“QUESTA È LA DIMORA DI DIO CON GLI UOMINI” Parole e … · piano superiore una grande sala con...

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Il giardino dei simboli Liturgia,teologia e arte nella cultura del Cristianesimo Primo Anno: Mistero di Cristo, mistero dell’uomo Luoghi, spazi, oggetti per celebrare il Mistero La chiesa: un giardino di simboli “QUESTA È LA DIMORA DI DIO CON GLI UOMINI” Parole e segni: alla scuola della Liturgia Trento, Vigilianum, venerdì 10 febbraio 2017

Transcript of “QUESTA È LA DIMORA DI DIO CON GLI UOMINI” Parole e … · piano superiore una grande sala con...

Il giardino dei simboli

Liturgia,teologia e arte nella cultura del Cristianesimo

Primo Anno: Mistero di Cristo, mistero dell’uomo

Luoghi, spazi, oggetti per celebrare il Mistero

La chiesa: un giardino di simboli

“QUESTA È LA DIMORA

DI DIO CON GLI UOMINI”

Parole e segni: alla scuola della Liturgia

Trento, Vigilianum, venerdì 10 febbraio 2017

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Figlio Unigenito e Verbo di Dio,

Tu l’Immortale

che per la nostra salvezza

hai preso carne

dalla santa Madre di Dio.

Tu che senza perdere la tua Divinità,

Ti sei fatto Uomo per noi.

Cristo, nostro Dio,

che messo in Croce,

con la tua morte hai vinto la morte,

Tu, che nella Santa Trinità,

sei glorificato con il Padre e lo Spirito,

Pietà di noi e salvaci,

o Cristo nostro Dio.

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“Benedetto il Signore, il Dio dei nostri padri, a Lui l’onore e la gloria nei secoli.

Amen”.

“Gesù, dando un forte grido, spirò. Il velo del tempio si squarciò in due, da cima a

fondo. Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel

modo, disse: ‘Davvero quest'uomo era Figlio di Dio!’” (Mc 15,37-39).

Da quel momento il tempio di Gerusalemme, splendida opera delle mani dell’uomo,

rimase deserto; vero unico Tempio è il Signore Gesù Cristo, Verbo di Dio fatto

Uomo. In Lui e “mediante” Lui possiamo innalzare il culto “in spirito e verità” (cfr.

Gv 4,23) e giungere al Padre

Al fine di costituire in Lui, “Capo del Corpo che è la Chiesa” (cfr. Col 1,18), il

santuario per la lode al Padre, fin dai tempi più remoti sorge, tra le case degli uomini

la “domus Ecclesiae”, la “casa della Chiesa”.

dalla domus

al domus:

L’unico edificio ereditato dalla

storia di questo periodo che

faccia riferimento ad un luogo

di culto è la casa dei cristiani

di Dura Europos antecedente

al 256

domus Ecclesiae

1 Ingresso alla casa

2 Peristilium – cortile

3 Porticato

4 Aula per la sinassi

5 Luogo di servizio?

6 Sala delle agapi

7 Battistero

8 Scala per saliredomus Ecclesiae

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Insegna il santo apostolo Pietro:

“Avvicinandovi a Lui, pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti

a Dio, quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale, per un

sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo”

(2 Pt 2,4-5).

Quando si parla di “Chiesa”, dovrebbe essere evidente per tutti, che si tratta delle

“persone”, dei discepoli di Cristo e del suo Vangelo; cioè del “Corpo” di Lui “Capo”

e Primogenito.

La “Chiesa” di Cristo, fin dalle sue origini ha cercato “casa” per celebrare

“l’incontro”. Il nome antico del luogo del “raduno” è carico di bellezza: “domus

Ecclesiae”, “casa della Chiesa”. appena possibile la Sposa santa del Signore ha

innalzato costruzioni adeguate. Edifici che non semplicemente “funzionali al riparo”,

ma “parlanti” nella bellezza e nel forte linguaggio dei simboli.

La stessa pianta della “casa della Chiesa”, a volte cruciforme, indica e rivela la

volontà di “plasmare” la Chiesa fatta di “pietre vive”.

La navata si incontra con i bracci del transetto, che rappresentano quelli della Croce e

il presbiterio con il coro indica il Capo di Cristo Crocifisso. Anche l’“orientamento”

della chiesa edifico è realtà parlante. Chi entra, si volge e cammina verso oriente: “ci

visiterà un sole che sorge (anatolê) dall’alto” (Lc 1,78b).

È cammino dal buio, il tramonto, alla luce, l’Oriente; dalla morte alla Vita; dall’uomo

a Dio; dalla città terrena in cui pellegriniamo alla Gerusalemme del cielo “che è

nostra Madre” (Prefazio di Tutti i Santi).

Non di rado, infatti, il cammino della navata è in salita: “Chi salirà il monte del

Signore?” (Sal 23,3) e il coro, l’abside, risulta leggermente “disassato” verso sinistra

splendido riferimento al Signore Crocifisso che: “Chinato il capo rese lo Spirito” (Gv

19,30).

