Ramon - Verberatio Parentis e Ploratio

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SACERTÀ E REPRESSIONE CRIMINALE IN ROMA ARCAICA a cura di LUIGI GAROFALO ESTRATTO J OVENE EDITORE 2013

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  • SACERT E REPRESSIONE CRIMINALE

    IN ROMA ARCAICA

    a cura di

    LUIGI GAROFALO

    E S T R A T T O JOVENE EDITORE 2013

  • DIRITTI DAUTORE RISERVATI

    Copyright 2013

    ISBN 978-88-243-2298-0

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    Printed in Italy Stampato in Italia

  • ALBERTO RAMON

    VERBERATIO PARENTIS E PLORATIO

    SOMMARIO: 1. Note introduttive. 2. Osservazioni sulla dottrina in tema diverberatio parentis. 3. Prima proposta interpretativa: la ploratio comediscrimen fra lesercizio dello ius vitae ac necis e la messa a morte del-lhomo sacer. 4. Seconda proposta interpretativa: la ploratio come con-trarius actus rispetto al rito di ingresso del puer e della nurus nellafamiglia.

    1. Note introduttive.

    Il presente saggio teso a indagare il motivo per cui le legesregiae, comminanti la sacert del puer e della nurus colpevoli diverberatio parentis, richiedessero per il perfezionamento dellaconsecratio capitis la pronuncia della ploratio: uninvocazionedella cui natura si spesso discusso in dottrina pur senza perve-nire a risultati condivisi1.

    1 Con riferimento alla sacert, v. il saggio di C. PELLOSO, Sacert e garanzie pro-cessuali in et regia e proto-repubblicana, in questo volume, con la bibliografia corre-lata; fondamentali sono tuttavia P. VOCI, Diritto sacro romano in et arcaica in SDHI,XIX, 1953, passim; S. TONDO, Il sacramentum militiae nellambiente culturale romano-italico, in SDHI, XXIX, 1963, passim; G. BASSANELLI SOMMARIVA, Proposta per unnuovo metodo di ricerca nel diritto criminale (a proposito della sacert), in BIDR,LXXXIX, 1986, 367 ss.; B. ALBANESE, Sacer esto, in BIDR, XCI, 1988, passim; R.FIORI, Homo sacer, Dinamica politico-costituzionale di una sanzione giuridico-religiosa,Napoli, 1996, passim; E. CANTARELLA, I supplizi capitali. Origine e funzioni delle penedi morte in Grecia e a Roma, Milano, 2011, 287 ss.; G. CRIF, Problemi dellaqua etigni interdictio, in Lesclusione dalla citt. Altri studi sullexilium romano, Perugia,1985, 31 ss.; L. GAROFALO, Sulla condizione di homo sacer in et arcaica, in SDHI, L,1990, 223 ss. (ora in Appunti sul diritto criminale nella Roma monarchica e repubbli-

  • Il riferimento a questa fattispecie sacrale si rinviene in Festo,che conserva la notizia di due leggi risalenti a diverse fasi del pe-riodo monarchico: la prima allepoca della co-reggenza di Ro-molo e Tito Tazio e, la seconda, alla monarchia di Servio Tullio:

    Fest. voce Plorare (Lindsay 260): plorare, flere [inclamare]nunc significat, et cum praepositione implorare, id est invocare:at apud antiquos plane inclamare. In regis Romuli et Tatii le-gibus: si nurus , sacra divis parentum estod. InServi Tulli haec est: si parentem puer verberit, ast olle ploras-sit paren, puer divis parentum sacer esto. Id est cla-marit, dix.

    Risulta, anzitutto, evidente che la voce nel segmento riguar-dante la nurus giunta a noi incompleta, mancando del tutto ilriferimento alla condotta punita con la sacert divis parentum: la-cuna che la dottrina pressoch maggioritaria ha ritenuto di col-mare valorizzando il collegamento con lanaloga disposizioneserviana, che si riferisce per lappunto alla verberatio del parens,seguita dal plorare di questultimo2.

    cana3, Padova, 1997, 1 ss. [da dove si cita], e in Studi sulla sacert, Padova, 2005, 13ss.); ID., Homo sacer e arcana imperii, in Studi sulla sacert, cit., 75 ss.; ID., Homo li-ber et homo sacer: deux archtypes de lappartenance, in RHDFE, LXXXVII, 2009,317 ss.; B. SANTALUCIA, Diritto e processo penale nellantica Roma2, Milano, 1998, 7 ss.;ID., Altri studi di diritto penale romano, Padova, 2009, 12 ss., 117 ss., 139 ss., 163 ss.;F. ZUCCOTTI, In tema di sacert, in Labeo, XLIV, 1998, 417 ss.; ID., Giuramento collet-tivo e leges sacratae, in Studi per G. Nicosia, VIII, Milano, 2007, 511 ss.; ID., Dallar-caica sacert consuetudinaria alla sacert politica protorepubblicana, in Studi in onore diG. Melillo, III, Napoli, 2010, 1549 ss.; G. AGAMBEN, Homo sacer. Il potere sovrano ela nuda vita, Torino, 1995, 79 ss.; C. SANTI, Alle radici del sacro. Lessico e formule diRoma antica, 2004, passim; L. GAGLIARDI, Luomo sacro, in Lantichit. Roma, Milano,2012, 295 s.

    2 V., in tema, T. TRINCHERI, Le consacrazioni di uomini in Roma. Studio storico-giuridico, Roma, 1889, 63; M. VOIGT, ber die leges regiae, in Abhandlungen der phi-lologisch-historischen Classe der Kniglich Schsischen Gesellschaft der Wissenschaften,VII, 1876, 600 ss. (il quale ha suggerito di considerare sacra la nuora che fosse venutain contrasto con la suocera). Inoltre, T. MOMMSEN, in C.G. BRUNS - O. GRADENWITZ,Fontes iuris Romani antiqui7, Tubingae, 1909, 7 s., nt. 6, ha avanzato una differentericostruzione del frammento (in regis Romuli et Tatii legibus haec est: si parentem puer

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  • Ci detto, appare imprescindibile, al fine di un preliminareinquadramento delle disposizioni sacrali in commento, chiarirelesatta portata del sostantivo parens, il cui significato va, a miocredere, circoscritto a quello di paterfamilias, il familiare di sessomaschile non avente pi in vita alcun ascendente maschio in li-nea retta: precisazione, questa, tanto pi necessaria a fronte del-laccezione ampia che il vocabolo assume, ad esempio, in Gai. 23ad ed. prov. D. 50.16.513.

    La rottura della pax deorum4, infatti, era un evento gravidodi conseguenze cos rilevanti che difficilmente avrebbe potutoconseguire a delle percosse inflitte dal puer e dalla nurus a unagnato o cognato qualsiasi, dovendosi pi probabilmente riferireallestremo atto di insubordinazione compiuto nei confronti delcapo del gruppo familiare da parte di una persona sottoposta alladi lui potestas, in qualit di discendente diretto o di moglie del fi-glio5. Lo stato di empiet che avvolgeva lhomo sacer separato

    verberit, ast olle plorassit parens, puer divis parentum sacer estod. id est clamarit. adici-tur: si nurus, sacra divis parentum estod in Servii Tulii), ora accolta da B. ALBANESE,Sacer esto, cit., 151 s., e R. FIORI, Homo sacer, cit., 188.

    3 Gai. 23 ad ed. prov. D. 50.16.51 Appellatione parentis non tantum pater, sedetiam avus et proavus et deinceps omnes superiores continentur: sed et mater et avia etproavia. Deve evidenziarsi, daltro canto, che proprio Gaio in molteplici passi delle In-stitutiones utilizza il sostantivo parens nel senso qui inteso di paterfamilias: in specialmodo, vedasi Gai. 2.142; 2.157; 2.158; 2.181; 3.2; 3.58; 3.65; 3.66.

    4 Con riferimento alla pax deorum, cfr. P. VOCI, Diritto, cit., 48 ss.; M. SORDI,Pax deorum e libert religiosa nella storia di Roma, in La pace nel mondo antico, Mi-lano, 1985, 146 ss.; E. MONTANARI, Tempo della citt e pax deorum: linfissione delclavus annalis, in Mito e storia nellannalistica romana delle origini, Roma, 1990, 85ss., R. FIORI, Homo sacer, cit., 101 ss.; F. SINI, Uomini e dei nel sistema giuridico-reli-gioso romano: pax deorum, tempo degli dei, sacrifici, in Diritto @ Storia, I, 2002; ID. Di-ritto e pax deorum in Roma antica, in Diritto @ Storia, V, 2006; C. SANTI, Alle radici,cit., 63 ss.

    5 R. QUADRATO, Hominis appellatio e gerarchia dei sessi. D. 50.16.152 (Gai. 10ad l. Iul. et Pap.), in BIDR, XCIV-XCV, 1991-1992, 342, per il quale Gaio traccia unquadro ampio, formatosi progressivamente, attraverso successive aggregazioni, sicchil non tantum sarebbe lindizio di una concezione antica, che identificava il parenscon il paterfamilias: il parens per antonomasia, in unaccezione che stenta a scompa-rire. Nello stesso senso, cfr. A. MORDECHAI RABELLO, Effetti personali della patria po-testas, Milano, 1979, 41 e 295; B. SANTALUCIA, Diritto, cit., 8 s. e 12; F. ZUCCOTTI, In

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  • dalla comunit di appartenenza per evitare che la medesima siinfettasse con la sua pollutio non poteva che dipendere da unacondotta avente una forte intensit offensiva, tale da riuscire acompromettere lamicitia con le divinit6: come, per lappunto, laviolazione della potestas del pater, capo del modello familiare ar-caico, noto questultimo per i suoi spiccati caratteri di pote-stativit e patriarcalit.

    A ben vedere, che la violazione dellequilibrio cosmico tra ilgruppo familiare e gli di inferi risalisse proprio alloffesa infertaal paterfamilias tecnicamente inteso7 deducibile financo dalfatto che la verberatio scatenasse la vendetta dei divi parentum,da intendersi come di Manes, cio gli antenati che, dopo lamorte, rimanevano in rapporto con il gruppo dorigine, svol-gendo la funzione di vindici e garanti dellordinamento della fa-miglia8. Ora, se i membri della domus riconoscevano esclusiva-

    tema, cit., 423 e 453; C. PELLOSO, Studi sul furto nellantichit mediterranea, Padova,2008, 150. Contra, T. TRINCHERI, Le consacrazioni, cit., 63; B. ALBANESE, Sacer esto,cit., 152, nt. 21; P. MAROTTOLI, Leges sacratae, Roma, 1973, 95, nt. 2; R. FIORI, Homosacer, cit., 187 ss. (secondo cui lambito della norma pu essere ampliato fino a ri-comprendere tutti gli ascendenti e discendenti, maschili e femminili). A maggior ra-gione, da escludersi che il termine parens, versato nel contesto qui oggetto di studio,possa assumere la medesima accezione propria di Paul.-Fest. voce Masculino (Lind-say 137), l dove il vocabolo indica entrambi i genitori (masculino genere parentem ap-pellabant antiqui etiam matrem): ipotesi che contrasterebbe con lindiscusso almenoa partire dallet monarchica predominio della figura paterna allinterno della fami-glia romana; cfr. P. DE FRANCISCI, Primordia civitatis, Roma, 1959, 140, nt. 201, ove sichiarisce che la familia romana esclusivamente patriarcale. Le tracce di concezionimatriarcali, risalenti a strati culturali preindoeuropei, che troviamo in Roma, riguar-dano soltanto il mondo religioso. Nel campo sociale e giuridico il sistema patriarcaleha eliminato qualsiasi segno di un precedente regime matriarcale, che invece ha la-sciato tracce nel mondo iberico.

    6 Sullaccostamento dellhomo sacer allimpius, v. in special modo F. ZUCCOTTI, Intema, cit., 448; ID., Dallarcaica sacert, cit., 1560 ss.

