RAPPORTO TRA PROCEDIMENTO PENALE E PROCESSO … · IL PROCESSO TRIBUTARIO Incongruenze e...

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STAGE PRESSO L’AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI PALMI RAPPORTO TRA PROCEDIMENTO PENALE E PROCESSO TRIBUTARIO PRIMA E DOPO L’EMANAZIONE DEL D.lgs 74/2000 TUTOR : DOTT.SSA Linda Claudia PARROTTA STAGISTA : DOTT.SSA Emily GIOVAZZINO

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STAGE PRESSO L’AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI PALMI

RAPPORTO TRA PROCEDIMENTO PENALE E

PROCESSO TRIBUTARIO PRIMA E DOPO

L’EMANAZIONE DEL D.lgs 74/2000

TUTOR : DOTT.SSA Linda Claudia PARROTTA

STAGISTA :

DOTT.SSA Emily GIOVAZZINO

P R E M E S S A

La trattazione del processo penale e di quello tributario risulta

essere un’argomentazione delicata, ma allo stesso tempo

meritevole di grande attenzione. Entrambi i procedimenti, nel

corso del tempo, hanno subito numerose modifiche, atte a mutare

radicalmente la loro struttura giuridica. Ciò è avvenuto

soprattutto attraverso un susseguirsi di normative emanate da un

legislatore fortemente intenzionato a rendere meno macchinosi e

più a misura d’uomo tali procedimenti giudiziari dalla natura

alquanto controversa. E’ pur vero che, per i propri argomenti,

talvolta complementari e molto spesso implicanti l’uno la

sussistenza dell’altro, i due processi trattati hanno avuto modo,

nel corso del loro iter formativo e modificativo di incontrarsi e

scontrarsi intessendo tra loro di volta in volta un ordito a fitte

trame che, a seconda dell’orientamento del legislatore, allentava

o stringeva il suo intreccio. Una delle maggiori problematiche

per il legislatore fu difatti, il cimentarsi sulla possibilità di creare

un collegamento tra due processi, in modo da agevolarne

l’influenza reciproca, oppure optare perché gli stessi segnassero

tracciati ben distinti e separati sul sentiero giuridico.

Teoricamente la prima soluzione sarebbe sembrata quella

ottimale (legge 516/82) per via della sempre più frequente

commistione delle fattispecie giuridiche riguardanti il diritto

penale e quello tributario. Infatti il diritto penale moderno non

prescinde dal sistema economico attuale, anzi, talvolta trova in

quest’ultimo le condizioni migliori per la creazione di nuove

fattispecie criminose come ad esempio il riciclaggio e la

complessa e sedimentata serie di fatti riguardanti le evasioni di

imposta1. D’altro canto i buoni propositi di facilitare lo

svolgimento dei processi, assoggettando la disciplina tributaria

alla pronuncia definitiva del giudice penale, si sono infranti di

fronte ad un insormontabile scoglio normativo: le divergenti

regole valevoli e probatorie proprie di ciascun processo2. Mentre

infatti nel processo penale, tra le fattispecie probatorie sono

ammesse sia il giuramento che la prova testimoniale, nel

processo tributario, per ovvi motivi queste stesse sono escluse3.

Di fronte al legame tra due processi si crea quindi un paradosso

giuridico: i soggetti assolti penalmente in giudizio, non possono

che esserlo di conseguenza anche amministrativamente. La

riduttività della cosa e l’affermazione della pregiudizialità

vincolata delle due sfere giuridiche si mostrano quindi deleteree

per la giurisdizione in genere, provocando un inesorabile

irrigidimento di entrambe le procedure, con esiti traducibili in un

aumento a dir poco esponenziale dei tempi di definizione delle

stesse4. D’altro canto, non sarebbe stato auspicabile ipotizzare

1 A. D’ AVIRRO, U. NANUCCI, Guida nel labirinto dei reati tributari, www.giustiziapenale.it/new.htm 2 R. LUPI, Diritto tributario, Giuffrè, Milano, 2000, pag. 258 e ss. 3 R. LUPI, Diritto tributario, op. cit., pag. 260 e ss. 4 Reati tributari nuove sanzioni penali, www.unind.te.it/doc/giornalino/numero9/3.htm

l’istituzione di un principio del “doppio binario” per il processo

tributario e per quello penale che non avesse nella propria

struttura normativa previsto almeno un punto di incontro tra i

due5. L’evoluzione normativa della legislazione, in relazione a

questo argomento, è culminata con l’emanazione del D.lgs

74/2000 che ha abrogato il titolo I della legge 516/82. Il D.lgs

74/2000 non soltanto sancisce l’assoluta indipendenza tra i due

processi, in modo che un soggetto sottoposto agli stessi possa

liberamente subire sanzioni autonome, ma anche, grazie all’art.

654 c.p.p. non impedisce che ne sussista la pregiudizialità nel

caso in cui la controversia verta intorno a fatti riconosciuti

rilevanti ai fini probatori sia in ambito penale che

amministrativo6. Eventuali limitazioni delle prove

nell’espletamento di uno dei due processi, fanno scattare

l’applicazione della teoria relativa all’autonomia, quindi al

“doppio binario”. L’iter normativo che ha costruito il rapporto

giuridico tra i due processi è stato inoltre accompagnato di pari

passo da altre importanti rivoluzioni giuridiche, poste a

modificare singolarmente i meccanismi interni, rispettivamente

del processo penale e di quello tributario. L’obbiettivo del

legislatore è voluto approdare alla creazione di normative che

rendessero tali procedimenti più fluidi ed agevoli, sia

nell’interesse dell’amministrazione fiscale, che in quello del

5 L’opinione, La riforma dei reati tributari, www.uckmar.com/opinioni/opi010.htm 6 Reati tributari nuove sanzioni penali, cit.

cittadino stesso7. D’altro canto non sarebbe stato auspicabile

l’inquadramento di un sistema giudiziario, ingolfato da sentenze

equivoche, delle quali non avrebbe potuto prevedersi, almeno in

brevi tempi l’emanazione del verdetto, in un meccanismo

economico multisfaccettato, quale è questo moderno.

La fitta rete di affari e la frenesia con cui nascono e si

perfezionano rapporti economici che, come già detto, degenerano

spesso nella commissione di svariate fattispecie criminose,

necessitano senza dubbio di un efficiente sistema

giudiziario-sanzionatorio che, a sua volta, adattandosi ai ritmi

della società, debba necessariamente incentrarsi sui presupposti

di chiarezza, ma soprattutto di celerità.

7 T. BRACCO, La riforma delle sanzioni tributarie, INTRANET, DRE Liguria.

IL PROCESSO TRIBUTARIO Incongruenze e superamento del D.P.R. 636/72

Una delle più importanti modifiche effettuate dal legislatore,

riguarda sicuramente la modulazione delle regole e dei

meccanismi concernenti il processo tributario. L’innovazione,

anche in questo caso, è stata necessaria al fine di avvalorare,

prima di ogni altra cosa, il principio di deflazione delle sentenze8.

Prima delle riforma infatti, dar vita ad un procedimento

tributario, avrebbe significato rischiare di non vederne mai la

fine, dato l’esorbitante numero degli stessi processi che affollava

i vari gradi di giudizio. Forte quindi fu la necessità di snellire

questo intasamento procedimentale che, faticando a

concretizzarsi in verdetti risolutivi e rimanendo arenato alla stasi

forzata di meccanismi interni ferraginosi, non soltanto deludeva

le aspettative dei cittadini ricorrenti, ma faceva si che questi

ultimi nutrissero una sfiducia sempre crescente nei confronti

dell’amministrazione finanziaria. Amministrazione che, tra

l’altro secondo le disposizioni del D.P.R. 636/72 era vista come

un organismo sovraordinato rispetto al cittadino stesso ed ai suoi

interessi9. Dunque, dopo aver regolamentato il processo

8 L. DI VIZIO, A. GATTO, Spunti e riflessioni su alcuni istituti del processo tributario, INTRANET, DRE Lazio 9 Rapporti con il sistema sanzionatorio amministrativo e tra procedimenti, www.camerapenale-bologna.org/legislazione/reati_tributari/segue_rel_dlvo_74

tributario, affinché l’introduzione di regole più chiare e lo

svolgimento più “professionale” delle sentenze potessero

contribuire all’abbreviazione dei tempi relativi all’emanazione

delle pronunce finali, un ulteriore modifica sarebbe stata

necessaria a riguardo della possibilità di reimpostare i rapporti tra

cittadini ed amministrazione tributaria. Importanti passi avanti da

questo punto di vista furono ottenuti grazie all’emanazione dei

decreti legislativi 31 dicembre 1992 nr. 545 (sull’ordinamento

degli organi giudiziari) e nr. 546 (sul processo tributario)10.

Entrambi, portatori di un nuovo regime, entrato in vigore solo il

primo aprile del 1996 dopo svariati rinvii, hanno costituito il

superamento della disciplina di vecchio stampo sancita dalla

legge 636/72. Come gia detto, la nuova normativa introdotta, ha

cercato, prima di ogni cosa, di ovviare al problema della

deflazione delle innumerevoli sentenze tributarie che ostruivano i

vari gradi di giudizio.

Un problema che ha trovato risoluzione nell’ordinamento

italiano riguardava l’affidamento del processo tributario alla

competenza di un giudice specifico (che fosse diverso sia da

quello ordinario che da quello amministrativo).

