Raimondo Villano - Conferenza: "La crisi jugoslava: origine, sviluppo, implicazioni internazionali"...

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Raimondo Villano Raimondo Villano Segretario Rotary Club Segretario Rotary Club Pompei Oplonti Vesuvio Est Pompei Oplonti Vesuvio Est Conferenza 17 luglio 1991

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Raimondo Villano, Conferenza tenuta al Rotary Club il 17 luglio 1991 alla presenza del Presidente dei Comitati Interpaese dei Distretti italiani del Rotary International Genenerale di Divisione Dott. Ruggero De Zuani. _________________ Abstract da: Raimondo Villano, “Dieci anni” (patrocinio Rotary Club Pompei Oplonti Vesuvio Est, , Edizione A.C.M., pagg. 51-58; Pompei, giugno 1998).

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Conferenza

17 luglio 1991

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La crisi jugoslava: origine, sviluppo,

implicazioni internazionali_________________Annotazione:Conferenza tenuta al Rotary Club il 17 luglio 1991 alla presenza del Presidente dei Comitati Interpaese dei Distretti italiani del Rotary International Generale di Divisione Dott. Ruggero De Zuani._________________Abstract da:Raimondo Villano, “Dieci anni” (patrocinio Rotary Club Pompei Oplonti Vesuvio Est, A.C.M., pp. 51-58; Pompei, Torre del Greco, giugno 1998).

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La crisi jugoslava: origine, sviluppo, implicazioni internazionali (conferenza del 17 luglio 1991)

Gentili signore, graditi ospiti, cari amici rotariani,non riuscirò ad essere brevissimo, pur nella convinzione, che ha ispirato la mia sintesi, della vostra ampia e profonda conoscenza della problematica che mi accingo a sviluppare. Confido, pertanto, nella vostra benevolenza e sin d'ora ve ne sono grato.      Dopo mezzo secolo e dopo la caduta del Muro di Berlino, incredibilmente l'Europa si è trovata ad affrontare il primo conflitto armato a ridosso del suo territorio.      Per quanto grande possa essere l'odio tra serbi, croati e sloveni, tutti noi speravamo in una soluzione politica del conflitto. Improvvisamente, invece, l'Europa ha scoperto con sgomento che oltre 70 anni di unione non sono bastati a fare dei popoli jugoslavi una nazione e che la forza delle etnie, divise per tanti motivi, può essere dirompente. Certamente la situazione jugoslava deve essere vista nella luce del suo passato storico ma, soprattutto, va vista alla luce del crollo di quel regime comunista e di quella egemonia serba che furono più che mai uniti contro l'aggressione di un comunismo esterno e che ora vanno paradossalmente in frantumi sotto i colpi militari di quel che resta del loro comunismo interno.

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La Repubblica socialista federativa di Jugoslavia nacque nel 1945 quando i partigiani comunisti dell' esercito di liberazione guidato da Tito, vinta la guerra contro l'Asse, presero il potere. Tito ereditò uno stato plurinazionale, sorto nel 1918 col beneplacito delle potenze vincitrici del primo conflitto mondiale, come "regno dei serbi, croati e sloveni". Era una monarchia autoritaria: su Slovenia e Croazia, ricche, tranquille, cattoliche ex province asburgiche, dominava la Serbia, povera e ortodossa, già ottomana, ma indipendente già dal secondo scorso.      Tito riuscì subito a presentarsi come garante dell'unità jugoslava e, poco dopo, dell'autonomia dall'Urss che all'impostazione politica ed economica data al paese rispose accusandolo di nazionalismo e di deviazionismo. Ma la scomunica sovietica dal Kominform non indebolì Tito che da allora poté contare sugli aiuti economici dell'Occidente.

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Assertore del non intervento sovietico nei paesi comunisti (come dimostrò nella crisi cecoslovacca del '68), 1ito continuò a rappresentare nell'Est europeo una posizione di critica e di indipendenza ideologica.Inoltre, ai colpi durissimi di Stalin i comunisti jugoslavi decisero di difendersi rispondendo allo stalinismo con lo stalinismo per due motivi: primo, perché la tradizione e la mentalità kominterniste portavano Tito a vedere nel pungo di ferro l'arma più adatta alla sicurezza interna di un regime che comunque era e voleva restare comunista; secondo, perché Tito riteneva che l'unico modo di dimostrare ai comunisti di tutto il mondo che Stalin aveva torto era quello di accentuare, anziché smantellare, le strutture e le apparenze comuniste dello Stato jugoslavo.

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      Nel '45 Tito fondò, dunque, uno stato leninista federale che ambiva ad esse- re una efficace rifondazione della Jugoslavia: il partito ebbe nella Costituzione il ruolo sostanziale di raccordo tra i vari poteri (il ruolo guida leninista corretto) e l'economia fu inizialmente in regime fortemente centralizzato ed in seguito gradualmente conobbe il decentramento dei poteri e l'autogestione dei lavoratori.      In effetti la Jugoslavia ha sperimentato una forma nuova di organizzazione economica, diversa dal capitalismo occidentale e dal capitalismo di Stato dei paesi comunisti, che nelle intenzioni del governo doveva costituire un esempio di socialismo dal volto umano, guidato dai lavoratori rappresentanti nelle fabbriche da un consiglio di gestione da essi eletto, cercando di conciliare le esigenze dell' economia produttivistica e capitalistica con le istanze sociali proprie dell'ideologia comunista.

