RAKMAT KYRGYSTAN - Viaggi Avventure nel Mondo · 2019. 2. 28. · turco. Tutto è soporifero e...

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Avventure nel mondo 1 | 2019 - 73 Testo e foto di Andrea Moioli RAKMAT KYRGYSTAN - Dove vai in vacanza quest’anno? - In Kyrgyzstan - Doveeeeee?????? - IN KIR-GHI-ZI-STAN - Cos’è, una cosa che si mangia? - No, è un paese dell’Asia centrale. - E che ci vai a fare? Già, che ci vado a fare? Ma è così che cominciano i dialoghi di luglio, prima delle vacanze estive, quando tutti si preparano per andare al mare... come faccio a spiegare alla gente perchè vado in vacanza in uno dei tanti “Stan” nati dopo la caduta dell’Unione Sovietica, dove la gente parla come unica lingua un russo quasi incomprensibile, dove il mare è lontano più di 2.000 chilometri, dove non esiste l’illuminazione pubblica, e anzi camminare per strada di sera non è una buona idea, dove la principale attrazione turistica è fare trekking, per me che il trekking è come l’ananas sulla pizza, per un posto immerso nelle steppe russe dove la temperatura massima supera i 35 gradi e la notte si scende quasi sotto zero. Ci vado perchè in Kyrgyzstan spero di poter fare e vedere cose che non ho mai fatto prima. Posso vedere panorami mozzafiato, mentre di fronte a me si stagliano vette di settemila metri; posso dormire nelle tende dei nomadi, sulle rive di un lago a tremila metri di quota, mentre cavalli selvatici brucano l’erba liberi da qualsiasi padrone; posso vedere i cacciatori con le aquile togliere il cappuccio ai loro rapaci, per poi lanciarli all’inseguimento di volpi e conigli destinati a fare una brutta fine; ma, soprattutto, posso incontrare un popolo nomade con cui condividere un the caldo sotto una yurta facendoci capire nella lingua universale, ovvero il sorriso. Ci vado perchè posso fare queste e molte altre cose. Giorno 1 - Bishkek Sono le nuvole la prima cosa che vedo. Piccole, bianchissime, sparse in un cielo azzurro come raramente se ne vedono da noi. Usciti dall’aeroporto è campagna. Un serpentone asfaltato a sei corsie fiancheggiato da campi di mais e cotone e qualche sparuta casa dalla quale escono ragazzini armati di bastoni per guidare sui campi adiacenti mandrie di pecore e mucche. Mucche che brucano ai bordi della tangenziale e tra le aiuole fiorite, pecore che corrono tra case coi tetti ricoperti in eternit. Accanto a noi sfrecciano autovetture russe di parecchi anni fa, alcune con la guida a destra, altre con la guida a sinistra in un enorme carosello che ci conduce fino alle porte di Bishkek, la capitale di questo paese. Le strade si allargano e vialoni a sei corsie si intrecciano in una capitale dagli antichi sapori socialisti, tra effigi dei padri nobili del comunismo, stelle rosse e distintivi. Mosca è lontana ma in realtà non è mai stata così vicina. Tutto è russo tranne le facce abbronzate dei kirgizi, con gli occhi leggermente allungati e l’accento vagamente turco. Tutto è soporifero e tranquillo, un ritmo di vita lento e pacioso. Non sono abituati a vedere turisti ma non sembrano nemmeno tanto interessati alla cosa. Giorno 2 - da Bishkek a Toktogul Le strade affollate del venerdì mattina ci ingabbiano in un ingorgo caotico e puzzolente. Il nostro pulmino saltella tra le innumerevoli buche e le deviazioni per i lavori in corso. Dopo quasi due ore si svolta a sinistra e la strada cambia. Inizia a salire verso le alte montagne che circondano la capitale. Davanti a noi un serpentone asfaltato scortato da un ruscello impetuoso che scende dal ghiacciaio e nel mezzo parecchi camion che vanno ad attingere da questa fonte di freschezza per far calmare i motori surriscaldati. Non proprio di buon auspicio. Arrivati a quota 3200 metri di altitudine ce ne sarebbe ancora fino alla vetta della montagna che svetta oltre i 5000 metri, RACCONTI DI VIAGGIO | Kyrgyzstan Da un Kyrgyzstan gruppo Gualerzi http://www.viaggiavventurenelmondo.it/viaggi/2638 Una terra aspra e gentile austera e morbida

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Avventure nel mondo 1 | 2019 - 73

