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Woman fiction romance

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Susan Wiggs

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Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Snowfall at Willow Lake

Mira Books © 2008 Susan Wiggs

Traduzione: Marina Boagno

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma.

Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.

Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.

Harmony è un marchio registrato di proprietà

Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.

© 2009 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Romance

ottobre 2009

HARMONY ROMANCE ISSN 1970 - 9943

Periodico quindicinale n. 61 del 9/10/2009 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi

Registrazione Tribunale di Milano n. 72 del 6/2/2007 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale

Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione

Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti

contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171

Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano

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Avalon, Contea di Ulster, New York Ogni stazione sulla radio del pickup di Noah Shepherd trasmetteva lo stesso, incessante avviso. Il Servizio Me-teorologico Nazionale prevedeva pericolose condizioni di neve, gelo e vento. Le autorità invitavano la popolazione a rimanere in casa, quella sera, per mantenere libere le strade per i soli veicoli d'emergenza. L'aeroporto della contea era chiuso da ore. Anche gli spazzaneve più pe-santi avevano difficoltà a muoversi sulle strade statali. Solo i pazzi e gli idioti sarebbero andati in giro con un tempo simile. Be', i pazzi, gli idioti e i veterinari. Noah rimpianse che i suoi tergicristalli non avessero una modalità più veloce. La neve, portata dal vento, cadeva così fitta da sembrare un compatto muro bianco. Riusciva a malapena a distin-guere la strada. La leggenda diceva che durante quelle tempeste di ne-ve, note come effetto lago, poiché erano dovute in gran parte a un microclima locale, accadevano delle magie. Sicuro, pensò Noah. Se quella era la magia, lui preferiva tenersi ben stretta la realtà. Dopo avere assistito al parto della cavalla degli O-smond, avrebbe fatto meglio ad accettare la loro offerta di fermarsi per la notte, aspettando che il tempo e le stra-de migliorassero prima di tornare alla sua casa e all'an-

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nesso ambulatorio, a diversi chilometri di distanza. Ma, secondo le previsioni, la tormenta poteva durare per gior-ni, ed era probabile che peggiorasse. Noah aveva il vec-chio beagle dei Palmquist ricoverato nell'ambulatorio, un gatto convalescente da un'operazione alla spina dorsale e i suoi animali, che al momento comprendevano anche un cucciolo abbandonato. Sapeva che avrebbe sempre potuto chiamare la sua vicina, Gayle, per chiederle di dare una occhiata, ma gli spiaceva importunarla. Con il marito mi-litare in missione all'estero e tre bambini piccoli, non era proprio il caso che uscisse sotto la neve per andare a casa sua a controllare gli animali. Inoltre, dopo essersi lavato alla meglio a casa degli O-smond, Noah aveva un gran bisogno di una doccia. Si chinò in avanti, sforzandosi di vedere qualcosa oltre il parabrezza. Illuminati dai fari, i fiocchi di neve sembra-vano andargli incontro come negli effetti speciali di un film. Pensò a Guerre stellari, quando il Millenium Falcon entrava nell'iperspazio. E quel pensiero, naturalmente, lo ispirò a fischiettare fra i denti il tema musicale del film. Annoiato di procedere a passo di lumaca, immaginò che il parabrezza fosse una finestra su una galassia, molto, molto lontana. Lui era Ian Solo, e i fiocchi di neve erano stelle. Lanciò ordini al copilota, che sobbalzò alla voce del suo capo. «Preparati ad accelerare, Ciube, mi senti?» Uno dei suoi cani, Rudy, un meticcio sul sedile del passeggero, sbuffò in risposta, appannando il finestrino. L'ultima ragazza di Noah, Daphne, lo accusava sempre di essere un ragazzino che non voleva crescere. Noah a-veva numerose ex. Le donne della sua età tendevano a volere qualcosa di diverso dalla vita con un veterinario di campagna. In un'occasione, Noah, che aveva il tatto di un martello pneumatico, aveva suggerito a Daphne, scher-zando solo per metà, di mettere al mondo qualche bambi-