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      Ma in realtà, alla fine, ha prevalso la tendenza capitalistica anche se non vi sono proprietari ma tecnici ai vertici aziendali. Ciò ha ulteriormente accentuato gli squilibri, di cui il Paese ha sempre sofferto, dovuti alle diverse condizioni di sviluppo del Nord e del Sud.      Gli aiuti del governo, inoltre, che un tempo sosteneva le aziende più povere per una politica volta a rivitalizzare le economie delle repubbliche meno sviluppate, ma dagli effetti economici disastrosi, sono cessati e gli stessi piani quinquennali, operanti quali fattori guida della vita economica, sono stati tesi ad adeguarsi alla realtà economica più che a determinarla risultando, così, uno strumento in mano alle banche. Inoltre, nonostante ci furono molte invenzioni teoriche, come ad esempio l'autogestione (sistema grazie al quale gli operai finirono praticamente per aumentarsi da soli il salario senza alcun riguardo per il mercato) ed il "mercato comune" jugoslavo, che non è mai entrato in funzione, risultarono inevitabili numerose difficoltà economiche.

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      Colpita da una vertiginosa inflazione, da un gravissimo deficit nella bilancia dei pagamenti e da una svalutazione della divisa monetaria, la Jugoslavia si è trovata sempre più a dover affrontare i venti dell'economia mondiale con in aggiunta la contrapposizione interna delle repubbliche ricche e delle repubbliche povere. Ed il futuro, col dopo-Tito, è divenuto ancor più tinto di grigio. Col carisma di Tito presidente a vita, l'ideologia nazionalcomunista fu usata per manipolare e celare le rivalità tra le nazioni della federazione mentre il complesso sistema istituzionale evitava le concentrazioni alternative.      La Costituzione entrata in vigore nel 1974 sembrò voler affrontare globalmente i problemi della graduale liberalizzazione economica, del decentramento territoriale e della maggiore autonomia delle repubbliche sottolineando e ribadendo il ruolo guida della Lega dei Comunisti.

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     Era quest'ultima una somma dei 6 Partiti Comunisti repubblicani più 2 delle province autonome della Serbia, alla quale fu assegnato il compito di portare a realizzazione il nuovo sistema (in cui l'autogestione ha un ruolo fondamentale) e di salvaguardare contemporaneamente l'ortodossia (sia pure con il rischio che, investita del compito di preparare e guidare il dopo-Tito, non sarebbe riuscita ad evitare tentazioni di centralismo burocaratico). La Costituzione del '74 stabilì, inoltre, che l'Assemblea Federale nominava un presidente e su sua indicazione eleggeva il governo.      Tito era un presidente con ampi poteri tra cui quello di capo supremo delle forze armate. In più era leader indiscusso della Lega e, soprattutto, era il popolare quanto temuto dittatore che in nome della difesa del socialismo schiacciò i fermenti autonomistici e riformatori in Croazia e in Slovenia nonostante la Costituzione garantisse il diritto alla secessione. Morto Tito l'equilibrio saltò. Apparve in Jugoslavia nuovamente in modo palese il singolare coacervo geopolitico, geoetnico e geoideologico che lo aveva caratterizzato dal 1918 ai giorni nostri.

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     Geopoliticamente traeva origine dalla dissoluzione dei due grandi imperi, quello ottomano e quello asburgico.      Geoetnicamente, confessionalmente, economicamente e culturalmente era ed è una vera e propria costellazione.      La Serbia è costituita dal 66% di serbi, dal 14% di ungheresi; con una eco- nomia prevalentemente agricola e con materie prime ed energia.      La Croazia è formata da oltre il 75% di croati, dall' Il % di serbi; è in mag- gioranza cattolica, anticomunita e anti-serba; importante per industrie, cantieri navali, turismo.      La Slovenia è prevalentemente cattolica e costituita dal 90% di sloveni, dal 3% circa di croati e dal 2% di serbi; è la più industrializzata e ricca e contribuisce per circa il 20% al P.N.L. e per il 25% alle esportazioni jugoslave; presenta, inoltre, un tenore di vita molto più elevato della media nazionale e il tasso di disoccupazione è pari all'l % contro il 15% della media nazionale.     

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     La Bosnia-Erzegovina è costituita dal 40% di bosniaci musulmani, dal 32% di serbi, dal 18% di croati, ed è ricchissima di risorse minerali.      Il Montenegro è la più piccola repubblica formata dal 70% di montenegrini, dal 14% di musulmani slavi, dal 7% di albanesi.      Geoideologicamente, riproducendo quasi gli stessi contrasti che sul terreno etnico, il piccolo impero di 1ito aveva rappresentato il crocevia, il punto di incontro e di scontro tra stalinismo orientale e socialismo occidentale tra dittatura di piano e democrazia di autogestione, tra centralismo burocratico e federalismo pluralistico. Invano venne escogitata la presidenza collettiva a rotazione annuale tra le sei repubbliche. Dalla culla serba ideocratica ortodossa del titoismo partono sempre più insistenti segnali di insofferenza etnica e normalizzazione veterocomunista dal cui filone viene fuori l'ostinato nazional-comunista

