Rassegna Europea n°35

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SOMMARIO

1. Editoriale 4

2. Relazioni e dibattiti 6

3. Il nostro 2014 41

4. Ricordando 45

5. Libri! 47

RASSEGNA EUROPEA Responsabile Redazione: Pio Baissero

Comitato Redazione: Pio Baissero, Alex Pessotto

Hanno collaborato: Daniel Baissero, Pasquale Baldocci, Gustavo Caizzi, Riccardo Cipollari,

Fabio Feliciano, Abou Baker Hazim, Thomas Jansen, Erica Pivesso,

Elisa Regeni, Fulvio Salimbeni, Lino Sartori, Francesco Sfriso

Impaginazione e Grafica: Marco Rossmann

Editore: Accademia Europeista del Friuli Venezia Giulia Palazzo Alvarez – Via Alvarez, 8 - 34170 Gorizia (Italia) Tel. 0481-536429; 333-2957779 Sito Web: www.accademia-europeista.eu e-mail: [email protected]

L’Accademia Europeista è stata fondata nel 1989 con l’obiettivo di favorire l’informazione e la formazione europea dei cittadini e, in particolare, dei giovani. Nel 1993 l’Accademia è stata inoltre riconosciuta dalla Regione Autonoma del Friuli Venezia Giulia come “Ente di servizio di promozione europea”. In quanto tale organizza corsi, seminari, conferenze, mostre e incontri anche informali su tematiche europee. Cura diverse pubblicazioni, tra le quali la presente rivista, e mette a disposizione la sua biblioteca specialistica. Tutte le attività dell’Accademia sono promosse in collaborazione con analoghe Accademie e Case d’Europa sparse su tutto il continente.

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“Quando entra in gioco il possesso delle

cose terrene, è difficile che gli uomini

ragionino secondo giustizia”

Umberto Eco, Il nome della Rosa

L’immagine usata in copertina è pubblicata in Francia all'inizio del 20.mo secolo ci fa intravvedere le tensioni di un'Europa che si prepara, suo malgrado, al 1914. A cento anni da quella data fatale è proprio tutto cambiato? Provate a sostituire personaggi e costumi con quelli di oggi, ridimensionate la Turchia e frazionate l'Austria-Ungheria; aggiungete il vestito sottile e quasi trasparente dell'Unione Europea ed il gioco è fatto per avere, forse, una risposta.

Senza tralasciare collegamenti con il primo conflitto mondiale e il suo

centesimo anniversario, questo numero di Rassegna Europea contiene

alcuni autorevoli interventi proprio sulle tensioni che, ancor oggi,

rendono l'Europa vulnerabile da molti punti di vista. Allora, la domanda

che ci si pone è la seguente: dalla storia abbiamo imparato qualcosa?

Buona Lettura dall’Accademia Europeista!

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di Pio Baissero, Direttore dell’Accademia Europeista del Friuli Venezia Giulia

Europa 1914-2014. Se ne può parlare

da tanti punti di vista. Anche da quello

linguistico: è più o meno dal 1914,

infatti, che la crisi europea con le sue

guerre e le sue lotte intestine ha

permesso all’inglese di affermarsi

gradualmente quasi ovunque sul

continente. Da una parte l’enorme

espansione dell’impero coloniale

britannico, dall’altra il crescente ruolo

americano e dall’altra ancora la

relativa semplicità del linguaggio

anglosassone hanno fatto, alla fine,

piazza pulita di molte altre lingue

importanti, persino del francese che

era considerata “lingua diplomatica”

per antonomasia, almeno fino agli anni

Trenta del secolo scorso. Anche se non

è detto che l’inglese resti, in futuro, la

lingua di comunicazione dominante nel

mondo – si pensi all’affermazione

dell’idioma cinese, forte del numero e

della forza economica dei suoi parlanti

– non c’è dubbio che, dal 1914 in poi,

esso abbia avuto una funzione

glottofagica, abbia cioè letteralmente

mangiato altre lingue o cospicue parti

di esse. Un esempio per tutti: la

recente legge sul lavoro proposta dal

governo Renzi si chiama “Job act”. A

nessuno è venuto in mente di chiedersi

il motivo per cui nella legislazione

italiana si usi un lessico anglofono,

oltretutto estraneo alla tradizione

giuridica nostrana. Il fatto è che il

predominio dell’inglese, pur utile per

comunicare col resto del mondo, porta

con sé un dato preoccupante, a volte

ignorato o sottovalutato: quello di

veder modificate, in qualche caso

ridotte o persino estinte, altre lingue

parlate in Europa e nel mondo. Lo

dicono ricerche svolte da importanti

istituti scientifici, lo rivela la tendenza

impetuosa all’uniformazione linguistica

dovuta a un utilizzo sempre più ampio,

EDITORIALE

Pio Baissero

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totale dell’inglese nel mondo digitale.

E’ però un inglese semplificato,

americanizzato, persino molto diverso

da quello usato ai tempi di

Shakespeare. A proposito di storia: il

linguista John Florio ha scritto, di

recente, che nel 1500 l’inglese aveva

un ruolo del tutto periferico sullo

scenario europeo e mondiale. I

mercanti inglesi quando si lasciavano

alle spalle Dover per approdare sul

continente a commerciare, si

vergognavano della propria lingua e ne

usavano altre. La regina Elisabetta, per

tutti gli atti pubblici più importanti, si

serviva del latino che conosceva e

praticava perfettamente. Di più:

umanisti e governanti europei, in

quell’epoca, guardavano l’italiano,

ritenuto il miglior strumento linguistico

per formare il cosiddetto “homo

universalis” del Rinascimento. A

partire dalle soglie del Terzo Millennio,

il processo storico sembra invece

capovolto: non abbiamo certo l’homo

universalis rinascimentale, ma

l’individuo globalizzato che usa

l’inglese “povero” di modo da

annullare, purtroppo, le diversità

linguistiche. Di questa rischiosa

tendenza se ne è resa conto anche

l’Unione Europea. Quando ci si è

chiesti se era il caso di adottare una

lingua ufficiale al suo interno per

rendere più facile la comunicazione, si

sono paventate le ipotesi del latino o

dell’esperanto, ambedue non legate a

predominio di potenze nazionali e

quindi, in linea di principio, “neutre”

rispetto a tutti gli altri idiomi. Ipotesi

subito abbandonate per percorrere la

politica, peraltro complessa e molto

dispendiosa, del multilinguismo. Così

oggi, nell’ambito dell’UE sono

riconosciute ed hanno pari grado ben

24 lingue, tutte ufficiali. Ma

bisognerebbe aggiungere ad esse

almeno altre 60 lingue regionali,

minoritarie, in qualche caso a rischio di

estinguersi. Tra queste, per restare

nella nostra area geografica, il friulano

e l’istro-veneto. Multilinguismo

significa che tutti i cittadini dell’UE

possono aver accesso ai documenti

nelle lingue dei loro Paesi. Possono

pure scrivere alla Commissione

Europea nella loro lingua ottenendo

una risposta nello stesso idioma.

Tullio Crali - Incuneandosi nell'Abitato (In Tuffo sulla Città), Mart, Rovereto

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Anche i parlamentari europei hanno

diritto ad utilizzare la lingua che

preferiscono tra le 24 “ufficiali”. Tutto

questo comporta, ovviamente, un

costo: il servizio di traduzione sparso

tra Bruxelles, Lussemburgo e

Strasburgo è forse il più grande del

mondo impiegando, tra interpreti e

traduttori, oltre 3.000 persone quasi

tutte a tempo pieno. Ma nel 2014 e

chissà per quanto tempo ancora,

l’inglese resta pur sempre sullo sfondo:

riappare imperiosamente come lingua

di comunicazione non appena vien

meno o non ce la fa l’apparato tecnico

del multilinguismo europeo, soluzione

teorica ottimale ma difficile da

realizzare ovunque ed in ogni

circostanza. Dal 1914 ad oggi, dal

punto di vista linguistico, l’Europa si è

impoverita. Aggiungiamo, infine,

qualche dato, da fonti Onu, Unesco,

Nato del 2007 sul numero di parlanti

delle lingue maggiori:

1. Cinese mandarino: almeno 1000

milioni

2. Inglese: 920 milioni

3. Hindi-Urdu: 570 milioni

4. Spagnolo: 390 milioni

5. Arabo: 323 milioni

6. Francese: 265 milioni

7. Malese-Indonesiano: almeno

260 milioni

8. Portoghese: circa 203 milioni

Sembra, ogni commento, piuttosto

superfluo anche alla luce di quanto

sopra si è esposto.

P.S. A comprovare quanto la lingua

italiana abbia goduto, in passato, un

prestigio ed una diffusione così ampia

travalicando l’obiettiva debolezza

politica e militare della frammentata

penisola si legga il bel libro di

Francesco Bruni “L’Italia fuori d’Italia”,

270 pagg., Editore Franco Cesati

di Pasquale A. Baldocci, già Ambasciatore d'Italia, attuale Presidente dell'Ispri

Il secolo breve, che Hobsbawm fa

iniziare al primo conflitto mondiale, ha

segnato l'affermarsi di una vera

accelerazione esponenziale di eventi

1914 – 2014 La Storia non attende l'Europa

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che la Storia non aveva fino allora

conosciuto. I progressi delle scienze e

delle tecnologie, gli sviluppi

dell'informatica e delle comunicazioni

hanno provocato un fenomeno di

globalizzazione della società umana

che appare tuttora ai suoi inizi e di cui

è difficile prevedere le conseguenze a

medio e lungo termine. Le coordinate

di tempo e di spazio sono state

travolte senza che la psiche dell'uomo

abbia trovato modo di conformarsi ai

nuovi ritmi di un vivere che incalza con

pressioni sempre crescenti.

L'allungarsi della vita biologica ha poi

creato nuovi problemi di natura

sociale, psicologica e politica. Colta

impreparata, stupefatta e sgomenta,

l'umanità reagisce maldestramente

con frequenti manifestazioni di

squilibrio e di rivolta.

L'antica impalcatura fondata sullo

Stato di diritto, assoluto e sovrano

nonché sulla democrazia

rappresentativa non riesce ad evolvere

con gli stessi tempi ed è ancora alla

ricerca di fondamentali innovazioni in

tutti i campi dell'esistenza: una cultura

del secolo XXI non si profila ancora ai

margini della Storia, anche se non

mancano accenni ad un umanesimo

nuovo, e tale incertezza è fonte di

angoscia e perplessità. Anzichè

indagare sulle cause reali del primo

conflitto mondiale si è preferito

dibattere sulle responsabilità di chi lo

aveva provocato, nel preciso intento di

perseguire i colpevoli con giudizi

punitivi ed esemplari. Si è così giunti

all'iniquo e miope Trattato di Versailles

che, invece di preoccuparsi della

scomparsa di quattro Imperi che

avevano lungamente retto le sorti

dell'Occidente, ha tentato di sostituirli

con una frammentazione di piccole

nazioni apparentemente indipendenti,

sottoposte all'egemonia delle maggiori

potenze ed alle loro reciproche sfere

d'influenza. Il ventennio fra le due

guerre, sorta di armistizio per

riacquistare le energie perdute, rivelò

la fragilità della pace consentendo

all'URSS di risollevarsi ed ai

nazionalismi esasperati e degenerati in

razzismo di instaurare in Italia,

Germania, Spagna e Portogallo regimi

Pasquale Antonio Baldocci

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dittatoriali portatori dei germi di un

nuovo conflitto, ancor più devastante

di quello precedente soprattutto per le

popolazioni civili. Nel 1945 la

geopolitica del continente è

totalmente cambiata: Gran Bretagna,

Francia, Germania e Italia, stremate e

impoverite, cedono il campo a due

nuovi avversari egemoni, ad Est e ad

Ovest, la cui rivalità ideologica e

strategica continua il conflitto, non

armato ma ugualmente minaccioso, su

vari teatri di confronto. La crisi di Suez

nel 1956 e la contemporanea rivolta

ungherese confermano la fine di una

declinante preponderanza

continentale anglo-francese, che si

accompagna alla progressiva perdita

dei possedimenti coloniali d'oltremare.

Pochi comprendono allora che la

conflittualità fra le due rive del Reno

da un lato, la pretesa britannica di

dominare le vie marittime, i commerci

e la finanza mondiali sono la minaccia

più grave alla convivenza fra i popoli.

Di riconciliazione franco-tedesca e di

collaborazione europea si era già

discusso nel 1925 a Locarno: Briand e

Stresemann si erano mostrati fautori di

una intesa fra i loro paesi e ad essi si

era affiancato Carlo Sforza nella

visione di una Europa unita nella pace;

ma questi precoci germogli di

europeismo furono presto dispersi

dagli incombenti nazionalismi.

Due personalità di alto profilo trassero

questo disegno dall'oblio e dallo

sconforto dei tempi: Jean Monnet nel

soggiorno americano e Altiero Spinelli

nell'isolamento di Ventotene.

Separatamente e con argomenti

diversi ma convergenti essi intuirono

che la pace, preludio alla

collaborazione ed all'unione, doveva

fondarsi sull'economia e sul controllo

delle fonti di materiale bellico:

convinsero Schuman, Adenauer, Spaak

e De Gasperi alla loro visione di una

Europa comunitaria protesa verso

l'unità. Al trattato istitutivo della

Comunità Europea del Carbone e

dell'Acciaio (1952) seguirono altri nove

trattati firmati in varie città europee; la

Comunità si elevò ad Unione Europea

nel 1992, dotandosi di un vessillo, di

un inno e di un motto augurale: “Uniti

nella diversità”. Non mancarono

tuttavia pesanti delusioni: nel 1955 il

Parlamento francese respinse la

Comunità di Difesa e nel 2005 gli

elettorati francese e olandese si

dichiararono contrari alla ratifica del

secondo Trattato di Roma, che

delineava una Costituzione elaborata

da una speciale Convenzione nel corso

di controversi quanto tenaci dibattiti.