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no loro, così avrebbe avuto qualcuno con cui giocare. Era stata l'ultima volta in cui l'aveva vista. Già, ci sapeva proprio fare con le donne. Non c'era da stupirsi che lavorasse esclusivamente con gli animali. «Maestro Kenobi, bersaglio individuato, un detonatore termico» disse. Noah fantasticò di una schiava spaziale in un bikini di maglie metalliche. Se solo l'universo gli avesse inviato davvero qualcosa del genere... Poi cambiò voce, adottando un registro baritonale con un cattivo accento inglese. «Confido che troverai quelle che cerchi. E... Diavolo.» Un'ombra chiara balenò sulla strada proprio davanti a lui. Girò il volante e alzò il piede dall'acceleratore. Il fur-gone scodò. Rudy raspò sul sedile, cercando di non ruz-zolare. In mezzo alla strada c'era una cerva dai grandi oc-chi, con le costole sporgenti sotto il folto mantello inver-nale. Noah suonò il clacson. La cerva schizzò via attraverso la strada, scavalcando il fosso con un salto e sparendo nel buio. La metà dell'inverno era il periodo peggiore per gli animali selvatici. La stagione della fame. La radio trasmetteva il solito comunicato sull'emer-genza. Noah la spense. Quasi a casa. Non c'erano punti di riferimento visibili per dirglielo, solo una sensazione istintiva. Perfino le cassette della posta erano sepolte dalle neve. Ma, a parte il periodo trascorso al college, alla Cornell, Noah era sempre vissuto in quella zona. Avvertiva, anche senza vederla, la vicinanza del lago Willow, a sinistra della strada. Era il più bel lago della contea, circondato da una natura incontaminata. Al momento era invisibile, dietro la cortina di neve. La casa di Noah era di fronte al lago, dall'altra pare della strada, su un leggero rilievo. Lungo il lago c'erano diversi vecchi cottage estivi, disabi-tati in inverno.

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«Generale Azkanabi, abbiamo bisogno di rinforzi» dis-se. «Mi mandi qualcuno senza indugio!» In quell'istante notò... qualcosa. Un barlume di rosso fra le ombre create dalla neve. Il motivetto che fischietta-va gli morì fra i denti. Tolse il piede dall'acceleratore e tenne gli occhi fissi sul bagliore rossastro, e dopo un po' ne distinse uno gemello. Luci posteriori, che sembravano appartenere a una macchina incastrata in un cumulo di neve. Fermò il furgone in mezzo alla strada, con le luci d'e-mergenza accese. La macchina era ancora in moto. Si ve-deva una nuvoletta di gas di scarico elevarsi nella notte. Uno dei fari anteriori era sepolto nella neve. L'altro illu-minava un cervo che era stato investito. «Resta lì» ordinò Noah a Rudy. Agguantò la borsa, che conteneva tranquillanti a suffi-cienza per mettere fuori combattimento il cervo e accese la lampada elettrica da fissare alla testa con una banda elastica. Scese dal furgone, in mezzo alla bufera. La neve e il vento gli tagliarono la faccia come lame ghiacciate. Corse verso la macchina, scorgendo all'interno un solo occupan-te: una donna. Sembrava che stesse armeggiando con un telefono cellulare. Vedendolo, abbassò il finestrino. «Grazie al cielo è venuto» disse, e scese dalla macchi-na. Era vestita in modo inadeguato per quel tempo, que-sto era certo. Un cappotto d'alta moda e leggeri stivali di pelle dal tacco alto e sottile. Niente berretto. Niente guan-ti. I capelli biondi svolazzanti al vento le nascondevano in parte il viso. «È arrivato in fretta!» gridò. Noah pensò che l'avesse scambiato per un addetto al soccorso stradale, ma non c'era tempo per le spiegazioni. Lei parve condividere la sua urgenza. Lo afferrò per la manica e lo tirò verso il davanti della macchina, barcol-lando sugli stivali. «La prego» disse, con voce tremante. «Non posso cre-

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dere che sia successo. Pensa che possa salvarsi?» Noah diresse il raggio della lampada sul cervo. Non era la femmina che aveva scorto poco prima, ma un gio-vane maschio con un corno rotto. Aveva gli occhi vitrei e ansimava in un modo che Noah riconobbe. Era la respira-zione di un animale sotto shock. Non vide sangue, ma spesso le ferite mortali erano interne. Maledizione. Odiava sopprimere gli animali. Lo odia-va. «La prego» ripeté la sconosciuta. «Deve salvarlo.» «Regga questa» disse lui, tendendole una torcia elet-trica che aveva preso dalla borsa. Si accosciò presso l'a-nimale, parlandogli in tono tranquillizzante. «Calma, a-mico.» Si tolse i guanti, ficcandoli nella tasca del parka. Il pe-lo ruvido del cervo gli scaldò le mani mentre gli palpava l'addome senza trovare nulla di anormale. Forse... Tutto a un tratto, il cervo si agitò, cercando una presa per le zampe nella neve alta, soffice. Noah ricevette un forte colpo al braccio e indietreggiò. L'animale riuscì a rialzarsi e balzò sopra un cumulo di neve. Istintivamente, Noah si parò davanti alla donna per proteggerla dagli zoccoli, mentre il cervo spariva nei boschi. «Non l'ho ucciso» disse lei. «Lei lo ha salvato.» Non era così, pensò Noah, anche se poteva sembrare merito suo se il cervo era balzato su non appena lui lo a-veva palpato. Non lo disse, ma c'era ancora la probabilità che potesse crollare da qualche parte nelle foresta, e mo-rire. Spense la lampada sulla fronte e si rialzò. La donna gli puntò la torcia elettrica in faccia, accecandolo. Quando lo vide trasalire, abbassò il raggio. «Mi scusi.» Infilando i guanti, Noah chiese: «Dov'è diretta?». «Lakeshore Road, numero 1247. La casa dei Wilson. La conosce?»