    7 Ci non vuole significare, tuttavia, che la verberatio fosse di per s sufficientealla caduta in sacert delloffensore, essendo alluopo necessaria anche linvocazionedelloffeso: sul carattere complesso della norma sacrale in commento, v. infra, 2.

    8 S. TONDO, Il sacramentum, cit., 34; dello stesso avviso, P. VOCI, Diritto, cit.,59; P. DE FRANCISCI, Primordia, cit., 142 s. e 290; C. GIOFFREDI, Diritto e processo nelleantiche forme giuridiche romane, Roma, 1955, 15, nt. 38.

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  • mente in capo alla figura carismatica del pater una potenza nu-minosa tanto da rispettarlo al pari di una divinit, poich talesarebbe divenuto al momento della morte, subendo un accresci-mento di quella forza magico-religiosa di cui era dotato gi invita , deve ritenersi che solo loltraggio rivolto al medesimoavesse la forza di scatenare lira degli antenati defunti, nella cuicerchia lo stesso doveva ricomprendersi, seppur solo in potenza9.

    9 Sul tema, v. P. DE FRANCISCI, Primordia, cit., 152, per cui la posizione del pa-ter allinterno della familia gli deriva dalla credenza nella potenza di colui che lin-carnazione del genius, generatore del gruppo che di padre in figlio ne assicura la con-tinuit: il pater animato da unenergia misteriosa e produttiva che gli assicura unin-discutibile situazione di preminenza, inattaccabile dai membri del gruppo; v. anche S.TONDO, Il sacramentum, cit., 40. Di certo, quanto detto assumerebbe maggior valoreinterpretando come io credo il riferimento alla verberatio in senso estensivo, com-prendendovi non solo la semplice fustigazione, ma pi in generale ogni azionevolta a mettere in discussione il potere del padre allinterno della familia: e ci nellapiena consapevolezza che lesatta etimologia del termine non aiuta a dilatarne il signi-ficato oltre lutilizzo violento delle verghe (verbero ha chiaramente il significato dibatto con le verghe, maltratto, in quanto tratto da virbas, verga, a sua volta originatoda ver, ramo, primavera: G. SEMERANO, Le origini della cultura europea, II.2, Firenze,1994, 608 s.). Tuttavia, la tradizione giuridica pu fornire elementi utili a comprendereil valore simbolico che la verberatio assumeva nello stadio primevo della societ ro-mana, allorquando le virgae fungevano da strumento attraverso il quale il padre punivai sottoposti, il mezzo esclusivo di attuazione dello ius corrigendi domestico, tanto chele fruste erano comparabili, per valore evocativo, ai fasci littori della civitas, simbolodellimperium del rex e in seguito del magistrato (v., sullargomento, E. TASSI SCAN-DONE, Verghe, scuri e fasci littori. Contributi allo studio degli insigna imperii, Pisa-Roma, 2001, passim). Specialmente per coloro che credono (e mi riferisco in partico-lare a U. COLI, Regnum, in SDHI, XVII, 1951) che la civitas abbia assimilato molti ele-menti dalla familia, e viceversa, in un continuo scambio di valori e simboli tra dueistituzioni coeve e indipendenti tra loro (parallele, per usare la terminologia dellau-tore), non stupisce certo che nei fasci littori, rappresentanti il potere regale, fosseropresenti la securis, la scure con la lama verso lesterno, e le virgae, le verghe di olmo edi betulla utilizzate per flagellare il condannato prima della decapitazione: due diversisimboli tenuti assieme da una cinghia di colore rosso, a riconoscimento dellautorit dipater populi impersonata dal rex, titolare di quello ius gladi cos fortemente richia-mante lo ius vitae ac necis. Agli occhi delle genti romane, abituate fin dalla nascita asottostare allautorit assoluta del pater, pi che la securis, dovevano essere perci levirgae a infondere rispetto e sottomissione. Quindi, non credo di allontanarmi moltodal vero nellaffermare che il riferimento al verberare del puer e della nurus contro ilcapo della domus significasse non solo arrecare unoffesa fisica al padre, ma soprat-

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  • innegabile, del resto, che la struttura sintagmatica delleleges regiae in commento contrapponga il puer (da intendersicome filiusfamilias) e la nurus (vale a dire la moglie del filiusfa-milias, entrata a far parte del gruppo domestico del marito in se-guito al matrimonio10) alla figura del parens, richiamando cos ilrapporto tra i soggetti alieni iuris sottoposti alla altrui autorit eil paterfamilias stesso: ragion per cui risulta davvero difficile pen-sare che il soggetto passivo della verberatio non fosse il detentoredella patria potestas, ma semplicemente uno tra gli omnes supe-riores11.

    tutto compiere un grave affronto allautorit paterna, un tentativo di usurparne il po-tere sul gruppo familiare. Se cos interpretata, dunque, la verberatio avrebbe racchiusoin s una pesante violazione dei doveri familiari, tale da apparire come unazione vio-lenta posta in essere dal sottoposto per sostituirsi al paterfamilias: situazione richia-mante il capovolgimento dei ruoli sociali, che i romani non esitavano a perseguire conle pi feroci pene (nel senso in cui verber vada interpretato in modo diverso dal sem-plice fustigare, v. B. ALBANESE, Sacer esto, cit., 154, il quale discorre di un genericocomportamento violento; B. SANTALUCIA, Diritto, cit., 8, ove parla di violenze del fi-glio contro il genitore e della nuora contro il suocero; infine, F. ZUCCOTTI, In tema,cit., 424, secondo cui sembra un po riduttivo tradurre [verber] con uno sbrigativofustigare).

    10 V., da ultimo, A. MAIURI, Sacra privata. Rituali domestici e istituti giuridici inRoma antica, Roma, 2013, 49, l dove, oltre a richiamare Gai 1.114, 1.115b, 1.117,viene riportata anche lopinione di S. PEROZZI, Istituzioni di diritto romano, I, Roma,1928, 327, secondo cui entrata nella nuova famiglia, la donna vi loco filiae, se mo-glie al paterfamilias; loco neptis, se moglie a un suo figlio. Il paterfamilias aveva origi-nariamente su di essa gli stessi poteri che sopra i figli. Dello stesso avviso, E. CANTA-RELLA, I supplizi, cit., 154.

    11 R. FIORI, Homo sacer, cit., 187, include (cfr. sopra, nt. 5) entro il concetto diparens tutti gli ascendenti maschili e femminili, compresi lavus e il proavus, confe-rendo al termine il medesimo significato esplicitato nella nota definizione gaiana ri-portata in D. 50.16.51: in questo senso, sarebbe stato sacer non solo il soggetto alieniiuris colpevole di violenze verso il pater per antonomasia, ma chiunque avesse offesoun proprio ascendente. Ora, attribuire a parens un significato che non tenga conto delrapporto di patria potestas a cui il puer e la nurus erano assoggettati pare discutibile an-che alla luce dei risultati raggiunti da autorevoli ricerche di demografia sociale, chehanno mostrato attraverso lanalisi delle antiche iscrizioni funerarie come in uncaso su quattro un filiusfamilias approdasse al primo matrimonio ancora alieni iuris: inparticolare, data lusanza dei romani di contrarre le nozze piuttosto tardi, tra i venti-cinque e i trentanni, e unelevata mortalit maschile negli ultracinquantenni, si ipo-tizzato che, in quel particolare momento della vita, risultassero ancora sottoposti alla

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  • Infine, opportuno svolgere alcune brevi considerazionisullultimo periodo del frammento in esame, vale a dire sullinte-grazione proposta dal Lindsay (Id est clamarit, dix), la quale allude al fatto che tramite il plorare si compisseuna formale diei dictio: lintimazione solenne rivolta allaccusatodi comparire a una data certa dinanzi allassemblea popolare, so-litamente pronunciata dal magistrato cittadino con la specificaenunciazione dellimputazione contestata e della pena ritenutacongrua12.

    Il riferimento alla fase prodromica degli iudicia populi, ri-guardante la proposizione dellaccusa, risente senza dubbio del-linfluenza di quellorientamento dottrinale che considera neces-sario un giudizio criminale per il costituirsi dello status di homosacer, quasi che si trattasse sic et simpliciter di una pena per undelitto comune inflitta dai cives riuniti in assemblea.

    Come si avr modo di chiarire nel prosieguo del presentesaggio, per, tale corrente di pensiero deve intendersi superata infavore della prospettiva secondo cui la sacert discendesse inmodo automatico dalla commissione dello scelus inexpiabile, in

    patria potestas solo un terzo degli uomini di rango senatorio e un quinto degli altri uo-mini, i quali addivenivano a iustae nuptiae in et ancor pi tarda rispetto ai compo-nenti della classe sociale pi agiata (R. SALLER, Mens age at marriage and its conse-quences in the Roman family, in Class. Phil., LXXXII,1987, 21 ss.; studio oggetto dianalisi da parte di E. CANTARELLA, Famiglia romana e demografia sociale, in IURA,XLIII, 1992, 99 ss.). Pertanto, il fatto che un genitore dovesse raggiungere i ses-santanni prima di poter vedere un nipote ex filio porta a ritenere che i singoli nucleifamiliari di rado contassero diverse generazioni sottoposte allautorit dellanziano pa-triarca, il quale difficilmente almeno per il periodo pi antico raggiungeva lo sta-tus di avus o, perfino, di proavus: il che consiglia di circoscrivere il significato di parensal fine di espungere da esso gli agnati pi distanti. Difatti, al tempo in cui le leges re-giae furono emanate, sarebbe stato gi difficile che un pater vivesse cos a lungo da riu-scire a esercitare il proprio potere domestico sopra i nipoti: a fortiori sarebbe statodavvero improbabile che godesse di una longevit tale da mantenere la patria potestasnei riguardi di quei nipoti aventi la forza fisica necessaria per compiere una verberatio,cio unoffesa talmente efferata da portare alla compromissione della pax deorum.

    12 B. SANTALUCIA, Diritto, cit., 84 s., che fornisce anche un esauriente inventariodelle fonti in tema di diei dictio.

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  • modo che nella fattispecie in discussione il puer e la nurus en-trassero in potestate deorum in forza della semplice verberatio,seguita dallinvocazione del parens malmenato. Donde lesigenzadi abbandonare lintegrazione testuale in precedenza riportata, alfine di proporne una scevra da ogni riferimento al giudizio cri-minale, piuttosto volta a valorizzare linvocazione rivolta agli dioltraggiati da parte delloffeso13.