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Dal Vangelo secondo Marco

(14,12-16)

« Il primo giorno degli Azzimi,

quando si immolava la Pasqua, i

suoi discepoli gli dissero: «Dove

vuoi che andiamo a preparare

perché tu possa mangiare la

Pasqua?». Allora mandò due dei

suoi discepoli dicendo loro:

«Andate in città e vi verrà incontro

un uomo con una brocca d'acqua;

seguitelo e là dove entrerà dite al

padrone di casa: Il Maestro dice:

Dov'è la mia stanza, perché io vi

possa mangiare la Pasqua con i

miei discepoli? Egli vi mostrerà al

piano superiore una grande sala

con i tappeti, già pronta; là

preparate per noi». I discepoli

andarono e, entrati in città,

trovarono come aveva detto loro e

prepararono per la Pasqua ».

Tutto ebbe origine la sera prima del suo patire, quando il Signore Gesù, volle

celebrare la Pasqua con i suoi discepoli. Ecco il Racconto dell’evangelista Marco:

12Il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: «Dove

vuoi che andiamo a preparare perché tu possa mangiare la Pasqua?». 13Allora mandò due dei suoi

discepoli dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d'acqua;

seguitelo 14e là dove entrerà dite al padrone di casa: Il Maestro dice: Dov'è la mia stanza, perché

io vi possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli? 15Egli vi mostrerà al piano superiore una

grande sala con i tappeti, gia pronta; là preparate per noi». 16I discepoli andarono e, entrati in

città, trovarono come aveva detto loro e prepararono per la Pasqua. (Mc 14,12-16)

I discepoli obbedirono e, secondo la parola del Maestro, trovarono: “… al piano

superiore una grande sala con i tappeti, già pronta…”. Un luogo accogliente, bello,

adorno e non “anonimo” idoneo per la celebrazione della Pasqua.

Dagli Atti degli Apostoli (20,7-12)

« Il primo giorno della settimana ci

eravamo riuniti a spezzare il pane e Paolo

conversava con loro; e poiché doveva

partire il giorno dopo, prolungò la

conversazione fino a mezzanotte.

C`era un buon numero di lampade nella

stanza al piano superiore, dove eravamo

riuniti; un ragazzo chiamato Eutico, che

stava seduto sulla finestra, fu preso da un

sonno profondo mentre Paolo continuava

a conversare e, sopraffatto dal sonno,

cadde dal terzo piano e venne raccolto

morto.

Paolo allora scese giù, si gettò su di lui,

lo abbracciò e disse: «Non vi turbate; è

ancora in vita!». Poi risalì, spezzò il pane

e ne mangiò e dopo aver parlato ancora

molto fino all`alba, partì. Intanto avevano

ricondotto il ragazzo vivo, e si sentirono

molto consolati ».

Anche il libro degli Atti, descrive, pur brevemente, il “luogo” dell’Assemblea,

quando a Troade, ormai nell’imminenza del congedo dalla Comunità da lui fondata e

guidata, la sera “del primo giorno della settimana”, l’apostolo Paolo “innalza”

l’Eucaristia. Anche in questo caso è offerta la descrizione del luogo della

celebrazione:

7Il primo giorno della settimana ci eravamo riuniti a spezzare il pane e Paolo conversava con loro;

e poiché doveva partire il giorno dopo, prolungò la conversazione fino a mezzanotte. 8C'era un

buon numero di lampade nella stanza al piano superiore, dove eravamo riuniti; 9un ragazzo

chiamato Eutico, che stava seduto sulla finestra, fu preso da un sonno profondo mentre Paolo

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continuava a conversare e, sopraffatto dal sonno, cadde dal terzo piano e venne raccolto morto. 10Paolo allora scese giù, si gettò su di lui, lo abbracciò e disse: «Non vi turbate; è ancora in vita!». 11Poi risalì, spezzò il pane e ne mangiò e dopo aver parlato ancora molto fino all'alba, partì. 12Intanto avevano ricondotto il ragazzo vivo, e si sentirono molto consolati.(At 20,7-12).

Da allora, nei secoli, ma senza indugio riscopriamo dunque il tesoro prezioso che da

sempre sta davanti ai nostri occhi, dono che ci è dato di contemplare ed usare ogni

volta lo vogliamo e che noi distratti per l’abitudine ignoriamo. Riscopriamo le nostre

chiese per lasciarcene plasmare ed educare alla vita buona dell’ Evangelo.

Aula Dei,

quae est templum,

ubi scientia fit sapientia,

cultura humana cultus divinus,

thesis academica oratio. Aula Dei,

quae est templum,

ubi scientia fit sapientia,

cultura humana cultus divinus,

thesis academica oratio. (s. Germano di Costantinopoli)

Ecco il luogo della “celebrazione”, “dell’incontro” e della “frequentazione” del

Signore con e nella assemblea dei fratelli: “Casa di Dio è la chiesa dove la scienza

diviene sapienza, la conoscenza umana culto divino, il discorso accademico

preghiera”.

“La Chiesa è tempio di Dio, spazio sacro, casa di preghiera, convocazione di popolo,

corpo di Cristo… E’ il cielo sulla terra, dove Dio trascendente abita come a casa sua

e vi passeggia, ma è anche impronta realizzata (antitypos) della crocifissione, della

tomba e della risurrezione... La Chiesa è la casa di Dio in cui si celebra il sacrificio

mistico vivificante, nello stesso tempo parte più intima del santuario e grotta santa.