Testo e foto di Andrea Moioli

RAKMAT KYRGYSTAN

- Dove vai in vacanza quest’anno?- In Kyrgyzstan- Doveeeeee?????? - IN KIR-GHI-ZI-STAN - Cos’è, una cosa che si mangia? - No, è un paese dell’Asia centrale. - E che ci vai a fare?Già, che ci vado a fare? Ma è così che cominciano i dialoghi di luglio, prima delle vacanze estive, quando tutti si preparano per andare al mare... come faccio a spiegare alla gente perchè vado in vacanza in uno dei tanti “Stan” nati dopo la caduta dell’Unione Sovietica, dove la gente parla come unica lingua un russo quasi incomprensibile, dove il mare è lontano più di 2.000 chilometri, dove non esiste l’illuminazione pubblica, e anzi camminare per strada di sera non è una buona idea, dove la principale attrazione turistica è fare trekking, per me che il trekking è come l’ananas sulla pizza, per un posto immerso nelle steppe russe dove la temperatura massima supera i 35 gradi e la notte si scende quasi sotto zero. Ci vado perchè in Kyrgyzstan spero di poter fare e vedere cose che non ho mai fatto prima. Posso vedere panorami mozzafiato, mentre di fronte a me si stagliano vette di settemila metri; posso dormire nelle tende dei nomadi, sulle rive di un lago a tremila metri di

quota, mentre cavalli selvatici brucano l’erba liberi da qualsiasi padrone; posso vedere i cacciatori con le aquile togliere il cappuccio ai loro rapaci, per poi lanciarli all’inseguimento di volpi e conigli destinati a fare una brutta fine; ma, soprattutto, posso incontrare un popolo nomade con cui condividere un the caldo sotto una yurta facendoci capire nella lingua universale, ovvero il sorriso. Ci vado perchè posso fare queste e molte altre cose.

Giorno 1 - BishkekSono le nuvole la prima cosa che vedo. Piccole, bianchissime, sparse in un cielo azzurro come raramente se ne vedono da noi. Usciti dall’aeroporto è campagna. Un serpentone asfaltato a sei corsie fiancheggiato da campi di mais e cotone e qualche sparuta casa dalla quale escono ragazzini armati di bastoni per guidare sui campi adiacenti mandrie di pecore e mucche. Mucche che brucano ai bordi della tangenziale e tra le aiuole fiorite, pecore che corrono tra case coi tetti ricoperti in eternit. Accanto a noi sfrecciano autovetture russe di parecchi anni fa, alcune con la guida a destra, altre con la guida a sinistra in un enorme carosello che ci conduce fino alle porte di Bishkek, la capitale di questo paese. Le strade si allargano e vialoni a sei corsie si

intrecciano in una capitale dagli antichi sapori socialisti, tra effigi dei padri nobili del comunismo, stelle rosse e distintivi. Mosca è lontana ma in realtà non è mai stata così vicina. Tutto è russo tranne le facce abbronzate dei kirgizi, con gli occhi leggermente allungati e l’accento vagamente turco. Tutto è soporifero e tranquillo, un ritmo di vita lento e pacioso. Non sono abituati a vedere turisti ma non sembrano nemmeno tanto interessati alla cosa.

Giorno 2 - da Bishkek a ToktogulLe strade affollate del venerdì mattina ci ingabbiano in un ingorgo caotico e puzzolente. Il nostro pulmino saltella tra le innumerevoli buche e le deviazioni per i lavori in corso. Dopo quasi due ore si svolta a sinistra e la strada cambia. Inizia a salire verso le alte montagne che circondano la capitale. Davanti a noi un serpentone asfaltato scortato da un ruscello impetuoso che scende dal ghiacciaio e nel mezzo parecchi camion che vanno ad attingere da questa fonte di freschezza per far calmare i motori surriscaldati. Non proprio di buon auspicio. Arrivati a quota 3200 metri di altitudine ce ne sarebbe ancora fino alla vetta della montagna che svetta oltre i 5000 metri,

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Da un Kyrgyzstan gruppo Gualerzi

http://www.viaggiavventurenelmondo.it/viaggi/2638

Una terra aspra e gentile austera e morbida

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74 - Avventure nel mondo 1 | 2019