    Sicch parrebbe pi aderente allarcaico significato del sa-cer esto una ricostruzione del segmento mancante cos formu-

    13 Interessanti appaiono le considerazioni svolte sulla voce Plorare da M. MO-RANI, Noterella festiana. A proposito di ploro, in Aevum, I, 1990, 78 ss., il quale com-pie una incisiva analisi filologica circa le integrazioni operate dal Lindsay nella pubbli-cazione, avvenuta lanno 1913 nella Biblioteca Teubneriana, del codice recante il testodel lessicografo latino rinvenuto per opera di Manilio Rallo. In riferimento al testodelle due leges regiae, che il manoscritto presenta come di Romolo e Tito Tazio in re-lazione alla nurus e di Servio Tullio in relazione al puer , lo studioso ritiene evi-dente che la seconda legge debba seguire la prima dal punto di vista sia logico, checronologico; levento del figlio che percuote il genitore rappresenta il caso generale:il caso della nuora che percuote uno dei suoceri rappresenta unestensione particolaredel primo, e richiede quindi lesistenza di una norma che commina questa particolareforma di maledizione rappresentata dalla formula sacer esto al giovane che abbia per-cosso il padre o la madre. Cosicch il testo riguardante le percosse inferte al parens,sempre secondo il Morani, deve essere attribuito a unepoca precedente rispetto al-laltro. Quanto invece allintegrazione finale dix, lautore si dice certotrattasi di una contraddizione in termini: il genitore non fissa il giorno della causa intribunale, sia perch questo sarebbe da un punto di vista psicologico assai poco con-sono col tono di elevata drammaticit della scena evocata nella legge, sia perch il fis-sare la causa in tribunale realizzerebbe una conclusione dellavvenimento che si man-tiene ancora nei confini dello ius, senza che la formula di maledizione abbia alcuna ra-gione dessere, e quindi senza che levento riesca ad uscire dallambito del dirittoumano per entrare nella sfera del fas tramite la consegna del puer o della nurus agli dioltraggiati. Per tali ragioni, lo studioso suggerisce di leggere lintegrazione del Lindsayclamarit diu o, pi semplicemente e coerentemente conlo spazio lasciato dalla piccola finestra, diu: cos valorizzando in mododel tutto condivisibile linvocazione che il parens verberatus doveva rivolgere alle di-vinit parentali affinch si ricomponesse, in forza della caduta in sacert dellautore delmisfatto, la pax deorum. Si pone in contrasto con quanto sin qui esposto M. FIOREN-TINI, La citt, i re e il diritto, in La leggenda di Roma, III.La costituzione, Torino, 2011,354 ss., il quale sembra accogliere il riferimento alla chiamata in giudizio del puer edella nurus verberantes in tribunale per linstaurazione di un giudizio costitutivo di sa-cert.

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  • lata: Id est clamarit, dix14, ove risulta espresso ilriferimento alla chiamata che il parens doveva rivolgere ai divi pa-rentum affinch lautore delle percosse potesse trasmigrare, privodi vincoli potestativi terreni, entro il dominio celeste15.

    153VERBERATIO PARENTIS E PLORATIO

    14 Lintegrazione qui proposta, a dire il vero, non mia, essendomi stata sugge-rita da Carlo Pelloso durante uno dei nostri frequenti confronti sul tema della verbe-ratio parentis.

    15 Limprescindibile dizionario etimologico A. ERNOUT - A. MEILLET, Diction-naire etymologique de la langue latine, Paris, 1951, 427, sotto la voce fleo riporta cheles grammairiens le diffrencient de lacrimare, plorare, cfr. Differ. ed Beck, 66, 3: la-crimare levis strictura cordis est, flere gravioris affectus est, plorare violentioris; dellostesso avviso G. SEMERANO, Le origini, cit., 521, che riconduce lantico verbo ploro apiango, esplodo in lacrime, in singhiozzi, in grida, rimpiango, imploro, supplico pian-gendo, chiedo tra le lacrime e G. BONFANTE, I verbi di piangere in latino e nelle lin-gue romanze, in Archivio glottologico italiano, LXII, 1977, 98 ss., secondo cui in la-tino piangere si diceva flere, plorare, lacrimare. La pi antica attestazione per plo-rare, che appare gi nelle leges regiae di Romolo e Tito Tazio e di Servio Tullio, con ilsenso di piangere urlando. Con riferimento alloriginario significato di gridare,nel tempo abbandonato in favore di piangere, si veda il contributo di G. MAZZOLI,Etimologie per dissimulazione: lat. exploro, plaustrum, in Paideia, XXXVIII, 1983,211 ss. dove viene accolta, con riferimento alletimologia di ploro, la tesi avanzata daO. SZEMERNYI, Si parentem puer verberit, ast olle plorassit, in Beitrge zur alten Ge-schichte und deren Nachleben, Festschrift F. Altheim, I, Berlin, 1969, 173 ss., dallostesso autore in questi termini condensata: il latino ha ereditato, o formato da unabase verbale ereditata, il verbo oro, significante in origine gridare. Questo significatosi indebol in parlare, forse gi nel VII-VI sec. a.C., (cfr. etrusco uru); il successivosviluppo in pregare, quasi soppiantato da rogo, ecc., venne riportato in vita dallusocristiano. Loriginario gridare sopravvisse solo nella frase *pro oro grido: avanti!, poiunificata in *proro con successiva dissimilazione in ploro. Il senso tecnico di clamortese a essere pi esattamente definito da un avverbio, e gi nelle XII Tavole la funzioneoriginale di ploro largamente assunta da endoploro grido dentro, forma primitiva delclassico imploro. Ci lasci ploro libero per ulteriore sviluppo nei sensi di piangere, la-mentarsi. Ritiene che il verbo plorare sia stato utilizzato da Festo con unaccezionepi forte rispetto a piangere anche M. MORANI, Nota festiana, cit., 82, l dove sostieneche il valore primitivo fosse quello di lamentarsi protestando (minacce, invocazionidi aiuto, richieste di compassione, o qualunque altra cosa), come fa appunto chi vienepercosso. Significato, questo, che troverebbe conferma indirettamente dallanalisi delvalore esatto di clamo, glossato nellepitome con conviciis et maledictis persequi: il chesvelerebbe come presso gli antichi plorare valesse plane inclamare. In taluni testiclassici, osserva sempre il Morani, si rinverrebbero degli esempi in cui clamo vieneusato in un senso vicino a quello di chiamare a testimonio, tra cui un passo dello-razione ciceroniana pro Murena (Cic. pro Mur. 37.78) ove si trova lespressione clamo

  • 2. Osservazioni sulla dottrina in tema di verberatio parentis.

    A questo punto, definito lambito di efficacia delle leges re-giae relative al parens verberatus, opportuno dare un resocontodelle principali opinioni dottrinali avanzate a giustificazionedella necessit della ploratio per il perfezionamento della fatti-specie in parola: invocazione, questa, non ravvisabile nelle altrenorme comminanti la sacert, le quali prevedevano limmediataconsecratio del colpevole, senza richiedere il pronunciamento dialcunch da parte del soggetto offeso (faccio riferimento, in spe-cie, alla violazione della fraus nel rapporto clientelare)16.

    Il tentativo di ricondurre le varie teorie nel tempo espressein un unico schema riassuntivo porta a rintracciare tre filoni in-terpretativi: per il primo, la ploratio era un grido emesso dal vec-chio pater ormai privo della capacit di opporsi allaggressionedel sottoposto, al fine di chiamare nel luogo i parenti e i vicini af-finch accorressero in suo soccorso17 o, al limite, per rendere

    atque testor con una ridondanza volta a conferire maggior vigore allespressione permezzo dellaccostameto di due parole fra loro sinonime. Alla luce di siffatte conside-razioni, lo studioso giunge a ritenere che, attraverso la pronuncia dellinvocazione, ilparens denunciasse il carattere abnorme dellavvenimento, chiamando gli di a testi-monio di ci che sta subendo e perseguendo il figlio con una formula di maledizione.Degna di interesse, infine, risulta la voce festina Sub vos placo (Lindsay 402): sub vosplaco in precibus fere cum dicitur significat id quod supplico, ut in legibus: transque datoet endoque plorato; piace leggere in essa, l dove il verbo placare risulta posto in cor-relazione con lespressione endoque plorato, propria in realt della norma decimtabu-lare a sanzione del furto diurno (v. infra), il riferimento alla possibilit di placare le di-vinit cos ristabilendo la pace celeste nei casi di commissione di scelera inexpiabilia attraverso una supplica, un grido rivolto ai medesimi numi oltraggiati.

    16 Dion. Hal. 2.10.3; Serv. Verg. Aen. 6.609: aut fraus innexa clienti ex lege XIItabularum venit, in quibus scriptum est patronus si clienti fraudem fecerit sacer esto; inletteratura, v. R. FIORI, Homo sacer, cit., 225 s; F. SERRAO, Patrono e cliente da Romoloalle XII Tavole, in Studi in onore di A. Biscardi, VI, Milano, 1987, 293 ss.

    17 L. PEPPE, Note minime intorno alla nozione di homo sacer, in SDHI, LXXIII,2007, 433, secondo cui lanziano discendente maltrattato che no sa o non pupunirepu solo chiedere aiuto. evidente il riferimento a Cic. Tull. 21.50: furem,hoc est praedonem et latronem, luci occidi vetant XII tabulae; cum intra parietes tuoshostem certissimum teneas, nisi se telo defendit inquit, etiam si cum telo venerit, nisi

    154 ALBERTO RAMON

  • partecipi del misfatto i divi parentum e invocarne la vendetta sulsoggetto cos divenuto sacer18; per il secondo, essa era il mezzoutile a precostituire prove testimoniali per irrogare la sacert inun successivo, e necessario, processo19; per il terzo, la ploratio erauno strumento in mano al padre per scindere gli atti violenti de-gni di consecratio da quelli ritenuti non lesivi della pax deorum20.

    Fin da subito, si avverte la non esaustivit dellidea dellim-precazione paterna come semplice chiamata dei familiari in lococommissi delicti allo scopo di arrestare la violenza perpetratadal puer e dalla nurus per giustificare compiutamente lassur-gere della ploratio a elemento costitutivo della consecratio: nono-stante la testimonianza di Cicerone21, infatti, non si pu discono-scere che le grida daiuto in situazioni di pericolo rappresentinoil modo normale con cui un soggetto aggredito cerca di ribellarsialla violenza, talch non si coglie il motivo per cui le medesimeavrebbero dovuto assumere un significato particolare nel casodella verberatio parentis22.

    utetur telo eo acrepugnabit, non occides; quod si repugnat, endoplorato, hoc est concla-mato ut aliqui audiant et conveniant.

    18 C. GIOFFREDI, Funzioni e limiti della patria potestas, in Nuovi studi di dirittogreco e romano, Roma, 1980, 94: poich il pater per vecchiaia o debolezza potrebbeanche non essere capace di reagire, non gli resta che invocare ad alta voce, come unamaledizione, i divi parentum ai quali diverr sacer il figlio snaturato; E. CANTARELLA,I supplizi, cit., 293 ss.

    19 In particolare, B. SANTALUCIA, Diritto, cit., 12 s.; tesi gi avanzata da T. MOMM-SEN, Rmisches Strafrecht, cit., 565 s., il quale aveva ricondotto la ploratio ad unesi-genza probatoria, in vista di un successivo procedimento giudiziario volto a sanzionarela sacert del colpevole. Contra, L. GAROFALO, Appunti, cit., 23 ss.; G. BASSANELLI SOM-MARIVA, Proposta, cit., 370, nt. 106; F. ZUCCOTTI, In tema, cit., 449.

    20 Fra tutti, L. GAROFALO, Appunti, cit., 29; B. ALBANESE, Sacer esto, cit., 159.21 Cic. Tull. 21.50.22 In realt, anche a voler per forza concedere credito allindicazione dellArpi-

    nate, non ci si potrebbe tuttavia esimere dal riconoscere un significato ulteriore allaploratio rispetto alle semplici grida daiuto pronunciate dalla vittima della lite dome-stica: sarebbe possibile in questo senso pensare che tale invocazione fungesse da di-scrimen fra lambito dinteresse familiare e quello interfamiliare. Pi chiaramente, fin-ch il parens verberatus non avesse portato a conoscenza tramite lurlo scagliato asquarciagola non solo degli altri membri della domus, ma soprattutto degli abitantidei fondi finitimi, la perpetrazione della violenza da parte del puer o della nurus, egli

    155VERBERATIO PARENTIS E PLORATIO

  • Le conseguenze sanzionatorie scaturenti dalla ploratio, delresto, erano cos gravi e talmente diverse da quelle conseguenti aunoffesa comune che pare davvero superficiale ricollegarle adelle generiche, impulsive grida di pericolo. Parimenti, non sem-bra sufficiente a spiegare la presenza dellinvocazione in com-mento lassunto secondo cui la stessa fosse una maledizione delcolpevole rivolta ai divi parentum, al fine di attirare sul mede-simo lira vendicatrice degli antenati defunti, soprattutto allaluce del fatto che se cos fosse rimarrebbe incomprensibile lamancanza della ploratio nella differente, ma analoga, ipotesi dellafraus nel rapporto di patronato.

