studiosi, le storiche differenze strutturali tra le
diverse regioni del paese, benché si siano attenuate con l’avvento dello stato unitario e specialmente
durante la prima repubblica, non sono affatto scomparse. Le istituzioni dello stato unitario si sono
realizzate e hanno operato in modo diverso nelle diverse parti del paese, condizionate dalle strutture
e istituzioni pre-esistenti (path-dependency). Nell’ambito della politica sociale, il lento processo di
convergenza avviatosi nel secondo dopoguerra ha subìto un primo rallentamento negli anni ‘70 con
l’istituzione delle regioni a statuto ordinario, cui sono state progressivamente trasferite competenze
di politica sociale, pur se con finanziamenti e norme nazionali. Si è poi definitivamente interrotto con
la parziale federalizzazione della politica sociale avvenuta nel 2001 con la riforma del titolo V della
costituzione, che sottrae la politica sociale al controllo dello stato centrale, senza però chiarire i
rispettivi ruoli in termini di finanziamento, né definire standard minimi. Si è così sancito e accentuato
un sistema di welfare frammentato e fortemente differenziato tra regione e regione, vanificando di
fatto il principio costituzionale dell’universalismo (Kazepov 2008; Costa 2009; Kazepov e Barberis
2013)
Ruolo, forme e stili di governo
Lo stato – nelle sue diverse articolazioni territoriali – è il principale attore nelle politiche sociali, in
termini di regolazione, finanziamento, erogazione, nella maggior parte delle economie mature,
benché in misura e con ruoli diversificati. Un altro filone di letteratura rilevante per il nostro caso
studio riguarda, pertanto, il ruolo, la forma e lo stile di governo dell’amministrazione pubblica.
Per quanto riguarda ruolo e stile di governo, assumiamo – in linea con l’approccio di Cerase (2012)
– che una ‘buona’ amministrazione pubblica debba essere caratterizzata dalla sua capacità di
rispondere, date le risorse disponibili, ai bisogni sociali espressi dal proprio territorio. Ma lo stato è
un attore complesso, definito e condizionato dalla sua struttura (più o meno decentrata), dalle sue
regole e dalle persone che lo compongono, con la loro cultura, le loro motivazioni e le loro
competenze (Cerase 2012). Come è stato messo in evidenza da numerosi studiosi, uno dei fallimenti
dell’unificazione italiana nel 1861 è stata l’incapacità di costruire una robusta amministrazione
pubblica unitaria, in senso weberiano (Paci 1989; Fantozzi 1993, 2011; Costabile 2009). Pertanto, le
nuove istituzioni periferiche dello stato furono condizionate dalle pre-esistenti strutture e relazioni
sociali. In molte regioni e località del Mezzogiorno – come anche in altre regioni dell’Europa
Meridionale (Sotiropoulos 2004) – la debolezza dello stato e le relazioni sociali pre-capitalistiche
hanno favorito il rafforzarsi delle tradizionali relazioni e pratiche clientelari nel nuovo sistema
politico e amministrativo. Nel secondo dopoguerra, lo sviluppo del welfare italiano è diventato un
veicolo privilegiato per la riproduzione del sistema clientelare meridionale (Fantozzi 2011; Costabile
2009; si veda anche Ferrera 1996). L’istituzione delle regioni a statuto ordinario nel 1971 ha in molti
casi ulteriormente rafforzato i sistemi di potere locali, basati sulla gestione clientelare e
particolaristica della spesa pubblica, specie quella sociale.
Per quanto riguarda la forma dello stato, un altro – e strettamente connesso – problema del welfare
italiano riguarda le relazioni tra i diversi livelli di governo, ovvero tra stato centrale, governi regionali
e amministrazioni locali. Come si è già accennato, il definitivo trasferimento delle responsabilità in
materia di politica sociale alle regioni, attuato nel 2001, ha sottratto questo settore al controllo dello
stato, senza peraltro chiarire le responsabilità reciproche in termini di risorse finanziarie e standard
di servizio. Di conseguenza, le già notevoli differenze esistenti tra le regioni si sono ulteriormente
accentuate, in funzione delle priorità, delle risorse e degli stili governo dei diversi contesti. Si
osservano oggi differenze eclatanti nelle capacità dei governi regionali di identificare, valutare e
soddisfare i bisogni sociali dei loro territori, ma soprattutto nel modo in cui interagiscono con le
amministrazioni locali, che sono quelle deputate all’erogazione dei servizi (Cerase 2012; Martinelli
e Sarlo 2014). La regione Calabria, come vedremo, è tra le ultime in termini di spesa sociale e ha
attuato fino ad oggi uno stile di programmazione che ha delegittimato e depotenziato le
amministrazioni locali.
Il modello italiano di cura per gli anziani
Benché molto differenziato regionalmente, il settore dei servizi di cura per gli anziani in Italia
presenta alcune caratteristiche generali, che possono far parlare di un modello ‘italiano’.
Le caratteristiche principali del modello italiano
In primo luogo, i servizi di cura per gli anziani entrano a far parte della politica sociale italiana con
molto ritardo, rispetto ad altri servizi di cura (come, ad esempio, quelli per la prima infanzia). Fino a
tutti gli anni ’80, la cura degli anziani era un servizio essenzialmente residuale, affidato alle regioni
e agli enti locali, ma erogato soprattutto all’interno della famiglia o dalle associazioni del volontariato
eminentemente cattolico. Misure nazionali a favore degli anziani vengono progressivamente istituite
a partire dalla fine degli anni ’80, prima con l’estensione dell’Indennità di accompagnamento agli
anziani non autosufficienti (1988), successivamente con l’istituzione del Fondo Nazionale per la
Politica Sociale (1997) e infine con l’istituzione del Fondo per la Non Autosufficienza (2006) e del
Fondo per le Politiche della Famiglia (2006). Come si è detto, si tratta di provvedimenti tardivi,
rispetto ad altri paesi europei, avviati in una fase in cui la stagnazione economica e la crisi fiscale
dello stato non riescono a garantire le risorse pubbliche necessarie per sostenerne la piena attuazione.
In secondo luogo, la politica sociale per gli anziani in Italia è estremamente frammentata e
stratificata: non vi è alcun fondo o programma specificamente destinato agli anziani, ma si
sovrappongono numerosi fondi, programmi e istituzioni responsabili, che non necessariamente
riescono ad interagire e integrarsi funzionalmente. Un primo problema è dal lato della domanda di
servizi per gli anziani, che non è univoca, nella misura in cui si intersecano segmenti di domanda con
caratteristiche diverse, quali età, non autosufficienza, o salute. Dal lato dell’offerta, la compresenza
di fonti di finanziamento diverse e di attori istituzionali diversi (stato, regioni, comuni), rende la
programmazione di questi servizi molto complessa. In particolare, vanno sottolineate, nel caso dei
servizi di cura per gli anziani, le difficoltà di integrazione tra servizi sanitari e servizi sociali3, che
presume la collaborazione tra due sistemi diversi, ognuno con diverse unità territoriali di
programmazione: da una parte il Sistema Sanitario Nazionale (a sua volta organizzato in sistemi
sanitari regionali e articolato in Aziende Sanitarie Locali (poi Provinciali); dall’altra gli assessorati
alle politiche sociali delle regioni e dei comuni, questi ultimi spesso associati in Zone o Distretti.
Anche in questo caso, l’integrazione tra i due sistemi si è realizzata in modo molto diverso tra le
regioni.
In terzo luogo, come hanno sottolineato in molti, il sostegno pubblico per gli anziani in Italia è tra i
più bassi d’Europa (Lamura e Principi 2009; Melchiorre et al. 2010; Chiatti et al. 2011), nonostante
la quota percentuali di anziani (≥65 anni) sia tra le più alte (21,4% nel 2014). Inoltre, a parte l’IdA,
l’allocazione delle risorse dei fondi nazionali a questo settore di policy è soggetto alle leggi di bilancio
e negli ultimi anni è stata particolarmente discontinua, sia a causa dei tagli conseguenti alla crisi, sia
per le diverse strategie e risorse messe in campo dai governi regionali.
3 Già a partire dalla fine degli anni ’80 lo stato italiano aveva iniziato a regolare i servizi ‘socio-
sanitari’ – a diverso grado di contenuto medico – per gli anziani non autosufficienti, prima per quanto
riguarda i servizi presso le strutture socio-sanitarie (L 67/1988; DPCM 14/02/2001), poi per quanto
riguarda anche i servizi di assistenza domiciliare integrata (Piano Sanitario Nazionale 1994-96;
DPCM 14/02/2001[).
Infine, il modello italiano è caratterizzato da una prevalenza del sostegno monetario, rispetto
all’erogazione di servizi reali (cash-for-care) (Tediosi e Gabriele 2009; Chiatti et al. 2011). Infatti,
l’Indennità di Accompagnamento4 è – di fatto – diventata il pilastro della politica italiana per gli
anziani non autosufficienti. Nel 2009 i percettori di IdA ≥65 erano oltre 1,5 milioni (il 12% di tutti i
≥65) e le persone ≥ 65 rappresentavano oltre il 90% dei percettori di IdA (Chiatti et al. 2011). Per
contro, l’offerta di servizi reali, di competenza regionale e locale, è generalmente bassa, anche se
molto diversificata tra le regioni.
Le sopra-descritte caratteristiche generali del sistema italiano di supporto pubblico agli anziani
configurano un modello di assistenza che si basa essenzialmente sulla famiglia e sul mercato delle
cure private. Le famiglie – essenzialmente le donne – restano in Italia le principali
fornitrici/organizzatrici dei servizi di cura per gli anziani (Da Roit 2009; OECD 2011; Costa 2013a,
2013b). Ma la mancanza di un offerta pubblica di servizi di cura e l’esistenza di trasferimenti monetari
(l’IdA) hanno anche favorito – in Italia più che in altri paesi – lo sviluppo di un mercato privato dei
servizi di cura, attraverso l’assunzione delle cosiddette badanti, per la maggior parte donne immigrate
sottopagate, spesso senza contratto e/o senza permesso di soggiorno (Lamura et al. 2010; Gori 2011;
Pasquinelli and Rusmini 2010 e 2013; Costa 2013a; van Hooren 2010; Bettio et al. 2006).
Le differenze regionali
Il ‘modello italiano’ di cura per gli anziani sopra tratteggiato non è, tuttavia, omogeneo e si ricontrano
profonde – e crescenti – differenze regionali (Costa 2012; Gori e Pelliccia, 2013), dovute alle diverse
strutture e traiettorie socio-economiche e alle diverse tradizioni amministrative. Nello specifico, si
osservano forti variazioni nella misura dei finanziamenti pubblici destinati agli anziani, nel rapporto
tra erogazioni monetarie ed erogazioni di servizi reali, nel rapporto tra servizi residenziali e servizi
domiciliari, e nella gestione dei servizi (gestione pubblica diretta o affidamento a operatori privati).
Sulla base di queste differenze, Chiatti et al. (2010) hanno identificato cinque (sei) principali modelli
regionali, che confermano, pur nelle differenze, il divario Nord-Sud:
Modello residenziale (Trentino-Alto Adige, Valle d’Aosta), caratterizzato da un alto livello di servizi
residenziali socio-assistenziali e socio-sanitari e da un basso livello sia dei servizi domiciliari, sia dei
trasferimenti monetari.
Modello cash-for-care (Abruzzo, Calabria, Campania, Sardegna, Umbria), caratterizzato da un alta
percentuale di beneficiari di IdA e da un basso livello di assistenza residenziale e domiciliare.
4 Si tratta di uno strumento universalistico ‘puro’: €504 mensili (nel 2014) indipendentemente dal reddito
o dalle condizioni famigliari, senza alcun monitoraggio o vincolo sulla spesa.
Modello ad alta intensità assistenziale (Emilia Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Veneto),
caratterizzato da alto livello di assistenza socio-assistenziale e socio-sanitaria in tutti i tipi di supporto
pubblico.
Modello a media intensità assistenziale, generalmente caratterizzato da livelli medi di assistenza, che
però in alcune regioni riflette un maggiore orientamento al cash for care (Basilicata, Lazio, Marche,
Puglia, Toscana), mentre in altre ai servizi residenziali (Liguria, Lombardia, Piemonte)
Modello a bassa intensità assistenziale (Molise, Sicilia), caratterizzato da bassi livelli di assistenza
complessiva.
La Calabria è agli ultimi posti nella graduatoria regionale italiana, sia come livello di spesa pubblica
per anziano, sia – come vedremo – come erogazione di servizi reali, mentre prevale l’erogazione –
seppure modesta – di trasferimenti monetari.
2. La cura degli anziani in Calabria e a Reggio Calabria
L’autonomia di cui godono dal 2001 le Regioni nella legislazione delle politiche sociali, ha
ulteriormente accentuato, come si è già sottolineato, la grande differenziazione territoriale esistente
in Italia. Sottolineano Brandolini e Torrini (2010: 55):
Non solo il divario dei redditi tra le Regioni del Centro-Nord e quelle del Mezzogiorno è ampio, ma
anche la loro distribuzione è diversa nelle due aree: meno diseguale nelle prime, assai più sperequata
nelle seconde. L’Italia appare l’unico tra i paesi avanzati a mostrare divari territoriali di questa portata.
Il differenziale nei redditi medi è doppio di quello che si osserva tra le aree più sviluppate e quelle
meno sviluppate in Germania e Spagna, due paesi europei che pure sono contraddistinti da un’ampia
variabilità interna nei livelli di sviluppo.