Effettivamente si è dato un taglio netto alle diatribe dottrinali

che da un lato identificavano il giudice ordinario, dall’altro

quello amministrativo come competenti nell’esame di processi

tributari. Se infatti il giudice più indicato a verificare le questioni 10 Entrambi i decreti sono stati emanati in base alla delega contenuta nella legge 413 del 1991.

di fatto e la corretta applicazione delle norme impositive

sostanziali era quello ordinario (il cosiddetto giudice dei diritti),

tenendo anche conto della posizione di diritto soggettivo

attribuita al contribuente e concernente la determinazione

dell’imposta11; per quanto riguardava invece l’esame delle

questioni tecniche proprie del processo, dunque le questioni

procedimentali, cautelari e sanzionatorie, sulla base dei “poteri

autoritativi dell’amministrazione”, era giudicato più competente

il giudice amministrativo12. L’incertezza sull’affidamento del

processo alla supervisione dell’uno o dell’altro giudice nasceva

dal fatto che spesso i suddetti profili si intrecciavano e si

confondevano tra loro in quanto la valutazione sulla legittimità

dell’esercizio di un potere, si rifletteva sull’accertamento

dell’imposta13. Ebbene si è posta fine all’incertezza relativa alla

competenza dei vari giudici in materia tributaria istituendo per

questo compito una vera e propria giurisdizione speciale, ad hoc,

basata sulle “Commissioni tributarie”. Sulla scia di altri paesi

stranieri il legislatore italiano ha quindi optato per la scelta di

affidare le controversie tributarie ad un giudice ad hoc per

l’elevato numero delle stesse e per la settorialità specifica

dell’argomento14. Le Commissioni tributarie hanno il compito di

esaminare tutte le controversie riguardanti i tributi appositamente

11 R. LUPI, Diritto tributario, op. cit., pag. 259 e ss. 12 R. LUPI, op. cit., pag. 261 e ss. 13 Rapporti con il sistema sanzionatorio amministrativo e tra procedimenti, cit. 14 C. MAGNANI, Il nuovo processo tributario, www.uckmar.com/opinioni/opi002.htm

indicati all’art. 1del D.P.R. 546/92, nonché i tributi locali ed ogni

altro tributo “attribuito dalla legge alla competenza

giurisdizionale delle Commissioni tributarie”15. Fondamentale,

come gia detto, per la regolamentazione del processo tributario è

stata l’introduzione del D.P.R. 546/92, attuata al fine di

accelerare la risoluzione degli stessi procedimenti fiscali.

Una delle tante innovazioni introdotte dalla nuova normativa ha

riguardato la netta riduzione del processo tributario a due gradi di

giudizio: Attualmente sussistono infatti le Commissioni

provinciali e quelle regionali, contro le cui sentenze è ammesso

ricorso per Cassazione (in cui è stata creata un’apposita sezione

tributaria atta ad esaminare esclusivamente le questioni di natura

fiscale). Il regime precedente, al contrario, prevedeva la presenza

di Commissioni tributarie di primo grado, nelle città sedi di

Tribunale, Commissioni di secondo grado (istituite nei

capoluoghi di provincia e la Commissione tributaria centrale di

Roma, più il ricorso per Cassazione). Con l’abolizione della

Commissione centrale da parte del “nuovo contenzioso” si è

ottenuto un gran risparmio di risorse e di tempo, evitando di

prolungare più del dovuto le sentenze ed “ingolfare” i vari gradi

di giudizio.

Tuttavia, il processo tributario non ha soltanto subito modifiche

“quantitative” attraverso la riduzione dei tempi di giudizio, ma le

15 Nelle Commissioni preesistono più sezioni; per ogni sezione vi è un presidente, un vicepresidente e quattro componenti. In fase di giudizio le persone coinvolte devono essere tre. La competenza delle Commissioni è a carattere territoriale e non per materia.

innovazioni sono state soprattutto “qualitative”, vista la

convinzione del legislatore che la maggiore professionalità e

competenza manifestate durante il procedimento avrebbero

sicuramente contribuito alla deflazione delle sentenze. E’ per

questo che la legge n. 546 ha introdotto come obbligo per la parte

in giudizio l’assistenza, durante il procedimento, di persone

abilitate a tale ruolo se la causa stessa dovesse superare i cinque

milioni di lire16.

La modifica relativa al processo tributario non sarebbe bastata da

sola a costituire una maggiore garanzia istituzionale per il

cittadino se non fosse stata affiancata da ulteriori innovazioni

riguardanti la disciplina interna dell’amministrazione fiscale.

L’organizzazione dell’amministrazione tributaria non doveva

infatti essere analizzata come istituzione a sé stante ma, perché

sussistesse un valido fondamento per apporvi giuste modifiche,

doveva essere inquadrata in un sistema che evidenziasse i legami

pressoché simbiotici che la stessa intesseva di volta in volta con i

contribuenti.

Prima della riforma , in ambito processuale, l’amministrazione

fiscale era posta su un piano sovraordinato rispetto al

contribuente su cui gravavano parecchie incombenze, tra cui,

l’obbligo di fornire l’onere della prova e di subire interamente il

16 Naturalmente per i non abbienti è assicurata l’assistenza tecnica gratuita – art. 13 D.lgs 546/92

peso del pagamento delle spese giudiziali, anche in caso di

assoluzione17.

Da questo punto di vista, oggi la normativa ha compiuto passi da

gigante ponendo sullo stesso livello contribuente ed

amministrazione tributaria. L’amministrazione stessa non è più

vista come l’organismo che aggredisce gli interessi del cittadino,

ma assumendo quasi struttura antropomorfa, è di colpo

assoggettata agli stessi obblighi e doveri posti antecedentemente

soltanto a carico della controparte.

Dunque il D.lgs. 546/92 ha introdotto un nuovo modo di

intendere il processo tributario anche dal punto di vista

probatorio, assimilandolo alla disciplina del processo civile 18.

Come in quest’ultimo, nel processo tributario non sussiste l’

onere della prova che incombe esclusivamente su un solo

soggetto, al contrario, i documenti probatori devono essere forniti

da entrambe le parti. Inoltre, se la pronuncia giudiziale dovesse

tradursi nella soccombenza dell’amministrazione, sarà

quest’ultima e non più il ricorrente ad accollarsi le spese

giudiziali.

La nuova normativa introduce quindi per la prima volta nel

processo tributario la regola della soccombenza alle spese di

giudizio, in virtù della quale, appunto, il soccombente (ricorrente

17 M. ERSOCH, La riforma del nuovo contenziosa tributario, www.federnotizie.org/2000/marzo/ersoch.htm 18 L. DI VIZIO, A. GATTO, Spunti e riflessioni su alcuni istituti del processo tributario, op. cit.

o resistente, chiunque esso sia) è condannato al pagamento delle

spese processuali, secondo quanto stabilito dagli artt. 91, 92, 93,

94 e 97 c. p.c. .

La disciplina introdotta dal D.lgs. 546/92 non soltanto pone a

tutti gli effetti sullo stesso piano amministrazione fiscale e

contribuente, ma anche, impedisce che l’opinione e la personalità

di quest’ultimo resti relegata ai margini19.

Si assiste perciò ad una chiara apertura dell’amministrazione nei

confronti delle esigenze dei contribuenti. Questa flessibilità

dell’amministrazione fiscale si riflette sia nell’istituto della

conciliazione giudiziale che in quello dell’autotutela20.

In particolare, attraverso la conciliazione giudiziale è possibile

definire le controversie tributare con una procedura abbreviata,

che, accelerando i tempi di risoluzione delle stesse, si confà a

pieno ai criteri di efficacia, efficienza ed economicità , propri del

procedimento amministrativo.

L’ istituto della conciliazione che può essere chiesto

indistintamente da una delle due parti in causa (contribuente o

Ufficio finanziario) comporta la possibilità di concordare le

imposte ed ottenere la riduzione delle sanzioni amministrative

dovute, senza aspettare la conclusione del procedimento

19 Nell’interpretazione delle normativa propria del D.lgs 546/92 non si potrà non tener conto della modificazione dell’art. 111 della Costituzione in tema di “giusto processo”, in particolare per quanto riguarda l’obbligo del contraddittorio tra le parti e la loro sostanziale parità, il diritto alla prova e alla difesa, la terzietà l’imparzialità del giudice; nonchè dell’incidenza anche sul piano processuale dei nuovi principi generali dell’ordinamento tributario emanati con lo Statuto dei diritti del contribuente. 20 MEMENTO PRATICO, Ipsoa-Francis Lefebvre, edizione 2001, pag 1024 e ss.

giudiziale. La conciliazione può essere totale o parziale 21 , può

riguardare tutte le controversie di competenza delle Commissioni

tributarie e può aver luogo soltanto davanti alla commissione

provinciale e non oltre la prima udienza22. L’istituto

dell’autotutela23, già annoverato come strumento posto

soprattutto a favore del cittadino, consiste nel potere

dell’amministrazione finanziaria di annullare o revocare un atto

perché ritenuto privo di fondamento e legittimità24. Questo

istituto, in realtà, è proprio del diritto amministrativo in cui

l’autotutela è intesa come la capacità dell’ente “ di farsi ragione

da sé” per via amministrativa, appunto, e nel rispetto del

principio di legalità. Alla base del provvedimento di autotutela

deve porsi una “motivazione inerente a ragioni di pubblico

interesse”, dove per “pubblico interesse” deve intendersi, facendo

riferimento al principio costituzionale di “effettività della

capacità contributiva”25, la facoltà di considerare per ogni

contribuente, una modalità di pagamento ad hoc. Ciò vuol dire

che a ciascun contribuente potrà essere chiesto di pagare solo in

base alla propria capacità contributiva e non più di quanto

21 Nel primo caso si verifica l’estinzione del giudizio, nel secondo l’avvenuta conciliazione porterà all’estinzione della controversia limitatamente alla parte compresa nella proposta, che continuerà per la parte non considerata. La conciliazione giudiziale può essere conclusa sia in udienza che fuori udienza. 22 MEMENTO PRATICO, cit., pag. 1079 e ss. 23 Introdotta dal D.M. 37/97. 24 La fonte normativa dell’istituto dell’autotutela tributaria è l’atr. 2- quater del D.L. 564 del 30/9/94, convertito nella legge n. 656 del 30/11/94. Sulla base di tale disposizione è stato poi emanato un apposito decreto (D. M. n. 37 dell’ 11/2/97), che regolamenta l’esercizio del potere di autotutela da parte degli organi dell’amministrazione finanziaria . 25 Art. 53 della Costituzione.

effettivamente dovuto26. Gli atti sui quali gli Uffici possono

esercitare il potere di autotutela in ambito tributario sono: quelli

accertativi, quelli esecutivi, i dinieghi o i mancati rimborsi contro

i quali sarebbe stato ammissibile il ricorso del contribuente in

Commissione tributaria27.