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Milosevic, attuale presidente serbo accanito antagonista della maggioranza albanese in Kosovo e deciso ricompattatore del Paese in preda alle correnti centrifughe montanti.      Le tensioni preesistenti, inoltre, sono state sempre più aggravate da una profonda crisi economica che ai giorni nostri conosce un debito estero di oltre 20 MLD $, un'inflazione annua di circa il 200% e una disoccupazione elevatissima: uno stato di cose che il governo ha tentato via via di affrontare con una politica di austerità centrata su un contenimento degli aumenti salariali ed un notevole aumento dei prezzi dei beni e servizi primari. All'interno di questa cornice vi sono forti squilibri di ricchezza per abitante tra le repubbliche ed in particolare Croazia e Slovenia, più ricche ed evolute, sempre meno sopportano il controllo di Belgrado che, a sua volta, usando le vecchie leggi titoiste sottrae miliardi di dollari alle casse federali cui tutti contribuiscono.

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Politicamente in Jugoslavia il dopo-Tito conosce il revisionismo, poi il riformismo, poi la socialdemocrazia e, mentre le rivoluzioni democratiche dell'Est Europeo nel 1989 e la perestroika la investono, sia pure in ritardo, la Lega dei Comunisti si dissolve. Le elezioni libere repubblica per repubblica portano all'alleanza tra democristiani e riformatori in Slovenia, al centrodestra in Croazia.      Da allora, la presidenza collettiva è divenuta sempre più priva di poteri mentre il riformatore capo del governo Markovic tenta invano di conciliare riforme democratiche e compromessi.      Altre fonti di conflitto sono state la scelta per la presidenza federale, al posto del comunista croato Suvar, del croato Mesic, democratico e indipendente che la Serbia ha rifiutato fino a pochi giorni fa, e la proposta dello scorso anno di sloveni e croati di creare una struttura confederale elastica cui sempre la Serbia si è opposta in nome dello stesso centralismo che oggi difende con le armi.      Crescono intanto le tensioni etniche e proseguono le spinte secessionistiche di Croazia e Slovenia.

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La Croazia il 22 dicembre scorso è divenuta ufficialmente uno stato sovrano in seno alla Jugoslavia dopo l'adozione di una nuova costituzione che rompe col comunismo ed il monopartitismo. Il 22 febbraio il parlamento ha adottato un "risoluzione di dissociazione" dalla federazione jugoslava, proposta dalla confinante Slovenia, che propone alle 6 repubbliche jugoslave di dissociarsi in diversi stati indipendenti per poi definire una cornice di attività comune.      In Slovenia il 26 dicembre scorso il parlamento, in seguito a referendum popolare, ha proclamato lo Stato indipendente. Il 21 febbraio ha adottato una risoluzione sulla "dissociazione graduale e negoziata" della Jugoslavia in due o più stati sovrani.      Negli ultimi mesi giocano un ruolo fondamentale le tensioni etniche, le re- pubbliche secessioniste, l'esercito ed il potere politico federale.      Le tensioni etniche diventano altissime. I serbi della Croazia e della Bosnia-Erzegovina insistono nel chiedere l'annessione alla Serbia. Per la Bosnia-Erzegovina si profila l'ipotesi di dividerla in 3 parti: il trasferimento a Serbia e Croazia delle regioni bosniache abitate dai rispettivi gruppi etnici lasciando allaregione centrale musulmana la struttura statale.

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La Croazia il 22 dicembre scorso è divenuta ufficialmente uno stato sovrano in seno alla Jugoslavia dopo l'adozione di una nuova costituzione che rompe col comunismo ed il monopartitismo. Il 22 febbraio il parlamento ha adottato un "risoluzione di dissociazione" dalla federazione jugoslava, proposta dalla confinante Slovenia, che propone alle 6 repubbliche jugoslave di dissociarsi in diversi stati indipendenti per poi definire una cornice di attività comune.      In Slovenia il 26 dicembre scorso il parlamento, in seguito a referendum popolare, ha proclamato lo Stato indipendente. Il 21 febbraio ha adottato una risoluzione sulla "dissociazione graduale e negoziata" della Jugoslavia in due o più stati sovrani.      Negli ultimi mesi giocano un ruolo fondamentale le tensioni etniche, le re- pubbliche secessioniste, l'esercito ed il potere politico federale.      Le tensioni etniche diventano altissime. I serbi della Croazia e della Bosnia-Erzegovina insistono nel chiedere l'annessione alla Serbia. Per la Bosnia-Erzegovina si profila l'ipotesi di dividerla in 3 parti: il trasferimento a Serbia e Croazia delle regioni bosniache abitate dai rispettivi gruppi etnici lasciando allaregione centrale musulmana la struttura statale.