Nella impossibilità di procedere ad un

approfondimento dell'Unione sul

piano propriamente politico non ci si

oppose al suo allargamento da 6 a 9,

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12, 15, 25, 27, 28 membri ed altri in

attesa di aderirvi, con lo statuto o

meno di paesi candidati. Nei tre quarti

di secolo trascorsi dall'inizio del

movimento europeo le mete raggiunte

rappresentano traguardi storici di

fondamentale valore: soppressione

delle barriere doganali, libera

circolazione delle persone, dei capitali,

della manodopera, abolizione dei

valichi di confine e soprattutto unione

monetaria, con l'adozione dell'euro da

parte di 18 paesi membri. La creazione

inoltre della Corte di Giustizia e della

Banca Centrale Europea completa con

due organi fondamentali il carattere

sovranazionale delle istituzioni. Il 25

marzo 1957, alla conclusione dei primi

Trattati di Roma nel Palazzo dei

Conservatori in Campidoglio – in una

atmosfera di fervente europeismo che

non si è più riscontrata nelle

successive cerimonie di firma – noi

giovani diplomatici ritenevamo che la

moneta unica avrebbe terminato il

lungo cammino verso l'unità d'Europa;

35 anni dopo Jacques Delors,

presidente della Commissione,

sosteneva che l'euro sarebbe stata la

base di lancio dell'unione politica

dell'unione politica: le due

anticipazioni erano errate, poiché

sottovalutavano gli ostacoli che si

sarebbero frapposti all'integrazione

politica. Gli equilibri internazionali

erano stati travolti dalla scomparsa

dell'Unione Sovietica e dalla

riunificazione della Germania; la classe

politica non era più quella della prima

metà del secolo - Maurice Faure,

ultimo sopravvissuto fra i firmatari dei

Trattati di Roma, è deceduto il 6

marzo, deluso per l'affievolirsi della

vocazione europea della Francia -, i

nuovi governanti non aveva vissuto le

guerre mondiali ed erano privi di una

cultura unitaria. Per debolezza politica

e mancanza di sensibilità storica essi

hanno affidato all'economia ed all'alta

finanza il compito di sviluppare una

Europa liberal-capitalista che ha

sollevato una forte opposizione sociale

e alimentato nazionalismi e populismi

isolazionisti e protezionisti, quando

non apertamente razzisti e xenofobi, di

Tullio Crali - Festa Tricolore in Cielo, Mart, Rovereto

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crescente peso nelle politiche interne

dei paesi membri. Un aggravarsi di

questo immobilismo potrebbe

suscitare la tentazione di un definitivo

ed inappellabile ritorno al concerto

europeo, rivestito della ingannevole

veste di Europa delle patrie e

soggiacente alla egemonia anglo-

atlantica. La paralisi che ha colpito il

movimento europeo al compimento

dell'unione monetaria e che dura da

oltre un ventennio ha origini lontane:

nessun trattato ha esplicitamente

accennato ad una effettiva

integrazione politica. L'inserimento nel

Trattato per la Comunità di Difesa di

un Comitato politico, voluto da De

Gasperi su proposta di Spinelli, è

caduto nell'oblio con la mancata

ratifica. L'obiettivo finale della unione

politica si intendeva implicitamente

compreso nei preamboli, se non nelle

norme dei diversi trattati. Ma sin dagli

inizi l'inerzia delle società civili, ad

eccezione di alcuni ambienti

intellettuali e delle università,

affiancata all'attaccamento dei politici

alle rendite di posizione locali, avevano

confinato l'unione politica nella sfera

delle utopie alle quali, tutto al più,

programmare un prudente

avvicinamento. Trasformare il dogma

della sovranità assoluta nel concetto

più flessibile di sovranità condivisa,

come suggerito nel 2001 da J. Fischer –

una federazione di Stati nazionali –

pareva un disegno a termine non

definibile e si preferì gestire

maldestramente e sempre in ritardo

rispetto alle contingenze le istituzioni

di Bruxelles, tenendo a freno la

Commissione, priva dopo Delors di

personalità di rilievo politico oltre che

economico. La Comunità e poi l'Unione

hanno assistito passivamente alle

guerre jugoslave ed alle crisi africane,

con ritorni uni o bilaterali a sussulti di

neocolonialismo. Per ovviare al vuoto

creatosi dopo l'infelice Trattato di

Nizza, rimasto valido dopo i referenda

del 2005, il Trattato di Lisbona ha

introdotto al ribasso alcune

innovazioni enunciate dal progetto di

Costituzione, fra le quali la creazione di

un servizio diplomatico, reso

scarsamente operativo per la

mancanza di una reale politica estera

dell'UE provocata dalla regola

dell'unanimità imposta nelle decisioni

di portata internazionale. Il

contemporaneo mantenimento delle

presidenze semestrali con la nomina di

un presidente del Consiglio europeo in

carica per 30 mesi allontanava poi ogni

possibilità di evolvere verso procedure

volte a dotare l'Unione di un incipiente

profilo politico. La crisi economica che

ha duramente investito l'UE, ponendo

a repentaglio la stessa sopravvivenza

dell'euro, strenuamente difeso dalla

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Banca Centrale di fronte all'inerzia

della Commissione, ha rivelato una

volta ancora la vulnerabilità inferta

all'Unione dalla mancanza di coesione

politica, oltre che dall'assenza di

politiche economica, finanziaria e

fiscale unificate. Sono emersi pavidi

accenni a qualche timida mossa

politica, presto riassorbiti

dall'ossessionante imperativo del

risanamento dei bilanci e dei conti,

voluto dalla cancelliera Merkel e dai

governi “virtuosi” come leva di

pressione sui “ritardatari” del centro-

sud: in questa miope prospettiva si

dimentica che un serio rilancio politico

avrebbe un effetto trainante anche

sulla ripresa economica incoraggiando

investimenti e mercati. Ci si è limitati

ad un consenso di massima per

l'istituzione di una unione bancaria fra

i paesi membri. L'imminenza delle

elezioni europee ed il successivo

rinnovo della Commissione hanno

richiamato alcuni esponenti della

opinione pubblica sui gravi rischi di

una ulteriore involuzione della

costruzione europea. Associandosi al

gruppo tedesco “Glienike”, un

collettivo di politologi, economisti,

docenti universitari e giornalisti

francesi ha pubblicato nel quotidiano

“Le Monde” del 18 febbraio un

convincente e documentato appello

“Per una unione politica dell'euro”,

che in qualche modo ricorda i progetti

di Europa a geometria variabile o a due

velocità. Partendo dalla considerazione

che le istituzioni di Bruxelles sono

ormai desuete e richiedono riforme

che pongano regole al capitalismo

finanziario globalizzato e promuovano

precise politiche di progresso sociale,

oggi assolutamente carenti, gli autori

propongono che i paesi dell'euro,

iniziando dalla Francia e dalla

Germania, mettano in comune le

imposte sui redditi delle imprese, per

evitare fra l'altro le continue evasioni

fiscali perpetrate dalle multinazionali.

Tali nuove risorse di bilancio

permetterebbero di investire nei

settori sensibili, quali ambiente,

infrastrutture e formazione. In questi

campi l'Europa potrebbe assegnarsi il

compito di introdurre giustizia sociale

e volontà politica nella globalizzazione.

Pur non accennando esplicitamente al

progetto di emettere delle obbligazioni

europee (“eurobond”), l'appello

raccomanda la “mutualizzazione del

debito” per contrastare le persistenti

speculazioni sui tassi di interesse. Ma

la proposta politicamente più rilevante

concerne la creazione di una Camera

parlamentare della zona euro,

composta da deputati membri dei

parlamenti nazionali (ad esempio 30

francesi, 40 tedeschi, 30 italiani e via di

seguito per gli altri 15 paesi). In questo

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modo una sovranità parlamentare

condivisa sul piano europeo si

fonderebbe su sovranità parlamentari

nazionali: un passo concreto e decisivo

verso l'Europa politica. L'UE

evolverebbe allora verso un

bicameralismo, con un Parlamento

direttamente eletto da 28 paesi

membri ed una Camera europea

rappresentata da componenti delle

assemblee nazionali. L'accesso a

questa seconda Camera sarebbe

aperto ad altri Stati disposti a

progredire verso l'Unione politica,

fiscale e di bilancio. Un ministro delle

Finanze e, in un secondo tempo, un

vero e proprio governo europeo

sarebbero responsabili davanti alla

nuova Camera. Lo scritto termina

accusando di colpevole incoerenza

sostenere che l'opinione non ama

l'Europa attuale e quindi nulla va

cambiata nel suo funzionamento.

L'emergere di nuove grandi potenze a

livello mondiale, il risveglio

nazionalista della Russia, l'affermarsi di

movimenti disgregatori in Europa e

infine la crisi delle coscienze, più grave

ancora di quella economica se

proiettata a lungo termine, suonano

come un assordante segnale d'allarme

all’indomani del rinnovo del

Parlamento e della cariche istituzionali

dell'UE. Le proposte tedesche e

francesi sono un primo sasso gettato

nella palude dell'immobilismo,

prevalentemente dovuto all'assenza di

personalità politiche di alto rilievo, al

disinteresse del pubblico, ad una

diffusa stanchezza che alimenta

sentimenti di sconforto e disinganno.

Per ripercorrere il cammino impervio,

ma esaltante dell'unità d'Europa non

sarebbe superfluo uno sguardo

retroattivo alla seconda metà del

secolo scorso ed ai risultati ottenuti: gli

errori di Versailles sono stati in parte

cancellati; in un'atmosfera di pace

estesa a tutto il continente (l'eccezione

jugoslava conferma i pericoli della

mancanza di Europa) la democrazia, il

rispetto dei diritti umani e delle

minoranze sono stati rafforzati ed

hanno sostituito i dogmi

dell'onnipotenza dello Stato; una crisi

economica di portata mondiale è stata

affrontata, non tanto dai governi

quanto dalla Banca Centrale; un

tentativo di dotare l'UE di strumenti

diplomatici adeguati è stato avviato e

attende urgenti sviluppi concreti; i

paesi rimasti fuori di una Europa che

ha quasi raggiunto i suoi limiti

geopolitici premono per entrarvi, con

una consapevolezza dei vantaggi

dell'adesione più limpida ed aggiornata

delle critiche, sovente infondate e

malevoli dei paesi già membri. Il

sentimento europeo è certamente più

fervido e sincero a Kiev che nelle altre

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capitali: un monito serio da non

dimenticare. Sono state ormai create

le basi di una nuova Europa su un

patrimonio condiviso di valori culturali,

civili e politici che hanno ispirato la

modernità e che vanno difesi e

approfonditi senza soste né esitazioni,

nella prospettiva di un umanesimo del

futuro che non si lasci fuorviare da

tecnologie incontrollate ma restituisca

all'uomo un ruolo da svolgere in una

visione rinnovata del mondo.

di Thomas Jansen, politologo, membro del Circolo della Cultura e delle Arti, Trieste

Thomas Jansen

Quando, cent'anni or sono, governanti

e governati di diversi Paesi europei

diedero inizio alla guerra, come se

fosse una passeggiata, non avevano

idea che sarebbe durata quattro anni e

neppure si immaginavano il furore

militare che si è manifestato al pari

della tragedia subita dalla società civile

che certo ha finito per pagare un

prezzo molto, troppo alto. Da un

conflitto fra Stati confinanti si è infatti

sviluppata una guerra mondiale,

appunto la prima. Delle circostanze

che hanno portato alla guerra tanti

libri si sono occupati non trascurando

di soffermarsi sull'individuazione delle

responsabilità e proprio sulla ricerca di

colpe, errori e fraintendimenti che

hanno anche interessato questo o quel

Governo di allora e che hanno portato

al fallimento dello spirito di quel

tempo nonchè alla peggiore catastrofe

del ventesimo secolo. Ciò rappresenta

la maggior difficoltà nell'analisi del

conflitto, una difficoltà che continua

nelle analisi degli storici d'oggi. E' stato

soprattutto il nazionalismo che ha

pervaso i popoli d'Europa a renderli

ciechi e stupidi. Era dettato non tanto

da un'ideologia, a patto che così la si

possa definire, quanto da una mania

Il Virus del Nazionalismo: 1914 - 2014

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avvertita specialmente in Germania

dai militari nel corso degli anni di

Guglielmo II (asceso al trono di

imperatore nel 1888) e dopo il

licenziamento del cancelliere Bismarck

nel 1890. Tutto questo ha operato una

fusione tra nazionalismo e militarismo

sia nel governo che nella società tutta

tanto da proiettare questa visione in

ogni rapporto e persino nella vita

civile. Il nazionalismo, che, peraltro,

con tutte le differenze, persiste qua e

là ancor oggi, potrebbe essere alla

base del conflitto, specie se connotato

da quell'irrazionale filosofia di vita

permeata di aspettative e interessi

particolaristici visti come diritti

inalienabili. Ciò ha portato a un

atteggiamento di crescente diffidenza,

di chiusura e vera e propria

preclusione nei confronti degli “altri”

con un indicibile impoverimento

intellettuale. La conseguente

arroganza ha finito per determinare,

secondo l'analisi di storici e storiografi,

la catastrofe della prima guerra

mondiale. Non mancavano,

naturalmente, altri risvolti che

mettevano in luce più o meno legittimi

interessi e obiettivi politici, emozioni

contrastanti e atti d'eroismo oggetto di

varie interpretazioni. Ma c'era, in

ultima analisi, e occorre ripetersi, il

virus del nazionalismo che ha portato

al disastro di una simile, folle guerra

tra Stati e popoli, favorendo la nascita

di forze radicali ed estremistiche che si

sarebbero manifestate di lì a poco.

L'arroganza dei nazionalismi e la

depressione economica manifestatesi

dopo la fine della guerra (1918)

avevano innescato quei cambiamenti

fondamentali legati alla politica di più

Paesi; anche la geografia del

continente risultò sconvolta rendendo

necessaria una riflessione, pregna di

autocritica, di ordine etico. Purtroppo,

negli anni Venti del secolo scorso, la

politica apprese la lezione del conflitto

in maniera insufficiente. La nascita

della Società delle Nazioni (1920), il

suo impegno, poteva fornire un

corretto approccio alla richiesta di

rivendicazioni di molti Paesi, tuttavia

va anche detto che i pochi politici

illuminati come Aristide Briand in

Francia o Gustav Stresemann in

Germania, avevano condotto nei loro

Paesi una battaglia che è risultata

troppo isolata contro l'oscurantismo e

la crescente presunzione, perdendola.

Ignorando così la lezione della prima

guerra mondiale, si sono avute, negli

anni Venti e Trenta, le prese di potere

dei movimenti fascisti e nazional-

socialisti che sfociarono nella tragedia

della seconda guerra mondiale (1939-

1945). Ed è soltanto in seguito allo

sconvolgimento dell'Europa causato

dalle barbarie e dal razzismo

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dell'Olocausto che si diffuse l'esigenza

di un rinnovamento spirituale e di una

nuova visione della politica capace di

dare a un nuovo corso delle cose.

Durante la guerra, mentre

l'occupazione militare tedesca

soggiogava molti Paesi europei, sono

sorti gruppi di resistenti di diverse

nazionalità i quali hanno cominciato a

riflettere su ciò che doveva venir fatto

per suggellare la fine delle ostilità e di

quel regime di ingiustizia, per dare

quindi all'Europa un nuovo ordine di

pace e così favorire una sua

ricostruzione atta a garantire una

convivenza il più possibile liberale e

democratica. Tali considerazioni, idee

e progetti miravano a un'unione di

Stati e popoli del continente

organizzati in una più grande forma

federale. Ed era forte la

preoccupazione derivante dalla

necessità di riconciliare l'Europa con se

stessa e il suo passato facendo sì che,

in un nuovo contesto, i protagonismi

delle singole nazioni come gli

antagonismi tra esse venissero

necessariamente superati. Gli stati

nazionali europei avevano fallito

miseramente, sicchè sembrava

particolarmente significativo il

contributo di idee che offrivano gli

autori federalisti i quali indicavano

nella prospettiva europea il modo per

superar e il principio dello stato-

nazionale. Winston Churchill

raccomandò nel 1946 la Francia e la

Germania di operare una

riconciliazione nel nome dell'unità

europea. Ma l'Inghilterra vide quel

gesto di Churchill, con una prospettiva

diversa dal suo passato colonial-

imperialista. Si trattò di un momento

assai felice, di quelli che raramente

nella storia accadono, che ha

permesso la trasformazione dell'ideale

europeo in una realtà, in una entità

politica. Tale momento felice si è

accompagnato al fatto che fossero

presenti tre galantuomini ai vertici dei

loro Paesi: Alcide De Gasperi, Konrad

Adenauer e Robert Schuman. Costoro

si comprendevano al volo e sapevano

benissimo cosa dovevano fare.

