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Ragion di Stato e politica internazionale. Guido Bentivoglio e altri interpreti italiani della Tregua dei Dodici Anni () * di Alberto Clerici Sarà negotio di sudore, e pena. Guido Bentivoglio, Lettera al Monsignor di Modigliana, agosto Introduzione Tra gli argomenti più indagati negli ultimi anni dagli storici delle idee e della cultura politica che si occupano del drammatico “secolo di ferro” (-), ve ne sono certamente due che attraggono l’attenzione degli studiosi per la loro prossimità ad avvenimenti recenti e problematici del nostro tempo. Non che si sia in presenza di nuovi filoni storiografici; piuttosto, si tratta di un rinnovato interesse verso tematiche già da tem- po esplorate, ma necessitanti di un ulteriore approfondimento anche e soprattutto in chiave “comparativa”, alla luce delle nuove sfide della contemporaneità. La prima di queste tematiche è la teoria della “ragion di Stato”, espres- sione che racchiude in sé gran parte della cultura storica e politica del “secolo di ferro” in Europa (e specialmente in Italia), dove essa viene a congiungersi intimamente non solo con la formazione degli Stati moderni e dei loro apparati burocratici ed istituzionali, ma anche con dei cambia- menti non meno evidenti a livello di società civile, vale a dire di rapporto tra intellettuali e politica e tra potere e opinione pubblica. La seconda questione è direttamente legata alla prima e concerne l’affermazione del nuovo concetto di sovranità statale a seguito del declino della Respublica Christiana, sovranità che pretende di definirsi nella maggior parte dei casi come “assoluta”, proiettandosi non solo “verso l’interno”, cioè nella rela- zione tra sovrano e sudditi in un dato territorio, ma anche “verso l’esterno”, in altre parole nei rapporti internazionali, regolati dallo ius gentium, tra le nuove entità politiche, che si contendono le risorse provenienti dai traffici marittimi ed oceanici, con la diplomazia o con le cannonate . In questo contributo mi propongo di analizzare un particolare mo- mento storico, all’inizio del XVII secolo, nel quale queste due tematiche, quella della “ragion di Stato” e quella della nascente “politica interna- Dimensioni e problemi della ricerca storica, n. /

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Ragion di Stato e politica internazionale. Guido Bentivoglio

e altri interpreti italianidella Tregua dei Dodici Anni ()*

di Alberto Clerici

Sarà negotio di sudore, e pena.Guido Bentivoglio, Lettera al Monsignor di Modigliana,

agosto

Introduzione

Tra gli argomenti più indagati negli ultimi anni dagli storici delle idee e della cultura politica che si occupano del drammatico “secolo di ferro” (-), ve ne sono certamente due che attraggono l’attenzione degli studiosi per la loro prossimità ad avvenimenti recenti e problematici del nostro tempo. Non che si sia in presenza di nuovi filoni storiografici; piuttosto, si tratta di un rinnovato interesse verso tematiche già da tem-po esplorate, ma necessitanti di un ulteriore approfondimento anche e soprattutto in chiave “comparativa”, alla luce delle nuove sfide della contemporaneità.

La prima di queste tematiche è la teoria della “ragion di Stato”, espres-sione che racchiude in sé gran parte della cultura storica e politica del “secolo di ferro” in Europa (e specialmente in Italia), dove essa viene a congiungersi intimamente non solo con la formazione degli Stati moderni e dei loro apparati burocratici ed istituzionali, ma anche con dei cambia-menti non meno evidenti a livello di società civile, vale a dire di rapporto tra intellettuali e politica e tra potere e opinione pubblica. La seconda questione è direttamente legata alla prima e concerne l’affermazione del nuovo concetto di sovranità statale a seguito del declino della Respublica Christiana, sovranità che pretende di definirsi nella maggior parte dei casi come “assoluta”, proiettandosi non solo “verso l’interno”, cioè nella rela-zione tra sovrano e sudditi in un dato territorio, ma anche “verso l’esterno”, in altre parole nei rapporti internazionali, regolati dallo ius gentium, tra le nuove entità politiche, che si contendono le risorse provenienti dai traffici marittimi ed oceanici, con la diplomazia o con le cannonate.

In questo contributo mi propongo di analizzare un particolare mo-mento storico, all’inizio del XVII secolo, nel quale queste due tematiche, quella della “ragion di Stato” e quella della nascente “politica interna-

Dimensioni e problemi della ricerca storica, n. /

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zionale”, emergono nella loro indissolubilità e nella loro chiarezza. Più specificamente, esaminerò i primi giudizi di autori italiani intorno alla Tregua dei Dodici Anni firmata il aprile , vero e proprio momento di svolta nella sanguinosa “guerra degli ottanta anni” tra la Spagna e i Paesi Bassi, e vedremo come, nell’opinione degli interpreti più acuti, essa rappresenterebbe in realtà “la fine” della guerra stessa, un “punto di non ritorno”, nel senso che da quella data in poi si sancisce l’indipendenza e l’affermazione internazionale, se non de iure certamente de facto, della repubblica delle Province Unite, e conseguentemente la scissione defi-nitiva tra Paesi Bassi settentrionali e meridionali.

La Tregua dei Dodici Anni: i negoziati e le questioni essenziali

La Tregua dei Dodici Anni ebbe una lunga gestazione: circa due anni di trattative, tra rotture e riavvicinamenti, che videro il coinvolgimento di tutte le maggiori potenze europee. Si possono riconoscere almeno due fasi distinte: la prima comprende le trattative segrete tra l’Aia e Bru-xelles (che agiva per conto di Madrid), intercorse durante il cosiddetto “armistizio degli otto mesi” ( maggio - gennaio ), mentre la seconda riguarda gli accordi ufficiali, inizialmente sull’ipotesi di una pace (gennaio-agosto ), poi, dopo la rottura dei negoziati, e attraverso la mediazione francese, sulla possibilità di una lunga tregua ( agosto - aprile ).

Si tratta di un periodo fondamentale per la storia europea della prima età moderna, non solo per l’irruzione di due nuove realtà politiche nel continente, ma anche per l’importanza decisiva che da quel momento in poi avrebbero assunto la geopolitica “mondiale” e il commercio inter-nazionale, come ben compreso dagli autori qui citati.

Naturalmente, dopo quarant’anni di guerra, non era facile mettere d’accordo il sovrano della più grande potenza allora conosciuta con quelli che egli stesso definiva ribelli ed eretici. Ma la realtà dei fatti imponeva anche altre valutazioni: le spese enormi della campagna di Fiandra; la continua penuria di danaro nelle casse spagnole (e dei creditori della Spagna); la vastità dell’impero asburgico, impossibilitato a concentrare ogni sforzo bellico su un unico fronte; il sospetto di un’alleanza anglo-francese; le continue perdite nei traffici oceanici. Militarmente le due fazioni sembravano giunte ad uno stallo: dalla morte di Filippo II (), la situazione territoriale non era di molto variata, se si eccettuano alcune conquiste reciproche di città in mano alla parte avversa. Si fronteggiavano due valenti generali, Maurizio d’Orange, figlio di Guglielmo il Taciturno, e l’italiano Ambrogio Spinola, il quale, comprendendo le difficoltà in cui

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versava il suo signore, divenne col tempo uno dei più tenaci sostenitori della Tregua.

Ma non è nelle schermaglie delle paludi olandesi che va cercata la scintilla delle trattative, bensì molto più lontano, nelle Indie. Dalla pace infatti Filippo III sperava di ottenere dai «Signori Stati» l’abbandono dei traffici mercantili oceanici, in cambio del riconoscimento dell’indi-pendenza delle Province Unite e dell’apertura dei porti spagnoli. Ma gli olandesi fecero subito capire che essi consideravano di primaria impor-tanza il mantenimento della posizione dominante della loro Compagnia delle Indie e si batterono strenuamente per non cedere di un millimetro su questo punto. Su un altro versante, la Francia di Enrico IV, cui faceva comodo una guerra che indebolisse e occupasse contemporaneamente sia la Spagna che i Paesi Bassi, si pose in aperta opposizione all’ipotesi di una pace, ma successivamente, dopo un calcolato riavvicinamento con Madrid, intervenne a “salvare” le trattative nell’agosto del , con la proposta di una lunga tregua che avesse lo stesso Enrico come garante.

Nel , quando già si parlava di una possibile interruzione del conflitto, il papa nominò Guido Bentivoglio nunzio a Bruxelles, dando istruzione al ferrarese di adoperarsi quanto più possibile per far ricono-scere la libertà di culto ai cattolici olandesi, ma il nunzio capì ben presto che il «punto della Religione» era tra gli ultimi in agenda e considerato sacrificabile da parte di Filippo III e degli arciduchi.

Nelle province ribelli la questione della pace o tregua non era meno delicata, essendoci in atto un aspro scontro tra il partito “della guerra”, sostenuto da Maurizio d’Orange, dalla Zelanda e dai calvinisti più orto-dossi, e quello “della pace”, con in prima fila il pensionario d’Olanda Johan van Oldenbarnevelt, spalleggiato dai calvinisti moderati e dai rappresentanti delle province “di terra” (Gheldria, Limburgo, Brabante), che non avevano interessi nelle Indie e dovevano sopportare gli scontri di fanteria e gli eccessi delle soldatesche. In una posizione quasi mediana, politicamente più raffinata, c’erano invece i mercanti raccolti nella potente Compagnia delle Indie Orientali, che si servirono della sapiente penna di Grozio per definire il loro punto di vista. Infatti, la pamphlettistica diretta dalla Compagnia, il cui contributo più importante fu senz’altro il Mare liberum di Grozio (), non escludeva la possibilità di fare la pace o la tregua con Madrid, a condizione però che la Spagna ammet-tesse la completa libertà di commercio degli olandesi nelle Indie (in caso contrario, sarebbe stato preferibile proseguire le ostilità).

Essenzialmente, le questioni che animarono i dibattiti tra le differenti delegazioni furono due: il riconoscimento dell’indipendenza delle Provin-ce Unite, secondo la formula di “Stati liberi”, e appunto il loro diritto di percorrere le rotte mercantili nelle Indie. Fu su questi due punti (e, solo

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secondariamente, su quello della religione) che si cimentarono le menti migliori del negoziato: Filippo III, gli arciduchi, Oldenbarnevelt, Maurizio d’Orange, Spinola, l’inviato speciale di Enrico IV Jeannin, Bentivoglio e, assieme a loro, molte altre figure di minore importanza.

La Tregua, della durata di dodici anni, venne infine firmata ad Anversa il aprile. Il documento comprende articoli e una dichiarazione se-greta; l’articolo di apertura riguarda il problema della sovranità, mentre la dichiarazione segreta conclusiva risolve la questione dei traffici oceanici. In questi soli due punti è contenuto, come già Motley notava, il risultato di due anni di intensa e faticosa attività diplomatica.

Le Province Unite escono sicuramente vincitrici: esse hanno visto riconosciute tutte le loro richieste, senza conceder la libertà di culto ai cattolici (se non nelle aree recentemente conquistate del Sud), attraverso un sapiente dosaggio di intransigenza – a volte quasi arroganza – e cal-colata arrendevolezza. Alla Spagna rimaneva comunque, lo vedremo, un appiglio terminologico che le avrebbe consentito di “salvare la faccia” ed eventualmente proseguire, in futuro, il conflitto.

La Tregua dei Dodici Anni nella storiografia italiana del primo Seicento

È noto che gli italiani furono, assieme agli olandesi, tra i primi e più acuti narratori ed interpreti di quella che essi chiamavano “Guerra di Fiandra”. In fondo, la Spagna giocava un ruolo di primo piano anche nel nostro Paese, e molti personaggi celebri del conflitto erano italiani o di origine italiana.

Questi scrittori non erano tutti storici o accademici di professione, come Famiano Strada o Angelo Gallucci, bensì soldati (Pompeo Giusti-niani, Pier Francesco Pieri), diplomatici (Guido Bentivoglio, Tommaso Contarini), politici o consiglieri (Francesco Lanario, Giovanni Costa), avventurieri (Gregorio Leti) o semplicemente uomini di cultura (Tom-maso Campanella), desiderosi di far conoscere ad un più vasto pubblico, spesso preferendo l’italiano al latino, gli avvenimenti di questo lungo e sanguinoso conflitto, «che sono de’ maggiori, e più celebri senza dubbio, che si possano esporre al theatro dell’universo». I loro lavori ebbero quasi sempre una discreta risonanza, a volte immensa, come nel caso di Bentivoglio o Strada, tanto da influenzare in vari Paesi d’Europa il modo stesso di “leggere” la Guerra di Fiandra e i suoi protagonisti, contribuen-do in certi casi alla diffusione di un vero e proprio “modello olandese” repubblicano e federalista, in contrasto con l’idea di monarchia assoluta e accentratrice, con la conseguenza, per quanto riguarda l’Italia, di venire

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ad alimentare direttamente o indirettamente sentimenti antispagnoli. Ora, va detto che tale storiografia non si presenta perfettamente

omogenea, in altre parole non costituisce un insieme compatto. Vi sono storici più obiettivi e storici di parte, “tacitisti” ed “antitacitisti”, “laici” e “confessionali”; storici di tradizione “rinascimentale” e storici “baroc-chi”, per citare solo alcune delle suddivisioni elaborate nel tempo dalla critica.

Vorrei qui concentrarmi su alcuni testi, noti e meno noti, che presen-tano almeno tre elementi in comune: furono concepiti nel periodo imme-diatamente successivo alla Tregua (-), rivelano un forte realismo politico e mostrano un certo grado di obiettività, anche se non proprio di neutralità, nel descrivere il punto di vista dei due attori principali del dramma, la Spagna e l’Olanda. Le opere che tratterò più diffusamente sono la Relatione del trattato della tregua di Fiandra del cardinale Guido Bentivoglio, pubblicata nel all’interno delle Relationi ma scritta subito dopo la conclusione del trattato, in seguito confluita con poche modifiche nel Della Guerra di Fiandra (-); la Relazione dell’amba-sciatore veneziano a L’Aia Tommaso Contarini (), e un assai poco ricordato ma interessante libello, il Ragionamento sopra la tregua dei Paesi Bassi del genovese Giovanni Costa ().

Notizie sulla tregua in Italia giungevano naturalmente attraverso dispacci, lettere e relazioni diplomatiche, ma queste informazioni erano destinate solo alle corti, e non certo al grande pubblico. Una tra le prime opere storiografiche in commercio, scritta da un italiano e per di più in lingua italiana, che accenna alle fasi delle trattative e, cosa meritoria, traduce articolo per articolo (con l’esclusione della clausola segreta finale sul commercio delle Indie) il testo della Tregua, fu il Delle guerre di Fian-dra libri VI di Pompeo Giustiniani, che apparve ad Anversa nel , a Venezia nel e in seguito presso altri editori. Dedicato allo Spinola, il volume – scritto da uno dei migliori elementi dell’esercito spagnolo in Fiandra – descrive in maniera affidabile e precisa le operazioni militari del conflitto, ma tratta piuttosto sbrigativamente i motivi, i problemi, le fazioni, le conseguenze politiche del negoziato tra L’Aia e Bruxelles-Madrid. Giustiniani, pur adottando nella sua narrazione un punto di vista più o meno filospagnolo, dimostra tuttavia il realismo e l’obiettività di chi aveva sperimentato sul campo le asprezze di una guerra lunga e logorante, i problemi finanziari, gli ammutinamenti, l’indubbio valore della parte avversa e del Principe d’Orange. Non a caso, infatti, viene più volte elogiato lo Spinola per la sua ferma volontà di scendere a patti con i ribelli, consentendo alla Spagna «di poter voltar l’armi alle parti che più vorrà, con sicurezza maggiore di conseguir il suo intento».