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Noah aguzzò la vista per vedere meglio. Era uscita di strada a pochi passi dal vialetto di casa sua. «Ancora qualche centinaio di metri in direzione del la-go, e sarà arrivata» rispose. «Posso darle un passaggio.» «Grazie.» I fiocchi di neve le si posavano sulle ciglia, e batté le palpebre per liberarsene. Noah ebbe una rapida visione del suo viso... sorprendentemente bello, ma palli-do e teso. «Prendo la mia roba.» Gli restituì la torcia e tirò fuori dalla macchina una borsetta e una borsa da viaggio. C'era anche una piccola valigia coperta di etichette. Al pallido chiarore della luce interna, Noah scorse scritte in lingue straniere, e un'altra dall'aria ufficiale, che sembrava del Dipartimento di sta-to, o qualcosa del genere. Wow, pensò. La donna del mi-stero internazionale. Lei spense il motore e le luci. «Immagino che non ci sia niente da fare per la mac-china.» «Non stanotte, comunque.» «Ho delle altre valigie nel portabagagli. Crede che sia sicuro lasciarle qui?» «Probabilmente non è una notte molto propizia ai la-dri.» Noah le aprì la portiera del furgone. «Va' dietro» ordinò a Rudy, e il cane balzò sul sedile posteriore. La donna esitò, stringendosi la borsetta al seno e fis-sando Noah. Anche alla debole luce interna, lui notò che aveva gli occhi azzurri. E non lo guardava più come l'Uomo che sussurrava ai cervi. «Mi guarda come se fossi un assassino armato d'a-scia.» «Come faccio a sapere che non lo è?» «Noah Shepherd» si presentò lui. «Abito proprio qui. Questo è il mio vialetto.» Accennò alla strada d'accesso fiancheggiata da pini coperti di neve. Una luce splendeva a una finestra sulla facciata e un'altra, nel portico, gettava una luce giallastra

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sulla porta d'ingresso. L'entrata all'ambulatorio, ai canili e alle stalle era più distante, sulla sinistra, con le luci di si-curezza accese, ma a malapena visibili. La donna si morse il labbro. «Anche gli assassini devono vivere da qualche parte.» «Giusto. Perciò come so io che lei non è un'assassina armata di ascia?» Lei non parve affatto turbata dalla domanda. «Non lo sa» ribatté semplicemente, e salì sul furgone. Mentre girava attorno al veicolo per salire al posto di guida, Noah si chiese se strane forze fossero all'opera. Non era il tipo da pensare a cose del genere, ma poco prima non stava appunto desiderando che il destino gli mandasse qualcuno? L'universo era in ascolto, dopotutto? Naturalmente non sapeva nulla della sua inaspettata passeggera. Come lei stessa gli aveva fatto notare, non sapeva neppure se era un'assassina armata di ascia. Come se avesse avuto importanza. Era bellissima, ed era seduta nel suo pickup. Perché guardare in bocca al cavallo donato? Sperò che l'odore di cane bagnato non la disturbasse troppo. Non rovinare tutto, si ammonì, salendo a bordo. E smettila con le fughe in avanti. Non sapeva neppure se era impegnata con qualcuno, sposata, fidanzata, gay o squilibrata. La sola cosa che sapeva per certo era... «Maledizione» sbottò. «Perché non mi ha detto che era ferita?» Afferrò la torcia elettrica e illuminò la chiazza rossa che le macchiava il tessuto strappato del pantaloni, sul ginocchio e lungo la gamba. Lei emise un suono, un ansito di paura così intenso da far trasalire Noah. Poi cominciò a tremare, respirando a stento, colta dal panico. Disse qualcosa in una lingua straniera, forse un dialetto tedesco. Sembrava una pre-ghiera. Guardò Noah con il terrore negli occhi, come se fosse il suo peggiore incubo.