L’autotutela è inoltre un istituto fortemente garantistico per gli

interessi dei privati, in quanto, oltre all’annullamento o alla

revoca, prevede anche la sospensione da parte

dell’amministrazione degli effetti dell’atto illegittimo. L’unico

limite all’azione di autotutela dell’amministrazione, per cui

diviene impossibile procedere all’annullamento d’ufficio o alla

rinuncia all’imposizione dell’atto, si verifica nel momento in cui

intervenga una sentenza passata in giudicato che sia favorevole

alla stessa amministrazione finanziaria e che sia pronunciata sul

merito del rapporto tributario cui inerisce l’atto che si vorrebbe

annullare28.

26 L. DI VIZIO, A. GATTO, op. cit. 27 Gli atti per cui è ammissibile l’autotutela sono espressamente indicati all’art. 19 c. 1 del Dlgs 546/92. Per quanto riguarda le ipotesi in cui è possibile l’autotutela, bisogna riferirsi a quanto espresso dall’art. 2 c. 1 del D.M. 11/2/97 n. 37. Esse sono: errore sul presupposto di imposta, errore di persona, evidente errore logico o di calcolo, mancata considerazione dei pagamenti di imposta regolarmente eseguiti, mancata documentazione successivamente sanata non oltre i termini di decadenza, sussistenza di requisiti per usufruire di deduzioni o regimi agevolativi precedentemente negati, errore materiale del contribuente facilmente riconoscibile dall’amministrazione. Al contrario non è suscettibile di annullamento o rinuncia all’imposizione, l’atto sul quale sia intervenuta una sentenza passata in giudicato a favore dell’amministrazione e per i motivi addotti dal giudice adito. Tuttavia per tali atti si deve tener presente che l’autotutela potrebbe ancora applicarsi nei casi previsti dall’art. 395 del c.p.c. , cioè quando spetta al contribuente il potere di impugnare per revocazione le sentenze con la conseguenza che l’amministrazione subirebbe quei danni anche economici che l’esercizio del potere di autotutela vuole evitare. 28 Circ. Min. 5 agosto 1998 n. 198/S

Altra innovazione fondamentale che segna un accordo preventivo

tra privati ed amministrazione, tale da evitare l’insorgere di un

contenzioso e promuovere la deflazione dei procedimenti

giudiziali in materia tributaria è l’istituto dell’accertamento con

adesione29. Attraverso questo istituto denominato anche

“concordato” si espleta una procedura di accertamento effettuato

in contraddittorio tra le parti, mediante la quale il contribuente

può concordare con l’ufficio un a maggiore imposta dovuta,

rispetto a quella determinata, traendone entrambi palesi benefici

in termini di celerità ed appagamento dei propri interessi30.

Alla luce di quanto detto, può affermarsi che il processo

tributario sia un giudizio di merito sul rapporto di imposta e non

sulla correttezza dell’operato dell’amministrazione finanziaria, la

quale potrà sempre di sua iniziativa, anche nell’esercizio della

sua potestà di autotutela, annullare, modificare o sostituire

l’atto31. Il legislatore ha quindi voluto sottolineare, attraverso

l’emanazione di nuove leggi, la necessità che lo scontro dialettico

– processuale tra la parte ricorrente e quella resistente, in

giudizio, debba avvenire in condizioni di assoluta parità.

Tutto ciò è ulteriormente ribadito anche dalle recenti disposizioni

contenute nello “Statuto dei diritti del contribuente”, il quale

inserisce nell’ordinamento il “principio di collaborazione” tra

29 L’istituto dell’accertamento con adesione è previsto dal D.lgs 218/97 art. 1 – Circ. Min. 8 agosto 1997 n. 235/E. A questo istituto di breve definizione delle liti tra privati è affiancato anche quello dell’ “acquiescenza” previsto sempre dal D. lgs 218/97 art. 15 30 AGENZIA DELLE ENTRATE, Il linguaggio del fisco –dizionario pratico dei termini tributari, pag. 4. 31 L. DI VIZIO, A. GATTO, op. cit.

amministrazione tributaria e cittadino contribuente32. Tale

principio rappresenta un’innovazione a 360 gradi in ambito

tributario che si ripercuote positivamente soprattutto sui privati,

pronti a beneficiarne anche quando si presenti la necessità di

esibire documenti non in loro possesso, ma detenuti

dall’amministrazione33.

La collaborazione tra privati e fisco si è affiancata ad un’altra

recente riforma della giurisdizione tributaria: l’ampliamento delle

fattispecie oggetto della sua stessa competenza34.

Le recenti riforme che hanno interessato il processo tributario ,

otre ad averne reso più semplice ed agevole la struttura, in modo

da imprimere maggiore velocità e speditezza allo svolgimento

dei procedimenti, hanno contribuito al consolidamento di

qualcosa di unico che difficilmente con la vecchia normativa

riusciva ad istaurarsi : il rapporto di fiducia tra contribuente ed

amministrazione. In particolare quest’ultima non è più

considerata come “aggressiva” verso i contribuenti, ma diventa

quasi una loro “alleata” manifestando tutto l’interesse a che si

realizzi al meglio il principio di correttezza nello svolgimento

del “giusto processo”.

32 Art. 10, L. 27/07/2000, n. 212 33 L. DI VIZIO, A. GATTO, op. cit. 34 Infatti l’art. 12 della legge finanziaria per il 2002, entrata in vigore dallo 01/01/2002, ha sostituito l’art. 2 del D.lgs n. 546/92 che individua appunto l’oggetto della giurisdizione tributaria.

RAPPORTO TRA PROCEDIMENTO PENALE E

TRIBUTARIO PRIMA E DOPO L’EMANAZIONE

DEL D.lgs 74/2000

Era inevitabile che la riforma iniziata nel processo tributario e

suggellata dall’emanazione del D.lgs 546/92 dovesse coinvolgere

anche il procedimento penale. E’ chiaro, infatti, come le due

giurisdizioni spesso si incontrino nella formulazione di capi

d’accusa che prevedano la commissione di fattispecie criminose

lesive degli interessi erariali. Se già negli anni ’80 il legislatore si

era cimentato nella creazione di una normativa atta a contrastare i

reati di natura tributaria, oggi, più che mai, alla luce di un sistema

economico globale, strutturato su una fitta rete di rapporti,

intercorrenti tra Stato, imprese e singoli cittadini, si è avvertita la

necessità di intensificare la lotta all’evasione fiscale, ma nello

stesso tempo di agire sulla struttura stessa dei procedimenti

penali tributari adeguandoli alle esigenze dei tempi. Per quanto,

infatti, il motore del sistema economico moderno si basi sulla

produttività ed incentivi la nascita di nuove imprese35, questa

complessa rete organizzativa necessita sempre più di serrati

controlli e di sistemi repressivi posti contro gli svariati fatti

d’evasione di imposta che, proprio da qui traggono linfa vitale.

La categoria dei crimini lesivi degli interessi erariali diventa

35 A. CAUSATI, L’elusione ed il sistema tributario, INTRANET, DRE Lombardia.

quindi fitta e sedimentata, inquadrandosi conseguentemente,

come la causa principale della proliferazione dei procedimenti

giudiziali aventi come oggetto i reati fiscali36. Perché questi

ultimi potessero efficacemente essere contrastati era necessario

che il legislatore elaborasse una normativa tale, non solo da

imprimere celerità alla sentenza, avvalorandone il principio

deflativo, ma anche da poterne inquadrare quasi

“chirurgicamente” i reati, suo oggetto, che fossero

effettivamente lesivi dell’interesse fiscale ed applicarvi di

conseguenza l’appropriata sanzione penale.

L’innovazione normativa doveva servire anche per dirimere i

dubbi che la precedente legge aveva fatto sorgere in capo al

rapporto di dipendenza che legava procedimento penale e

tributario. Il primo tentativo del legislatore di regolamentare la

tanto vasta quanto ostica materia dei reati tributari avvenne

attraverso il titolo I del D.lgs. 429/82 convertito nella legge

516/82. L’emanazione della normativa su cui erano incentrati

tutti i buoni propositi inerenti alla possibilità di riuscire a far

fronte all’evasione (tanto che alla stessa legge venne attribuito

l’appellativo d’effetto di “Manette agli evasori”)37, già da subito

iniziò a mostrare le prime falle che si ripercossero

inesorabilmente sulla struttura procedurale e sanzionatoria dei

36 A. COCCOBELLI, La nuova disciplina dei reati tributari: un primo sguardo d’insieme, www.altalex.com/data00/000412_coccobelli.htm 37 B. SECHI, riforma dei reati tributari: più pregi che difetti, www.frodicagliari.it/dlgs-74-avv-sechi.html

reati. La legge 516/82 infatti, finì per avere in ambito normativo

esclusivamente una “funzione simbolica”38 lasciando impunite le

condotte di evasione più gravi e focalizzando l’attenzione quasi

unicamente su fattispecie contravvenzionali, dove, oltre a non

esservi l’effettiva lesione del bene giuridico tutelato, non

sussisteva nemmeno dolo nella sua forma più attenuata di “dolo

eventuale”39. Tale normativa, basandosi sul dolo generico,

prevedeva la punibilità dei cosiddetti “reati prodromici”, ovvero

di tutte le condotte che si ponevano in una condizione di

strumentalità rispetto ad una futura evasione40. A questo punto le

condotte criminose risultavano collocate su un piano

d’astrattezza rispetto alla materiale, concreta violazione degli

interessi erariali41. Questa impostazione normativa si cristallizzò

intorno ad una pletora di ipotesi criminose, identificate come tali

da un metodo prettamente casistico e punite con pene piuttosto

miti, che garantivano in molti casi la cosiddetta “oblazione

discrezionale”, cioè l’estinzione del reato attraverso il pagamento

di una somma di danaro prima dell’apertura del dibattimento o

38 R. DE ANGELIS, Osservazioni sui nuovi reati tributari di cui al d.lgs 24/2000, www.penale.it/commenti/deangeliseffrem_01.htm 39 Circolare n. 114000 del Comando Generale della Guardia di Finanza, 14 aprile 2000, nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, www.gdf.it/stampa/contrib/riforma_reati_trib.htm 40 Circolare n. 154/E del Ministero delle Finanze, 4 agosto 2000, Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, www.pianetafiscale.it/includefile/reati.html 41 A. COCCOBELLI, La nuova disciplina dei reati tributari: un primo sguardo d’insieme, cit.