Dentro di essa si trovano infatti il sepolcro e la mensa, nutrimenti per l’anima e

garanzie di vita. In essa infine si trovano quelle vere e proprie perle preziose che

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sono i dogmi divini dell’insegnamento offerto direttamente dal Signore ai suoi

discepoli” (s. Germano di Costantinopoli, PG 98, coll. 384B-385A).

Ora, quasi in punta di piedi e con attenzione accostiamoci alla porta per varcarla ed

entare.

AULA

DUOMO

“ Quanto terribile questo luogo!

Questa è proprio la casa di Dio,

questa è la porta del cielo ”.

(Gen 28, 17) “Quanto terribile questo luogo!

Questa è proprio la casa di Dio,

questa è la porta del cielo” (Gen 28,17).

Varcare una soglia è sempre attuare una scelta, prendere una decisione; è passare da

un luogo ad un altro, da una realtà ad una realtà nuova.

Varcare la porta di una chiesa significa compiere un atto decisivo: dallo spazio

“profano”, pro= attorno; fanum=tempio: tagliare, separare, al uno spazio “dedicato”,

cioè “riservato”, “consacrato”.

Non entriamo in uno spazio “qualsiasi”, ma ci inoltriamo in un’altra dimensione, in

una realtà più grande che ci sorpassa, nell’Armonia, nello Splendore, nella

Perfezione, nell’Eternità, in Dio.

“ In verità vi dico…

“In verità vi dico: …

… Io sono la porta delle pecore” (Gv 10,7) … Io sono la porta delle pecore” (Gv 10,7)

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“ Io sono la vite vera … ”.(Gv 15,1)

“Io sono la vite vera” (Gv 15,1)

Dobbiamo con dolore sottolineare che noi, cristiani dell’Occidente, ci ricordiamo

della “Porta” solo ogni 25 anni nella ricorrenza del giubileo.

Allora sì, per un anno parliamo di “porta santa” di “porta giubilare”. Ma ogni

giorno, di ogni anno, varchiamo la soglia e le porte delle nostre chiese, ed esse sono

“segni”, luoghi, parlanti con la loro immediata simbologia: “Io sono la porta delle

pecore…; Io sono la vite vera”

“ Ecco lo sposo! Andategli incontro! ”.

(Mt 25,6) “Ecco lo sposo! Andategli incontro!” (Mt 25,6)

Ingresso festale del “Convito”, anticipo e profezia delle Nozze eterne, richiamo alla

vigilante attesa dello Sposo. Sposo che nell’ora inattesa viene e prende, chi è pronto,

con sé. “Ecco lo Sposo! Andategli incontro”.

“ Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me ”.

(Gv 7,37-38) “Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me” (Gv 7,37-38)

Non casualmente, varcando “la Porta” che è Cristo, noi che in lui fummo immersi ed

innestati per il santo Battesimo, troviamo come segno primo l’acquasantiera, cioè la

viva memoria del Fonte, che purificandoci ci accoglie e dolce ricordo ci congeda.

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Entrati in chiesa, e fatta memoria del Fonte che ci ha ricreati, percorriamo un

cammino che la storia dell’arte e della liturgia definiscono: “via sacra”, il tratto che

dall’ingresso conduce all’Altare.

A volte, come già abbiamo sottolineato il percorso della navata appare in salita, non

si tratta di errori di calcolo o di mancanza della livella, il motivo è teologico. Infatti:

“Chi salirà il monte del Signore?” (Sal 23,3)

“ Io sono la via, la verità e la vita ”.

(Gv 14, 6)

“Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6)

Come onda fluente la “navata” guida all’altare. Gli antichi lo hanno trasmesso in

lapidei tappeti che con cerchi e spirali appaiono come un fiume che conduce al porto

desiderato ed atteso, verso Colui che sempre Presente tra i suoi è: “…la Via, la Verità

e la Vita”.

“ Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me ”.

(Gv 14, 6) “Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Gv 14,6)

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L’unica Guida che, sola e sicura, conduce al Padre.

Ora prima di proseguire il cammino sostiamo a fare memoria del fonte del santo

Battesimo, il grembo virginale della santa Chiesa dove tutti noi siamo rinati, ricreati

nella filiazione divina.

Un tempo appariva nella sua importanza anche come luogo definito come costruzione

a se stante.

“ Qui nasce per il cielo un popolo di alto lignaggio,

cui lo Spirito dà vita nelle acque da lui fecondate.

Con virgineo parto,

la Madre Chiesa genera in queste acque

i figli che concepisce per virtù dello Spirito.

Sperate nel Regno dei Cieli,

voi che rinascete in questo fonte

alla beatitudine non può aspirare

chi nasce una sola volta.

Qui è la sorgente della vita, che irriga tutta la terra,

scaturendo dalla ferita del Cristo.

Immergiti, peccatore,

per purificarti nelle sacre onde;

l’acqua, in cui scendi vecchio,

ti restituirà a nuova giovinezza.

Se vuoi essere puro, lavati in queste acque,

quale che sia la tua colpa, originale o personale.

Nulla separa più i rinati: un solo fonte

li unisce, un solo Spirito, una sola fede.