Nella fotografia scattata dall’ISTAT nel 20115, la regione Calabria è, in base al calcolo del reddito
medio netto delle famiglie, la seconda regione più povera d’Italia dopo la Sicilia. A questo dato se ne
aggiunge un altro altrettanto drammatico. Nella ricerca dell’ISTAT su Gli interventi e i servizi sociali
dei comuni singoli e associati - Anno 2010 (2013), la Calabria, con una spesa sociale media procapite
di 26 euro nel 2010, è la regione con il più basso impiego di risorse per i servizi e gli interventi sociali
in rapporto alla popolazione residente. Queste statistiche, assieme alle altre informazioni fornite dalla
5 I dati sono ripresi dalla pagina web dell’ISTAT “Noi Italia. Diseguaglianza nella distribuzione del
reddito”. La Calabria registra nel 2011 un valore pari a 24.412 euro. Il valore più basso è quello della
Sicilia con 21.451 euro e quello più alto è nella provincia autonoma di Bolzano (35.348), seguita dalla
Lombardia (34.347) e dall’EmiliaRomagna (33.525) consultabili su:
http://noiitalia.istat.it/index.php?id=7&L=0&user_100ind_pi1[id_pagina]=106&cHash=29ac81a438d2d4e9e
a76d6a 161f87bb0 (ultima consultazione 20/09/14)
ricca indagine dell’ISTAT sui servizi sociali in Italia, definiscono un quadro di gravissimi disagi per
la popolazione calabrese.
2.1. La legislazione regionale e il modello di programmazione calabrese
Dal punto di visto della legislazione, due sono i pilastri su cui poggia il welfare calabrese: la Legge
Regionale 23/2003 e il “Piano regionale degli interventi e dei servizi sociali e indirizzi per la
definizione dei piani di zona. Triennio 2007-09” approvato con DCR 364/2009.
La Legge Regionale 23/2003
Riprendendo i contenuti della Legge nazionale 328/2000, con la promulgazione della LR 23/2003 la
Regione Calabria provvede a un nuovo riordino dei servizi sociali regionali, sostituendo l’ormai
obsoleta LR 5/1987, che aveva costituito il primo strumento di organizzazione e regolamentazione
dei servizi sociali in Calabria. In linea con un’idea di programmazione e gestione dei servizi sociali
che coinvolga il più possibile il territorio alla luce del principio di sussidiarietà, la nuova legge
riconosce come fondamentale la possibilità di coinvolgere gli enti del terzo settore nell’erogazione
dei servizi alla persona, «al fine di favorire la pluralità dell’offerta» (art. 11, comma 2, lettera d). La
regione Calabria con la sua enfasi sulle potenzialità di questi meccanismi di esternalizzazione dei
servizi è, assieme a Campania, Lombardia, Piemonte e Puglia, tra le regioni che maggiormente
sottolineano la «libertà di scelta dei cittadini», individuandola come diritto, «quasi a voler rimarcare
il ruolo della domanda nell’orientare la programmazione degli interventi» (Villa, 2008: 9).
Tuttavia a tali enunciazioni di principio non corrispondono immediate forme di regolamentazione.
Alla LR 23/2003, che è sostanzialmente una legge quadro, non seguono i regolamenti attuativi
necessari, lasciando così i Comuni a industriarsi nella gestione dei diversi servizi sociali – tra i quali
l’assistenza domiciliare per gli anziani – sperimentando soluzioni di esternalizzazione del servizio in
assenza di norme definite. E’ solo dieci anni dopo, alla fine del 2013, che l’esternalizzazione
dell’assistenza domiciliare socio-assistenziale troverà una forma di regolamentazione da parte della
regione con la DGR 505/2013 “Criteri per la disciplina dei sistemi di affidamento ai soggetti del terzo
settore dei servizi di cura agli anziani non autosufficienti”.
Il Piano regionale degli interventi e dei servizi sociali 2007-09
Altro ritardo del welfare calabrese riguarda la formulazione dei previsti piani regionali. Il primo e
ultimo “Piano regionale degli interventi e dei servizi sociali e indirizzi per la definizione dei piani di
zona” è approvato solo nel 2009, pur riferendosi al triennio 2007-2009. Unico documento di
programmazione disponibile in questo settore a oggi, rappresenta la manifestazione ufficiale della
filosofia regionale per quanto riguarda le politiche sociali e – posizionandosi con grande ritardo
rispetto alle altre regioni italiane nella pianificazione sociale successiva alla L. 328/20006 – esplicita
chiaramente la refrattarietà regionale alla programmazione sociale di ampio raggio.
Il piano, in linea con un ordine di discorso ormai consolidato a livello nazionale ed europeo, pone
l’accento sull’assistenza domiciliare come principale strategia da seguire nella programmazione dei
servizi sociali e si appoggia in modo significativo sulla famiglia. Nel capitolo dedicato al sostegno
degli anziani il piano sottolinea esplicitamente l’intento di «valorizzare la centralità della famiglia
nella cura e nella assistenza dell’anziano» (p. 47) attribuendo alla famiglia, – qui in sintonia con un
approccio squisitamente italiano, benché maggiormente enfatizzato al Sud – un ruolo di primo piano
nella copertura dei bisogni dell’anziano. Ma accanto a quello che potremmo etichettare come
supported familialism (Saraceno, 2010), la Regione si apre anche a visioni meno familistiche e più in
sintonia con l’approccio ageing in place, sottolineando la necessità di favorire «la domiciliarità degli
anziani che vivono autonomamente al di fuori del nucleo familiare» (ibidem) e invitando i Comuni a
pianificare i servizi di assistenza domiciliare attraverso «personale qualificato, soprattutto nelle
capacità relazionali» (ibidem).
Ciò che appare immediato, nell’accostare i propositi del piano alla reale situazione della regione, è la
distanza tra le parole e i fatti. E ben si comprende la critica di una recente ricerca sulla situazione
degli anziani calabresi (Fantozzi et al., 2013) in cui viene evidenziato quanto i principi contenuti nel
piano, appaiano «sanciti solo formalmente» (Chiodo, 2013:133).
Il modello di programmazione
Nel corso della ricerca COST abbiamo minuziosamente ricostruito, per quanto reso possibile dalla
documentazione regionale disponibile, la programmazione e la spesa della Regione Calabria in
materia di servizi di cura per gli anziani, con particolare riferimento alle risorse provenienti dai
principali fondi nazionali mirati anche agli anziani (Fondo Nazionale per le Politiche Sociali, Fondo
per le Non Autosufficienze e Fondo per le Politiche per la Famiglia). Anche nell’area anziani abbiamo
riscontrato lo stile di programmazione erratico e incoerente già da noi verificato nell’area dei servizi
per la prima infanzia (Martinelli e Sarlo 2014; Martinelli, Barillà e Sarlo 2014). Senza entrare nel
dettaglio (si rimanda al report completo di Bagnato et al. in corso di pubblicazione), riassumiamo qui
di seguito le principali caratteristiche del modello calabrese di programmazione della spesa sociale
per gli anziani.
In primo luogo, la programmazione della spesa sociale per gli anziani della Regione Calabria è
caratterizzata da scarsa o nulla integrazione, sia tra i diversi fondi destinati agli anziani, ognuno dei
6 Tale mancanza è stata sottolineata anche in un rapporto promosso dal Ministero del lavoro e delle politiche
sociali e realizzato in cooperazione tra Formez e Università degli studi di Roma Tor Vergata nel 2005
(FORMEZ, 2006:23).
quali segue un percorso a se stante, sia tra assistenza sociale e assistenza sanitaria, sia infine
territorialmente.
In secondo luogo, lo stanziamento e la ripartizione delle risorse hanno carattere residuale, erratico e
a breve termine. Le risorse stanziate sono essenzialmente quelle provenienti dai fondi nazionali (la
regione non destina risorse proprie aggiuntive) e quindi soggette alle fluttuazioni di questi fondi, che
negli ultimi anni sono state rilevanti (si veda la Figura 1 in cui viene evidenziato l’andamento annuale
della quota del FNPS per la Calabria, pari al 4,11% del totale nazionale del fondo). Questo significa
che gli stanziamenti per la politica sociale in generale e quella per gli anziani in particolare sono
estremamente variabili da un anno all’altro, fatto che compromette qualsiasi possibilità di
programmazione di lungo periodo, anche per i comuni destinatari di questi stanziamenti. Ma, sono
soprattutto i meccanismi di ripartizione che rivelano un approccio assolutamente incoerente e che
determinano uno stato di grande incertezza per i destinatari della spesa. Le risorse, infatti, vengono
assegnate a volte sulla base di bandi competitivi e altre sulla base di assegnazioni dirette; gli stessi
destinatari cambiano: a volta sono i comuni, a volta i comuni capofila di distretti socio-sanitari, a
volte i comuni capoluogo di provincia; in altri casi i destinatari sono direttamente le strutture fornitrici
di servizi, le famiglie oppure gli anziani. Gli stessi bandi o assegnazioni dirette, non hanno cadenza
certa e periodica: vengono generalmente effettuati con forti ritardi rispetto alle erogazioni nazionali,
spesso a ridosso dei termini ultimi per la spesa, con scadenze capestro per i destinatari.
Sia la ripartizione per bando competitivo, sia l’assegnazione diretta (su base generalmente
proporzionale al numero di anziani) riflettono, inoltre, una totale assenza di attenzione all’analisi dei
bisogni. Né tantomeno esistono forme di monitoraggio della spesa e dei suoi risultati (in particolare
quantità e qualità dei servizi erogati).
Nonostante la legislazione regionale preveda il passaggio ai comuni e loro associazioni di alcune
competenze, la Regione continua a mantenere una forte centralizzazione del controllo sui cordoni
della borsa e sulle procedure di ripartizione, spesso scavalvando i comuni. Questo, da una parte, si
presta a un controllo politico della spesa; dall’altro de-responsabilizza gli enti locali, che non si
spingono oltre una gestione ‘ad hoc’ e congiunturale dei fondi quando arrivano, senza attuare essi
stessi alcuna programmazione.
Infine, va rilevata la forte propensione all’uso di trasferimenti monetari (cash-for-care), nella forma
di vouchers, assegni e/o rette, erogati agli utenti, alle loro famiglie o alle strutture.
Figura 1. Riparti del FNPS alla regione CALABRIA, 2001-2014 (€)
2.2. L’offerta pubblica di servizi di cura per gli anziani in Calabria e a Reggio Calabria
Nelle pagine che seguono esaminiamo in dettaglio la regolazione, l’organizzazione e le caratteristiche
dell’offerta pubblica di servizi per gli anziani in Calabria e a Reggio Calabria. Distinguiamo
quest’offerta in due specifiche categorie di servizi, quelli residenziali e quelli di assistenza
domiciliare, a loro volta suddivisi in due aree di intervento, quella socio-assistenziale e quella socio-
sanitaria integrata (si veda la Figura 2). Va ribadito che ci occupiamo qui dell’offerta pubblica di tali
servizi, ovvero di quei servizi direttamente o indirettamente gestiti dallo stato alle sue diverse scale,
e quindi anche di quei servizi privati convenzionati e/o sovvenzionati in varia misura dal pubblico.
Come vedremo, i livelli di offerta pubblica – e le modalità di gestione – sono in Calabria molto diversi
a seconda che si parli di servizi socio-sanitari o socio-assistenziali, nonché tra una provincia e l’altra,
ma sono mediamente tra i più bassi d’Italia.
Figura 2. Categorie dei servizi di cura per gli anziani indagate nel caso studio di Reggio Calabria
I servizi residenziali
Il quadro generale
Il ricovero presso strutture residenziali rappresenta un’estrema ratio. Le Regioni, sin da quando
furono istituite negli anni ’70 e iniziarono a ottenere dallo Stato competenze nell’ambito dei servizi
sociali, hanno seguito una filosofia di ‘deistituzionalizzazione’. Anche la Regione Calabria nella sua
LR 5/1987 “Riordino e programmazione delle funzioni socio-assistenziali”, specificava che la scelta
0
5.000.000
10.000.000
15.000.000
20.000.000
25.000.000
30.000.000
35.000.000
40.000.000
45.000.000
4 °
rip
art
o
(2
00
1) °
rip
art
o
(2
00
2)
5
(2
00
3) °
rip
art
o 6
°
rip
art
o
(2
00
4)
7 °
rip
art
o 8
(2
00
5) °
rip
art
o
(2
00
6)
9
(2
00
7)
10 °
rip
art
o
°
rip
art
o
(2
00
8)
11 °
rip
art
o
(2
00
9)
12 13 °
rip
art
o
(2
01
0)
14
(2
01
1) °
rip
art
o
(2
01
2)
15 °
rip
art
o 16
(2
01
3) °
rip
art
o
(2
01
4)
17 °
rip
art
o
Anni
Ml
n
€
Tipologia assistenza
Tipologia servizi
Socio-assistenziale Socio-sanitaria
Residenze socio-assistenziali (Case Servizi residenziali riposo, Comunità alloggio)
Residenze Sanitarie Assistenziali RSA), Case Protette (
ADI (assistenza domiciliare integrata) Servizi domiciliari SAD (servizio di assistenza domiciliare)
di misure residenziali nell’assistenza doveva essere attuata qualora risultassero «insufficienti»,
«inadeguate» o «non praticabili» tutte le altre misure di supporto (LR 5/1987, Art. 16).