    Quanto alla seconda posizione, duopo richiamare le pa-role del suo pi autorevole sostenitore, il Santalucia, che ha lettole disposizioni sul parens verberatus in unottica spiccatamenteprocessuale: a detta dellautore, difatti, la circostanza che la lexregia di Romolo e Tito Tazio faccia discendere la consacrazionenon dalle percosse, ma dallinvocazione paterna, induce a rite-nere che per lirrogazione della sacert si rendesse necessario ungiudizio: giacch indubbio che loltraggio recato al padre diper s sufficiente ad esporre il figlio alla vendetta divina, e quindinon pu essere che al fine di procurarsi testimoni della violenzasubita, in vista di un futuro processo contro loffensore, che lalegge richiede che il fatto punibile si sia manifestato esterior-mente con le invocazioni delloffeso23. In questo modo, viene ri-

    avrebbe potuto punire questultimi con i poteri derivanti dalla propria patria potestas(tra cui deve annoverarsi di certo lo ius vitae ac necis, ma anche la pi blanda puni-zione della cacciata del sottoposto dalla familia). Proferito lurlo, e quindi pubbliciz-zata la colpa inespiabile del soggetto verberans, per, la condotta violenta a cui i chia-mati in soccorso assistevano sarebbe venuta ad acquistare una gravit cos forte da tur-bare non solo lequilibrio familiare, ma il pi generale ordine dei rapporti sociali:motivo per cui si sarebbe prevista a carico delloffensore lespulsione dallo stesso or-dine sociale contro cui aveva attentato, per divenire di propriet degli esseri sopran-naturali custodi della pace comune.

    23 B. SANTALUCIA, Diritto, cit., 12 s.; ID., Alle origini del processo penale romano,in IURA, XXXV, 1984 (ma pubblicato nel 1987), 51 s. Nel senso che la consecratio ca-pitis del puer e della nurus richiedesse necessariamente una ratifica dellorgano assem-bleare cittadino affinch la situazione di sacert, gi rilevante sul piano sacrale, dispie-

    156 ALBERTO RAMON

  • conosciuta alla ploratio del paterfamilias una funzione analoga aquella rinvenibile nel precetto decemvirale riguardante la nonpunibilit delluccisore del ladro diurno che si fosse difeso con learmi, per la quale luci si se telo defendit endoque plorat 24:in codesta situazione, linvocazione sarebbe servita, per lap-punto, a precostituire la prova che il ladro fosse stato ucciso perlegittima difesa, valendo come testimonianza nelleventualeprocesso per omicidio successivamente intentato contro lucci-sore25.

    Questultima norma, posta a confronto con le leges regiae incommento, stata assunta a dimostrazione della tesi secondo cuila sacert non discendeva sul colpevole ipso iure, quale conse-guenza immediata del delitto, ma piuttosto veniva applicata alreo come sanzione a seguito di un procedimento giudiziario: aparere del Santalucia, dunque, tanto il derubato era tenuto acompiere limprecazione, pur dinanzi a unuccisione del fur le-cita in quanto scriminata dalla legittima difesa, quanto il paterera obbligato a pronunciare la ploratio a seguito delle percossedel figlio: nellun caso, luccisore si sarebbe procurato cos laprova, in un eventuale processo per omicidio, di non aver abu-sato della causa di giustificazione suddetta, con ci dimostrandoil mancato perfezionamento della fattispecie prevista dalla lexNumae; nellaltro, il puer sarebbe stato sottoposto a un giudizio

    gasse i suoi effetti anche sul piano dello ius civile, v. J. ZABOCKI, Appunti sulla sacro-rum detestatio, in BIDR, 92-93, 1989-1990, 525 ss., il quale rinviene nellistituto dellasacrorum detestatio lo strumento atto a confermare lo status di sacer allinterno dei co-mitia calata. La posizione di Zabocki ripresa da P. ARCES, Note in tema di sacrorumdetestatio, in Diritto@Storia, V, 2006, che vede nella detestatio sacrorum una esecra-zione pubblica degli empi, in forza della quale lassemblea del popolo conferiva so-lennit, assumendo valore testimoniale, alle gravi dichiarazioni che innanzi ad essa il ci-vis avesse compiuto relativamente a un affronto dallo stesso subto da uno o pi sog-getti alla sua potestas. V., altres, A. MAIURI, Sacra privata, cit., 128 ss.

    24 Tab. 8.13; in dottrina, v. A. GUARINO, Il furtum nelle XII Tabulae, in ID., Pa-gine di diritto romano, IV, Napoli, 1994, 180 ss.; L. GAGLIARDI, Iure caesus esto, in La-beo, XLV, 1999, 421 ss.; C. PELLOSO, Studi, cit., 135 ss.; R. SCEVOLA, La responsabilitdel iudex privatus, Milano, 2004, 58, nt. 21.

    25 B. SANTALUCIA, Diritto, cit., 13.

    157VERBERATIO PARENTIS E PLORATIO

  • pubblico nel quale, se i testimoni richiamati in loco dalle gridaavessero davvero confermato il suo comportamento oltraggioso,sarebbe stata pronunciata una sentenza costitutiva di sacert26.

    Lautorevole opinione appena riportata stata convincente-mente confutata dal Garofalo, secondo cui lindividuo cadevanella condizione di sacer per effetto della commissione dellille-cito, con la conseguenza che chiunque avrebbe potuto eliminarlopur in assenza di una preventiva pronuncia: ci senza escludereche lhomo divenuto sacer a causa del delitto perpetrato potessequalche volta essere dichiarato tale in sede giudiziaria, attraversoun procedimento definibile, sulla base di una moderna termino-logia, di mero accertamento27. Sembra, in effetti, pi correttoconcludere che lintervento dellautorit giudiziaria nella deter-minazione della sacert non fosse in alcun modo necessario, masoltanto eventuale e di natura meramente dichiarativa. Peraltro,non questa la sede per affrontare gli innumerevoli problemiche sorgono dal semplice riconoscimento delleventualit di unasentenza di mero accertamento dellintervenuta consecratio, so-prattutto con riferimento alla vicenda qui considerata del parensverberatus: mi riferisco, in primo luogo, alla complessa indivi-duazione dellorgano giudiziario competente a pronunciare lasentenza di sacert, difficilmente ravvisabile sia nel tribunale do-mestico, che poteva al pi riguardare il solo esercizio dello ius vi-

    26 Giova fin da subito evidenziare come la ricostruzione test richiamata non siarimasta immune da critiche; tra gli autori che lhanno avversata da ricordare C. PEL-LOSO, Studi, cit., 141 ss.; ID., Sacert e garanzie, cit., 24 ss., il quale ha messo in luce laprofonda diversit fra i due processi, soprattutto per quanto riguarda il ruolo eserci-tato dal plorans in sede giudiziale: da un lato, infatti, si tratta di un congetturale processo teso ad acclarare previamente la sacert del puer o della nurus (e quindi con-tro tali soggetti), laddove il plorans, ossia il parens, che lamenta loffesa (vale a direlillecita verberatio); dallaltro, si postula un processo per omicidio intentato contro ilsoggetto plorans, cio il derubato uccisore del ladro. Tale considerazione, pertanto,ha spinto lautore a ritenere che la ploratio del derubato non implica un iudicium con-ducente ad una condanna quale necessaria premessa delluccisione, essendo inveceluccisione che lecitamente pu avvenire, da parte del derubato plorante, nellimme-diato a poter innescare ex post la macchina processuale.

    27 L. GAROFALO, Appunti, cit., 28.

    158 ALBERTO RAMON

  • tae ac necis, per le ragioni che si diranno oltre, sia nel comiziocittadino, la cui giurisdizione nellambito dellordinamento reli-gioso familiare fortemente dubbia28.

    Rimane, a questo punto, da prendere in considerazione la tesi secondo cui la ploratio troverebbe la propria ragion dessere nel concedere al padre la possibilit di decidere, sulla base di una personale valutazione circa il livello di offensivit della verberatio, se consacrare o meno il figlio e la nuora alle divinit ctonie della fa-milia: tale prospettiva si basa sulla ragionevole considerazione se-condo la quale sarebbe insensato lassoggettamento a una san-zione cos estrema di una qualsiasi azione di ribellione al paterfa-milias, tra cui i litigi pi banali, sfocianti in una reazione avverso il capo familiare non particolarmente lesiva29.

    28 Di recente, ha rimarcato la necessit di mantenere nettamente separata la giu-risdizione degli uomini da quella divina F. ZUCCOTTI, Dallarcaica sacert, cit., 1562 ss.

    29 Sul punto, conviene puntualizzare come si contrappongano due opposte vi-sioni in merito alla necessit o meno di pronunciare la ploratio a seguito della condottaviolenta del puer e della nurus: da una parte, si sostiene che al paterfamilias spettasse ilpotere di delimitare discrezionalmente i confini del sacro, potendo scegliere in qualicasi la verberatio comportasse inevitabilmente la rottura della pax deorum, con la do-verosa consegna del colpevole ai divi parentum. In questo modo si sono espressi Ga-rofalo, per cui proprio per evitare linesorabile e indiscriminata caduta in sacert delpuer allatto del verberare, comportante la possibilit per chiunque dimpunemente uc-ciderlo magari contro la volont dello stesso pater , si fosse stabilito che il puer nonincorresse nella sacert in mancanza del plorare della vittima (L. GAROFALO, Appunti,cit., 29), e Albanese, il quale sostiene che in certi casi il comportamento violento delpuer poteva esser stato valutato dalla vittima in modo tale da non implicare la gravis-sima sanzione: e ci sarebbe stato concretato in una rinunzia al richiamo dinvoca-zione (B. ALBANESE, Sacer esto, cit., 154). Dallaltra parte, al contrario, si ritiene cheil pater, dinanzi a un particolare atteggiamento violento del puer e della nurus, inqua-drabile entro uno di quei casi che la tradizione familiare aveva consolidato come causedi rottura della pax deorum, non avesse avuto altra scelta che pronunciare linvoca-zione magica (di questa opinione mi pare F. ZUCCOTTI, In tema, cit., 449). A ben ve-dere, entrambe le visioni non si presentano prive di problematicit: la prima nel mo-mento in cui ammette un eventuale perdono del padre, in grado di lavare di dosso alfiglio e alla nuora la colpa intrinseca nella verberatio investe il pater stesso di un for-tissimo potere di ingerirsi nellambito sacrale con una sua personalissima valutazionecirca la gravit del comportamento filiale, quasi che soltanto dal suo verdetto dipen-desse la collera delle divinit familiari; la seconda, invece, presupponendo limmediata

    159VERBERATIO PARENTIS E PLORATIO

  • A tal proposito, degno di nota osservare come assumendoper vera la discrezionalit vantata dal pater nel processo di con-sacrazione del puer e della nurus alle divinit oltraggiate, la me-desima dovesse soffrire di profonde limitazioni, dato che il geni-tore malmenato sarebbe stato altres tenuto a rispettare le deci-sioni gi prese in analoghe vicende dai suoi antenati: infatti, solonei casi di percosse tentate o di scarsa intensit offensiva potevaessere riconosciuta al pater unampia libert di decidere qualefosse la corretta qualificazione del gesto del puer e della nurus,non certo negli episodi tramandati dalla tradizione come sicura-mente lesivi della pax deorum30.

    Sebbene non sia inverosimile che il paterfamilias potesse de-cidere se consegnare o meno il filius ai Manes a seguito della ver-beratio, stante la sua qualit di capo della familia e sacerdote del

    e inevitabile compromissione della pax deorum a seguito di determinate condotte vio-lente ben individuate dai mores e lesclusione di ogni rilevanza della volont del-loffeso nella costituzione della sacert, priva di ogni rilevanza la ploratio stessa, laquale non sarebbe pi servita a distinguere la violazione della norma sacrale in que-stione rispetto ad altri illeciti domestici punibili attraverso il normale ius corrigendi.

