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N. 05982/2010 REG.SEN. N. 01643/2009 REG.RIC. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Terza) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1643 del 2009, integrato da motivi aggiunti, proposto da: Andrea Alessandrini, Gialivio Antelmi, Mario Antigo, Onelio Aureto, Adriano Busatto, Cinzia Calesella, Moreno Carraro, Maria Chirizzi, Stefano Colusso, Paola Coticoni, Nicolino De Angelis, Luca De Benetti, Nazareno De Benetti, Sabrina De Benetti, Claudio De Marchi, Orlando De Marchi, Casimiro Dovesi, Francesca Dovesi, Luigi Durigon, Cinzia Falcon, Mario Favaro, Dario Ferretto, Mario Franchin, Maria Franco, Simone Gastaldo, Ioselito Gobbo, Stefano Guerini, Giorgio Libralato, Antonio Maglio, Patrizio Marcon, Luisa Marchioro, Adriano Masini, Giuseppe Massaccesi, Luciano Mazzolin, Lia Mel, Maria Luisa Menegaldo, Francesco Miolo, Alberto Pagin, Sole Papais, Roberta Pavin, Stefano Piu, Orazio Pizziolo, Tommaso Ernesto Pizzo, Massimiliano Povelato, Vanni Raccanello, Danillo Righetto, Massimo Saran, Alessandro Sartor, Livio Sartor, Mario Sartor, Sergio Sartor, Gabriella Sciumbarruto, Bruna Simionato, Gino Spoladore, Edino Tessarotto, Achille Tonon, Giovanni Tonon, Italo Tonon, Tiziana Tonon, Lorenzo Torresan, Giorgio Tortato, Mauro Tosatto, Daniele Trevisan, Nadia

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N. 05982/2010 REG.SEN.

N. 01643/2009 REG.RIC.

R E P U B B L I C A I T A L I A N A

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1643 del 2009, integrato da motivi aggiunti,

proposto da:

Andrea Alessandrini, Gialivio Antelmi, Mario Antigo, Onelio Aureto, Adriano

Busatto, Cinzia Calesella, Moreno Carraro, Maria Chirizzi, Stefano Colusso, Paola

Coticoni, Nicolino De Angelis, Luca De Benetti, Nazareno De Benetti, Sabrina De

Benetti, Claudio De Marchi, Orlando De Marchi, Casimiro Dovesi, Francesca

Dovesi, Luigi Durigon, Cinzia Falcon, Mario Favaro, Dario Ferretto, Mario

Franchin, Maria Franco, Simone Gastaldo, Ioselito Gobbo, Stefano Guerini,

Giorgio Libralato, Antonio Maglio, Patrizio Marcon, Luisa Marchioro, Adriano

Masini, Giuseppe Massaccesi, Luciano Mazzolin, Lia Mel, Maria Luisa Menegaldo,

Francesco Miolo, Alberto Pagin, Sole Papais, Roberta Pavin, Stefano Piu, Orazio

Pizziolo, Tommaso Ernesto Pizzo, Massimiliano Povelato, Vanni Raccanello,

Danillo Righetto, Massimo Saran, Alessandro Sartor, Livio Sartor, Mario Sartor,

Sergio Sartor, Gabriella Sciumbarruto, Bruna Simionato, Gino Spoladore, Edino

Tessarotto, Achille Tonon, Giovanni Tonon, Italo Tonon, Tiziana Tonon,

Lorenzo Torresan, Giorgio Tortato, Mauro Tosatto, Daniele Trevisan, Nadia

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Trevisan, Giampaolo Vanin, Cristina Vettor, Stefano Vignola, Pamela Zaccarin,

Franca Zanatta, rappresentati e difesi dagli avv. Gianfranco Garancini e Luisa

Padovan, con domicilio eletto presso Torquato Tasso in Venezia – Mestre, via

Verdi 5;

contro

Regione Veneto, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa

dagli avv.ti Cecilia Ligabue ed Ezio Zanon, con domicilio eletto in Venezia,

Cannaregio, 23;

Provincia di Treviso, non costituitasi in giudizio;

Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione Ambientale del Veneto, non

costituitasi in giudizio;

nei confronti di

Mestrinaro Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e

difesa dagli avv.ti Massimo Malvestito e Sebastiano Tonon, con domicilio eletto

presso lo studio di quest’ultimo in Venezia, San Marco, 3901;

per l'annullamento

A) quanto al ricorso originario:

- della deliberazione della Giunta Regionale n. 882 del 7/4/2009, pubblicata sul

B.U.R. Veneto n. 35 del 28/4/2009, relativa alla procedura di V.I.A. e

autorizzazione ai sensi degli artt. 11 e 23 dell L.R. Veneto n. 10 del 1999 e

autorizzazione integrale ambientale ai sensi del D.L.gs. n. 59/2005 e della L.R.

Veneto n. 26/2007, nonché dei relativi pareri e pronunciamenti resi dalla

Commissione V.I.A. della Regione Veneto, anche integrata ai sensi dell'art. 23, L.R.

n. 10/1999 del 16/7/2008 e 10/12/2008, ed atti connessi, con domanda di

risarcimento danni;

B) quanto ai motivi aggiunti:

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- della deliberazione della Giunta regionale n. 100 del 26 gennaio 2010, pubblicata

sul B.U.R. Veneto n. 19 del 2 marzo 2010, nonché relativo parere n. 276 del 20

gennaio 2010 reso dalla Commissione V.I.A., anche integrata ai sensi dell’art. 23

L.R. 10/99, ed atti connessi.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Veneto e della

controinteressata Mestrinaro Spa;

Visti i motivi aggiunti;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 ottobre 2010 il dott. Stefano Mielli e

uditi per le parti i difensori L. Padovan, per la parte ricorrente, C. Ligabue per la

Regione del Veneto e M. Malvestio per la Mestrinaro s.p.a.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

La controinteressata Società Mestrinaro Spa, che già opera nel settore del recupero

dei rifiuti inerti con un impianto nel Comune di Zero Branco, in data 24 novembre

2004, ha presentato alla Regione una domanda per l’avvio della procedura di

valutazione di impatto ambientale e contestuale approvazione di un progetto

finalizzato ad integrare, nell’ambito del medesimo sito, l’impianto già esistente di

lavorazione di inerti mediante frantumazione, con processi di trattamento,

recupero e inertizzazione di altri rifiuti speciali.