Un anno più tardi, in ottemperanza alla Legge Finanziaria nazionale 67/1988 che postulava un
ammodernamento del servizio sanitario nazionale, con l’obiettivo tra gli altri di ridurre i tassi di
ospedalizzazione degli anziani attivando nuovi servizi territoriali, quali le residenze socio-sanitarie,
si dava il via a una riorganizzazione dei servizi residenziali. La normativa nazionale definiva i
requisiti minimi strutturali e riconosceva l’assistenza territoriale residenziale – sanitaria e
sociosanitaria – per gli anziani come servizio rientrante nei LEA-Livelli Essenziali di Assistenza
sanitaria – (DPCM 29/11/2001). Ma, oltre questi ‘minimi’ nazionali, le diverse traiettorie regionali
hanno progressivamente configurato un marasma di definizioni, tipologie e
regolamentazioni, che rendono le regioni italiane difficilmente comparabili tra loro. Per le stesse
RSA-Residenze Sanitarie Assistenziali, la Commissione nazionale per la definizione e
l’aggiornamento dei LEA del 2007, sottolineava come «la denominazione corrente di RSA
(Residenza Sanitaria Assistenziale) ha assunto nelle singole regioni significati diversi, con confini
spesso mal definiti rispetto a Case di Riposo, Case Protette, Residenze Protette, Istituti di
Riabilitazione Geriatrica, Lungodegenze Riabilitative, etc.» (Ministero della Salute, 2007:3). Quelle
che attualmente ritroviamo in Calabria sono 4, disciplinate dalla regione tra la fine degli anni ‘90 e i
primi anni del 2000:
Le Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA), definite come strutture di assistenza continuativa, senza
limiti di degenza, destinate a pazienti non autosufficienti, cronici, stabilizzati in condizioni cliniche
che impongono assistenza «intensiva» ad elevata integrazione sanitaria (DGR 695/2003).
Le Case Protette (CP), o residenze protette, definite come strutture di assistenza continuativa senza
limiti di degenza, destinate a pazienti non autosufficienti, cronici, stabilizzati in condizioni cliniche
che non necessitano di particolari interventi sanitari, oltre quelli che possono essere garantiti dal
Medico di Medicina Generale (DGR 695/2003).
Le RSA a elevata Medicalizzazione (RSA-M), per accogliere pazienti post-acuti o in fase terminale,
con degenza a termine (DGR 695/2003).
Le Strutture residenziali socio-assistenziali, ovvero strutture a prevalente accoglienza alberghiera e/o
strutture a carattere comunitario, destinate all’accoglienza di anziani autosufficienti o parzialmente
autosufficienti e volte a un’assistenza tutelare con prestazioni di tipo essenzialmente alberghiero
(DGR 685/2002; LR 23/2003).
I servizi residenziali socio-sanitari
Regolazione e organizzazione dell’offerta residenziale socio-sanitaria in Calabria
La regolazione dei servizi residenziali per gli anziani in Calabria si è mossa prevalentemente
nell’ambito socio-sanitario, dove troviamo una cospicua produzione normativa in merito a RSA e
Case Protette. Tale normativa si è focalizzata sulla definizione dei requisiti strutturali e organizzativi
che queste residenze devono avere, sulla divisione di costi e competenze tra il settore sanitario e
quello socio-assistenziale, sulle procedure per l’autorizzazione e l’accreditamento,
sull’individuazione del fabbisogno e sulla conseguente programmazione dei posti letto necessari.
Su quest’ultimo fronte, passando in rassegna alcuni atti normativi regionali – dalla DGR 3137 del
1999 all’ultimo piano sanitario regionale 2004-2006 – si riscontra una continua riformulazione del
numero di posti letto che la Regione considera utile per coprire il fabbisogno del territorio. Una stima
prodotta nel 2003 portava il numero programmato dei posti letto in regime residenziale extra-
ospedaliero a 4.890 unità da raggiungersi nei primi 3 anni, per arrivare poi a «2 posti letto per 100
anziani ultrasessantacinquenni, pari a 6.740 posti letto nell’arco di un quinquennio» (DGR 695/2003).
Nell’individuazione del fabbisogno la commissione riconosceva che nei paesi del Nord Europa
venivano applicati parametri superiori al 5%, ma in considerazione di alcune caratteristiche del
contesto, quali «una buona tenuta del nucleo familiare, con discreta capacità di supporto dei servizi
di assistenza domiciliare», la Regione sceglieva di puntare al livello più modesto del 2% (DGR
695/2003).
L’argomento della buona tenuta del nucleo familiare torna nel 2010 con il DPGR 18/2010 che
dimezza il fabbisogno di posti letto stabilito nel PSR 2004-2006. Oltre ai vincoli connessi al piano di
rientro e la speranza nell’incremento dell’ADI, la giustificazione che ritorna decisiva nel calcolo del
fabbisogno è il contesto socio-demografico: si sottolinea infatti che nella Regione Calabria «rispetto
ad altre parti d’Italia, è maggiore la forza dei legami familiari, minore il numero delle donne che
lavorano, maggiore l’importanza del contributo fornito al reddito familiare dalla pensione delle
persone anziani conviventi» (DPGR 18/2010, Allegato 3:12).
E tuttavia, nonostante le continue ridefinizioni del fabbisogno di posti letto nelle residenze
sociosanitarie per anziani, come vedremo più avanti, i target fissati dalla Regione non sono stati
ancora raggiunti e, nel monitoraggio dei LEA, l’insufficienza dei posti letto in RSA costituisce uno
dei maggiori punti critici per la Calabria, accanto ad una «capacità di supporto dei servizi di assistenza
domiciliare» che, più che essere «discreta», visto che non ha ancora toccato nemmeno il minimo
richiesto dall’Unione Europea (3,5% degli ultrasessantacinquenni in ADI), risulta nettamente
insufficiente.
Tabella 1. Tariffazione e suddivisione delle quote nelle strutture residenziali per anziani della
Calabria, 2013
Quota sociale Quota sanitaria
Tipologia strutture residenziali Tariffa per die (a carico del SSR) (a carico
dell’ospite e del Fondo
Sociale Regionale)
30%
RSA €132,32*
(DGR 125/2009)
70%
(LR 22/2007)
(LR 22/2007;
DGR 845/07)
RSA-M €141,19*
(DGR 125/2009)
100%
(DGR 695/2003)
__
Case Protette
€85,22 - 114,20* in
base al livello di
assistenza (DGR
125/2009)
50%
(DGR 695/2003) 50% (DGR 695/2003;
DGR 265/2007)
Strutture socio-
assistenziali (case di
riposo, comunità
alloggio)
41 euro
(DGR 824/20004) __
100%
(DGR 685/2002)
*La DGR 125/2009 indica che tali tariffe «determinate secondo CCNL AGIDAE sono aumentate del
5% per le strutture che applicano il CCN AnasteUneba, mentre sono aumentate del 9% per le strutture
che applicano il CCN LAIOP-ARIS». Tali tariffe costituiscono il riferimento con cui le Aziende sanitarie della Regione
possono stipulare le convenzioni per l’acquisto di prestazioni di assistenza socio-sanitaria residenziale con le strutture che hanno
ottenuto l’accreditamento.
Sul fronte della regolazione della divisione dei costi tra servizi sociali e servizio sanitario, il fondo
sanitario copre attualmente in Calabria il 100% dei costi nelle RSA-M (DGR 695/2003), che si
presentano quindi come strutture residenziali prettamente sanitarie, il 70% dei costi nelle RSA (LR
22/2007) e il 50% dei costi nelle Case Protette (DGR 695/2003). Le percentuali sono ovviamente
connesse all’intensità della componente sanitaria erogata dalla struttura. Tutti gli altri servizi forniti
dalle strutture e riguardanti prevalentemente i servizi di natura alberghiera, costituiscono la
componente sociale dell’assistenza e vanno a gravare sull’utente (quota sociale), il quale a sua volta,
in base alla propria situazione reddituale, può richiedere l’intervento della Regione. Pertanto, nelle
strutture residenziali solo socio-assistenziali autorizzate dalla regione e con cui è stata stipulata una
convenzione, in assenza di una componente sanitaria imputabile al servizio sanitario, i costi sono
considerati di natura sociale e quindi gravanti sull’utente con eventuale contributo regionale7. Nella
Tabella 1 è sintetizzato l’attuale sistema di tariffazione e di suddivisione delle quote.
L’offerta di servizi residenziali socio-sanitari in Calabria e a Reggio Calabria
Rispetto al fabbisogno di servizi residenziali da parte degli anziani non autosufficienti le cui necessità
di ricovero dovrebbero essere coperte dalle RSA, la situazione, tanto a livello regionale quanto a
quello locale, per quanto concerne l’offerta di servizi residenziali socio-sanitari, risulta in Calabria
drammatica, sia per motivi storici, che per l’intervenire della crisi del sistema sanitario regionale.
Il monitoraggio predisposto all’avvio del ‘Piano di rientro’ del servizio sanitario regionale, cui la
Calabria è sottoposta dal 2009, assieme ad altre regioni italiane che si sono trovate in grave dissesto
finanziario per una inefficiente gestione della spesa sanitaria, evidenzia dati estremamente critici sui
livelli essenziali di assistenza in Calabria, che si connota come una regione fortemente deficitaria di
servizi socio-sanitari per alcune categorie di utenti, tra cui gli anziani. Emerge, infatti, che per quanto
concerne i servizi residenziali per anziani la Calabria ha una dotazione di posti letto in regime
residenziale notevolmente inferiore sia al valore medio di copertura delle regioni risparmiate dal
piano di rientro (meno di un quinto), sia al valore medio di copertura delle regioni che stanno
attraversando lo stesso processo di restrizione (meno della metà)(Ministero della Salute, 2013c).
Figura 3. Posti letto per anziani per 1000 abitanti anziani (≥65) in regime assistenziale
residenziale in Calabria, 2011
Fonte: Nostra Elaborazione dal “Monitoraggio Assistenza Territoriale Regione Calabria. Dicembre
2013”, Ministero Della Salute Dipartimento della Programmazione e dell’Ordinamento del Servizio
Sanitario Nazionale, Direzione Generale della Programmazione Sanitaria- Ufficio X, Ex Dgprog –
Siveas.
7 Secondo la DGR 824/2004 il massimo contributo che la Regione può coprire pro capite con il Fondo
Sociale è pari a 20 euro giornaliere .
Utilizzando come fonte il Registro delle strutture sanitarie e socio-sanitarie private accreditate8,
presente sul sito della Regione Calabria (istituito con il DPGR n. 1 del 5 gennaio 2011), si conferma
la forte carenza di posti letto in queste strutture:
Tabella 2. Numero di posti letto per anziani nelle strutture sanitarie e socio-sanitarie private
accreditate, per tipologia struttura e livello territoriale in Calabria, 2014.
Popolazione
Copertura
(x1000
Copertura
RSA e
RSA-M
(x 1000
Copertura
CP (x
1000
Copertura
RSA e CP
(x 1000
RSA RSA-M CP Totale anziani) anziani) anziani)
Provincia di
Cosenza
529 64 353 946 138.558 6,82 4,27 2,54 6,36
Provincia di
Crotone 150 0 233 383 29.708 12,89 5,04
7,84 12,89
Provincia di
Catanzaro 462 0 361 823 68.657 11,98 6,72
5,25
11,98
Provincia di Vibo
V.
32 0 29 61 31.301 1,94 1,02 0,92 1,94
Provincia di
Reggio C. 205 40 124 369 105.647 3,49 2,31
1,17 3,11
Regione Calabria 1.378 104 1.100 2.582 373.871 6,90 3,96 2,94 6.62
Comune di R.C. 22 0 0 22 34.802 0,63 0,63 0 0,63
Fonte: Nostra elaborazione su dati dell’Elenco delle Strutture sanitarie e socio
sanitarie private accreditate , pubblicato il 19
novembre 2014 sul sito della regione (ultima consultazione 30/1/2015)
8 La Regione Calabria nel Regolamento Regionale n.13 del 1 settembre 2009 per l'Accreditamento
nel Servizio Sanitario Regionale, all’interno del “Glossario” specifica che l’accreditamento «è il
provvedimento attraverso il quale le strutture pubbliche e private e i professionisti già autorizzati
possono erogare prestazioni sanitarie e sociosanitarie per conto del Sistema Sanitario Nazionale». A
seguito dell’accreditamento il servizio sanitario regionale, tramite le Aziende Sanitarie Provinciali,
può attuare gli accordi contrattuali (la convenzione) con gli erogatori per l’acquisizione delle
prestazioni di assistenza socio-sanitaria residenziale.
≥65* anziani)
(http://www.regione.calabria.it/sanita/index.php?option=com_content&task=view&id=48&Itemid=
97)
*Il dato sulla popolazione over 65 è stato calcolato su dati Istat, "15° Censimento della popolazione
e abitazioni", data warehouse, http://dati-censimentopopolazione.istat.it (consultato il 14/04/2014)
I dati sono di gran lunga inferiori a quelli prefissati dalla Commissione Tecnica nominata dalla Giunta
regionale calabrese nel 2003 per la valutazione del fabbisogno di posti letto residenziali per anziani
e disabili. Considerando il rapido invecchiamento della popolazione e l’incremento del bacino dei
grandi anziani che si trovano in condizioni di non autosufficienza, possiamo immaginare che un
nuovo studio regionale sulla stima del fabbisogno aumenterebbe ulteriormente il dato.