    30 A ben vedere, il problema che si staglia ora dinanzi, avente il proprio nucleonel modo in cui i romani rintracciavano il discrimen fra cosa fosse sacro e cosa invecenon appartenesse al mondo ultraterreno, trova la propria soluzione nel concetto di le-galismo religioso, cio in quellinsieme di regole concernenti i culti e la condottaumana volte a garantire la pax deorum: un rigido fascio di rapporti giuridici dettaglia-tamente disciplinati dalla cui osservanza dipendeva la protezione degli di (v. P. VOCI,Diritto, cit., 50; F. SINI, Diritto, cit., 3). Spettava, infatti, agli esperti del sacro stabilirequali comportamenti offendessero la divinit e andassero, di conseguenza, puniti conla consecratio per preservare lamicitia con gli di protettori, in modo da mantenere im-mutato lequilibrio cosmico ritenuto garanzia di pace e di progresso (v. F. ZUCCOTTI, Intema, cit., 449). I romani, del resto, avevano un approccio con la sfera del divino ba-sato sulla corrispettivit, ben condensato nelladagio do ut des: gli uomini compivanoriti e sacrifici agli di e, in cambio, si aspettano da loro una ricompensa: in una pro-spettiva comparatistica, questo rapporto si presenta del tutto estraneo al mondo greco,l dove i cittadini delle poleis al contrario dei cives, che si rapportavano con le divi-nit, risiedenti nel foro cittadino, intrattenendo con esse un rapporto egualitario in-centrato su uno scambio nel quale gli stessi termini erano passibili di contrattazione temevano gli di, abitanti nel lontano Olimpo, perch incapaci di comprenderne il vo-lere, tanto da considerarli come volubili, imprevedibili e dispettosi (v. L. GAROFALO,Giurisprudenza romana e diritto privato europeo, Padova, 2008, 102 s.).

    160 ALBERTO RAMON

  • culto domestico, non si pu comunque ignorare che il genitoresarebbe stato vincolato in questa sua scelta dalle tradizioni fami-liari: il legalismo religioso, invero, rappresentava pur sempre uninsieme di costumi che uniformava il potere punitivo paterno. Ilcustode del tempio domestico avrebbe subito quindi linfluenzadelle precedenti decisioni degli antenati, che gli imponevano diristabilire la pax deorum a seguito delle percosse del puer, purconsentendogli talvolta di trattenersi dal pronunciare la ploratioin seguito a quelle condotte dubbie, comportanti una minima in-frazione della disciplina familiare31.

    Quanto fin qui detto servito per svolgere alcune conside-razioni critiche sulle principali opinioni dottrinali in ordine allaploratio, in modo da porre in evidenza i molteplici problemi an-cora irrisolti sulla natura e sulla funzione dellinvocazione pa-terna; prima di proporre nuovi punti di vista sulle leges regiae incommento, per, conviene rivolgere ancora per un momentolattenzione sulloriginale posizione avanzata dal Pelloso, non in-quadrabile in alcuno dei tre filoni interpretativi in precedenzatracciati. Mi riferisco allidea per cui la ploratio del parens po-trebbe interpretarsi come una chiamata in causa dei dii paren-tum, contestuale a uno spoglio volontario della competenza re-pressiva del parens stesso verso il puer e verso la nurus: uno spo-glio che trova la propria ragione nel concorso tra la potestsanzionatoria del parens verberatus, per mezzo del iudicium do-mesticum, e quella delle divinit offese, attraverso il dispiegarsidella loro volont nei confronti del soggetto loro sacer32. In tal

    31 Altrimenti detto, il pater non poteva contraddire le indicazioni dei mores, e suquegli atti gi valutati dagli antenati come oltraggiosi per gli di non gli era dato aste-nersi dallinvocare la vendetta divina, pena lestendersi della responsabilit del colpe-vole sopra lintero gruppo familiare; tuttavia, non era sempre di immediata evidenza ri-condurre ogni atto di ribellione violenta alla patria potestas a un passato episodio oc-corso in familia, cosicch si pu pensare che una certa discrezionalit potesse venir inrilievo proprio in tali situazioni dubbie, trovando allora posto una valutazione sullop-portunit della consecratio.

    32 C. PELLOSO, Studi, cit., 143 s. Interpretazione ribadita anche in ID., Sacert egaranzie, cit., 103, nt. 76, ove lautore ritiene che la necessit di pronunciare la ploratio

    161VERBERATIO PARENTIS E PLORATIO

  • modo, allora, lurlo del padre sarebbe stato lo strumento con ilquale il supremo capo familiare avrebbe rinunciato al proprio iuspuniendi sul puer e sulla nurus per affidarli alle divinit oltrag-giate.

    Questa interpretazione si fonda principalmente sul concettodi concorso non cumulativo di giurisdizioni tra il foro familiare eil foro divino in materia di scelera inexpiabilia: teoria, questa, cheoffre lo spunto per riflessioni che mi paiono di interesse tale dameritare un minimo approfondimento.

    Come pi volte evidenziato, il paterfamilias era il sacerdotedel culto domestico, lintermediario tra i Manes e i componentidella familia, essendo preposto, tra laltro, allattivit di interpre-tazione del volere divino: secondo la mentalit primitiva, il pos-sesso di queste facolt mistiche gli garantiva unautorit indi-scussa allinterno dellordinamento domestico, lo poneva in unaposizione privilegiata rispetto agli altri familiari, in contatto di-retto con la divinit. Se dallangolo prospettico dei soggetti alieniiuris il padre era posto al vertice della familia, per, tale situa-zione non si riverberava con ugual forma nella prospettiva pro-pria del sacro, nella quale, anzi, i componenti della familia eranoposti tutti sullo stesso piano, allo stesso modo sottoposti al po-tere degli di: anche il patriarca, nei rapporti terreni sovrano as-soluto della domus, doveva rispettare le prescrizioni del legali-smo religioso, nonostante avesse il potere di definirne talvolta ilcontenuto con riferimento alle situazioni pi dubbie (ad esem-pio, con riguardo alla valutazione della condotta del puer che,

    nel solo caso della verberatio parentis sia emblematica per affermare di contro allatesi avanzata da R. FIORI, Homo sacer, cit., 187 ss., 481 ss. come la sacert non siadeterminata a monte da un vuoto di potere umano, ma determini a valle unvuoto di potere umano, sicch, nelle ipotesi in cui una stessa violazione sia idonea acomportare un potenziale concorso non cumulativo tra giurisdizione umana e giuri-sdizione divina (rispettivamente, in prima e in seconda battuta), come sembra essere ilcaso della verberatio avverso il parens, si rende necessaria una formale concentra-zione, determinata nella fattispecie che qui ci occupa dallatto performativo della plo-ratio.

    162 ALBERTO RAMON

  • pur essendosi contrapposto allautorit paterna, non ne avesseleso lintegrit fisica)33.

    A tal proposito, stato appena ricordato come il padre nonsarebbe stato del tutto libero nel determinare quali comporta-menti fossero potenzialmente in grado di scatenare la furia ven-dicatrice delle divinit sulla comunit familiare: egli, infatti,avrebbe dovuto per forza attenersi alle prescrizioni dettate daimores, posto che banale ricordarlo la religione pur sem-pre una pratica collettiva che si fonda su precetti frutto di tradi-zioni stratificate, dal cui ossequioso rispetto trae forza la devo-zione. Il pater, quindi, era, dal punto di vista religioso, al tempostesso regolante e regolato: non a caso, la stessa patria potestas,tratto peculiare dellordinamento familiare, risultava per lap-punto limitata da precise prescrizione aventi una spiccata va-lenza religiosa34.

    33 Il legalismo religioso aveva una struttura in parte magmatica, non definita,come si evince da P. VOCI, Diritto, cit., 94: della pax non elemento un ordine fisso,che si possa dire dato dagli di: linterpretazione umana a stabilire se sia manifestalira degli di, a cercarne i motivi e i rimedi. Lordinamento che garantisce la pax deo-rum ha pertanto la possibilit di muoversi e di mutare, e in questo senso pi umanoche divino.

    34 P. BONFANTE, Corso di diritto romano, I, Diritto di famiglia, Roma, 1925, 100 ss.(ristampa a cura di G. Bonfante e G. Crif, Milano, 1963), in ossequio alla teoria poli-tica da lui formulata, ribadisce che la potest del paterfamilias non poteva venir limitatadalla civitas e dal ius civile in quanto la familia era un ordinamento politico dotato dipropria sovranit, avente norme e limiti derivanti dalla sua assoluta autonomia, concor-dando in questo con A. BRINZ, Lehrbuch der Pandekten, Erlangen, 1879, III, 457, 604,nellesclamare: noi non vogliamo sentir discorrere di un diritto del padre di uccidereil figlio o di esporlo, ma solo del fatto che atti di simile genere erano impuniti. Di-versi sono i limiti della patria potest tramandatici dalle fonti: una legge di Romolo re-stringeva la pratica dellesposizione, imponendo di allevare tutti i figli maschi e le figlieprimogenite; unaltra legge, sempre del mitico fondatore, limitava lesercizio dello iusvitae ac necis, proibendo di uccidere i fanciulli sotto i tre anni, salvo il caso di neonatimutili o mostruosi, che potevano essere esposti dopo averli mostrati a cinque vicini(Dion. Hal. 2.15.2); unaltra ancora, attribuita allo stesso re, dichiarava libero dalla pa-tria potest il figlio venduto tre volte dal padre (Dion. Hal. 2.27.1-2); una legge diNuma, infine, proibiva di vendere il figlio cui fosse stato concesso di prendere moglie(Dion. Hal. 2.27.4-5; Plut. Numa 17.4). Tali limiti derivavano dallordinamento reli-gioso e formavano quel complesso di prescrizioni conosciuto come mos maiorum: il pa-

    163VERBERATIO PARENTIS E PLORATIO

  • Ora, se entro la sfera laica della familia, nel suo ambito diefficacia oggettivo (i beni oggetto di mancipium) e soggettivo (lepersone in potestate), il pater poteva considerarsi tendenzial-mente sovrano in quanto superiorem non recognoscens, nella sferareligiosa la situazione si mostrava molto pi articolata. vero,infatti, che nellambito terreno, il padre era oltre che titolare diunautorit incontrastata nellamministrazione degli affari dome-stici lunico soggetto di diritto capace di intrattenere rapportiallesterno della comunit di appartenenza, in quanto centroesclusivo di imputazione degli effetti giuridici. Nel rapporto conle divinit, per, il pater non agiva quale unico soggetto di di-ritto, ma era tutore dellequilibrio instaurato con le stesse as-sieme a tutti gli altri componenti della familia.

    dre era al tempo stesso custode dei costumi tramandati dagli antenati e loro interprete,assumeva la funzione di guardiano del legalismo religioso familiare e di innovatore dellostesso, per consentire il suo adeguamento alle nuove esigenze che una collettivit incontinua evoluzione sociale ed economica doveva affrontare. Le prescrizione dei mores,in seguito allaccrescimento delle competenze cittadine, confluirono nelle leggi limitantila patria potest, ma tale consolidazione a opera dellordinamento statale, di certo nonoperante alcuna innovazione trattandosi di semplice recepimento, ben lungi dal di-mostrare la natura statale delle prescrizioni limitanti il potere del pater. Lo Stato, infatti,costituiva un ordinamento indipendente dalle diverse familiae per natura e funzioni; ri-conosceva quali propri soggetti di diritto soltanto i patres; onorava divinit cittadine, di-verse dai Manes familiari, e si preoccupava di mantenere la pax deorum con le stesse. ragionevole supporre che il recepimento dei limiti tracciati dai mores sia stato attuatoper evitare che la situazione di impurit riguardante un pater che era s il capo asso-luto della familia, ma era anche membro della civitas si estendesse a tutta la comunitcittadina, in forza della solidariet di gruppo, facendo ricadere la responsabilit del-latto oltraggioso su tutta la collettivit. A tal proposito, si ricordi lattivit dei ponteficiin materia di sacra familiaria con riguardo alladrogatio, al testamentum calatis comitiis,alle ordinanze sulla successione dei sacra (Cic. de leg. 2.19.48). Uninterferenza statalesul culto degli antenati non riguardava solo i controlli praticati dai pontefici, ma anche,come riporta P. VOCI, Diritto, cit., 94, nt. 11, lassegnazione allinterno del feriale pub-blico del periodo dedicato al culto dei sacra domestici, con la determinazione delle fe-ste dei Lemuria (9, 11, 13 maggio) e dei Ferialia (21 febbraio), che chiudevano uninterasettimana di celebrazioni nella quale la vita pubblica era interrotta e i templi chiusi,senza peraltro che ci sancisse la partecipazione diretta della civitas ai medesimi cultiprivati: ennesima riprova, questa, del fatto che lo Stato si limitasse a controllare dalle-sterno, con deferenza verso laltrui sfera di competenza, lottemperanza dei mores al-linterno delle familiae, evitando la pur minima ingerenza.