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ma ci vengono in soccorso i bolscevichi che tempo dietro hanno scavato un tunnel di circa 3 km da parte a parte della montagna. L’ingresso è comune a qualsiasi galleria ma dentro le cose cambiano. L’illuminazione è inesistente ma altrettanto assente è un sistema di ventole per eliminare lo smog: il risultato è un lungo tunnel dritto e buio con una visibilità di appena qualche metro causa gas di scarico. Chiudiamo e sigilliamo immediatamente ogni finestrino dell’abitacolo in modo da non soffocare e navighiamo a vista guidati dalle luci posteriori del camion che ci precede. Dopo minuti interminabili usciamo a respirare in una rada di una moltitudine di verdi da mancare le parole per descriverlo. Verdoni i cespugli rigogliosi alti meno di un metro a coprire la vallata; più tenui i muschi e la gentile erba di contorno a riempire le vallate; di un chiaro commuovente il trifoglio ai bordi dei ruscelli che gentili corrono verso valle; tutt’intorno cavalli allo stato brado, snelli, dorati che galoppano felici tra una valle e un’insenatura della montagna per trovare rifugio ai venti freschi ma incessanti dell’altitudine; qualche sparuta tenda, qui chiamata yurta, bianca e rotonda che spunta come funghi a bordo di un ruscello. Ci fermiamo nel pomeriggio affamati e a bordo strada compriamo un secchio di lamponi raccolti da una simpatica signora dal viso rotondo e lo accompagniamo a del dolcissimo miele direttamente mangiato dall’alveare con ancora i pezzi di pappa reale e cera.

Giorno 3 - da Toktogul a ArslanbobIl bacino artificiale di Toktogul di prima mattina riflette le montagne circostanti, brulle e arse dal sole dell’Asia centrale. Il paesaggio è di un colore ocra intervallato da oasi verdi di vegetazione più rigogliosa dove cavalli e pecore vanno a brucare. Buona parte dei 200 chilometri che percorriamo è fiancheggiata dal fiume Naryn che allargandosi in uno stretto e lungo bacino ci offre dei colori che spaziano dal verde intenso al blu scuro, riflettendo con le sue acque calme, quasi perfettamente il disegno delle montagne tra allevamenti di trote e barchette a remi di pescatori. Nel primo pomeriggio arriviamo a Arslanbob, un tranquillo villaggio a 1600 metri di altezza, incastrato tra foreste e ruscelli d’acqua lattiginosa proveniente dai ghiacciai soprastanti. Il paese è composto da una trafficata e animata piazza centrale usata più come parcheggio che per altro, circondata da negozi di artigianato in fetro e un paio di rivendite di generi di conforto. Passeggiamo tra le vie laterali assonnate e alquanto accaldate tra canne dell’acqua lasciate aperte che ci offrono temporaneo refrigerio, donne di etnia uzbeka, riconoscibili dalla faccia dai lineamenti più caucasici e dal velo islamico in testa, con divertenti bambinetti saltellanti tutti colorati. Nell’animata via del mercato un macellaio ha appena scaricato dal furgoncino la testa di una mucca che userà per produrre gelatina dopo averla bollita; la carne appesa in balia delle mosche è di un rosso vivo con un bel grasso giallo ad indicare la qualità nostrana della bestia; a sinistra un panettiere frigge delle squisite frittelle di pasta lievitata ripiene di patate e lenticchie; al suo fianco un collega sforna e unge di olio piccoli triangoli di pasta sfoglia ripieni

di carne di montone; donne vendono palline bianche di yogurt di capra essiccato; strane lenzuolate scure che paiono pelle conciata messa al sole, si rivela essere polpa di mela pressata ed essiccata.

Giorno 4 - da Arslanbob a OshDovevo capirlo la mattina. Quando sono uscito per mangiare la torta di noci cotta dalla famiglia che ci ospita, dovevo guardare il cielo sopra di me e accorgermi di cosa stava capitando. Invece io, beato sui monti, tra l’ovetto appena cotto della gallina che razzola felice nel prato e la marmellata di lamponi fatta al momento, non ho capito bene cosa stava succedendo. Ma con ordine... partiamo per un trekking per vedere le cascate che si tuffano dai monti sopra Arslanbob e per una passeggiata nel bosco di noci più grande del mondo, simbolo di questa città: pantaloncino corto e camicia leggera. Un lampo vicinissimo squarcia il cielo e un tuono fragoroso rimbomba nella valle. Solo in questo momento mi accorgo di un cielo nerissimo sopra di me e nuvole ancora più minacciose che vengono dalla montagna, proprio quella montagna che stiamo per affrontare. Non faccio in tempo nemmeno a pensare: “cavolo…non ho il kway!” che inizia a venire giù acqua a secchiate....passerà, è un temporale estivo! Invece no. Nell’ordine si susseguono raffiche di vento freddo e pioggia, grandine a chicchi grossi come grani di mais e il sentiero dove camminiamo diventa sabbia mobile scivolosa. Io con la mia camiciola di cotone ormai fradicia sono intirizzito dal freddo e inizio a tremare. Ma penso che tanto più bagnato di così non posso essere quindi proseguo per la strada che ormai è diventata un fiume. Camminiamo per almeno un’ora sotto un’acqua gelida e incessante fino a quando decido di desistere! Peccato perché il bosco di noci era proprio dietro l’ultima curva che io non ho fatto...ma l’ho scoperto solo la sera. Vabbè...la prossima volta imparo a non portarmi un impermeabile, anzi a portarlo e tenerlo in valigia! Dopo una lunga doccia bollente per riequilibrare la temperatura corporea proseguiamo il nostro viaggio kirgizo verso Osh, la seconda città dello stato.