Con deliberazione della Giunta regionale n. 882 del 7 aprile 2009, preso atto del

parere favorevole n. 215 del 10 dicembre 2008 della commissione regionale V.I.A.

integrata, la Regione ha espresso giudizio favorevole di compatibilità ambientale,

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rilasciando l’autorizzazione integrata ambientale per l’avvio dei lavori di

realizzazione dell’impianto ed approvando, con prescrizioni, il progetto.

Tale provvedimento è impugnato dai ricorrenti, che sono un gruppo di cittadini

residenti in località Bertoneria (in un raggio di 500 metri dai confini dell’impianto),

nelle vicinanze dell’impianto (nella frazione S. Alberto con distanza dall’impianto

superiore a 500 metri), o nel Comune (cfr. la tabella di cui al doc. 1 allegato al

ricorso), per le seguenti censure:

I) violazione degli artt. 6 e 10, lett. b), della legge 7 agosto 1990, n. 241, del

principio di partecipazione, dell’art. 5, commi 7 e 8, del Dlgs. 18 febbraio 2005, n.

59, carenza di istruttoria, travisamento e mancata considerazione di fatti

presupposti, per l’omessa autonoma ripubblicazione dell’avviso di presentazione

del progetto nell’ambito della procedura di rilascio dell’autorizzazione integrata

ambientale;

II) violazione dell’art. 10 delle norme tecniche di attuazione allegate al piano

regolatore, violazione del piano di assetto del territorio adottato con deliberazione

di Giunta comunale n. 32 del 15 aprile 2009, e dell’art. 9 della legge regionale 26

marzo 1999, n. 10, per l’omessa adeguata considerazione della disciplina

urbanistica;

III) violazione del regolamento CE n. 510/2006 del Consiglio del 20 marzo 2006,

del regolamento CE n. 1107/96 della Commissione del 12 giugno 1996, dell’art. 21

del Dlgs. 18 maggio 2001, n. 228, dell’elaborato E, punto 3.3.5. della deliberazione

del Consiglio regionale n. 59 del 22 novembre 2004, del piano di gestione rifiuti

urbani relativo alla Provincia di Treviso, approvato con deliberazione del Consiglio

regionale n. 62 del 22 novembre 2004, perché non si è tenuto conto della

classificazione del territorio comunale come non idoneo alla localizzazione di

impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti, in ragione della presenza di

produzioni agricole di qualità e tipicità;

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IV) travisamento, contraddittorietà per mancanza e carenza di istruttoria,

sviamento, con riferimento: a) alla violazione dell’art. 4 del Dlgs. 18 febbraio 2005,

n. 59; b) alla violazione del decreto del Ministro dell’ambiente 29 gennaio 2007; c)

ulteriore carenza di istruttoria; d) contraddittorietà rispetto alla deliberazione della

Giunta regionale n. 1389 del 14 giugno 2005; e) carenza di istruttoria sotto altro

profilo alle problematiche legate all’incremento del traffico; f) carenza di istruttoria

sotto ulteriore profilo, relativamente alla necessità di bonifica delle aree interessate.

Si sono costituiti in giudizio la Regione Veneto e la controinteressata Mestrinaro

Spa, replicando ai motivi di ricorso e concludendo per la sua reiezione.

Relativamente ad altro ricorso r.g. n. 1420 del 2009, proposto dal Comune di Zero

Branco avverso i medesimi atti oggetto della presente controversia, con ordinanza

della Sezione n. 723 del 15 luglio 2009, è stata respinta la domanda cautelare,

accolta invece in appello, ai fini di un riesame, con ordinanza della V Sezione del

Consiglio di Stato n. 4962 del 29 settembre 2009.

In quella sede il Consiglio di Stato ha ritenuto che la Regione non abbia valutato

con sufficiente completezza tutti gli elementi relativi alla compatibilità urbanistica

del progetto, e l’esistenza di una condanna in materia ambientale a carico del legale

rappresentante della Società richiedente l’autorizzazione (elemento quest’ultimo

non riconducibile a nessuno dei motivi proposti con il ricorso).

La Regione, con deliberazione di Giunta n. 100 del 26 gennaio 2010, fatte salve le

prescrizioni e raccomandazioni di cui ai provvedimenti precedenti, ha reiterato i

provvedimenti impugnati con il ricorso originario, ha espresso un giudizio

favorevole di compatibilità ambientale, ha rilasciato l’autorizzazione integrata

ambientale per l’avvio dei lavori di realizzazione dell’impianto, e ha approvato

nuovamente il progetto previa acquisizione di un nuovo parere favorevole n. 276

del 20 gennaio 2010, della commissione di impatto ambientale.

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In tale parere è precisato che la condanna alla pena pecuniaria riportata dal legale

rappresentante della Società è ininfluente perché, priva di effetti interdettivi, non

rileva ai fini dell’iscrizione all’albo dei gestori ambientali, e che, come indicato nella

motivazione dei provvedimenti impugnati, anche a seguito di una rinnovata

istruttoria, è stata acquisita completa cognizione dell’assetto urbanistico dell’area

interessata dal progetto (cfr. pagg. 4 e 5 del parere della commissione regionale di

impatto ambientale) oggetto di specifica valutazione anche da parte del

responsabile della Direzione Regionale urbanistica che ha espresso un apposito

parere il 20 gennaio 2010.