Non meno insoddisfacente è la trattazione della Tregua in Le guerre

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di Fiandra di Francesco Lanario (Anversa, e poi Venezia e Milano, ). Non poteva d’altronde essere altrimenti, data la natura dell’opera, una specie di “breviario” scritto appositamente per «benefitio [di] coloro, che non havesser tempo di leggere l’historie intiere dell’alteratione de’ Paesi bassi». Dalle quattro pagine dedicate ai negoziati emerge però un fatto singolare, il tentativo cioè di attribuire il merito della Tregua interamente all’arciduca Alberto, destinatario dell’opera, che con la sua «destrezza e prudenza» sarebbe riuscito ad aggirare le «continue difficoltà» poste da Filippo III, per porre fine ad una guerra «la quale ha costato alla Corona di Spagna un’estimabil tesoro».

La Tregua è altresì assente in altre opere italiane sulla rivolta dei Paesi Bassi scritte nella prima metà del Seicento, che terminano la loro esposizione o sono apparse prima del . È il caso del De bello Belgico di Famiano Strada (due decadi, e ), che si ferma al , e di Della Guerra di Fiandra di Cesare Campana, apparso nel . Prima del , dunque, anno di pubblicazione delle Relationi del Bentivoglio, il lettore italiano che avesse voluto approfondire i momenti e le personalità della Tregua dei Dodici Anni avrebbe dovuto rivolgersi agli storici olandesi, ad esempio Dominicus Baudius e Johannes Meursius, oppure avrebbe potuto attendere la traduzione latina () o francese () delle monu-mentali Nederlandscher Oorloghen di Emmanuel van Meteren.

Ma questo non vuol dire che nel nostro Paese non vi fosse già qualche attento osservatore. Guido Bentivoglio, infatti, aveva assistito in prima persona a tutte le fasi del negoziato, accumulando materiale per le proprie successive pubblicazioni (e occorre ricordare che quasi negli stessi anni, in Olanda, Grozio andava redigendo i suoi postumi Annales et Historiae de rebus Belgicis). Inoltre, come vedremo, almeno un’altra opera italiana immediatamente successiva alla Tregua, seppur di non grande respiro, presentava spunti di riflessione assai interessanti: si tratta del Ragionamento di Giovanni Costa. Per quanto riguarda invece la produzione storiografica della seconda metà del XVII secolo, che non interessa direttamente il nostro argomento, va menzionato almeno il De bello Belgico del gesuita Angelo Gallucci, opera non eccessivamente faziosa (anche se dedicata ad un parente dello Spinola) e assai ben do-cumentata − specie per gli anni - − e pertanto utilizzata dagli storici sino ai giorni nostri.

Ma vediamo in dettaglio quali furono i primi giudizi sulla Tregua provenienti dall’Italia, specialmente sulle questioni dell’indipendenza politica e della libertà di commercio, cominciando dall’opera di uno dei protagonisti dei negoziati, il cardinale Guido Bentivoglio.

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Guido Bentivoglio storiografo della Guerra di Fiandra

Nell’estate del Guido Bentivoglio, allora ventinovenne arcivescovo di Rodi, giunse a Bruxelles in qualità di nunzio pontificio, e venne rice-vuto «con termini benignissimi» dagli arciduchi Alberto e Isabella.

Già molte erano le qualità, e profonda la preparazione, di colui che sarà destinato a figurare tra i grandi nomi della storiografia europea del Seicento, e che sarebbe forse potuto diventare papa se la morte non lo avesse raggiunto durante il conclave del . Nella Ferrara di Francesco Patrizi e Battista Guarini, Bentivoglio aveva acquisito una pregevole cultu-ra umanistica. Successivamente aveva intrapreso studi giuridici a Padova, laureandosi nel . In quell’ateneo “averroista”, situato nella − almeno apparentemente − tollerante repubblica veneta, il giovane ferrarese si era applicato con zelo, respirando l’aria delle novità scientifiche e della libertà di ricerca, grazie al magistero di personaggi come Cesare Cremo-nini, Francesco Piccolomini, Giacomo e Francesco Zabarella, Antonio Riccoboni, non trascurando allo stesso tempo l’apprendimento delle scienze, sotto la guida di Galileo Galilei, dal quale prese anche lezioni private. Ma la sua vera passione erano gli studi storici:

Fra gli altri studi, che mi allettavano, mi rapiva specialmente lo spendore, e l’amenità dell’istoria; onde io mi rubava spesso agli altri per darmi a questo. Fin d’allora io godeva con sommo piacere di trovarmi a quelle tante e sì varie scene di casi umani, che dall’istoria si rappresentano; dall’istoria, dico, la quale unendo le memorie sepolte con le più vive, ed i secoli più lontani co’ più vicini, a guisa di scuola pubblica in mille efficaci modi ammaestra i principi, ammaestra i privati, e fa specialmente conoscere quanto uguale, e giusta con tutti sia l’alta mano di Dio; e quanto più fra le miserie, che fra le felicità ondeggi l’uomo in questo sì naufragante comune Egeo della vita mortale. Non potrei esprimere in somma il piacere, e profitto insieme, che io provava ne’ libri istorici, come se fin da quel tempo nel barlume di quell’età il natural mio genio mi facesse antivedere l’impiego delle due Nunziature, che ne’ tempi che poi seguirono ebbi occasione di esercitare in Fiandra ed in Francia.

Dal al il Bentivoglio fu invece a Roma, dove percorse rapi-damente la carriera ecclesiastica e, frequentando la Curia, ebbe modo di affinare le arti della diplomazia e della prudenza. Fu intimo, come egli stesso rivela nelle Memorie, dei cardinali Antoniano, Baronio e Bellarmino, illustri esempi di dottrina storica, teologica e politica. Alla Sapienza prese inoltre lezioni di “geografia” nientemeno che da Traiano Boccalini, da lui definito «gran politico», del quale (come per Galilei, del resto) condannava certi eccessi, pur subendone l’indubbia influenza, il

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crudo realismo, la distaccata volontà di smascherare i reconditi disegni e le segrete passioni degli uomini.

Oltre alla sua educazione di tipo interdisciplinare, Bentivoglio posse-deva altre qualità che lo indicavano particolarmente idoneo alla nunziatura di Fiandra. Anzitutto, molti suoi fratelli e nipoti avevano già combattuto in quei territori; inoltre, egli aveva appreso sia il fiammingo che lo spagnolo, grazie all’amicizia con Pedro Ximenez, segretario dell’Ambasciata spagnola a Roma. Infine, aveva già dato prova della sua abilità di mediatore − ciò che gli si chiedeva in quel frangente a Bruxelles −, avendo interceduto con ottimi risultati per un suo fratello “ribelle” presso Clemente VIII. Non era dunque impreparato allorquando giunse alla corte degli arciduchi, come egli stesso rivela:

Se bene ho portate quà le orecchie si piene di Fiandra, che prima di giungervi, mi par quasi d’haverla anche habitata con gli occhi. Hò avuti in questa guerra quattro fratelli, e due nipoti; e truovo hora quì pur tuttavia uno d’essi fratelli, & un de’ nipoti. Onde quasi nascendo hò udito parlar di Fiandra; e nel crescer de gli anni mi si son fatte in modo familiari le cose di quà, ch’apunto non restava altro, che il venir quà io medesimo per diventar Fiammingo del tutto.

Bentivoglio rimase a Bruxelles, «uno dei punti nevralgici della politica europea e non solo europea», per otto anni, sino al . L’anno succes-sivo, gli venne affidata l’importantissima nunziatura di Francia, che tenne fino al , per poi tornare a Roma destinato, dopo la nomina a cardinale, ad alti incarichi, quale quello di presidente della Congregazione del San-t’Uffizio, che tenne dal al . Ciò non gli impedì di proseguire la sua attività di storico e letterato: nel , ad Anversa, uscivano le sue Relationi, che comprendevano anche la Relatione delle Province Unite di Fiandra (), la Relatione di Fiandra (), e la Relatione del trattato della tregua di Fiandra. Nel , invece, si pubblicò «in Colonia» la prima parte del Della Guerra di Fiandra, seguito dalla seconda () e dalla terza (). Rilevanti per il tema del nostro saggio sono poi le sue celebri Memorie, le Lettere riguardanti la nunziatura di Fiandra, e l’interessante Raccolta di tutte le orationi e degli elogi che si contengono nell’historia di Fiandra del cardinale Bentivoglio. Questi scritti, a comin-ciare da Della Guerra di Fiandra, costituiscono un corpus tra i più rilevanti per la ricostruzione della Rivolta dei Paesi Bassi, e furono tradotti nelle maggiori lingue europee.

Una serie di studi ha già sottolineato il valore della Relatione delle Province Unite, opera nella quale Bentivoglio ha saputo presentare con lucidità e finezza storico-politologica la situazione del nuovo Stato fede-rale e repubblicano, ma manca forse una ricostruzione d’insieme del pensiero storico-politico del cardinale ferrarese che prenda in esame la

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sua formazione intellettuale, le sue fonti, la consapevolezza terminologica, il contributo dottrinario, il rapporto con gli altri grandi storici della sua epoca, la fortuna successiva.

Vorrei qui fornire non più di un “frammento” di questa impresa, esa-minando il giudizio di Bentivoglio sulla genesi e sui risultati della Tregua dei Dodici Anni come emerge dai documenti e dalle sue fatiche letterarie, soprattutto dal suo capolavoro, la Guerra di Fiandra, nella cui terza parte confluisce la Relatione sulla Tregua precedentemente stesa.

Guido Bentivoglio e la Tregua dei Dodici Anni

Di fronte a chi ancora oggi è portato a mettere in dubbio l’obiettività e il distacco del Bentivoglio, oppure a credere che egli sia stato, al pari di altri storici cattolici, limpidamente filospagnolo e anti-olandese, mi sembra si possa citare una discreta quantità di riferimenti contrari. Non solo i giudizi della critica odierna (Asor Rosa, Belvederi, Bertelli, Visceglia, Mastellone, Haitsma Mulier, Conti) smentiscono l’idea di una sfacciata “parzialità” del cardinale, o la sola possibilità di affiancarlo per stile e conclusioni a un Famiano Strada (col quale del resto lo stesso Bentivoglio polemiz-zò in vita), ma si devono tenere presenti altre vicende, ad esempio la posizione del cardinale all’interno del Sacro Collegio, e naturalmente le citazioni testuali. Tutto sommato, aveva ottime ragioni il governo di Bruxelles quando, nel , decise di confiscare la prima edizione delle Relationi. In quella sulle Province Unite, infatti, Bentivoglio non dissi-mula una simpatia, seppure “disincantata”, verso quella

Republica sì potente per terra, e per mare; fondata in un governo di forma sì diversa da tutte l’altre; ch’ a’ dì nostri è nata, e cresciuta in un subito; anzi con istupore, cresciuta quasi prima, che nata.

La forma di governo federale, fondata sulla “costituzione mista”, che avvicina l’autorità cittadina, quella provinciale e quella “nazionale”, sotto la guida del principe d’Orange, gli sembrava assai razionale e armonica da un punto di vista “organicistico”:

Cospirano dunque insieme concordemente il Prencipe, & i popoli in questa ma-niera; il Prencipe contentandosi d’una autorità non del tutto assoluta; & i popoli d’una libertà moderata; in quella guisa apunto, che suol procedere il governo tra il capo, e le altre membra nel regno del corpo humano.

Parole simili sono poi espresse a proposito del meccanismo decisionale delle assemblee rappresentative:

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Radunati che sono, si trattano, e si risolvono le cose poste in consulta; & allora di tante Città se ne forma come una sola; & non sono allora più membra divise, ma corpo unito; & lo stringe insieme, & unisce il commun vincolo d’un solo, e concorde fine, al quale facilmente sogliono essere tirate dalla publica utilità, e dall’imperio della ragione.

Il cardinale arriva addirittura a lodare, sulle orme di Grozio, la ribellio-ne degli antichi batavi contro «la superbia, e la violenza» dei romani, descritta «sì nobilmente nelle historie di Tacito». Infatti, «quale cosa è più naturale, e di maggior forza ne’ petti humani, che l’amor della libertà?». Nell’ultimo capitolo della relazione, poi, Bentivoglio, pur essendo convinto che vari indizi potrebbero portare ad una prossima disgregazione delle Province Unite, elenca una serie di motivi che invece potrebbero far pensare ad una lunga vita della neonata repubblica. A togliere ogni dubbio sul suo atteggiamento realistico, e niente affatto ser-vile nei confronti della Spagna, basti rammentare il crudo (ma profetico) suggerimento riguardo l’inopportunità di riprendere la guerra una volta scaduti i termini della Tregua:

Quando s’habbia a rinovar la guerra dopo la tregua, miglioreranno gli Spagnuoli di soldati, e di Capitani? Miglioreranno di Prencipi? E goderanno più favorevoli congiunture di tempi, che non furono le passate? Non havrà mai la Spagna, né Capitani maggiori, né eserciti più fioriti di quelli, c’hà avuti sin’ora in Fiandra; non havrà mai Prencipe, che sia più prudente di Filippo II; né mai sono per ritornare più opportuni tempi di quelli, che già corsero, quando i suoi nimici in Fiandra si trovarono sì abbattuti, e quando all’istesso tempo da forze esterne sì poco furono fomentati. Più tosto si potrebbe temere, che fossero in caso tale per avvantaggiarsi i nemici dalla lor parte; resi superbi da tante prosperità conseguite, e fatti sicuri, che mai non potrebbe mancar loro per l’avvenire, né la solita for-tezza de’ lor paesi, né l’ostinatione di prima de’ loro popoli, né la prontezza già sì provata de’ Prencipi amici in somministrar loro contro la Corona di Spagna gli aiuti, che bisognassero. In modo che si potrebbe dubitar grandemente, che dalla parte di Spagna havessero a peggiorar le cose ridotte all’armi; e ch’in luogo d’acquisti fossero per seguir nuove perdite.

Giudizi analoghi si possono trovare in gran numero nella Guerra di Fiandra, dove anzi vengono elogiati i ribelli, ad esempio nel coraggioso comportamento tenuto nell’assedio di Leida, e allo stesso tempo sono vituperati alcuni inetti (Requesens) o crudeli (Alba) governatori spa-gnoli. Con questo però non si vuol dire che Bentivoglio sia uno storico marcatamente anti-spagnolo oppure pro-olandese. A lui preme restare attaccato alla realtà dei fatti, togliere la “maschera” agli “attori” del “teatro del mondo”. Pertanto, non fatica a contestare ai ribelli una dura «ostinatione», un nascondere puri e semplici obiettivi economici sotto il

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pretesto della libertà politica e della tolleranza religiosa, e non nega che l’eresia sia un errore e un peccato. Persino Guglielmo d’Orange viene presentato come uomo dotato di grande intelligenza e forza di volontà, ma anche lui spinto da ambizioni personali. Allo stesso modo, l’autore della Guerra di Fiandra, che aveva poco prima biasimato il duca d’Alba, loda invece Alessandro Farnese e successivamente Ambrogio Spinola, a testimoniare che anche per Madrid militano figure di spicco.