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L'esercito federale, in cui si sono evitate le unità su base nazionalistica ma in cui la percentuale serba è superiore alle altre etnie secondo una rigorosa lottizzazione etnica, sembra andare per proprio conto assumendo poteri sempre maggiori e prendendo decisioni autonome riguardo al conflitto etnico pur essendo tenuto, almeno sulla carta, a seguire le direttive della presidenza federale. L'interrogativo ricorrente nei momenti cruciali è se le forze armate stiano effettivamente da "cuscinetto" tra le varie etnie o se stiano schierando i loro mezzi lungo le linee che al momento della secessione possono divenire i nuovi confini forzosi. Infatti, di frequente si è assistito, a seguito della rottura di fragili compromessi o per aumento della tensione, all'intervento dell'esercito federale come "male nunore", che conquista nuovi spazi guadagnandosi anche i galloni di paciere mentre non pochi ritengono che sia proprio l'esercito a proteggere e ad armare le bande terroristiche e i serbi in Croazia e Slovenia: prima sobillatore, poi mediatore, con inevitabile crollo di credibilità.

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A livello politico i nodi principali dell'emergenza sono il controllo dell'esercito, la mediazione ed il controllo delle spinte secessioniste e delle tensioni etniche e la risoluzione dei problen1i istituzionali. Un drammatico braccio di ferro sul ruolo da attribuire all'esercito federale per porre un freno al degenerare degli eventi si sviluppa nel massimo organo politico del Paese, l'ufficio di presidenza collegiale: Serbia e Montenegro sono per il conferimento di poteri speciali all'esercito mentre Croazia e Slovenia sono contrarie, e i generali non ottengono maggiori poteri.      Per il controllo etnico e secessionista la presidenza federale riesce, dopo mesi di incomunicabilità e paralisi, a raggiungere un accordo che riconosce alla Croazia i suoi diritti sovrani ma vieta movimenti di gruppi armati, chiede l'immediato disarmo delle milizie civili e riserva il diritto di movimento e intervento alle sole forze armate e polizia federale.

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      Ma la Slovenia diffida e, inoltre, l'applicazione del piano di pace non si avvia anche perché non è chiaro come debba attuarsi il disarmo. In una ulteriore cruciale riunione dei presidenti delle repubbliche si accetta, poi, per la risoluzione del problema delle secessioni, come piattaforma di discussione per l'immediato futuro, una soluzione che prevede di trasformare la Jugoslavia in un'associazione di repubbliche-stato sovrane. Tale proposta tiene conto delle contrastanti posizioni della Serbia, che chiede una confederazione con governo centrale forte, e della Croazia e Slovenia che rivendicano autonomie ed una confederazione. Secondo tale proposta la Jugoslavia dovrebbe rimanere un'entità internazionale ma sotto forma di unione di repubbliche sovrane con esercito, diplomazia e appartenenza all'ONU per singola repubblica. Proposta accolta con interesse anche dalla CEE.

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      Ma, a causa della mancata elezione alla presidenza federale del rappresentante della Croazia secondo il normale turno di rotazione, la Jugoslavia sprofonda nel pieno di una crisi istituzionale che rende più caotica la situazione: la costituzione, infatti, non prevede il caso del mancato voto a favore di un candidato. Il croato Mesic, il cui programma è quello di guidare il passaggio democratico della Jugoslavia da federazione di 6 repubbliche e 2 province autonome ad una confederazione di stati sovrani, non è riuscito ad ottenere il miinimo di 5 voti necessari boicottato da Serbi a, Vojvodina, Kosovo, Montenegro anche in 2^ votazione, pur minacciando la secessione di Zagabria dalla federazione. Dunque, senza presidente, senza comandante supremo delle forze armate, la Jugoslavia sembra in balia di una classe politica paralizzata dalle scissioni interne.

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      A livello internazionale PENTAGONALE (Austria, Cecoslovacchia, Italia, Jugoslavia e Ungheria) CEE, USA, NATO, UEO, ONU prendono atto della gravità della situazione: sostanzialmente esprimono appoggio alla integrità jugoslava basato sulle riforme, sullo sviluppo democratico, sulla piena applicazione dei di- ritti umani auspicando una soluzione pacifica della crisi.      Si afferma, inoltre, che il popolo jugoslavo è il solo ad avere diritto di decidere il proprio futuro in conformità ai principi di rispetto del diritto di riconoscimento delle realtà nazionali e regionali e di tutla delle minoranze nel rispetto della Carta di Parigi.      I Dodici della CEE, desiderosi di salvaguardare l'integrità jugoslava, si esprimono contro il riconoscimento unilaterale di Croazia e Slovenia ma non si tratta di un rifiuto definitivo potendosi prendere atto di passi negoziati verso l'indipendenza. Decidono, inoltre, di offrire a Belgrado l'assistenza per la stesura di una costituzione democratica e per la ristrutturazione dell'economia nazionale.

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      La comunità internazionale, dunque, è ispirata a sostenere il paese sempre che sia mantenuto democraticamente e sia unificato mediante pacifico dialogo e via negoziale, purché non si giunga, dunque, a quell'intervento militare che determina l'incompatibilità della sovranità delle due repubbliche con un quadro unitario ridotto ad uno strumento di repressione e di confisca delle libertà democratiche.      Intanto, Serbia e Croazia si autoproclamano Stati. Belgrado chiede l'intervento dell'esercito che si muove e con un golpe infiamma una giornata di guerra, poi segue una tregua armata instabile favorita dalla CEE che riesce a far eleggere Mesic. Ma, successivamente, i generali serbi passano all'offensiva accusando di tradimento il potere politico e respingono la tregua convinti di assolvere ad un preciso ruolo politico in difesa della legalità costituzionale, mentre di fatto con perseveranza agiscono lungo la direttrice di un golpismo.