Giorno 5 - OshNon ho mai sentito una pesca profumare così. Il suo

odore lo percepivo anche a metri di distanza e solo dopo averne seguito la scia, eccola che compare sulla bancarella del bazar di Osh. Quanto amo i bazar! Alimenti e prodotti così ben ordinati in mezzo a una folla disordinata di persone colorate e vocianti che brulicano in un mercato coperto come formiche impazzite in un formicaio. I colori, i profumi, i visi scavati dalla vita e i sorrisi dei bambini; la carne di montone appesa a frollare circondata da decine di vespe affamate, i macellai vestiti da chirurgo che con mano destra sezionano e disossano cosce intere di manzo; sacchi di spezie e cristalli di zucchero ammassati tra uova e prodotti da forno; forme di pane magistralmente lavorate da far sembrare una pagnotta un piatto di maiolica; mobili pieni di frutta secca ed essiccata; profumo di cannella che si mischia al pungente odore di sangue di capra; carretti che passano portando latte di giumenta fermentato e che lasciano una scia di bambini assettati e ancora vogliosi; un vecchio cieco che suona una melodia malinconica dal suo sitar. Mi ci voleva un mercato; mi ci voleva una pausa di quelle che piacciono a me, mischiato tra sconosciuti dalle facce gentili, tra persone cordiali come solo i kirgizi sanno fare, interessati a chi sei, da dove vieni e cosa fai nella vita, solo per migliorare il loro inglese o semplicemente per fare un po’ di conversazione. Persone che non disdegnano una foto insieme, anzi si mettono in posa; bambini che ti chiedono la macchina fotografica per fare qualche scatto e te la ridanno ringraziandoti per averli fatti giocare un po’: un angolo di felicità e tranquillità impensabile in questa parte del mondo. Al centro di Osh c’è una grande montagna, mausoleo sacro dell’islam dove Maometto salì a pregare: ed è accessibile a tutti, come qualsiasi monumento cattolico o ortodosso. Certo, salire i 557 scalini fino alla cima fa un po’ passare la voglia, ma dall’alto la vista di questa graziosa città centroasiatica è sublime.

Giorno 6 - da Osh a Kazarman250 chilometri possono essere pochi. Sulla A1 sono poco più che la tratta Milano-Bologna. Roba da 3 ore... In Kyrgyzstan ci si impiega più o meno 9 ore. Partiamo da Osh è un po’ ci dispiace ma la natura ci richiama. Da adesso basta cittadine, si passa alle

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Avventure nel mondo 1 | 2019 - 75