Secondo Alberto Asor Rosa, la prosa del Bentivoglio rappresenterebbe «la fase di passaggio fra l’ortodossia guicciardiniana e le nuove forme di storiografia propriamente controriformistiche». L’autore della Guerra di Fiandra condivide infatti con i suoi colleghi del secolo precedente «una tendenza ormai stratificata a scorgere nelle azioni degli uomini, al di là delle apparenze, le motivazioni dell’interesse personale o di casta; ma già non è impossibile ravvisare una impercettibile ma crescente cristallizzazione stilistica, che dà talvolta risonanze retoriche, e qualche preoccupazione di ordine morale e di parte», che non gli impedisce tuttavia di mantenere «il massimo di obiettività concessogli dal suo punto di vista». La volontà di mettere gli uomini al centro della storia, tipica dell’ars historica rinascimen-tale, avvicina così Bentivoglio al suo altrettanto celebre contemporaneo, Enrico Caterino Davila, lo scrittore delle Guerre civili di Francia. In entrambi è possibile ravvisare, al di là delle differenze stilistiche, la stessa disincantata attitudine a penetrare gli interessi e le passioni degli uomini, e la stessa consapevolezza delle cause essenzialmente politiche più che religiose dei conflitti in atto. Bentivoglio, poi, lascia parlare direttamente i protagonisti degli avvenimenti, inserendo lunghe “orazioni” dei mede-simi, che dicono molto in realtà anche sulla sua consapevolezza lessicale e conoscenza delle correnti politiche del tempo.

Tutto questo emerge dalla lettura della Relatione del trattato della tregua di Fiandra, che verrà a costituire quasi per intero l’ottavo libro della terza parte della Guerra di Fiandra. L’opera è basata sulle numerose fonti e testimonianze raccolte da Bentivoglio, e naturalmente sui frequentissimi incontri che ebbe con i più importanti personaggi. Egli cominciò sin dai primi tempi della sua nunziatura a raccogliere il materiale, eppure nella Relatione delle Province Unite (che porta la data del maggio ) non vi è che un brevissimo accenno alla Tregua, nella seconda parte del testo. Parrebbe strano, dato che lo scopo principale dell’incarico di Bentivoglio a Bruxelles era proprio quello di condurre le trattative di pace per con-to della Santa Sede. È invece il segno che il prelato stava componendo – come lui stesso testimonia – un altro scritto, dedicato specificamente ai resoconti dei negoziati, appunto la Relatione del Trattato della tregua di Fiandra, di cui si conservano a Roma almeno due manoscritti coevi. Con la diligenza che gli era consueta, per aiutarsi il Bentivoglio aveva

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ammassato una serie di fonti edite e inedite, lettere, pamphlets, dispacci, documenti ufficiali in originale, in copia o in traduzione, a volte tradu-cendo lui stesso gli scritti che giudicava più rilevanti. Questo materiale costituisce il prezioso manoscritto Notizie di Tregua reperibile presso l’Archivio Bentivoglio di Ferrara.

Se riguardo alle Province Unite egli poteva ottenere solo informazioni di seconda mano (non riuscì mai, infatti, a visitarle di persona), molto più precisa era la sua conoscenza della situazione dei Paesi Bassi spagnoli. La sua affabilità e discrezione gli guadagnarono proprio il favore di coloro che erano maggiormente coinvolti nel processo di pace: gli arciduchi, Spinola, Mancicidor, l’ambasciatore spagnolo a Bruxelles marchese di Guadaleste e una sua vecchia conoscenza romana, il confessore di Filippo III, cardinale Jeronimo Xavierre, coi quali ebbe frequenti conversazioni e scambi epistolari.

Pur non avendo, come si è detto, una cognizione diretta delle pro-vince ribelli, Bentivoglio mostrerà tuttavia nelle sue opere di averne ottenuto una profonda conoscenza indiretta, descrivendo, tra i primi, con ricchezza di particolari e lucidità politica, il complesso meccanismo istituzionale, la dinamica sociale, gli interessi interni e internazionali del nuovo Stato. A questo proposito, è suggestivo menzionare l’influenza, sinora non sufficientemente evidenziata dagli studiosi, che sul Bentivoglio ha avuto il pensiero di Grozio. Ulteriori ricerche devono essere condotte in merito, ma appare chiaro che già prima di redigere la sua Relazione, nel , il cardinale aveva letto il De Antiquitate Reipublicae Batavicae del giurista di Delft, pubblicato l’anno precedente. In queste pagine, invece, vedremo come il Bentivoglio, descrivendo il “problema delle Indie” alla tregua, avesse recepito non solo il Grozio storico, ma anche il Grozio teorico dello ius gentium, il Grozio “internazionalista”.

Le consultazioni preliminari

e la questione della sovranità delle Province Unite

Si è detto che la riuscita dei negoziati dipendeva essenzialmente dalla soluzione di due punti delicati: il riconoscimento dell’indipendenza delle Province Unite e la loro libertà di commerciare nelle Indie. In un primo momento si discusse di pace, e non ancora di tregua; due differenti proposte vennero redatte ed esaminate da ambo le parti in contesa, con grandi difficoltà sollevate specialmente dagli olandesi. Una volta accettata la seconda ratifica, le delegazioni si incontrarono a L’Aia per discutere sulla stesura dei veri e propri articoli del documento. Dopo qualche tempo, tutto sembrò arrestarsi, poiché troppo divergenti erano i punti

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di vista sui temi summenzionati. Subentrò in quel frangente la Francia, seguita dall’Inghilterra, che propose di trasformare il trattato di pace in una lunga tregua, per arrivare ad un compromesso tra le parti, che infine fu trovato nell’aprile .

Di questo periodo tratta la Relazione del trattato della tregua di Fian-dra. Quando Bentivoglio arriva a Bruxelles, nell’agosto , era in atto la “piccola tregua”, dopo che gli Stati Generali avevano accettato una prima proposta di pace portata da padre Neyen a nome degli arciduchi, con la promessa di farla ratificare quanto prima da Filippo III.

Conditio sine qua non dell’intero maneggio era la dichiarazione, pretesa dalle Province Unite, secondo la quale Madrid e Bruxelles avreb-bero dovuto trattare con loro considerandole «come Provincie, e Stati liberi». Sarà questa la formula utilizzata infine nel primo articolo della Tregua, ma non ci si arrivò agevolmente. Da parte spagnola, infatti, un riconoscimento di tal genere venne rifiutato in un primo momento in quanto avrebbe fatto apparire la campagna contro i ribelli come «una guerra ingiusta», ma ancor più avrebbe potuto generare altre sedizioni nei Paesi sotto la sovranità spagnola. Ma, d’altro canto, Bentivoglio sottolinea che anche la prosecuzione di una guerra così estenuante non sarebbe stata tollerata a lungo dalle popolazioni:

e si conosceva, ch’al fine i popoli, per non lasciarsi più lungamente opprimer da tanti mali, havrebbono convertita la patienza in furore, e dal furore sarebbon discesi ad ogni più strana, e più disperata risolutione.

Il profondo realismo che anima la Guerra di Fiandra emerge sin dalle pri-me pagine dedicate alla Tregua. I ministri ispano-belgi, infatti, affrontano la questione del riconoscimento dell’indipendenza delle Province Unite con lo sguardo tutto rivolto alla “ragion di Stato”, che impone, almeno temporaneamente, la cessazione delle ostilità. Nelle parole di Bentivoglio essi rammentano agli arciduchi che dialogare con i ribelli in qualità di e come se fossero stati liberi, non vuol dire affatto riconoscerli per tali veramente, e di diritto, ma semplicemente «con senso di similitudine [...] e non con significatione di vera, e legitima libertà». Simulando dunque la concessione dell’indipendenza con una frase di questo tipo, gli spagnoli non avrebbero ceduto il legittimo titolo di sovranità posseduto. Occorre ricordare che questa linea argomentativa sarà mantenuta lungo il corso del negoziato, e verrà riproposta dal plenipotenziario francese Jeannin nel . Purtroppo però le Province Unite erano abituate ad una trasparenza maggiore negli affari di Stato, e rigettarono la prima ratifica di Filippo III proprio perché, tra le altre cose, non era chiara sul riconoscimento della sovranità. Al Bentivoglio tale atteggiamento appariva «arrogante» ed eccessivamente intransigente. In realtà, era il modo stesso di concepire

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l’arte della diplomazia che lo distanziava dalle procedure dei «Signori Stati Generali». Il cardinale si era formato nella Roma papale, per lui gli affari di Stato erano cose inevitabilmente “segrete”, per pochi, e soprattutto fu sempre convinto che, in tali materie, non si potesse concludere nulla senza un compromesso tra le parti, cioè una cessione parziale reciproca. Gli olandesi sono rei, a suo dire, di aver voluto coinvolgere troppe persone, il «volgo», nelle più delicate questioni, e il volgo, come è noto, diviene superbo quando la fortuna gli sorride, ma si fa subito vile «nelle cose avverse». Questa verità non deve però scoraggiare il prudente negozia-tore, che è capace di affrontare anche la volubilità del popolo: «Onde bisogna, o non trattar con la moltitudine, o soffrirne con prudenza questi alternanti difetti». Così fece il segretario di Stato degli arciduchi, Louis Verreycken, che usò «la dissimulatione, che conveniva», promettendo di sottoporre le lamentele dei ribelli al suo sovrano, al fine di ottenere una formula più conveniente.

Chi invece dimostrò minor prudenza fu Filippo III, il quale aveva inserito nella nuova proposta di trattative, a giudizio di Bentivoglio «im-maturamente», una clausola che imponeva la rottura di ogni negoziato nel caso in cui non si fosse giunti ad un accordo sulla libertà di culto per i cattolici. Il cardinale, non a torto, temeva che una così netta presa di posizione avrebbe scatenato le riserve degli olandesi, dichiarati liberi ma allo stesso tempo obbligati ad obbedire a Madrid su una materia così delicata come quella della religione.

Si attendeva pertanto una risposta dai «Signori Stati». A questo punto della narrazione, Bentivoglio inserisce due lunghe orazioni, la prima di Maurizio d’Orange e la seconda di Oldenbarnevelt, che sarebbero state pronunciate in seno a quell’assemblea per l’occasione. Il suo scopo è quello di informare il lettore sulle due fazioni che dominavano la scena politica olandese, il partito della pace e quello della guerra. Lo fa in maniera egregia e senza pregiudizi, dimostrando ancora una volta da un lato la sua ammirazione per queste due grandi e diverse personalità, ma dall’altro tenendo ben presenti i loro interessi concreti. Il principe ricorda suo padre, il pater patriae Guglielmo il Taciturno, che morì «per la causa publica», assassinato da «quel vile, e detestabile parricida». Egli non risparmia accuse al governo spagnolo, ma sopra ogni cosa ritiene che le Province Unite siano libere di fatto, e non necessitino di essere tenute per tali dal nemico, che per giunta è in malafede. La guerra non può es-sere interrotta proprio quando gli olandesi, a differenza degli avversari, vivono un momento di prosperità per terra e per mare, grazie all’«ottima disciplina» del loro esercito.

Alla vigorosa eloquenza di Maurizio, Oldenbarneveld oppone una prosa più razionale e profondamente realistica. La sostanza è giungere

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ad un accordo; cosa importa se Madrid è sincera o mente nell’ammettere l’indipendenza dei Paesi Bassi settentrionali? Al massimo, si tornerà alla situazione precedente, cioè al «al tribunale dell’armi, dove gli eserciti in casi tali dan le sentenze», per cui «poco dunque importerà, che siano per essere sinceri, o fraudolenti i lor fini in caso di qualche accordo, purché allora non ci possano opprimere con le lor forze».

Il Gran Pensionario non nutre la stessa fiducia di Orange sul prima-to delle armate olandesi. In fondo, se così fosse, dove sono i risultati? La realtà mostra invece che la Spagna è sempre potente, e anzi si è in-grandita annettendo il Portogallo. Sebbene nella presente congiuntura i ribelli abbiano ottenuto qualche successo, in passato non fu sempre così. Bentivoglio mette in bocca ad Oldenbarnevelt parole dal sapore “machiavelliano”: non è saggio sfidare troppo la sorte,

essendo mutabili tutte le cose humane, & incertissimi d’ordinario gli esiti delle guerre, potrebbono tornare di nuovo i tempi, alle cose lor favorevoli, & alle nostre contrarij [...] È fugace, incostante, sdegnosa, e fuor di modo irritabile la fortuna. Hora è tempo di saperla conoscere, e ritenere; ond’a me pare, che in ogni modo si debba ricevere la ratificatione venuta di Spagna.

La posizione dell’eminente statista fu infine accolta dall’assemblea, non senza difficoltà. Si dava così il via libera all’apertura dei negoziati veri e propri tra le due parti, che cominciarono il febbraio del a l’Aia, dopo l’arrivo “in grande stile” della delegazione ispano-belga. Ma la strada verso la pace sarebbe stata ancora lunga e piena di ostacoli.

Il problema delle Indie e la rottura dei negoziati

Sino a quel momento si era accuratamente evitato, sia da parte olandese che spagnola, di discutere il complesso problema del commercio con le Indie. In realtà, e a Roma ben lo sapevano, era quella la questione essenziale, poiché dai traffici oceanici dipendeva in gran parte la ricchezza sia della Spagna che dei Paesi Bassi. In effetti, dalle prime riunioni delle delegazioni, emerse che Filippo III avrebbe ammesso l’indipendenza delle Provincie Unite come «Stati liberi», ma chiedeva in cambio che si astenessero dai traffici nelle Indie. Inoltre, con la promessa di aprire i suoi porti europei, Madrid sperava di far allontanare le Province Unite dal Nuovo Mondo. Allarmati dalla possibilità che Oldenbarnevelt cedesse su questo punto, i mercanti della Compagnia delle Indie Orientali – che avevano un loro delegato particolare a l’Aia – progettarono in quel momento la delegittima-zione del monopolio ispano-portoghese fondato sul trattato di Tordesillas della fine del XV secolo, insistendo invece sull’idea del diritto naturale per

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chiunque di attraversare i mari e commerciare con popoli e nazioni che andavano considerate pienamente sovrane e non suddite di qualche poten-tato europeo. Il contributo teorico di maggior spessore, in questo senso, fu elaborato da Ugo Grozio in diversi scritti, dal memorandum del a Mare liberum del . Specialmente il memorandum, di cui Martine Julia van Ittersum ha ricostruito l’importanza e il contesto, venne tenuto in considerazione dai direttori della Compagnia, determinando la posizione ufficiale della stessa nei confronti della pace con il nemico, ed influenzando anche alcuni pamphlets della primavera-estate del . Uno di questi, la Memorie van de ghewichtighe redenen die de Heeren Staten generhael behooren te beweghen om gheensins te wijcken vande handelinghe ende vaert van Indien (“Raccolta delle principali ragioni che dovrebbero indurre gli Stati generali delle Province unite a non abbandonare il commercio con le Indie”), di cui esiste anche una traduzione francese pubblicata nella roccaforte ugonotta di La Rochelle, fu letto e tradotto di persona in italiano dal Bentivoglio, pertanto merita una breve descrizione. L’ano-nimo autore, certo vicino alle più alte cariche della Compagnia, e ben informato sulle cifre e le statistiche del mercato transoceanico olandese, espone il suo discorso con argomenti tratti più volte dalla lingua della giurisprudenza, esattamente dallo jus naturae et gentium, materia che non risultava ignota al Bentivoglio, il quale, lo ricordiamo, si era laureato in diritto a Padova. All’interno dello scritto si legge che:

la liberté de conserver & trafiquer les uns parmi les autres [...] est une sentence de la Loy de nature, engravé au coeur de tous les hommes, pratiquée par toutes les nations en tous temps & en tous lieux.

È dal mare che proviene il sostentamento delle Province Unite, e grazie al mare esse hanno generato i migliori marinai del mondo; il mare, che resta e deve sempre restare libero per tutti:

De la mer, ou personne n’a a commander, laquelle le droit des gens ouvre a tout le monde, & ne la donne a aucun particulier a posseder.