    164 ALBERTO RAMON

  • Pur correndo il rischio di un approccio semplicistico, pos-sibile ricondurre il legame tra la comunit familiare e quella so-vrannaturale a una sorta di pactum, la cui violazione consi-stente nel mancato rispetto dei dettami del legalismo religioso da qualunque membro della familia provenisse comportava unasituazione di squilibrio, con la conseguente responsabilit soli-dale dellintera collettivit. Losservanza delle norme religiose eraa tutti richiesta, anche al pater, sicch la verberatio parentis,quando fosse stata di gravit tale da offendere la divinit, allaluce delle circostanze concrete dellatto valutate dal padre-sacer-dote, non poteva certo esser lasciata impunita, rendendosi inveronecessario ristabilire lo stato di armonia con la sfera divina: ri-sultato che va escluso potesse raggiungersi tramite leserciziodello ius vitae ac necis avverso il filiusfamilias colpevole, stante ilcarattere prettamente laico di questultima sanzione.

    Stando cos le cose, mi sembra si debba escludere leventua-lit di un concorso tra la potestas punitiva del paterfamilias equella degli di: la consegna dellhomo sacer ai divi parentum, nelcaso la fattispecie del si puer verberit si fosse perfezionata tra-mite la pronuncia della ploratio paterna, era lunica possibilit chela familia aveva per ristabilire la pax deorum ed evitare di venircontagiata dallimpurit dellautore delloltraggio.

    Pertanto, a fronte di una condotta offensiva ritenuta ingrado di sprigionare la vendetta divina sul gruppo familiare, ilpater non aveva altra alternativa che pronunciare la ploratio, econ ci rendere il puer e la nurus sacri ai Manes: grida che veni-vano emesse si pu ipotizzare subito dopo o durante la ver-beratio, senza che ci fosse il tempo di instaurare alcun giudiziocostitutivo della sacert. Quindi, essendo questultima il solomodo per placare gli di, non si poneva alcun concorso tra duediverse potest sanzionatorie.

    Daltra parte, la pronuncia dellimprecazione, per usare illessico processualistico moderno, esauriva sia il momento dellacognizione posto che il padre era chiamato, in quanto inter-prete e al tempo stesso autore del legalismo religioso familiare, a

    165VERBERATIO PARENTIS E PLORATIO

  • valutare il perfezionamento dello scelus sia il momento delle-secuzione, rappresentando la sacert stessa, che ricadeva imme-diatamente sul colpevole per mezzo dellinvocazione paterna, la pena per lo scelus commesso. La consecratio capitis, infatti, com-portava di per s luscita del reo dalla comunit di appartenenza e il suo passaggio nella potest delle divinit parentali35; essa, in-somma, scioglieva la potestas paterna sul filius e sulla nurus ver-berantes affinch questi entrassero sotto il dominio dei divi pa-rentum, che potevano poi liberamente scegliere il destino da as-segnare loro: luccisore dellhomo sacer, conviene puntualizzare, era soltanto un esecutore della volont divina, per mezzo del quale la divinit disponeva di una res in loro propriet36.

    Quanto detto non porta a escludere, tuttavia, che in tema disacert sorgesse talvolta un concorso di giurisdizioni, corrispon-denti a diversi ordinamenti religiosi; anzi, ritengo che una situa-zione del genere si presentasse ogniqualvolta una condotta illecitaviolasse precetti religiosi di ordinamenti diversi: il caso paradig-matico sembrerebbe essere quello della violazione dei confini37.

    35 Sulla capacit delle divinit di essere titolari di situazioni giuridiche analoghealla propriet, v. G. IMPALLOMENI, Sulla capacit degli esseri soprannaturali in diritto ro-mano, in Studi in onore di E. Volterra, III, Milano, 1971, 23 (nonch in ID., Scritti di di-ritto romano e tradizione romanistica, Padova, 1996, 227 ss.).

    36 V., in proposito, L. GAROFALO, Appunti, cit., 29; contra, F. ZUCCOTTI, Dallar-caica sacert, cit., 1559 ss.

    37 Dion. Hal. 2.74.3: eij dev ti" ajfanivseien h] metaqeivh tou;" o{rou", iJero;n ejnomo-qevthsen ei\nai tou` qeou` to;n touvtwn ti diapraxavmenon, i{na tw`/ boulomevnw/ kteivneinaujto;n wJ" iJerovsulon h{ te ajsfavleia kai; to; kaqarw`/ miavsmato" ei\nai prosh`/; Paul.-Fest. voce Termino (Lindsay 505): Termino sacra faciebant, quod in eius tutela finesagrorum esse putabant. denique Numa Pompilius statuit, eum, qui terminus exarasset, etipsum et boves sacros esse. In letteratura, v. S. TONDO, Il sacramentum, cit., 35 s., che,aderendo allopinione di E. SAMTER, Die Entwicklung des Terminuskultes, in Archiv frReligionswissenschaft, XVI, 1913, 140 ss., pone in luce linesattezza del riferimento aIuppiter Terminus, intendendo la sacert siccome avente specifico riferimento al par-ticolare Terminus colpito dalla illecita rimozione. V. altres B. ALBANESE, Sacer esto,cit., 155 s; B. SANTALUCIA, Diritto, cit., 9; L. GAROFALO, Appunti, cit., 8 s.; R. FIORI,Homo sacer, cit., 204 s.; F. ZUCCOTTI, Dallarcaica sacert, cit., 1572 ss.; G. PICCALUGA,Terminus. I segni di confine nella religione romana, Roma, 1974, 112 ss.; G. MACCOR-MACK, Terminus motus, in RIDA, XXVI, 1979, 249.

    166 ALBERTO RAMON

  • Dionigi dAlicarnasso, in argomento, narra che il re Numaordin a tutti i cittadini di delimitare i confini dei propri campimediante delle pietre consacrate a Iuppiter Terminus, stabilendoche se qualcuno avesse tolto o spostato i cippi sarebbe diventatosacro al dio. Si pu ritenere, allora, che il colpevole dellexaratiotermini arrecasse unoffesa tanto alla divinit protettrice della ci-vitas, quanto alle divinit familiari, i Lares: se la prima proteggevail confine dei fondi allinterno dellUrbe per scongiurare lotte trai vicini e scontri tra classi sociali, insidiose per lordine pubblico ela pace sociale, pur vero che le seconde ricoprivano comunquelimportante ruolo di custodi dellintegrit del mancipium38. Lamanomissione dei cippi, quindi, sarebbe stata passibile di arre-care oltraggio sia alla divinit suprema della civitas, sia agli di tu-tori del fondo domestico: un doppio scelus inexpiabile che po-teva dar luogo a un conflitto tra giurisdizioni diverse. Conflittoche poteva sorgere, presumibilmente, anche quando il filiusfami-lias avesse percosso il pater ricoprente il ruolo di magistratus:pure in questevenienza, infatti, sarebbe stato possibile un dupliceoltraggio, agli di familiari e agli di cittadini, protettori, rispetti-vamente, del capo della domus e delle istituzioni della civitas.

    Ricapitolando quanto sin qui detto, se si ammettesse davveroche la ploratio comportasse uno spoglio volontario della compe-tenza repressiva del parens39, la sua mancata pronuncia nonavrebbe potuto che determinare lestendersi della giurisdizionelaica familiare sul puer verberans: presumibile, a questo punto,che proprio lesercizio dello ius vitae ac necis sarebbe risultato lostrumento punitivo prescelto dal capo della familia per infliggereuna sanzione al figlio ribelle, essendo la pena di maggior valenzaretributiva conosciuta dallordinamento domestico40.

    38 Protettore del fondo in particolare il Lare; ritengo sia fondato lassunto checonsidera il Lare come una divinit familiare di origine ctonica, basato sulla stretta re-lazione esistente in Roma tra divinit agricole e divinit ctonie, tutrici dellordine mo-rale in quanto custodi delle consuetudini degli antenati: v. P. VOCI, Diritto, cit., 59.

    39 C. PELLOSO, Studi, cit., 151.40 Non si pu omettere di evidenziare in proposito che, allorquando una con-

    dotta fosse stata considerata dal padre-sacerdote scelus inexpiabile, in ossequio alla tra-

    167VERBERATIO PARENTIS E PLORATIO

  • Ma ci come gi precisato non poteva darsi, alla luce delfatto che il potere prettamente laico di vita e di morte non con-sentiva di ricostituire la pax deorum41. Non va trascurata, difatti,la differente natura dei due rimedi: la consecratio capitis assicu-rava la ricomposizione della pace e amicizia con gli di; lo ius vi-tae ac necis, invece, non aveva la forza di placare le divinit ol-traggiate, con infauste conseguenze sullintera comunit fami-liare qualora fosse stato esercitato nei riguardi del puer e dellanurus responsabili di uno scelus inexpiabile.

    Lo ius vitae ac necis, come sopra rammentato, era un istitutoproprio dellordinamento laico della comunit familiare; essotraeva origine dalla natura politica nel tempo assunta dalla fami-

    dizione atavica, la sacert sarebbe apparsa a tutti come lunica sanzione in grado discongiurare la vendetta divina, cosicch il paterfamilias non avrebbe potuto di-smette[re] la propria potest punitiva in favore del foro divino (v. C. PELLOSO, Studi,cit., 152), in quanto non godeva di alcuna competenza repressiva in grado di ricom-porre la pax deorum. Di contro, nel caso in cui il crimen commesso dal figlio avesseavuto carattere laico, nessun concorso di potest sanzionatorie avrebbe potuto crearsi,posto che le due pene, la sacert e lesercizio dello ius vitae ac necis, giacevano su duepiani diversi e non comunicabili.

    41 Seppur con notevole approssimazione, possibile ritenere la religione romanacome un fenomeno che riguardava tutti gli ordinamenti laici coesistenti nellUrbe, inognuno dei quali assumeva connotati autonomi: quindi, tutte le organizzazioni socialisuccedutesi in Roma, dalla gens a carattere solidaristico dei primordia allimpero, sisono fondate su un incessante rapporto di scambio tra le esigenze dei consociati e ilculto delle divinit protettrici. La religione, pertanto, oltre a stabilire come gli uominidovessero agire per compiacere gli di, e quindi prima della sua attivit ordinatrice,era a sua volta destinataria di unattivit di regolamentazione, in quanto erano gli stessiuomini a definire quale dovesse essere il contenuto dei suoi precetti. Esisteva, dal latodella religione, un rapporto attivo che aveva come destinatari gli uomini (la religione regolante) e un simmetrico rapporto passivo rivolto alla religione medesima (essa regolata). Stante cos le cose, non deve stupire che i sacerdoti a capo delle tre for-mazioni sociali esistenti a Roma provvedessero a tracciare, e nel tempo aggiornare ecorreggere, il discrimen tra il sacro e il secolare. Non di certo erroneo, allora, af-fermare che al sacerdote del culto domestico proprio in virt dei poteri divinatoriche gli consentivano di interpretare il volere degli di fosse riconosciuta la possibi-lit di decidere se consacrare o meno il puer verberans ai Manes: il che, per, a condi-zione di non trascurare limportanza esercitata dalle tradizioni familiari nel giudiziopaterno.