Nessuno si spaventi

del numero o del peso delle sue colpe:

sarà santo chi nascerà da queste onde ”.

(Iscrizione sul Battistero del Laterano)

“Qui nasce per il cielo un popolo di alto lignaggio,

cui lo Spirito dà vita nelle acque da lui fecondate.

Con virgineo parto, la Madre Chiesa genera in queste acque

i figli che concepisce per virtù dello Spirito.

Sperate nel Regno dei Cieli, voi che rinascete in questo fonte

alla beatitudine non può aspirare chi nasce una sola volta.

Qui è la sorgente della vita, che irriga tutta la terra,

scaturendo dalla ferita del Cristo.

Immergiti, peccatore, per purificarti nelle sacre onde;

l’acqua, in cui scendi vecchio, ti restituirà a nuova giovinezza.

Se vuoi essere puro, lavati in queste acque,

quale che sia la tua colpa, originale o personale.

Nulla separa più i rinati: un solo fonte

li unisce, un solo Spirito, una sola fede.

Nessuno si spaventi del numero o del peso delle sue colpe:

sarà santo chi nascerà da queste onde”.

(Iscrizione sul Battistero del Laterano)

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“ Di qui scaturisce la sorgente

che emana dal fianco di Cristo

e chi ne attinge entra nella vita eterna.

Di qui la lampada della fede

irradia il santo lume

che dissipa le tenebre della mente

e svela ai rinati nel Battesimo

le realtà celesti;

in questo fonte i credenti

sono immersi nella morte di Cristo,

per risorgere con lui a vita nuova ”.

(Preghiera di benedizione del Fonte)

“Di qui scaturisce la sorgente che emana dal fianco di Cristo

e chi ne attinge entra nella vita eterna.

Di qui la lampada della fede irradia il santo lume

che dissipa le tenebre della mente

e svela ai rinati nel Battesimo le realtà celesti:

in questo fonte i credenti sono immersi nella morte di Cristo

per risorgere con lui a vita nuova” (Preghiera di benedizione del Fonte).

Segno del sepolcro glorioso del Risorto, nel quale sono immersi nella morte per

riemergere nella resurrezione i figli, redenti nel Figlio; Grembo virgineo e fecondo

della Madre Chiesa, è il Fonte. Non di rado ha la forma preziosa dei vasi sacri che

custodiscono le Specie eucaristiche, poiché il Fonte genera e custodisce le membra

del Corpo di Cristo. Al Fonte santo sempre dovremo recarci nel rendimento di grazie

entrando nella nostra chiesa.

Riprendendo il nostro cammino ricordiamo che nelle antiche comunità cristiane sia

dell’Oriente che dell’Occidente, la chiesa edificio era luogo ricco di simboli e di

icone. La navata segno del mondo che si avvia verso il paradiso, rappresentato

dall’area presbiterale, con la sede del vescovo, e al centro, la duplice mensa, l’altare

della Parola e del sacrificio e verso l’abside con le finestre pronte a accogliere la luce

“dell’Oriente”, “del Sole che sorge”.

“ Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo,

verrà allo stesso modo

in cui l’avete visto andare in cielo ”.

(At 1,11) “Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo,

verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo” (At 1,11)

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Il fondo della navata, dunque, racchiuso dall’abside, rivolta ad oriente, mostrava in

alto, il Cristo Pantocratore, nella Gloria, con il Libro della Vita, il Verbo di Dio

Incarnato, presente alla sua Chiesa orante, quasi ad accogliere le preghiere che come

Unico Mediatore offre al Padre invisibile.

Sotto il Signore, si raffigurava Maria, la Madre di Dio, l’Orante, le mani alzate verso

il Figlio, figura della Chiesa orante, nella perenne intercessione. Intorno al Signore,

gli angeli adoranti, e con Maria gli Apostoli, i Martiri ed i Vescovi della Chiesa

locale, i “santi gerarchi”.

Talvolta nell’abside si apriva una stretta finestrella, in modo che la luce del sole

sorgente -simbolo di Cristo- cadesse al mattino sull’altare. Si voleva così figurare la

Luce divina, Cristo, che dal Seno del Padre irrompeva come divina Presenza

sull’altare per i fedeli adoranti.

Davanti all’abside, imponente, si ergeva l’“arco trionfale”. Ivi in un medaglione

ricco di decorazione, troneggiava la figura di Cristo, il Risorto, nel segno della sua

Venuta ultima, secondo At 1,11:

“Questo Gesù, assunto (dal Padre) via da voi verso il Cielo, così verrà, nel modo in

cui lo contemplaste procedente verso il cielo”. E’ l’Ascensione: preparazione e figura

medesima dell’ultima Venuta.

Il popolo conosceva bene il significato simbolico di tutte queste “icone”. La sua

celebrazione dunque si svolgeva come avvolta dall’universo simbolico e vivo della

divina Rivelazione, a cui era chiamato ed in cui era assunto; circondato dunque dagli

angeli e dai santi, gratificato dalla presenza della Madre di Dio, soprattutto del

Signore Risorto da cui si riceve lo Spirito del Padre.