Seguono poi delle considerazioni assai interessanti, diremmo oggi di “geopolitica”, circa l’indispensabilità delle importazioni per un Paese piccolo ma ad alto tasso demografico come i Paesi Bassi settentrionali. Infine, quasi due secoli prima della Ricchezza delle nazioni di Adam Smith, il nostro autore spiega come dal profitto dei privati si generi automatica-mente l’utile dell’intera collettività:

Combien donc que les Marchans ne trafiquent point, ny mesmes personne n’aille sur le mer, que pour son gain particulier, si est ce que le public sera plus interessé que le particulier en quittant les Indes. Car outre que le public est seulement

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composé des particuliers, les particuliers faisans le public, & que le public est puissant à proportion du particuliers. Les particuliers pourront bien subsister sans le public, se retirans en d’autres Provinces, où ils pourront aussi bien negocier aux Indes, qu’en celle-cy. Mais le public est contraint de demeurer & voire sa puissance racourcie à mesure que son trafic se dimunue: au contrepoix duquel se hausse & baisse le nombre des habitans & la force du païs.

Dalla lettura di questo scritto “groziano” Bentivoglio trae dunque le sue riflessioni, inserite dapprima nella relazione sulla Tregua e in seguito nella Guerra di Fiandra:

là dove quando le Provincie Unite lasciassero la navigazione dell’Indie, si pri-verebbono della parte più principale, e più importante del traffico loro. Essersi cominciata, e volersi continovare da loro quella navigatione con la libertà, ch’a tutti ne dava il diritto della natura, e la ragion delle genti [...]. Il guadagno de’ particolari esser grandissimo, e non minore la commodità, che da ciò risultava al publico.

Sulla questione del traffico oceanico non si trovò un compromesso, e di conseguenza le trattative di pace si interruppero nell’agosto , con grande dispiacere del prelato ferrarese. A risolvere lo stallo ci pensarono allora gli ambasciatori d’Inghilterra e soprattutto di Francia, avanzando la proposta di concludere, anziché una pace perpetua, almeno una lunga tregua, che avrebbe comportato oneri minori per le parti.

Dalla pace alla tregua

Ma anche l’ipotesi di una tregua comportava varie difficoltà, dato che le Province Unite non sembravano voler indietreggiare di un millimetro nelle loro richieste. In un dispaccio al cardinal Borghese Bentivoglio lamenta che gli ambasciatori stranieri nascondessero dei secondi fini, e non mirassero realmente alla conclusione del penoso conflitto:

Insomma tutti gli ambasciatori [...] si sono messi insieme; e fattisi come mezzani in questo Trattato di Tregua, o fintisi più tosto per tali. Nel resto si vede chiaramente che da loro son fomentate l’essorbitanze de gli Stati. Nelle quali essorbitanze persistendo di nuovo essi Stati [...] pare perciò che continovi maggiore che mai il dubio, ch’ogni cosa non vada per terra.

Egli riponeva una certa fiducia solamente in Jeannin, e in effetti fu lui che condusse in porto il maneggio.

Nel frattempo, nelle Province Unite la discussione sull’accettazione della tregua continuava accesissima. L’opposizione più dura veniva dalla Zelanda, dietro la quale si nascondeva l’autorità del principe d’Orange.

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Bentivoglio riporta un discorso del deputato zelandese Maldereo, al quale mette in bocca parole tratte dal linguaggio del repubblicanesimo: l’antitesi tra libertà e servitù, e la denuncia della mala fides degli spagnoli.

A tutte queste obiezioni rispose infine Jeannin, il ottobre , con un’efficacissima orazione davanti agli Stati Generali, solo in parte alterata dal Bentivoglio nella forma, ma non nella sostanza. Con schiet-to realismo, se non addirittura con cinismo, Jeannin vuole convincere i delegati olandesi ad accontentarsi di essere trattati dagli spagnoli «come Provincie, e Stati liberi». È la stessa ragion di Stato, e il buon senso, che impongono di far cessare le «passioni particolari, velate in apparenza da zelo publico», per far trionfare le «ragioni essentiali» sulle «ombre vane», i «consigli prudenti» sulle «scritture seditiose, che si spargono qui ogni giorno». Jeannin provoca i «Signori Stati», dicendogli che essi cercano con troppo zelo la formula precisa della loro libertà; così sembrerebbe che non l’abbiano già di fatto ottenuta a caro prezzo negli anni. Gli svizzeri sono liberi da secoli senza pubbliche dichiarazioni, solo in virtù di una tregua. Una completa e chiara attestazione di indipendenza equivarrebbe a dire che la guerra è stata vinta dagli olandesi, ma così non è, si tratta di un negoziato tra pari, non c’è un vincitore e un vinto, e questo gli Stati devono capirlo. Inoltre, cosa verrebbe in più da una perpetua e chiara cessione della sovranità olandese da parte di Madrid? Forse questo le impedirebbe di muovere nuovamente guerra, quando volesse?

Credete voi, che gli Spagnuoli, in caso che non volessero per altri lor fini osservar la tregua, fossero per citarvi in giuditio prima di romperla? E che prima volessero disputare, s’hanno diritto sopra di voi, o non l’hanno? Questo è l’uso delle liti private, e non delle cause publiche, nelle quali si riducon le dispute finalmente all’armi in campagna, e chi vince ha ragione, e della vittoria non si dà conto.

Insomma, dalla tregua le Province Unite non hanno nulla da perdere, semmai solo da guadagnare, dato che la Spagna sembra ormai vicina a cedere anche sul punto delle Indie. Appare invece insensato proseguire la lotta sfidando la sorte (e qui parla Bentivoglio tanto quanto Jeannin), dato che «troppo domina, come ognun vede, la fortuna fra l’armi, e fa troppo spesso, con gran ludibrio del fasto humano, cedere al più debole il più potente, e seguir le perdite, dove s’aspettavano le vittorie».

L’azione diplomatica del plenipotenziario di Enrico IV mirò a sve-lare come il raggiungimento di un’intesa fosse conveniente per tutti e l’articolo sulla sovranità non compromettesse gli interessi di nessuno. Fu un lavorio sapiente, costruito, sottolinea Bentivoglio, con «accorti, e prudenti inganni», attraverso i quali Jeannin aveva cercato «come da buon mezzano, di tirar l’una, e l’altra parte alla tregua». Egli andava dall’arciduca a spiegare che l’articolo sugli «Stati liberi»:

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era una dichiarazione generalissima. Che la parola [come, N.d.r.] haveva senso di similitudine, e non di proprietà. Che volendosi dichiarare uno d’essere ami-co d’un altro, mai non si diceva, io lo tengo come amico, ma per amico. Che l’aggiungersi nell’ultime parole di non pretender cosa alcuna, si doveva riferire all’ambiguità delle prime. E finalmente, che tale dichiaratione non potrebbe né anche aver luogo se non per quel tempo solo, che durasse la tregua. Dunque doversi contentare il Re, e gli Arciduchi, di farla, poich’era involta fra termini, che potevano sodisfare all’una, & all’altra parte. Alla moltitudine imperita delle Province Unite, per l’esteriore apparenza della pretesa sua libertà. Al Re, & agli Arciduchi, per la vera sostanza, che riteneva in sé di lasciar loro tuttavia illese le ragioni di prima.

È interessante rilevare che tale ragionamento è esattamente opposto alla valutazione che si faceva invece nelle Province Unite, dove si andava sostenendo che la «vera sostanza» fosse la loro indipendenza de facto, mentre «l’esteriore apparenza» fossero proprio le sottigliezze verbali volute dagli spagnoli.

Nel cifrato del settembre Bentivoglio rivela come lo stesso arciduca si fosse ormai convinto che gli olandesi «pretendono d’esser liberi, ma che non sono; essendo quella parola (come) parola dubitativa». La strategia retorica proposta da Jeannin era pienamente condivisa dallo storico della Guerra di Fiandra, come appare da un dispaccio conservato presso l’Archivio Segreto Vaticano, nel quale egli sostiene che l’espressione «come con Stati liberi» avrebbe potuto servire «altrettanto per gli Stati, per pretendere d’esser rimasti assolutamente liberi, quanto per la parte de gli Spagnuoli di non essersi privati assolutamente della sovranità. La differenza delle quali interpretationi» sarebbe stata poi «decisa con l’armi, quando in altro modo non possan comporsi a sodisfattion delle parti».

Restava da risolvere il problema del commercio con le Indie. Anche su questo punto Jeannin avanzò una proposta che alla fine risulterà vincente, cioè quella di far riconoscere dalla Spagna alle Province Unite il diritto di trafficare liberamente nel Nuovo Mondo, ma attraverso un articolo che sarebbe rimasto segreto. In cambio, gli olandesi dovevano astenersi dall’entrare nei territori d’oltreoceano direttamente soggetti alla sovra-nità spagnola. Ancora una volta, quindi, il “segreto”, la “simulazione” e la “dissumulazione” vengono scelti come elementi determinanti per la riuscita del negoziato. Non tanto da parte delle Province Unite, le quali «havrebbono desiderato, che questo articolo venisse steso con termini chiari, & espressi», quanto dai delegati ispano-belgi, i quali «volevano, che quando pure fosse impossibile il farsi la tregua senza condescendere a questo punto, almeno ciò s’intendesse più tosto con giro tacito di parole, che con venire all’espressa nominatione dell’Indie». E, in effetti, quasi tutte le opere storiografiche sulla guerra dei Paesi Bassi non riportano tale

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articolo, così come esso non è leggibile nel testo della Tregua divulgato pubblicamente, ma solo nella raccolta delle Negociations di Jeannin.

Infine, con grande fatica, si era trovata una soluzione per le due questioni principali. Sul “punto della religione”, in altre parole sulla possibilità che fosse riconosciuta apertamente la libertà di culto ai cat-tolici olandesi, non fu deciso nulla di ufficiale, ma Jeannin ottenne dagli Stati l’assicurazione che, a tregua stabilita, i sudditi cattolici dei Paesi Bassi settentrionali avrebbero potuto esercitare il loro culto in privato, all’interno delle proprie dimore.

Nel commentare questa decisione, Bentivoglio dimostra nuovamente acutezza di giudizio e profondo realismo, al punto da entrare in polemica con l’ambasciatore spagnolo, ricevendo un ammonimento dal cardinal Borghese. Infatti, avendo compreso da un lato che Filippo e gli arcidu-chi erano assai indulgenti sulla questione, e dall’altro che gli Stati non avrebbero mai concesso, se non di propria spontanea iniziativa, alcun diritto ai cattolici olandesi, il nunzio finì con lo sposare interamente la strategia di Jeannin. L’ambasciatore spagnolo Guadaleste dichiarò al Bentivoglio che tale «tolleranza nel privato» gli sembrava «sinistra», e avrebbe significato un controllo strettissimo sugli spostamenti e le attività dei cattolici, con la conseguenza di forti persecuzioni simili a quelle cui erano sottoposti i loro fratelli in Inghilterra. Ma Bentivoglio, che aveva ben penetrato i costumi degli olandesi, intuì – e la storia gli ha dato ragione – che le Province Unite erano generalmente tolleranti con tutte le sette, e non erano interessate ad un eccessivo rigore che avrebbe potuto generare, tra l’altro, un esodo di massa verso le Fiandre spagnole, a detrimento delle attività commerciali. A suo dire, poi, il paragone con l’Inghilterra non reggeva, perché in quella nazione «commanda un re solo, e qua molti hanno il governo, là s’essercita un supremo volere e qua un’auttorità moderata». La posizione del nunzio sembra essere dettata, in effetti, da una sincera speranza sul miglioramento della vita religiosa dei cattolici olandesi, indipendentemente dal modo in cui questo fosse stato raggiunto, se per mezzo degli spagnoli o delle stesse autorità delle Province Unite. È proprio per questo suo atteggiamento assai “elastico” che veniva rimproverato da Scipione Borghese nell’agosto del . Ma, ancora una volta, Bentivoglio aveva saputo interpretare correttamente la situazione politica e l’intima natura della nuova repubblica.

La firma sul trattato della Tregua venne dunque apposta il aprile ad Anversa, e il Bentivoglio, dopo aver notificato a Roma l’avve-nimento ( aprile), inviò a fine mese un primo ed ampio resoconto dei negoziati.

La prima potenza europea a riconoscere ufficialmente le Province Unite, e ad inviare un ambasciatore a l’Aia, fu la repubblica di Venezia.

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Venne incaricato dell’ambasciata Tommaso Contarini, il quale nel redasse per i senatori veneti una lunga e precisa relazione, dove non faceva mancare alcune considerazioni sulla Tregua.

Secondo Contarini, varie cause avrebbero spinto il «Re Cattolico» ad accettare i duri termini del trattato; alcune palesi, come le spese ec-cessive, le asperità del terreno dei Paesi Bassi, le loro fortune militari e commerciali, ed altre più occulte, come la speranza che la pace potesse alimentare la discordia nelle province ribelli, che la guerra aveva invece unito, ma soprattutto

la causa più principale di condur Sua Maestà Cattolica all’accordo si crede essere stato il pericolo, nel quale vedeva ponersi tutto il traffico de’ suoi Regni et particolarmente il viaggio et le flotte dell’Indie, rispetto alle gran forze de Signori Stati nel mare.

Assai più di Bentivoglio e, lo vedremo, anche di Costa, il Contarini inoltre stimava probabile che i primi a rompere la tregua sarebbero stati proprio gli olandesi i quali, pur «havendone conseguito quei fini, per i quali sin da principio si mossero a prender l’arme, cioè la libertà della religione et del domino, oltre la navigatione dell’Indie», tuttavia avevano perso le entrate derivate dall’assalto ai galeoni spagnoli e portoghesi, e rischiavano di essere accerchiati dagli Asburgo nella successione del ducato di Clèves.

La riflessione credo più interessante da fare è che sia Bentivoglio, sia Contarini, diplomatici inviati in questo nuovo e così diverso Paese, annaspano nel darne una chiara valutazione socio-politica, non riuscendo a dire, ad esempio, se nelle Province Unite regnasse più l’armonia o il disaccordo, per esservi ragioni sia in un senso che nell’altro. Potrebbe sembrare dunque che i due ambasciatori non avessero ancora compreso a fondo la natura della neonata repubblica, ma credo invece si dovrebbe affermare il contrario, cioè che entrambi avessero colto correttamente sia i pregi che i difetti che inevitabilmente esistono in ogni Stato, essendo la politica non attività fissa e univoca, bensì dinamica, risultante cioè dal-l’incontro-scontro di diverse forze. Nei due autori emerge ad ogni modo prepotente un innegabile stupore, misto alla curiosità e alla consapevo-lezza di trovarsi di fronte ad una nuova «potenza grande nel Mondo».

Altri giudizi sulla Tregua: il Ragionamento di Giovanni Costa

Tra le primissime opere apparse in Italia a commento della Tregua dei Dodici Anni occorre segnalare, per la spiccata sensibilità politica del suo autore, un Ragionamento sopra la tregua dei Paesi Bassi, pubblicato a Genova per Pavoni nel . Il libello usciva dalla penna di Giovanni

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Costa, gentiluomo genovese (come lo Spinola) che aveva ricoperto alcune cariche per la repubblica, e pubblicherà nel il Trattato della pace e della libertà d’Italia e de’ modi di conservarle. L’interesse di Genova per le questioni europee è stato talvolta sottovalutato, ma certamente la repubblica ci teneva ad essere informata almeno riguardo agli eventi della Guerra di Fiandra, non solo perché era la principale creditrice della Spagna, ma anche perché Ambrogio Spinola proveniva proprio dalla no-biltà genovese. Nel suo Ragionamento, poi, Costa dimostra di aver ben compreso le motivazioni dei protagonisti dei negoziati, e l’importanza della politica “internazionale”, interpretando la Tregua nell’orizzonte del linguaggio della “ragion di Stato”, la quale però assume in lui un signi-ficato parzialmente diverso da quello attribuitole da altri autori italiani del primo Seicento, riuscendo ad anticipare – come notato da Rodolfo de Mattei – la definizione più tarda di Ludovico Zuccolo.