Tale deliberazione è impugnata dai ricorrenti con motivi aggiunti per le seguenti

censure:

I) violazione degli artt. 6 e 10, lett. b), della legge 7 agosto 1990, n. 241, degli artt.

14 e 15 della legge regionale 26 marzo 1999, n. 10, dell’art. 5, commi 7 e 8 del

Dlgs. 18 febbraio 2005, n. 59, e dei principi di partecipazione, pubblicità e

trasparenza, nonché carenza di istruttoria, per l’omessa ripubblicazione dell’avviso

di deposito del progetto a seguito dell’ordinanza cautelare del Consiglio di Stato n.

4962 del 29 settembre 2009;

II) violazione dell’art. 10 delle norme tecniche di attuazione allegate al piano

regolatore, violazione del piano di assetto del territorio adottato con deliberazione

di Giunta comunale n. 32 del 15 aprile 2009, e dell’art. 9 della legge regionale 26

marzo 1999, n. 10, difetto di motivazione, travisamento ed elusione dell’ordinanza

cautelare del Consiglio di Stato n. 4962 del 29 settembre 2009, per la non adeguata

considerazione della disciplina urbanistica;

III) travisamento, contraddittorietà per mancanza o insufficienza di istruttoria e

sviamento, per la previsione di una compensazione pecuniaria in favore del

Comune nella misura di € 20 per mq per la nuova superficie edificatoria e le

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valutazioni sull’aumento del traffico veicolare, dell’inquinamento acustico, e lo

svolgimento di lavori notturni.

La Regione Veneto e la controinteressata Mestrinaro Spa hanno eccepito

l’inammissibilità dei motivi aggiunti o, in via alternativa, l’improcedibilità del

ricorso originario, chiedendo nel merito la loro reiezione.

Alla pubblica udienza del 14 ottobre 2010, in prossimità della quale tutte le parti

costituite hanno depositato memorie a sostegno delle proprie difese, la causa è

stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. La Regione e la controinteressata Società Mestrinaro Spa eccepiscono

l’inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione ed interesse, in quanto i

ricorrenti non potrebbero limitarsi ad invocare la mera vicinanza all’impianto,

dovendo invece dare prova del concreto e sicuro pregiudizio che ricevono nella

propria sfera giuridica o per il fatto che la localizzazione dell’impianto riduce il

valore economico del fondo situato nelle vicinanza, o perché le prescrizioni dettate

dall’autorità competente in ordine alle modalità di gestione dell’impianto sono

inidonee a salvaguardare la salute di chi vive nelle sue vicinanze.

Questo ordine di idee non è condivisibile.

Non è contestata la vicinanza delle abitazioni dei ricorrenti all’impianto, e gli stessi

(cfr. pagg. 46 e 47 del ricorso) lamentano, oltre a una diminuzione del valore

economico degli immobili situati nelle vicinanze dell’impianto, il possibile danno

alla salubrità dei luoghi, alla salute, all’integrità dell’ambiente.

La circostanza che la vicinanza di tale tipo di impianti produca delle esternalità

negative rispetto al territorio circostante, costituisce un dato di comune esperienza.

Nel caso all’esame lo stesso parere della commissione regionale VIA integrata n.

882 del 7 aprile 2009 (cfr. pag. 21) lo sottolinea, affermando che “non è possibile

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negare un impatto negativo dovuto alla presenza dell’attività soprattutto per le

abitazioni più prossime e situate a ridosso delle arterie stradali utilizzate dai mezzi”.

Pertanto il Collegio, condividendo l’indirizzo secondo cui, ai fini dell’impugnativa

di un provvedimento che autorizza l’avvio di un’attività potenzialmente inquinante,

il ricorrente non è tenuto a dimostrare che si è verificato un danno, in quanto tale

questione attiene al merito, ed è invece sufficiente la prospettazione di temute

ripercussioni sul territorio collocato nelle immediate vicinanze (cfr. Tar Toscana

Sez. II, 6 ottobre 2009 , n. 1505; Consiglio di Stato, Sez. V, 28 novembre 2008 , n.

5910; Consiglio di Stato, Sez. VI, 5 dicembre 2002, n. 6657; Consiglio di stato, Sez.

V, 12 ottobre 1999 , n. 1445), ritiene che le eccezioni di difetto di legittimazione ed

interesse debbano essere respinte.

1.1 La Regione e la controinteressata Società Mestrinaro Spa eccepiscono altresì

l’inammissibilità dei motivi aggiunti con cui è stata impugnata la deliberazione della

Giunta regionale n. 100 del 26 gennaio 2010, affermando che questa costituirebbe

un mero atto d’esecuzione dell’ordinanza cautelare del Consiglio di Stato, Sez. V,

n. 4962 del 29 settembre 2009, tutt’al più censurabile attraverso il rimedio di cui

all’art. 21, comma quattordicesimo, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (oggi art.

59 del cod. proc. amm.).

L’eccezione non può essere condivisa.

La deliberazione della Giunta regionale n. 100 del 26 gennaio 2010, consegue sì ad

un'ordinanza cautelare, ma di tipo propulsivo (infatti l’ordinanza cautelare,

ritenendo espressamente che non fossero stati sufficientemente valutati tutti gli

elementi relativi alla compatibilità del progetto alle esigenze ambientali e territoriali,

ha accolto la domanda cautelare “ai fini di un motivato riesame da parte

dell’Amministrazione procedente alla luce delle circostanze sopra riportate”), ed ha

una portata ulteriore rispetto a questa in quanto, sebbene posta in essere su

impulso giurisdizionale, costituisce il riesercizio di un potere amministrativo

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connotato da discrezionalità, svoltosi nell’ambito di un rinnovato iter istruttorio e

motivazionale, ed assume pertanto caratteri di autonomia rispetto ad una mera

esecuzione della pronuncia giurisdizionale.