Avevano, in fondo, vissuto due guerre

mondiali e fatto tesoro di quelle

tragiche esperienze comprendendo

quanto privilegiato e unico potesse

essere il dopoguerra e quali

opportunità potessero dischiudersi.

Inoltre, provenivano da regioni di

confine e le regioni di confine, per

definizione, separano i Paesi ma anche

li possono unire. Le loro origini li

avevano quindi resi consapevoli delle

problematiche cui, in quel momento,

dovevano prestare attenzione, essere

sensibili e responsabili. Il tutto unito

alle loro capacità di affrontare con

successo la situazione e di trovarvi

Page 16: Rassegna Europea n°35

16

soluzioni appropriate e positive per i

loro Paesi e l'Europa tutta. Dalla loro

fruttuosa cooperazione nel 1952 nasce

la prima Comunità europea, la CECA, il

cui compito era quello di gestire la

produzione di carbone e acciaio dei sei

Paesi che la formavano; la sua

organizzazione univa in sè già tutte le

caratteristiche e le potenzialità di un

sistema politico democratico e

federale: una Alta Autorità con

funzioni governative, un'assemblea

parlamentare in grado di rispondere

alle aspettative della popolazione e un

Consiglio dei ministri che

rappresentava gli interessi degli Stati.

Da questa prima concretizzazione

dell’idea europea si son gettate le basi

per quella che, qualche anno più tardi,

è diventata la Comunità economica

europea (1958) e per l'ulteriore

sviluppo che ha portato all'Unione

europea di oggi. In pochi decenni, gli

Stati membri da sei son diventati

ventotto. E le questioni di cui l'Unione

oggi si occupa non son più solo quelle

del carbone e all'acciaio, ma,

praticamente, quelle di tutti settori

della politica. Il sistema politico-

istituzionale, dovendo affrontarle, in

quanto ciò non è più dato di trattarle

ai singoli Stati aderenti all'Ue, proprio

sulle funzioni dell'Ue si basa nel

massimo rispetto delle regole della

democrazia e del federalismo. Ciò in

un contesto di crisi sia relative

all'allargamento che relative alla

crescita caratterizzanti fin ad oggi

l'Unione europea. Volgendo lo sguardo

al centenario ciò che balza agli occhi è

soprattutto il periodo di pace e libertà

che ha caratterizzato l'Unione

europea. Ma l'Unione stessa, nel

complesso, è stata anche motore di

crescita, benessere e fondamentale

per la qualità della vita. In breve, la

politica di integrazione europea ha

tratto gli insegnamenti necessari dalle

tragedie del 20.mo secolo. E il

rafforzamento di questa politica

garantirà anche nel futuro la pace per i

cittadini dell'Unione europea. Quale

significato abbia questa garanzia a

distanza di cento anni dall'attentato di

Sarajevo e quindi dalla prima guerra

mondiale è particolarmente evidente

nell'aggressione del Cremlino

all'Ucraina che si caratterizza,

nuovamente, da nazionalismi

esasperati e rivendicazioni

egemoniche come avvenuto in

passato. Helmut Kohl aveva ragione

quando diceva che il successo del

processo di integrazione europea è

una scelta precisa fra la guerra e la

pace. Non dimentichiamo che l'Europa

non rischia minacce soltanto

dall'esterno ma anche dall'interno e le

minacce dall'interno sono

rappresentate proprio dal virus del

Page 17: Rassegna Europea n°35

17

nazionalismo. I risultati delle elezioni

europee del maggio 2014 ci rendono

consapevoli che in tempo di crisi

trovano fertile terreno soluzioni

terribilmente semplicistiche e

seducenti che riportano gli istinti dei

popoli verso forme di nazionalismo.

Certo, il contesto politico e sociale non

permetterà derive in tal senso, almeno

per ora. Le istituzioni democratiche dei

nostri paesi sono diventati più solide e

robuste rispetto al 1914. Tuttavia, il

nazionalismo che spesso può

sconfinare nella xenofobia può

minacciare la nostra libertà e la nostra

pace minacciando l'integrazione

europea. Ma è proprio nel

rafforzamento deciso dell'integrazione

europea il modo migliore di

combatterla, attraverso una saggia e

attenta politica economica e sociale

che assicuri il benessere dei suoi

cittadini e porti, se possibile, ad

approvare una costituzione

democratica e federale dell'Unione

europea.

di Fulvio Salimbeni, storico

Quest'anno ricorre il 180° della

fondazione della Giovine Europa,

avvenuta a Berna il 15 aprile 1834 ad

opera di Mazzini e di patrioti tedeschi,

polacchi, italiani e svizzeri, onde

promuovere una lega dei popoli

europei oppressi; tale evento era

l'esito ultimo d'una riflessione

dell'apostolo ligure iniziata da ben

prima, quando nel 1829 egli, ancora

soltanto un giovane intellettuale,

aveva pubblicato nella prestigiosa

“Antologia” del Vieusseux il saggio

D'una letteratura europea, in cui,

denotandone una piena padronanza,

compresa quella delle correnti e degli

autori più recenti, mostrava come le

letterature nazionali non fossero altro

che risvolti particolari d'una generale,

propria dell'intero continente, Russia

inclusa. Dietro allo schermo letterario,

adottato per sfuggire ai controlli della

censura, v'era un evidente riferimento

politico, a prova che sin dall'inizio egli

ebbe ben chiaro che il processo

risorgimentale italiano non poteva

essere disgiunto da quello europeo, in

particolare nell'area danubiano-

L’Europa Unita: un profilo storico

Page 18: Rassegna Europea n°35

18

balcanica, divisa tra tre imperi

multinazionali: asburgico, zarista e

ottomano. Tale idealità mazziniana,

peraltro, nasceva e si sviluppava in un

contesto e in un momento favorevoli,

dal momento che già nel 1799 Novalis

aveva scritto l'opuscolo, dall'eloquente

titolo, Cristianità o Europa, mentre del

1827 è il saggio di Goethe sulla

Weltliteratur (in realtà letteratura

europea) e del 1828 l'Histoire de la

civilisation en Europe di François

Guizot. D'altro canto, la stessa Santa

Alleanza dei re, voluta dallo zar

Alessandro I dopo la caduta di

Napoleone - cui Mazzini avrebbe

idealmente contrapposto la Santa

Alleanza dei popoli -, era stata da lui

concepita come uno strumento

diplomatico per la pacificazione e

riunione dell'Europa anche sul

versante religioso, dato che essa

comprendeva l'Austria cattolica, la

Prussia protestante e la Russia

ortodossa, oltre, nelle sue intenzioni,

l'Inghilterra anglicana, che, però,

preferì tenersene fuori, per conservare

la propria libertà d'azione.

Che allora, del resto, la solidarietà

europea almeno a livello delle diverse

élites politiche impegnate nelle

rispettive lotte di liberazione nazionale

fosse sentita e diffusa è comprovato

dalla partecipazione di patrioti italiani

ai diversi movimenti per

l'indipendenza o, a seconda dei casi,

per la libertà politica: si pensi a

Santorre di Santarosa, che, falliti i moti

costituzionali piemontesi del 1821,

andò a combattere e a morire - come

l'inglese Lord Byron - per la libertà

della Grecia, insorta contro il giogo

ottomano, altri cospiratori italiani

passando in Spagna per sostenere la

rivoluzione ivi scoppiata nel 1820. E, se

ungheresi e polacchi combatterono

con Garibaldi nel 1848-49, nel 1859 e

nella spedizione dei Mille per la libertà

italiana, nel 1849 e nel 1863 vi furono

italiani che si sacrificarono per quelle

d'Ungheria contro gli Asburgo e della

Polonia nuovamente insorta contro

l'impero russo. L'esperienza dell'esilio

da parte di tanti rivoluzionari europei,

perseguitati dai rispettivi governi, che

s'incontrarono e frequentarono in

Svizzera, a Parigi, a Londra, come fu

per Mazzini, Herzen, Bakunin, Kossuth,

favorì l'affermarsi e consolidarsi di

sentimenti di solidarietà e

cooperazione sovranazionale e d'una

coscienza europea, la stessa che a

Mazzini avrebbe fatto sentire come

Fulvio Salimbeni

Page 19: Rassegna Europea n°35

19

sua e anche italiana la causa dei

popoli slavi meridionali combattenti

per la propria libertà, ispirandogli le

Lettere Slave (1857). In cui ribadiva il

concetto, a lui caro, che la causa della

libertà d'un popolo oppresso doveva

essere intesa come comune a tutti,

tanto da affermare che, una volta che

l'Italia avesse conseguito unità, libertà

e indipendenza, per esserne davvero

degna avrebbe dovuto sempre

sostenere le battaglie aventi analogo

fine delle altre nazioni conculcate o

dallo straniero o da tirannidi

domestiche e impegnarsi per la

costruzione degli Stati Uniti d'Europa,

dal momento che, a suo avviso,

l'indipendenza nazionale era soltanto

una tappa verso quest'ulteriore e

superiore obiettivo. Né

sostanzialmente diverso era il pensiero

del federalista lombardo Carlo

Cattaneo, lui pure auspicante una

federazione di liberi popoli europei,

condividenti una medesima storia e

cultura. Bertrando Spaventa, del resto,

avrebbe svolto il corso universitario

napoletano del 1862 in una

prospettiva tale per cui Gentile,

ripubblicandolo nel 1908, l'avrebbe

titolato La filosofia italiana nelle sue

relazioni con la filosofia europea, dal

momento che in esso il filosofo

meridionale aveva posto in piena

evidenza nessi e collegamenti costanti,

dal Rinascimento in poi, del pensiero

filosofico nazionale con quello

europeo, che ne costituiva il naturale

contrappunto. Idealità e progetti, tutti

questi, che sarebbero stati ripresi al

congresso mondiale per la pace di

Berna del 1892, in cui Bertha von

Suttner, prima donna insignita del

Premio Nobel per la Pace (1905), ed

Ernesto T. Moneta, in gioventù

garibaldino e lui pure nel 1907 Nobel

per la Pace, firmarono insieme un

appello per la costituzione degli Stati

Uniti d'Europa, unica soluzione

efficace, a loro avviso, per rimuovere

definitivamente il rischio di guerre,

come quelle che fino allora avevano

Tullio Crali - Bombardamento Notturno, Mart, Rovereto

Page 20: Rassegna Europea n°35

20

flagellato l'umanità. L'affermarsi

dell'imperialismo e del militarismo

portarono, invece, all'ecatombe della

Grande Guerra, dopo la quale, però, il

sogno di un'Europa unita riprese forza,

trovando una sorta d'illusoria

premessa negli accordi franco-tedeschi

di Locarno tra Briand e Stresemann del

1925 (che l'anno dopo valsero a

entrambi il Premio Nobel per la Pace),

che sembrarono, per poco, aver posto

termine alla secolare inimicizia tra i

due popoli. Nel ventennio tra le guerre

mondiali anche lo scrittore austriaco

Stefan Zweig, uno dei maestri spirituali

del Novecento, si batté

appassionatamente per la causa

europea, impegnandosi, però sul

versante culturale, sostenendo che,

più che della politica, fosse ufficio della

scuola e d'un corretto insegnamento

della storia, disciplina civile per

eccellenza, formare i giovani in tale

senso, abbandonando le vecchie e

micidiali impostazioni didattiche

nazionaliste; non a caso nei medesimi

anni Benedetto Croce scriveva la Storia

d'Europa nel secolo decimonono

(1932), mentre Gioacchino Volpe

esortava gli allievi a europeizzare la

storia del Risorgimento. Precipitato di

nuovo il continente nel baratro d'un

ancor più devastante conflitto, tre

intellettuali antifascisti italiani -

Eugenio Colorni, Ernesto Rossi, Altiero

Spinelli - durante il confino a

Ventotene elaborarono l'omonimo

manifesto, Per un'Europa libera e

unita, stampato clandestinamente nel

1944 e in seguito più volte riedito;

quasi contemporaneamente, dall'altra

parte dell'Atlantico, durante una

permanenza negli USA, il filosofo

inglese Bertrand Russell teneva una

serie di corsi accademici confluiti, nel

1945, in una divulgativa e riuscita

Storia della filosofia occidentale (in

effetti europea), che ne leggeva

unitariamente temi e tempi, laddove in

Francia nell'a.a. 1944-45 Lucien Febvre

al Collège de France svolgeva un

magistrale corso su L'Europa: storia di

una civiltà. Negli anni Quaranta e

Cinquanta, cruciali per il rilancio degli

ideali europeisti, anche Federico

Chabod avrebbe dedicato vari corsi

universitari milanesi e romani alla

Storia dell'idea d'Europa, uscita

postuma nel 1961. Finita la seconda

guerra mondiale, il problema europeo

si ripropose con ancor maggiore forza,

trovando nuovi politici illuminati -

Adenauer, De Gasperi, Monnet,

Schumann e Spaak -, decisi a battersi

per una vera e propria federazione

europea, che ponesse termine, una

volta per tutte, alle guerra fratricide

che per secoli avevano insanguinato il

continente, donde, nel 1951, l'avvio

della Comunità europea del carbone e

dell'acciaio (CECA), tre anni dopo il

tentativo d'una Comunità europea di

Page 21: Rassegna Europea n°35

21

difesa (CED) venendo affossato dal

parlamento francese, geloso delle

prerogative nazionali. Appena nel

1957, con i Trattati di Roma, optando

per una soluzione per il momento solo

economica, che avrebbe trovato

minori opposizioni da parte dei vari

governi (ma allora percepita come

preliminare a una vera e propria

integrazione politica, da attuare in un

momento più propizio) venne fondata

la Comunità economica europea (CEE),

che riuniva Belgio, Francia, Italia,

Lussemburgo, Olanda e Repubblica

Federale Tedesca. È in siffatto clima,

d'altronde, che nel 1965 uno dei

maggiori storici francesi, Jean-Baptiste

Duroselle pubblica, con la prefazione

di Jean Monnet, uno dei padri

dell'europeismo contemporaneo,

L'idée d'Europe dans l'histoire. Da

allora sono stati compiuti indubbi

progressi, tanto che ora gli stati

associati sono ventotto, vi sono una

moneta comune, l'Euro, e un

Parlamento Europeo, espressione

politica di quella che, frattanto, è

diventata l'Unione Europea (UE), ma

certo questa non è ancora l'Europa

solidale, affratellata e riconoscentesi in

una comune civiltà auspicata dai padri

risorgimentali, bensì un'istituzione

dominata da tecnocrati e burocrati,

lontana dal popolo, ancora

scarsamente democratica e

rappresentativa, in cui la dimensione

culturale è trascurata, laddove è

proprio su essa che si dovrebbe

puntare per costruire una solida e

consapevole identità europea, in

particolare tra quei suoi futuri cittadini

che sono i giovani.

di Lino Sartori, filosofo

La metafora dell'assalto rinvia a due

idee di base: innanzi tutto che

l'oggetto o il luogo da assaltare sia

qualcosa di interessante e importante;

in secondo luogo che l'assalto venga

condotto dall'esterno. Riferendoci

all'Europa, questi due presupposti non

corrispondono alla realtà. In primo

Europa: chi corteggia la vecchia Signora?

Page 22: Rassegna Europea n°35

22

luogo, che l'Europa, intesa come

Unione Europea, sia qualcosa di

importante, è tesi non condivisa né da

molti attori internazionali, né da un

numero crescente di soggetti europei.