del decreto di condanna42. Essendo inoltre, molte di tali ipotesi

previste in forma contravvenzionale, risultavano punibili anche a

titolo colposo, senza che il soggetto avesse dimostrato una

particolare pervicacia nell’illecito, ma magari fosse stato

semplicemente negligente nell’informarsi sui termini, ad.

esempio, di presentazione di una dichiarazione dei redditi o non

avesse avuto particolare cura nella redazione delle scritture

contabili o, addirittura, fosse stato indotto in errore per una

sbagliata interpretazione delle norme da parte del proprio

commercialista43. In realtà questa vasta miriade di fattispecie

suscettibili di punibilità, non faceva altro che invadere i tribunali

e di conseguenza gli stessi reati tributari davano vita a

procedimenti lunghi e dispendiosi che, una volta conclusi,

difficilmente portavano ad un risultato soddisfacente né dal

punto di vista repressivo, né da quello generalpreventivo44. Nel

grande calderone normativo della legge 516/82 si collocava

anche un orientamento dottrinale giuridico che fu oggetto di

numerose critiche: il rapporto di pregiudizialità tra processo

penale e tributario.

La legge “manette agli evasori” entrando in vigore, aveva portato

l’abrogazione della precedente disciplina sui reati tributari in

vigore dal 192945. A suo tempo la disciplina del 1929 aveva

segnato un primo passo verso l’individuazione dei principi che

42 Art. 162- bis c.p. 43 A. COCCOBELLI, op. cit. 44 A. COCCOBELLI, op. cit. 45 Legge n. 4 del 1929.

avrebbero per più di sessant’anni regolamentato la materia, anche

perchè, prima della sua stessa emanazione, erano reputate

suscettibili di sanzioni penali, esclusivamente le condotte di

contrabbando46. La normativa dettata dalla legge del 1929

introdusse per la prima volta i principi di fissità, ultrattività e

pregiudiziale tributaria che rimasero in vigore fino

all’emanazione della legge 516/82. In particolare è necessario far

riferimento al principio della pregiudiziale tributaria che,

successivamente fu oggetto di innumerevoli critiche dottrinali47.

La legge n. 4 del 1929, nell’introdurre il concetto di

“pregiudiziale tributaria”, stabilì la necessità di previa

definizione della causa in tutti i suoi, allora quattro, gradi di

giudizio in sede tributaria, prima che la stessa passasse al vaglio

del giudice penale48. Tale disposizione giuridica, se da un lato era

causa di un eccessivo dilazionamento dei tempi d’inizio del

processo penale, dall’altro, di contro, possedeva un innegabile

vantaggio per lo svolgimento di una funzione estremamente

selettiva in ordine alle condotte di evasione (in questo senso

infatti arrivavano all’attenzione del giudice penale soltanto le

“evasioni certificate”caratterizzate da un’eccessiva lesione del

bene giuridico tutelato)49 .

46 R. DE ANGELIS, Osservazioni sui nuovi reati tributari di cui al D.lgs 74/2000, cit. 47 M. G. COLACICCO, Depenalizzazione dei reati tributari e doganali, www.insa-italia.com/DOTTRINA/Colacicco_Depenalizzazione.htm 48 R. DE ANGELIS, op. cit. 49 R. DE ANGELIS, op. cit.

Attraverso la formulazione della legge 516/82 il legislatore

avrebbe voluto annullare le lungaggini dei processi, abolendo la

procedura della “pregiudiziale tributaria” inserita

nell’ordinamento dalla precedente legge n. 4 del 1929. L’

“efficientismo sanzionatorio” previsto dal legislatore dell’ 82

non si realizzò anzi, a causa delle previsioni relative alla nuova

disciplina introdotta dalla legge 516, precedentemente trattate, si

incrementò il fenomeno dell’intasamento delle sentenze in

ambito giudiziale50 . Nonostante fosse avvenuta l’abrogazione

della vecchia “pregiudiziale tributaria” regolamentata dalla

normativa del ’29 , nella disciplina introdotta dalla legge 516/82

continuava a persistere una forte influenza tra procedimento

penale e tributario. La pregiudizialità delle due categorie

giudiziali era fortemente radicata nell’art. 12 della legge 516 51

dove era esplicitamente sancito che l’esito della sentenza penale

passata in giudicato sarebbe stato condizionante per la situazione

del contribuente anche in ambito amministrativo fiscale. Tutto

ciò stava a significare che un’assoluzione ricevuta in ambito

penale avrebbe comportato l’estensione della medesima anche

nei confronti dell’amministrazione fiscale. In realtà la volontà di

raccordare le due discipline derivava dalla grande importanza

che il legislatore attribuiva alla sfera penale. La giurisdizione

penale era considerata di una rilevanza tale da spingere il

50 M. G. COLACICCO, Depenalizzazione dei reati tributari e doganali,cit. 51 Oggi l’art. 12 e tutto il titolo I della legge 516/82 è stato abrogato dal D.lgs 74/2000

legislatore a considerare come legittima la subordinazione del

processo tributario all’esito definitivo delle pronunce penali

stesse. La situazione apparentemente chiara, lasciava trasparire

profonde incongruenze normative strutturali che spesso

sfociavano in dubbi dottrinali. Gli interrogativi sulla bontà o

meno della norma che presupponeva la pregiudizialità tra

processo penale e tributario, prendevano corpo dopo l’esame

della struttura propria dei due ambiti disciplinari. Se infatti nel

procedimento penale le fattispecie probatorie ammissibili sono

svariate e vanno dalla prova testimoniale e dal giuramento alla

prova documentale, nel processo tributario l’unica prova

consentita in giudizio è quella documentale, dato che

nell’accertamento dei fatti sia il giuramento che la prova

testimoniale ricoprirebbero scarso valore52. Alla luce

dell’acquisizione di tali limiti probatori, è spontaneo chiedersi

come, nonostante possa preesistere il rischio di considerare come

legittime prove dissimili nei due diversi procedimenti, tra questi

ultimi esista, a prescindere da ciò, un legame di pregiudizialità.

Alle incongruenze proprie della legge 516 si cercò di ovviare

elaborando nuove normative che contrastassero in modo più

efficace e definitivo i reati tributari. Questo iter giuridico è stato

percorso a piccoli passi dal legislatore che, gradualmente ed in

varie tappe ha saputo dare una svolta definitiva al problema di

52 Rapporti con il sistema sanzionatorio amministrativo e tra procedimenti, www.camerapenale-bologna.org/legislazioni/reati_tributari/segue_rel_dlvo_74, cit.

definizione dei reati tributari e di svolgimento del “giusto

processo”. Le leggi che “prepararono il terreno” per

l’introduzione finale del D.lgs 74/2000, che, a sua volta,

completò la riforma dei reati tributari, furono la legge 151 e la

472 del 97. In particolare, attraverso la legge 151/97 si era posta

in essere un’opera di depenalizzazione della maggior parte delle

condotte considerate non lesive in maniera rilevante del bene

tutelato53. La ratio legis della normativa stava nell’intento del

legislatore di traslare l’attenzione dalla punibilità delle svariate

fattispecie “prodromiche”(previste dalla legge 516/82), soltanto

astrattamente idonee per realizzare una successiva evasione, alla

sanzionabilità di un ristretto numero di comportamenti di natura

esclusivamente delittuosa, tutti caratterizzati da dolo specifico

finalizzato ad evadere le imposte e tutti correlati ad un effettivo

danno degli interessi dell’erario54. Un’altra fondamentale norma

che costellò l’ iter giuridico di riforma delle sanzioni, stavolta a

carattere amministrativo, per la violazione di norme tributarie e

che si caratterizzò come propedeutica per l’emanazione del D.lgs

74/2000, fu il D.lgs 472 del 18 dicembre 1997 (e successivi

decreti correttivi e modificativi)55. Il merito maggiore del D.lgs

472/97 fu l’introduzione del principio di “personalità” della

sanzione. In base a questo principio, la sanzione si intende

sempre riferita alla persona fisica che materialmente abbia

53 R. DE ANGELIS, op. cit. 54 Circolare n. 154/E del Ministero delle Finanze, cit. 55 T. BRACCO, La riforma delle sanzioni tributarie, INTRANET, DRE Liguria.