1.3 Con un’ulteriore eccezione la controinteressata Mestrinaro Spa sostiene che il

ricorso originario sarebbe divenuto interamente improcedibile per sopravvenuta

carenza di interesse, in quanto la deliberazione n. 100 del 26 gennaio 2010,

dovrebbe intendersi come interamente sostitutiva della deliberazione n. 882 del 7

aprile 2009.

L’eccezione è fondata solo in parte, in quanto, come controdedotto dai ricorrenti

nella memoria del 27 settembre 2010, depositata in prossimità della pubblica

udienza, la deliberazione n. 100 del 26 gennaio 2010, integra e sostituisce solo in

parte, richiamandosi per il resto ad essi, i precedenti atti della procedura (a pag. 4

del parere della Commissione V.I.A. n. 276 del 20 gennaio 2010, si legge infatti che

“si è provveduto al riesame del progetto già autorizzato con DGRV. n. 882 del 7

aprile 2009, pubblicata sul BUR Veneto n. 35 del 28 aprile 2009, nei termini di

quanto richiesto dal Consiglio di Stato, riconfermando in toto quanto già per gli

altri aspetti esaminato nel parere n. 215 del 10/12/2008”; allo stesso modo, come

si legge a pag. 9, viene espresso un giudizio positivo di compatibilità ambientale

“così come già espresso dalla Commissione Regionale V.I.A. nel parere n. 215 del

10 dicembre 2008, fatto proprio dalla Giunta Regionale del Veneto con DGRV n.

882 del 7 aprile 2009, con l’integrazione dello stesso con la raccomandazione di cui

all’allegato parere, n. 276 del 20 gennaio 2010, allegato A al presente

provvedimento, fatte salve tutte le restanti prescrizioni e raccomandazioni di cui al

citato parere n. 215 del 10 dicembre 2008, già approvato con DGRV n. 882 del

7.4.2009”).

Ne discende che deve essere dichiarata la sopravvenuta carenza di interesse

limitatamente alle censure di cui al secondo motivo del ricorso originario, con il

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quale i ricorrenti lamentano l’insufficiente considerazione della compatibilità del

progetto rispetto alle esigenze ambientali e territoriali, poiché le valutazioni oggetto

di quelle censure sono state sostituite dalle nuove determinazioni contenute nella

deliberazione n. 100 del 26 gennaio 2010, sulla quale deve pertanto ritenersi

trasferito, in parte qua, l’interesse degli istanti.

2. Con il primo motivo del ricorso originario i ricorrenti lamentano la violazione

dei principi di pubblicità, trasparenza e partecipazione, perché la Regione non ha

disposto che la controinteressata procedesse alla ripubblicazione dell’avviso di

presentazione del progetto, ai fini del perfezionamento della procedura di rilascio

dell’autorizzazione integrata ambientale.

La censura va disattesa.

Come noto uno dei maggiori problemi che si è posto a seguito del recepimento

della direttiva 96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrate

dell'inquinamento, è consistito nell’assicurare in via interpretativa, in difetto di una

chiara indicazione normativa, il coordinamento tra le procedure di rilascio

dell'autorizzazione integrata ambientale e del giudizio di compatibilità ambientale, i

cui procedimenti a livello istruttorio possono intersecarsi con duplicazioni e

disfunzioni.

L’art. 10 del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152, come modificato dal Dlgs. 16 gennaio

2008, n. 4, ha disposto che “le regioni e le province autonome assicurano che, per i

progetti per i quali la valutazione d'impatto ambientale sia di loro attribuzione e

che ricadano nel campo di applicazione dell'allegato I del decreto legislativo n. 59

del 2005, la procedura per il rilascio di autorizzazione integrata ambientale sia

coordinata nell'ambito del procedimento di VIA”.

La Regione Veneto con deliberazione di Giunta n. 1998 del 22 luglio 2008, in via

amministrativa, in attuazione a tale previsione normativa statale, ha demandato al

Segretario regionale dell’ambiente di prevedere forme di coordinamento tra le due

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procedure, e questi vi ha provveduto con circolare del 31 ottobre 2008, nella quale

si afferma che per gli impianti per i quali è già stato espresso il parere di

compatibilità ambientale favorevole, nonché la relativa approvazione e per i quali

tuttavia non si è ancora conclusa la procedura di valutazione di impatto ambientale

“non si procede alla pubblicazione di nuovi avvisi in quanto la fase di pubblicità

prevista dall’art. 5 del Dlgs. 59/05 si intende già assolta nell’ambito delle procedure

di evidenza previste dalla normativa vigente in materia di Via”.

Orbene, in tal modo, come dedotto dalla parte ricorrente, si realizza una

compressione della facoltà, per il pubblico, di esprimere il proprio apporto

procedimentale rispetto alla specifica procedura dell’autorizzazione integrata

ambientale, ma ciò risulta esente da profili di illegittimità in quanto una tale

conclusione sembra trovare adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza,

e, rientrando tra le possibili varianti interpretative attribuibili alla normativa statale,

non si pone in contrasto con essa.

Infatti vi è da considerare che la previsione ha carattere transitorio, in quanto

riguarda i soli progetti per i quali si è sostanzialmente ormai conclusa, con

l’approvazione, la procedura di valutazione di impatto ambientale, che l’apporto

procedimentale degli interessati è già stato ottenuto in occasione della procedura di

valutazione di impatto ambientale, e che il contesto normativo entro cui si

inserisce la determinazione è quello prescritto dall’art. 10, comma 2, del Dlgs. 3

aprile 2006, n. 152, per il quale deve essere “in ogni caso essere disposta l'unicità

della consultazione del pubblico per le due procedure” (concetto oggi ribadito

dall’art. 29 quater, comma 3, ultimo periodo, del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152, come

introdotto dal Dlgs. 29 giugno 2010, n. 128).