A livello internazionale, pensando, ad

esempio, al colosso cinese o

“cindiano” e al nord America (USA,

Canada) l'Unione europea viene

considerata come un nano dalle

pretese smisurate che, appunto,

restano mere pretese. Ciò non tanto

per un senso di superiorità di queste

aree geografiche, quanto per

l'effettivo scarso peso che l'UE esercita

nei tavoli internazionali. Mancanza di

una politica estera comune, mancanza

di una politica energetica comune,

mancanza di una forza militare

comune, debolezza dell'area euro,

insostenibilità, per certi aspetti, del

modello sociale europeo:: queste le

piaghe che gli attori internazionali

riscontrano nel corpo europeo.

Di conseguenza, quando negli altri

continenti si parla di Unione Europea,

si ha l'impressione, da europei, di

venire trattati come una vecchia

signora che non ha più attrattività. A

livello intraeuropeo, poi, appartiene

alla cronaca recente constatare quanto

sia il disamore che perfino paesi un

tempo ritenuti convinti europeisti,

come l'Italia, stanno registrando. In

questo caso la disaffezione può essere

letta come “tradimento”: molti

europei si sentono traditi nelle

aspettative che avevano riposto

nell'Europa, o per eccesso di presenza

europea, o per difetto di tale presenza.

Come in una relazione affettiva, chi si

sente tradito accusa il suo partner di

essere stato o assillante o assente. In

secondo luogo, che l'assalto alla

vecchia signora venga portato

dall'esterno non corrisponde ai fatti.

Sono altri i problemi che impegnano i

grandi della politica internazionale, i

quali, semmai, osservano con un misto

di curiosità e di attendismo tattico

l'evolversi della “bella favola” europea.

Perchè di qualcosa di bello pur si

tratta. Infatti è abbastanza chiaro a

tutti che la “costruzione europea” è

qualcosa di inedito a livello mondiale:

che 28 Paesi, i quali per secoli e secoli

si sono combattuti fino a provocare i

due più terribili conflitti mondiali

(quindi esportando nel mondo le loro

conflittualità interne) siano, da quasi

sessant'anni, impegnati a divenire una

“comunità” (termine che è più denso

di significato “politico” che unione) è

Lino Sartori

Page 23: Rassegna Europea n°35

23

cosa mai avvenuta. Piuttosto l'assalto

viene condotto, con insistenza

disordinata e spesso disinformata, da

forze interne alla stessa UE. Insomma è

l'innamorato deluso che si scaglia con

forza contro la sua amata e le rinfaccia

colpe più o meno veraci. I fatti, a mio

avviso, sono altri, che, per necessità di

sintesi, esprimo in questo modo: in

Europa non si sono superati due shock:

la perdita di centralità negli affari

internazionali (fine dell'eurocentrismo)

con relativamente recente

rielaborazione di questo lutto, e,

soprattutto, smarrimento all'interno

del nuovo contesto spazio-temporale,

chiamato solitamente

“globalizzazione”. Che cosa rimane,

dunque? Il programma che, circa un

quarto di secolo fa, tracciava Jacques

Le Goff: “Europa, antica e futura ad un

tempo, idea e progetto”. Che l'Europa

non sia un'impresa da inventare oggi,

ma che abbia un deposito culturale

almeno trimillenario a cui rifarsi, è una

certezza da coltivare eticamente

soprattutto nei momenti di crisi. Che,

tuttavia, l'Europa sia ancora

un'incompiuta, alla cui realizzazione è

doveroso concorrere per non restare

ai margini del globo, è altrettanto

evidente. Ma che a tale progetto si

debba attendere con scienza e

coscienza, dipende da che cosa

ognuno decide di essere come

persona.

di Alex Pessotto, giornalista

Una tragedia quale la Grande guerra

non poteva non avere conseguenze ad

essa direttamente imputabili. La

considerazione, tuttavia, richiede una

precisione maggiore: dove sono giunte

tali conseguenze? Quanto Novecento

hanno coinvolto? Ebbene, secondo

l'opinione comune, il secondo conflitto

mondiale è figlio del primo; inoltre,

secondo molti, la fine del sistema

Alex Pessotto

comunista va collegata alle

conseguenze della Grande guerra;

Mantenere alta la guardia

Page 24: Rassegna Europea n°35

24

infine, sempre alle conseguenze della

Grande guerra, secondo alcuni, va

ricondotta persino l'attuale situazione

ucraina. Con qualche eccezione - basti

pensare alla guerra franco-prussiana

del 1870-1871 e alle guerre nei Balcani

- l'Europa che si trovò sconvolta dallo

tragedia del '14-'18 aveva vissuto un

lungo periodo di pace. Nel complesso,

anche l’Unione europea sta

attraversando un lungo periodo di

pace. Se, infatti, molti Paesi dell'Ue

non stanno certo vivendo momenti di

prosperità non si può che definire

l'attuale un periodo di pace e proprio

la pace è la più grande conquista

dell'Ue: ci sarebbe stata anche in

assenza dell'Ue? Difficile, impossibile

rispondere. La pace, per definizione, è

sempre una conquista precaria. La

Grande guerra è scoppiata per il

precipitare degli eventi, di una

situazione che qualche segnale, magari

mascherato da certi climi di Belle

Époque, non era propriamente florida.

Tra l'altro, all'inizio sembrava il

conflitto dovesse durare un arco di

tempo assai contenuto: nessuno

immaginava di combattere in quella

che sarebbe divenuta la Grande

Guerra. La pace che troviamo nell'Ue

non deve così indurci a cantare vittoria

proprio perchè la pace si è fatta fatica

a conquistarla ma richiede altrettanta

fatica nel mantenerla. E poi, inutile

negarlo, la prosperità, spesso e

volentieri, in molti Paesi dell'Ue latita

eccome e una mancanza di benessere

non può non generare tensioni. Tale

mancanza di benessere da molti può

venir considerata inattesa: l'Ue ci

veniva prospettata anche come un

passo da compiersi per il

miglioramento delle nostre condizioni

economiche; per la maggior parte di

noi, non solo tale miglioramento non

c'è stato ma ogni critica all'Ue viene

tacciata aprioristicamente di

“populismo”: ergo, certi sostenitori

dell'Ue a promesse che l'Ue non ha

mantenuto non solo non fanno

autocritica ma reagiscono con

snobismo, superbia, offesa. Beninteso,

non che tutto quanto sta accadendo

era prevedibile ma nel valutare

l'Unione europea occorre correggere il

tiro: non siamo più nel mondo con

superpotenze gli Stati Uniti, il

Giappone, l'Europa. Siamo in un altro

mondo, nel mondo del BRIC, e

l'Europa, con tutta probabilità, se non

avesse fatto l'Unione starebbe peggio.

In sostanza, l'Unione europea altro

non è che, da un punto di vista

economico, e, quindi, lasciando da

parte gli ideali (certo, d'importanza

primaria) che ne sono alla base, uno

strumento indispensabile per tentar di

Page 25: Rassegna Europea n°35

25

controllare una situazione che certo

potrà migliorare ma in un mondo dove

il nostro continente non ha più la

stessa voce in capitolo rispetto, senza

andar molto in dietro nel tempo, a

pochi anni or sono. L'economia non è

tutto ma guai a negarne l'importanza.

La storia insegna. E la verità, ammesso

di verità ce ne sia una, è il caso di dirla.

Meglio tardi che mai.

di Gustavo Caizzi, membro dell'Accademia Europeista

Le oggettive difficoltà che si parano

dinanzi agli occhi nel parlare di Unione

Europea rappresentano la sfida più

importante che tutti noi (la nostra

società, e in particolare i nostri

giovani) siamo chiamati ad affrontare

oggi. Le radici storiche dell’Ue

intrecciate ad ideali di pace, solidarietà

e prosperità culturale, scientifica ed

economica, appaiono oggi più che mai

fragili di fronte a deprecabili e dilaganti

aspirazioni di arricchimento che si

accompagnano a corrispondenti

situazioni di lento impoverimento,

recessione, sfruttamento, frutto pure

della parallela, progressiva ed

inesorabile globalizzazione selvaggia

iniziata sul finire degli anni ’70;

globalizzazione che da anni si

accompagna a flussi migratori sempre

più drammatici e tali da imporre regole

comunitarie adeguate ed urgenti in

modo particolare per la nostra Italia

divenuta di fatto ampia frontiera della

Ue per i paesi del continente africano.

Parlare ai nostri giovani del passato,

del futuro e delle prospettive della Ue,

nel presente contesto sembra impresa

ardua anche a chi, avendo vissuto gli

anni e gli stenti del dopoguerra, ha

condiviso con entusiasmo sin da

ragazzo l’ideale di una “nuova” Europa,

che, proiettata verso un futuro lontano

da conflitti, basava sui principi

fondanti sanciti nel lontano 9 maggio

1950 da statisti illuminati quali Robert

Schuman, Konrad Adenauer e Alcide

De Gasperi. Gli anni ‘60 di vistoso

boom economico han significato - per

noi italiani in particolare - la

transizione verso le nuove frontiere e

le opportunità offerte da una Unione

Europea sempre più ampia, “madre” di

entusiastici ideali, magicamente

Unione Europea, una riflessione

Page 26: Rassegna Europea n°35

26

sintetizzati dalle dodici stelle - simbolo

di pace di ispirazione biblica - della

bandiera ideata dal francese Arsene

Heitz e dall’Inno alla Gioia tratto dalla

IX sinfonia di Beethoven, oggi però

ridotta al ruolo di “matrigna crudele”

foriera di amare chimere al punto da

rendere alquanto arduo il guardare

avanti, parlando ai giovani per

suscitare in loro la necessaria fiducia in

ciò che riserva il domani a cominciare

dal futuro prossimo ed ai non più

giovani per suscitare uno scatto di vero

orgoglio capace di liberare il grande

potenziale di energie positive derivabili

dalla ricchezza etica, politica ed

economica dei tanti Paesi uniti nella

diversità. Quanto sopra a tanti potrà

apparire semplice utopia eppure

l’esperienza degli anni porta a

considerare - oggi ancor più di ieri -

quali irrinunciabili alcuni modi

largamente scontati dell’essere

“Cittadini Europei”, basti pensare al

senso di libertà che ci insegue nel

transitare da una nazione all’altra, al

linguaggio comune che magicamente

sostiene la comunicazione superando

le barriere dell’incomprensione, al

lavoro “senza confini” , alla cultura che

si apre alla conoscenza di società una

volta lontane ed impenetrabili, allo

studio e alla ricerca non più costretta

entro le strette mura di casa, alla

semplificazione monetaria che supera

gli ostici meccanismi di cambio, al

senso di vivere in un mondo tutto

“proprio” molto più ampio ed ospitale;

un mondo profondamente diverso da

quello che si parava dinanzi agli occhi

dei giovani degli anni ’50, un mondo a

cui i giovani di oggi - son certo - non

rinuncerebbero mai e poi mai! In

questo contrasto profondo di

sentimenti sono dunque proprio i

giovani ad esprimere – forse anche

inconsapevolmente – la vera necessità

ed irrinunciabilità al Progetto di nuova

società, che i principi fondanti

dell’Europa Unita ancora oggi

coniugano al meglio, imponendo così

una profonda riflessione da parte di

tutti - in particolare dei neo eletti

organismi parlamentari – riflessione

intesa alla costruzione di un nuovo

Welfare fatto di traguardi concreti di

sviluppo, solidarietà ed unità, capaci di

generare più formazione culturale,

ricerca, lavoro e progresso per tutti i

cittadini d’Europa, soprattutto per i più

giovani!

Gustavo Caizzi

Il semestre di Presidenza Italiana –

oggi più che mai - può contribuire al

Page 27: Rassegna Europea n°35

27

rilancio di questi sentimenti; per chi si

appresta ad operare nell’immediato,

per chi seguirà e per tutti noi, sia

questo il migliore auspicio!

di Erica Pivesso, già segretaria generale dell'Accademia Europeista

Le elezioni europee celebrate

domenica 25 maggio 2014 in Spagna

dalle 9 alle 21 hanno visto la

partecipazione del 43,81% dei votanti

e hanno cambiato il volto politico

nazionale alla vigilia delle elezioni

politiche del 2015. La partecipazione

spagnola alle elezioni europe si trova

nella media europea (44,7%), seppur

dimostrando una lieve discesa rispetto

alle elezioni precedenti. Un chiaro

segnale di protesta contro il quadro

politico nazionale, che si trova ad

affrontare, in Spagna come in tutta

Europa, una grave crisi economica che

qui ha raggiunto un tasso di

disoccupazione pari al 25,1%. E proprio

la crisi è stato il tema più dibattuto

durante i 15 giorni di campagna

elettorale, utilizzato come baluardo da

tutti i partiti all’interno del proprio

programma. Crisi che in Spagna è

anche esplosa nel sangue, con

l’assassinio di Isabel Carrasco,

presidente del Consiglio Provinciale di

León, in Castiglia e León,

probabilmente da un ex funzionario

pubblico recentemente licenziato. Il

Partito Popolare ne è uscito vincente

con il 26,09% dei voti, accaparrandosi

16 seggi mentre il Partito Socialista di

seggi ne ha ottenuti solo 14, con il

23,01% dei voti. E fino a qui, nessuna

Erica Pivesso al lavoro per l’Accademia Europeista

sorpresa. Anche se da un lato la

divisione del centro sinistra è stata

l’arma vincente del attuale presidente

del Governo Mariano Rajoy, il vero

vincitore di queste elezioni in realtà si

è rivelato essere il nuovo partito

guidato da Pablo Iglesias Turrión,

“Podemos” (Possiamo), che in solo

Le elezioni europee in Spagna

Page 28: Rassegna Europea n°35

28

cinque mesi di vita è riuscito ad

ottenere ben 5 seggi. Sará il desiderio

di cambiamento del popolo latino? Per

i due grandi partiti spagnoli che hanno

governato il Paese ininterrottamente

sin dalla transizione nel 1977 queste

sono state le elezioni con il peggiore

risultato. Hanno perso più di 5 milioni

di voti, detto in breve. Il bipartitismo

storico sembra ora in bilico, molto di

più di quanto si prevedesse. E ad

attaccare i grandi partiti è stato un

personaggio televisivo molto

conosciuto, Pablo Iglesias, nato fra i

ranghi della Sinistra Unita che ha

deciso di proporre un suo manifesto

dal titolo “Trasformare l’indignazione

in cambiamento”. I punti salienti del

programma includono il

mantenimento della sanità e

educazione come settori pubblici, la

reindustrializzazione del Paese,

l’opposizione alla riforma restrittiva

della legge sull’aborto, l’uscita della

Spagna dalla NATO, il diritto per la

Catalogna a decidere sulla propria

sovranità. Con un budget limitato e

una campagna basata sulla diffusione

tramite i social network, Iglesias in

appena tre mesi ha conseguito 1,2

milioni di voti. Già molto attivo con

programmi televisivi su dibattiti

politici, il giovane professore di scienze

politiche dell’Universita Complutense

di Madrid, a soli 35 anni è approdato

con una forza insperata sulla scena

politica spagnola, nel mezzo della

casta. Lo accompagnano nel suo nuovo

cammino in Europa Teresa Rodriguez,

giovane insegnante delle Scuole Medie

Superiori, Lola Sanchez,

commerciante, Carlos Jiménez

Villarejo, già direttore fiscale

anticorruzione e Pablo Echenique-

Robba, scientifico. Le ultime elezioni al

Parlamento Europeo sono state

caratterizzate da una preoccupante

avanzata di partiti euroscettici.