Nel monitoraggio dei LEA effettuato dal Ministero della Salute è da segnalare comunque un
andamento crescente nell’offerta delle RSA in Calabria: da 2,8 posti letto ogni 1.000 anziani nel 2009
si è passati a 3,9 posti letto ogni 1.000 anziani nel 2012, pur rimanendo ancora ben lontani dal valore
di 10 posti letto ogni 1.000 anziani posto come target dal Ministero9(Ministero della Salute, 2013b).
Se consideriamo anche le Case Protette, la situazione migliora, portando a 6,62 i posti letto ogni 1.000
anziani (cfr. Tabella 2).
Questi valori medi scendono vertiginosamente se ci spostiamo al contesto locale. In tutto il territorio
comunale di Reggio Calabria è presente una sola RSA, con 22 posti letto, e non si conta alcuna Casa
Protetta. Se rapportiamo il dato al numero di anziani di 65 anni e più registrati nell’ultimo censimento
ISTAT nel Comune di Reggio Calabria (34.802), otteniamo un valore di 0,6 posti letto ogni 1.000
abitanti anziani, ovvero un decimo del valore medio regionale. A ciò si aggiunga che la stessa RSA,
così come le altre strutture convenzionate con la Regione, denuncia gravi difficoltà già a partire dal
2010, per i mancati rimborsi della quota sociale di cui il Settore Politiche Sociali della Regione è
responsabile (Pizzimenti, 2014).
In conclusione, l’offerta pubblica di servizi socio-sanitari residenziali in Calabria non sembra aver
rappresentato una priorità negli investimenti riguardanti il servizio sanitario regionale,
indipendentemente dall’attuale momento di crisi. Da una recente valutazione degli investimenti
effettuati dalle Regioni con le risorse finanziarie stanziate dalla L 67/1988 per l’ammodernamento
del servizio sanitario relativo al periodo 1998-2012, si evince che la Calabria – così come il Friuli
Venezia Giulia e la Provincia Autonoma di Bolzano – ha impegnato la totalità delle risorse disponibili
a favore del servizio ospedaliero, lasciando a zero gli investimenti per i servizi territoriali (in cui è
compresa l’ADI) e per le residenze sanitarie assistenziali (Ministero della Salute, 2013a: 53).
9 Ministero della Salute-SIVEAS, Verifica LEA nelle Regioni in Piano di rientro: trend 2009-2012.
Aggiornamento al dicembre 2013.
Quello che si delinea nella gestione del servizio sanitario calabrese è quindi uno «scenario
prevalentemente ‘ospedalocentrico’, sviluppatosi a scapito di ambiti importanti quali la prevenzione,
la riabilitazione, la diffusione territoriale dei presidi di cura, soprattutto per quanto riguarda
l’accessibilità e le funzionalità dei servizi sanitari e socio-sanitari per acuti, [il che] aggiunge elementi
di criticità alla condizione della popolazione anziana della regione» (Chiodo, 2013:133).
I servizi residenziali socio-assistenziali
Diverso è il quadro delle strutture che offrono servizi socio-assistenziali, ovvero con contenuto
sanitario basso o nullo. Queste ricadono sotto l’esclusiva competenza del settore politiche sociali
della Regione, che attribuisce responsabilità rilevanti ai Comuni, ma in assenza di norme chiare, di
un sostegno finanziaro affidabile e di autonomia decisionale.
Regolazione e organizzazione dell’offerta in Calabria
Per l’accesso degli anziani alle residenze socio-assistenziali convenzionate con la Regione, un ruolo
primario di filtro è rivestito dal Comune, il quale è preposto a raccogliere l’istanza di ricovero
dell’assistito (tramite i servizi sociali) e a svolgere la fase istruttoria per la valutazione del bisogno e
l’individuazione della struttura idonea. È però il Settore Politiche Sociali della Regione a emettere il
definitivo atto di autorizzazione al ricovero, che costituisce il presupposto per il pagamento del
contributo pubblico alla retta.
La farraginosità di quest’ultimo meccanismo che vede un doppio filtro istituzionale – Comune e
Regione – tanto nel rilascio delle autorizzazioni all’apertura delle strutture (che vede il Comune
coinvolto nel rilascio di un parere), quanto nell’autorizzazione al ricovero degli assistiti, è
conseguenza del mancato trasferimento, dalla Regione ai Comuni, dei compiti di autorizzazione e
accreditamento di questa tipologia di strutture, così come postulato dalla LR 23/2003. Riconosciuta
la propria ed esclusiva competenza nell’ambito delle strutture socio-sanitarie in materia di
autorizzazione e accreditamento, la Regione ha mantenuto un controllo diretto anche sui servizi
residenziali socio-assistenziali per gli anziani, pur definendolo come regime ‘transitorio’ in attesa di
delega agli enti locali.
Un passo in avanti sembrava essere stato compiuto con la DGR 670/2007 “Criteri di riparto del
Fondo regionale delle Politiche sociali, comprensivo del Fondo nazionale, per la realizzazione del
Sistema integrato di interventi e servizi sociali”. Riprendendo quanto previsto dalla Legge
Regionale 23/2003, questa annunciava il trasferimento ai Comuni delle risorse del Fondo Sociale
Regionale (in cui confluisce la quota regionale del FNPS) per il pagamento di «quote finalizzate a
soddisfare le obbligazioni derivanti da atti autorizzativi da parte della Regione in favore delle strutture
residenziali e semi-residenziali convenzionate, impegnando gli stessi a subentrare nei rapporti di cui
alle convenzioni in atto» (DGR 670/2007). A partire da questa deliberazione, che viene spesso citata
nella normativa regionale come atto con cui si è avviata la devolution, la Regione ha iniziato a
trasferire quote del fondo sociale regionale ai comuni, per il pagamento delle rette a specifiche
strutture residenziali, per annualità determinate. Ma quello che è successo, a dire della responsabile
dell’Ufficio Programmazione del Settore “Welfare e Famiglia” del Comune di Reggio Calabria, è che
la Regione ha usato il Comune semplicemente come «postagiro» (Modafferi B., 2014), rimanendo
quindi ben lontana da un processo di reale devolution10.
Certo è che l’inerzia regolativa, nonché la mancanza di una concreta applicazione del principio di
sussidiarietà verticale postulato dalla LR 23/2003, lascia la Regione in una posizione di primo piano
nella gestione delle risorse e dei rapporti con queste strutture. Questa è stata ulteriormente rafforzata
nel 2008 con la Legge Regionale 24/2008 “Norme in materia di autorizzazione, accreditamento,
accordi contrattuali e controlli delle strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private”, che ha
abrogato gli articoli 24 e 25 della Legge Regionale 23/2003 in cui si esplicitava la titolarità dei
Comuni in ambito di autorizzazione e accreditamento.
L’offerta di servizi residenziali socio-assistenziali in Calabria e a Reggio Calabria
L’offerta di posti letto in strutture socio-assistenziali direttamente gestite dal pubblico in Calabria è
praticamente nulla. La gestione di questi servizi nella regione è, infatti, interamente privata e solo
una quota dei posti letto – poco più della metà – si trova in strutture convenzionate, ovvero in qualche
misura sovvenzionate dal pubblico. Nell’albo regionale delle strutture socio-assistenziali, istituito
dall’articolo 26 della Legge Regionale 23/2003, è riportato l’elenco delle strutture residenziali socio-
assistenziali che hanno regolarmente ottenuto un’autorizzazione dalla Regione e che sono presenti
sul territorio.
Tabella 3. Numero di posti letto per anziani presso le strutture residenziali socio-assistenziali
in Calabria, per tipologia di struttura e livello territoriale. Anno 2011.
Strutture Strutture
private private
non convenzionate
convenzionate
(*)
Totale Anziani
(popolazione
≥65) (**)
Copertura
totale
(posti letto
x 1.000
anziani)
Copertura in
strutture
convenzionate
(posti letto x
1000 anziani)
Regione Calabria
1.461 1.301
2.762
373.871
7,38 3,90
10 D’altro canto molte strutture residenziali sono più propense ad avere il trasferimento dei contributi
regionali per la copertura delle rette direttamente dalla Regione perché i Comuni, ottenute tali risorse,
in alcuni casi tendono a trattenerle ritardando i pagamenti (Latella, 2014).
Provincia di Reggio
Calabria 420 331 751 105.647 7,10 3,97
Comune di Reggio
Calabria
40 159 199 34,802 5,71 1,15
FONTE: Nostra elaborazione sui dati dell’Albo Regionale degli Enti, Fondazioni, Istituzioni,
Soggetti Pubblici e Privati che gestiscono strutture ed attività socio assistenziali, già autorizzate al
funzionamento, a norma dell'art. 26 della Legge Regionale 23/2003. L’albo risulta aggiornato al
31/12/2011 (ultima consultazione albo: 20 maggio 2015).
(*) NOTA BENE: Una percentuale bassissima delle strutture private convenzionate (meno del 5%)
risulta formalmente gestita direttamente dal Comune. Tuttavia, in molti casi si tratta di una gestione
puramente formale, in quanto il comune affida a operatori del terzo settore la gestione delle strutture.
(**) Il dato sulla popolazione ≥ 65 è stato calcolato su dati Istat, 15° Censimento della popolazione
e abitazioni, Data warehouse, http://daticensimentopopolazione.istat.it (consultato il 14/04/2014)
Scendendo al dettaglio locale, nel Comune di Reggio Calabria troviamo un numero drammaticamente
basso di posti presso strutture socio-assistenziali convenzionate, rispetto al totale delle strutture
residenziali presenti nell’albo11. Con una sola comunità alloggio nel distretto socio-sanitario RC Nord
e un’altra nel distretto RC Sud12, si raggiunge una quota di soli 40 posti letto rispetto ai 159 posti letto
offerti nelle 12 strutture residenziali private, autorizzate dalla regione ma non convenzionate, ovvero
una quota pari al solo 25% del totale. In termini di copertura, nel comune di Reggio Calabria si
contano pertanto solo 1,15 posti letto in residenze socio-assistenziali convenzionate ogni 1.000
residenti di 65 anni e più, ovvero un tasso pari a un terzo di quello già bassissimo della regione.
A ciò si aggiunga il fatto che le strutture convenzionate denunciano gravi ritardi nei rimborsi da parte
della Regione che non rispetta i termini delle convenzioni firmate. Nella DGR 82/2014, in cui si
indicano alcune certificazioni che le strutture accreditate devono fornire, si sottolinea che il Fondo
sociale regionale deve essere destinato in particolare ai servizi di cura e accoglienza per anziani,
minori, disabili e adulti in difficoltà, denunciando nello stesso tempo che «a seguito dei tagli del
Fondo Sociale Nazionale avvenuti negli ultimi 3 anni, pari a circa l’80% della spesa storica
11 Sul sito istituzionale del Comune di Reggio Calabria viene indicata una residenza a gestione
comunale, la Casa di Riposo “Ricoveri Riuniti”, che però è stata chiusa per ristrutturazione nel 2006 e i
lavori non sono stati conclusi per
mancanza di fondi (ultima consultazione 30/01/15): http://www.comune.reggio-
calabria.it/online/Home/AreeTematiche/Sociale/Anziani/scheda101454.html . 12 Quest’ultima, la Comunità Alloggio per Anziani ‘Villa Speranza’, pur presente all’interno
dell’Albo regionale, è stata peraltro chiusa il 25 luglio 2014 – trasferendo gli ospiti in altre strutture
e licenziando il personale – per disposizione del Tribunale di Reggio Calabria, in quanto sotto
sequestro per disposizioni della DIA.
precedente (2010), si sono determinate conseguenti riduzioni delle spese relative al sostegno delle
strutture convenzionate» (DGR 82/14).
La dimensione certo insufficiente, ma comunque apprezzabile di una offerta privata di residenze
socio-assistenziali non convenzionate, lascia presupporre una domanda che, nonostante nel sentire
comune rappresenti un’estrema ratio nel supporto all’anziano, evidentemente diventa sempre più
necessaria in assenza di altri servizi.
I servizi domiciliari
L’Assistenza domiciliare socio-sanitaria integrata (ADI)
Il quadro di regolazione regionale
Su sollecitazione della programmazione sanitaria nazionale e seguendo le indicazioni dell’Intesa
Stato-Regioni del 23 marzo 2005, nel 2006 la Regione Calabria si attivava nella definizione del suo
modello organizzativo di assistenza domiciliare integrata con la DGR 548/2006 relativa al
“Programma regionale triennale di assistenza domiciliare”. Riconoscendo nelle sue premesse come
l’attuale servizio di assistenza domiciliare fosse «del tutto insufficiente anche in relazione alla media
degli interventi svolti in tali settori a livello nazionale», la delibera prevedeva l’attivazione presso
ogni distretto sanitario di un Punto ADI, l’istituzione dell’Unità di
Valutazione Territoriale (UVT) composta dal Responsabile Medico del Punto ADI, dal Medico di
Medicina Generale del paziente interessato, da un infermiere professionale e da un assistente sociale,
e la costituzione in ogni Azienda Sanitaria di un Gruppo di Coordinamento Aziendale cui affidare
compiti di vigilanza sul servizio. La presenza delle assistenti sociali delle ASP nelle unità di
valutazione connotava l’apertura da parte della Regione a una lettura socio-sanitaria dei bisogni
dell’anziano. Nella delibera, inoltre, la Regione fissava un target per le Aziende Sanitarie, che
dovevano assistere almeno 10.800 persone, di cui l’80% anziani, nell’arco di un triennio.