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      La comunità internazionale, dunque, è ispirata a sostenere il paese sempre che sia mantenuto democraticamente e sia unificato mediante pacifico dialogo e via negoziale, purché non si giunga, dunque, a quell'intervento militare che determina l'incompatibilità della sovranità delle due repubbliche con un quadro unitario ridotto ad uno strumento di repressione e di confisca delle libertà democratiche.      Intanto, Serbia e Croazia si autoproclamano Stati. Belgrado chiede l'intervento dell'esercito che si muove e con un golpe infiamma una giornata di guerra, poi segue una tregua armata instabile favorita dalla CEE che riesce a far eleggere Mesic. Ma, successivamente, i generali serbi passano all'offensiva accusando di tradimento il potere politico e respingono la tregua convinti di assolvere ad un preciso ruolo politico in difesa della legalità costituzionale, mentre di fatto con perseveranza agiscono lungo la direttrice di un golpismo.

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      Le diplomazie occidentali ricercano febbrilmente una soluzione che possa essere accettata da tutti, temendo che una guerra intestina possa compromettere i progressi della CSCE degli ultimi anni ed inneschi altri conflitti etnici, soprattutto nei paesi dell'Est europeo già percorsi da fremiti autonomistici (Rep. balti- che, Cecoslovacchia).      Cambia decisamente anche la posizione degli USA che si schiera con le repubbliche secessioniste invocando il rispetto, da parte di Belgrado, del principio di autodeterminazione dei popoli, un cessate il fuoco garantito da osservatori internazinali e invitando Mesic ad assicurare il controllo dei civili sui militari. Non si escludono, infatti, possibilità di altri golpi militari: il nodo politico appare sempre più, dunque, nell'incapacità dell'apparato politico di piegare gli alti comandi militari alla ragion di Stato. La diplomazia internazionale si rende conto che, se perdurasse tale situazione, difficilmente le proprie ritorsioni e gli embarghi potrebbero scalfire a breve termine l'autonomia ed il potere dei militari.ù

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      Le diplomazie occidentali ricercano febbrilmente una soluzione che possa essere accettata da tutti, temendo che una guerra intestina possa compromettere i progressi della CSCE degli ultimi anni ed inneschi altri conflitti etnici, soprattutto nei paesi dell'Est europeo già percorsi da fremiti autonomistici (Rep. balti- che, Cecoslovacchia).      Cambia decisamente anche la posizione degli USA che si schiera con le repubbliche secessioniste invocando il rispetto, da parte di Belgrado, del principio di autodeterminazione dei popoli, un cessate il fuoco garantito da osservatori internazinali e invitando Mesic ad assicurare il controllo dei civili sui militari. Non si escludono, infatti, possibilità di altri golpi militari: il nodo politico appare sempre più, dunque, nell'incapacità dell'apparato politico di piegare gli alti comandi militari alla ragion di Stato. La diplomazia internazionale si rende conto che, se perdurasse tale situazione, difficilmente le proprie ritorsioni e gli embarghi potrebbero scalfire a breve termine l'autonomia ed il potere dei militari.

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            Il CSCE per il "meccanismo politico di emergenza" delega alla CEE il compito di organizzare una missione di osservatori per contribuire a stabilizzare la situazione e sorvegliare il ritorno delle forze armate nelle caserme e propone, ancora, di facilitare la ripresa del dialogo. È, dunque, al servizio degli jugoslavi senza imporre nulla.  La CEE blocca, invece, l'assistenza economica alla Jugoslavia, attua l'embargo per la fomitura di armi, la sospensione di 1300 MLD di finanziamento, invia ancora una volta la troika in Jugoslavia per una intesa tra sloveni, croati e federali che si ottiene, a Brioni, ma solo sulla parola e con enunci azioni di principio mentre si rimanda a nuovi negoziati entro il lo agosto la soluzione di tutte le problematiche urgenti del Paese.      Ma la CEE, per continuare a svolgere opera effettiva di mediazione, deve restare legata alla credibilità che riuscirà ad avere presso tutte le parti in conflitto, credibilità che cadrebbe se vi fosse uno schieramento netto con l'uno o l'altra parte.

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             Per l'Europa, insomma, il diritto di autodeterminazione non è in discussione ma occorre trattare su forme e tempi di realizzazione.      Dunque, anche la crisi jugoslava drammaticamente contribuisce a rafforzare la convinzione che nell'era contemporanea il mondo deve porre sempre maggiore attenzione alla crisi dell'Est europeo e, in generale, allo spettro del nazionalismo.Nel dopo guerra fredda, la crisi dell'Est non è derivata da un confronto militare ma dal fatto che una sorta di modello di ispirazione occidentale è apparso a quei popoli preferibile al modello comunista. La competizione tra i due modelli può anche non essere considerata conclusa ma l'Occidente, dati i risultati ottenuti per questa via, ha tutto l'interesse a che essa continui a svolgersi nelle stesse forme di un confronto pacifico. Si comprende, perciò, l'estremo interesse che gli USA hanno mostrato anche nella penisola balcanica per una stabilità che, a differenza di qualche decennio fa, non significa immobilità ma affermazione opportunamente lenta del modello occidentale.