    168 ALBERTO RAMON

  • lia, retta dal potere patriarcale e potestativo del pater, sovranoassoluto del gruppo domestico, al cui interno amministrava lagiustizia affiancato dal consilium domesticum, un tribunale costi-tuito dalle persone pi autorevoli tra i parenti e gli amici, com-petente a conoscere i crimini domestici quali ladulterio, la be-vuta del vino da parte della mulier e la ribellione dei soggetti sot-toposti alla potestas paterna42.

    Aderendo alla tesi sulla pluralit di ordinamenti giuridici inRoma43 e configurando lo ius vitae necisque come un istituto

    42 Daltronde, che la familia fosse regolata non solo dal principio autoritario, maanche da quello collettivistico-paritario nel cui alveo va ricondotta lesperienza delconsilium necessariorum si ricava dalla presenza in et arcaica del consortium erctonon cito (v. P. FREZZA, La costituzione cittadina di Roma ed il problema degli ordina-menti giuridici preesistenti, in Scritti in onore di C. Ferrini pubblicati in occasione dellasua beatificazione, I, Milano, 1947, 275 ss.), vale a dire la situazione peculiare che sicreava alla morte del pater quando i figli, divenuti ormai sui iuris, mantenevano traloro loriginaria unit familiare come se fossero ancora soggetti alla potestas del pa-triarca defunto, con la conseguente titolarit del potere domestico spettante in solidoa ciascuno dei consorti (v. A. BURDESE, Manuale di diritto privato romano, Torino,1993, 220 s.).

    43 Si vuole qui aderire alla teoria della pluralit di ordinamenti giuridici inRoma, che ha avuto nel Bonfante il suo esponente di spicco: P. BONFANTE, Corso, cit.,7 ss.; cfr. anche E. BETTI, Ancora in difesa della congettura del Bonfante sulla familiaromana, in SDHI, XVIII, 1952, 241 ss.; P. DE FRANCISCI, Primordia civitatis, Roma,1959, 106 ss.; P. FREZZA, Le forme federative e la struttura dei rapporti internazionalinellantico diritto romano, in SDHI, IV, 1938, 363 ss.; V, 1939, 161 ss.; F. DE MARTINO,Storia della costituzione romana, I, Napoli, 1958, 3 ss.; ID., La gens, lo Stato e le classiin Roma antica, in Studi in onore di V. Arangio-Ruiz nel XLV anno del suo insegna-mento, IV, Napoli, 1953, 25 ss.; S. PEROZZI, Istituzioni di diritto romano, I, Milano,1947, 310 ss.; S. SOLAZZI, Diritto ereditario romano, I, Napoli, 1932-1933, 154 ss.; G.GROSSO, Premesse generali al corso di diritto romano, Torino, 1940; ID., Problemi gene-rali del diritto attraverso il diritto romano, Torino, 1946, 14 ss.; ID., Recensione a G.I.LUZZATO, Le organizzazioni preciviche e lo Stato, Modena, 1948, in SDHI, XIII-XIV,1947-1948, 369 ss.; ID., Problemi e visuali del romanista, in Ius, I, 1950, 322 ss.; ID.,Problemi di origine e costruzione giuridica, in Studi in onore di Vincenzo Arangio Ruiznel XLV anno del suo insegnamento, I, 44, nt. 34; Contra, principalmente, G.I. LUZ-ZATTO, Le organizzazioni preciviche e lo stato, Modena, 1948, passim; ID., Rilievi criticiin tema di organizzazioni preciviche, Milano, 1951, passim; ID., Il passaggio dallordina-mento gentilizio alla monarchia in Roma e linfluenza dellordinamento delle gentesnella costituzione romana durante la monarchia e la prima repubblica, in Atti del conve-gno internazionale sul tema: dalla trib allo stato (Roma, 13-16 aprile 1961), Roma,

    169VERBERATIO PARENTIS E PLORATIO

  • coercitivo sviluppatosi per mantenere lordine allinterno delladomus, privo del pur minimo carattere religioso, non si pu cheevidenziare come lordinamento cittadino non intervenisse nel-lesercizio della giurisdizione domestica, riservata in via esclusivaal consilium necessariorum: le fonti stesse testimoniano che la ci-vitas si inserisse nei rapporti familiari solo qualora venissero vio-late, unitamente alle divinit familiari, anche quelle della citt,vale a dire quando il filius commetteva un crimine pubblico ingrado di compromettere la pax deorum tra i numi e lintera co-munit dei cives, come nella vicenda riguardante i figli del con-sole Lucio Bruto, colpevoli di voler restaurare la monarchia deiTarquinii e giustiziati dai littori sotto lo sguardo (e lapprova-zione) del padre44.

    Esisteva, quindi, una sensibile diversit quanto meno sulpiano degli effetti tra listituto della consecratio capitis e lo ius vi-tae ac necis; diversit, peraltro, tanto spiccata nelle conseguenze,quanto sottile nellapparenza, dato che non doveva essere affattosemplice distinguere, nella realt, luccisione compiuta dal paterdel puer e della nurus divenuti sacri a seguito della ploratio nella veste di esecutore della volont maturata dalla divinit ditroncare la vita delluomo sacro45 da quella inferta dal padremedesimo nel pieno esercizio della patria potestas.

    doveroso chiedersi, pertanto, il vero motivo per cui lamancanza dellimprecazione, in un contesto offensivo concitato econfusionale (qual era quello dello verberatio), comportasse cosrilevanti conseguenze sulla pax deorum, riguardanti non soltanto

    1962, 193 ss.; E. VOLTERRA, Sui mores della familia romana, in Atti dellAccademiadei Lincei. Classe di scienze morali, storiche e filosofiche, IV, 1950, 516 ss.; ID., Ancorasul problema della famiglia romana, in RISG, VI-VII,1952-1953, 402 ss. (anche in ID.,Scritti giuridici, II, famiglia e successioni, Napoli, 1991, 337 ss.). Per una dettagliata di-samina delle principali correnti di pensiero enucleate in ordine alla natura politica del-lorganizzazione familiare, v. M. FALCON, Paricidas esto. Alle origini della persecuzionedellomicidio, 3, in questo volume.

    44 Liv. 2.5; Dion. Hal. 5.8-9; Val. Max. 5.8.1; Verg. Aen. 6.817.45 L. GAROFALO, Appunti, cit., 23.

    170 ALBERTO RAMON

  • il capo dellordinamento familiare, ma lintera comunit dome-stica, in forza del principio della solidariet di gruppo46.

    3. Prima proposta interpretativa: la ploratio come discrimenfra lesercizio dello ius vitae ac necis e la messa a mortedellhomo sacer.

    A tal proposito, appare necessario confrontare le leges regiaerelative al puer e alla nurus verberantes con un diverso caso discelus inexpiabile, che la tradizione ricollega a una legge del mi-tico fondatore: la violazione degli obblighi reciproci sussistentitra patrono e cliente47.

    Laccostamento delle due fattispecie comminanti la sacertnon casuale, dal momento che i Romani vedevano una certa so-miglianza tra il rapporto di patronato e quello che legava il geni-tore al figlio48, come si evince anche da un eloquente passo del-lEneide, in cui la fraus a danno del cliente viene accostata allaverberatio subita dal pater49: il motivo di tale corrispondenza

    46 La solidariet di gruppo trovava spiegazione nel carattere collettivo del rito inRoma, ove il rapporto religioso non si dispiegava tra il singolo e gli di, ma tra questiultimi e lintera comunit, tanto che la devozione individuale risultava essere una pra-tica di ben poco rilievo. Il fatto che ogni istituzione sociale fosse essa la familia, lagens oppure la civitas rappresentasse il medium necessario tra gli uomini e gli di nonsolo attribuiva alla religione un carattere collettivo, ma legittimava listituzione stessaad agire per garantire il rispetto dei sacri precetti da parte dei suoi membri. Attraversola responsabilit collettiva, dunque, dalla religione si giunge al diritto, perch alla re-ligione diventa immanente la necessit di una regolamentazione sociale e di una normagiuridica (v. P. VOCI, Diritto, cit., 98); talch, se la violazione della pax deorum daparte del singolo provocava effetti nefasti nei confronti dellintero gruppo di apparte-nenza, era cura di tutti ristabilire lamicitia con gli di oltraggiati, per mezzo dellin-tervento diretto dellistituzione in cui la comunit stessa si era organizzata.

    47 B. ALBANESE, Sacer esto, cit., 148 ss.; E. CANTARELLA, I supplizi, cit., 291; R.FIORI, Homo sacer, cit., 225 ss.; L. GAROFALO, Appunti, cit., 17 ss.; S. TONDO, Il sa-cramentum, cit., 29 ss. e 41 ss.; P. VOCI, Diritto, cit., 59.

    48 E. CANTARELLA, I supplizi, cit., 291.49 Verg. Aen. 6.609: pulsatusve parens aut fraus innexa clienti. V., in proposito, A.

    MAGDELAIN, Remarques sur la socit romaine archaque, in REL, IL, 1971, 103 ss.

    171VERBERATIO PARENTIS E PLORATIO

  • presto detto. Listituto della clientela, infatti, venuto a crearsiallinterno del primevo ordinamento gentilizio, durante il suoevolversi dalla gens a base solidaristica alla gens a base aristocra-tica, quando il progressivo impoverimento di coloro che non riu-scirono a partecipare alla privatizzazione della propriet collet-tiva e la decadenza di antiche gentes portarono alla nascita di unanuova classe sociale: il popolo dei clienti50.

    Avendo la gens preceduto listituzionalizzazione della fami-lia, riconducibile al pi recente fiorire di uneconomia individua-lista fondata sulla propriet privata (il dominium ex iure Quiri-tium), con il relativo passaggio dalle attivit di raccolta e pastori-zia, tipicamente di sussistenza, a quelle intensive di coltivazionee allevamento, il patronato costituiva il primo esempio, nellarealaziale, di subordinazione di una classe di individui ad una co-munit sociale organizzata51. In ragione del fatto che, quindi, ilrapporto tra patrono e cliente era a tutti gli effetti il diretto pro-genitore della patria potestas, ai romani doveva risultare naturaleaccostarlo a quello tra patresfamilias e soggetti alieni iuris.

    50 G. FRANCIOSI, Clan gentilizio e strutture monogamiche. Contributo alla storiadella famiglia romana, Napoli, 1999, 291 ss.

    51 La gens era sprovvista di una figura analoga al paterfamilias, tale da conferirle,al pari della formazione familiare, i caratteri della patriarcalit e della potestativit. Ilsuo carattere politico, quindi, non derivava dal potere supremo di un capo, essendopiuttosto formatosi, in capo alla comunit dei gentiles, a seguito della comparsa dellaclientela, che avrebbe generato a Roma delle tensioni sociali verso il basso culminatenella frattura della coesione allinterno della gens con la conseguente formazione didue contrapposte classi di individui. Secondo F. DE MARTINO, La gens, cit., 68, pro-prio la comparsa della clientela avrebbe trasformato la gens da comunit a caratteredomestico-familiare in comunit politica, dotata di quel potere coercitivo in grado dimantenere i clienti, vera forza lavoro, sotto lautorit dei gentiles. La separazione delgruppo in contrapposte classi sociali avrebbe reso quindi inevitabile lacquisto, daparte della gens, di una connotazione politica. Gli stessi rapporti di patronato testimo-nierebbero lassunzione non originaria, ma successiva, del carattere politico: i clientipartecipavano alla vita della comunit, godevano della protezione da parte dei gentili,ne dividevano i medesimi sacra e, soprattutto, erano legati da vincoli aventi carattereetico e religioso: la fides teneva saldi gli obblighi e i diritti propri della clientela, la cuiviolazione comportava la sacert.