commesso la violazione o abbia concorso a commetterla56. In

forza di tale principio, la norma ribadisce come la sanzione stessa

risulti intrasmissibile agli eredi del destinatario 57. Il presupposto

sanzionatorio si cristallizza quindi attorno alla figura del soggetto

trasgressore, dando vita ad un modello normativo

“personalistico” da cui sono derivati altri fondamentali principi

quali: il favor rei58, la retroattività favorevole59 e la soglia di

punibilità individuata nei quattordici anni60. E’ importante

accennare anche alla riforma parziale che avvenne prima

dell’emanazione del D.lgs 472/97, precisamente nel 1991 e che

costituì una grande occasione perduta per cominciare a “porre

mano” al vecchio sistema penale tributario, in modo da renderlo

idoneo a perseguire un obiettivo di tutela, orientato a

criminalizzare efficacemente ed effettivamente il fenomeno

dell’evasione fiscale. L’obiettivo della riforma era, cioè, la

creazione di un sistema penale che non affidasse la sua

razionalità e la sua deterrenza alla “penalizzazione a tappeto” ma,

al contrario, facesse della selettività descrittiva di pochi

comportamenti il fulcro della sua capacità di risposta, in termini

di repressione reale, certa e spedita61. Attraverso tale riforma si

restrinse l’ambito di applicazione della contravvenzione

56 T. BRACCO, La riforma delle sanzioni tributarie, cit. 57 Art. 8, D.lgs. 472/97. 58 Art. 3 c.3, D.lgs. 472/97. 59 Art. 3 c.2, D.lgs. 472/97. 60 Art. 4, D.lgs 472/97. 61 E. MUSCO, La riforma del diritto penale tributario, www.gdf.it/Sitorivista/Anno%201999/Rivista%206-1999/ARTICOLI05Musco.htm

concernente l’omessa o irregolare tenuta delle scritture contabili,

individuando specificamente e tassativamente i registri soggetti a

questo tipo di tutela. Ancora, si rivisitarono le violazioni del

sostituto d’imposta cosi’ da evitare la rilevanza penale del

semplice ritardo nel versamento delle ritenute operate. Tuttavia,

si eliminarono soltanto alcune violazioni formali e si intervenne

su alcuni aspetti, a dire il vero, non così determinanti62. Il

risultato fu che la riforma non risolse effettivamente i problemi

dell’ingorgo che si era creato nel mondo giudiziario e che, anzi

era andato crescendo negli anni. Il capolinea dell’innovazione

normativa si raggiunse invece con l’emanazione del D.lgs

74/2000. Frutto di lunghi ed approfonditi studi condotti per la

ricerca di istituti normativi tali da incidere in modo risolutivo sul

sistema sanzionatorio penale- tributario fu, appunto, la

formulazione della legge 25/06/99, tradotta successivamente nel

suddetto D.lgs 74/2000. Tale norma ha attuato profonde riforme

strutturali istituendo una nuova ed innovativa disciplina dei reati

in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto. Prima di

addentrarsi nell’esplicazione dei nuovi concetti giuridici

introdotti, è necessario sottolineare come, attraverso il D.lgs

74/2000, il legislatore abbia voluto non soltanto ridisciplinare la

normativa interna, ma soprattutto adeguarsi agli standard

normativi europei. I recenti e sofferti traguardi raggiunti dal

legislatore italiano attraverso l’introduzione di una legge che

62 E. MUSCO, La riforma del diritto penale tributario, cit.

colpisca le condotte comportamentali atte a danneggiare

gravemente il bene giuridico, rappresentato dalla lesione degli

interessi erariali, erano infatti, già da tempo parte integrante di

molti ordinamenti europei, tra cui quello tedesco, dove tali

presupposti erano considerati diritto vivente già dal codice del

193063. Il nuovo sistema normativo introdotto dal D.lgs 74/2000,

63 E. MUSCO, La riforma del diritto penale tributario, cit.: “ E’ importante affrontare un’analisi comparatistica sulla legislazione tributaria di altri paesi Ue. In Germania, appunto, fin dal 1931, la Reichsabgabeordnung ha sostituito le varie fattispecie penali, fino ad allora “sparse” in vari provvedimenti legislativi speciali, con poche fattispecie generali. Perno centrale del diritto tributario tedesco è comunque l’evasione fiscale (art. 370 AC) in senso sostanziale. E’ infatti, considerata tale la sottrazione commissiva od omissiva del pagamento tributario che consenta di ottenere ingiustificati vantaggi di natura fiscale per sé o per terzi. Una particolarità del diritto penale tributario tedesco è rappresentata dalla c.d. “autodenuncia” con conseguente diritto del contribuente a non essere sottoposto a sanzioni penali. Naturalmente per avvalersi di tali benefici, devono ricorrere una serie di circostanze: assenza di indagini e di controlli, non deve esserci la pendenza di un procedimento per violazioni simili, il contribuente non deve avere la consapevolezza dell’illiceità penale della propria condotta. In Francia la frode fiscale costituisce un delitto e consiste, sostanzialmente nella sottrazione fraudolenta (anche tentata) di imposte all’erario. Gli elementi che caratterizzano tale delitto sono: l’omissione volontaria della dichiarazione, la dissimulazione di base imponibile soggetta ad imposta, l’insolvenza fraudolenta e, più in generale, ogni altro comportamento fraudolento. E’ interessante rilevare che il procedimento penale è subordinato al conforme avviso di una “Commission des infractions fiscales” alla quale l’amministrazione ha l’obbligo di rivolgersi. Il sistema britannico prevede in questo settore sanzioni penali solo per quelle condotte connotate da frode o malafede. E’ il caso ad esempio della falsità in scritture contabili, della frode finalizzata ad un indebito vantaggio economico o all’evasione fraudolenta dell’ Iva. Nei Paesi Bassi le fattispecie penali possono suddividersi in due categorie, in base alla loro gravità. Costituiscono, in particolare reati meno gravi l’omessa tenuta di scritture contabili e le condotte di ostacolo all’accertamento, sanzionati con l’ammenda o con l’arresto. Appartengono invece alla seconda categoria, i reati di falsità, sanzionati con la reclusione. E’ interessante inoltre rilevare l’esistenza del principio di specialità, in base al quale per una medesima violazione l’applicazione di sanzioni amministrative preclude l’irrogazione di quelle penali e viceversa. E’ poi prevista una sorta di ravvedimento concernente le c.d. “correzioni volontarie” che consente al contribuente di evitare l’incriminazione purché le integrazioni avvengano antecedentemente ai controlli dell’amministrazione finanziaria. Infine, per quanto riguarda il Belgio, alla pena pecuniaria si applica congiuntamente la sanzione detentiva nel caso in cui le violazioni siano commesse con dolo ovvero con “l’intenzione di infliggere un danno” .Un ulteriore caso di sanzione penale è rappresentato dalla falsificazione fraudolenta della documentazione, sia ai fini delle imposte sui redditi, sia ai fini Iva. Costituiscono poi un valido deterrente e pertanto sono molto utilizzate una serie di sanzioni accessorie, tra cui ad esempio l’interdizione di esercizio diretto o indiretto di qualunque attività commerciale o professionale nel territorio belga. Tali misure

quindi, si permea su un ristretto numero di fattispecie di reato,

accomunate dalla natura delittuosa e connotate sia da una

rilevante capacità di offesa degli interessi erariali che dal fine

dell’evasione (dolo specifico) sotto il profilo psicologico64. La

rivalutazione del principio di offensività ha comportato uno

spostamento in avanti del momento in cui il reato si perfeziona,

individuandolo nella presentazione della dichiarazione annuale ai

fini delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto; di

conseguenza rispetto alla precedente disciplina, hanno perso

rilevanza penale ex se le ipotesi, tra l’altro, di omesse fatturazioni

o annotazioni dei corrispettivi e di irregolare tenuta delle scritture

contabili. In tale contesto la repressione delle violazioni di

carattere formale resta confinata in ambito amministrativo.

Inoltre, le diverse ipotesi di reato prevedono delle soglie di

punibilità in modo tale da limitare l’intervento penale ai soli

illeciti economicamente significativi65. Il fulcro del nuovo

sistema penale tributario ruota intorno a tre fondamentali

tipologie di condotte criminose: la dichiarazione fraudolenta , la

dichiarazione infedele e l’omessa dichiarazione66. Ad esse si

aggiungono figure “collaterali” comunque di rilevante attitudine

riguardano anche i consulenti: è infatti prevista la chiusura dell’ufficio o l’interdizione dell’esercizio dell’attività nel caso in cui il consulente commetta una violazione tributaria di particolare gravità. Quindi, sia pure in un panorama piuttosto variegato, in Europa, il fulcro, l’obiettivo del legislatore penale tributario è quello di colpire condotte fraudolente idonee a conseguire l’evasione sostanziale. Le violazioni formali appartengono di norma alla sfera amministrativa e non rilevano ai fini penali”. 64 Circolare del Comando Generale della Guardia di Finanza n. 114000, del 14/04/2000, cit. 65 Circolare del Ministero delle Finanze n. 154/E, cit. 66 Circolare del Ministero delle Finanze n. 154/E, cit.

lesiva: l’emissione di fatture o altri documenti per operazioni

inesistenti al fine di consentire a terzi l’evasione; l’occultamento

o la distruzione di documenti contabili in modo da non consentire

la ricostruzione dei redditi o del volume d’affari; la sottrazione

alla riscossione coattiva delle imposte mediante il compimento di

atti fraudolenti su propri o altrui beni67. Il delitto costituito dalla

dichiarazione fraudolenta si espleta mediante l’uso di fatture o

altri documenti per operazioni inesistenti. La frode è costituita

dall’utilizzazione, in sede di dichiarazione delle fatture o di altri

documenti falsi68. In concreto la dichiarazione annuale mendace

consiste nell’ indicazione di elementi passivi fittizi e deve essere

supportata dalle corrispondenti documentazioni contabili, che,

per presunzione legale, ingenerano nell’Amministrazione

finanziaria l’errore nella funzione di accertamento del reddito69.