La censura di cui al primo motivo deve pertanto essere respinta.

3. Con il terzo motivo del ricorso originario i ricorrenti lamentano che non si è

tenuto conto della classificazione del territorio comunale come non idoneo alla

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localizzazione di impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti urbani, in ragione

della presenza di produzioni agricole di qualità e tipicità, e quindi la violazione del

regolamento CE n. 510/2006 del Consiglio del 20 marzo 2006, del regolamento

CE n. 1107/96 della Commissione del 12 giugno 1996, dell’art. 21 del Dlgs. 18

maggio 2001, n. 228, dell’elaborato E, punto 3.3.5. della deliberazione del

Consiglio regionale n. 59 del 22 novembre 2004, del piano di gestione rifiuti urbani

relativo alla Provincia di Treviso, approvato con deliberazione del Consiglio

regionale n. 62 del 22 novembre 2004.

La censura è infondata.

La normativa invocata dalla parte ricorrente riguarda solamente i rifiuti urbani e

non i rifiuti speciali, e quindi non è applicabile alla fattispecie in esame che

concerne un impianto di recupero di rifiuti esclusivamente speciali, né della stessa

normativa sembra potersi fare un’applicazione analogica nelle more

dell’approvazione del diverso ed autonomo piano regionale di gestione dei rifiuti

speciali previsto dall’art. 10, della legge 26 marzo 1999, n. 10.

Infatti la gestione dei rifiuti urbani e di quelli speciali coinvolge problematiche

ambientali diverse, e soggiace conseguentemente a regimi e discipline

considerevolmente differenziate anche per quanto riguarda la loro pianificazione (il

principio di libera circolazione - cfr. Corte Costituzionale n. 10 del 2009 – ad

esempio, trova applicazione solo per i rifiuti speciali pericolosi o non pericolosi e

non per i rifiuti urbani, per i quali vale invece il divieto di smaltimento in territorio

extraregionale, in quanto per i rifiuti speciali “non è possibile preventivare in modo

attendibile la dimensione quantitativa e qualitativa del materiale da smaltire, cosa

che, conseguentemente, rende impossibile «individuare un ambito territoriale

ottimale che valga a garantire l'obiettivo della autosufficienza nello smaltimento»).

In difetto dei presupposti per l’applicazione analogica ad un impianto di recupero

di rifiuti speciali dei limiti e divieti di localizzazione previsti esclusivamente per gli

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impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti urbani dalla specifica pianificazione

di settore, la censura di cui al terzo motivo del ricorso originario deve pertanto

essere respinta.

4. Con il quarto motivo del ricorso originario i ricorrenti introducono in realtà

diverse censure, che devono essere considerate separatamente.

Con la prima lamentano che i provvedimenti impugnati sarebbero illegittimi

perché, relativamente all’autorizzazione integrata ambientale, non hanno di volta in

volta evidenziato l’utilizzo delle migliori tecniche disponibili per la riduzione delle

emissioni e dell’impatto sull’ambiente.

La doglianza è infondata e formulata in modo generico, posto che dalla lettura del

parere della commissione VIA n. 882 del 7 aprile 2009 (cfr. in particolare il quadro

di riferimento progettuale da pag. 24 a pag. 37) emerge che le scelte progettuali

sono motivate con la finalità di ridurre l’impatto sull’ambiente, e i ricorrenti non

assolvono all’onere, sugli stessi spettante, di fornire anche una semplice allegazione

circa il mancato utilizzo delle migliori tecniche disponibili.

La doglianza va pertanto respinta.

4.1 Con una seconda censura, nell’ambito del medesimo motivo, i ricorrenti

lamentano che non risulta recepito l’obbligo del progettista di allegare il piano di

sicurezza e di controllo, previsto dagli artt. 22, comma 2, lett. d), e 26, comma 7,

della legge regionale 21 gennaio 2000, n. 3, e a sostegno dell’affermazione

invocano la circostanza che le prescrizioni n. 11 e n. 12 impartite dal parere n. 199

del 16 luglio 2008, circa la necessità di integrare il piano di sicurezza e il

programma di controllo da predisporsi ai sensi della deliberazione di Giunta

regionale n. 1579 del 22 giugno 2001, sono state eliminate dal parere n. 215 del 10

dicembre 2010, reso in sede di rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale, con

la motivazione che il piano di sicurezza e controllo doveva intendersi già

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esaminato contestualmente all’approvazione del progetto. Ciò dimostrerebbe che

di fatto un piano conforme alle norme di legge non sarebbe mai stato esaminato.

La censura deve essere respinta.

In primo luogo deve osservarsi che il programma di controllo, ai sensi dell’art. 26

della legge regionale 21 gennaio 2000, n. 3, deve essere approvato solo nella fase di

autorizzazione all’esercizio dell’impianto (cui si riferisce l’art. 26), e non per la fase

- oggetto delle deliberazioni impugnate - di approvazione del progetto.

In secondo luogo, va considerato che la controinteressata risulta aver allegato al

progetto un apposito elaborato denominato “piano di sorveglianza e controllo”

(cfr. doc. 21 allegato al ricorso) che in sostanza (cfr. in particolare pagg. 58 e

seguenti) indica le procedure da adottarsi in caso di incidente come specificate

dalla deliberazione di Giunta 22 giugno 2001, n. 1579, recante “nuovi indirizzi in

merito al Piano di sicurezza ed ai Programmi di Controlli previsti dalla L.R. 21

gennaio 2000, n. 3”.