RACCONTI DI VIAGGIO | Kyrgyzstan

montagne e alle steppe asiatiche, tra passi alpini e caravanserragli arroccati in altura. La strada prosegue tranquilla tra anonimi paesetti, bancarelle di frittelle di montone e rivenditori di angurie. Ci fermiamo a Uzgen per salire su un minareto dell’XI secolo e per un breve giro tra le modeste rovine. Mancano 150 km all’arrivo...non dovremmo metterci tanto. Invece dopo pochi chilometri da Jalalabad la strada asfaltata diventa una sterrata che assomiglia più a una pietraia che a una strada. I pulmini sono costretti a rallentare e per i successivi 90 chilometri la velocità di crociera sarà di 20 km all’ora! Meno male che lo stupendo panorama ci ripaga di tanta sofferenza. Si inizia percorrendo villaggi di campagna tra bambini sorridenti che inseguono il pulmino con le loro biciclette mezze rotte o cavalcando piccoli asini tutti bardati. Poi la strada sterrata sale verso le montagne. Grandi fenditure nella roccia spaccano la vallata e lasciano la strada a torrenti fangosi ed impetuosi. Le montagne salgono alte dipinte di un verde vivo solo in alcuni tratti interrotto da frane pietrose che arrivano a lambire persino la mulattiera che percorriamo. Man mano che saliamo l’aria si raffresca e iniziano a comparire le prime yurte bianche con annesse mandrie di mucche o cavalli che compiono la transumanza estiva. Si sale ancora, fino ai 3000 metri del passo Kaldamo dove una statua di un avvoltoio che le intemperie hanno decapitato, ci saluta macabro dalla vetta. Inizia la discesa, sempre tra pietrisco e buche, con i freni che puzzano di bruciato e il motore che inizia a surriscaldarsi, con a lato lo strapiombo. Le montagne iniziano a essere brulle e assomigliano a un velo di seta verde scuro che qualcuno ha appallottolato e lanciato li, su quella parte del mondo in cui non c’era nulla. Cavalli al galoppo sul crinale ci salutano scuotendo le teste e i giovani kirgizi pastori che li accompagnano ci guardano ridendo.

Giorno 7 - Tash RabatIl pastore errante di Leopardi da queste parti cantava alla luna. Non è difficile capirne il perché. Il cielo stellato sopra di noi è emozionante. La bianca via lattea spacca il cielo e le due metà sono costellate di una moltitudine di luci al cui centro brilla la più rossa, Marte. Siamo a Tash Rabat, antico caravanserraglio

lungo la via della Seta, al confine con la Cina. In questa vallata stellata milioni di uomini prima di noi sono passati portando meraviglie dall’Oriente e noi siamo qui a celebrarne le vestigia. Partiamo da Kazarman di mattina e imbocchiamo subito la sterrata che ci ha portato fino a qui: altre 4 ore tra polvere e buche, tornanti e strapiombi fino ai 2800 metri del passo e poi giù a capofitto nella vallata di Naryn, sperando di aver imboccato la strada giusta perchè qui tra connessione scadente e gps ballerini è sempre un terno al lotto beccare la via corretta. Dopo 5 ore di sterrata passiamo su una statale asfaltata e corriamo diretti a Tash Rabat. Siamo a 3200 metri e ci aspetta una notte nelle tradizionali yurte, ovvero le tende dei nomadi costruite in legno e ricoperte di teli per non far passare il freddo. All’interno una stufetta riscalda l’ambiente. La stretta verde valle scorre tra due file di montagne, e al suo interno un ruscelletto ci rinfresca dalla calura di oggi. Il clima è fresco intorno ai 15 gradi. Saliamo al caravanserraglio e respiriamo l’atmosfera degli esploratori medioevali tra cammelli e sete e spezie orientali da portare a Venezia; ripercorriamo le orme di Marco Polo in un viaggio emozionante! Tutti impolverati già pensiamo di andare a letto così, sporchi ma felici. Invece scopriamo che dietro la nostra yurta c’è una casetta in legno adibita a bagno turco: una goduria! Una volta entrati una stufa scalda l’acqua calda e un rubinetto fa uscire l’acqua fredda del ruscello; con un mestolo basta mescere correttamente i due fluidi per godere di un’esperienza unica. Il bagno mi rigenera completamente e sono pronto per la solita cena a base di zuppa di manzo e riso con montone.

Giorno 8 - Lago Song KolIl sole lambisce la yurte nella vallata al confine con la Cina. La temperatura aumenta e usciamo dalle nostre brande foderate di pelli e ammiriamo l’alba tra le vette severe delle montagne: potenza, maestosità e sacralità. Il caravanserraglio in lontananza proietta le sue ombre minacciose. Lasciamo questo posto magico dove si respira la storia e proseguiamo verso nord con destinazione il lago Song Kol. Ripercorriamo la mulattiera di ieri fino alla statale e proseguiamo oltre Naryn fino al bivio verso il lago. La sterrata si insinua tra paesaggi meravigliosi, molto simili alle nostre vallate alpine trentine. Tra ruscelli selvatici e boschi di abeti, delle mucche ci osservano placide ruminando erba. Saliamo piano fino alla vetta a 3200 metri e da lì si apre una vista infinita con protagonista il lago con colori che spaziano tra il verde smeraldo della riva e il blu cobalto delle aree più profonde.