Ai fini della punibilità le fatture false devono essere registrate

nelle scritture contabili obbligatorie o conservate dall’autore ai

fini probatori nei confronti dell’amministrazione. Il fine di

evadere le imposte ricomprende inoltre la volontà ben precisa del

soggetto di ottenere un rimborso non dovuto o il riconoscimento

di un fittizio credito d’imposta, anche se a beneficio di terzi70. In

particolare all’art. 1 del D.lgs 74/2000 è ricondotta al dolo

specifico, come ipotesi sanzionabile, anche la condotta dolosa

67 Circolare del Ministero delle Finanze n. 154/E, cit. 68 B. SECHI, Riforma dei reati tributari: più pregi che difetti, www.tidona.com/pubblicazioni/febbraio01_2.htm 69 B. SECHI, Riforma dei reati tributari: più pregi che difetti, cit. 70 A. COCCOBELLI, La nuova disciplina dei reati tributari: un primo sguardo d’insieme, cit.

per assicurare ad altri la realizzazione dell’evasione di imposta71.

La figura delittuosa della “dichiarazione fraudolenta mediante

altri artifizi”(art. 3), contemplata dalla nuova normativa, si

discosta dalla precedente per i seguenti elementi aggiuntivi: la

falsa rappresentazione contabile o mendacità contabile (che

consiste nella indicazione di elementi passivi fittizi o/e elementi

attivi inferiori a quelli reali) e la condotta fraudolenta, tenuta

dall’autore della violazione ed atta ad ostacolare

l’amministrazione nella sua funzione di accertamento della

predetta mendacità 72. Insomma, tutti i suddetti artifizi contabili

devono essere idonei ad indurre in errore l’amministrazione

fiscale nella sua funzione di accertamento. La differenza tra le

suddette ipotesi (art. 3) e la previsione dell’art. 2 del D.lgs

74/2000 sta nel fatto che, mentre in quest’ultimo è sancito che la

mendacità debba essere supportata da fatture false, l’art.3 implica

che la stessa mendacità possa scaturire da comportamenti seguiti

secondo modalità sistematiche73. Un’altra fattispecie di reato

contemplata dalla nuova normativa è la “dichiarazione

infedele”(art. 4) . Questa ipotesi implica che nella dichiarazione

annuale siano annoverate delle indicazioni false per ciò che

71 Nella realtà, infatti, è molto diffusa la figura del prestanome o delle società (c.d. cartiere), che svolgono il preciso ruolo di “coprire”l’evasione fiscale altrui . 72 B. SECHI, Riforma dei reati tributari: più pregi che difetti, cit. 73 Infatti sulla base delle indicazioni della relazione governativa al D.lgs di riforma e della circolare n. 114000 del Comando generale della Guardia di Finanza, le violazioni meramente formali, quali l’omessa fatturazione, le omesse registrazioni nei libri contabili, la irregolare tenuta di libri contabili, pur non concretando fatti di reato, costituiscono mezzi fraudolenti ai sensi dell’art.3, qualora vengano commesse in modo sistematico, nell’ambito di un più ampio disegno diretto alla evasione delle imposte.

concerne gli elementi attivi (che devono essere inferiori a quelli

effettivi) o gli elementi passivi fittizi. Rispetto alle figure di

reato precedentemente esposte, l’ipotesi di cui all’art. 4 non

costituisce una manifestazione fraudolenta della volontà del

reo74, dato che la norma non indica tra gli elementi del delitto, la

fraudolenza o mezzi fraudolenti nella condotta75. Non si tratta

assolutamente di una dimenticanza da parte del legislatore, ma di

una precisa scelta di politica di diritto criminale, tesa a

disciplinare, con minor rigore repressivo, le ipotesi residuali di

dichiarazioni mendaci, poiché esse non sono considerate come

connotate da una particolare “insidiosità”, altamente lesiva della

funzione di accertamento dell’amministrazione e dell’interesse

erariale76. Anche la condotta di omessa presentazione della

dichiarazione annuale costituisce reato; tuttavia in questo caso si

evince un punto di discontinuità, per quanto riguarda il limite

sanzionatorio, tra la nuova e la vecchia disciplina. Infatti, mentre

secondo la legge 516/82 la punibilità per omessa dichiarazione

era subordinata ad un ammontare di ricavi non inferiore alla

somma di cinquanta milioni, l’odierno D.lgs 74/2000 prevede per

la medesima ipotesi delittuosa una condizione di punibilità

rappresentata dal superamento della soglia pari a 150 milioni per

ogni singola imposta77. Una tematica molto “spinosa” sotto il

profilo tecnico è posta dall’art. 7 del D.lgs 74/2000. Infatti, ai

74 B. SECHI, op. cit. 75 B. SECHI, op. cit. 76 B. SECHI, op. cit. 77 MEMENTO FISCALE, a cura di Ipsoa-Francis Lefevbre, edizione 2001, pag. 1148 e ss.

sensi di tale articolo, non concretizzano i reati di dichiarazione

fraudolenta ex art. 3 e di dichiarazione infedele ex art. 4, le

rilevazioni contabili effettuate in difformità ai criteri di

determinazione dell’esercizio di competenza, ma sulla base di

metodi costanti di impostazione contabile; inoltre non presentano

rilevanza penale quelle rilevazioni e valutazioni estimative

effettuate secondo criteri indicati nel bilancio78. E’ necessario

precisare che le rilevazioni contabili e le valutazioni estimative

possono costituire un’arma molto sottile utilizzata allo scopo di

impedire all’amministrazione finanziaria l’attività di

ricostruzione della posizione reddituale, e, quindi, di ledere

l’interesse fiscale79. Da ciò, in linea generale, e in virtù di una

lettura più approfondita dell’art. 7 si può affermare che il

legislatore consideri le rilevazioni contabili e le valutazioni

estimative illegittime, sorrette da dolo di evasione, secondo una

presunzione legale iuris tantum (ad eccezione, ai sensi dell’art. 7

c. 2, delle valutazioni estimative che singolarmente considerate

differiscono in misura inferiore al 10% da quelle corrette, per cui

è esclusa la punibilità)80. Infatti, la norma prevede l’esclusione

della rilevanza penale delle predette rilevazioni qualora siano

state effettuate o “sulla base di metodi costanti di impostazione

78 Circolare della Direzione Generale delle entrate della Lombardia- Ministero delle Finanze- n. 9 del 24/3/2000, Favor rei: le prime istruzioni sulla depenalizzazione di talune violazioni, www.finanzeefisco.it/Articoli/2000/depen/dre9.pdf 79 V. CARDONE, La disciplina della prescrizione dei nuovi reati tributari, www.penale.it/document/cardone_01.htm 80 B. SECHI, op. cit.

contabile” o secondo criteri che siano “stati comunque indicati

nel bilancio”. Il legislatore ha quindi escluso l’“insidiosità” della

condotta, qualora il medesimo autore “manifesti” con le modalità

antecedentemente esposte il percorso della sua condotta

irregolare. In tal modo, l’amministrazione tributaria dovrebbe

essere in grado di esercitare correttamente la propria funzione di

accertamento fiscale, proprio sulla base dei criteri realmente

seguiti dall’autore; ne consegue che la condotta così tenuta,

sarebbe, pertanto, incompatibile con una volontà fraudolenta81.

Importante rilevanza è data alle disposizioni contemplate dall’art.

8. Tale articolo disciplina l’emissione di fatture o altri documenti

per operazioni inesistenti. Ad una prima lettura la norma

sembrerebbe reintrodurre un tipico reato prodromico a carattere

meramente formale rispetto alla dichiarazione e parrebbe dunque

sancire un ritorno alle previsioni della precedente legge 516/82.

In realtà lo stesso legislatore suppone, secondo la regola

dell’esperienza, che la documentazione contabile mendace,

supportata dal dolo specifico di evasione, verrà, con molta

probabilità, utilizzata in sede di dichiarazione dei redditi da parte

del soggetto “beneficiario” dell’emissione82. Sulla base di queste

constatazioni, non può più parlarsi di reato prodromico o di reato

di mero pericolo astratto, ma di un fatto che crea realmente le

condizioni concrete affinché l’evasione possa realizzarsi83.