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“ Nella Liturgia terrena noi partecipiamo per anticipazione alla Liturgia celeste che è

celebrata nella santa città di Gerusalemme, verso la quale tendiamo come pellegrini,

dove il Cristo siede alla Destra di Dio quale ministro del santuario e del vero tabernacolo;

insieme con tutte le schiere delle milizie celesti cantiamo al Signore l’inno di gloria;

ricordando con venerazione i Santi, speriamo di aver parte con essi; aspettiamo come

Salvatore il Signore nostro Gesù Cristo, fino a quando egli comparirà, Egli che è la nostra

vita, e noi saremo manifestati con lui nella gloria ”. (SC 8)

Insegna la fede della Chiesa espressa nel Concilio Ecumenico Vaticano II:

“Nella liturgia terrena noi partecipiamo per anticipazione alla liturgia celeste che

viene celebrata nella santa città di Gerusalemme, verso la quale tendiamo come

pellegrini, dove il Cristo siede alla destra di Dio quale ministro del santuario e del

vero tabernacolo; insieme con tutte le schiere delle milizie celesti cantiamo al

Signore l'inno di gloria; ricordando con venerazione i santi, speriamo di aver parte

con essi; aspettiamo come Salvatore il Signore nostro Gesù Cristo, fino a quando

egli comparirà, egli che è la nostra vita, e noi saremo manifestati con lui nella

gloria” (SC 8).

“ Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono.

Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi,

anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri.

Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi

facciate come io ho fatto a voi ”.

(Gv 13, 13-14)

“Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono.

Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi

anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri.

Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi”

(Gv 13,13-14)

“ Carissimi, conviene procedere d’accordo con la mente del Vescovo, come già fate.

I vostri sacerdoti ben reputati e degni di Dio sono molto uniti al Vescovo come le corde

alla cetra. Per questo dalla vostra unità e dal vostro amore concorde si canta a Gesù

Cristo. E ciascuno diventi un coro, affinché nell’armonia del vostro accordo prendendo

nell’unità il tono di Dio, cantiate a una voce sola per Gesù Cristo al Padre, perché vi ascolti

e vi riconosca, per le buone opere, che siete le membra di Gesù Cristo.

E’ necessario per voi trovarvi nella inseparabile unità per essere sempre partecipi di Dio ”.

(Lettera di Sant’Ignazio, Agli Efesini IV,1-2) “Carissimi, conviene procedere d’accordo con la mente del Vescovo, come già fate.

I vostri sacerdoti ben reputati e degni di Dio sono molto uniti al Vescovo come le corde alla cetra.

Per questo dalla vostra unità e dal vostro amore concorde si canta a Gesù Cristo. E ciascuno

diventi un coro, affinché nell’armonia del vostro accordo prendendo nell’unità il tono di Dio,

cantiate a una voce sola per Gesù Cristo al Padre, perché vi ascolti e vi riconosca, per le buone

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opere, che siete le membra di Gesù Cristo. E’ necessario per voi trovarvi nella inseparabile unità

per essere sempre partecipi di Dio ” (s.Ignazio, Agli Efesini IV,1-2).

La Chiesa riunita per celebrare si manifesta come Comunità battesimale, nuziale,

cattolica e apostolica. Assemblea sacerdotale gerarchicamente costituita. In essa non

vi sono “dignità” particolari, secondo l’uso comune del vocabolo, ma semmai

“funzioni” diverse nella grande comune dignità che è il dono del Battesimo.

“ Per servire e non per essere servito ”. (Mc 10,45)

“per servire e non per essere servito”

Il popolo santo, popolo sacerdotale, quando si raduna nella pienezza del culto, è

chiamato a porsi sotto la presidenza del Vescovo o del sacerdote che lo rappresenta e

che agisce nella persona di Cristo. Così, visibilmente, appare il mistero della Chiesa,

Corpo di Cristo, nella sua composizione di Capo e Membra.

Colui che presiede, cioè che “siede davanti”, secondo l’etimologia, non è il

“dominatore” dei suoi fratelli, ma per il sacramento dell’Ordine -agendo nella

persona di Cristo Capo- è il “servo” della comunità, immagine e presenza di Colui

che è venuto “per servire e non per essere servito”. E la Chiesa d’Oriente rende

questo visibile plasticamente, collocando l’icona di Cristo Sommo Sacerdote sulla

Cattedra vescovile.

Ora, chi sta davanti e guida è solo il Signore Gesù (Gv 10,4), il ministro, per il

sacramento ricevuto ne diviene segno e immagine.

Nelle nostre chiese un elemento “dell’arredo”, che è posto ben in vista è appunto la

sede presidenziale, qui si svolgono i riti di introduzione, qui il presidente guida la

preghiera, da qui presiede la liturgia della Parola e può tenere l’omelia.

La sede non è, dunque, luogo di “potere” ma segno amico della “Presenza” e della

carità di Cristo che raduna e vivifica il suo gregge sotto la guida di coloro che Lui ha

scelto e costituito pastori.

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Vis Evangelii

Demones fugat

Atria coeli pandet.