Il Ragionamento è un dialogo tra cavalieri genovesi «di singolar pru-denza, e giudicio», intorno all’interrogativo se la Spagna e gli arciduchi avessero ben fatto ad accordare la tregua ai Paesi Bassi nei termini in cui essa era stata firmata, oppure se così facendo si fossero macchiati di un’azione poco dignitosa e contraria ai loro interessi. Il Costa non inter-viene direttamente nella discussione, limitandosi a riferire tale dialogo ad un amico che gli chiedeva per l’appunto un commento sulle trattative diplomatiche appena concluse ad Anversa.

Come per la Guerra di Fiandra del Bentivoglio, anche in questo caso ci si attiene quanto più possibile all’analisi realistica della situazione, e non si risparmiano critiche ad entrambe le parti: se infatti gli olandesi, «ribelli nell’animo», hanno rifiutato il riordino dei vescovati, l’intro-duzione dell’Inquisizione e dei decreti tridentini nei Paesi Bassi «sotto pretesto d’essere contra la libertà de’ lor privilegi», non meglio hanno fatto gli spagnoli nel cercare di risolvere la situazione con la forza, «poiché furono da alcuno così mal esercitate quell’armi, e governati que’ paesi, si ridussero quegli Stati nell’esser, che tutti sanno». È que-sta l’opinione del primo interlocutore, il padrone di casa, per il quale i nobili fiamminghi hanno «sedotto» il volgo alla rivolta mascherando un proprio tornaconto (terre e ricchezze), ma d’altro canto «quella guerra, che prima fu stimata agevole ad ultimarsi con l’abbatimento de’ ribelli, si mostrò poi di giorno in giorno assai difficile, & intrigata». Solo gli arciduchi, a suo avviso, paiono animati da un sincero desiderio di dare pace a quei territori duramente provati.

Al secondo interlocutore, un uomo «di pronto, e acuto ingegno», spetta il compito di condannare la Tregua «non secondo il senso, ma secondo la ragione», come «atto di stato» politicamente sconveniente e contrario a «dignità, opportunità e utile». I delegati ispano-belgi, infatti,

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avrebbero tenuto un atteggiamento di eccessiva umiltà, cedendo su tutti i punti e generando «infinita maraviglia» nei potentati d’Europa. Quel che è peggio, è che le dure condizioni imposte potrebbero dare anche alle province ubbidienti del sud «occasione di novità», e renderle «essaltate in libertà». Inoltre, continua il gentiluomo, non si è proibito l’esercizio della «setta di Calvino», per cui l’eresia entrerà sicuramente nei regni dei «Principi Catholici». In conclusione,

per termine di vera ragione, cessando la guerra, si renderà effemminata, e molle la fortissima nation Spagnola, e nel corso di pochi anni si smarriranno in quella gli ordini, e precetti della militar disciplina.

A questo punto del Ragionamento, su richiesta del padrone di casa si alza a parlare uno dei restanti convenuti, «esperto delle cose di Spagna, e dei Paesi bassi», che si propone di difendere «gli opportuni, & atti mezzi, e gli utili, e lodevol fini» della Tregua. Discutendo dei risultati ottenuti da Madrid e l’Aia il Costa, attraverso questo personaggio, dimostra la lucidità con la quale egli aveva colto i temi più importanti e delicati della questione: il riconoscimento dell’indipendenza alle Province Unite e il commercio con le Indie. Dal punto di vista di Filippo III e degli arcidu-chi, ad esempio, chi bene considererà le loro «intime, e segrete cagioni, le conoscerà generose, prudenti e palesi, ma non deboli», e la scelta di ricorrere al compromesso appare del tutto condivisibile, dato che l’espe-rienza ha dimostrato che con l’uso della forza non si è ottenuto altro che un risultato opposto al fine.

Il contributo di Costa alla teoria della “ragion di Stato” emerge dalla valutazione politica della cessione della sovranità ai ribelli. Al genovese quest’azione appare senz’altro «utile, anzi necessaria». Gli spagnoli, in-fatti, con molta saggezza hanno deciso di dichiarare «libere» le Province Unite, in base al principio secondo il quale un sovrano deve sempre rendersi conto se una parte del suo regno gli è più dannosa che utile. Qui Costa sfrutta una nota similitudine tratta da Cicerone, quella del medico che asporta un arto incancrenito per non far morire il paziente, ed elogia il re e gli arciduchi per aver saputo abbandonare un territorio che dava più problemi che prosperità, così come fece Genova con Pisa, Roma con Cartagine, l’imperatore Adriano con i territori conquistati in Asia, ed Enrico II di Francia con le piazzeforti cedute a Cateau-Cambrésis.

È per questo che la conclusione della Tregua va certamente anno-verata tra le “azioni virtuose” di Filippo III, «perché così l’importava il governo, e la cura che Dio gli haveva concesso, di reggere sì gran parte del Mondo». Per l’autore del Ragionamento, infatti, «virtù» significa «operar retto», ma “retto” vuol dire in base alla «ragion di Stato», intesa

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non come “deroga” o “provvedimento eccezionale preso in situazioni eccezionali”, bensì come criterio “permanente” di decisione politica per il principe, il quale, quasi anticipando certi avvertimenti di Monte-squieu, viene esortato ad agire secondo “ragion di Stato”, cioè in base all’analisi accurata dei molteplici elementi politici, culturali, economici, e sociali del suo Stato:

Impercioche il Re Catholico, e gli Arciduchi ottimamente intendono, come si reggono, e si mantengono gli Stati; e che quella, che volgarmente si dice, & è da pochi ben intesa ragion di Stato, non è altro, che una regola giusta, & atta a governare Stati secondo la lor forma, con piena notitia dello stabilimento, natura e circonstantie di essi, e de’ mezzi utili, anzi necessarij, così a conservarli, come ad ampliarli per publico lor beneficio. Percioche questa ragion di Stato neces-sariamente riposa su tre saldi fondamenti, consiglio, forze, e reputatione; alle quali sue parti essa, come edificio ben formato, e ben composto, deve sempre corrispondere in ogni suo atto, con proportione; e avvenga che tutti, o parte di essi suoi fondamenti, vacillino, o rovinino, è forza che si turbi, over si disfacci insieme lo Stato. E sanno ancor esser verissima conclusione, che la detta machina di Stato prendendo necessariamente qualità da’ suoi fondamenti, convien ch’es-sa si governi, e mantenghi con li mezzi proportionati, e corrispondenti tanto a primi suoi principij, quanto ad ultimi suoi fini, la quale però se sarà regolata in contrario, sarà forza che cada, e vada in ruvina.

Passando all’esame della situazione nelle Province Unite, ci si imbatte in un elogio dei Paesi Bassi settentrionali, anche se ne vengono biasimati gli eccessi dell’eresia e della ribellione. Ma soprattutto viene fuori il repub-blicanesimo del Costa, un repubblicanesimo però che non coincide con l’ideale classico, ripreso da Machiavelli e da alcuni repubblicani inglesi del Seicento, della “nazione in armi” dei proprietari terrieri; si tratta invece di un esempio di repubblicanesimo “commerciale”, tipico delle repubbliche fondate – come lo era Genova – non sull’esercito e il latifon-do, ma sul capitale mobile e sui traffici mercantili, che necessariamente predicano (per lo meno in apparenza) la pace e la tolleranza. Questo tipo di linguaggio politico, per molti versi analogo al modello repubblicano che si svilupperà nelle Province Unite, a partire dalla metà del XVII secolo, grazie a figure quali i fratelli de la Court, afferma che non vi può essere prosperità nella guerra, e anzi arriva a sostenere che la «fierezza militare», tanto osannata dai repubblicani “classici”, danneggia l’economia di una repubblica, per giunta aumentando l’instabilità interna:

Così quietando l’armi, riposeranno gli animi di tutti. E questa pace universale, essendo particolarmente in acconcio de’ Paesi bassi, potranno essi alleggieriti hormai dal peso di tante calamità, attendere a gli honesti, e soliti lor mistieri del mare, del traffico, e del campo. Et in questo numero di beni, si può aspettare,

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che quel popolo Holandese inspirato da Dio, e forse tra se per varie cagioni discordante, che suole essere il natural tarlo delle Repubbliche, spogliandosi a poco a poco con la pace, della fierezza militare, debba ritornare a’ i primi suoi fortunati principij.

All’interno del Ragionamento, un altro tratto comune con l’ideologia repubblicana delle Province Unite è rappresentato dall’appello in difesa della libertà dei mari, contro le pretese monopolistiche ispano-portoghesi. Anche in questo caso, naturalmente, è rinvenibile l’interesse concreto di Genova, accanto ad un’innegabile simpatia del Costa verso le Province Unite. E si può notare inoltre come egli sostenga alcune tesi del Mare liberum di Grozio, ad esempio quella sulla piena sovranità dei popoli delle Indie, tanto da far supporre una lettura diretta del testo, apparso per la prima volta nel . Rimane tuttavia evidente anche il sapore “locale” delle conclusioni del Ragionamento, vale a dire la difesa della Tregua per far cessare le continue richieste di denaro dalla Spagna ai banchieri genovesi, e la speranza – a dire il vero piuttosto ingenua – che l’apertura dei porti spagnoli potesse allontanare le Province Unite dalle Indie, a vantaggio di Genova.

Nell’ultima parte dello scritto Costa esorta a non temere il contagio dell’eresia attraverso i mercanti olandesi, «poiché la maggior parte di coloro, che praticano il Mondo, sono indotti, e rozzi, e lontani da queste contemplationi di religione», oltre a parlare una lingua sconosciuta ai più. Il ragionamento si conclude con l’augurio, dal sapore aristotelico-umanistico, affinché i principi, stabiliti da Dio, sappiano sempre «anti-porre il ben publico, & universale ad ogni privato lor fine». Il giudizio di Bentivoglio e Costa sulle fasi e le conseguenze della Tregua dei Dodici Anni conferma la profondità di penetrazione, la capacità di giudizio e il proverbiale realismo politico della migliore storiografia italiana del primo Seicento, una storiografia che aveva ben compreso la sua epoca, contribuendo anzi a rafforzarne i presupposti culturali. In Bentivoglio la “ragion di Stato” è parte essenziale dell’azione diplomatica, la quale consiste nel portare avanti quanto possibile il proprio interesse, avendo prima chiare le motivazioni delle altre parti. L’analisi delle passioni umane è in lui sempre disincantata, ma mai “fredda”. È piuttosto la politica, spiegata mediante la storia, a diventare una vera e propria passione.

In Costa, invece, la “ragion di Stato” coincide con la conoscenza esat-ta degli “interessi” dello Stato stesso, impossibile senza una preliminare consapevolezza dei molteplici fattori che li costituiscono. Ogni nazione ha quindi la sua “ragion di Stato”, che non può essere la stessa di un’altra, anche se, come nel caso della Tregua dei Dodici Anni, un’azione politica può certo essere confacente alla “ragion di Stato” di diversi popoli allo stesso momento.

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Note

* Questo saggio è dedicato alla memoria del prof. Luigi Gambino (-). . H. Kamen, The Iron Century. Social Change in Europe -, Weidenfeld and

Nicolson, London .. Per una messa a punto del concetto, con bibliografia esaustiva, cfr. A. E. Baldini (a

cura di), La ragion di Stato dopo Meinecke e Croce: dibattito su recenti pubblicazioni. Atti del Seminario internazionale di Torino, - ottobre , a ed. con aggiornamento della bibliografia e traduzione italiana di tutte le relazioni, Name, Genova .

. La storia delle teorie delle relazioni internazionali in Italia attira da anni un inte-resse sempre maggiore. Tra gli studi più recenti A. Calore (a cura di), Guerra giusta? Le metamorfosi di un concetto antico, Giuffrè, Milano ; A. Loche (a cura di), La pace e le guerre. Guerra giusta e filosofie della pace, CUEC, Cagliari ; E. di Rienzo, Il diritto delle armi: guerra e politica nell’Europa moderna, FrancoAngeli, Milano ; L. Scuccimarra, I confini del mondo. Storia del cosmopolitismo dall’antichità al Settecento, Il Mulino, Bologna ; L. Cedroni, Elementi per una teoria politica delle relazioni internazionali (Fonti e indicazioni metodologiche), in LUMSA, Annali -, a cura di G. Ignesti, Giappichelli, Torino , pp. -.

. Sugli intrecci tra teoria politica, economia e rapporti internazionali in età moderna cfr. I. Hont, Jealousy of Trade. International competition and the Nation-State in Historical Perspective, Belknap Press, Harvard .

. Per una ricostruzione particolareggiata del conflitto cfr. J. Israel, The Dutch Repu-blic. Its Rise, Greatness, and Fall, -, Oxford University Press, Oxford . Tra le opere italiane A. Tenenti, Dalle rivolte alle rivoluzioni, Il Mulino, Bologna , e il mio Costituzionalismo, contrattualismo e diritto di resistenza nella rivolta dei Paesi Bassi (-), FrancoAngeli, Milano .

. Tanto è vero che molte storie della “Guerra di Fiandra”, quali ad esempio quella di Bentivoglio, di Lanario, di Giustiniani, di Carnero, di Grozio, si fermano proprio al .

. Lo schema che segue non può che essere parziale e funzionale ad introdurre i pro-blemi posti dalla Tregua e le interpretazioni di alcuni scrittori italiani. Tra i migliori studi sull’argomento si segnalano: W. J. M. Van Eysinga, De Wording van het twaalfjarig Bestand van April , Koninklijke Nederlandse Akademie van Wetenschappen, Amsterdam ; R. Belvederi, Guido Bentivoglio e la politica europea del suo tempo -, Liviana, Padova , pp. -; Israel, The Dutch Republic, cit., pp. -; M. J. van Ittersum, Profit and Principle: Hugo Grotius, Natural Rights Theories and the Rise of Dutch Power in the East Indies, -, Brill, Leiden , pp. -, -.

. Sui rapporti internazionali e lo sviluppo della diplomazia in questo periodo cfr. L. Bely, L’art de la paix en Europe: naissance de la diplomatie moderne, - siècle, Puf, Paris . Per il caso italiano, cfr. S. Andretta, L’arte della prudenza. Teoria e prassi della diplomazia nell’Italia del XVI e XVII secolo, Biblink, Roma .

. Con molto realismo, Spinola vedeva due sole vie d’uscita dalla questione di Fiandra: o un serio impegno finanziario e bellico da parte di Filippo III per conseguire la vittoria finale, oppure la ricerca di un accordo con le Province Unite. Rendendosi conto dell’im-possibilità della prima soluzione, egli si impegnò a favore della seconda.

. G. Bentivoglio, Relatione del trattato della tregua di Fiandra, in Relationi del Cardinal Bentivoglio, in Colonia [in realtà Leida, Elzevier] , p. : «Onde mi fu commandato dal Pontefice strettamente in voce, e nell’istruttione, ch’io invigilassi con ogni studio a tutto quello, che fosse per seguire in sì grave occorrenza, e particolarmente alle occasioni, che potessero aprirsi di migliorare in tal congiuntura per qualche via lo stato della Religion Cattolica dentro i paesi delle Province Unite. L’ordine dunque del mio Prencipe; l’obligo del mio carico; e le cose per se medesime, c’havevano tirati a se gli occhi di tutta Europa, fecero, ch’io mi applicassi con ogni industria ad osservar gl’introdotti

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maneggi». Egli era convinto che con la forza non si sarebbe ottenuto granché, dato che nei Paesi Bassi «non si può usare il rigore, ma ch’è forza con la man dolce a conservare et a promuovere et a procurare d’accrescere la parte cattolica». Archivio Segreto Vaticano (d’ora in poi ASV), Fondo Borghese II, , lettera ° settembre , f. .