Viviamo in un’Europa democratica, e

bisogna rispettare i risultati delle urne.

L’avanzata dell’euroscetticismo

rappresenta un fallimento per

l’Unione, già che sembra che la sua

necessità non sia sentita dall’opinione

pubblica. Si è parlato già molto del

deficit democratico, sua grande

debolezza. Però possiamo anche

positivamente notare che la

astensione è cambiata. Non andiamo a

votare in massa, però continuiamo a

farlo, e questo sì che si chiama

democrazia: se tu non decidi, qualcun

altro lo farà per te. Questo è positivo

soprattutto per la legittimità delle

istituzioni europee, che hanno bisogno

di noi per sopravvivere. Tutto

sommato in Spagna la partecipazione è

stata abbastanza alta e, nonostante la

frammentazione del voto, nessun

partito euroscettico e men che meno

Page 29: Rassegna Europea n°35

29

omofobo ha ottenuto risultati

notevoli, al contrario di quanto è

avvenuto in altri Paesi europei. E non

importa che si parli di PP, PSOE o

Podemos. Quello che importa è che si

parli di Europa, di credere in un

progetto comune, in un sogno che non

deve cambiare con i diversi partiti al

potere. Perchè quello che vogliamo è

più Europa ma anche un’Europa

migliore.

di Abou Baker Hazim, studente universitario

Allo scoppio del primo conflitto

mondiale, il Libano combatteva un

altro tipo di guerra: carestia, povertà

della popolazione più umile, guerra

civile tra cristiani/maroniti e

musulmani/sunniti- drusi erano le

conseguenze della dissoluzione in atto

dell’Impero ottomano. Furono

centinaia le vittime causate dalla

penuria di cibo, dai conflitti interni

associati al fatto che, per l’inerme ed

abbandonata popolazione civile, non

c’era nemmeno la possibilità di

fuggire, a causa del blocco navale

imposto dalle marine di guerra delle

nazioni alleate e dai rastrellamenti

posti in essere dagli ottomani che

costringevano i giovani libanesi ad

arruolarsi nel loro esercito . Tali

giovani libanesi, senza prospettive

economiche e sociali, cercavano con

ogni mezzo di trasferirsi prima in Egitto

e quindi tentare il grande passo verso

l’America del Nord, l’America latina, il

Messico ed anche l’Australia per

trovare condizioni di vita migliori ed

opportunità di crescita. Ma anche in

quegli anni tante giovani vite libanesi

morivano nel tentativo di raggiungere

queste terre promesse, a volte poco

prima di sbarcare sulle coste. Questa

crisi fu ancor più accentuata dal fatto

che, con la fine della prima guerra

mondiale, al Libano fu imposta la

colonizzazione da parte dei francesi

che di fatto si sostituirono agli

Il Libano: 1914 - 2014

Abou Baker Hazim

Page 30: Rassegna Europea n°35

30

ottomani imponendo alla popolazione

locale le loro medesime restrizioni e le

loro stesse limitazioni, mortificando

qualsiasi miglioramento nelle

condizioni di vita. Nel 1943 finalmente

comincia a nascere una coscienza

nazionale, con un patto di solidarietà

tra cristiani e musulmani che è la fase

iniziale per la costituzione di una

autorità libanese indipendente che si

dimostra, sin dall’inizio, un avversario

risoluto del mandato francese. Dopo la

fine della seconda guerra mondiale, il

Libano ottiene finalmente la sua

completa indipendenza diventando,

grazie alla capacità del suo popolo e ad

una pacifica convivenza tra le varie

etnie che lo compongono, un

importante centro commerciale e

finanziario. E’ in questa fase, però, che

nasce un equivoco fatale per il futuro: i

francesi lasciano il potere nelle mani

dei cristiani maroniti e dei

conservatori, fingendo di ignorare che

la stragrande maggioranza della

popolazione è di origine araba e di

religione musulmana. La realtà,

contrariamente a quanto viene diffuso

nei testi di storia, sta nel fatto che le

vere decisioni politiche, in quel

periodo, erano programmate dai

francesi e l’economia del paese

cresceva soprattutto grazie agli aiuti

della diaspora libanese che

provvedeva a continue rimesse verso

la terra natia. Gli anni ’50 e ’60 si

possono ben definire il periodo d’oro

per l’economia libanese, con una

costante crescita del PIL, il boom del

turismo ed una solida moneta, la lira

libanese. Il Libano viene chiamato “la

Svizzera del Medio Oriente”,

diventando lo snodo commerciale tra i

paesi industriali dell’occidente ed i

paesi consumatori/produttori di

petrolio del Medio oriente; il porto di

Beirut raggiunge l’apice nel transito di

merci , gli alberghi , le spiagge, i

ristoranti alla moda del Paese sono

pieni di turisti e uomini d’affari

provenienti da tutto il mondo. Questo

fantastico periodo fa dimenticare alla

popolazione, anche a quella più

povera, il triste periodo delle guerre.

Poi si verifica un altro errore fatale.

Dopo la prima e la seconda guerra

arabo-israeliana, e quindi agli inizi

degli anni Settanta, in pieno conflitto

mediorientale, il Libano diventa la

principale meta dei profughi

palestinesi (che oggi rappresentano

quasi il 10% della popolazione),

cacciati dalla Giordania nel periodo del

cosiddetto “settembre nero”. A questo

punto la miscela per la guerra civile è

pronta. Il conflitto in effetti esploderà

nel 1975: da un lato i musulmani,

prevalentemente di sinistra e filo

palestinesi, dall’altra le milizie cristiane

ultranazionaliste, sostanzialmente di

estrema destra. Di nuovo il Libano

entra nel suo mortale tunnel di buio

Page 31: Rassegna Europea n°35

31

per altri 20 anni, causando un ulteriore

flusso migratorio verso Europa,

Australia, Africa ed America. Negli anni

’70 ed ’80 è stato distrutto tutto ciò

che era stato costruito in precedenza

tanto che la Svizzera del Medio

Oriente diventa solo uno sbiadito

ricordo. Oggi, dopo la fine della guerra

civile, il Libano cerca faticosamente di

riprendersi, di rialzarsi sfruttando ogni

risorsa che possiede, sia naturale che

umana. Purtroppo, però, gli anni dei

conflitti etnici e religiosi sono ancora

troppo impressi nell’instabile equilibrio

politico libanese, tanto che non si

riesce a trovare un accordo per lo

sfruttamento dei giacimenti di petrolio

e di gas, recentemente scoperti nella

zona di mare antistante le coste

libanesi, elemento che potrebbe

giovare positivamente al benessere di

tutta la sua popolazione. Il Libano è

così diventato una Repubblica basata

sulla espressione religiosa, ossia su di

un assetto istituzionale in cui

l'appartenenza religiosa di ogni singolo

cittadino diventa il principio ordinatore

della rappresentanza politica e il

cardine del sistema giuridico ove

ognuno pensa al proprio tornaconto e

non a quello della popolazione nel suo

complesso. A distanza di cento anni, i

confini del Medio Oriente si stanno

ridisegnando e si stanno formando

nuove entità statali, nuovi equilibri

geopolitici dove purtroppo

l’appartenenza religiosa rappresenta

ancora un elemento di divisione e

contrapposizione e non di unione e

condivisione dei principi di giustizia,

pace e progresso.

di Daniel Baissero, studente universitario

"Scontro sul rigore in Europa" così

tuona in prima pagina il Corriere della

Sera di giovedì 3 luglio 2014,

all'indomani del discorso di Matteo

Renzi in Parlamento europeo in

occasione dell'inizio del semestre

italiano. C'è chi dice di essere contrario

alla flessibilità, che i debiti distruggono

il futuro, c'è chi dice che senza

flessibilità non c'è crescita. Per non

parlare di chi insiste sull'uscita del

proprio paese dalla eurozona, o chi

Rappresentanti e Rappresentati Europei

Page 32: Rassegna Europea n°35

32

volta le spalle all'orchestra durante

l'esecuzione dell'inno alla gioia, l'inno

dell'Europa. Volete sapere chi

rappresenta al meglio tra questi

europarlamentari il cittadino medio

europeo? Riflettiamoci insieme.

Rappresentare il cittadino. E' questo il

compito di chi viene eletto tramite

libere e democratiche elezioni, dal più

piccolo paese tra le vette delle Alpi

fino a quelle per eleggere il Presidente

degli Stati Uniti d'America. E' ciò che si

cerca di fare anche dal 1979 nella

Comunità Europea, eleggendo delle

signore e dei signori che per svolgere il

loro ruolo non solo dovranno

rapportarsi ad altre persone che

parlano una lingua diversa e pensano

Daniel Baissero

in modo diverso, ma anche vivere

lontano dalla loro nazione, in quella

grande macchina istituzionale che è il

Parlamento europeo. Sempre che si

prenda parte alle varie sedute, resta

infatti tristemente diffusa la pratica

dell'assenteismo e del menefreghismo.

Quest'anno noi europei abbiamo avuto

una grande occasione: la possibilità di

far sentire in modo profondo la nostra

voce, ma anche di sentire la voce dei

candidati alla Commissione europea.

Far sentire la voce e sentire la voce

dell'Unione Europea, avvicinarsi

sensibilmente a quell'istituzione

politica che per molti era (e purtroppo

rimane ancora oggi) sconosciuta. C'è

stata la possibilità di assistere a

confronti televisivi, conoscere di

persona i vari candidati, leggere i loro

pensieri sui social network, ma

soprattutto stabilire rapporti di

reciproca cooperazione con partiti di

altri stati comunitari. Il 25 maggio,

però, non hanno vinto nè il

popolarismo nè il socialismo nè il

liberalismo... Hanno vinto di nuovo

l'astensionismo, la disinformazione, gli

slogan semplici e urlati nelle piazze.

Ma soprattutto ha vinto l'idea che le

elezioni europee sono solamente un

test elettorale, un semplice

sondaggione per vedere quale tra i

partiti esistenti ha maggiori chance di

vittoria per le elezioni nazionali. In

Italia non ha vinto il Partito Socialista

Europeo e il suo candidato Martin

Schulz, in Italia ha vinto la fiducia in

Matteo Renzi. E così, ancora una volta,

l'Europa è tornata ad essere un

mosaico frammentato, che preferiamo

osservare prendendo in mano una

Page 33: Rassegna Europea n°35

33

tesserina alla volta, senza dare invece

un'occhiata dall'alto, senza

meravigliarci di quanto potessimo

veramente contare nel mondo se

fossimo tutti uniti. Si è persa questa

occasione, si è persa l'occasione di

unire popoli tramite l'esercizio delle

libere e democratiche elezioni. Ho

paura che ancora una volta le

istituzioni europee ci sembreranno

lontane, inutili. E ciò alimenterà i

peggiori euroscetticismi di sempre.

Che fare allora? Due a mio avviso i

percorsi da seguire. Il primo è quello di

compiere una massiccia riforma degli

ambienti scolastici e universitari,

portando in essi lo studio approfondito

della storia dell'Europa e della civiltà

occidentale, del diritto europeo e delle

lingue, che va assolutamente

migliorato e potenziato. Il secondo è

quello di iniziare, nelle varie

amministrazioni locali, un lavoro di

collaborazione con le realtà cittadine al

di là del confine, sviluppando forme di

cooperazione commerciale e

lavorativa. Vanno realizzate vere e

proprie "euroregioni": l'integrazione

europea può iniziare anche dal micro

regionale e non solo dal macro

bruxellese. Spero che qualche bravo

amministratore trovi oltre confine

qualche altro bravo amministratore

con una mentalità europea come la

sua. Concludendo vorrei tornare al

quesito iniziale. Chi rappresenta al

meglio i cittadini europei? Tutti

sappiamo la risposta. Abbiamo dato le

spalle all'Unione Europea, abbiamo

dato le spalle al motto "uniti nella

diversità", abbiamo dato le spalle alla

bandiera blu a stelle gialle, abbiamo

dato le spalle all'orchestra che suonava

l'inno alla gioia. Siamo profondamente

egoisti, preferiamo pensare ad

interessi immediati piuttosto che al

futuro dei nostri figli. Giriamoci e

guardiamola in faccia questa Europa;

guardiamoci soprattutto tra di noi,

guardiamoci negli occhi, occhi scuri

greci o occhi chiari svedesi. E' così bella

la varietà. Altrimenti sarebbe una

noia…

Page 34: Rassegna Europea n°35

34

di Francesco Sfriso, studente universitario

La prima Guerra Mondiale

storicamente rappresenta un punto di

non ritorno nella storia

contemporanea. Fu un evento bellico

dalla portata spropositata e di una

ferocia tale da portare allo

stravolgimento pressochè totale del

panorama Europeo di allora. Due

imperi, che costituivano i pesi

determinanti dell’equilibrio

antebellico, vennero spazzati via dalla

furia della guerra: l'anacronistico

Impero Zarista ed il fatiscente e da

tempo “malato” Impero Ottomano. Le

dinastie degli Hohenzollern e degli

Asburgo avrebbero subito la medesima

sorte alla fine del conflitto.

Il primo conflitto mondiale fu quindi

un evento senza precedenti, un

massacro feroce e devastante in cui i

popoli d'Europa si lanciarono quasi

entusiasti, in una frenesia che tuttora

risulta difficile anche solo

comprendere. Un'intera generazione

sarebbe rimasta sulle trincee, da

Verdun a Caporetto? Cosa rappresenta

oggi quella guerra? Cosa si può dire

che ormai non sia già stato detto?

Tutti, mi piace immaginare, abbiamo

letto Lussu, Remarque, le poesie di

Ungaretti. Le agghiaccianti

testimonianze di giovani poco più che

ventenni mandati di buon grado a

morire falciati dai mitragliatori,

soffocati dall'iprite, massacrati dai

cannoni hanno lasciato un solco a dir

poco indelebile nella coscienza

Europea. Immaginare che solo dopo un

secolo ed un altro conflitto ancora più

violento si provi a giungere ad una

macrorealtà federativa tra Stati un

tempo nemici è rincuorante.

Ma ritengo altresì che il ricordo non

vada cancellato, anzi.

Conobbi ciò che era stata la Guerra del

15/18 fin da bimbo a Lavarone, dove

andavo in montagna. Ricordo i cannoni

vicino ai vari sacrari, le barelle ancora

macchiate di sangue rappreso, gli

elmetti sfondati. Cose che un bambino

non può nemmeno immaginare.

Crescendo, ho passato altre estati

sull'Altopiano di Asiago. Spesso

capitava, nel fare una passeggiata tra i

boschi, di trovare pezzi di ferro

arrugginito: razioni militari, tranci di

filo spinato, a volte persino bossoli.