Virtutes confert

Reparatque Salutem

(Ambone della Cattedrale di Bari)

Vis Evangelii

Demones fugat

Atria coeli pandet

Virtutes confert

Reparatque Salutem

(Ambone Cattedrale di Bari)

La Resurrezione di Cristo è il centro vitale della nostra fede (1 Cor 15,1-8.14-20) ed è

causa e motivo di ogni nostra gioia e celebrazione. Nello spazio sacro del tempio che

raccoglie la Chiesa, sta un luogo che è “icona” stabile e permanente della

Resurrezione del Signore: l’Ambone della “sua” Parola.

Il termine ambone, dal greco anabáinô, salire, indica il luogo elevato e stabile della

Parola, vera mensa perenne dalla quale, come dall’altare, Dio nutre e sostenta il suo

popolo. L’Ambone è posto tra altare e assemblea, nello spazio simbolico che indica il

giardino paradisiaco e quello della tomba vuota. Le antiche chiese ne conservano

esempi di rara bellezza, testimoni accorati della fede e del gusto dei padri: in modo

nefasto, infatti, nella storia l’ambone venne sostituito dal pulpito e, tristemente, dal

leggio. Realtà che perdura ancora oggi con colpevole dimenticanza, nonostante la

volontà ben espressa della Chiesa: “L’importanza della Parola di Dio esige che vi sia

nella chiesa un luogo adatto... verso il quale, ... spontaneamente si rivolga

l’attenzione dei fedeli” (PNMR 309).

“ L’ambone è simbolo della pietra ribaltata del santo sepolcro, sulla quale l’angelo

sedeva all’ingresso del monumento, proclamando la resurrezione del Signore alle

donne che portavano gli unguenti.

Esso è dunque monumentum resurrectionis sul quale si sale per annunziare che

Cristo è risorto ”.

(s. Germano di Costantinopoli) “L’ambone è simbolo della pietra ribaltata del santo sepolcro,

sulla quale l’angelo sedeva all’ingresso del monumento,

proclamando la resurrezione del Signore alle donne

che portavano gli unguenti.

Esso è dunque monumentum resurrectionis

sul quale si sale per annunziare che Cristo è risorto”.

S. Germano di Costantinopoli”

Descrizione mistagogica e spiegazione della divina liturgia.

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“ Perché cercate tra i morti colui che è vivo?

Non è qui è risorto ”.

(Lc 24, 5-6) “Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui è risorto” (Lc 24,5-6).

Come l’Angelo annunciante alla tomba vuota la Resurrezione del Cristo, così, oggi, il

diacono, simbolicamente “angelo che annuncia l’Evangelo della Resurrezione” nella

liturgia, sta sull’ambone, perché di lì dilaghi verso il mondo la gioia dell’annuncio.

“ Io sono la luce del mondo;

chi segue me,

non cammina nelle tenebre,

ma avrà la luce della vita ”.

(Gv 8, 12)

“Io sono la luce del mondo; chi segue me non cammina nelle tenebre,

ma avrà la luce della vita” (Gv 8,12).

“Cristo è presente nella sua Parola, giacché è lui che parla quando nella Chiesa si

legge la Sacra Scrittura” (SC 7). In Lui “Luce vera che illumina ogni uomo” (cfr. Gv

1,9) si proclamano e sono comprese le “Sante Scritture. Così, accanto all’ambone,

sempre, dovrebbe stare e apparire splendido il porta Cero pasquale. La stessa liturgia

ce ne dice la valenza e il significato:

Riconosciamo nella colonna dell’Esodo

gli antichi presagi di questo lume pasquale

che un fuoco ardente

ha acceso in onore di Dio.

Pur diviso in tante fiammelle

non estingue il suo vivo splendore,

ma si accresce nel consumarsi della cera.

(Preconio Pasquale)

“Riconosciamo nella colonna dell’Esodo

gli antichi presagi di questo lume pasquale

che un fuoco ardente

ha acceso in onore di Dio.

Pur diviso in tante fiammelle

non estingue il suo vivo splendore,

ma si accresce nel consumarsi della cera…” (Preconio pasquale)

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Nella Tradizione della Chiesa indivisa l’Evangelo è sempre stato custodito da una

copertura, o teca preziosa e finemente decorata. Una teca “ricca” come i vasi sacri

che custodiscono il Pane-Corpo del Signore.

Fin dall’antichità più venerabile il testo dell’Evangelo aveva copertine d’oro o

d’argento, con rilievi d’avorio e di smalto, e ornate di pietre preziose. Al centro della

decorazione della facciata primaria era occupato dall’icona della Resurrezione.

L’ultima copertina riportava la Croce gloriosa. Croce del Signore, strumento orribile

di morte, divenuta luminoso segno di salvezza, trono del Risorto vincitore. Nei

quattro spazi lasciati liberi dall’icona centrale sulle due facciate, erano rappresentate

altre “icone” che illustravano la Vita del Signore. Ancora oggi, i musei delle nostre

città, offrono molteplici esempi di questi “segni” della fede dei padri.

“ Tu che siedi sopra i cherubini, rivelati! ”. (Sal 79,1) “Tu che siedi sopra i cherubini, rivelati!” (Sal 79,1)

L’Evangeliario, secondo la bella espressione dei fratelli di Oriente, abitualmente

“riposa” sulla Mensa dell’Altare, lì è deposto iniziando la celebrazione, da lì è

portato solennemente all’ambone accompagnato dalle luci e incensato, baciato e con

esso è benedetto il popolo fedele. Alla Mensa dell’Altare dovrebbe essere riportato,

accanto al Corpo e Sangue del Signore. Mediante la ricchezza dei segni l’Evangelo

chiede di essere ascoltato, accolto, amato e messo in pratica nelle opere della vita.