. Che il Bentivoglio fosse consapevole dell’atteggiamento “remissivo” degli ispano-belgi sul tema della libertà di coscienza per i cattolici olandesi, come “sacrificabile” rispetto agli interessi politici e commerciali, emerge ad esempio dalla cifra al cardinal Borghese del marzo , nella quale il Nunzio riferisce di un colloquio avuto con l’arciduca Alberto, «su’l punto della religione». L’arciduca dichiarò di ritenere secondaria una formale «ca-pitolatione» con gli olandesi, in altre parole un accordo firmato e vincolante, sulla libertà di culto, purché in un modo o nell’altro questo fosse riconosciuto. Bentivoglio rispose che non richiedere “nero su bianco” la promessa di tale concessione avrebbe generato, nella controparte, l’idea che in fondo la questione fosse trascurabile. Alberto rimase in silenzio, e Bentivoglio conclude il cifrato con queste parole: «Dalle cose predette mi par, che si possa raccorre, che quando a concluder la pace non mancasse altro che la religione, ogni mascheramento si piglierebbe». Cfr. J. M. D. Cornelissen (ed.), Romeinsche bronnen voor den Kerkelijken toestand der Nederlanden onder de apostolische vicarissen -, vol. I, Nijhoff, s’Gravenhage , n. , p. .

. Il pensionario era il segretario dell’assemblea ed aveva importanti funzioni quali la stesura dell’ordine del giorno e la pronuncia del discorso d’apertura e di chiusura di ogni sessione. Inoltre, era lui che riceveva gli ambasciatori stranieri e gestiva tutta la corrispondenza degli Stati.

. Van Ittersum, Profit and Principle, cit. . L’originale in pergamena si trova presso gli Archives Générales du Royaume,

Bruxelles, Papiers d’État et de l’Audience, n. . Il testo venne pubblicato subito in olandese e in francese. Per la traduzione italiana cfr. P. Giustiniani, Delle guerre di Fiandra libri VI... posti in luce da Giuseppe Gamurini, appresso Iachimo Trognesio, in Anversa , pp. -.

. J. L. Motley, History of the United Netherlands from the death of William the Silent to the Twelve Years’ Truce, Harper & Brothers, New York-London , vol. II, lib. IV, p. .

. S. Mastellone, Il modello politico olandese e la storiografia italiana nella prima metà del Seicento, introduzione a G. Bentivoglio, Relatione delle Province Unite, ristampa anastatica dell’edizione di Bruxelles , a cura di S. Mastellone ed E. Haitsma Mulier, CET, Firenze , pp. -.

. Sui rapporti tra Spagna e Italia cfr. i diversi contributi in L. Lotti e R. Villari (a cura di), Filippo II e il Mediterraneo, Laterza, Roma-Bari .

. G. Bentivoglio, Della Guerra di Fiandra, descritta dal cardinale Bentivoglio, appresso Francesco Baba, in Venetia [I ed. Colonia -], I, p. .

. S. Bertelli, Ribelli, libertini e ortodossi nella storiografia barocca, La Nuova Italia, Firenze , p. : «l’opera di diffusione della storiografia rinascimentale, avviata dal Sansovino, dopo aver trovato in Sarpi e Davila e, almeno per certi aspetti, in Bentivoglio uno dei continuatori ed estimatori, si era risolta infine in una pubblicistica politica di stampo antispagnolo». Cfr. in proposito anche S. Mastellone, I repubblicani del Seicento ed il modello politico olandese, in “Il Pensiero Politico”, n. , , pp. -; V. Conti, Il modello politico olandese in Italia durante la prima metà del Seicento, in V. I. Comparato (a cura di), Modelli nella storia del pensiero politico, vol. I, Olschki, Firenze , pp. -; sul nesso tra repubblicanesimo e antispagnolismo cfr. F. Benigno, Specchi della rivoluzione. Confitto e identità politica nell’Europa moderna, Donzelli, Roma . Sappiamo ad esem-pio che l’anonimo autore del Cittadino fedele, un libello antispagnolo della rivoluzione napoletana del , per descrivere le crudeltà commesse dal duca d’Alba nei Paesi Bassi si servì proprio della Guerra di Fiandra del Bentivoglio; cfr. R. Villari, Per il re o per la patria. La fedeltà nel Seicento, Laterza, Roma-Bari , p. .

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. Utilizzerò il termine “Olanda” come sinonimo di “Province Unite”, anche se formalmente l’Olanda rappresentava solo una, ancorché la più ricca e influente, delle sette Province. Analogamente, l’aggettivo “olandese” sarà qui preferito al più inconsueto (ma forse più corretto) “neerlandese”.

. Pompeo Giustiniani (-) raggiunse il grado di colonnello nell’esercito spa-gnolo, comandando il tercio personale di Spinola. Le Guerre di Fiandra vennero dettate dal Giustiniani all’ingegnere militare aretino Giuseppe Gamurini, che disegnò anche le tavole del testo raffiguranti le principali operazioni belliche e i macchinari impiegati. Altre edizioni dell’opera: Venezia e , Colonia (traduzione latina), Milano . Su Giustiniani cfr. la voce di D. Busolini in Dizionario biografico degli italiani (d’ora in poi DBI), vol. , Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma , pp. -.

. Cfr. ad esempio Giustiniani, Delle guerre di Fiandra, cit., p. : «Si concluse questa tregua con gran laude e gloria dello Spinola; il quale con il suo straordinario valore e diligenza strinse tanto il nemico, che lo ridusse (come s’è detto) a trattar d’accordo: nel maneggiar poi questo negotio, s’è fatto conoscere quanto vaglia ancora in materia di stato, havendo superato con tanta prudenza & industria infinite difficultà, sì de’ Cattholici, come in accordar una Republica dove concorreva tanta varietà di pareri, dando fine ad una cosa ch’in quaranta due anni nessun altro poté ottenere».

. Ivi, p. . . Le guerre di Fiandra brevemente narrate da don Francesco Lanario del consiglio

di guerra di Sua M. Cattolica né Paesi Bassi, appresso Geronimo Verdussen, Anversa . Francesco Lanario ( - ca.), fu capitano di cavalleria e membro del Consiglio di guerra. Divenne successivamente governatore di Lecce e della Basilicata. Altre edizioni delle Guerre di Fiandra: Milano , Venezia , Parigi (traduzione francese); Madrid (traduzione spagnola), Colonia (traduzione tedesca di Gapard Ens).

. Lanario, Le guerre di Fiandra, cit., p. . . Libri tres de induciis belli Belgici authore Dominico Baudio, apud Ludovicum

Elzevirium, Lugduni Batavorum (ristampa anche nel ), nei quali viene ampliata una sua precedente pubblicazione, apparsa però anonima, la Dissertatiuncula super Induciis belli Belgici, s. l. .

. Rerum Belgicarum libri quatuor... in quo Induciarum historia, Lugduni Batavorum .

. Belli civilis in Belgio per quadraginta fere continuos annos gesti historia, ad praesens usque tempus deducta, adiectis quae alibi quoque posterioribus his annis contigerunt. Opus novum e Belgicis Immanuelis Meterani et aliorum commentariis concinnatum a Gaspare Ens, s. l. (altre ed. Colonia e Arnhem ); L’Histoire des Pays-Bas d’Emauel de Meteren, ou Recueil des guerres et choses memorables advenues tant és dits Pays, qu’és Pays voysins, depuis l’an iusques à l’an . Corrigé et augmenté par l’Autheur mesme, chez Willenrant Jacobz Wou, En la Haye . Emanuel van Meteren (-), mercante e consigliere finanziario dei commercianti olandesi a Londra, fu autore di un’accurata rico-struzione della Guerra di Fiandra, basata su fonti di prima mano, e apparsa in olandese in diverse, successive versioni. Sulla figura di van Meteren cfr. L. Brummel, Emanuel van Meteren als historicus, in P. A. M. Geurts, A. E. M. Janssen (eds.), Geschiedschrijving in Nederland. Studies over de historiografie van de Nieuwe Tijd, voll., Nijhoff, s’Gravenhage , I, pp. -; A. E. M. Janssen, A ‘Trias Historica’ on the Revolt of the Netherlands: Emanuel van Meteren, Pieter Bor and Everhard van Reyd as Exponents of Contemporary Historiography, in “Britain and the Netherlands”, VIII, , pp. -.

. Cfr. il contributo di J. Waszink nel presente volume, nonché Id., Hugo Grotius’ Annales et Historiae de rebus Belgicis from the evidence in his correspondence, -, in “Lias. Sources and Documents relating to the Early Modern History of Ideas”, , , pp. -.

. A. Gallucci, De bello Belgico ab anno Christi MDXCIII ad Inducias annorum XII anno MDCIX pactas, Roma ; altre edizioni Subiaco , Norimberga , Bamberga ,

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Roma (traduzione italiana). Angelo Gallucci (-), essendo stato professore per ventiquattro anni al Collegio Romano, poté giovarsi anche delle fonti conservate presso l’adiacente Biblioteca Casanatense, dove si trovano i manoscritti - (Carteggio relativo agli affari, e alle guerre del Piemonte, e delle Fiandre, dal al , contenente molte lettere dello Spinola).

. Persino dagli storici romantici liberali, come Motley, o dagli olandesi, come van Eysinga.

. Sulla vita e le opere di Guido Bentivoglio (-) cfr. A. Mestica, voce, in DBI, vol. , Roma , pp. -; V. Cafaro, Il cardinale Guido Bentivoglio: la sua vita e l’opera, Granito e Figli, Pozzuoli , ma soprattutto i lavori di R. Belvederi, Guido Bentivoglio diplomatico, voll., Stabilimento rovigino, Rovigo ; Id., Guido Bentivoglio e la po-litica europea del suo tempo, cit.; Id., Bentivoglio e Richelieu (-), Adriatica, Bari . Cfr. inoltre Id., Gli assiomi morali e politici del cardinale Guido Bentivoglio, Istituto lombardo di Scienze e Lettere, Rendiconti della classe di Lettere, vol. , Milano , pp. -; Bertelli, Ribelli, libertini e ortodossi, cit., pp. -; A. Asor Rosa, La cultura della Controriforma, in Letteratura italiana Laterza, V, Il Seicento, vol. , Laterza, Roma-Bari , pp. -; Mastellone, Il modello repubblicano olandese, cit.; Id., I repubblicani del Seicento, cit.; Conti, Il modello repubblicano olandese, cit.; K. Masseroni, Il giudizio in pectore di un intellettuale erede degli antichi signori di Bologna: il cardinal Guido Ben-tivoglio, in “Strenna storica bolognese”, , pp. -; G. Spini, Nota sul Bentivoglio, in Id., Barocco e Puritani. Studi sulla storia del Seicento in Italia, Spagna e New England, Vallecchi, Firenze , pp. -.

. La nomina avvenne nell’aprile del . Cfr. J. e P. Lefèvre, Documents relatifs à l’admission aux Pays-Bas des nonces et internonces des XVIIe et XVIIIe siècles, Analecta Vati-cano-Belgica, Bruxelles-Roma , pp. -. L’istruzione invece, datata giugno , è parzialmente reperibile in A. Cauchie e R. Maere, Recueil des Instructions générales aux nonces de Flandre (-), Kiessling, Bruxelles , pp. -. Per l’originale cfr. ASV, Segr. Stato, Fiandra, A, ff. -.

. G. Bentivoglio, Raccolta di lettere scritte... in tempo delle sue Nuntiature di Fiandra, e di Francia (d’ora in poi Lettere), in Colonia (in realtà Leida, Elzevier), (I ed. ), lettera al Monsignor di Modigliana, agosto , p. .

. Bentivoglio godeva dello status di “gentiluomo veneto”, per una particolare concessione fatta alla sua casata, e ciò lo esentava dalla pubblica discussione di una tesi, come lui conferma in G. Bentivoglio, Memorie, in Opere del cardinale Guido Bentivoglio, Bettoni, Milano , pp. - [I ed. Amsterdam e Venezia, ], p. .

. Belvederi sottolinea come la celebrata libertas veneta non avesse i tratti di una «moderna», «indipendente» libertà culturale, venendo spesso subordinata agli interessi politici della Serenissima, come dimostrerebbero ad esempio la consegna di Giordano Bruno alle autorità romane nel , o il forte controllo esercitato dalle istituzioni venete sulle nomine dei docenti universitari. Sulla «apparentemente tollerante» politica culturale di Venezia si leggono inoltre acuti giudizi in uno scrittore di certo non “conformista” come Traiano Boccalini. Cfr. Belvederi, Guido Bentivoglio e la politica europea, cit., pp. -.

. Almeno secondo la testimonianza di N. C. Papadopoli, Historia Gymnasii patavini, Venezia , II, , p. : «Guido cardinalis Bentivolus gymnasii nostri decus [...] ab ineunte aetate virtutem coluit, ac puer elogium Tobiae meruit, hoc est, puer nihil puerile gessit in opere: sed arduum integerrimae Sapientiae iter ingressus ea tantum tractavit, quae vel senes fatigant: iis dumtaxat hominibus ad familiaritatem et colloquia usus est, in quibus probitatem ornarent literae, literasque virtus probaret. Iurisprudentiam assiduus auditor publice profitentium Patavii didicit, doctissimorumque virorum ac iuvenum sectator, et socius in eiusdem doctrinae secreta pervasit, amore tanto erga hanc palaestram praestantis ingenii fuit, tantaque studiorum hic peractorum deinceps memoria, ut in epistolis suis pene non se patavinum ostentet».

. Bentivoglio, Memorie, cit., p. .

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. Sulla centralità di Roma nelle vicende europee del tempo cfr. G. Signorotto e M. A. Visceglia (a cura di), La corte di Roma tra Cinque e Seicento “teatro” della politica europea, Bulzoni, Roma .

. Di Galilei e Boccalini dice: «Così pericolosi sono d’ordinario i più grandi ingegni, quando il giudizio non gli regge, e la bontà insieme non gli accompagna»; Bentivoglio, Memorie, cit., p. .

. Ibid.. Belvederi, Guido Bentivoglio e la politica europea, cit., p. .. Si tratta di suo fratello maggiore Ippolito, già soldato sotto il duca d’Alba in

Portogallo e in Fiandra, e poi al servizio di Cesare d’Este nella guerra contro lo Stato Pontificio per la cessione di Ferrara. Bentivoglio presentò le scuse a nome della sua casata, riuscendo ad ottenere prima i favori di Pietro Aldobrandini, cardinale nipote e comandante delle truppe della Santa Sede, e successivamente dello stesso Clemente VIII, incontrato a Ravenna.

. Lettere, cit., al Monsignor di Modigliana, agosto , p. . . M. Rosa, Per “tenere alla futura mutatione volto il pensiero”. Corte di Roma e

cultura politica nella prima metà del Seicento, in Signorotto, Visceglia (a cura di), La corte di Roma tra Cinque e Seicento, cit., p. .

. Fu in quella veste che si trovò, suo malgrado, a giudicare il vecchio maestro Galilei, al processo del . L’animo del Bentivoglio in quel frangente è descritto da lui stesso: «E Dio sa quanto mi dolse di vederlo riuscire un Archimede così infelice per colpa di lui medesimo per aver voluto publicare su le stampe le sue nuove opinioni intorno al moto della terra contro il vero senso commune della Chiesa. Opinioni che lo fecero capitare qui nel santo offizio di Roma dove allora io esercitavo un luogo di supremo inquisitore generale, e dove procurai d’aiutare la sua causa quanto fu possibile»; Bentivoglio, Me-morie, cit., p. .