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Altro che non rovinare tutto, pensò lui. «Ehi, non c'è bisogno di spaventarsi» disse. Ma lei era smarrita da qualche parte, sprofondata nel panico, e poi... niente. Si accasciò semplicemente contro il sedile, con la testa piegata da un lato. «Ehi» ripeté Noah, più forte. Diavolo, era svenuta? Si strappò il guanto e tastò la caro-tide in cerca di una pulsazione. C'era, grazie al cielo. «Andiamo, signorina» la sollecitò, toccandole gentilmen-te la guancia. «Si svegli.» Dietro di lui, Rudy si agitava, guaendo. Probabilmente poteva sentire l'odore del terrore e del sangue. Poi si fer-mò, piegò la testa all'indietro e ululò. Così imparo, pensò Noah. Quando aveva chiesto alle stelle di mandargli qualcuno, sarebbe dovuto essere un po' più preciso, per non correre il rischio di vedersi piombare dal cielo una sconosciuta pazza, che sveniva alla vista del proprio sangue. Per quello che poteva capire, si trattava di una perdita di conoscenza dovuta alla ferita, alla paura e all'ansietà. Negli animali, a volte era un meccanismo di difesa. Negli esseri umani... non era sicuro di che cosa significasse. Comunque, doveva misurarle la pressione e medicarle la ferita. Imboccò il vialetto. Passò davanti alla casa e proseguì verso l'edificio successivo, che era l'ambulatorio. Un tempo, la proprietà era stata l'allevamento di bestiame da latte della sua famiglia e quell'edificio aveva ospitato gli uffici. Quando aveva aperto il suo studio, tre anni prima, l'aveva trasformato in una clinica veterinaria. Scese dal pickup e fece un cenno a Rudy, che saltò giù agilmente e schizzò via attraverso un campo coperto di neve. Era chiaro che era impaziente di allontanarsi dalla sconosciuta. Noah corse dal lato del passeggero. «Signorina? Mi sente, signorina?» La donna non ebbe alcuna reazione. Lui le controllò di

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nuovo le pulsazioni, poi, cautamente, la tirò fuori dalla cabina. Aprì la porta dell'ambulatorio aiutandosi con la spalla ed entrò, fermandosi a disattivare il sistema d'al-larme, cosa che riuscì a fare senza lasciar cadere la don-na. Poi attraversò la zona reception debolmente illumina-ta, diretto a una sala visite. La depose su un tavolo in ac-ciaio inossidabile, allungandolo per adattarlo alla sua sta-tura. Non era progettato per esseri umani, ma non c'era altra scelta. «Signorina» ripeté. Maledizione. Era il caso di iniziare una procedura di rianimazione? «Su, su» disse, reggendo-la con una mano e prendendo una maschera per l'ossige-no con l'altra. Era di forma conica, adatta per un muso, ma premen-dola forte riuscì, bene o male, ad adattarla. Lei aprì gli occhi di colpo. Completamente sveglia, si dibatté, con un grido. Noah indietreggiò, alzando le mani. «Ehi, si calmi, okay?» disse, pensando al tranquillante per cavalli che aveva nella borsa. Si chiese come avrebbe reagito la donna se le avesse detto: «Non mi costringa a tirare fuori il tranquillante per cavalli». Non sapeva che cosa fare. Confortarla? O gettarle del-l'acqua in faccia? «Signorina...» Le mise delicatamente la mano sul pulso, con l'inten-zione di sentire le pulsazioni. Grosso sbaglio. Lei scattò all'indietro come se l'avesse scottata, alzandosi a sedere e guardandolo come se fosse Jack lo Squartatore. «Signorina» ripeté Noah, piantandosi davanti a lei in modo che non cadesse dal tavolo, nel caso svenisse di nuovo. «Andrà tutto bene, gliel'assicuro. Per favore, mi guardi. Posso aiutarla, ma bisogna che si calmi.» Finalmente, le sue parole parvero giungere a segno. Vide la paura che velava gli occhi della donna cominciare a regredire. Lei respirò a fondo, nel visibile sforzo di calmarsi.

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«Ehi» disse Noah, resistendo all'impulso di prenderle la mano. «Si calmi. Andrà tutto bene.» Usò il suo tono più persuasivo, quello che riservava ai gatti inferociti e alle puzzole dal carattere difficile. «Siamo nel mio ambu-latorio. Sono un... ho una preparazione medica.» Meglio aspettare a spiegarle che era un veterinario. «Devo darle un'occhiata. Giuro, non voglio fare altro. La prego.» Lei cominciò a tremare, pallida come un cencio. «Sì» mormorò. «Sì, grazie. Non... non so che cosa mi è preso.» Me ne sono accorto, pensò lui. «La mia ipotesi è che abbia subito una sindrome vaso-vagale» spiegò. «In parole povere, è svenuta alla vista del suo sangue. C'è stato qualche trauma fisico, perciò ho bi-sogno di farle alcune domande, controllarle le pulsazioni e la pressione.» Stavolta, finalmente, lei parve afferrare il senso delle parole. Noah corse il rischio, mettendole due dita sotto il mento per controllare le pupille. La pelle era liscia come il velluto, ma gelata e umida. Avvertì il suo sforzo per smettere di tremare, vide la determinazione sul suo viso. «Mi dispiace» disse la donna con voce un po' tremula. «È stato imperdonabile da parte mia.» Raddrizzò le spalle e sollevò il mento, trasformandosi in una persona diversa. La vittima terrorizzata era sparita. Al suo posto c'erano una giovane donna controllata, per quanto palesemente scossa. «Non c'è bisogno che si scusi» rispose Noah. «Molte persone si spaventano quando sono ferite.» «Che posto è questo?» «Il mio ambulatorio.» «Sono uscita di strada davanti al suo ambulatorio? È stata una buona idea.» La donna sorrise debolmente. «Le era già capitato prima? Uno svenimento, intendo.» «No. Santo cielo, no. Mai.» «Prima che accadesse, ricorda di avere sentito mal di