    172 ALBERTO RAMON

  • Giova in primo luogo chiarire come la dottrina maggiorita-ria52 faccia discendere la consecratio capitis dalla violazione deireciproci doveri di patronato nonostante la mancanza di unchiaro riferimento testuale al riguardo. Sul punto, le condotteoggetto del vincolo di patronato sono riportate da Dionigi dAli-carnasso53, secondo cui i patroni dovevano interpretare il dirittoed assistere e difendere i clienti in giudizio; i clienti dovevanocontribuire a dotare le figlie dei patroni, a riscattare i patroni o iloro figli eventualmente fatti prigionieri dal nemico, a pagare lemulte inflitte ai patroni, a pagare le spese sostenute dai patroninellesercizio delle cariche pubbliche. Gli uni non potevano ac-cusare gli altri o render testimonianza contraria o votare controgli altri o porsi dalla parte dei nemici. Lo stesso storico greco, atale elencazione, aggiunge che se qualcuno fosse stato ricono-sciuto colpevole di uno di questi delitti, sarebbe stato sottopostoalla legge sul tradimento stabilita da Romolo e, se ritenuto col-pevole di un tal crimine, sarebbe potuto essere ucciso da chiun-que in quanto sacro al Dio degli inferi (qu`ma tou` katacqonivouDiov")54.

    fortemente dubbio, per, che il termine qu`ma possa allu-dere allhomo sacer, essendo pi corretto riferirlo al differenteconcetto di sacrificium55; tuttavia, ci non esclude che proprio la

    52 T. TRINCHERI, Le consacrazioni, cit., 59 ss.; P. VOCI, Diritto, 59; F. SERRAO, Pa-trono e cliente, cit., 293 ss.; B. SANTALUCIA, Diritto, cit., 8; F. GNOLI, Diritto penale neldiritto romano, in Dig. disc. pen., IV, Torino, 1990, 48; B. ALBANESE, Sacer esto, cit.,148 ss.; L. GAROFALO, Appunti, cit., 11 ss.; E. CANTARELLA, I supplizi, cit., 291 s.

    53 Dion. Hal. 2.10.3: koinh`/ d ajmfotevroi" ou[te o{sion ou[te qevmi" h\n kathgorei`najllhvlwn ejpi; divkai" h] katamarturei`n h] yh`fon ejnantivan ejpifevrein h] meta; tw`nejcqrw`n ejxetavzesqai (La traduzione di F. SERRAO, Patrono e cliente, cit., 293).

    54 Dion. Hal. 2.10.3: eij dev ti" ejxelegcqeivh touvtwn ti diaprattovmeno" e[noco" h\ntw`/ novmw/ th`" prodosiva", o}n ejkuvrwsen oJ Rwmuvlo", to;n de; aJlovnta tw`/ boulomevnw/kteivnein o{sion h\n wJ" qu`ma tou` katacqonivou Diov" (La traduzione di F. SERRAO,Patrono e cliente, cit., 293). Utile alla ricostruzione dei reciproci doveri di patronato anche Plut. Rom. 13.7-8, il quale riproduce lelencazione di Dionigi dAlicarnasso,omettendo per ogni riferimento alla conseguenza in caso di loro infrazione.

    55 L. GAROFALO, Appunti, cit., 12 s. (sebbene vi siano autorevoli studiosi i qualimostrano di ritenere che il sostantivo qu`ma esprima il concetto romano di soggetto sa-

    173VERBERATIO PARENTIS E PLORATIO

  • sacert potesse essere la conseguenza prevista da Romolo per co-lui che avesse infranto le prescrizioni del patronato.

    La presente conclusione suggerita, infatti, non solo dalverbo katanomavzein, usato dallo storico cario nel medesimopasso56 nella plausibile accezione di rendere sacro57, ma so-prattutto dal raffronto con un passo di Servio, l dove linclu-sione della fraus innexa clienti ad opera della Sibilla fra i pec-cati puniti nel Tartaro viene giustificata con il richiamo a un ver-setto delle XII tavole, il cui tenore secondo il commentatoredellEneide avrebbe potuto essere: patronus si clienti fraudemfecerit sacer esto58.

    A ben vedere, le due disposizioni normative, reciproche dallato dei destinatari, possono trovare una spiegazione ipotizzandoche originariamente la sacert fosse prevista ai danni dei soliclienti che non avessero adempiuto ai doveri di fedelt verso lagens a cui erano applicati: solo successivamente, con il nasceredel nuovo stato patrizio-plebeo, derivante dallaccettazione da

    cro, per parte mia credo che la loro opinione non meriti adesione, in quanto il signifi-cato proprio di tale vocabolo quello di vittima o di sacrificio); S. TONDO, Il sacra-mentum, cit., 46, per il quale il riferimento a wJ" qu`ma allude ad una uccisione informa rituale; B. ALBANESE, Sacer esto, cit., 148, che parla di vittima a Zeus infero.

    56 Dion. Hal. 2.10.3: ejn e[qei ga;r Rwmaivoi", o{sou" ejbouvlonto nhpoini; teqnavnai,ta; touvtwn swvmata qew`n oJtw/dhvtini, mavlista de; toi`" katacqonivoi" katanomavzein o}kai; tovte oJ Rwmuvlo" ejpoivhse.

    57 L. GAROFALO, Appunti, cit., 13.58 Serv. Verg. Aen. 6.609: aut fraus innexa clienti ex lege XII tabularum venit, in

    quibus scriptum est patronus si clienti fraudem fecerit sacer esto. Anche nella presentefattispecie di scelus inexpiabile, riguardante la fraus del patrono ai danni del cliente, lasacert sarebbe rivolta a un dio sotterraneo; v. al riguardo, T. MOMMSEN, RmischesStrafrecht, III, Leipzig, 1854 (trad. it. Firenze 19632), 566.1, il quale, al sacer esto testi-moniato da Servio aggiunge Diti patri, come per lappunto testimoniato dal passo diDionigi dAlicarnasso (l dove parla di qu`ma tou` katacqonivou Diov"): ipotesi peraltronon condivisibile poich, se di certo vero che la menzione a una divinit infernaledoveva per forza esserci, posto che il reo era sempre sacer alicui deorum, alquantodubbio che in questo caso potesse trattarsi proprio di Dis pater, vale a dire Plutone, lacui comparsa piuttosto recente. Sul punto, P. VOCI, Diritto, cit., 59, nt. 71, il quale ri-tiene che la divinit a beneficio della quale era disposta la consecratio fosse Vediove;contra, S. TONDO, Il sacramentum, cit., 41 s.

    174 ALBERTO RAMON

  • parte del patriziato delle deliberazioni del 494 a.C., i decemviriavrebbero esteso lefficacia della lex regia anche a tutela deiclienti, ormai parte dellorganizzazione plebea, per i casi in cuifossero stati maltrattati o non difesi dal patroni59.

    Pertanto, considerando che la tutela offerta ab origine dallalex regia sia stata in seguito riferita anche ai clienti, appartenentia tutti gli effetti al populus Romanus nella nuova Costituzione so-ciale, non pu sorgere dubbio che i redattori delle XII tavolemai avrebbero potuto, nel far ci, mutare la conseguenza previ-sta a protezione degli obblighi caratterizzanti il patronato: la cir-costanza, quindi, che Servio riporti il sacer esto come effetto del-linfedelt del patrono induce a ritenere che la stessa sacert

    59 F. SERRAO, Patrono e cliente, cit., 300 ss. Peraltro, B. ALBANESE, Sacer esto,cit., 149, nt. 9, si mostra contrario allintegrazione del precetto decemvirale con una-naloga sanzione volta a punire il cliens colpevole verso il patrono, osservando che ilpatrono offeso dal cliente sar stato facultato a punirlo, anche gravemente, in forzadella sua probabile potest paradominicale, sicch la sacert sarebbe stata fuori causa,in questo caso. Cos ragionando, lautore scinde lesercizio della cd. potest parado-minicale (la quale, non potendo essere accostata per analogia a quella assoluta del pa-terfamilias, che non trova alcun riscontro allinterno della gens, riconducibile al po-tere coercitivo spettante al patrono, in quanto membro apicale di un ordinamentopolitico) dalla consecratio capitis, come se dalla violazione degli obblighi di patronatodiscendessero due sanzioni diverse a seconda che lautore della fraus fosse, rispettiva-mente, il cliens o il patronus. Tale asserzione, per, da un lato si pone in contrasto conla stessa testimonianza di Dion. Hal. 2.10.1-3, indicante come soggetti passivi della fat-tispecie romulea tanto i patroni quanto i clienti; dallaltro, differenzia a mio avvisoirragionevolmente le conseguenze derivanti dalla violazione di obblighi propri di unrapporto, quello di patronato, caratterizzato dalla reciprocit. Insomma, non si coglieil motivo per cui la violazione della fides da parte del patrono avrebbe comportato lasacert mentre la violazione della contrapposta, ma avente uguale natura giuridica, fi-des da parte del cliente avrebbe dato luogo a una punizione laica, secondo il dirittodella gens. Diversamente ragionando, parrebbe pi opportuno ritenere che la fratturadella fides comportasse unidentica sanzione in capo ad ambo le parti del rapportoclientelare, in modo da non confondere la sfera sacrale con quella laica del diritto gen-tilizio. Pi precisamente, dato che tutti i componenti della gens onoravano le mede-sime divinit, lo stesso rapporto clientelare doveva dirsi informato dal legalismo reli-gioso, determinante gli obblighi reciproci tra patroni e clienti: obblighi la cui viola-zione comportava la compromissione della pax deorum, con conseguenze nefaste pertutta la comunit gentilizia. Talch, lamicitia con i Numi poteva venir ristabilita solocon la consacrazione del colpevole dellatto sacrilego a una divinit ctonica.

    175VERBERATIO PARENTIS E PLORATIO

  • fosse la punizione prevista da Romolo per il cliente inadem-piente60.

    Fatta maggior chiarezza sulla natura della clientela e sulleconseguenze relative alla violazione degli obblighi che la conno-tavano, bene tornare al confronto da cui il discorso ha presole mosse tra la disposizione del puer verberans e la norma rela-tiva alla fraus nei rapporti di patronato. Il precetto decemviralerelativo a questultimo scelus inexpiabile, con la inequivocabileapodosi sacer esto, induce necessariamente a pensare allaccolloautomatico della sacert, per il solo fatto della fraus com-messa61, cosicch in ragione della circostanza, sopra appurata,per cui anche lautore della verberatio cadeva nel dominio delladivinit sic et simpliciter, a seguito della mera condotta oggettiva la differenza tra le due fattispecie viene a ridursi allonere dellaploratio in capo al pater verberatus.

    Per cogliere la ratio della diversit tra le due discipline, dobbligo chiedersi in quale tratto la familia si differenziasse,strutturalmente, dalla gens; necessario individuare, insomma,quellaliquid novi posseduto dalla familia tale da giustificare unulteriore requisito nel perfezionamento della fattispecie sacrale,dato che essendo la gens una formazione pi risalente neltempo rispetto alla seconda il rapporto tra i due diversi ordi-namenti deve inquadrarsi in unottica di evoluzione storica. Ilmutare delle condizioni economiche, infatti, non pu che avercausato radicali stravolgimenti sociali (la difficolt insita nel la-voro agricolo rendeva indispensabile che le forze lavoro rimanes