Tuttavia, e confermando un approccio regionale consolidato, pur definendo nel dettaglio l’assetto
organizzativo e gli obiettivi, la delibera non definiva standard di servizio, né stanziava un
finanziamento specifico13. Gli standard qualificanti i profili di cura domiciliari venivano emanati dalla
Regione Calabria solo nel 2011, con la pubblicazione delle Linee guida sul sistema di cure domiciliari
e accesso ai servizi territoriali, approvate con il DPGR 12/2011, a seguito del lavoro di analisi del
Gruppo di Coordinamento Regionale ADI, formato dai referenti ADI delle Aziende sanitarie
provinciali, come previsto dalla DGR 548/2006.
L’offerta di servizi di ADI in Calabria e a Reggio Calabria
13 Un finanziamento ad hoc era invece previsto nella DGR 320/2006 che riguardava l’attivazione dei
servizi per i malati terminali con un budget di 650.000 euro.
Un quadro dettagliato dell’andamento dell’ADI nelle 5 ASP calabresi è rintracciabile sul sito del
Ministero dello Sviluppo Economico - Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica, in
quanto questo servizio costituisce uno degli ‘obiettivi strategici di servizio’ del Quadro Strategico
Nazionale 2007-201314. Tra questi obiettivi, per i quali erano identificati indicatori misurabili di
servizi resi ai cittadini, era incluso quello di aumentare i ‘servizi di cura alla persona’, alleggerendo i
carichi familiari per innalzare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Per l’ADI nelle
regioni del Mezzogiorno era fissato un obiettivo del 3,5% di copertura della popolazione di 65 anni
e più. Le informazioni disponibili sul sito riguardano il numero di anziani seguiti, la percentuale di
copertura del servizio rispetto alla popolazione anziana e il livello di investimenti del fondo sanitario
regionale15.
Figura 4. Anziani trattati in assistenza domiciliare integrata (ADI) rispetto al totale della
popolazione anziana (65 anni e oltre) in Calabria, 2001-2012 (%)
La Regione Calabria, che aveva assunto gli obiettivi del QSN con la DGR 848/2008, stando ai dati
del 2012, appare molto vicina alla meta, registrando una copertura del servizio ADI anziani pari al
3,1% (totale anziani in ADI/anziani di anni 65 e più). Nella Figura 4 i dati mostrano, in effetti, una
sensibile crescita del servizio, ma va anche rilevato che questa avviene soprattutto nei primi anni (da
un tasso di copertura dello 0,6% nel 2001 al 2,8% del nel 2007). Dall’adozione dell’obiettivo di
servizio nel 2008 in poi, la crescita appare più contenuta, anche per l’effetto delle difficoltà indotte
dal Piano di rientro della sanità regionale.
14 Il monitoraggio è consultabile al link http://www.dps.mef.gov.it/obiettivi_servizio/servizi_infanzia.asp#
15 Per quanto concerne l’indicatore S.06 legato al numero di anziani assistiti in assistenza domiciliare
integrata (ADI) rispetto al totale della popolazione anziana (superiore a 64 anni), il target da
raggiungere è del 3.5%, valore che rappresenta la copertura di tale servizio al Centro Nord al
momento dell’avvio del QSN 2007-13. Al 2012 in Italia, l’incidenza degli anziani in ADI sul totale
della popolazione di 65 anni e più è arrivato al 4.3% con punte dell’11,6% in Emilia Romagna..
Figura 5. Percentuale di anziani trattati in ADI nelle 5 ASP calabresi, 2012
Il dato regionale, tuttavia, riflette forti differenze tra le 5 ASP calabresi (si veda la Figura 5). Si passa
infatti dai livelli più alti delle province più piccole (4,9% a Vibo Valentia e 4,5% a Crotone) a quelli
più bassi delle province maggiori, con la provincia di Reggio Calabria ancora una volta in coda (3%
a Cosenza e 1,8% a Reggio Calabria). Anche nel caso dei servizi ADI, dunque, Reggio Calabria si
distingue per un livello di erogazione dei servizi bassissimo. La debolezza di tale dato è in parte
ascrivibile all’acquisizione del bacino di utenza dell’area della Locride, prima autonoma, che viene
assorbito dall’ASP di Reggio Calabria nel 2010 16 , portandosi dietro il fardello della mancata
attivazione del servizio ADI su quel territorio. Ma accanto a questo fattore, altre variabili vanno prese
in considerazione.
Poco tempo prima che la Regione proponesse il suo modello organizzativo per l’assistenza
domiciliare integrata (DGR 548/2006), l’allora Azienda Sanitaria Locale di Reggio Calabria (si veda
oltre sul passaggio da Azienda Sanitaria Locale ad Azienda Sanitaria Provinciale), avviava
autonomamente l’esternalizzazione del servizio di assistenza domiciliare, con procedure indicate
nella delibera dell’ASP n. 11 del 18 agosto 2005. In assenza di linee guida regionali sulle modalità di
accreditamento dei soggetti terzi per l’erogazione dell’assistenza domiciliare integrata, pubblicava un
avviso per la formulazione di ‘patti’ di accreditamento e dare luogo a progetti di assistenza
domiciliare che definiva ‘sperimentali’. Tali patti di accreditamento – che hanno coinvolto 8
operatori, tra cooperative sociali, ONLUS e consorzi, con rinnovi periodici – hanno costituito dal
2006 fino al luglio 2013 l’offerta principale di assistenza domiciliare nell’ASP. Ma nel luglio 2013 i
fornitori accreditati di ADI interrompevano il servizio, a seguito delle inadempienze dell’ASP. A dire
degli stessi, che avevano accumulato crediti nei confronti dell’ASP insolvente per diverse mensilità
fin dal 2010, si tratta di una «scelta obbligata». Come spiega il portavoce del Forum Terzo Settore
16 Con la DGR n. 441 del 14 giugno 2010 l’ASL n. 9 di Locri e l’Azienda Sanitaria Provinciale di
Reggio Calabria sono state accorpate.
della provincia di Reggio Calabria,17 Luciano Squillaci, «fisioterapisti e infermieri hanno rinunciato
a effettuare le prestazioni perché stremati dai mancati pagamenti».18
Le notevoli difficoltà economiche in cui versa attualmente l’ASP di Reggio Calabria si legano in
larga misura al Piano di rientro della sanità regionale, che ha tra i suoi effetti principali il blocco del
turn over, il quale a sua volta si riflette nella mancanza di personale infermieristico e fisioterapico
interno all’ASP da destinare al servizio ADI. Come spiega l’attuale coordinatore provinciale dell’ADI
di Reggio Calabria, «nella città di Reggio Calabria operano solo 2 infermieri dipendenti in servizio
effettivo all’ADI, i quali svolgono ADI dalla mattina alla sera. Ho fatto una richiesta al Direttore
generale, [chiedendo] 30 infermieri e 26-27 fisioterapisiti per poter raggiungere l’obiettivo della
comunità europea del 3,5% degli over 65. Ma non c’è possibilità alcuna di avere qualche infermiere
in più […]. La risposta della Regione è che essendo in Piano di rientro, essendo commissariati e
avendo il blocco del turn over, non possiamo neanche assumere a 6 o a 3 mesi » (Marra, 2014).
La carenza di personale è stata coperta in parte da dipendenti dell’ASP che hanno incrementato il
proprio monte ore lavorativo prestando servizio per l’ADI. Ma su questo fronte, come su quello degli
operatori cui era stato esternalizzato il servizio e che hanno poi incrociato le braccia per i mancati
pagamenti, i problemi si sono moltiplicati. Dal luglio 2013 ai primi mesi del 2015 si assiste a una
serie di trattative e iniziative, spesso contraddittorie, finalizzate a superare una situazione di stallo che
aggrava ulteriormente la situazione già molto precaria degli utenti. Questi ultimi, come indicato in
precedenza, rappresentano in ogni caso una frazione molto limitata della popolazione anziana
presente sul territorio dell’ASP.
I servizi di assistenza socio-assistenziale domiciliare (SAD)
Il quadro di regolazione regionale e locale
L’assistenza socio-assistenziale di tipo domiciliare vede nel Comune l’ente delegato a organizzare il
servizio, regolando tanto le modalità dell’offerta quanto le modalità di accesso. Questa impostazione
era presente sin dalla prima Legge Regionale di organizzazione dei servizi sociali, la LR 5/1987.
Negli anni ’90, in linea con un trend nazionale, si consolida nel Comune di Reggio Calabria un
processo di esternalizzazione del servizio a soggetti privati, attraverso il meccanismo dell’asta
pubblica. Siamo nel periodo della cosiddetta ‘Primavera di Reggio Calabria’, caratterizzata da una
17 Il Forum Terzo Settore è un’associazione costituitasi nel 1997 allo scopo di favorire lo scambio e la
costituzione di una rete tra i soggetti del terzo settore. Il Forum territoriale della provincia di Reggio
Calabria è nato nell’ottobre del 2013.
18 Ripreso dall’articolo ‘Reggio, la crisi dell’Assistenza Domiciliare Integrata: “Stremati dai
mancati pagamenti”’ inserito il 24 ottobre 2013 nel giornale on line “Il Dispaccio”. Disponibile
su http://ildispaccio.it/reggiocalabria/30985-reggio-la-crisi-dell-assistenza-domiciliare-
integrata-stremati-dai-mancati-pagamenti (ultima consultazione 20/05/15)
giunta comunale di centro-sinistra guidata dal sindaco Falcomatà, con una nuova sensibilità verso il
Terzo Settore che, assieme al volontariato, diventa protagonista attivo nella fornitura dei servizi
sociali (Martinelli et al. 2014). L’esternalizzazione dei servizi SAD – che, di fatto, rappresenta uno
sviluppo ex novo, rispetto alla sostanziale inesistenza di tale servizio nel comune19 – si attua tramite
asta pubblica, per i tre lotti in cui viene diviso il territorio comunale: RC Nord, RC Sud e RC Centro.
Sono 2 le aste pubbliche che si susseguono a distanza di 3 anni (la prima dà avvio al servizio nel 1995
e la seconda lo prosegue nel 1999), con rinnovi annuali dei contratti, come previsto nell’avviso d’asta.
Per ogni lotto viene selezionata la cooperativa abilitata a fornire il servizio di assistenza domiciliare20
in quel territorio.
Con il nuovo millennio, la Legge quadro nazionale 328/2000 riconosce ai Comuni la possibilità di
concedere agli utenti di servizi sociali ‘titoli’ – vouchers – validi per l’acquisto di tali servizi presso
soggetti terzi purché autorizzati e accreditati dal Comune stesso. Gli operatori accreditati vanno così
a costituire un ventaglio di offerta all’interno del quale l’utente può scegliere di acquistare il servizio.
La legge quadro stabilisce che è compito della regione definire i criteri per l’autorizzazione,
l’accreditamento e la vigilanza delle strutture e dei servizi (articolo 8, comma 3, lettera f), nonché la
disciplina dei criteri e delle modalità per la concessione dei titoli di cui sopra (articolo 17, comma 2).
Ma l’assenza di una regolazione attuativa a livello nazionale, assieme alle diverse modalità di
regolazione regionale sviluppatesi dopo la revisione dell’articolo V della Costituzione nel 2001, ha
finito con il generare in Italia forme di “municipalismo anarchico” nelle modalità di erogazione dei
servizi (Saraceno, 2005), di cui Reggio Calabria può essere considerato un esempio.
Nell’attesa che la Regione Calabria adempia ai suoi compiti, infatti, la nuova giunta di centrodestra
insediatasi nel 2002 al Comune di Reggio Calabria procede autonomamente
all’approvazione di un nuovo Regolamento del servizio sociale comunale (Delibera Consiglio
Comunale n. 23 del 4 settembre 2003) che, saltando il passaggio intermedio della Regione, si
aggancia direttamente alla Legge quadro 328/2000 definisce le materie, i requisiti e le procedure per
l’accreditamento di soggetti del terzo settore per l’erogazione dei servizi socio-assistenziali.
Stabilisce, in particolare, che in fase provvisoria e per garantire la continuità dei servizi, «si intendono
accreditati tutti gli organismi già in rapporto di convenzione con il comune, che ne facciano
domanda» (Regolamento del servizio sociale comunale 2003, art. 19). Conscio del suo salto in avanti,
19 Nei primi anni ’80 il Comune di Reggio Calabria attivò un servizio di assistenza domiciliare socio-
assistenziale e socio-sanitaria attraverso la Cooperativa A9, vincitrice della gara d’appalto che il Comune
indisse per esternalizzare il servizio, permettendone l’erogazione per 2 anni (Ferrara, 2015).
20 Come si evince dall’asta pubblica del 14/1/1999 nell’articolo 1 del capitolato speciale d’appalto,
l’assistenza domiciliare comprende: pulizia ambienti, supporto per l’igiene personale, acquisto generi
alimentari, preparazione pasti, disbrigo commissioni.
il Comune specifica che il regolamento «è emanato in attesa delle normative regionali di attuazione
delle previsioni di cui alla legge quadro» (articolo 1).