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testa, dolore alla schiena, o al petto, difficoltà a respira-re?» «No. Ero accanto a lei. Stavo bene fino a quando... Non ricordo.» Noah si tolse il parka, poi ricordò che il camiciotto e pantaloni sterili che aveva indossato per assistere alla na-scita del puledro erano ancora macchiati di sangue e li-quido amniotico. Si voltò rapidamente perché la donna non lo vedesse, si tolse il camiciotto, lo ficcò in un appo-sito cesto, poi agguantò un camice pulito. La sua paziente era molto calma, ora. Voltandosi, la sorprese a fissare il suo torso nudo. La bocca - una bellis-sima bocca, anche per una tizia un po' pazza - formava una perfetta O di sorpresa. Il viso era ancora pallido, pe-rò. Probabilmente rischiava un'altra sincope. E, anche se gli sarebbe piaciuto, non a causa del suo fisico. Qualcosa l'aveva spaventata, e sperò di non essere stato lui. «Ho bisogno di un camice pulito» spiegò. La donna distolse gli occhi da lui e si guardò attorno. Noah sentì la sua fiducia in lui dissolversi. Alla facoltà di veterinaria non insegnavano a non togliersi la camicia davanti a un paziente, poiché, in linea generale, il pazien-te non se ne curava. «Scusi» borbottò, affrettandosi a mettersi al collo un fonendoscopio, nella speranza di rassicurarla. «Voglio solo aiutarla, giuro.» «E io lo apprezzo» disse la donna, appoggiando le ma-ni al bordo del tavolo. «Non mi lascerò prendere di nuovo dal panico. Non... non è stato da me. E questo fa molto... Rocky Horror Picture Show.» Alla mente di Noah balenò il ricordo di Susan Saran-don in mutandine e reggiseno. Magari... Usò il pedale per abbassare il tavolo. «Sta ancora sanguinando. No... non guardi.» Non vo-leva un altro svenimento. «Ho proprio bisogno di dare un'occhiata a quella gamba.» Si disinfettò le mani al la-

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vello e infilò un paio di guanti. «Può darsi che sia neces-sario tagliare i pantaloni» l'avvertì, poi non poté reprime-re un sorriso. «C'è qualcosa di buffo?» chiese lei. «È che non avevo mai detto niente del genere a un pa-ziente. Si sieda sul tavolo, okay. E stenda la gamba.» Con sorpresa di Noah, lei obbedì, appoggiandosi sulle mani mentre si guardava ancora intorno, fermandosi su un grafico della crescita canina e un calendario di una dit-ta di prodotti veterinari. «Non è un vero medico, giusto?» «Questa è praticamente la mia domanda preferita» ri-spose Noah. «Vede, se fossi un vero medico, conoscerei l'anatomia e le patologie di una sola specie, non di sei. E avrei una sola specializzazione, anziché nove.» «Immagino che glielo chiedano spesso.» «Solo quel tanto che basta a irritarmi.» Noah fece un passo indietro, sollevando le mani guantate. «Senta, pos-so anche non farlo. Per me va bene.» «Se non le dispiace, preferirei che lo facesse.» «Devo sottoporla a un controllo generale, vedere se ha altre ferite.» «È solo il ginocchio.» «Potrebbe avere delle lesioni interne.» La donna s'irrigidì, incrociando le braccia sul petto. «Non ho battuto da nessuna parte. Non sento dolore. È solo il ginocchio.» Noah non aveva intenzione di insistere. La situazione era già abbastanza bizzarra. «Potrei chiamare un'ambulanza, ma in una nottata co-me questa preferirei non farlo, se non nel caso di una grave emergenza, una questione di vita o di morte» af-fermò. «Non è una questione di vita o di morte» ribatté la donna. «Mi creda, conosco la differenza.» «Okay. Solo il ginocchio, per ora. Ma se nota qual-