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La crisi jugoslava: origine, sviluppo, implicazioni internazionali (conferenza del 17 luglio 1991)

Una affermazione troppo rapida potrebbe suscitare reazioni violente e finire col mettere in pericolo il processo di distensione avviato da Gorbaciov, che nell'Est sta assumendo la forma di una via pacifica al capitalismo.      Lo sfaldarsi del cemento ideologico ha, però, messo in moto forze che appaiono sempre più difficili da controllare.Di fronte a queste prospettive e, in particolare, per le gravi vicende jugoslave, si è sviluppata sempre più una sorta di cortina diplomatica compatta intesa non solo a prevenire il propagarsi dell'incendio nei propri confini ma anche nei confini di coloro che fino ad ieri erano i nostri nemici.      Inoltre, in seguito alla constatazione di una situazione orientale europea comunque anche instabile o potenzialmente tale regionalmente per fermenti o squilibri molto precari, come anche nel Nord Africa, in riferimento alla non infrequente opinione della improcrastinabilità dello smantellamento di istituzioni come la NATO, ritenute superate dagli

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eventi, è opportuno avviare profonde riflessioni sulla necessità di conservare il sistema di difesa atlantica individuando bene le nuove minacce per l'Europa, i nuovi territori da difendere, gli stati che devono comporlo ed i popoli dell'area da tutelare: ma sempre conservando il legame con gli USA soprattutto in nome dei comuni valori di democrazia e di libertà coltivati e difesi in questo dopoguerra.      Inoltre, la dissoluzione del Patto di Varsavia crea un vuoto di sicurezza che è particolarmente sentito dagli stessi paesi dell'Europa centrale che vorrebbero proprio dalla NATO una copertura con la corresponsabilità dell'URSS che parteciperebbe alla instaurazione di un sistema di sicurezza collettivo in tale area. Ciò almeno fino a quando i paesi europei attuali o di una più grande Europa comunitaria, oltre a far convergere interessi politici ed economici, non affidino anche la propria sicurezza integrale, che non può essere sempre delegata ad altre istituzioni, alla Comunità.

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 Infine, in un'Europa dove non si aggira più lo spettro del comunismo si aggira al suo posto lo spettro del nazionalismo che minaccia di incarnarsi, infiltrato come virus.      Lo sgomento è grande sia tra chi credeva di aver liquidato per sempre i problemi nazionali grazie alla panacea rivoluzionaria, sottomettendo il concetto di nazione al concetto di classe, sia tra chi, in nome del moderno sviluppo socioeconomico, credeva di aver esorcizzato ogni spettro sottomettendo il concetto di nazionalità al concetto razionalità. Contrariamente a ciò che afferma sul proprio conto, il nazionalismo non equivale alla preoccupazione per le sorti della nazione ma è un ben determinato progetto di forma della comunità nazionale e si ispira ad un'idea ben precisa dei rapporti tra le nazioni: rapporti improntati ad una lotta per l'esistenza e lo spazio vitale. Il caso jugoslavo è esemplare.      In Europa la maggior parte dei movimenti si presentano come forme di reazione all'accentramento statale ed alla burocratizzazione.

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 E si insinua, a questo punto, l'interrogativo formidabile se vada spappolandosi o quanto meno fortemente ridimensionandosi nella realtà l'ideale di un'Europa unita sognata da figure come Adenauer, De Gasperi, Schuman e Spinelli.      Ed ancora, persistendo lo spirito di Helsinki di intesa internazionale imperniata sull'intangibilità delle frontiere, emerge un altro complesso interrogativo: se il concetto di sovranità che impone il non intervento negli affari interni di uno Stato debba conciliarsi in modo nuovo con il diritto dei popoli all'autodeterminazione.      Difendere l'esistente potrebbe sovente non risolvere ma aggravare le situazioni anche perché, diversamente dal nazionalismo di un tempo che tendeva ad unire, quello odierno tende a dividere.      La propria identità, dunque, lega l'esclusione dell'altro. Ed è un fatto, invero, molto pericoloso che per affermare la propria identità ci si chiuda verso gli altri.      Ma questo, comunque, non può e vivamente ci auguriamo non possa mai giustificare in alcun modo la violenza e la sopraffazione.