Il comune procede su questa strada e pubblica nel 2005 il “Bando di accreditamento degli organismi
abilitati ad erogare prestazioni di servizi alla persona” in cui si stabiliscono precise regole per
l’accreditamento, restando ferma la possibilità di modificarne il contenuto in seguito all’erogazione
di normative regionali. L’accreditamento incrementa così, tanto a Reggio Calabria quanto nelle altre
realtà comunali italiane che hanno scelto questo meccanismo di esternalizzazione, forme di ‘mercato
sociale’ nell’ambito dell’assistenza, laddove all’interno delle pubbliche amministrazioni ritroviamo
l’uso di «meccanismi più tipici della regolazione di mercato che di quella burocratico-statuale»
(Pavolini, 2004: 101).
L’offerta di servizi di assistenza domiciliare socio-assistenziale a Reggio Calabria
Tra i servizi che vengono messi a bando per l’accreditamento secondo il nuovo regolamento
comunale è compreso il servizio di assistenza domiciliare agli anziani. I soggetti accreditati che vanno
a costituire il ventaglio della nuova offerta di tali servizi a Reggio Calabria sono quattro, 3 cooperative
sociali (di cui 2 già convenzionate in base al regime precedente) e 1 consorzio. Con il nuovo regime,
gli utenti hanno la facoltà di scegliere tra i 4 fornitori quello dove possono acquistare le ore di
assistenza stabilite dal piano di intervento predisposto dai servizi sociali del Comune. Nel bando di
accreditamento approvato nel 2005 i vouchers erogati dal comune (per un valore di 15 euro orarie)
ammontano complessivamente a 20.892 ore, ovvero una assistenza media di 3 ore a settimana per
utente. Nonostante il carattere sperimentale, tramite continue proroghe delle convenzioni, questa è
rimasto l’unica modalità di offerta pubblica di servizi domiciliari a Reggio Calabria fino ad oggi21.
Dal lato della domanda il Comune ha proceduto con la formazione di graduatorie basate sullo stato
di non autosufficienza e sulle condizioni economiche dei richiedenti, prevedendo quote di
compartecipazione dell’utente al valore del voucher, laddove il reddito in base all’ISEE superi la
soglia annua di 9.000 euro22. Tale sistema si è però inceppato dopo la determinazione dell’ultima
graduatoria nel 2009, in quanto il Comune non ha più provveduto alla pubblicazione di nuovi avvisi,
mentre dal lato dell’offerta sono iniziate le prime difficoltà per i soggetti accreditati all’assistenza
domiciliare, a causa dei mancati pagamenti del Comune. Le già restrittive condizioni di accesso
21 Dopo una fase di accreditamento provvissorio, l’accreditamento definitivo inizia nel 2007. Dei 4
soggetti inizialmente accreditati, uno è uscito dal regime di accreditamento alla fine del 2012
22 Dal bando si evince che i requisiti sono: la residenza nel Comune, l’età di 65 anni, semi-
sufficienza o non autosufficienza. Il punteggio si accumula in base all’età, al valore dell’ISEE, alla
condizione di solitudine e alla coabitazione con soggetti in condizioni di analoghe difficoltà. Il
superamento del reddito di 9000 euro diventa motivo di compartecipazione progressiva alle spese,
ma gli assistiti attualmente sono in carico al servizio sono tutti al di sotto dei 9000 euro di reddito
(Fotia, 2014)
all’assistenza domiciliare23 diventano ancora più limitate delineando un sistema iperselettivo nel
riconoscimento dei diritti sociali, a carattere sempre più residuale.
Come spiega il presidente de Il Sentiero, storica cooperativa che sin dalla prima gara d’appalto eroga
assistenza domiciliare socio-assistenziale a Reggio Calabria, «la graduatoria è ferma al 2009. […]
Una volta, appena un anziano moriva o veniva mandato in una struttura, il Comune lo sostituiva,
mentre adesso man mano si riducono, salvo qualche caso sporadico, qualche caso grave, qualche
emergenza» (Zupi, 2014). Mentre vanno esaurendosi i vecchi beneficiari, dunque, nuovi casi si
aggiungono solo in situazioni estreme, vagliate dal comune sempre secondo i riferimenti dell’ultimo
bando. Sulla base delle relazioni inviate dalle cooperative per il mese di marzo 2014, l’assistente
sociale del Comune di Reggio Calabria stima un totale di 76 anziani fruitori del servizio di assistenza
domiciliare (Fotia, 2014). Poiché i beneficiari dell’ultima graduatoria del 2009 ammontavano a 171
soggetti idonei su 324 richieste, abbiamo nel comune di Reggio Calabria una riduzione di più del
50% degli anziani che beneficiano dell’assistenza domiciliare in poco più di 4 anni.
Il delegato alle cure domiciliari del Forum provinciale Terzo Settore sottolinea come «il paradosso
della situazione finanziaria che si è venuta a creare lo pagano gli utenti. Se le cooperative sono
sott’acqua e il Comune non paga, […] il Comune rallenta nella presa in carico perché sa che non può
essere tempestivo nel pagamento e le cooperative così non sono sovraccaricate. Alla fine, chi ci
rimette sono gli utenti che o sono assistiti in numero veramente irrisorio oppure sono assistiti per un
monte ore settimanale veramente ininfluente». In termini di ore di servizio SAD, il solo Distretto
Nord di Reggio Calabria24 ha visto quasi dimezzarsi il servizio in 3 anni: da 10.252 ore distribuite su
64 utenti nel 2010, a 7.384 ore distribuite su 47 utenti nel 2011, a 5.880 ore distribuite su 37 utenti
nel 201225.
Una nuova opportunità si è aperta alla fine del 2013 con il “Programma nazionale per i servizi di cura
all’infanzia e agli anziani non autosufficienti” inserito nel PAC - Piano di Azione per la Coesione –
la cui autorità di gestione è il Ministero dell’Interno – che, attraverso la riprogrammazione
centralizzata dei Fondi Strutturali 2007-13, ha chiesto direttamente agli enti locali delle quattro
regioni dell’Obiettivo ‘Convergenza’ (Calabria, Campania, Puglia e Sicilia) di impegnare risorse
23 Come si evince dal bando del 2008 tra i requisiti leggiamo: non usufruire di analoghi servizi di
assistenza erogati dal comune (eventuali casi particolari saranno oggetto di valutazione tecnica del
Servizio Sociale); non essere percettori di assegno di accompagnamento.
24 Il distretto socio-sanitario nord di Reggio Calabria è costituito dall’intero territorio comunale, ad
eccezione di 6 circoscrizioni che rientrano nel distretto socio-sanitario RC Sud i cui dati
sull’assistenza sono sommati con quelli degli altri 2 comuni di cui si compone il distretto, Motta S.
Giovanni e Cardeto. Anche in questo distretto, stando ai dati inseriti nel PAC si è vista una riduzione
di ore di assistenza: 2010 h.5276 (43 utenti), 2011 h.4676 (39 utenti), 2012 h. 4220 (36 utenti). Altre
2 circoscrizioni a nord del comune ricadono invece nel distretto socio-sanitario Villa S. Giovanni.
25 Dati inseriti nell’analisi dell’offerta dei servizi presentata all’interno del PAC Anziani.
aggiuntive per questi servizi. Le unità territoriali d’intervento sono quelle definite dalle Regioni per
la programmazione dei servizi sociali, che nel caso calabrese corrispondono ai 35 distretti socio-
sanitari. Per l’area anziani le risorse disponibili complessive ammontavano a 330 milioni di euro e di
questi un primo riparto, per un valore di 130 milioni di euro, è stato dedicato all’incremento della
presa in carico in assistenza domiciliare degli anziani e al rafforzamento dell’integrazione socio-
sanitaria. Per tale obiettivo la Regione Calabria è stata assegnataria di 18.577.000 euro, a loro volta
suddivisi fra i 35 distretti socio-sanitari, in base principalmente alla distribuzione della popolazione
over 75. Sotto la pressione del PAC si è così messa in moto la concertazione tra le aziende sanitarie
e i comuni dei distretti socio-sanitari per la realizzazione del Piano di intervento e dei relativi obiettivi,
e per il rafforzamento
dell’integrazione socio-sanitaria dei servizi di assistenza domiciliare. Il comune di Reggio Calabria
ha presentato piani di intervento per l’attivazione di servizi di cura per gli anziani in maniera
concertata con l’ASP di Reggio Calabria26 per i due distretti di cui è capofila ed entrambi sono stati
approvati con le Deliberazioni della Commissione Straordinaria n. 243 (per il Distretto RC SUD) e
n. 244 (per il Distretto RC NORD) del 2013.
Nell’estate del 2014 il Comune ha lanciato un nuovo bando di accreditamento in cui uno degli
obiettivi, si legge, «è l’istituzione dei registri di ambito distrettuale degli organismi del Terzo Settore
che intendono accreditarsi per erogare servizi di assistenza domiciliare per la categoria di anziani e
disabili ». Il bando segue le nuove indicazioni regionali della DGR 505/2013“Criteri per la disciplina
dei sistemi di affidamento ai soggetti del terzo settore dei servizi di cura agli anziani non
autosufficienti”, con cui la regione, saltata a piè pari dal governo che per il PAC si rapporta
direttamente con i Comuni associati nei distretti socio-sanitari, ha provveduto finalmente ad
approvare la normativa regionale sulle procedure di autorizzazione e accreditamento del terzo settore
da parte dei Comuni per i servizi di cura rivolti agli anziani non autosufficienti. Nel nuovo bando per
l’accreditamento il valore del voucher sale a 18 euro orari per le prestazioni di assistenza domiciliare
agli anziani, mentre l’ambito di progettazione del servizio non è più quello comunale ma quello del
distretto socio-sanitario (A Reggio Calabria Distretto Nord e Distretto Sud).
A seguito dell’elezione del nuovo sindaco di centro-sinistra a fine 2014, dopo 2 anni di
commissariamento, e la maggiore attenzione ai servizi sociali annunciata dalla nuova giunta
comunale, le risorse stanziate dal PAC potrebbero contribuire a migliorare l’attuale ridottissima
26 Il PAC, per il primo riparto, ha assegnato ai 2 distretti di cui Reggio Calabria è capofila: euro
648.202,00 al distretto di Reggio Calabria Nord e euro 902.713,00 al Distretto Reggio Calabria Sud
offerta pubblica di servizi di cura per gli anziani, pur non potendo rappresentare una soluzione di
lungo periodo a un deficit di natura strutturale27.
Accanto al PAC va anche segnalata un’iniziativa autonoma della Regione Calabria che, nell’ambito
del POR FESR 2007-2013, ha avviato una procedura di assegnazione di fondi ad enti locali e del
terzo settore per l’attivazione di Centri Diurni per gli Anziani, impegnando 5 milioni di euro. Nella
graduatoria definitiva, approvata con il DDS 9863/2013, ritroviamo un progetto di centro diurno nel
territorio di Reggio Calabria presentato da una ONLUS locale che, se attivato può rappresentare una
risposta ad alcuni dei bisogni della popolazione anziana della città.
3. Una valutazione critica
Alla luce dell’approccio analitico tratteggiato nella prima parte di questo contributo, la ricostruzione
da noi effettuata del percorso normativo-programmatico della Regione Calabria e dell’offerta
pubblica di servizi di cura per gli anziani a Reggio Calabria ci consente di effettuare alcune
valutazioni critiche.
In primo luogo, nonostante la crescita della domanda di servizi di cura per gli anziani e gli ambiziosi
obiettivi formulati dalla LR 23/2003, il modello di offerta pubblica di questi servizi in Calabria è
rimasto inadeguato e residuale. Si tratta di un deficit strutturale di lungo periodo, che il governo
regionale non è riuscito a colmare nei 45 anni di progressiva autonomia in materia di politica sociale.
La crisi finanziaria – che in Calabria ha origini sia esogene, che endogene – non può, pertanto, essere
considerata una causa dell’inadeguatezza dell’offerta, quanto piuttosto un fattore aggiuntivo, che ha
solo messo in luce i nodi preesistenti e in ginocchio un sistema già fragilissimo.
Le ragioni del persistere di questo deficit strutturale vanno ricercate nel particolare modello di
governo e di programmazione della Regione, che ha rappresentato un freno allo sviluppo dell’offerta
pubblica anche per i comuni, i principali soggetti preposti all’erogazione di tali servizi. A questo si
aggiunga una propensione generalmente bassa – a entrambe le scale di governo – a ritenere l’offerta
pubblica di servizi di cura una priorità politica, avallando le norme sociali che vedono nella famiglia
il principale erogatore dei servizi di cura. Tra le conseguenze di tale modello di governo va anche
menzionata la scarsa capacità di integrare le prestazioni sanitarie con quelle socio-assistenziali.
27 In base al piano di intervento finanziato dal PAC, il 15 maggio 2015 il Comune di Reggio Calabria
ha pubblicato un nuovo bando per la costituzione della graduatoria relativa all’erogazione
dell’assistenza domiciliare agli anziani ultra sessantacinquenni non autosufficienti, integrando in un
unico bando l’assistenza socio-assistenziale e sociosanitaria e prevedendo la valutazione delle
richieste in maniera concertata con l’azienda sanitaria. Dopo un’iniziale scadenza del bando posta il
22 giugno 2015, essa è stata prorogata al 7 agosto 2015.
Infine, l’insieme di queste caratteristiche e la progressiva riduzione della già scarsa offerta pubblica
rafforzano in Calabria un modello di gestione ‘privata’ dei servizi di cura per gli anziani, che si basa
sui due pilastri della famiglia e del mercato, scaricando sempre di più sulle associazioni del
volontariato puro anche quel sostegno ‘residuale’ prima svolto dallo stato.