. G. Bentivoglio, Relationi fatte dall’ill.mo, e reu.mo sig.or cardinal Bentiuoglio in tempo delle sue nuntiature di Fiandra, e di Francia, Date in luce da Erycio Puteano Anuersa, appresso Giouanni Meerbecio, . Citando dall’edizione leidense del , userò da qui in avanti la sigla RP per indicare la Relatione delle Province Unite di Fiandra, e la sigla RT per la Relatione del trattato della tregua di Fiandra.

. Non è chiaro se questo fosse il reale luogo di stampa. A Colonia esisteva comunque una nutrita comunità di esuli olandesi di religione cattolica che avrebbe certamente bene accolto l’opera. Cfr. G. Parker, The Dutch Revolt, Penguin, London [], p. .

. G. Bentivoglio, Della Guerra di Fiandra, descritta dal cardinale Bentivoglio, in Colonia, s. n., -, voll. Citerò, ove non indicato diversamente, dalla terza parte dell’edizione Baba, Venezia (tre parti in volume unico), utilizzando la sigla GF.

. Colonia, s. n., . . Le Relationi ebbero undici edizioni in italiano tra il e il , e vennero tra-

dotte in spagnolo (Madrid ), francese (Parigi ), inglese (Londra ); la Guerra di Fiandra ebbe dieci edizioni in italiano tra il e il , e conta quattro edizioni in francese (Parigi , , , Bruxelles ), due edizioni in olandese (Amsterdam e Leeuwarden, ), un’edizione in inglese (Londra ), e un’edizione in spagnolo (Amberes, ).

. Cfr. i già ricordati saggi di Mastellone e Conti.. Cfr. C. Tommasi, Una repubblica d’antica libertà. Sugli scritti storico-giuridici di

Ugo Grozio, in “Il Pensiero Politico”, , , pp. -. L’autore, cui preme far emergere una presunta superiore obiettività della storiografia protestante di Grozio rispetto a quella cattolica, ritiene appunto che «la storiografia cattolica, più della rivale, trattò la Guerra di Fiandra da evento religioso ancor prima che politico», portando ad esempio proprio l’opera di Bentivoglio, accostata a quella di Famiano Strada. Nella Guerra di Fiandra egli rileva «ambiguità, e patenti omissioni», arrivando a dire che tale testo rappresenta uno scenario «scosso da ottenebranti passioni»; ivi, pp. -. Ora, lasciando da parte la que-

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GUIDO BENTIVOGLIO E ALTRI INTERPRETI ITALIANI DELLA TREGUA DEI DODICI ANNI

stione dell’assoluta obiettività di Grozio (sulla quale, a mio sommesso avviso, dei dubbi vi sono), in special modo occorre dire che il Bentivoglio è tutto fuorché uno scrittore che mette la religione prima della politica, anzi, in ogni sua pagina dimostra di essere, come afferma Bertelli (Ribelli, libertini, cit., p. ), «freddo e insensibile» alle vicende religiose, eccitato invece «dall’intreccio politico» delle azioni umane. Nel presente saggio spero di riuscire a mettere in luce a sufficienza l’atteggiamento, se non “laico”, certamente distaccato dell’autore della Guerra di Fiandra, e la sua lucidità di giudizio, tutto il contrario cioè di quel sospetto di «ottenebranti passioni» di cui non v’è traccia, mi sembra, nella prosa di Guido Bentivoglio.

. Tommasi, Una repubblica d’antica libertà, cit., pp. -: «la storiografia cattolica, più della rivale, trattò la guerra di Fiandra da evento religioso ancor prima che politico [...] ma mai cessò d’asserire che nei Paesi Bassi, come già altrove, la ribellione al “monarca legittimo” fosse stata il seguito inevitabile della ribellione alla Chiesa di Roma. Ne danno prova anche due opere più tarde, comparse a firma del cardinale Guido Bentivoglio e del gesuita Famiano Strada. Ambo gli autori seguono la pista già tracciata: replicano con cura gli argomenti e talora indulgono a prolisse digressioni. La qualità stilistica di Strada è compensata, in Bentivoglio, da una migliore conoscenza dei fatti, dovuta agli anni trascorsi a Bruxelles in nunziatura apostolica. Ma ciò rende pure più gravi le ambiguità e le patenti omissioni, che s’incontrano nel suo testo [...] Su uno scenario così scosso da ottenebranti passioni, il contegno di Grozio sembra persino distaccato».

. Cfr. la vera e propria recensione critica al De bello Belgico del gesuita in Bentivo-glio, Memorie, cit., pp. -. Che tra Strada e Bentivoglio ci sia «un abisso» è opinione di S. Bertelli, Ribelli, libertini, cit., pp. -.

. Il Bentivoglio, infatti, fu, assieme ai cardinali Spada e Bichi, uno degli esponenti di maggior prestigio della fazione antispagola nel Sacro Collegio. Cfr. M. A.Visceglia, Fazioni e lotta politica nel Sacro Collegio nella prima metà del Seicento, in Signorotto, Visceglia (a cura di), La corte di Roma tra Cinque e Seicento, cit., pp. -.

. B. A. Vermaseren, De katholieke Nederladsche geschiedschrijving in de e en e eeuw over de opstand, Dijkstra, Leeuwarden [], pp. -.

. RP, p. v.. Ivi, p. .. Ivi, pp. -. . Ivi, p. . L’evento è narrato da Tacito nelle Historiae.. Ibid.. RP, pp. -. L’azzardo di voler disquisire sulla durata della repubblica fu con-

testato più volte al Bentivoglio, notoriamente dal professore di Leida Marcus Zuerius Boxhornius nel suo Commentariolus de statu confoederatarum provinciarum Belgii (Leiden ), pp. -. Va notato che lo stesso Bentivoglio riconosceva la difficoltà della questione: «Niuna cosa è più fallace, che il giudicar del futuro. Con tutto ciò non sarà forse discaro a chi leggerà questa mia Relatione, che si discorra qui in ultimo con ogni brevità nel modo, che può permettere una sì dubbiosa, e sì vacillante materia, se questa nuova Republica delle Provincie Unite sia per esser durabile»; cfr. RP, p. .

. RP, pp. -. Il suggerimento non era privo di valore, ma come si sa dopo il la Spagna preferì riaccendere il conflitto (senza nulla ottenere), seguendo le incitazioni di opere come la Quaestio catholica, politica, An a Rege Catholico, & Archiduce serenissimo, bellum hoc tempore in Belgio contra confoederatos Status sit resumendum? Resoluta a Nicocle Catholico, s. l., .

. GF, I, pp. -. . Cfr. ad esempio GF, II, pp. -. . Ivi, I, pp. , . . Asor Rosa, La cultura della Controriforma, cit., p. .. L. Gambino, Enrico Caterino Davila storico e politico, Giuffrè, Milano .. GF, p. : «Noi passeremo dunque a riferire tutto l’accennato maneggio. E perché

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stabilita la tregua, noi allora ne componemmo una piena Relatione historica a parte, la quale poi uscì publicamente in istampa, con altre scritture nostre pur in materie di Fiandra; e sin da quel tempo fu nostro pensiero di formar l’intiera presente Historia della guerra succeduta in quelle Provincie, sin che per via della tregua furon deposte l’armi; perciò noi qui inseriremo la medesima Relatione, ancorché divulgata prima, come anch’essa un membro, che in questo luogo deve congiungersi a questo corpo, e ch’ora gli darà l’intiero suo compimento».

. Biblioteca Casanatense, mss. , Relazioni del Bentivoglio; Biblioteca Aposto-lica Vaticana (d’ora in poi BAV), Urb. Lat. , ff. -. Sfortunatamente, la Biblioteca Apostolica Vaticana ha chiuso per un lungo periodo prima che potessi visionare tale manoscritto.

. Archivio Bentivoglio di Ferrara (d’ora in poi ABF), , Notizie di Tregua A. Vi si trovano, tra le altre cose, alcuni pamphlets, una copia della lettera di Giusto Lipsio del febbraio sulla questione di una possibile tregua con Madrid, e le statistiche (in lingua spagnola) sul volume dei traffici mercantili con le Indie.

. Juan de Mancicidor, segretario del Consiglio di guerra di Filippo III, faceva parte della delegazione ispano-belga.

. Bentivoglio, Lettere, cit., al signor Antonio Querengo, settembre , pp. -: «Ben può credere V. S. che mi sia mancata l’opportunità più tosto, che il desiderio, di vedere pur anche personalmente l’Ollanda. Ma l’ho veduta almeno, & ho penetrati insieme i più occulti arcani di questa nuova Republica delle Provincie Unite, per via d’una esquisita notitia, che da mille parti ho procurato d’averne».

. Quella tra Grozio e Bentivoglio, quasi coetanei, e narratori del medesimo evento ma schierati su parti opposte, mi sembra essere una comparazione assai istruttiva per la corretta interpretazione della rivolta dei Paesi Bassi. Henry di Monmouth, cui si deve la versione inglese della Guerra di Fiandra, riporta un ottimo giudizio di Grozio sull’opera di Bentivoglio. Cfr. G. Bentivoglio, The Compleat History of the Warres of Flanders, translated by Henry Earl of Monmouth, London , f. A.

. Cfr. ad esempio RP, pp. -.. Cfr. la pregevole e recente edizione critica H. Grotius, The Antiquity of the Batavian

Republic, edited and translated by J. Waszink, Van Gorcum, Assen . . Jean Neyen, fiammingo convertito al cattolicesimo, era il commissario generale

dei francescani nei Paesi Bassi. Per le sue buone relazioni sia con gli spagnoli che con gli olandesi, fu scelto dagli arciduchi come capo-negoziatore.

. Cfr. Giustiniani, Guerre di Fiandra, cit., p. : «Primeramente, gli sopradetti Arciduchi dichiarano in loro nome, come ancho del Re Cattholico, che sono contenti di trattare con li sopradetti Stati generali delle Provincie unite, in qualità di, e come tenendoli per paesi, provincie, e Stati liberi, sopra quali loro non pretendono niente». Per il testo in olandese cfr. Artickelen van’t Bestandt ghesloten ende gheconcludeert voor XII iaren, di Ioachim Trognesius, ‘t Antwerpen , p. . Il linguaggio utilizzato, specie il plurale «paesi, provincie, e Stati», mostra come ancora non ci si muovesse nell’orizzonte costitu-zionale dello “Stato moderno”, con la univocità dei suoi elementi (territorio, popolazione, sovranità). Questo pare confermato anche dai molteplici luoghi nei quali Bentivoglio parla, sempre al plurale, dei «popoli» delle Province Unite, quasi che ciascuna di esse avesse un “suo” popolo diverso dagli altri.

. Era questa la preoccupazione dell’ambasciatore spagnolo presso gli arciduchi, il marchese di Guadaleste.

. GF, pp. -. . Ivi, p. . . Ivi, p. . . Ivi, p. .. Assieme a quella del presidente Jeannin, queste due sono le più lunghe orazioni

contenute nella Relatione del trattato della tregua di Fiandra. Una traduzione in latino di

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tutti e tre i discorsi si trova nel ricordato ms BAV, Urb. Lat. . È interessante notare come questa traduzione sia opera di Paganino Gaudenzi (-), un personaggio che era anche in corrispondenza con Grozio (e scrisse persino un rapporto censorio sul De iure belli ac pacis per l’Inquisizione romana), rappresentando dunque un possibile collegamento tra i due grandi storici della rivolta dei Paesi Bassi. Cfr. qui il saggio di J. Waszink.

. Cfr. invece la concisa descrizione delle due fazioni in Giustiniani, Delle guerre di Fiandra, cit., p. : «Poiché i Deputati delle province d’Olanda e Zelanda che non sentono i danni della guerra, anzi con essa si sono arricchite e popolate, si traversavano, e ponevano molti dubbij, mostrandosi totalmente alieni di voler pace: questi erano fomentati dal Conte Mauritio e da suoi parenti, à quali, per mantener la loro potenza & authorità, stava bene la guerra, e similmente a molt’altri che si sostentavano & ingrandivano con essa, e che per loro particolar interesse non amavano la pace; tal che le cose si rendevano difficili: all’incontro i Deputati dell’altre Provincie che sentono i danni della guerra, facevano ogni loro potere perche il negotio passasse avanti: dall’altra parte lo Spinola e i nostri Deputati andavano con destrezza procurando d’accordare la volontà de gli Olandesi».

. L’orazione di Maurizio viene così commentata dal Bentivoglio: «l’autorità d’un tant’huomo, con tante, e sì efficaci ragioni, commosse gli animi grandemente». Di Olden-barnevelt, invece, dice che «in questo tempo era tale appresso l’Unione il suo credito, tale, e sì grande la stima, che l’adherire egli nelle consulte ad una opinione, era quasi un tirar tutti gli altri a dover seguitarla»; GF, pp. , .

. Maurizio infatti era contrario alla pace poiché «fra le turbolenze publiche della guerra stimava medesimamente, che gli si potesse meglio aprir qualche favorevole con-giuntura da poter pervenire un giorno al prencipato di quelle Provincie». Oldenbarnevelt, dal canto suo, «desiderava di veder diminuita la potenza del Conte Maurizio, perché tanto meglio restasse, non men dentro, che fuori la commune libertà assicurata»; ibid.

. Siamo assai lontani dagli elogi di Balthasar Gerard, uccisore del Taciturno, contenuti ad esempio nell’anonimo Theatrum crudelitatum haereticorum nostri temporis, Anversa , p. , dove egli è definito «constantissimus & strenuissimus miles».

. Qui Bentivoglio sembrerebbe al corrente delle riflessioni di Giusto Lipsio sulla disciplina militare esposte nel quinto libro dei Politicorum libri sex (). È vero comunque che Maurizio d’Orange possedeva l’opera e l’aveva tenuta in considerazione nel riformare l’esercito delle Province Unite; cfr. G. H. M. Delprat, Lettres inédites de Juste Lipse concer-nant ses relations avec les hommes d’état, Amsterdam , p. ; J. Lipsius, Politica, edited with translation and introduction by J. Waszink, Van Gorcum, Assen , pp. -.

. GF, p. . . Ivi, p. .. Cfr. la vivida descrizione dell’accoglienza riservata dalle folle a Spinola e compagni

in Motley, History of the United Netherlands, cit., IV, pp. -. . Belvederi, Guido Bentivoglio e la politica europea, cit., pp. -: «il contrasto

fra L’Aja e Madrid era dunque di natura economico-commerciale; il dissidio religioso, indubbiamente fondamentale, impallidiva però nei confronti dell’incidenza del fattore economico». Nel marzo il cardinal Borghese esortava il Bentivoglio a “sfruttare” il fortissimo interesse olandese per le Indie, adoperandosi con gli arciduchi per ottenere la libertà di culto per i cattolici olandesi, in cambio di una “soddisfattione” temporanea delle richieste dei ribelli sul commercio coloniale; cfr. Cornelissen, Romeinsche bronnen, cit., n. , p. .

. Come risulta dalla lettera del sovrano spagnolo all’arciduca Alberto del luglio , letta al Bentivoglio dal Guadaleste. Cfr. H. Lonchay, J. Cuvelier (eds.), Correspondance de la Cour d’Espagne sur les affaires des Pays-Bas, I (-), Kiessling, Bruxelles , n. , pp. -. Nella missiva, tra l’altro, Filippo III per la prima volta sembra accettare la possibilità di mutare la pace in una tregua di cinque o sei anni.

. Del quale si ha ora la traduzione italiana, H. Grotius, Mare liberum, a cura di F. Izzo, Liguori, Napoli .