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Profilo sintetico Nato nel 1960, vive tra Napoli e Roma. Membro di: Accademia Storia Arte Sanitaria-Ente Morale nazionale e Centro Studi e Ricerche postuniversitari (da 2006, decreto Ministro B.A.C.), Centro Studi Melitensi di Ordine di Malta da 2002 (Presid. Acc. Lincei Fonseca), Effettivo Institute Preservation Medical Traditions-Smithsonian Institution (Washington, da 2011); International Society History Pharmacy (Berna, da 2001), Accademia Italiana Storia Farmacia da 2001, Società Napoletana di Storia Patria da 2008 (Presid. Acc. Lincei Galasso), Gruppo internaz. di Studio ISHP su Storia Farmacopee (Vienna, da 2012). Principali ruoli: Consigliere Diplomatico Dpt Aerec di Ente Naz.le Valorizzazione Industria, Commercio e Artigianato ENVA (Roma, da 2011), Ordinario già Pontificia Accademia Tiberina da 2008; Cavaliere Grazia Magistrale S.M. Ordine di Malta (Napoli, da 2002); CdA Fondazione de Beaumont Bonelli Onlus per le ricerche sul cancro con il Prefetto di Napoli (da 2011), membro Accademia Europea Relazioni Economiche e Culturali (Camera Deputati, Roma da 2004) e Presidente Distretto Campania; membro ad honorem Nobile Collegio Chimico Farmaceutico (fondato nel 1429) a Roma da 2006. Fondatore e Presidente a vita della Fondazione sociosanitaria ed umanitaria Chiron (da 1985) e Webmaster (da 2011), Amm.re Unico Chiron Editore (da 2007), General Manager Villano Team, conglomerata di 12 attività nazionali ed internazionali operative dal 1978 nel business, no profit, consulting & service (da 2013); Membro Ruggero II University (Florida, da 2013); Cooperatore Suore Madre Teresa Calcutta (da 2002). Chairman in decine di congressi nazionali e internazionali professionali, storici e rotariani, ha tenuto oltre cento conferenze nazionali e internazionali professionali, storiche e rotariane. È stato: membro (2001-11) Comitato Scientifico sicurezza sanitaria International Business Development (azienda responsabile sicurezza per Procura Generale Repubblica a Napoli); effettivo di: British Society History Pharmacy, Società Svizzera Storia Farmacia, Società Tedesca Storia Farmacia, American Institute History Pharmacy (2005-07); membro Rotary Club Pompei Oplonti Vesuvio Est (1990-2007) e Presidente 2000-01, ha ruoli distrettuali, nazionali e internazionali per 17 anni; autore di molte azioni internazionali tra cui: Club Contatto con Cartagine per valorizzare aree archeologiche; Componente Comitato Organizzatore Premio Internazionale Colonie Magna Grecia (1999/00); Segretario International Committee on Biothecnologies Wabt dell’Unesco (Parigi da 2008); membro World Academy of Biomedical Technology dell’UNESCO a Parigi da 2007.

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Nel  Distretto 2100-Italia è: Componente Comitato Coordinamento Club Area Sud Golfo Napoli (1993-95) e collabora al Forum su istituzione Tribunale a Torre Ann.ta; membro Comm.ni: Etica professionale (2002-04), Azione Pubblico Interesse Mondiale 2001-03; Delegato dei Governatori per l’Archivio (dal 1994 al 2003); Informatica (vari anni). Padrino: nel Rotary dei Soci Onorari: SE Mons. Francesco Saverio Toppi, Arcivescovo Prelato di Pompei (1993); SE Antonio Greco, Presidente Tribunale di Torre Annunziata (2000); Dr. Dino De Laurentiis, Produttore cinematografico presidente DDL Co. di Hollywood e Premio Oscar alla Carriera (2001); in Asas: dell’Accademico Onorario Prof. Giulio Tarro, Membro Commissione Naz.le Bioetica (2011); in Aerec: del Premio alla Carriera all’On.le Gianni Rivera, Campione mondiale di calcio e dirigente FIGC (2012). Professione: Trader dal 1976, Socio di farmacia 1978-85, Assistente di ruolo Fac. F.cia Na (1985-90, Cattedra Prof. Lembo-Ist. Sup. Sanità), Socio 1978-85, Contitolare 1986-96 e Titolare di Farmacia 1997-2010. Presidente 1986/90 Giovani Farmacisti Napoli; Consigliere prov.le Sindacato ASiFaNT Napoli 1986/88; Rappresentante reg.le supplente e Rappr. nazionale in Patto Federativo; Componente Assemblea Naz.le e Comitato Naz.le Coordinamento Associazioni Italiane Giovani Farmacisti; cofondatore Federazione Nazionale Giovani Farmacisti FENAGIFAR (1989); Delegato Comit. Naz.le all’Assemblea Naz.le Farmindustria (1988); nominato a componente Segreteria V Congresso Naz.le Federfarma, oltre 1300 partecipanti (1988); Socio Federfarma 1997-2010. Studi: classici; Laurea e abil. in Farmacia (Napoli, 1985); corsi di: Piante officinali, Tecniche cosmetiche, Sicurezza aziendale, Haccp, Storia, Dottrina sociale della Chiesa, Teologia. Lauree h.c.: Scienze Umane e Sociali (2009); Storia e Filosofia (2010); Scienze della Comunicazione (2013). Master h.c.: Science of Medical Ethics (2010). Principali premi: Aesculapius con Alto Patronato Presidenza Consiglio Ministri (Roma, 1987); Diploma d’Onore da Presidente Rotary International “per Servizi eccezionali a titolo individuale nelle 5 Vie di Azione” (Evanston, 2001: solo 100/anno/1,5 mln soci); Attestato Merito Task Force Rotary Int. “Riduzione Crimine-Prevenzione Violenza” per Italia, Albania, ex-Jugoslavia e S. Marino (Zurigo, 2001); LXVIII Premio ricerca scientifica “Piccinini” per libro “Arte e Storia Farmacia” (Roma, 2006); Premio internazionale Sapienza e Etica Professionale da Univ. Sapienza e Consorzio 320 Istituti Univ. Internazionali Sapientia Mundi; ); LXV Premio nazionale Fondazione Stramezzi per libro “Meridiani di etica sanitaria” (Roma, 2007); Premio “Operosità Aristocrazia nel Lavoro” da Unione Legion d’Oro di Comitato Italiano ONG all’ONU e all’Organisation Internationale Protection Civile di Ginevra (2010);