“Accorrete tutti per radunarvi nell’unico tempio di Dio, intorno all’unico altare,

nell’unico Gesù Cristo”. Invito antichissimo e nuovo, pronunciato da s. Ignazio di

Antiochia vescovo e martire (tra il 107 e il 117).

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L’altare è il “centro dell’azione di grazie che si compie con l’Eucaristia” (PNMR

296), il “segno” attorno al quale si raduna tutto il popolo cristiano con i suoi ministri

centro simbolico della presenza di Cristo Risorto.

L’altare è figura della Rupe che dona l’Acqua della Vita (cfr Es 17,5-6; Nm 20,7-11;

con 1 Cor 10,4) che scaturisce dalla Croce (Gv 19,34) e dalla Resurrezione (Gv 7,37-

39). E’ la tomba vuota del Signore, da cui è balzata la Vita che dona lo Spirito della

Resurrezione. E’ il luogo del sacrificio con effetto permanente (Eb 10,5-14). L’altare

così è l’unica Mensa dell’unico Pane della Parola e del Corpo di Cristo.

Nella “casa della Chiesa” è il simbolo dell’unità e della carità di tutta la Comunità

con il suo Vescovo (LG 26; Euch.Myster. 7). E’ anche il luogo della presenza del

sacrificio della Croce sotto i segni celebrati (PNMR 296; LG 3). E’ il “segno” di

Cristo. Presenza terrena dell’altare celeste e spirituale.

Mirabili i testi dei santi Padri, nelle omelie e commentari liturgici che lo descrivono e

illustrano, e i testi della Liturgia:

Santo Santo Santo.

I cieli e la terra sono pieni

della tua gloria.

Santo Santo Santo.

I cieli e la terra sono pieni

della tua gloria.

Al di sotto della cupola e del “ciborio” = “cielo”, risuona il secondo “Inno angelico”,

il “Santo Santo Santo”. Esso è il grido di gioia e di lode ininterrotto, che i Serafini

tributano in eterno alla divina Maestà che troneggia nei cieli. Il profeta Isaia lo

ascoltò nel tempio, durante la terribile manifestazione che scuote la terra per la divina

Presenza che si rivela agli uomini.

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Il testo dice alla lettera: “Santo Santo Santo il Signore Dio delle seba’ot! Piena è la

terra della Gloria di Lui!” (Is 6,3). Poi, al tremore del Profeta che si dichiara

contaminato tra un popolo contaminato, e tuttavia non muore alla visione del Signore

Altissimo, un serafino, prendendo un carbone ardente dall’altare del sacrificio, gli

purifica la bocca, e così solo adesso il Signore può inviarlo ad annunciare la sua

Parola al popolo.

“ Pieni sono i cieli e la terra della Gloria tua ”.

“Pieni sono i cieli e la terra della Gloria tua”

Significativamente, in regime cristiano sta una piccola ma importante modifica:

“Pieni sono i cieli e la terra della Gloria tua”. Infatti, spiega Paolo, dopo la

Resurrezione e l’Ascensione, l’Umanità di Cristo glorificata ha riempito i cieli della

Gloria stessa di Dio (Ef 1,15-23).

Inoltre, le Chiese da alta antichità, almeno dal sec. II, aggiunsero al “Santo Santo

Santo” anche l’acclamazione a Cristo che entra a prendere possesso messianico di

Gerusalemme, la sua Città: “Osanna nell’alto dei cieli! Benedetto dal Nome, alla

lettera, del Signore “Colui che viene”!” (questo è uno dei nomi di Cristo) ( Sal

117,25-26). Il resto è un grande silenzio del popolo: il celebrante sta per cominciare

un’altra parte della Prece eucaristica, che riguarda Cristo Signore.

“ Il cielo sulla terra, dove Dio trascendente abita come a casa sua ”. “il cielo sulla terra, dove Dio trascendente abita come a casa sua”

Ma che vuole dire “Santo Santo Santo”? Il “Tre-volte-Santo” è Dio: Tuttosanto per

definizione. “Santo” non è solo, per analogia ai santi del cielo, colui che non fa

peccato, che vive la carità e la irraggia. E’ il Trascendente per definizione,

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inarrivabile dalle realtà umane. E’ Colui che attrae a sé, “santifica”, rende simili a sé,

“consacra” alla sua Persona tutti gli uomini che lo accettino. Santità divina è perciò

anche Bontà infinita, che si comunica, che dunque prima purifica. Che consacra alla

santità divina che si deve espandere nel mondo tra gli uomini, sotto la legge severa:

“Siate santi, poiché Io sono Santo!” (Lev 19,2). “Santità” è comunione: e non a caso,

lo Spirito Santo è la divina Comunione (koinônía) che unisce eternamente il Padre

con il Figlio, ed unisce la Trinità Unita con gli uomini dopo averli però uniti tra essi

in comunione di fede, di speranza, di carità, di vita apostolica.