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cosa... vista sdoppiata, vertigini, qualunque cosa... deve dirmelo subito.» Le controllò la pressione, che era nor-male. Buon segno. Un'emorragia interna la faceva crolla-re. «Okay» concluse, «diamo un'occhiata al ginocchio.» La donna si sdraiò e si coprì gli occhi con il braccio. «Capirà, se non guardo.» «Ho notato che non le piace troppo il sangue.» Noah scelse un paio di forbici e cominciò dall'orlo dei pantalo-ni scuri, tagliando verso l'alto. Il cuoio sottile, dall'aria costosa, degli stivali era inzuppato di sangue. Continuò a tagliare, sperando di non dover proseguire tanto da appa-rire un vero pervertito. La ferita era di forma ricurva. Do-veva avere urtato contro qualcosa sotto il cruscotto. «Ha un taglio proprio sotto il ginocchio.» Probabilmente le faceva un male del diavolo. Non era grave, ma aveva sanguinato abbondantemente. «Ha bisogno di punti di su-tura.» «Può farlo lei?» «Non sono un chirurgo plastico. Probabilmente le re-sterà la cicatrice.» «Allora, può fermare l'emorragia? Cercherò un chi-rurgo domattina.» «Non può aspettare tanto. Il rischio d'infezione è trop-po alto. Il massimo che qualunque medico concederebbe sono sette ore. Le strade saranno ancora chiuse, domatti-na.» «Allora la suturi, mi adatterò a vivere con la cicatrice.» Per una donna così bella, era una risposta inaspettata. «Va bene. Posso farle un'anestesia locale. Probabil-mente ci vorranno una dozzina di punti. Li farò molto piccoli, per minimizzare la cicatrice.» Noah prese in con-siderazione l'idea di offrirle un tranquillante per calmarla, ma non era sicuro del dosaggio. Probabilmente pesava quanto un rottweiler, quindi ottanta milligrammi sarebbe-ro dovuti essere la dose giusta. O forse no. Si sarebbe li-mitato all'anestesia locale.

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Era strano avere un paziente che non aveva bisogno di essere tenuto fermo. Iniettò l'anestetico, e lei non batté ciglio. «Avrà effetto in un paio di minuti» le spiegò. «Ci conto.» La donna tolse il braccio dagli occhi e fis-sò il piano di lavoro. «Se starò molto buona, avrò uno di quei biscotti nel vaso di vetro?» «Può averne quanti ne vuole» sorrise Noah, aprendo la confezione sterile di un vassoio per suture. «Le daranno l'alito fresco e denti più bianchi.» «Può essere utile» borbottò lei. Noah si cambiò i guanti e si affaccendò a disinfettare e suturare. Molti animali avevano una pelle più delicata di quella degli esseri umani. Scelse un normale filo per su-ture equine, lavorando con la maggiore delicatezza e pre-cisione possibile, per evitare una vistosa cicatrice sulla pelle bianca e morbida della donna. La sentì ricominciare a tremare. Si chiese se avrebbe dovuto chiacchierare del più e del meno per allentare un po' il suo nervosismo e pregò che rimanesse ferma. Con i suoi normali pazienti, qualche parolina dolce di solito aveva effetto. «Non ho capito il suo nome» disse. «Sophie. Sophie Bellamy.» «È parente dei Bellamy che hanno il villaggio turistico sul lato nord del lago?» «Più o meno. Ero sposata con Greg Bellamy. Ora sia-mo divorziati.» Ma usava ancora il cognome dell'ex marito, notò No-ah. «Ho due figli qui ad Avalon» continuò lei. Quello, probabilmente, spiegava il cognome, allora. Non spiegava, invece, perché i figli non vivevano con lei. Noah si rammentò che non erano affari suoi. Le persone erano complicate, con un'impressionante varietà di pro-blemi. Niente era semplice con la specie umana. Lavorare con gli animali era molto più facile. Trattare con gli esse-

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ri umani era come attraversare un campo minato. Non sa-pevi mai quando qualcosa poteva scoppiarti in faccia. Chiacchiera del più e del meno, si disse. Distraila. «Quindi è qui in visita? O sta solo tornando da un viaggio?» Sophie esitò, come se studiasse una risposta, il che era strano, visto che non era una domanda imbarazzante. «Sono atterrata all'aeroporto Kennedy oggi pome-riggio. Non c'erano voli per Kingston, a causa del mal-tempo, perciò ho noleggiato una macchina. Immagino che avrei potuto prendere il treno, ma ero ansiosa di arri-vare» disse. Atterrata al Kennedy da dove? Noah non lo chiese, a-spettando che fosse lei a spiegarsi meglio. Quando non lo fece, si concentrò sul suo compito. «Ed è ospite dei Wilson, qui di fronte?» chiese. «Non esattamente. Uso la loro casa. È un cottage e-stivo. Alberta... Bertie... Wilson e io ci siamo conosciute alla facoltà di legge.» «Oh.» La mano di Noah rimase sospesa a mezz'aria. «Lei è avvocato?» «Sì.» «Un vero avvocato?» «Okay, questa me la sono meritata» ammise Sophie. «Non poteva dirmelo prima che la suturassi con filo per cavalli?» «Mi avrebbe curata in modo diverso?» «Non lo so» rispose Noah onestamente. «Forse non l'avrei curata affatto. O forse le avrei chiesto di firmare una liberatoria.» «Questo non ha mai fermato un buon avvocato.» Ma Sophie si affrettò ad aggiungere: «Ma non ha niente di cui preoccuparsi. Mi ha soccorsa e ha fermato l'emorra-gia. L'ultima cosa che farei è intentarle causa». «Buono a sapersi.» Noah le tolse il telo sterile dalla gamba e irrorò ancora una volta la ferita con una soluzio-