Un deficit strutturale di lunga durata
Nella sezione precedente abbiamo documentato come l’attuale offerta pubblica di servizi di cura per
gli anziani – sia quella integrata, che quella socio-assistenziale – si attesta in Calabria su livelli che
sono tra i più bassi d’Italia, mentre a Reggio Calabria tali servizi sono praticamente prossimi
all’inesistenza. Si tratta di un deficit di lunga durata ereditato dal passato, che né l’intervento dello
stato centrale nei primi 30 anni del dopoguerra, né l’intervento del governo regionale a partire dagli
anni ’70 sono riusciti a colmare. Il primo, come abbiamo sottolineato è un ‘late comer’ nel campo
delle politiche sociali per gli anziani e non ha mai attivato risorse sufficienti per rispondere alla
crescente domanda di servizi, specie nelle aree del paese dove il deficit era più accentuato, preferendo
un limitato approccio cash-for-care (l’Indennità di accompagnamento). Il secondo, come
richiameremo tra breve, non ha mai attuato una politica sociale in grado di ‘rompere’ il modello
familistico e residuale ereditato dal passato, legittimando le norme sociali tradizionali e riproducendo
uno stile di governo clientelare, che ha fatto della spesa pubblica, in particolare quella sociale, uno
strumento di controllo e consenso politico, permeabile anche a fenomeni di malaffare e corruzione.
La crisi finanziaria – e le conseguenti politiche di rientro – hanno in Calabria e a Reggio Calabria una
doppia origine. Da una parte, sono di natura esterna, come conseguenza della recessione globale che
ha determinato una riduzione del gettito fiscale e aggravato il debito pubblico nazionale,
determinando una forte riduzione nel finanziamento dei fondi nazionali per le politiche sociali e
quindi dei trasferimenti alle regioni. Queste ultime, a causa della stagnazione e di successivi
provvedimenti legislativi hanno anche visto ridursi la loro capacità di imposizione fiscale. Dall’altra,
sono di natura interna, come conseguenza di una gestione disinvolta della spesa pubblica, specie nel
settore della sanità che dal 2009 è soggetto alle misure del ‘Piano di rientro’. Situazione analoga si
riscontra a Reggio Calabria, il cui bilancio comunale, prossimo al dissesto già prima dello
scioglimento del Consiglio comunale nel 2012 e del successivo commissariamento, è stato oggetto di
tagli pesantissimi.
Ma la crisi – sia alla scala regionale, che a quella comunale – ha solo esacerbato il deficit preesistente,
mettendo a nudo l’inadeguatezza del modello pubblico di cura per gli anziani e portandolo allo
stremo. La già scarsa offerta regionale di ADI, ad esempio, è stata ulteriormente compromessa dal
blocco del turnover imposto dal Piano di Rientro della sanità del 2009, mentre a Reggio Calabria il
ridottissimo personale interno dell’ASP impiegato per l’ADI non viene pagato con regolarità e si è
trovato a gestire un carico crescente di utenti, specie dopo che le cooperative esterne affidatarie hanno
sospeso il servizio nel 2013. Le difficoltà oggettive del servizio sono state inoltre aggravate dai
continui cambi di gestione all’interno dell’ASP, legati a questioni politiche e giudiziarie. Per quanto
riguarda il SAD, la riduzione dei trasferimenti nazionali ha determinato un’ulteriore riduzione dei già
scarsi trasferimenti regionali ai comuni. A Reggio Calabria, lo scioglimento del Consiglio comunale
nel 2012 e i tagli alla spesa imposti dai Commissari prefettizi hanno determinato un ulteriore blocco
dei pagamenti alle cooperative affidatarie dei servizi.
In un contesto così fragile, le politiche di austerità compromettono ogni possibilità di superare
l’inadeguatezza strutturale del modello regionale e comunale di cura per gli anziani, piuttosto che
rappresentare un’opportunità di ristrutturazione e razionalizzazione. In altre regioni, dove si è formato
nel tempo uno stock di capitale sociale e istituzionale (sistemi e strutture di produzione di servizi,
quadri regolativi, procedure di programmazione, personale qualificato), la crisi spinge a
ridimensionare e/o ristrutturare, ma il sistema resiste. In Calabria e a Reggio Calabria tale capitale
non esiste e il deficit accumulato andrebbe colmato costruendo un’offerta ex novo. Ma i comuni e gli
enti locali si trovano in Calabria stretti in una contraddizione irrisolvibile: da una parte sono soggetti
ad una riduzione delle risorse finanziarie e del personale disponibile (non possono assicurare il
turnover); dall’altra sono sottoposti ad un’intensificazione del carico normativo (requisiti, procedure,
etc.) per la programmazione e l’erogazione di servizi, che non sono in grado di assolvere.
I condizionamenti del modello regionale di programmazione e delle norme sociali
Come abbiamo sottolineato nella prima parte di questo contributo, nel contesto di uno stato centrale
storicamente debole e in assenza di attori collettivi forti (sindacati, imprenditori), nelle regioni del
Sud si sono consolidate cultura e pratiche amministrative burocratiche politicamente gestite e poco
propense alla programmazione, spesso indipendentemente dal colore politico delle amministrazioni.
Il governo regionale della Calabria e quello comunale di Reggio Calabria ne sono esempi calzanti.
Uno dei primi punti di debolezza emersi dall’analisi della programmazione dei servizi sociali rivolti
agli anziani della regione Calabria è la scarsa attenzione alla dimensione informativa, sia dal lato
della domanda, ovvero alla quantificazione e qualificazione dei bisogni della popolazione anziana,
che dal lato dell’offerta, ovvero al censimento e al monitoraggio delle strutture e dei servizi esistenti.
Tale vuoto informativo emerge in diversi documenti della Regione. E’ esplicitamente ammesso nel
“Piano regionale degli interventi e dei servizi sociali e indirizzi per la definizione dei piani di zona.
Triennio 2007-09” (Allegato 1):
L’analisi dei servizi sociali offerti sul territorio regionale si presenta di estrema difficoltà. Le
difficoltà riguardano, da un lato, il censimento delle strutture di offerta, ossia della miriade di strutture
pubbliche e private che a vario titolo svolgono attività a rilevanza sociale, dall’altro, la rilevazione
sistematica della quantità e qualità dei servizi erogati (p. 73).
Emerge anche nel Programma Operativo 2013-2015 in ambito sanitario28, pubblicato anch’esso
successivamente al periodo di riferimento, con Decreto del Commissario ad acta n. 14 del 2 aprile
2015, a proposito delle residenze sanitarie assistenziale e del calcolo degli eventuali posti letto in
strutture pubbliche oltre a quelle private accreditate presenti sul territorio, dove si denuncia che è
ancora in corso « una ricognizione sull’effettiva attivazione degli stessi [posti letto in offerta
puramente pubblica], il cui dato attualmente non è presente né nei flussi né nelle informazioni a
disposizione del Dipartimento» (p. 182). La difficoltà della ricostruzione di un quadro dei servizi
offerti sul territorio si ritrova poi nelle indagini nazionali condotte dall’ISTAT, nei quali la Calabria
si distingue invariabilmente per la mancata risposta ai questionari dell’ente29.
Una seconda caratteristica del modello regionale di governo della politica sociale in generale, e dei
servizi di cura per gli anziani in particolare, è il contrasto – la schizofrenia – tra gli obiettivi ambiziosi
formulati in entrambe le leggi regionali sui servizi sociali, spesso con una specificazione esasperata
di standard e requisiti, cui però non seguono regolamenti e disposizioni attuative. In assenza di un
sistema strutturato di regolazione regionale, quindi, le sperimentazioni e i meccanismi attuati a livello
locale sono quasi sempre dipesi dalla creatività e dallo spirito di iniziativa dei singoli (sindaco,
assessore, direttore dell’ASP, dirigente di settore) e come tali hanno avuto carattere congiunturale ed
episodico, incapaci di garantire continuità.
Una terza caratteristica rilevante è la bassa priorità accordata dalla Regione alla politica sociale in
generale e a quella per gli anziani in particolare. La Calabria ha solo passivamente assegnato o
trasferito – peraltro sempre con forti ritardi rispetto alle erogazioni – le risorse provenienti dai vari
fondi nazionali, senza integrarle con fondi propri, né inserirle in un quadro organico di politica
sociale. A questo si accompagna, come abbiamo messo in evidenza nella seconda parte di questo
contributo, uno stile di programmazione congiunturale, erratico e a breve termine, che ha contribuito
a determinare un quadro di forte incertezza per quanto riguarda il trasferimento dei fondi agli enti
locali e quindi a de-responsabilizzare i comuni.
Unico zoccolo duro sembra rimanere in Calabria l’indennità di accompagnamento, di origine
nazionale, che costituisce il solo punto fermo in una regione dove le altre forme di sostegno pubblico
si contraggono. In contesti poveri come quello calabrese, tuttavia, il rischio è che tali trasferimenti,
28 Il ‘Programma Operativo’ è uno strumento di programmazione con cui le Regioni in piano di rientro
possono definire obiettivi e azioni previste dai piani, mostrando gli strumenti e gli interventi necessari
per raggiungere l’equilibrio economico, garantire l’erogazione dei LEA e adempiere a quanto stabilito
dalla normativa nazionale. 29 Nella ricerca dell’ISTAT su Gli interventi e i servizi sociali dei comuni singoli e associati - Anno
2010 (2013), la Calabria si attesta infatti al primo posto come numero di comuni, singoli e associati, che
non hanno risposto alle rilevazioni dell’ISTAT (31% di risposte mancanti). La Calabria è di nuovo
prima in classifica nell’indagine su ‘I presidi residenziali socio-assistenziali e socio-sanitari’ (ISTAT,
2014a) per il più basso tasso di risposta ai questionari.
più che per i soggetti non autosufficienti, diventino sostegno per le famiglie toutcourt, caricando
queste ultime del compito di farsi carico dei bisogni di cura degli anziani (Saraceno, 2010:37). Come
sottolinea la psicologa che lavora presso la struttura residenziale socio-assistenziale di RC Nord
convenzionata con la Regione, infatti, la crisi ha avuto come effetto la scelta da parte dei familiari di
tenere in casa l’anziano il più possibile per evitare il costo delle rette e poter nello stesso tempo
beneficiare di pensioni e eventuali indennità di cui questi è titolare (Modafferi N., 2015). Riflesso di
questa tendenza è anche un aumento della richiesta di ricovero da parte di anziani in situazioni molto
più disagiate che in passato, quando il carico di cura non è più sopportabile per le famiglie, come ad
esempio nel caso di anziani affetti da demenza senile, che vengono spesso rigettate dalle strutturaein
quanto non in grado di erogare le prestazioni sanitarie necessarie (Modafferi N., 2015).
I problemi a scala comunale
A livello comunale, nonostante l’apparente diversa attenzione posta ai servizi sociali – almeno in
termini di retorica politica – dalle amministrazioni di centro-sinistra rispetto a quelle di centrodestra,
e tranne fugaci eccezioni dovute al ruolo di singoli assessori o consiglieri, nella sostanza, tutte le
amministrazioni che si sono succedute alla gestione della città di Reggio Calabria hanno accordato
scarsa importanza ai servizi sociali. Né la prima amministrazione Falcomatà, che pure aveva
introdotto significative novità negli anni ’90, avviando alcuni servizi in affidamento esterno, né
l’amministrazione Scopelliti che aveva potenziato in modo autonomo e sperimentale il meccanismo
dell’affidamento esterno negli anni 2000, sono riusciti a colmare il deficit strutturale nell’offerta
pubblica di servizi di cura per gli anziani, che a Reggio Calabria era persino più accentuato che nel
resto della regione.
Pur se condizionata dal modello di programmazione regionale, la gestione municipale dei servizi si è
sostanzialmente adeguata e ha ‘rincorso’ le opportunità di finanziamento, i meccanismi e le scadenze
imposte dal governo regionale, senza attuare alcun tentativo autonomo di analisi dei bisogni, di
finanziamento e di programmazione di più lungo periodo. Il primo tentativo di avviare tale approccio,
proposto dalla breve giunta Arena, è stato travolto dallo scioglimento del consiglio comunale per
contiguità mafiosa nel 2012.
In quell’occasione è emerso anche un drammatico buco di bilancio, con debiti per un valore superiore
ai 600 milioni di euro3031, che ha portato a rigidissime misure di austerità, gestite da commissari
prefettizi allo scopo nominati. In questo contesto, la definizione delle priorità ha messo ancora una
30 Si vedano: Reggio Calabria, la Corte dei conti certifica il buco: 679 milioni di euro su
‘ilfattoquotidiano.it’ del 22/11/12 ( http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/11/22/reggio-calabria-corte-
dei-conti-certifica-buco-679-milioni-dieuro/423119/ ); Due o tre cose che Scopelliti dovrebbe dire sul
debito su ‘corrieredellacalabria.it’ del 17/1/13
(http://www.corrieredellacalabria.it/index.php/politics/item/11126- 31 _due_o_tre_cose_che_scopelliti_dovrebbe_dire_sul_debito/ )
volta in secondo piano i servizi sociali. Mentre, infatti, sono stati considerati indispensabili servizi
quali la nettezza urbana e il trasporto pubblico locale 32 , i servizi sociali sono stati fortemente
penalizzati, «con la conseguenza che negli enti locali in difficoltà economica, finanziaria, o anche
semplicemente di liquidità, il pagamento degli stessi non è garantito dalla impignorabilità delle
somme ad essi destinate» (Squillaci, 2014).