Infine, quando all'inizio della mia vita

universitaria mi spostai a Gorizia, mi

spostai nella parte d'Italia che più

Ricordi dal Veneto

Page 35: Rassegna Europea n°35

35

aveva sofferto il conflitto. A Gorizia

tutto parla di guerra. Per Gorizia la

redenta, per l'Isonzo in cui Ungaretti si

lavò, riscoprendosi uomo prima che

soldato, per il Sabotino con le fiaccole

tricolori, per tutte le terre che poco più

di un secolo fa videro morire i nostri

fanti e che ora non sono neanche più

in Italia. Ovviamente mi riferisco a

Caporetto, luogo del martirio da cui

poi le truppe seppero rialzarsi e

conseguire la vittoria finale. Per il

nostro giovane Stato, la prima Guerra

Mondiale rappresentò un mito

fondante. Per la prima volta, all'assalto

del sogno risorgimentale e delle terre

irredente, la nostra giovane nazione

s'imbarcò in un conflitto da cui ne uscì

stremata, distrutta, ma coesa. E questo

ci porta ad un concetto fondamentale

Francesco Sfriso

ed ormai caduto in disuso: quello di

sacrificio. In quest'epoca per sacrificio

s'intende spesso quello economico,

specie in questi anni di austerity

forzata e di salti mortali per pareggiare

i conti del Paese. Oramai il concetto di

sacrificio non è che un pretesto per

permettere che enti economici

sovranazionali s'impongano nella

sovranità di una Nazione. Ma ciò che ci

si dimentica è il significato del termine

sacrificio: rendere sacro. Se,

riprendendo Rousseau, lo Stato vive di

religione civile, il sangue dei nostri

soldati ha reso queste terre di

frontiera sacre, simboliche, inviolabili.

Non dico che allora fossimo

consapevoli di questo, ma ritengo che

oggi sia necessario rifletterci. Abbiamo

dimenticato, complice lo scanzonato

benessere che questi tempi di

liberismo selvaggio sembrano imporre,

il valore incontrastato che si cela

dietro la nostra storia, a partire dalla

nostra bandiera. Il Verde delle valli per

cui abbiamo lottato, il Bianco della

neve delle Alpi che il Rosso sangue dei

soldati ha reso sacre e Patrie. Il

concetto di Patria deriva, come

sacrificio, dal latino. Significa “le cose

dei padri”. Il nostro dovere come

italiani prima e come europei poi, è far

sì che i nostri avi possano essere

orgogliosi di noi, onorando ciò che è

stato e facendo quanto è nelle nostre

possibilità per rendere migliore ciò che

ci è stato lasciato. Sono concetti ormai

confinati nel dimenticatoio, in una

visione del mondo dove prima

dell'uomo viene il profitto, per cui

prima della collettività interviene il

singolo ed è l'individuo ad ergersi ad

unico motore del proprio benessere.

Page 36: Rassegna Europea n°35

36

Ma per queste terre italiani come noi,

ragazzi della mia età, sono stati

mandati a morire ed io non me la

sento di scordarmene.

Conoscere la propria storia dovrebbe

dare gli strumenti per gestire al meglio

il futuro. Ci sono volute due Guerre

Mondiali perchè l'Europa iniziasse un

cammino lento e tortuoso verso

l'integrazione, cercando di ricostruire

sulle macerie che i nostri avi ci

avevano lasciato. Non possiamo

lasciarci indietro tutto. La mia

generazione, la cui dialettica è scandita

nei 160 caratteri di Twitter, che vive i

propri icordi su Internet e preferisce

all'incontro ed alla relazione reciproca

la chat su uno schermo, non sembra

esserne in grado, né minimamente

interessata. Eppure starà a noi un

giorno prendere in mano questa terra,

e dalle nostre radici renderla sacra.

Non col sangue, auspicabilmente, ma

con i valori, l'abnegazione e l'impegno

di ognuno. Se davvero vogliamo che

Europa significhi qualcosa, se non

vogliamo buttare al vento le cose che i

nostri padri ci hanno lasciato, il nostro

impegno sarà determinante. Per la

nostra civiltà e per i nostri valori; per

chi siamo, per chi è stato e per chi

sarà.

di Riccardo Cipollari, studente universitario

A cento anni dall'inizio del primo

conflitto mondiale l'Europa guarda al

suo passato come il viaggiatore che

fissa la strada appena percorsa,

tirando le somme di un secolo che ha

visto il continente coprirsi di sangue

più e più volte, cadere vittima di

dittature e devastarsi, ma anche in

grado di rialzarsi, ricostruirsi e gettare

le basi per evitare che i suoi momenti

più cupi potessero ripetersi. La Grande

guerra può essere vista come la base,

seppur sanguinosa, di quel processo

che plasmerà l'Europa fino ai giorni

nostri dando ad essa l'aspetto che oggi

conosciamo. L'argomento è talmente

vasto che, solo per introdurlo, non

basterebbero dieci numeri di questa

rivista. Tuttavia, quello che possiamo

fare in queste poche righe è

La Grande Guerra fra ieri, oggi e domani

Page 37: Rassegna Europea n°35

37

interrogarci, nel nostro piccolo, su

quanto si sappia oggi nella nostra

Regione di quegli anni, soffermandoci

in particolare sulle giovani generazioni,

sulla loro conoscenza della storia e sul

loro pensiero in merito. Facendo un

rapido giro di domande fra vari

studenti universitari di Gorizia, Udine e

Trieste, quello che emerge è uno

scenario quanto mai povero. Le

risposte più comuni a interrogativi

quali “Cosa conosci della prima guerra

mondiale?” o “Quanto sai sulle cause

del conflitto?” sono, molto spesso,

malinconici “Poco” o “Nulla”.

Ovviamente non mancano le eccezioni,

ma sono una strettissima minoranza.

Se domandiamo quale sia la causa di

tali lacune nella preparazione

scopriamo che la quasi totalità degli

studenti non ha mai approfondito

l'argomento dopo le superiori,

portandosi dietro solo ed

esclusivamente il bagaglio storico dato

dalla scuola dell'obbligo. Inoltre, si ha

spesso una visione ristretta del

conflitto che si concentra

principalmente su aspetti nazionalistici

e troppo spesso legati a questo o quel

territorio con la conseguente perdita

di una sua visione globale. In questo

modo, comparandola magari alla

seconda guerra mondiale, la Grande

guerra appare quasi come un conflitto

di portata minore o che comunque

non regge il confronto con quello che

seguì. In un certo senso, forse a causa

dell'olocausto e altri eventi tragici che

si verificarono in Europa, vediamo la

prima guerra mondiale come qualcosa

di meno terribile rispetto la seconda.

Questa non è necessariamente una

critica al nostro sistema scolastico,

costretto a condensare in poche ore di

lezione un Novecento pregno di

avvenimenti, ma sottolinea uno scarso

interesse dei più ad approfondire una

materia che, se lasciata isolata, tende a

svanire nei meandri della mente ed

essere spesso generalizzata. Le cose

non sono esaltanti nemmeno per

quanto riguarda la conoscenza dei

Riccardo Cipollari

teatri di scontro sul nostro territorio o

dei luoghi dedicati alla memoria del

conflitto. Se è vero che tutti gli

intervistati conoscono ed hanno

visitato almeno una volta il Sacrario di

Redipuglia, il loro numero scende

vertiginosamente quando si chiede

Page 38: Rassegna Europea n°35

38

loro delle trincee o di altri luoghi

d'interesse alla Grande guerra

collegati. Eppure non si può dire che

manchino nobili iniziative di

rievocazione o commemorazione che

si impegnano a mantenere vivo il

ricordo della tragedia. Dunque, cosa

manca? Forse la nostra carenza è

proprio da ricercare nel forte ricordo,

nel continuo esame di coscienza che ci

siamo imposti sul secondo conflitto

mondiale. Mai trascurando le brutalità

nazifasciste e le lotte partigiane

abbiamo finito per mettere in secondo

piano la guerra di trincea, relegandola

ad un ruolo meno tragico. Tuttavia,

non tutto è perduto: le celebrazioni del

centenario possono rimettere in luce

una parte della nostra storia europea,

dando ad essa il giusto peso, non

dimenticando certamente le bombe e

le violenze, ma anche momenti

toccanti come la “tregua di natale” del

'14, nella quale gruppi di soldati

tedeschi, inglesi e francesi

instaurarono tregue sparse su tutto il

fronte occidentale in modo autonomo,

con grande disappunto dei superiori.

Questo, a mio avviso, può aiutarci a

riprendere coscienza di un periodo

che, seppur con le dovute distinzioni,

ha molto in comune con il nostro e

certamente molto da insegnare a noi e

alle future generazioni.

di Pasquale Antonio Baldocci

L'esito imprevisto e sorprendente delle

elezioni europee del 26 maggio

impone un serio ripensamento del

“progetto europeo” da parte di coloro

che vi hanno assiduamente lavorato o

vi hanno semplicemente creduto. Le

urne hanno rivelato una estrema

radicalizzazione dell'elettorato con due

soli vincenti: il centro sinistra

moderato, dichiaratamente europeista

(Matteo Renzi) e l'estrema destra

decisamente anti europea, nazionalista

e xenofoba; le altre formazioni sono

state sconfitte, in particolare il

socialismo francese al potere, il cui

atteggiamento nei confronti dell'UE,

dopo il fallimento del Trattato

costituzionale, rimane incerto e

ambiguo. Si ritiene generalmente che

ogni crisi del movimento europeo

Per Riformare l’Europa nel Contesto Globale

Page 39: Rassegna Europea n°35

39

abbia provocato un salutare rilancio: il

successo del Fronte nazionale dei Le

Pen è un affronto ben più grave di

quelli precedenti perchè denuncia una

condanna senza appello

dell'immobilismo e della inerzia dei

maggiori governi europei di fronte alle

vere ragioni della crisi dell'euro, reso

vulnerabile dalla mancanza di un

entroterra politico sul quale

appoggiarsi. Le urne hanno

confermato il netto rafforzamento

degli eurofobi, una riaffermazione del

nazionalismo più gretto ed

anacronistico, un euroscetticismo

accentuato da parte di coloro che non

sono aprioristicamente avversi al

movimento di unificazione europea,

ma si attendono riforme di fondo che

segnino l'inizio di una “altra” Europa,

diversa da quella degli esecrati

eurocrati di Bruxelles e da quella

imposta da governi, ormai tutti

euroscettici, per i quali la Commissione

e le istituzioni europee sono soltanto

un comodo capro espiatorio al quale

attribuire errori e fallimenti conseguiti

sul piano nazionale. La storia degli

oltre 65 anni di pace che il nostro

continente non aveva mai conosciuto

negli ultimi secoli (le guerre jugoslave

sono il fallimento del socialismo reale

nei Balcani) può essere divisa in tre

grandi fasi, aperte da due personalità

di altissimo rilievo: Altiero Spinelli, con

il Manifesto federalista di Ventotene

(1941) e Jean Monnet con la generale

invenzione di una comunità europea

del carbone e dell'acciaio, quasi un

decennio dopo.

Prima fase: i fondatori

(Schuman, Adenauer, De

Gasperi, Spaak);

Seconda fase: gli esecutori

(Giscard d'Estaing, Mitterrand,

Moro, Schmidt, Kohl);

Terza fase: gli affossatori

(Sarkozy, Hollande, Berlusconi).

La cancelliera Merkel,

cronologicamente appartenente alla

terza fase, senza l'impatto negativo

rappresentato dalla crisi economica,

non sarebbe probabilmente stata

contraria a qualche prudente passo

verso l'integrazione politica: la sua

formazione marxista e l'ambiguità

degli orientamenti francesi l'hanno

tuttavia convinta che l'unione politica

rimane una meta lontana ed

inaccessibile per il momento e che non

rimane altro obiettivo che consolidare

la supremazia tedesca in un rinnovato

“Concerto europeo”, la gaulliana

Europa delle patrie. Configurazione

politica nella quale l'egemonia di fatto

della Germania sarebbe

inevitabilmente consolidata. Attribuire

alla Gran Bretagna (dall'epoca di

Guglielmo il Conquistatore avversa ad

ogni predominio continentale), ai

populisti o ai nazionalisti ed ai

Page 40: Rassegna Europea n°35

40

difensori dello Stato sovrano la

responsabilità della crisi politica che da

20 anni opprime l'UE sembra peraltro

una condanna di superficiale

convenienza. Scomparsa dalla scena

europea la generazione dei Giscard e

degli Schmidt, dei Mitterrand e dei

Kohl, eredi diretti dei padri fondatori,

con la fine dell'URSS e la riunificazione

tedesca, l'ideale dell'unità politica

dell'Europa si è rapidamente

affievolito, mentre la scomparsa

dell'universalismo marxista e la crisi

della socialdemocrazia consentivano

un risorgere dei nazionalismi, desueti e

anacronistici, quali reazione al

procedere inarrestabile della

globalizzazione, che travolge ogni

residua sopravvivenza di imperialismi

storici. In questa atmosfera di

ancoraggio al passato e come reazione

ad una crescente decadenza, la Francia

ritrova il mito della “grandeur” e

ritiene inaccettabile rinunciare ad una

preponderante influenza francese in

una Europa ingrata politicamente;

cosciente tuttavia del suo declino,

nell'attesa di una rinascita della sua

“exception”, si rassegna ad un

duopolio con la Germania,

opponendosi strenuamente ad una

inevitabile adesione della Turchia in

forte ascesa economica e demografica

per non retrocedere al posto di terzo

maggiore componente di una UE in

piena ripresa politica oltre che

economica. Della crisi europea, da

parte sua, l'Inghilterra si nutre e si

compiace per il delinearsi sempre più

chiaramente di una Europa anglo-

atlantica, bloccata nelle sue

conclamate velleità di integrazione

politica e condizionata dal vassallaggio

militare – e quindi anche politico – nei

confronti degli Stati Uniti. Sottrarsi da

questo circolo vizioso, aggravato dalla

perdurante crisi economica, non è

facile impresa: un rilancio radicale ed

efficace sembra difficile a breve

termine, poiché potrà essere

conseguito soltanto dalle giovani

generazioni formatesi in un clima

diverso, scevro da rigurgiti di

nazionalismo e razzismo, impregnate

di spirito europeo nato nelle università

(progetto Erasmus ed incontri fra

studenti ai vari livelli), esente da

condizionamenti liberal-capitalistici e

dall'aggressività delle multinazionali. In

tale attesa, all'Italia si offre subito

l'opportunità dei proporre riforme

improrogabili dell'Unione europea e

delle sue istituzioni, dopo l'esito

preoccupante delle ultime elezioni,

come avvenne nel 1956 quando il

ministro degli Affari Esteri Gaetano

Martino convocò a Messina i suoi

cinque colleghi della allora Comunità

del Carbone e dell'Acciaio per reagire

all'affondo francese della Comunità di

Difesa, passando dalla gestione

comune di alcune specifiche risorse

Page 41: Rassegna Europea n°35

41

alla creazione di una Comunità

economica, sorta il 25 marzo dell'anno

successivo con la firma solenne in

Campidoglio, alla quale ebbi l'onore di

assistere nella mia veste di funzionario

diplomatico, dei primi Trattati di

Roma. Con il successo ottenuto alle

votazioni, di cui egli è in realtà l'unico

vincitore, Matteo Renzi potrebbe

avvalersi del semestre italiano di

presidenza dell'UE (primo luglio-31

dicembre) per convocare un Consiglio

Europeo straordinario, dedicato ad

una profonda riforma dell'Unione.

All'interno dei diciotto Paesi membri

della Zona euro potrebbe essere

costituito un “nocciolo duro” (o

comunque lo si voglia definire),

incaricato di affrontare con volontà

decisionale la crisi di identità e gli

obiettivi dell'UE nell'era globale

inserendoli nella globalizzazione, quale

contributo dell'Europa alla promozione

di un umanesimo del XXI secolo non

più circoscritto al nostro continente

ma ispirato alle sue più alte tradizioni.