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. Van Ittersum, Profit and Principle, cit., pp. -. . Ivi, pp. -.. Il libello compare anche nella raccolta di pasquinate uscita nell’estate del con

il titolo di Nederlandtschen Bye-Corf (L’alveare dei Paesi Bassi), diffusissima nonostante il decreto di soppressione delle autorità olandesi emanato il agosto . Cfr. Van It-tersum, Profit and Principle, cit., pp. -.

. Sommaire recueil des raisons plus importantes, qui doivent mouvoir meisseurs des Estats des Provinces unies du Pais bas, de ne quitter point les Indes, H. Haultin, A la Rochelle . La traduzione è opera di Jean Petit. Citerò da questa edizione.

. ABF, , Notizie di Tregua A, cit., dove si trovano anche due traduzioni del medesimo scritto in latino. Che la traduzione in italiano sia autografa lo ammette lo stesso Bentivoglio nella lettera del aprile , dove afferma di averne spedito copia anche al confessore di Filippo III, cardinal Xavierre; cfr. ABF, Scaffale , libro , H, lettera aprile , f. .

. Van Ittersum non esclude che l’autore possa essere stato Grozio stesso, ma, esaminate anche le ragioni contrarie, è portata a credere che la penna non sia quella del giurista di Delft, anche se certamente la Memorie riecheggia in molti passi il memorandum citato.

. Almeno secondo l’opinione autorevole di Emmanuel van Meteren, Historie der Nederlandscher Oorlogen, Den Haag , ff. v-r.

. Sommaire recueil, cit., p. .. Ivi, p. . Ivi, p. . . Ivi, pp. -.. GF, pp. -. . ASV, Fondo Borghese II, III, lettera settembre , ff. v-v. . Proprio in questi mesi il collegio di Middelburg (capitale della Zelanda) della

Compagnia delle Indie volle persuadere Grozio a pubblicare il Mare liberum (che era, come è noto, il dodicesimo capitolo del De iure praedae) ma Oldenbarnevelt e lo stesso Grozio, per non esacerbare gli animi ulteriormente, preferirono attendere la conclusione della Tregua. Cfr. Van Ittersum, Profit and Principle, cit., pp. -.

. GF, pp. -. . Per il testo originale dell’orazione cfr. Le Negociations de Monsieur le President

Jeannin, chez Andrè de Hoogenhuysen, Amsterdam , vol. III, pp. -. . GF, p. . È un perfetto esempio di linguaggio in un’epoca nella quale il diritto

internazionale si riduceva alla prudenza degli ambasciatori e alla potenza degli eserciti. Poco più avanti Jeannin conferma il suo pensiero all’arciduca Alberto, affermando che Enrico IV «non farebbe alcuna difficoltà nel conceder questa dichiaratione; poiché se le Provincie Unite non havranno migliori moschetti, e cannoni, quando s’habbia a venir nuovamente all’armi, poco gioveranno loro i sensi delle parole, & i vantaggi delle scritture»; ivi, p. . Eppure, nello stesso periodo, qualcosa andava mutando nella concezione dei rapporti internazionali in Europa; F. Russo, Alle origini della Società delle Nazioni. Pacificazione e arbitrato nella cultura europea del Seicento, Studium, Roma .

. GF, p. .. Secondo la ricostruzione di Grozio, Jeannin nella sua orazione avrebbe anche

citato una lettera di Giusto Lipsio originariamente scritta nel ad un amico che gli chiedeva un parere (da lui espresso favorevolmente) su di una eventuale pace con la Spagna. La lettera in questione venne ripubblicata nel , con i negoziati in pieno svolgimento, e Bentivoglio ne possedeva una copia, anch’essa reperibile nel manoscritto Notizie di Tregua. Cfr. U. Grozio, Annales et Histoires des troubles du Pays-bas, de l’imprimerie de Iean Bleau, a Amsterdam [], pp. -.

. GF, p. . . Ivi, p. .

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. ASV, Fondo Borghese II, -, f. .. Ivi, III, f. , e ancor più diffusamente ASV, Segr. Stato, Fiandra, , lettera marzo

, f. v, dove Bentivoglio afferma che gli ambasciatori francesi «tennero due linguaggi, l’uno con gli Stati a’ quali hanno rimostrato, che in questa forma essi resteranno sovrani per sempre, e per tali saranno da tutti riconosciuti, l’altro con l’Arciduca, et con Spagnoli, a’ quali hanno detto, che in questo modo non si cede la sovranità et che senza ragione la pretenderebbero gli Olandesi fatta che sarà la tregua l’interpreteranno secondo l’occasione a’ lor vantaggio, per che se potranno fare i fatti loro con Spagnoli non chiameranno gli Stati sovrani, se seguirà al contrario, diranno che gli Spagnoli hanno ceduto la sovranità». Una copia della prima stesura dell’articolo sugli “Stati liberi” si trova nel citato manoscritto Notizie di Tregua. Va sottolineato il fatto che Bentivoglio utilizza il termine “sovranità”, e non più quello di “signoria” o “dominiio” spesso preferiti nei secoli precedenti, avvalorando l’ipotesi, fatta ad esempio da Mastellone, che egli conoscesse l’opera di Jean Bodin. Cfr. Mastellone, Il modello politico olandese, cit., p. .

. GF, p. . È quanto Jeannin rivela ad Oldenbarnevelt, pregandolo di accon-discendere a tale richiesta: «Quant’à l’article du commerce des Indes, nous avons fait tout ce qui nous a esté possibile pour le faire exprimer de façon que le plus scupuleux n’eussent aucun subject d’y faire difficulté; mais après y avoir contesté longtemps jusques à monstrer de vouloir sortir comme tenans tout pour rompu, nous l’avons enfin obtenu avec pein de la façon qu’il est couché, sans pouvoir mieux faire; leur declarant neantmoins que ne pensions pas que messieurs les Etats s’endeussent contenter, encor que en nostre particulier nous croions qu’il y en a assez pour leur seureté, attendu mesmes que les deux Roys offriront de promettre par le traité qui contiendra la garantie de la tresve, si quelque empèchement est donné en ce commerce, qu’ilz tiendront la tresve pour enfreinte tout ainsi que si elle estait rompue ès autres articles du traité. C’est à ce coup qu’il est du tout nécessaire que preniez une finalle résolution, soit pour conclure ou pour rompre. Nous vous conseillerons le premier par le commandement de nos Maistres. Je vous suplie encor de faire pourvoir a ce qui touche l’intérest de Monsieur le prince Maurice, et de croire, si on n’en a plus de soin que du passé, tout ira mal»; Allgemeine Rijksarchief Den Haag, Holland, , lettera marzo .

. Le Negociations de Monsieur le President Jeannin, cit., vol. IV, pp. -: «Traité particulier & secret, que les deputez des Estats ont demandé au Roy d’Espagne, & qui leur a esté accordé en la forme qui ensuit. Comme ainsi soit que par l’article quatriéme du traité de la tréve fait ce mesme jour, entre la Majesté du Roy Catholique, les Serenissi-mes Archiducs d’Autriche d’une part, & les Sieurs Estats generaux des Provinces-Unies, d’autre: le commerce accordé ausdits Sieurs les Estats, & a leurs sujets, ait esté restreint & limité aux Royaumes, pays, terres & Seigneuries, que ledit Sieur Roy tient en l’Europe & ailleurs, esquels il est permis aux sujets des Roys & Princes qui sont ses amis & alliez d’exercer ledit commerce de gré à gré; & outre ce, ledit Sieur Roy ait declaré qu’il n’en-tendoit donner aucun empeschement au trafic & commerce que lesdits Sieurs les Estats & leurs sujets pourront avoir cy aprés en quelque pays & lieu que ce soit, tant par mer que par terre, avec les Potentats, peuples & particuliers qui le leur voudront permettre, ny pareillement à ceux qui feront ledit trafic avec eux, ce que toutesfois n’à esté touché par escrit audit traité. Or est-il, que ce mesme jour neuviéme Avril mil six cents neuf, qui est celuy auquel ladite tréve à esté accordée, les Sieurs Marquis Spinola, president Richardot, Mancicidor, frere Jean de Neyen, & Verreiken, au nom & comme deputez, tant dudit Sieur Roy que Archiducs, en vertu du mesme pouvoir à eux donné, & sous la mesme promesse de faire ratifier en bonne & devë forme ce present escrit avec le traité general, & dans le mesme temps; ont promis & prometent au nom dudit Sieur Roy, & de ses successeurs pour le temps que ladite tréve doit durer, Que sa Majesté ne donnera aucun empeschement, soit par mer ou par terre ausdits Sieurs les Estats, my à leur sujets au trafic qu’ils pourront faire cy-aprés és pais de tous Princes, Potentats & peuples, qui le leur voudront permettre, en quelque lieu que ce soit, mesme hors les limites cy-dessus

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ALBERTO CLERICI

designées, & par tout ailleurs, ny pareillement à ceux qui feront ledit trafic avec eux, & d’effectuer tout ce que dessus de bonne foy, en sorte que ledit trafic leur soit libre & assuré, consentans mesme, afin que le present escrit soit plus autentique, qu’il soit tenu comme inseré au traité principal, & faisant partie d’iceluy. Ce que lesdits sieurs Deputez des Estats ont accepté. Fait à Anvers les an & jous susdits».

. Bentivoglio al cardinal Borghese, luglio , in Cornelissen, Romeinsche bron-nen, cit., n. , pp. -: «M’è venuta occasione poi doppo di trovarmi col’ambasciadore di Spagna e di riferirgli tutte le cose predette. Ho potuto conoscere molto facilmente che non posson patir gli Spagnoli tanta riputatione del re di Francia. Ha da ancora esso ambasciadore qualche sinistra interpretattione a quel modo di tolleranza d’essercitio, c’hanno permesso gli Stati, ciò è, che s’abbia a temere, ch’essi Stati si vagliano di detta toleranza come rimedio per discoprire le persone dette cattolici et i lor cursi e che poi doppo siano per opprimergli e nelle persone e nelle facoltà secondo lo stil d’Inghilterra. Io ho risposto all’ambasciadore, che i casi son differenti. In Inghilterra commanda un re solo, e qua molti hanno il governo, là s’essercita un supremo volere e qua un’auttorità moderata. Il re non vuole se non la sua religione, e tra gli Stati si permette quasi ogni setta. Oltre che se con la violenza dell’armi non s’è usato mai si non un leggiero rigore contro i cattolici, s’ha da credere maggiormente che debba anzi diminuire che crescere il rigor senza l’armi. E quanto all’esser noti, i cattolici eran noti abbastanza anche prima; anzi per esser noti, e sapersi che sono in gran numero e mescolati di parentela con gli eretici stessi; perciò doversi credere, che gli Stati voglion tenergli contenti. S’aggiunge di più, che conoscendo gli Stati che se i cattolici fossero ridotti in disperatione saria facil cosa, che con la libertà del commercio molti passassero alle parti di qua, non vorranno dar loro quest’occasione con danno publico».

. Bentivoglio al cardinal Borghese, luglio , in Cornelissen, Romeinsche bron-nen, cit., n. , pp. -: «Vengo assicurato ancora, ch’essi Stati non han voluto determinar cosa alcuna, prima che Giannino partisse, perché son risoluti di voler essi per lor motivo et autorità propria dar soddisfattione a’ cattolici e guadagnarli. Piaccia a Dio, che nell’un modo o nell’altro la religione nostra ripigli spirito in quelle parti!».

. Scipione Borghese al Bentivoglio, agosto , in Cornelissen, Romeinsche bron-nen, cit., n. , p. : «Ma quanto alli Stati che hanno il governo in mano, difficilmente si può sperare habilità alcuna a benefitio o comodo loro, né anco per ragione politica, essendoci pochissimi esempi, che gli heretici habbiano presi partiti con i quali si sieno poste in un minimo pericolo le cose loro in materia di fede».

. Belvederi, Guido Bentivoglio e la politica europea, cit., p. , nota .. Tommaso Contarini (-), bisnipote del celebre Gasparo, diverrà in seguito

rappresentante di Venezia alla Santa Sede. Cfr. G. Benzoni, voce in DBI, cit., vol. , Roma , pp. -; Conti, Il modello politico olandese, cit., pp. -.

. Pubblicata in P. J. Blok (a cura di), Relazioni veneziane. Venetiaansche Berichten over de Vereenigde Nederlanden van -, ’s Gravenhage, Nijhoff , pp. -.

. Ivi., p. .. Ivi, p. .. Per le incertezze di Contarini cfr. ivi, p. ; per Bentivoglio, RP, pp. -. . Citerò dall’opera utilizzando la sigla RAT. . Del Costa non si hanno dati anagrafici certi; sulla sua vita cfr. G. Nuti, voce, in

DBI, vol. , Roma , pp. -; R. De Mattei, Il problema della «ragion di Stato» nell’età della Controriforma, Ricciardi, Milano-Napoli , pp. -.

. Conti, Il modello politico olandese, cit., p. : «tra le maggiori repubbliche, Geno-va, troppo condizionata dalle particolarissime relazioni con la Spagna e troppo ripiegata su se stessa per accorgersi delle novità contenute nell’esperienza delle Sette Province Unite, cominciò a prestarvi una qualche attenzione solo quando il legame con la Spagna iniziava a tramontare», che fa sua l’opinione di C. Costantini, La repubblica di Genova nell’età moderna, UTET, Torino , p. .

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GUIDO BENTIVOGLIO E ALTRI INTERPRETI ITALIANI DELLA TREGUA DEI DODICI ANNI

. La notizia dell’apertura di un negoziato tra la Spagna e le Province Unite fu accolta comprensibilmente con gioia dal governo genovese. Cfr. ad esempio i rallegramenti di Niccolò Doria con il conte di Fuentes, governatore spagnolo di Milano, nelle lettere del e aprile in Roma, Biblioteca Casanatense, ms , Carteggio, cit., nn. -.

. Egli aveva quasi certamente letto le Guerre di Fiandra di Pompeo Giustiniani, personaggio che viene ricordato all’interno del Ragionamento.

. De Mattei, Il problema della «ragion di Stato», cit., pp. -.. RAT, pp. , .. Ivi, pp. -.. Ivi, p. . . Ivi, p. . . Ivi, pp. -. . Allo stesso modo, ad esempio, di Scipione Ammirato. Cfr. De Mattei, Il problema

della «ragion di Stato», cit., pp. -. . RAT, pp. -. . Il testo fondativo della discussione su tale tema è naturalmente J. G. A. Pocock,

The Machiavellian Moment. Florentine Political Thought and the Atlantic Republican Tradition, Princeton University Press, Princeton .

. H. Blom, The Republican mirror: the Dutch idea of Europe, in A. Pagden (ed.), The idea of Europe from Antiquity to the European Union, Cambridge University Press, Cambridge , pp. -; J. Israel, The Intellectual Origins of Modern Democratic Re-publicanism, in “European Journal of Political Theory”, , , pp. -.

. RAT, pp. -. L’ambasciatore veneto Contarini, invece, non era così sicuro che nelle Province Unite la pace avrebbe garantito una maggiore stabilità sociale, date le di-vergenze in materia di religione, le asprezze fiscali e la confusione istituzionale. Nella sua opinione, solo la figura di Oldenbarneveld avrebbe potuto mantenere coese le Province. Cfr. Relazioni veneziane, cit., p. .

. RAT, p. : «Dirò esser cosa manifesta, che la maggior parte de’ porti, e de’ paesi della gran costa di quelle Regioni orientali, sono sotto i loro Re, e sotto i loro Signori naturali, a’ quali è conseguentemente libero d’ammettere qualunque huomo, o navilio, che va ne’ paesi loro a negotiare. E stando ferma la triegua, e ritrovandosi quel mare, e quel paese ampio, e quel passaggio di sua natura libero, non può a parer mio seguir nelle dette Indie novità alcuna».

. Ivi, pp. -. . Ivi, p. . . Ivi, p. .