Giorno 9 - da Song Kol a KochkorHa piovuto tutta notte. Il rumore delle gocce d’acqua rotte sulle pelli bianche della yurta è stato rilassante ma incessante. Da un buco tra le pelli filtra un raggio

bianco che mi colpisce le palpebre, simbolo che l’alba è arrivata. Alzo il telo che chiude la tenda e mi colpisce un bagliore abbacinante che mi lascia interdetto per qualche secondo. Quando riapro gli occhi davanti a me una distesa infinita di verde fino al lago che stamane ha il colore del mare caraibico. Preso da un’euforia centroasiatica decido di cimentarmi nella mia prima cavalcata. Non sono mai salito su un cavallo ma dove è meglio farlo se non qui, terra di cavalli selvatici e cavalieri? Salgo su un baio nero chiazzato di bianco. È maestoso e possente. Mi danno in mano le briglie ma nessuno

mi spiega come si comanda questo coso... impacciato cerco di fargli vedere che non ho paura anche se in realtà ho una fifa blu che prenda il galoppo e mi disarcioni. Lui gira il collo e mi guarda con un occhio. Io lo accarezzo dall’altra parte con qualche piccola pacca

come ho visto fare in molti film. Mangia un po’ di erba e poi parte camminando leggero. Mi posiziono saldo sulla sella, tenendo in mano le redini, anche se ho sempre l’impressione che non sia io a guidare lui ma lui a guidare me. E andiamo avanti così o meglio lui va avanti così...e mi porta a spasso lungo il lago con un’andatura leggera e piacevole. Poi si ferma a mangiare e capisco che per tutto questo tempo mi ha studiato, mi ha sentito, ha capito chi sono e come sto sopra di lui. Gira il collo verso la mia gamba e rimane lì, fermo, con l’altra parte del collo scoperta. Allora lo accarezzo, lo sento vibrare sotto le mie mani come un enorme gatto che fa le fusa. E lui si ricompone, nitrisce e punta alle montagne con un leggero trotto. Il mio sedere sta per diventare insensibile non essendo abituato a controbilanciare gli sbalzi della sella. Saliamo fino alla vetta di una collina che domina il lago e da lì la vista è spettacolare. Capisco anche come funzionano le briglie e ora so come far girare il mio compagno nelle varie direzioni e come farlo fermare. Scendiamo a zigzag dalla collina come se scendessi a spazzaneve da una pista di sci, per paura di non ribaltarmi io e far del male a lui. Quando siamo in pianura ecco che l’accampamento è la in fondo. Lo vedo io. Lo vede lui. E parte al galoppo. E io non ho paura. È stata un’esperienza fantastica. La ricorderò per tutta la vita. Quando scendo da cavallo un bambinetto viene a recuperare l’animale; mi giro e sento toccarmi la schiena. È il mio baio nero e bianco che mi saluta con il muso, approfittando di un momento di distrazione del bimbo che lo accudiva. Lo accarezzo con amore. Ripartiamo da questo palcoscenico di vita per andare in direzione di un altro lago ma prima faremo tappa a Kochkor. La strada per Kochkor è quasi interamente sterrata e scende dai 3100 metri del lago ai 1800 della cittadina. Le piogge di questa notte hanno lasciato il segno e la mulattiera in molti tratti è stata travolta da diverse frane che hanno distrutto la carreggiata. Tra fuoripista, attraversamenti di guadi e anche una foratura di una gomma, ci impieghiamo più di un’ora

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RACCONTI DI VIAGGIO | Kyrgyzstan

a fare gli ultimi 10 chilometri franati della strada. Che avventura!

Giorno 10 - da Kochkor a KarakolPercorriamo la strada lungo il lato sud dell’enorme lago Ysykkol, il secondo lago più grande di montagna dopo il Titicaca. A metà strada ci fermiamo in una stretta gola rossa, un canyon dal nome suggestivo: Skazska Canyon ovvero Canyon delle fate. Camminiamo in un paesaggio marziano tra spuntoni di roccia rossa e vallate con la terra dai colori arcobaleno dal verde al giallo. Non ci sono sentieri e si prosegue seguendo l’istinto e la capacità fisiche, camminando su creste di colline o arrampicandosi tra spuntoni e arbusti. Dietro le vette rosse, riappaiono le nuvole nere e minacciose. Si lamentano. I tuoni sono fragorosi e noi siamo lontani dal campo base. Percorriamo quelli che pensiamo essere sentieri quando in realtà scopriamo essere letti di ruscelli che compaiono proprio durante le grandi piogge. Corriamo fino al pulmino che ci recupera appena un attimo prima che succeda il finimondo. Il cielo si squarcia e in pochi secondi scende una quantità di pioggia inaudita mista a fitta grandine. La strada scorre parallela alla costa mentre dalle montagne quintali di litri di acqua rossa fangosa inondano la strada principale mentre noi la percorriamo. Fortunatamente il cielo placa la sua furia e possiamo riprendere il viaggio. Proseguiamo verso la seconda tappa della giornata dove dormiremo la notte ovvero il campo tendato di Djety Oguz, un parco naturale parecchio noto. Ma il tempo non migliora.