Il 19 marzo, l'Accademia Europeista in

collaborazione con l'Associazione

Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia

(Anvgd) di Gorizia ha presentato, nella

sede della stessa Anvgd, il libro di

Federica Gullino “Quando la maestra

insegnava: T come Trst. Propaganda e

scuola anti-italiana nella Trieste

jugoslava” edito da Franco Angeli.

L’incontro ha visto l'autrice conversare

con Pasquale Antonio Baldocci, già

ambasciatore d'Italia e attuale

presidente dell'Istituto per gli studi di

previsione e le ricerche internazionali

(Ispri) di Roma. All'incontro, seguito da

un numeroso pubblico, hanno

partecipato il vicesindaco del Comune

di Gorizia Roberto Sartori, il presidente

di Gorizia, Roberto Sartori, il

presidente della Fondazione Carigo,

Gianluigi Chiozza, il consigliere

regionale Rodolfo Ziberna, il

consigliere provinciale Fabio Del Bello,

oltre al direttore dell'Accademia

Europeista, Pio Baissero, alla

presidente dell’Anvgd Gorizia, Maria

Grazia Ziberna, a un componente del

Consiglio Direttivo della Comunità

degli Italiani di Buie d’Istria, Corrado

Dussich. Il giorno successivo,

l'Accademia Europeista ha poi

presentato presso la centrale

idrodinamica del Porto Vecchio, a

Trieste, “La vocazione europea nella

Il nostro 2014 ( fino ad ora… )

Page 42: Rassegna Europea n°35

42

scuola e nell’università”. Il titolo

dell'incontro coincide con

la pubblicazione, edita dalla stessa

Accademia Europeista, contenente

L’Accademia ricorda il 9 maggio

Dichiarazioni ed Appelli a favore di un

rilancio dell'unificazione europea

discussi ed approvati da studenti

universitari e liceali nell'arco di dieci

anni, precisamente dal 2003 al 2013, a

Gorizia, Firenze, Udine e Lignano

Sabbiadoro. La raccolta è stata

ordinata e commentata, nel novembre

2013, da Pasquale Antonio Baldocci. La

prefazione è del giornalista Alex

Pessotto mentre la postfazione è

firmata dal Direttore dell'Accademia

Europeista. In Porto Vecchio, hanno

discusso della pubblicazione Baissero,

Pessotto, Maria Cavalagli Orel (che ha

collaborato nell'organizzazione

dell'evento), la presidente del Polo

Museale del Porto Vecchio di Trieste,

Antonella Caroli Palladini, oltre,

naturalmente, allo stesso Baldocci.

Quest'ultimo è stato anche il

protagonista dell'incontro del 21

marzo all'Educandato Uccellis che ha

ospitato un'ulteriore presentazione de

“La vocazione europea nella scuola e

nell’università”. Tale appuntamento è

stato contraddistinto dalla

partecipazione del sindaco di Udine,

Furio Honsell, del consigliere regionale

Diego Moretti che ha portato i saluti

del Presidente del Consiglio regionale,

Franco Iacop, della dirigente scolastica

dell'Educandato, Maria Letizia Burtulo,

del presidente dell'Accademia

Europeista, Claudio Cressati; in tale

incontro, seguito da una ricca platea di

studenti, è stato anche letto una

pagina della presidente della nostra

regione, Debora Serracchiani, su “La

vocazione europea” nonchè

proiettato, sempre riguardo la stessa

pubblicazione, un intervento video

dell'ex vicepresidente del Parlamento

europeo, Gianni Pittella.

Nel mese di aprile, il Direttore

dell'Accademia, Pio Baissero, è stato

invitato in qualità di relatore a un

convegno organizzato dalla Europa

Literaturkreis di Kapfenberg per la

presentazione della rivista edita dalla

stessa associazione stiriana il cui titolo

è “Reibeisen”. L'intervento aveva per

titolo “L'Europa dei cittadini oggi”.

Hanno partecipato all'appuntamento

scrittori e artisti di Austria, Ungheria e

Italia. Fra i tanti, citiamo Sepp

Page 43: Rassegna Europea n°35

43

Grassmugg, presidente

dell'associazione organizzatrice.

L“Assalto all’Europa. Partiti nazional-

populisti e le elezioni del 25 maggio” è

stato invece il titolo dell’incontro che si

è tenuto il 5 maggio all’auditorium del

museo Revoltella di Trieste, curato dal

già segretario del Partito Popolare

Europeo, Thomas Jansen, organizzato

dal Circolo della cultura e delle arti del

capoluogo giuliano in collaborazione

con l’Accademia Europeista e con il

quotidiano Il Piccolo. Il dibattito, alla

vigilia delle elezioni, ha visto il

direttore del Piccolo Paolo Possamai

moderare gli interventi del filosofo

Lino Sartori (socio dell'Accademia), del

giornalista Giampiero Gramaglia

nonchè dei politologi Tommaso Visone

e Giulio Ercolessi.

Sempre organizzato da Accademia

Europeista, Circolo della cultura e delle

arti e quotidiano Il Piccolo, il 9 maggio

alla Sala Europa di via Puccini, Gorizia,

si è svolto un incontro dal titolo

“L'Europa, sfida necessaria. Il destino

del nostro continente in vista delle

elezioni europee e dell'imminente

semestre di presidenza italiana

dell'Ue”. L'incontro è stato aperto dai

saluti del vicesindaco Roberto Sartori,

e dell'assessore provinciale

all'Istruzione, Ilaria Cecot, e del

presidente dell'Accademia, Claudio

Cressati; hanno partecipato

all'appuntamento pure il prefetto

Vittorio Zappalorto, e il consigliere

regionale Igor Gabrovec. Moderati dal

giornalista Stefano Bizzi, protagonisti

dell'incontro sono stati Lino Sartori e

Thomas Jansen secondo una sinergia

già collaudata positivamente in Trieste.

Il calendario dell'Accademia è

proseguito il 19 maggio, nell'aula

magna del polo universitario goriziano

dell'università di Trieste, con un

pubblico dibattito, organizzato dal

Movimento Italiano per

l'organizzazione internazionale e dalla

Provincia di Gorizia, dal titolo “Le

elezioni e le carriere europee tra

rappresentatività e opportunità”. Pio

Baissero ha portato un contributo sul

tema “Perchè motivare all'Europa?” in

rappresentanza dell'Accademia di cui è

direttore.

Dal 6 al 9 giugno, l'Accademia ha

partecipato come partner

all'organizzazione del seminario

internazionale sulle minoranze che si è

tenuto a Neumarkt, in Stiria, per

iniziativa della locale Casa d'Europa e

che ha visto la presenza di relatori e

partecipanti di diversi Paesi europei. In

questi mesi, l'Accademia Europeista ha

continuato la collaborazione con

l'aggregazione giovanile Pleiadi per

quanto riguarda il progetto “A.B.C.€.”

e che ha visto, in qualità di relatori,

Martina Arteni, Francesca Borgna,

Chiara Macuz, Alex Pessotto, Fabio

Romano, Laura Simonin, avvicinare gli

Page 44: Rassegna Europea n°35

44

studenti dell'Einaudi Marconi di

Staranzano, del Percoto di Udine, del

D'Annunzio di Gorizia, del da Vinci-

Carli-de Sandrinelli di Trieste. Ramon

Miklus ha curato la parte multimediale

di “A.B.C.€.”. A tutti gli studenti è stato

distribuito un attestato di

partecipazione, e, a coloro che hanno

partecipato ai tre moduli del progetto

(“Euro ed Europa”, “Pillole di storia

dell'integrazione europea”,

“Opportunità di mobilità per i

giovani”), sono stati distribuiti

questionari iniziali e finali. Nelle

risposte a quest'ultimo si son distinte,

del D'Annunzio, Ilaria Dal Pio Luogo,

Eleonora Nassiz, Chiara Pellizzoni,

Alessia Sergio, e, del Percoto, Giulia

Bolzon, Greta Castellan, Chiara

Pesamosca. Le studentesse, quale

premio, hanno vinto un viaggio a

Neumarkt in base ai progetti di

scambio che l'Accademia Europeista

da anni porta avanti con la locale Casa

d'Europa; alla trasferta in Stiria hanno

partecipato pure Alberto Cibin, Nicola

Cociancig e Antonello Mauro (group

leader).

Ancora, l'Accademia Europeista di

Gorizia è stata fra gli organizzatori di

un'iniziativa, tenutasi sabato 16

agosto, volta a ricordare i caduti della

prima guerra mondiale, che si è

concretizzata in una cerimonia,

realizzata assieme alla Casa d'Europa

di Klagenfurt, nonchè al Comune di

Liesing e del Land della Carinzia,

svoltasi alle pendici di cima Letter, al

confine italo-austriaco, sulle Alpi

Carniche.

Ragazzi e ragazze che hanno partecipato allo scambio

Un’immagine del nostro 16 agosto

Tale cerimonia faceva seguito alla

collocazione, sulla cima della stessa

vetta (circa 2500 metri), della Croce

per la Pace su cui sono incise le parole

"Nie wieder" (mai più). Vi hanno

partecipato oltre a soci e simpatizzanti

dell'Accademia Europeista, delle

associazioni d'arma austriache e

dell'Associazione nazionale alpini di

Udine e Gemona, anche, fra gli altri,

Page 45: Rassegna Europea n°35

45

Pietro Fontanini, invitato quale

presidente di una Provincia, quella di

Udine, confinante con l'Austria.

Debora Serracchiani, impossibilitata a

partecipare, ha fatto pervenire un

indirizzo di saluto. La cerimonia è

consistita in un incontro all'aperto, a

circa 900 metri di altitudine, non

rovinato da qualche goccia di pioggia e

da una temperatura non propriamente

agostana, che, oltre ai discorsi di rito,

ha visto l'esecuzione dell'Inno europeo

e del Silenzio fuori ordinanza nonchè

di canti tradizionali eseguiti dal gruppo

vocale Liesing. Un numeroso pubblico

l'ha seguita in un'atmosfera di festa

popolare. La sua riuscita è

testimoniata dall'alto numero dei

partecipanti all'incontro che, per

l'occasione, hanno preferito, ad altre

mete più gettonate in agosto, portare

avanti gli ideali di pace e fratellanza, a

loro volta portati avanti da un quarto

di secolo dall'Accademia Europeista. Il

direttore dell'Accademia stessa, Pio

Baissero, ha tenuto un breve

discorso in tedesco mettendo in

evidenza l'importanza della

partecipazione del territorio di Gorizia

all'iniziativa. Nel corso della giornata in

Austria, soci e simpatizzanti

dell'Accademia hanno altresì visitato il

suggestivo museo della Grande Guerra

nella vicina località di Kötschach-

Mauthen.

Ricordando…

Non vorremmo dedicare uno spazio di

Rassegna Europea alle necrologie.

Vorremmo poter dire che la nostra vita

associativa è proseguita nel migliore dei

modi, senza intoppi di sorta, con il

sostegno di coloro che ne

contribuiscono alla riuscita, e,

soprattutto, senza dover registrare

drammi o tragedie. Così non è.

Purtroppo. E ci troviamo ad aver pianto

la perdita di due personalità che

nell'ormai lunga esistenza

dell'Accademia Europeista, vanno

considerate autentici pilastri, a doverne

scrivere un breve, commosso ricordo,

ad omaggiarne la memoria. Fabio Illusi è

scomparso lo scorso febbraio a

Monfalcone. E' stato lo storico preside

del Malignani di Udine. Ma per noi, più

d'ogni altra cosa, è stato colui che guidò

i primi passi dell'Accademia, oltre 25

anni or sono e sino al 2000;

dell'Accademia, Illusi è stato infatti

uno dei fondatori oltre che, in quel

lasso di tempo, il suo vertice.

Page 46: Rassegna Europea n°35

46

Fabio Illusi

Non è questa la sede, ovviamente, per

ricordarne il non breve curriculum.

Piuttosto, teniamo a ricordarne certo la

fede negli ideali dell'unità europea ma,

soprattutto, il tratto umano, l'essere

sempre al servizio dell'attività

dell'associazione con preziosi consigli,

un entusiasmo mai venuto meno

(nemmeno da quando, nel 2000, è stato

sostituito dal presidente attuale,

Claudio Cressati), l'impegno sempre

manifestato per diffondere il lavoro

dell'Accademia e portarlo a conoscenza

delle istituzioni, pubbliche e private, di

coloro che nell'europeismo credono e

pure dei cosiddetti euroscettici. Alla

generosità, il professor Illusi aggiungeva

cultura e quella dose di rigore che

sempre abbiamo interpretato come

giusta e doverosa.

Gianfranco Cosatti Simon

Generosità, cultura e rigore

caratterizzavano anche Gianfranco

Cosatti Simon, scomparso a Udine lo

scorso maggio, componente del

Consiglio Direttivo e pur egli socio

fondatore dell'Accademia. Un po' come

Illusi, Cosatti Simon apparteneva al

novero di quegli europeisti convinti che,

alle ragioni dell'economia, preferivano

quelle degli ideali; lo stesso spirito, in

fondo, era quello dei padri fondatori

della nostra vecchia, cara Europa che

rimpiangiamo come rimpiangiamo Illusi

e Cosatti Simon, con un ricordo che

vuole tuttavia maggiormente

evidenziare quanto la loro

partecipazione ha saputo infonderci del

pur grande dolore che la loro perdita

non può non farci provare.

Page 47: Rassegna Europea n°35

47

Libri!

Lorenzo Bini Smaghi

33 False Verità sull'Europa

Il Mulino, 2014, pagg. 188, Euro 14,00

Da qualche tempo l'intera costruzione

europea è oggetto di crescenti critiche,

più o meno fondate. Sono critiche che

fanno ritenere ad una larga parte

dell'opinione pubblica che sia proprio

l'Europa, e l'Unione Europea in

particolare, ad essere una delle cause

principali della profonda crisi che stiamo

attraversando. Si muovono le accuse più

variegate, ma è l'aspetto economico

dell'integrazione europea quello

maggiormente preso di mira. Sicchè si

tende a colpevolizzare l'euro, le

politiche economiche e bancarie

promosse dalla BCE, la più o meno

presunta arroganza della Germania, il

fiscal compact e via dicendo fino ad

arrivare all'ipotesi di un ritorno alla Lira

o al Franco. Insomma, secondo questi

nuovi "esperti" più o meno in buona

fede l'Europa tutto farebbe meno che

l'interesse dei cittadini e dell'industria

nazionale. Argomenti che sembrano far

facile presa non solo sulle persone

"comuni" ma anche su responsabili

economici e sindacali, diventati

improvvisamente privi di una visione più

reale delle cose che dovrebbero fare.

Argomenti che, alla fine, mascherano un

autolesionismo che non porta e non

porterà da nessuna parte. Lorenzo Bini

Smaghi, scrittore ed economista di

rilievo, riesce, nel suo saggio, a

ribattere, punto su punto, tutte le tesi

antieuropee emerse nel corso della

campagna elettorale appena conclusa

non solo in Italia, ma anche in altri Paesi

europei. In 33 punti riguardanti l'euro,

la BCE, la crisi del debito ed i rapporti

tra Germania e resto d'Europa, il Bini

Smaghi mette a nudo, con dovizia di

dati ed argomentazioni, tutte le false

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48

verità ed i luoghi comuni che si sono

diffusi in Europa su questi temi. Non di

rado queste false verità sono sostenute

non solo da partiti e movimenti di

opposizione ma anche da governi

nazionali: tutti convinti che dando

l'impressione di andare a "battere i

pugni" sui tavoli decisionali dell'Europa

si possano ottenere chissà quali

miracolistici risultati. In realtà, come

sostiene l'autore, partiti e governi

nazionali tendono a nascondere il loro

fallimento scaricando le colpe di tutti i

problemi da loro originati proprio

sull'Europa, sperando alla fine di trarre

un vantaggio - peraltro di breve termine

- sia politico che elettorale.