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ne disinfettante. «Anche se, probabilmente, dovrebbe da-re un'occhiata. Non è proprio bella a vedersi.» Lei si rialzò a sedere. I punti formavano una sottile curva nera sulla pelle chiara, ora tinta di color ambra dal disinfettante. «Ha fermato l'emorragia» ripeté. «Pare di sì.» Noah coprì la ferita con un quadrato di garza. «Ora la bendo. Dovrà stare attenta a non strappare i punti. Se fosse uno dei miei soliti pazienti, le appliche-rei una protezione attorno al collo per impedirle di masti-care le bende.» «Non sarà necessario.» «Dovrà tenere la zona il più possibile asciutta.» «Credo di poterlo fare.» Sophie rimase ferma mentre lui finiva di bendarle la gamba e le controllava ancora una volta la pressione. «Nessun cambiamento» commentò Noah. «Bene.» «Grazie. Davvero, non so come ringraziarla.» Lui l'aiutò a scendere dal tavolo tenendole entrambe le mani. Quando barcollò leggermente, le passò un braccio attorno alla vita. «Piano, ora» l'ammonì. «Deve tenere la gamba il più possibile sollevata, stanotte.» «Va bene.» Tenerla fra le braccia fu traumatico, per Noah. Il suo mento le sfiorava i capelli serici. Aveva l'odore fresco del vento invernale, ed era leggera e morbida. Lei parve ugualmente stupita dal suo tocco, e un picco-lo brivido l'attraversò. Paura? Sollievo? Noah non avreb-be saputo dirlo. Poi, molto gentilmente, Sophie si liberò dalle sue braccia. Lui le fece strada verso la zona recep-tion. La scrivania di Mildred era meticolosamente ordina-ta, proprio come lo era la sua assistente. Quella di Noah era ingombra di riviste e libri di consultazione, giocattoli, biglietti di auguri di proprietari dei pazienti. C'era una piccola bacheca interamente dedicata a letterine di bam-

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bini e foto con i loro animali. Noah aveva un debole per i bambini. «Grazie ancora» disse Sophie. «Mi dica quanto le de-vo.» «Sta scherzando, vero?» «Non scherzo mai. Lei mi ha reso un servizio profes-sionale, ha diritto a essere ricompensato.» «Giusto.» Un vero discorso da avvocato. Se avesse prestato le stesse cure a un dobermann, avrebbe fatturato qualche centinaio di dollari. «Offre la casa. Dovrebbe farsi vedere da un medico il più presto possibile.» «Bene. È andato molto al di là di quello che era il suo dovere» affermò Sophie. «Mio eroe.» Noah distinse ancora una sottile vibrazione di paura nella sua voce, perciò sospettò che stava solo cercando di mostrarsi coraggiosa... o di fare dell'ironia. «Nessuno mi aveva mai chiamato così.» «Scommetto che qualche sua paziente lo farebbe, se potesse parlare.» Sophie abbassò gli occhi e lui fu contento di vederle tornare un po' di colore. «Comunque, dovrei andare giù al cottage, ora...» «Impossibile» affermò lui. «Non stanotte.» «Ma...» «Le strade sono peggiori che mai. So che c'è un vialet-to che porta a casa dei Wilson, ma è sepolto sotto più di mezzo metro di neve. Probabilmente la casa è gelida. Stanotte, resterà qui.» Sophie si guardò attorno. «Ha intenzione di mettermi in una gabbia sul retro?» «Proprio accanto alla gatta della signora Levinson.» Noah accennò alla panca nella zona di attesa. «Si sieda e tiri su la gamba. Io devo dare un'occhiata ai miei pazienti, e poi andremo in casa. Non è il Ritz, ma le darò qualcosa da mangiare e un posto dove dormire. Ho una quantità di spazio.» «Le ho già arrecato anche troppo disturbo...»