Beati qui ad coenam Agni vocati sunt…

Beati qui ad coenam Agni vocati sunt…

Il canto dell’“Agnello di Dio” accompagna il gesto della “frazione del Pane”

compiuto dal presidente dell’Assemblea. Questo gesto risale a Gesù stesso in diverse

occasioni. Alla moltiplicazione dei pani e dei pesci (Mc 6,41 e par); alla Istituzione

dell’Eucarestia (Lc 22,19); a Emmaus (Lc 24,30.35). Questo gesto divenne il nome

stesso della celebrazione eucaristica fin dal libro degli Atti. Il suo significato è

duplice, infatti, accanto all’aspetto “funzionale” dello spezzare il pane perché sia

distribuito a tutti, unisce un carattere “simbolico” di unità e comunione con il Cristo e

con tutti i fratelli (1 Cor 10,17).

Il canto dell’“Agnello di Dio” riprende la parole usate dal Battista per indicare il

Cristo ai discepoli (Gv 1,29.35). Il Pane che adesso è spezzato è Cristo, l’Agnello

immolato, il Servo (Is 53,7-8), e Risorto, che mediante la comunione unisce a sé i

discepoli come “Corpo suo”, nella purificazione dal peccato e nel dono della sua

stessa Vita. L’implorazione dei fedeli è ancora una volta richiesta di perdono e di

pace.

Il ministro mostrando il “Pane spezzato” per invitare i fedeli al convito di Nozze

dell’Agnello richiama Gv 1,29, a cui seguono le parole riprese da Ap 19,9. L’invito è

per tutti, “Beati i chiamati”, già l’Assemblea ha aderito alla Parola accogliendola e

nutrendosene, ora è chiamata ad unirsi totalmente al Cristo Pane di Vita. La

traduzione ufficiale italiana ha impoverito il contenuto teologico omettendo

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l’espressione “delle Nozze dell’Agnello”, privando così il Convito della sua

accentuazione nuziale, tema biblico centrale in tutta la Rivelazione.

E’ dunque il momento di mettersi in cammino, Lui viene verso di noi, noi andiamo

verso di Lui. Così, percorrere la “via sacra” diviene ed è realmente in questo

momento l’anticipo e il pregusto dell’eternità

“ Così porranno il mio Nome sugli Israeliti e io li benedirò ”. (Num 6,27)

“Così porranno il mio Nome sugli Israeliti e io li benedirò” (Num 6,27)

Siamo entrati nel luogo santo con il segno della Croce, nel medesimo segno ci

disponiamo ad uscire.

Anche ogni celebrazione della Chiesa si inizia e si conclude così.

“Porre il Nome” su una persona è segno della comunione che prosegue e non ha

termine. In quel Nome Santo e Benedetto nei secoli, l’Assemblea, permanentemente

convocata, è rinviata per l’operosa “liturgia della vita”.

Andate in pace Andate in pace

L’Assemblea santa è proiettata all’esterno e inizia una autentica “liturgia di ingresso

nel mondo” da parte dei battezzati che santificati e plasmati dall’Eucarestia vanno ad

adempiere la loro missione di santificazione e consacrazione del mondo e degli

uomini amati da Dio.

“A Dio rendimento di grazie”, esprime ancora il sentimento perenne di riconoscenza

della Chiesa per i doni ricevuti nella celebrazione ed insieme l’affermazione di volerli

vivere di continuo nel tempo. I fedeli tornano alle loro case “lodando e benedicendo

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Dio” (At 2,47) per operare nella fede, nella speranza e nella carità, vigilanti

nell’attesa del suo Ritorno glorioso.

Non a caso, infatti, sulla parete di fondo sopra la porta della chiesa, volta verso

occidente, stava raffigurato il giudizio universale non per incutere paura nei fedeli

che lasciavano la casa della Chiesa, ma per esortare ed incitare a trasformare nelle

opere quotidiane quanto è stato celebrato nella fede, poiché il giudizio è realtà che si

va compiendo ogni momento “finché dura quest’oggi”.

“… e godendo il favore di tutto il popolo …”.

(At 2, 47) “…e godendo il favore di tutto il popolo…” (At 2,47)

Quanto gli Atti degli Apostoli narrano circa la Comunità delle origini, questo deve

diventare realtà per le nostre assemblee, che rinviate al termine della celebrazione,

sono chiamate ad attuare nelle opere quanto nella fede hanno celebrato

“ Beati coloro

che ascoltano

la parola di Dio

e la osservano ”.

(Lc 11, 28)

“Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano” (Lc 11,28)

Così, la beatitudine che il Signore Gesù annunciò alla donna del popolo, che lodava

la Tuttasanta Madre sua, sarà la beatitudine di ogni discepolo che, accolta la Parola si

è nutrito del Pane di Vita per diventare lui stesso per gli uomini, parola di salvezza e

pane donato, per la gloria di Dio e la vita di tutti i fratelli.

Lasciamoci plasmare dalla ricchezza di doni con cui il Signore ci circonda e a Lui,

Padre e Figlio e Spirito Santo sia gloria ora e nei secoli dei secoli. Amen.

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Benedetto sei Tu, Signore,

Dio dei padri nostri,

a Te la lode e la gloria nei secoli.

Amen

dLM