Peraltro, come risulta dalla lettura della citata deliberazione di Giunta 22 giugno

2001, n. 1579, il piano da allegare al progetto non ha una valenza definitiva ed

immutabile, in quanto è successivamente integrabile (nella deliberazione si

sottolinea che la norma di legge “non estende, in linea generale, agli impianti

regolati dalla legge regionale l'applicazione della normativa prevista dal D.Lgs. 17

agosto 1999, n. 334 in materia di pericoli di incidenti rilevanti” e si afferma che “il

Piano fa parte integrante del progetto dell'impianto e deve essere presentato

all'Autorità competente per l'approvazione, fermo restando che lo stesso potrà

subire opportune integrazioni in sede di rilascio del certificato di prevenzione

incendi”).

Pertanto, indipendentemente dalla questione, di per sé priva di ripercussioni di

carattere sostanziale, relativa all’espunzione, operata dal parere n. 215 del 10

dicembre 2008 con cui è stata rilasciata l’autorizzazione integrata ambientale, delle

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prescrizioni n. 11 e n. 12 del parere n. 199 del 16 luglio 2008, reso nell’ambito della

procedura di valutazione di impatto ambientale, non risultano violati gli artt. 22,

comma 2, lett. d), e 26, comma 7, della legge regionale 21 gennaio 2000, n. 3, né

risulta comprovata la sussistenza del dedotto difetto di istruttoria.

4.2 Con un’ulteriore censura i ricorrenti lamentano che sarebbe stata volutamente

esclusa dall’indicazione dei perimetri dell’impianto la parte dell’area adibita a

edificio direzionale ad uso uffici amministrativi, al fine di consentire il rispetto della

distanza di 150 metri dell’impianto dalle abitazioni più vicine.

La doglianza, di non chiara formulazione, muove da un’erronea premessa.

Infatti l’art. 32, comma 2, della legge regionale 21 gennaio 2000, n. 3, dispone che

“le distanze di cui al comma 1 vanno misurate rispetto al perimetro dell'area

destinata ad essere occupata dai rifiuti”, ed è pertanto irrilevante la distanza

dell’edificio direzionale dalle abitazioni.

4.3 I ricorrenti lamentano inoltre che non si è tenuto conto che con la

deliberazione n. 1389 del 14 giugno 2005, la Giunta regionale aveva autorizzato la

controinteressata all’utilizzo di un impianto di frantumazione, specificando che

avrebbe dovuto essere utilizzato in aree definite dal piano regolatore come

produttive, mentre gli atti impugnati ammettono l’utilizzo dell’impianto in area

agricola, e in ciò si rivelerebbe un’ingiustificata contraddittorietà tra atti della

Regione.

La censura va respinta, perché il progetto è approvato in variante agli strumenti

urbanistici, ai sensi dell’art. 208, comma 6, del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152, mediante

l’attribuzione della destinazione produttiva a tutte le aree interessate, cosicché non

sussiste la contraddittorietà denunciata.

4.4 Con la quinta della censure contenute nel quarto motivo del ricorso originario,

i ricorrenti si limitano in realtà a porre “una serie di interrogativi”, assai stringati,

relativi alla raccolta delle acque, alla valutazione acustica, al trattamento delle

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acque, alla esistenza di eventuali pronunciamenti dei vigili del fuoco circa il rischio

incendi, e alle controdeduzioni rispetto alle osservazioni presentate sul traffico.

Così formulata la doglianza è inammissibile per genericità, in quanto non consente

di ricavare gli specifici elementi in base ai quali sarebbero sussistenti i vizi dedotti

(ex pluribus cfr. T.A.R. Marche, Sez. I, 10 novembre 2006, n. 1142).

In ogni caso vi è da rilevare che si tratta di aspetti specificamente considerati nel

parere della commissione VIA n. 882 del 7 aprile 2009 (cfr. il quadro di riferimento

progettuale da pag. 24 a pag. 37) cui il Collegio non può che rinviare.

4.5 Con l’ultima delle censure i ricorrenti lamentano che non sarebbe stata

motivata la determinazione di non procedere alla bonifica delle aree.

La circostanza esula dalla presente controversia.

Infatti la deliberazione della Giunta regionale n. 882 del 7 aprile 2009 (cfr. pag. 26

del parere allegato), si è limitata a prendere atto che il Comune di Zero Branco con

deliberazione di Giunta n. 39 del 29 febbraio 2008, che non è oggetto di

impugnazione, ha ritenuto di non procedere alla bonifica del sito, e la relativa

determinazione, contrariamente a quanto dedotto, non risulta immotivata, in

quanto giustificata con riferimento agli esiti del piano di caratterizzazione, in base

ai quali è risultata non necessaria,

5. Con il primo dei motivi aggiunti i ricorrenti affermano che illegittimamente la

Regione, a seguito dell’ordinanza cautelare del Consiglio di Stato n. 4962 del 29

settembre 2009, si sarebbe limitata a rinnovare l’istruttoria senza procedere ad una

nuova pubblicazione dell’avviso di deposito del progetto, finalizzato ad acquisire

nuove osservazioni da parte del pubblico.

La doglianza va respinta, perché l’ordinanza cautelare, di tipo propulsivo, ha

ritenuto che non fossero stati sufficientemente valutati gli elementi relativi alla

compatibilità del progetto alle esigenze ambientali e territoriali, ed ha quindi

disposto un riesame, nell’ambito del medesimo procedimento, senza disporre che

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ne venisse avviato uno nuovo, e nel corso del procedimento già svolto erano già

stati assolti i necessari oneri di pubblicità.

6. Con il secondo dei motivi aggiunti i ricorrenti, ripropongono sotto diversi

aspetti, l’illegittimità dei provvedimenti impugnati per questioni attinenti l’assetto

urbanistico delle aree, l’incompatibilità del progetto rispetto alle destinazioni

urbanistiche vigenti, e la sostanziale elusione del contenuto dell’ordinanza cautelare

n. 4962 del 29 settembre 2009, del Consiglio di Stato.