Pio Baissero

Giuseppe Berta

Oligarchie. Il Mondo Nelle Mani di

Pochi

Il Mulino, 2014, pagg. 122, Euro 10,00

In anni come i nostri di grande

incertezza, si tende quasi sempre - in

maniera più o meno proficua - a

questionare assunti per natura

consolidati. Così spesso s'inizia a

riflettere e discutere sulla natura del

potere, sui limiti dei vari sistemi di

governo, sui destini della democrazia e

sul futuro in generale della nostra

società. Giuseppe Berta è professore di

Storia Contemporanea a Milano ed

esperto della realtà d'impresa

nazionale, nonché curatore dell'archivio

storico della Fiat. Nel suo libro

“Oligarchie”, edito da Il Mulino, egli

traccia un'analisi puntuale e sintetica, ai

limiti del didascalico dello sviluppo delle

oligarchie. Dal Parlamento Inglese di

Giorgio III fino all'attuale

globalizzazione, la crisi finanziaria e le

ultime fasi dell' Unione Europea,

l'occhio di Berta indaga, con semplicità

e precisione, l'evoluzione delle

istituzioni in relazione alle differenti

temperie sociali ed economiche. Senza

mai rischiare di cadere nelle trappole

dell'invettiva, Berta ci offre un quadro

non particolarmente lieto, in cui il

mercato soverchia con la sua longa

manus la politica. Politica identificata

come proseguimento dei propri

interessi sin dai tempi di Giorgio III e

deprivata, con l'avanzare della

Page 49: Rassegna Europea n°35

49

globalizzazione, dell'interesse nazionale.

Sicchè l'oligarchia diviene,

da aristocrazia comunque legata alla

propria realtà geografica e di costume,

una forma di potere decontestualizzata

e cosmopolita che persegue come unico

interesse la propria autoconservazione

ed il profitto proprio e dei suoi membri.

Come contraltare a questa realtà liquida

del potere finanziario, Berta pone le

realtà economiche e sociali dell'Estremo

Oriente: Singapore, paradigma

dell'arrembante turbocapitalismo delle

Tigri Asiatiche, e la Repubblica Popolare

Cinese, in cui l'opera di adattamento del

Partito Comunista al governo sembra

essere in grado di cavalcare le spinte

della grande apertura di Deng Xiaoping.

Realtà entrambe caratterizzate da un

Presidenzialismo accentratore e da una

forma di governo quasi autocratica che

ben si adatta alla tradizionale visione

comunitarista del mondo delle

popolazioni Asiatiche. L'ultimo capitolo

del libro verte sulla dimensione sempre

più tecnocratica dell'Unione Europea

che, tramite l'istituto della moneta

unica, ha confinato l'integrazione ad

una sfrenata crescita finanziaria senza

dotarsi dei mezzi perchè i singoli Stati

potessero affrontarla. Così, nella scorata

testimonianza di Guido Carli, ministro

del Tesoro a Maastricht, si percepisce

quasi l'amarezza per un'occasione

sprecata che avrebbe potuto

risparmiare molto ad un Europa ancora

troppo fragile per resistere alla

lacerante pressione del mercato

globalizzato ed alle sue oligarchie.

Francesco Sfriso

Massimo D'Alema

Non solo euro. Democrazia, lavoro, uguaglianza. Una nuova frontiera per

l'Europa

Rubbettino, 2014, pagg. 136, Euro 12,00

In questi terribili anni di crisi, l'Europa è

al centro di grandi stravolgimenti

economici e sociali. Una dilagante

insicurezza pervade il vecchio

continente e i suoi cittadini che

attendono risposte dalla loro classe

dirigente. In tutto questo, molti vedono

l'Unione europea come la fonte dei

problemi che ci affliggono, mentre altri

ne rivendicano i traguardi raggiunti.

Page 50: Rassegna Europea n°35

50

L'unica certezza è che l'Unione non

significa solo moneta unica o austerità,

ma tocca molto più in profondità la vita

dei cittadini di quanto si possa credere.

Eppure, sembra che il resto non sia

tangibile, anzi, si fatica persino a

vederlo, soffocato da continui proclami

e invettive a buon mercato di gruppi

populisti contro l'euro e tutto quello che

ne sta attorno. Proprio con il titolo “Non

solo euro”, Massimo D'Alema, il cui

nome non necessita di introduzioni,

cerca di analizzare quanto è successo in

Europa ed in Italia negli ultimi anni,

dimostrando come la comunità europea

vada ben oltre la facciata a cui siamo

soliti pensare. D'Alema, in questo libro,

affronta molti dei temi spinosi che

attraversano il nostro tempo, facendo

dovuta autocritica sul passato della

sinistra europea, che, secondo lui, non

sempre si è dimostrata all'altezza dei

problemi nazionali ed europei che si

sono manifestati in questi anni, allo

stesso tempo tenta di rilanciarne il

pensiero per contrastare chi vuole

distruggere l'eurozona e rintanarsi in

logori nazionalismi. Quello che ne

emerge è un quadro dalle mille

sfaccettature che tocca l'economia,

l'occupazione femminile, la politica

estera e molto altro. E ci ricorda come il

vecchio continente possa tornare a

competere nel mondo di oggi solo se

trova il modo di andare avanti senza

abbandonare nessuno.

Riccardo Cipollari

Mario Giordano

Non vale una lira. Euro, sprechi, follie:

così l'Europa ci affama

Mondadori, 2014, pagg. 165, Euro

17,00

Da parte di un noto nome del

giornalismo italiano, giunge una critica

radicale all'euro e all'Unione europea. In

“Non vale una lira”, Mario Giordano

affronta le cause che, secondo lui,

hanno portato il nostro Paese nella

drammatica situazione economico-

sociale in cui si trova oggi, puntando il

dito proprio contro la moneta che ci

portiamo in tasca e quella comunità

europea che secondo alcuni muove i fili

per rovinarci. Sebbene il libro, dunque,

insista su punti ormai triti della retorica

Page 51: Rassegna Europea n°35

51

antieuropeista, il suo autore tenta, con

grande pregio, di andare oltre la miope

contrapposizione fra europeisti e non.

Ciò proponendo un dialogo fra le parti,

cosa che, in tutta franchezza, manca da

ambo i fronti. Giordano, tuttavia, non

risparmia certo la penna quando si

tratta di denunciare le mancanze e gli

sprechi dell'UE, citando alcuni dati

oggettivi. Sarebbe sciocco, dunque,

liquidare questo testo come una

semplice invettiva contro l'Unione,

questo perché tacciare di populismo chi

non crede nell'euro e nel sogno

europeo, troppo spesso presi come

dogmi, è diventato il più ingenuo dei

luoghi comuni. Giordano, nella sua

analisi, coglie il nocciolo del problema:

l'euro è nei guai perchè è una moneta

senza Stato e senza Governo che ne

sostenga, come avviene negli Stati Uniti

o in Svizzera, la conseguente politica

economica e fiscale insieme a quella

monetaria lasciata per ora solo alla Bce.

Ma quel che Giordano propone è un

ritorno al passato, alla lira e ai cambi

fluttuanti, vale a dire al vecchio sistema

degli stati nazionali europei nella

speranza del recupero di una sovranità

che è oggi perduta. Tuttavia, non pare

questa la soluzione che possa risolvere

la crisi: se l'euro non funziona è proprio

perchè manca l'Europa politica. Non è

necessario tornare indietro ma proprio

l'opposto: andare avanti, rifondando

dalle basi l'Unione Europea in modo da

farne un vero soggetto politico.

Riccardo Cipollari

Alessandro Barbera-Stefano Feltri

La lunga notte dell'Euro. Chi comanda

davvero in Europa

Rizzoli, 2014, pagg. 228, Euro 16,00

Un libro che spiega i motivi della crisi

dell’euro, ricostruendo i fatti di quanto

è accaduto dal 2007. Una crisi che ha

causato la caduta di governi, il

fallimento delle banche, il crollo di

molte economie. Alessandro Barbera e

Stefano Feltri, rispettivamente

giornalisti della “Stampa” e del “Fatto

Quotidiano”, analizzano nel loro libro

“La lunga notte dell’euro” la situazione

Page 52: Rassegna Europea n°35

52

in Europa ed in particolare in Italia da

quando il sistema su cui si basa la

moneta unica inizia ad essere instabile.

A partire dalla crisi dei subprimes ed il

crollo della Lehman Brothers, gli autori

spiegano come i politici europei abbiano

cercato di gestire la situazione di fronte

al sempre più crescente debito

pubblico. Di come la politica si sia

trovata a discutere sulle contromisure

da adottare per affrontare la situazione

di emergenza. Gli autori pongono

attenzione al contesto italiano, dove

tagli, tasse e disoccupazione sono il

prezzo pagato dai cittadini davanti ai

cambiamenti politici ed economici. La

lettera firmata da Trichet e Draghi, lo

spread oltre i 400 punti ed il G-20 di

Cannes alle porte sono solo alcune delle

tematiche affrontate. Mentre si

continua a discutere e proporre

soluzioni, qual è il ruolo della Bce in

tutto questo? Quali sono stati gli effetti

dell’adozione di austerità? Qual è il

confine tra crisi bancaria e crisi degli

Stati? Uno scenario davvero complesso

e sullo sfondo milioni di cittadini

europei che stanno pagando il conto di

scelte incomprese e non condivise.

Elisa Regeni

George Soros con Gregor Peter Schmitz

Salviamo l'Europa. Scommettere

sull'euro per creare il futuro

Hoepli, 2014, pagg. 200, Euro 18,00

Semplice ed efficace, il libro di George

Soros “Salviamo l'Europa” descrive in

modo capillare la tragica crisi politica

che si sta abbattendo sull'Europa.

Quello che si nota fin dalle prime

pagine, è l'impegno personale ed

intellettuale che l'autore mette in

campo per dare risposte e risolvere i

problemi dell'Unione, nel tentativo di

impedire l'ultima metamorfosi, una

deriva nazionalista che

destabilizzerebbe irrimediabilmente

l'Eurozona. Ed è proprio qui che Soros

assegna alla Germania le responsabilità

più grandi; non solo per il suo passato,

ma anche perché non vuole assumersi

Page 53: Rassegna Europea n°35

53

le responsabilità che le spettano, in

quanto colonna portante dell'UE. Per

l'autore è dunque questa la vera

tragedia del secolo: una Germania che

potrebbe risollevare la situazione del

continente, come fecero gli americani

nel secondo Dopoguerra con il piano

Marshall, ma che preferisce rintanarsi

dentro i propri confini, facendo il

minimo indispensabile ed illudendosi

che questo basti ad evitare la

catastrofe. Ecco il principio della crisi,

che per Soros risiede proprio in una

politica incapace e sorda, pronta a

rifocillare movimenti nazionalisti solo

per un ritorno sulla breve distanza. Lo

spread che dovremmo temere di più è

quello dell'ostilità e dell'intolleranza,

figlio da anni di sommovimenti sociali.

Durante la lettura è difficile non essere

d'accordo con l'autore che porta sul

tavolo argomentazioni convincenti e

innegabili. Convincenti proprio perché

semplici e di buon senso: “Rivediamo le

regole dell'euro zona (palesemente

fallimentari) e torniamo a marciare

verso un'unione politica reale che è

stata accantonata per troppo tempo.”

Riusciranno gli “Europei” a capirlo e

mettere in moto questo processo?

Forse sì, ma per farlo servirà una grande

forza di volontà ed il coraggio per

mettere da parte stantii egoismi e

soluzioni a buon mercato, cosa che ai

politici attuali sembra mancare.

Riccardo Cipollari

Marcello D’Amico

Progettare in Europa. Tecniche e

strumenti per l'accesso e la gestione

dei finanziamenti dell'Unione europea

Centro Studi Erickson, 2014, pagg. 244,

Euro 23,00

In un contesto economico come quello

attuale, caratterizzato da una forte

contrazione delle fonti di

finanziamento, i fondi europei

rappresentano un imprescindibile

strumento per sostenere la crescita e lo

sviluppo strategico. Il volume permette

di conoscere al meglio l'accesso a tali

fondi nella realizzazione di interventi

Page 54: Rassegna Europea n°35

54

cofinanziati dall'Unione Europea con

molti approfondimenti e chiarimenti in

merito agli strumenti finanziari della

nuova programmazione dei fondi

comunitari 2014-2020 e che

costituiscono il principale strumento di

finanziamento delle iniziative di

sviluppo tanto per le istituzioni

pubbliche quanto per le realtà private.

Marcello D'Amico, avvocato forte della

sua esperienza di docente di Politiche

sociali europee presso la facoltà di

Sociologia dell'Università Cattolica di

Milano, tributa al suo lavoro un taglio

teorico-pratico: ciò ne rappresenta un

innegabile merito; la sua

consultazione è vivamente consigliata

sia ai professionisti in materia di accesso

ai finanziamenti europei, sia a manager

e operatori sociali di enti pubblici

organizzazioni del Terzo settore ma

anche da studenti universitari.

Attraverso semplici e utili indicazioni il

lavoro è di agevole lettura e copre tutte

le fasi progettuali: da quella di

redazione della proposta, alla fase di

gestione amministrativa e finanziaria

dell'intervento, con i capitoli dedicati al

"Budget Preventivo", alla "Redazione

della proposta progettuale", alla

"Rendicontazione e il monitoraggio

dell'intervento". Ancora, pare di

estrema semplicità il ricorso alle tabelle

ed utilissimo il rimando alle

pagine web. Vengono così rese

comprensibili, a tutti e non solo agli

addetti ai lavori, le tecniche del Project

Management, necessarie ed

indispensabili per l'elaborazione

progettuale. Di grande interesse,

inoltre, il rimando alla guida operativa

della Commissione Europea sul Project

Cycle Management e quello inerente al

contesto entro cui si è mosso l'ultimo

processo di integrazione europea (dal

Trattato di Maastricht, passando per

quello di Amsterdam, per arrivare a

quello di Lisbona).

Fabio Feliciano

Giacomo Balla, Mercurio che passa davanti al Sole,

Parigi Centre Pompidou

Page 55: Rassegna Europea n°35

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Ricordando il 1914…

Abbiamo deciso di concludere questo

numero di Rassegna Europea con due

foto, nella speranza di poterne operare

un piccolo, ma, auspichiamo,

significativo confronto.

La prima foto è un’immagine del

“nostro” 16 agosto ai piedi della cima

Letter sulle Alpi.

La seconda foto, naturalmente, è

un’immagine della vita di trincea che la

nostra comunità ha tristemente avuto

modo di conoscere.

1914

2014

Il confronto, non voglia sembrare

blasfemo. Desidera, soltanto, invitare,

ove possibile, a non dimenticare il

nostro passato, a non ripeterne gli

errori, a ricordare a noi stessi quanto è

bello il vivere in pace.

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