81 A. COCCOBELLI, op.cit. 82 B. SECHI, op. cit. 83 B. SECHI, op. cit.

Tuttavia la nuova normativa considera come un solo reato

l’emissione o il rilascio di più fatture false. La ratio di tale scelta

sta nel fatto che la “lesività” della condotta debba focalizzarsi

non sul numero di fatture emesse, ma sul comportamento

dell’autore, unitariamente considerato84. Un importante istituto

deflativo delle sentenze introdotto dal D.lgs 74/2000 è da

ricercarsi nel suo art. 15. Quest’ultimo intitolato “Violazioni

dipendenti da norme tributarie” prevede una ipotesi di errore di

diritto scusabile ai sensi dell’art. 5 c.p.85 . La formula

giustificativa dell’errore di diritto è ampia in quanto la normativa

sancisce la non punibilità della violazione di norme tributarie

che dipendono da “obiettive condizioni di incertezza sulla loro

portata e sul loro ambito di applicazione”; in più stabilisce che

“l’obiettiva incertezza della norma e della sua applicazione

esclude a priori la colpevolezza”86. Il problema è stabilire quando

la predetta incertezza è caratterizzata dall’elemento di obiettività,

richiesta dalla legge. Secondo l’orientamento della

giurisprudenza (che si cimenta nell’interpretazione dell’art. 5

c.p.), è scusabile l’errore o l’ignorantia legis, quando il cittadino

abbia assolto al massimo il dovere di informazione giuridica ed a

causa “di un comportamento positivo degli organi amministrativi

o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale

l’agente abbia tratto il convincimento della correttezza

84 B. SECHI, op. cit. 85 B. SECHI, op. cit. 86 B. SECHI, op. cit.

dell’interpretazione normativa e conseguentemente della liceità

del comportamento tenuto”87. È fondamentale trattare un

ulteriore aspetto del D.lgs 74/2000 che segna un altro punto di

discontinuità con la precedente legge 516/82. Tale aspetto si

permea sull’armonizzazione tra sanzione penale ed

amministrativa (art. 19). La nuova disciplina sancisce infatti che,

nel caso in cui un medesimo fatto è punito sia da una

disposizione penale che amministrativa, si applica la disposizione

speciale. Viene così ribaltata l’opposta regola della cumulabilità

della sanzione penale e di quella amministrativa stabilita

espressamente dall’art. 10 della legge 516/8288. La nuova

normativa sui reati tributari si ricollega dunque all’art. 15 c.p., il

quale è espressione del principio di specialità ed implica

l’applicabilità della sanzione che, contenendo tutti gli elementi

dell’alta, presenti uno o più elementi particolari aggiuntivi

(elementi specializzanti)89. L’art. 20 regola i rapporti tra

87 Corte costituzionale, sentenza n. 364/88, in www.frodicagliari.it/dlgs_74_avv_sechi.htm 88 Così per esempio, se un contribuente, pur essendovi obbligato, non presenta la dichiarazione ei redditi ed evade la relativa imposta per un ammontare superiore a lire 150 milioni, si dovrebbero astrattamente applicare due disposizioni: quella prevista dall’art. 1 del D.lgs n. 471 del 1997 e quella di cui all’art. 5 del D.lgs n.74 del 2000. In applicazione del principio di specialità opererà, in concreto, la sola norma penale, considerato che nella stessa si rinvengono elementi caratterizzanti (dolo specifico, superamento delle soglie di punibilità, ecc.)non richiesti dalla norma che prevede la sanzione amministrativa. 89 Nella cornice degli accolti principi di specialità e di autonomia, si sono introdotte, per converso, speciali regole procedurali intese ad evitare che le intersezioni dei due sistemi provochino comunque un rallentamento dei tempi applicazione delle sanzioni. Occorre considerare, per vero, che l’appartenenza d’una data violazione all’area dell’illecito penale, piuttosto che a quella dell’illecito amministrativo, è in funzione di elementi (superamento soglie, dolo specifico di evasione, ecc.) la cui sussistenza, anche a fronte delle allegazioni difensive dell’imputato, potrebbe ovviamente rimanere esclusa all’esito del procedimento penale (questo potrebbe concludersi per esempio con l’accertamento che la contestata omissione della dichiarazione dei redditi sussiste, ma non è punibile come reato perché al di

procedimento penale e processo tributario sulla base del principio

di autonomia degli stessi. Si ribadisce, dunque la completa

autonomia reciproca delle due sfere di azione (il c.d. doppio

binario), escludendo qualsiasi pregiudizialità o vincolo

sospensivo tra i diversi contesti90. Anche in questo caso si

registra una netta inversione di rotta rispetto alla legge 516/82

dove, nel suo art. 12, prevedeva che la sentenza penale passata in

giudicato condizionasse la posizione del soggetto nei confronti

della giustizia tributaria. Da ciò scaturisce che, sia l’attività di

accertamento degli Uffici finanziari, sia i processi soggetti

all’analisi delle Commissioni tributarie, si sviluppino in modo

parallelo, indipendentemente dall’esito del processo penale

vertente sui medesimi fatti91. La ratio di questa scelta si ricollega

inoltre all’impostazione di fondo della riforma che, introducendo

le soglie di punibilità ragguagliate all’ammontare dell’imposta

evasa (art. 3, 4, 5), ha comportato l’onere per l’Autorità sotto della soglia di evasione o non qualificata da dolo). In tale situazione, se di fronte a violazioni ritenute integrative di reato l’amministrazione finanziaria dovesse senz’altro sospendere il procedimento di irrogazione delle sanzioni amministrative (in quanto inapplicabili sulla base del principio di specialità), salvo poi riavviarlo in caso di assoluzione o proscioglimento dell’imputato con sentenza definitiva, si aprirebbe, in coda al processo penale, una nuova fase suscettiva di sviluppi in sede contenziosa. Ad evitare ciò la norma prefigura un meccanismo che consente all’amministrazione finanziaria di determinare subito le sanzioni amministrative astrattamente applicabili per le violazioni fatte oggetto di notizia di reato: sanzioni la cui concreta eseguibilità nei confronti dei soggetti ritenuti penalmente responsabili resta comunque soggetta alla condizione sospensiva che essi vengano assolti o prosciolti in via definitiva con formula che esclude la rilevanza penale del fatto. In tal modo, fermo restando il principio di unicità della sanzione (nella specie solo amministrativa), viene salvaguardata la capacità di pronta risposta, e dunque, l’efficacia dissuasiva del sistema. 90 Circolare del Ministero delle Finanze n. 154/E, cit. 91 Rapporti con il sistema sanzionatorio amministrativo e tra procedimenti, www.camerapenale-bologna.org/legislazione/reati_tributari/segue_rel_dlvo_74, cit.

Giudiziaria di verificare la posizione fiscale del contribuente per

accertare di conseguenza nella propria sede e con gli strumenti

penal-processuali di rito, il quantum di tributi non dichiarati92.

Per evitare quindi che in questa delicata fase procedimentale

filtrassero influenze e condizionamenti esterni, il legislatore ha

optato per la separazione e l’autonomia degli ambiti giudiziali

penale e tributario, evitando così la dilatazione dei tempi

decisionali delle sentenze e soprattutto dando enfasi al rispetto

delle profonde differenze esistenti tra le regole probatorie

ammesse nei due procedimenti ed assolutamente non esportabili

sic e simpliciter dall’uno all’altro93. Tuttavia, l’abrogazione,

attuata dalla nuova disciplina, dell’art. 12 (legge 516/82) non

affossa definitivamente la possibilità di mantenere un legame tra

processo penale e tributario. Il punto di raccordo tra le due sfere

giudiziali, opacizzato dall’affermazione del principio del “doppio

binario”, ritorna a galla facendo perno sull’art. 654 c.p.p. , che

non esclude la pregiudizialità tra ambito penale e tributario, a

patto che non si verifichino limitazioni relative alla prova della

posizione soggettiva controversa94. Ciò sta a significare che

92 B. SECHI, op. cit. 93 E. MUSCO, La riforma del diritto penale tributario, cit. 94 Prot. N. 51640_01/2000, del 27/06/01, Efficacia del giudicato penale nel processo tributario, INTRANET, DRE Piemonte : “In relazione all’efficacia del giudicato penale nel processo tributario si registra l’orientamento della Cassazione sez. V, che con sentenza 2728 del 24/02/01 ha evidenziato che l’efficacia vincolante del giudicato penale nel giudizio civile o amministrativo è subordinata, ai sensi dell’art. 654 c.p.p., alla duplice condizione che il giudicato stesso sia fatto valere nei confronti di chi abbia partecipato al giudizio penale e che la legge civile non ponga limiti alla prova del diritto controverso. In buona sostanza la Cassazione ha ribadito la differenza tra giudizio penale e giudizio tributario, visto che il secondo esclude, ad esempio, il ricorso alla testimonianza e consente un largo utilizzo di presunzioni con conseguente inefficacia del giudicato penale che sia

l’unico caso in cui la sentenza penale passata in giudicato

potrebbe influenzare la sfera tributaria, si realizza nel momento

in cui nei due procedimenti siano considerate legittime ed

ammissibili gli stessi indizi probatori. Il verificarsi di questa

ipotesi è però, in realtà, molto rara dato che in campo tributario

sussiste per legge l’inammissibilità probatoria sia del giuramento

che della prova testimoniale (art. 7, c. 4, D.lgs 546/1992).

basato su determinazioni non compatibili con i principi generali dell’ordinamento tributario”.

CONCLUSIONI

Attraverso l’emanazione del D.lgs 74/2000 il legislatore italiano,

reimpostando radicalmente la normativa dei reati tributari, ha

creato solide fondamenta su cui impostare un’efficace strategia di

contrasto all’evasione fiscale. Sarebbe importante focalizzare

l’attenzione su un passaggio essenziale della riforma normativa

attuata. Tra le tante innovazioni suggellate dal D.lgs 74/2000

emerge una chiara risoluzione del rapporto controverso che

legava la sfera giuridica penale a quella tributaria. Rapporto a cui

nemmeno la legge 516/82 aveva saputo imprimere una giusta

regolamentazione. Infatti, la norma più comunemente nota come

“manette agli evasori” nel suo art. 12 prevedeva un vincolo di

pregiudizialità tra il processo penale e quello tributario che

faceva perno sulla res iudicata propria dello stesso procedimento

penale95. Il fatto che la sentenza penale passata in giudicato

potesse in qualche modo condizionare la posizione soggettiva

della parte nei confronti dell’amministrazione tributaria, si

scontrava col palese limite delle fattispecie probatorie

considerate legittime e valevoli per ciascun processo. Lì dove nel

procedimento penale le prove ammissibili in giudizio variano

dalla fattispecie documentale a quella testimoniale ed al

giuramento, in ambito tributario la valenza delle prove si riduce e

95 A. COCCOBELLI, La nuova disciplina dei reati tributari: un primo sguardo d’insieme, www.altalex.com/data00/000412_coccobelli.htm

si focalizza esclusivamente intorno a quelle di natura

documentale. La soluzione a questo “paradosso giuridico” che

stabiliva la pregiudizialità tributaria incondizionata verso la res

iudicata penale, a prescindere da qualsiasi discrepanza relativa

all’ammissibilità probatoria propria di ciascun procedimento, è

stata fornita dal nuovo D.lgs 74/2000. la normativa, adeguandosi

ai tempi, ha palesato il chiaro intento del legislatore di dare

slancio alla disciplina dei reati tributari, in modo da imprimere

maggiore efficacia e celerità ai vari processi che su di essi sono

incentrati. Oltre a promuovere il principio di deflazione delle

sentenze, l’ordinamento si è gradualmente avvicinato ed aperto

alle esigenze dei contribuenti, cercando di inserire nel

meccanismo dei procedimenti per reati tributari elementi di

maggiore giustizia e precisione. Tenendo conto del limite

costituito dalla prova soggettiva controversa, infatti il D.lgs

74/2000 ha istituito tra i due ambiti giudiziali, penale e tributario,

il principio del “doppio binario” che crea un parallelismo tra i

rispettivi procedimenti giuridici; questi ultimi, in base a tale

orientamento disciplinare, imboccano sentieri ben distinti e

separati in ambito processuale. Si attua in tal modo la concreta

salvaguardia dell’autonomia degli oggettivi limiti di ogni singolo

giudizio e delle relative pronunce96. Si ricorda comunque che il

legame tra settore giudiziale penale e tributario persiste e si

permea sull’art. 654 c.p.p. il quale non esclude che l’influenza 96 R. DE ANGELIS, Osservazioni sui nuovi reati tributari di cui al d.lgs 24/2000, www.penale.it/commenti/deangeliseffrem_01.htm

della res iudicata in ambito penale si estenda a quello tributario

se entrambi i procedimenti ammettano come legittime le stesse

fattispecie probatorie97. Tuttavia questa circostanza si rivela assai

rara, in quanto la realtà giuridica mostra la profonda difficoltà di

superare le divergenze probatorie ammesse dai due procedimenti.