In sostanza lamentano che non sarebbero stati valutati dalla Regione con

sufficiente completezza tutti gli elementi relativi alla compatibilità urbanistica del

progetto.

Sul punto il Collegio osserva quanto segue.

6.1 In fatto è necessario premettere che il progetto oggetto dei provvedimenti

consiste nell’integrazione, nell’ambito del medesimo sito, dell’impianto già

esistente di lavorazione di inerti mediante frantumazione, con processi di

trattamento, recupero e inertizzazione di altri rifiuti speciali, e prevede la

costruzione di tre nuovi edifici per 8.320 mq e di un’area pavimentata coperta da

tettoia di 1476 mq.

L’impianto già esistente ricade in una zona impropria, difforme dalla destinazione

produttiva industriale di tipo D, e il progetto riguarda anche delle porzioni

ricadenti in zona agricola E2 ed E3, oltre che, per una ridotta superficie, in area

classificata come verde privato.

Relativamente agli interventi edilizi sugli insediamenti produttivi in zona impropria

l’art. 30, terzo comma, della legge regionale 27 giugno 1985, n. 61 ha demandato ai

Comuni di individuare quegli insediamenti per i quali si renda opportuno il

trasferimento delle attività in aree idonee a destinazione industriale e artigianale e

quelli da confermare, e l’art. 126 (aggiunto dalla legge regionale 5 marzo 1987, n.

11), ha demandato ai Comuni di adottare un’apposita disciplina per disciplinare gli

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interventi edilizi ammissibili sugli insediamenti localizzati in difformità delle

destinazioni di piano.

In attuazione di tale normativa il Comune di Zero Branco con l’art. 10 delle norme

tecniche di attuazione allegate al piano regolatore ha individuato le attività

produttive da confermare, da trasferire e da bloccare.

Alcune attività, tra le quali quella svolta dalla ditta controinteressata, sono state

classificate come “da confermare” con previsioni puntuali.

Le previsioni puntuali (cfr. art. 10, n. 1 cit.) hanno consentito la realizzazione di un

nuovo edificio per una superficie coperta pari al 100% di quella esistente, e di

questa facoltà si è avvalsa l’azienda nel 2002, sottoscrivendo un atto unilaterale

d’obbligo con il quale si è impegnata a non variare la destinazione d’uso degli

immobili per un periodo di dieci anni (cfr. doc. 15 allegato al ricorso).

6.2 I ricorrenti, con le censure proposte, lamentano che il progetto è in contrasto

con il piano regolatore e che la Regione non avrebbe tenuto sufficientemente

conto degli elementi relativi alla compatibilità urbanistica del progetto.

Tali doglianze non sono condivisibili.

La circostanza che il progetto non sia compatibile con lo strumento urbanistico

vigente (oltre che non pienamente coerente con le previsioni del P.A.T. – piano di

assetto del territorio – in fase di adozione, il quale ricomprende il sito entro

un’ampia area qualificata come idonea ad interventi diretti alla riqualificazione e

riconversione, nel cui ambito vi sono individuate un’estesa area di urbanizzazione

consolidata con presenza di “attività economiche non integrabili con la residenza”,

ed un elemento di degrado: cfr. doc. 19 allegato al ricorso), non può essere

invocata al fine di sostenere l’illegittimità dei provvedimenti impugnati, in quanto il

legislatore statale con l’art. 208, comma 6, del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152 (che sul

punto ripete quanto già previsto dall’art. 27, comma 5, del Dlgs. 5 febbraio 1997,

n. 22) e il legislatore regionale (cfr. art. 23, comma 2, della legge regionale 26

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marzo 1999, n. 10) hanno previsto che l’approvazione dei progetti di impianti per

il recupero dei rifiuti “costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico

e comporta la dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori”,

e quindi il possibile contrasto è già risolto in via preventiva dal legislatore.

6.3 Neppure è condivisibile la doglianza che non sarebbero stati valutati dalla

Regione con sufficiente completezza tutti gli elementi relativi alla compatibilità

urbanistica del progetto.

L’assunto, ad un accurato esame della documentazione versata in atti, appare privo

di riscontri, in quanto già la deliberazione n. 882 del 7 aprile 2009, alle pagine da 7

a 22, 41 e 42 dell’allegato parere della commissione di valutazione di impatto

ambientale, risulta aver esaminato gli strumenti di programmazione urbanistica,

paesaggistico – territoriale e ambientale vigenti sul sito, e ha espressamente

riconosciuto la necessità di estendere sull’intera area di intervento la destinazione

urbanistica di tipo produttivo applicando proprio l’art. 208, comma 6, del Dlgs. 3

aprile 2006, n. 152; la deliberazione n. 100 del 26 gennaio 2010 (cfr. pag. 4),

adottata a seguito di un riesame sollecitato in sede cautelare e formulata previa

acquisizione di un parere della Direzione regionale urbanistica, ha confermato la

mancanza di elementi di incertezza o fraintendimenti sulla destinazione delle aree,

sottolineando che lo stesso strumento urbanistico vigente ha classificato l’impianto

come “da confermare” con le previsioni puntuali di cui all’art. 10 delle norme

tecniche di attuazione, in base alle quali è stato consentito il raddoppio della

superficie coperta preesistente.

In tale contesto, contrariamente a quanto affermano i ricorrenti nelle proprie

difese, la circostanza che, in base all’art. 10 delle norme tecniche di attuazione, una

volta realizzata la nuova superficie coperta ammessa, non sono consentite ulteriori

nuove edificazioni, non ha carattere ostativo, in quanto anche tale previsione,

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facendo parte integrante del piano regolatore, può ben essere oggetto di variazione

per effetto dell’approvazione del progetto.