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Premio “Capitolino d’Oro per attività umanitaria”, conferito anche a Presid. Pontificio Consiglio Cultura Card. Poupard e a Premio Nobel Walesa (2010); Premio internazionale “Veritas in Charitate” da Card. Martins “per instancabile impegno a costruire società fondata su tutela legalità e giustizia in pieno rispetto costituzione italiana e secondo valori evangelici di pace e solidarietà verso più deboli e emarginati” (2011); Benemerenza e Medaglia da Acc. Bonifaciana (Patrocini: Vaticano, Parlamento UE, Senato, Camera Deputati, Presidenza Consiglio Ministri, Nato) “per impegno e fattivo contributo culturale e sociale” (2011); Benemerenza “per meriti scientifici e culturali” da già Pontificia Accademia Tiberina di Cultura universitaria e Studi Superiori (2012); LXXIV Premio nazionale Cesare Serono per saggistica e letteratura storica (2012). Attività e ricerca: culturale, associativa, pubblicistica, saggistico-ermeneutica, professionale, sociale, storica, scientifica. Rilevante è l’impegno costante per circa 40 anni in Italia e all’estero in volontariato e opere umanitarie espletato con riconosciuta capacità in ong, istituzioni e rappresentanze internazionali con notevoli risultati. Autore di oltre 550 pubblicazioni in gran parte con firma unica, index e if su riviste nazionali e internazionali: sanitarie, professionali, scientifiche, sociali, culturali, rotariane e storiche. Collaboratore di prestigiose Riviste e linee editoriali nazionali, tra cui: “Atti e Memorie” Nobile Collegio Chim. F.co da 2009; “Atti e Memorie” Aisf da 2005; “Il Farmacista” Tecniche Nuove da 2011; “Punto Effe” da 2005. Ha diretto: “Bollettino Agifar” (1986-89), “Bollettino Rotary Club” (1990-94); ha collaborato con Rivista Ufficiale nazionale “Rotary” (1999-02). Autore di oltre 40 libri socio-culturali, scientifici, professionali e storici (pubblicati con editori prestigiosi come Zanichelli, Selecta, Led International; con patrocini di rilievo da: Ministero Beni e Attività Culturali, Wabt-Unesco, Rotary International, già Pontificia Accademia Tiberina; Acc. Storia Arte Sanitaria; Acc. Europea Relazioni Economiche e Culturali, Nobile Collegio Chimico Farmaceutico, Acc. Italiana Storia Farmacia, Norman Academy, Ruggero II University, J. Monnet Université Europenne, Università telematica Pegaso), tra cui: Verso la società globale dell’informazione, 1996; Il Rotary per l’Uomo, 2001; Gestione della sicurezza in Farmacia presentaz. Dr. Renzulli, già Consulente Sicurezza all’ONU, 2004); Arte e storia della Farmacia presentaz. Prof. Ledermann, Presid. International Society History Pharmacy, 2006; Meridiani farmaceutici tra etica laica e morale cattolica presentaz. Prof. Tarro, Comm. Naz.le Bioetica, 2008; Thesaurus Pharmacologicus presentaz. Presid. Farmacisti Italiani Dr. Mandelli (2009);

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Il tempo scolpito nel silenzio dell’eternità. Riflessioni sull’indagine diacronica per la memoria dell’homo faber, Presentaz. eminente storico Fra’ F. von Lobstein e critico Prof. Carosella, 2010; “Attività speziali e farmaceutiche nel Regno di Napoli, presentaz.: Presid. Accad. It. Storia Farmacia Dr. Corvi, 2010; Logos e teofania nel tempo digitale, presentaz. Mons. Trafny, Presid. Dpt Scienza e Fede-Pontificio Consiglio Cultura, 2012; Aspetti religiosi e dimensione ecclesiale del SMOM, 2013. Autore di circa 30 opere multimediali tra cui: Cenni di arte e storia della farmacia, 2002; Influenza A/H1N1, patrocinio Unesco (2009). Sue opere sono in biblioteche nazionali (tra cui: Quirinale, Senato, Accademia Nazionale Scienze, Accademia Lincei; Ministeri: Giustizia, Lavoro, Salute, Beni culturali, Politiche sociali) e di oltre 40 Paesi (tra cui: National Library of Medicine del National Institute of Health di Stati Uniti, Bibliothèque nationale de France, Lybrary of Congress UK), di Istituzioni pontificie e vaticane e vari Istituti Italiani di Cultura all’estero, sono di referenza in molte università italiane e straniere, in musei di storia della farmacia e citati in tesi di laurea; il libro Sicurezza in Farmacia debutta in Fiera del Libro di Francoforte 2004. Cataloghi: biografia in International Catalogue 2000 Outstanding Intellectuals of 21st Century 2010-13 di International Biographical Centre-Cambridge; Catalogo Opac Sbn con oltre 120 libri e monografie e con Scheda di Autorità di Ministero BAC. Vari libri hanno avuto apprezzamenti da autorità, tra cui il Capo dello Stato e il Santo Padre.