Di conseguenza è legittimo domandarsi se le disposizioni

introdotte dalla nuova normativa in forza dell’affermazione del

“doppio binario” trovino o meno reale applicazione.

Effettivamente la grande enfasi attribuita dall’ordinamento alla

disciplina penale, nonostante risulti ormai assimilato il principio

di autonomia, tra le differenti sfere giuridiche, difficilmente

porterà il giudice tributario ad agire prescindendo completamente

dall’esito della sentenza penale stessa. Con ciò si vuole

sottolineare la grande importanza che il legislatore italiano

attribuisce alla giurisdizione penale che, nella pratica, anche

contrariamente alla norma scritta, potrebbe comunque

influenzare la condotta comportamentale del giudice tributario

che, a sua volta, si trovi ad interagire con il procedimento penale

in questione. Altro dubbio che nasce in vista della nuova

disciplina sui reati tributari riguarda l’obiezione che la nuova

normativa possa assumere un ruolo per così dire

“permissivistico” nei confronti di chi commetta infrazioni

minori. A questo proposito è necessario ricordare come il D.lgs

74/2000, a differenza della precedente legge 516/82 focalizzi

97 R. DE ANGELIS, Osservazioni sui nuovi reati tributari di cui al d.lgs 24/2000, cit.

l’attenzione sulle condotte realmente lesive degli interessi

erariali, sposando a pieno così la teoria del dolo specifico.

Alcune fattispecie comportamentali minori, le cosiddette

“condotte prodromiche”, ovvero soltanto astrattamente mirate a

realizzare l’evasione, hanno perso infatti rilevanza nella nuova

disciplina dove non sono più considerate come reati. Un esempio

più esplicativo verte intorno alla fattispecie che prevede

l’utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti. Questa ipotesi

segna una discontinuità tra legge 516/82 (art. 4 lett. d) che la

classificava come reato e l’attuale D.lgs 74/2000 che ne esclude

tale configurazione98.

La Corte di Cassazione si è pronunciata su questo argomento

appoggiando la tesi interpretativa secondo cui “le condotte di

utilizzazione di fatture o altri documenti per operazioni

inesistenti prodromiche o strumentali rispetto alla fraudolenta

indicazione di elementi passivi fittizi in una delle dichiarazioni

relative all’imposta sui redditi o sul valore aggiunto, supportata

da tali fatture o documenti, non sono più, di per sé previste dalla

legge come reato”99. In questo senso, di recente si è pronunciata

la Commissione tributaria regionale del Lazio secondo cui il

comportamento che implica l’utilizzo di fatture false in banca

non sarebbe identificabile come reato100. Sicuramente se da un

98 Cass. 3 luglio 2000, n 7589, in Circolare amministrativa del 27/12/2002, n 88 99 Circolare del 27/12/2002 n. 88. 100 A. FELICIONI, G. RIPA, Fatture false in banca non è reato, in ITALIAOGGI, ed. 27/11/2003, “La presentazione in banca di fatture per operazioni inesistenti per l’accredito delle corrispondenti ricevute bancarie non integra il reato di frode fiscale; ciò perché non

lato si sia ben delineata l’intenzione del legislatore di “sgravare”

l’insieme delle condotte contemplabili come reati, dall’altro si è

evidenziato l’intento di isolare e punire i comportamenti

considerati realmente lesivi degli interessi fiscali. La nuova

normativa punta così sulla sanzionabilità penale delle fattispecie

inequivocabilmente dolose e recanti grave pregiudizio all’erario.

Il legislatore imprime dunque non permissività, ma certezza alla

norma penale che colpisce poche ma gravi condotte sottese dalla

sussiste il dolo specifico di evasione in quanto il comportamento è semplicemente diretto ad ottenere un illegittimo credito senza ledere gli interessi erariali. E’ questa la conclusione cui giunge la sez. 39 della Commissione tributaria regionale del Lazio che, con sentenza n. 448/39/03 pronunciata il 29 ottobre scorso e depositata il 21 novembre , ha accolto il ricorso di un contribuente che richiedeva l’annullamento della sentenza di primo grado inerente ad una controversia scaturita da un avviso di rettifica ai fini Iva….”. per quanto riguarda la decisione presa “ I giudici romani ripercorrendo l’evoluzione della normativa penale tributaria in ordine all’emissione o all’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti arrivano agevolmente all’accoglimento del ricorso del contribuente. E infatti vengono analizzate dapprima le disposizioni del previdente art. 4 lett. d) ed f) della legge 516/82 e successivamente la vigente disciplina di cui al D.lgs 74/2000. così il regime sanzionatorio previdente scindeva le ipotesi delittuose nella semplice utilizzazione delle fatture e nella più complessa frode fiscale ; la lett.d) dell’art. 4 qualificava come delitti i fatti di utilizzazione di fatture ideologicamente falsificate per operazioni in tutto o in parte inesistenti connotati da un dolo specifico di evasione e dalla lesione dell’interesse al corretto applicarsi della funzione di accertamento. La lett.f) a sua volta prevedeva la frode fiscale costituita dall’indicazione nella dichiarazione annuale dei redditi, ricavi, proventi o componenti negativi in misura diversa da quella effettiva mediante l’utilizzo di documenti attestanti fatti materiali non corrispondenti al vero. E’ chiaro che le due ipotesi sono sostanzialmente diverse in quanto contraddistinguono situazioni diverse in ordine alla condotta, all’oggetto materiale del reato e alla natura dello stesso. Ora però il nuovo art. 2 del D.lgs 74/2000 ha profondamente rimodulato la previsione delittuosa introducendo l’unico reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti che, nella sostanza, configura la condotta illecita solo al momento della presentazione della dichiarazione annuale nella quale sono trasfusi i documenti falsi. Ciò perché è a tale momento che l’utilizzo delle fatture e degli altri documenti si concretizza nel dolo specifico di evasione e provoca un danno all’erario; tutte le altre condotte prodromiche che avrebbero potuto configurare utilizzo ai sensi della precedente lett.d) dell’art.4 non possono più essere perseguite. Nel caso di specie si tratta di ricevute bancarie negoziate essenzialmente per ricorrere al credito bancario in misura maggiore rispetto a quella spettante; i documenti utilizzati per tale illecito comportamento, non possono costituire però né evasione fiscale, né danno all’erario. In tal modo non c’è nessun elemento che possa collegare direttamente le ricevute bancarie all’emissione di fatture fiscali per operazioni inesistenti, dovendosi, in assenza di prove concrete, ritenere che le ricevute configurino semplicemente un atto interno per i fini di cui sopra”.

chiara volontà del trasgressore di frodare il fisco (dolo specifico)

e non semplicemente da una opinabile intenzione101. La

inequivocabile intenzione di trasgredire sarà supportata dalla

presenza della prova materiale102. È importante ribadire come la

nuova disciplina faccia pressione su due fondamentali punti: la

certezza dei reati e la celerità dei procedimenti. Con la nuova

disciplina sui reati tributari insomma il legislatore italiano ha

conseguito una duplice vittoria: da un lato ha ottenuto la

“professionalizzazione” dei procedimenti penali tributari con

tutte le conseguenze positive che ne scaturiscono (in termini

processuali maggiore chiarezza, celerità, efficacia ecc.), dall’altro

un maggiore avvicinamento alle esigenze dei contribuenti che

trovano proprio nello svolgimento del “giusto processo “ il reale

soddisfacimento dei propri interessi.

101 B. SECHI, riforma dei reati tributari: più pregi che difetti, www.frodicagliari.it/dlgs-74-avv-sechi.html 102 B. SECHI, riforma dei reati tributari: più pregi che difetti, cit.

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FONTI GIURISPRUDENZIALI

Cass. 3 luglio 2000, n 7589, in Circolare amministrativa del 27/12/2002, n 88. Corte Costituzionale, sentenza n. 364/88, in www.frodicagliari.it/dlgs_74_avv_sechi.htm

Commissione tributaria regionale del Lazio, sentenza n. 448/39/03 pronunciata il 29 ottobre 2003, in ITALIAOGGI, ed. 27/11/2003.

INDICE

Premessa……………………………………pag. 1 Il processo tributario: Incongruenze e superamento del D.P.R. 636/72…………………………..pag. 5 Rapporto tra procedimento penale e tributario prima e dopo l’emanazione del D.lgs. 74/2000 ……………………………………………..pag. 16 Conclusioni………………………………..pag. 38 Bibliografia………………………………..pag. 44