Peraltro emerge anche che vi è stata consapevolezza da parte della Regione della

necessità di una capacità edificatoria superiore a quella ammessa dal piano

regolatore, attestata dalla prescrizione n. 19 del parere n. 215 del 10 dicembre

2008, approvato con deliberazione n. 882 del 7 aprile 2009, con cui è stata imposta

una specifica compensazione economica per la possibilità edificatoria aggiuntiva, e

dalla documentazione versata in atti non risulta che il giudizio di compatibilità del

progetto con l’assetto del territorio, nel caso di specie possa dirsi inficiato da

elementi di irragionevolezza, illogicità o errori di fatto (si tratta di un impianto già

esistente, giudicato urbanisticamente compatibile in passato dal Comune, servito

da infrastrutture viarie, confinante con una zona agricola e per il quale risultano

rispettate le distanze dalle abitazioni legislativamente prefissate).

In tale contesto il giudizio di compatibilità urbanistica costituisce una questione

che attiene al merito delle valutazioni discrezionali proprie dell’Amministrazione,

ed il legislatore statale con l’art. 208, comma 6, del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152, ha

preventivamente dettato la regola di composizione del possibile dissenso tra la

Regione e il Comune, facendo prevalere la volontà dell’ente di maggiori

dimensioni, secondo un paradigma utilizzato dal legislatore ogniqualvolta vengono

in gioco interessi di carattere sovracomunale (si pensi, ad esempio, alla procedura

prevista dall’art. 81 del Dlgs. 24 luglio 1977, n. 616; alla realizzazione delle

infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici di cui al Dlgs. 20 agosto

2002, n. 190; all’attuale disciplina di soluzione dei dissensi espressi nell’ambito della

conferenza di servizi di cui agli artt. 14 e ss. della legge 7 agosto 1990, n. 241, ecc.).

Pertanto le censure incentrate sui profili di carattere urbanistico devono essere

respinte.

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7. Con il terzo dei motivi aggiunti i ricorrenti contestano, perché a proprio giudizio

immotivato, il contenuto della prescrizione n. 19, con la quale è stato imposto il

versamento della somma di € 20 per ogni mq di nuova superficie edificata,

affermando che tale previsione sarebbe inidonea a compensare lo squilibrio

urbanistico provocato dall’ampliamento.

La doglianza, in mancanza di contestazioni puntuali, si rivela priva di fondamento,

perché detta somma non è imposta per compensare un generico squilibrio

urbanistico, ma costituisce la quota di oneri di concessione spettanti al Comune ai

sensi dell’art. 24, comma 3, della legge regionale 21 gennaio 2000, n. 3, in base al

quale “per la realizzazione degli impianti di gestione dei rifiuti gli oneri di

concessione sono dovuti nella misura prevista per gli impianti industriali in

relazione alla zona di ubicazione. Ai fini del computo degli oneri di urbanizzazione

le zone F sono assimilate alle zone D”.

Con un’ulteriore censura, nell’ambito del medesimo motivo, i ricorrenti lamentano

il difetto di presupposti, la contraddittorietà, e la mancanza di istruttoria, perché la

commissione VIA non avrebbe risposto alle osservazioni del Comune relative alle

problematiche dell’aumento del traffico veicolare, dell’inquinamento acustico, e

dello svolgimento di lavori notturni.

Le doglianze devono essere respinte.

Infatti come emerge dalla lettura del parere della Commissione VIA n. 276 del 20

gennaio 2010, allegato alla deliberazione n. 100 del 26 gennaio 2010, e in

particolare dalle pagine da 5 a 7, gli elementi di criticità oggetto delle osservazioni

del Comune sono stati considerati, osservando:

- quanto al traffico veicolare, che la gran parte del tragitto si svolge su strade ad

intensa circolazione (strade regionali e provinciali), per la quale l’aggravio di

traffico, rispetto ai volumi ordinari, non è apprezzabile, mentre per il tratto più

prossimo è stata formulata la prescrizione n. 20 , in base alla quale è stato disposto

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che “in considerazione dell’aumento del traffico di mezzi pesanti da e verso

l’impianto, venga adeguata la viabilità di avvicinamento. Tali fasi di cantiere e le

connotazioni di dettaglio della medesima dovranno essere concordate con

l’amministrazione comunale”, “sulla base della convenzione sottoscritta tra il

Comune di Zero Branco e la Ditta Mestrinaro Spa in data 29.12.2008”;

- quanto alle emissioni di rumori, previa un’analisi della classificazione acustica del

territorio, che sono “rispettati tutti i limiti di zonizzazione: le attività avverranno di

norma al coperto. Il frantoio ha una posizione studiata con la previsione di

impatto acustico”, e “i macchinari per la movimentazione dei rifiuti (ruspa,

muletto) saranno dotati di silenziatori ad elevata efficienza”;

- quanto alle lavorazioni notturne effettuate in passato, che le stesse non sono in

alcun modo riconducibili né correlabili al progetto sottoposto al progetto

assoggettato a valutazione di impatto ambientale dell’impianto di trattamento e

recupero rifiuti, ma ai lavori di sistemazione delle piste dell’aeroporto di Treviso.

In definitiva pertanto, il ricorso originario ed i motivi aggiunti, unitamente alla

domanda di risarcimento danni di cui non ricorrono i presupposti, devono essere

respinti.

Le peculiarità della controversia e la complessità e relativa novità di alcune delle

questioni trattate giustificano l’integrale compensazione delle spese di giudizio tra

le parti.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, sulla

domanda di risarcimento danni e relativi motivi aggiunti, li respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 14 ottobre 2010 con

l'intervento dei magistrati:

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Giuseppe Di Nunzio, Presidente

Marco Buricelli, Consigliere

Stefano Mielli, Primo Referendario, Estensore

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 05/11/2010

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)