Il fiume che costeggiamo è spaventoso, di un color marrone intenso, con onde che galoppano su se stesse travolgendo qualsiasi cosa. La strada a tratti viene inghiottita e percorriamo guadando pozze e tratti franati. Quando raggiungiamo Djety Oguz ci dicono che il campo tendato è isolato; il fango rosso e scivoloso ha travolto tutto e la vetta della montagna con le sue passeggiate e le sue vette è irraggiungibile. Dobbiamo aspettare che la pioggia scemi per scendere dalla valle mentre tutto si allaga di rosso sangue. Approfittiamo di un momento di calma delle perturbazioni per decidere cosa fare e ci dirigiamo a Karakol, dove avremmo dovuto dormire tra due notti. Il tempo oggi ha deciso per noi.

Giorno 11 - KarakolCosa fare in una giornata libera in Kyrgyzstan? Beh, basta comportarsi come un kirgizo! La domenica mattina un kirgizo si sveglia e fa colazione con un

paio di uova all’occhio di bue, magari con il bianco non ancora troppo cotto e una tazza di the nero. Poi esce di casa di buona leva e va a nord di Karakol al mercato del bestiame. C’è da prendere il montone da uccidere per il compleanno della figlia o il cavallo da portare su in valle nella yurta per spostarsi più velocemente visto che quello precedente è troppo anziano”. Centinaia di capi di bestiame sono riuniti in questo spazio aperto dove altrettanti avventori discutono sul giusto prezzo per il vitello o la consistenza del pelo della pecora; nell’aria risuonano i versi sovrapposti degli animali che non sono molto felici di essere qui. Qualcuno viene trascinato contro la sua stessa volontà ai camion vicino, puntando gli zoccoli nel terreno resistendo all’acquisto come se già sapessero a cosa andranno incontro; alle pecore vengono legate le quattro zampe insieme e sbattute nei bagagliai delle macchine. Comprata la pecora e terminate le faccende terrene, un kirgizo si interessa alla propria parte spirituale. Se è ortodosso si dirige alla bella chiesa bizantina del centro, interamente in legno scuro con alte cupole azzurre e dorate. Se é musulmano invece cammina poco distante fino alla moschea centrale, anch’essa interamente in legno e costruita a inizio ‘900 dai cinesi. Una volta nutrito lo spirito, si passa a nutrire il corpo, mangiando un boccone sulle panchine del parco Puskin, poco distante dal centro dove in bella mostra viene esposto un carro armato anfibio di eredità russa, con tanto di stella rossa sulla cima. A questo punto riunisce tutta la famiglia e si dirige nel pomeriggio nella spiaggia poco distante per fare un bagno nelle acque salate del lago Ysykkol e bersi una birra apprezzando la dolce brezza fresca che in questo periodo dell’anno grazia queste terre. Così fino a ora di cena quando si rientra e si esce a mangiare un piatto di spaghetti in brodo con verdure e manzo e dei manty, i tradizionali ravioli ripieni di montone.

Giorno 12 - Altyn ArashanIntorno a Karakol svettano montagne impressionati, panorami epici solo a qualche chilometro dalla soporosa cittadina di lago kirgiza. A sud le vette del Pamir, a est quasi al confine con la Cina le montagne del Tien Shen, con i suoi 7000. Posti incantevoli, per un turismo non ancora di massa per assaporare ancora per un po’ il vero spirito di un paese nascosto all’ombra della Russia e sincero nelle tradizioni, nelle usanze e nella vita quotidiana.Purtroppo le infrastrutture non seguono la voglia di un paese di aprirsi al mondo e quindi per poter arrivare ad Altyn Arashan, un altopiano incontaminato con pozze termali, dobbiamo abbandonare i nostri pulmini e proseguire su un camion militare con ruote grosse quanto un essere umano e procedere su una pista sterrata che ripidamente prosegue verso le vette più alte dietro Karakol. Arrivo al campo e decido di concedermi un pomeriggio di relax mentre gli altri organizzano per andare a cavallo o fare trekking. Io mi rinchiudo per quasi tutto il pomeriggio in una pozza sorgiva di acqua calda a 40 gradi ....e rinasco!