La precarietà dell’offerta dei servizi di cura per gli anziani a Reggio Calabria è venuta alla luce
essenzialmente attraverso le proteste degli operatori privati cui il Comune aveva affidato la fornitura,
ovvero attraverso le agitazioni delle cooperative del terzo settore. Il grave disagio economico di
queste ultime, strette tra i mancati pagamenti e i costi che il servizio impone a cominciare dalle
assicurazioni per i lavoratori impiegati e i certificati di qualità necessari per l’accreditamento, pervade
l’intero dibattito33. Secondo il Forum Terzo Settore, la contrattazione «negli ultimi 2-3 anni si è
concentrata sui problemi economici. Abbiamo battagliato anche per gli utenti, perché i servizi che
spariscono coinvolgono soprattutto questi ultimi. Ma le battaglie più grosse che abbiamo fatto come
Forum sono state quelle per salvaguardare le cooperative perché l’accumularsi dei loro crediti nei
confronti del comune rischiava di far saltare il gioco» (Zupi, 2014).
Le difficoltà dell’integrazione socio-sanitaria
Un ulteriore problema nella programmazione dei servizi di cura per gli anziani in Calabria e a Reggio
Calabria, riguarda l’integrazione dei servizi sanitari con quelli socio-assistenziali.
La difficile cooperazione dei servizi sanitari con quelli socio-assistenziali è un elemento critico su
tutto il territorio nazionale, come viene evidenziato già nel primo rapporto del Network sulla Non
Autosufficienza, dal quale risulta che nel 2007 del 3.2% degli anziani ultrasessantacinquenni che
ricevevano assistenza domiciliare integrata solo lo 0.6% fruiva anche di interventi di natura sociale
(Gori e Casanova, 2009), dimostrando come l’ADI rappresenti in Italia un intervento a carattere
prevalentemente sanitario (Costa, 2013b). Una recente ricerca condotta in 8 comuni tra Nord, Centro
e Sud Italia (Milano, Brescia, Bologna, Modena, Roma, Frosinone,Napoli e Salerno) ha confermato
32 Scelta che segue peraltro le linee di una disposizione nazionale, il Decreto 28 maggio 1993 del
Ministero dell’Interno, di concerto col Ministero del Tesoro, “Individuazione, ai fini della non
assoggettabilità ad esecuzione forzata, dei servizi locali indispensabili dei comuni, delle province e
delle comunità montane”, nel quale vengono definiti i servizi locali ‘indispensabili’, che devono cioè
essere sempre garantiti per il bene della comunità.
33 Questa situazione non è caratteristica solo di Reggio Calabria. Come hanno messo in evidenza
Gambardella et al. (2013: 41), il forte rapporto di interdipendenza che si crea tra istituzioni locali ed
enti del terzo settore con l’incremento dei processi di esternalizzazione contribuisce a far perdere a
quest’ultimo la sua autonomia e il suo ruolo di advocacy, a causa della continua ricerca di
finanziamenti e convenzioni e della necessità di adeguamento alle condizioni contrattuali imposte
dall’ente pubblico locale (affidamenti al massimo ribasso, incarichi a breve, proroghe limitate nel
tempo, pagamenti ritardati ecc.).
come la presa in carico congiunta tra Comune e ASL per soggetti verso cui occorre un approccio
socio-sanitario integrato, sia ancora un obiettivo lontano (Fay, Lucianetti e Saruis, 2013: 138).
A livello locale, molte delle difficoltà sono certamente dovute alla gestione travagliata dell’ASP di
Reggio Calabria, costituita con la LR 9/2007, accorpando le precedenti ASL n. 10-Palmi e 11Reggio
Calabria, lasciando però fuori l’ASL n. 9 di Locri, in quanto commissariata per infiltrazione mafiosa.
Nel 2008, prima ancora della conclusione del periodo di commissariamento dell'ASL n. 9 di Locri,
anche la neonata ASP di Reggio Calabria veniva commissariata, sempre a causa di infiltrazioni di
natura mafiosa. Da allora l’ASP è passata da un commissariamento a un altro, anche se non più per
motivi di infiltrazione mafiosa, ma a semplice copertura di ‘periodi di transizione’ in attesa di nuove
nomine 34 . Alla precarietà e discontinuità nella gestione dell’ASP di Reggio Calabria fa eco la
discontinuità nel coordinamento del servizio ADI di Reggio Calabria: tra il 2012 e il 2014 si sono
avvicendati ben 4 diversi coordinatori, che hanno tutti dovuto fare i conti con risorse limitate e in
diminuzione35, in una cornice normativa regionale in cui ancora manca una regolamentazione delle
procedure di accreditamento per l’esternalizzazione del servizio. E’ proprio nell’ADI che più si
avverte il peso dell’instabilità gestionale dell’ASP di Reggio Calabria, unita alla precarietà dei servizi
socio-assistenziali del Comune in generale. Dall’analisi di contesto inserita alla fine del 2013 nei
‘Piani di azione e coesione’ relativi alla progettazione dei servizi per anziani emerge chiaramente,
infatti, l’enorme distacco tra Comune e Azienda Sanitaria, risultando zero il numero di persone che
beneficiano di assistenza domiciliare socio-assistenziale integrata all’assistenza socio-sanitaria. In
altre parole, i pochi servizi di ADI nella città di Reggio Calabria constano solo della componente
sanitaria. Così come, sempre dalla stessa analisi di contesto, emerge come in nessuno dei due Distretti
Socio-Sanitari reggini sono stati attivati i PUA-Punti Unitari di Accesso previsti dalle linee guida
della Regione Calabria per le cure domiciliari (2011), che dovrebbero rappresentare la porta d’accesso
e il luogo dell’integrazione per tutte le prestazioni e le risorse dei servizi territoriali, sanitari e sociali.
Un ultimo aspetto da considerare per spiegare la mancata integrazione tra servizi sanitari e servizi
sociali nelle dinamiche della programmazione comunale è la particolare configurazione delle unità
34 Anche la parentesi di gestione ordinaria da parte di una direttrice generale, la Dott.ssa Squillacioti
(luglio 2011dicembre 2013), precedentemente commissario, è stata segnata da ricorsi al tribunale per
una presunta illegittimità di quest’ultima nel ricoprire tale ruolo. Dopo che nel febbraio 2014 il
giudice per le indagini preliminari del tribunale di Catanzaro ha rigettato la richiesta d’interdizione
dai pubblici uffici per la Squillacioti in quanto infondata, la questione si è riaperta con un ulteriore
ricorso. La Squillacioti, avendo scelto di dimettersi nel dicembre 2013, ha lasciato l’ASP di Reggio
Calabria sotto la gestione provvisoria di un ennesimo commissario straordinario
35 In base ai dati del Ministero della Salute aggiornati a ottobre 2014, in Calabria l’incidenza del costo
dell’ADI sul totale della spesa sanitaria era pari a 1.5% nel 2012, contro una media nazionale del
2.4%. Si veda http://www.dps.mef.gov.it/obiettivi_servizio/servizi_infanzia.asp (ultima consultazione
31/1/2015)
territoriali di programmazione sanitaria e socio-assistenziale. Con la DGR 78/2004 la Regione
Calabria individuava 35 Distretti Socio-Sanitari come nuovi ambiti territoriali d’azione nella
programmazione dei servizi socio-sanitari. In questa ripartizione territoriale, il comune di Reggio
Calabria si è trovato ad avere una posizione assolutamente anomala, con il territorio comunale
suddiviso e attribuito a 3 diversi distretti. Una parte della città situata a Nord confluisce nel distretto
socio-sanitario guidato dal comune di Villa S. Giovanni, un’altra va a costituire l’intero distretto
Reggio Calabria Nord, mentre un’altra ancora si unisce a due comuni confinanti a Sud per formare il
distretto Reggio Calabria Sud. L’orizzonte di progettazione distrettuale, che era nato per assicurare
maggiore razionalità e aderenza territoriale nell’organizzazione dei servizi, si è tradotto per il Comune
di Reggio Calabria in una frammentazione inconsulta, ostacolando qualunque tentativo di
programmazione unitaria. La realizzazione di un unico distretto sociosanitario metropolitano
coincidente con l’intero territorio comunale, sarebbe stato certamente più rispondente ad
un’organizzazione efficace dei servizi per la città (Carrozza, 2014). E’ solo recentemente e dopo 11
anni, con la DGR 210/2015, che la Regione ha finalmente rimediato a questo assurdo, rendendo
l’intero territorio comunale di Reggio Calabria coincidente con un unico distretto socio-sanitario.
Le ricadute sociali di un modello sociale regionale sempre più residuale
L’insieme delle sopra descritte caratteristiche e la progressiva riduzione della già scarsa offerta
pubblica rafforzano in Calabria un modello di gestione sempre più ‘privato’ dei servizi di cura per
gli anziani. Ma, rispetto ad altre realtà regionali e nazionali, l’offerta pubblica di servizi di cura per
gli anziani in Calabria e a Reggio Calabria non sta registrando un processo di ‘privatizzazione’ (Da
Roit and Sabatinelli 2012), nella misura in cui qui non vi è mai stata un’offerta ‘pubblica’ di tali
servizi che possa ‘trasformarsi’ in privata.
Da una parte, (ri)assume un ruolo fondamentale di supplenza la famiglia – in particolare la
componente femminile. Da questo punto di vista, la Calabria e Reggio Calabria si collocano nella
categoria del ‘familismo di default’ (o familismo non sostenuto) della tipologia di Saraceno e Keck
(2010), benché con una componente di familismo ‘sostenuto’ (attraverso l’IdA). Nel 2010 è stata
realizzata un’indagine dalla Lega SPI-CGIL in collaborazione con l’AUSER della provincia di
Reggio Calabria nelle due circoscrizioni più a Nord del comune di Reggio Calabria (Gallico e Catona)
e in 4 comuni della provincia di Reggio Calabria (Calanna, Laganadi, S. Alessio, S. Stefano). Dalla
ricerca emerge come il 20% degli anziani non autosufficienti ricorra all’aiuto del coniuge e ben il
57% sia aiutato da altri familiari36. E sono proprio le famiglie con persone non autosufficienti quelle
36 Un restante 6% si rivolge ad amici e vicini di casa, un 2,2% al volontariato e un 14.3% ai servizi
privati a pagamento. Si ringrazia Rosetta Melidoni, della SPI CGIL di Reggio Calabria, per aver
fornito i risultati di questa indagine.
più a rischio di povertà, ovvero di deprivazione materiale, come ha sottolineato l’ultimo report
sull’esclusione sociale del CIES37.
Dall’altra, per quei soggetti e per quelle famiglie che possono permetterselo, spesso con l’aiuto
dell’Indennità di accompagnamento, la domanda di servizi di cura degli anziani viene soddisfatta
facendo ricorso al mercato privato, quasi sempre in forma ‘informale’, ovvero attraverso l’acquisto
di prestazioni di cura domiciliare ‘in nero’ da persone senza contratto, siano esse badanti, fisioterapisti
o anche infermieri.
Molto precisa l’analisi fatta del delegato ai servizi domiciliari del Forum provinciale del Terzo
Settore, che parla anche alla luce della sua esperienza all’interno di uno dei fornitori di ADI accreditati
dall’ASP:
La precarietà e l’incertezza dei servizi domiciliari sanitari ha fatto sì che in provincia di Reggio i
fisioterapisti lavorassero privatamente presso le famiglie, a pagamento, in nero. Quando è stato
avviato il servizio ADI, con un minimo di programmazione nell’arco di 6 mesi, un anno, noi
provavamo ad organizzarci e ad attingere ai fisioterapisti privati e a metterli sotto contratto… ma
abbiamo faticato perché (…) non avendo risorse costanti e certezze sul futuro (…) ci abbandonavano!
(Carrozza, 2014)
Nelle falle aperte dalla scarsità dell’offerta pubblica di servizi di assistenza agli anziani, il lavoro nero
dei fisioterapisti sembra così aggiungersi al lavoro nero più conosciuto delle badanti. Per queste
ultime, tuttavia, la crisi sembra abbia ridotto le loro possibilità di impiego stabile presso le famiglie.
Come è stato sottolineato da un’operatrice della cooperativa ‘Il Sentiero’ di Reggio Calabria (Zupi
2014), in quelle famiglie dove le 2-3 ore settimanali di assistenza comunale non erano sufficienti, si
completava la domanda di servizi di cura dell’anziano attraverso i servizi di una badante ‘a ore’. Ma
con la crisi, le badanti stanno incontrando difficoltà a trovare impiego, non solo a tempo pieno, ma
anche per poche ore.
In questo quadro di crescenti difficoltà, se da una parte si assiste alla mobilitazione, anche rumorosa,
degli operatori del settore privato convenzionato, dall’altra si generano processi più silenziosi, ma
ben più drammatici, di crescente esclusione sociale.
37 Commissione Indagine Esclusione Sociale (Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali),
Rapporto sulle politiche contro la povertà e l’esclusione sociale. Anni 2011- 2012. Si veda
http://www.lavoro.gov.it/Documents/Resources/Lavoro/CIES/RAPPORTO_2011_2012_Fabbris.pdf (ultima
consultazione 20/5/15)
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