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«Allora un altro po' non avrà importanza.» «Ma...» «Seriamente, nessun disturbo.» Noah andò sul retro, illuminato da una pallida luce not-turna azzurrina. Toby, la gatta, era sveglia, ma sembrava contenta nella sua gabbia. Aveva acqua in abbondanza. Brutus, il beagle, era addormentato e russava. L'altra gat-ta, Clementine, si stava metodicamente leccando. Noah rifornì la sua ciotola dell'acqua. «L'hai vista, Clem?» bisbigliò. «Riesci a credere alla mia fortuna? Ho vinto alla lotteria della Ragazza-finita-nel-fosso.» La gatta batté le palpebre, poi sollevò una zampa ante-riore e cominciò a leccarla. «Sicuro, dammi il cinque» disse Noah. Certo, era stato un incidente a portare da lui Sophie, ma forse aveva avuto una parte anche il destino. La don-na più splendida della galassia, una donna che l'aveva chiamato mio eroe, si sarebbe stabilita dall'altra parte del-la strada. Okay, probabilmente era eccessivo vedere la mano del destino in un incontro casuale. Ma, che diami-ne. Ian Solo non avrebbe esitato ad approfittare al meglio della situazione. Sophie era bellissima e aveva trovato il modo di fargli sapere che era single. E aveva dei figli. Noah adorava i bambini. Ne aveva sempre desiderato una casa piena. La sua ultima ragazza l'aveva lasciato proprio perché non voleva sentire parlare di bambini. Ora, ecco una donna che ne aveva già. Si lavò le mani, rammentandosi di non correre troppo... cosa che aveva l'abitudine di fare. Il destino gli aveva fat-to cadere fra le mani una magnifica opportunità. Ora, toc-cava a lui vedere che cosa poteva nascerne.

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Neve sul lagodi Susan Wiggs

Sophie Bellamy, avvocato specializzato in diritto internazionale, ha dedicato la sua vita ad aiutare le popolazioni bisognose. Ma quando è vittima di un tentato rapimento da parte di un gruppo di terroristi, realizza improvvisamente di aver trascurato quello che ha di più prezioso: i propri figli. Accompagnata dai rimor-si, fa ritorno nella cornice idilliaca di Avalon, una località nei pressi di Willow Lake. Complice una nevicata eccezionale, So-phie scopre che anche la vita di paese può riservare imprevisti e sorprese, inclusa un’irresistibile attrazione per Noah Shepherd, giovane e aitante veterinario.

Come magnolie in fioredi Sherryl Woods

A Serenity Natale non è solo un giorno di festa. È senso di attesa, luci colorate, regali da incartare: un tempo incantato, soffuso d’amore e speranza. Jeanette e Tom sono tra i pochi che non ne subiscono il fascino. È quindi per ironia della sorte che, proprio loro, siano incaricati di pensare con un certo anticipo ai prepa-rativi di quest’anno. Anche se lei ha paura di innamorarsi e lui è un single convinto, non rimangono indifferenti l’uno all’altra. Tuttavia, frenati dal loro scetticismo sentimentale, oppongono resistenza al reciproco interesse. Saranno i loro amici, e in par-ticolare le tre Magnolie Maddie, Helen e Dana Sue a sbloccare la situazione, includendoli tra le “vittime” della magia natalizia.

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La strada per Virgin Riverdi Robyn Carr

La vita a Virgin River scorre quasi in un’altra dimensione, avvol-ta nell’abbraccio protettivo dei boschi che la circondano. Il luogo ideale per trovare rifugio e rigenerarsi, come Melinda spera. Ma che non mancherà di riservarle emozionanti sorprese.Lei ha il cuore spezzato e vuole dimenticare. Quale modo mi-gliore che cambiar vita radicalmente? Basta con la città, il traf-fico, il caos. Un piccolo e tranquillo villaggio di montagna, tra torreggianti sequoie e corsi d’acqua cristallina, ecco ciò che ci vuole. Trovato un ambulatorio in cui esercitare la professione di ostetrica, Mel si gode la serena atmosfera di Virgin River. Ma all’orizzonte appare Jack, uomo forte e tenace, che non ha paura di nulla, neppure di innamorarsi perdutamente...

Amore, menta e cioccolatodi Susan Mallery

È possibile rimediare agli errori del passato? Dimostrare a tutti di essere diventata una persona matura e affidabile, una professio-nista competente, una buona madre? Per Jesse Keyes è arrivato il momento di tornare a Seattle con il figlio Gabe di quattro anni per fargli conoscere Matt, il padre che non l’ha riconosciuto. L’uomo accoglie entrambi senza troppo entusiasmo, pur restan-do impressionato nel constatare quanto il bimbo gli somigli. Non è molto, ma Jesse ha dimostrato di essere una donna dalle risorse sorprendenti. Ricomincia così a lavorare nella pasticceria di fa-miglia, dove inventa dei biscotti alla menta e cioccolato: frizzanti e afrodisiaci, riusciranno a rievocare sulle labbra di Matt il sapo-re delle loro notti insieme?

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