Giorno 13 - da Altyn Arashan a Cholpon-Ata Dopo una riposante notte, c’è da decidere che fare:

se scendere a piedi per il sentiero o scendere con il camion militare per i 14 chilometri che ci dividono dalla strada asfaltata. L’incognita è il tempo. Prendo coraggio e decido di affrontare a piedi la discesa, sperando che il tempo non peggiori. E per i primi 5 chilometri tutto regge. All’improvviso il cielo si squarcia e ricomincia a piovere. Il sentiero in poco tempo è ormai un fiume. Questa volta ero attrezzato con cerata e zaino impermeabile e la pioggia non mi fa tanto. Certo che scendere su fango scivoloso non è agevole. Ma ormai non si può tornare indietro. Il camion è passato e noi siamo dietro. Non possiamo chiedere passaggi. Si scende da soli. Continuo a piedi tra mandrie di cavalli selvatici che tranquilli brucano l’erba, ruscelli impetuosi che rompono la valle, pietraie sconnesse e guadi da superare ma in due ore e mezza arrivo alla fine dei 14 chilometri, soddisfatto come poche volte nella mia vita. Con calma nel pomeriggio, dopo aver mangiato una sorta di hot dog kirgizo fatto da un würstel avvolto in una pastella e fritto in un improbabile olio nero a bordo strada e del the alla pera, partiamo per Cholpon Ata, località balneare sulle sponde nord del lago Ysykkol.

Giorno 14 - da Cholpon-Ata a BishkekUltima sera a Bishkek. Ultima sera in Kyrgyzstan. Sono partito senza sapere cosa aspettarmi. Sono partito con mille incognite e diverse domande. Nel mappamondo in ufficio questo paese era fino a due mesi fa una macchia viola in mezzo ad altri colori. Mai aveva colto la mia attenzione fino a quando un giorno, quasi per gioco, mi sono imbattuto in un paio di foto. Una montagna. Un cammello. Una faccia di una anziana. E li è scattata la curiosità. La voglia di vedere se veramente poteva esistere una parte del mondo in cui la mia fantasia incontrava quella realtà. Mille incognite, tante domande, nessuna aspettativa. Ed è quando non hai aspettative che ogni raggio di sole ti illumina gli occhi. Ho scoperto un paese generoso e volenteroso, facce sorridenti disponibili a offrirti il mondo anche quando il mondo non c’è più; una terra aspra ma gentile, austera e morbida nel contempo, tra abeti stretti e alti come palazzi e deserti rocciosi dalle sfaccettature più rosse del sangue; la libertà negli occhi dei cavalli che galoppano fendendo l’aria e la curiosità delle marmotte che ti guardano spaventate. Ho scoperto la passione di attraversare infinite sterrate sporco di polvere, guadare un fiume gelido e impetuoso, svegliarmi in una yurta in mezzo al nulla mentre la pioggia sbatte sulle pelli bianche all’esterno o in un capanno a bordo di un ruscello in piena. Ho rivisto l’avventura scorrere su delle piste di montagna aggredendo pendii fino a pascoli lontani e il sapore carovaniero di una via battuta da millenni da Pechino a Venezia. Ho vissuto. Anche se ora ho qualche dolore e ossa rotte... ho vissuto! E allora brindo con l’ultima vodka a questo paese, al gruppo di persone che ho conosciuto. Perché un viaggio dipende anche dalla qualità delle anime che viaggiano con te. E anche questa volta c’erano belle persone. Di alcuni di loro si perderanno le tracce, di altri spero proprio di no. Ma così vanno le cose. ТТТТТТТ Kyrgyzstan!

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aggredendo pendii fino a pascoli lontani e il sapore carovaniero di una viabattutadamillennidaPechinoaVenezia.Hovissuto.Ancheseorahoqualchedolore e ossa rotte... ho vissuto!E allora brindo con l’ultima vodka a questopaese,algruppodipersonechehoconosciuto.Perchéunviaggiodipendeanchedallaqualitàdelleanimecheviaggianoconte.Eanchequestavoltac’eranobellepersone.Dialcunidilorosiperderannoletracce,dialtrisperopropriodino.Macosìvannolecose.ыракматKyrgyzstan!